ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00057

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 420 del 19/01/2011
Abbinamenti
Atto 6/00055 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00056 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00058 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00059 abbinato in data 19/01/2011
Firmatari
Primo firmatario: DI PIETRO ANTONIO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 19/01/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI 19/01/2011
DONADI MASSIMO ITALIA DEI VALORI 19/01/2011
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 19/01/2011
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 19/01/2011


Stato iter:
19/01/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 19/01/2011
Resoconto ALFANO ANGELINO MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 19/01/2011
Resoconto DI PIETRO ANTONIO ITALIA DEI VALORI
Resoconto NAPOLI ANGELA FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO
Resoconto MOLTENI NICOLA LEGA NORD PADANIA
Resoconto COSTA ENRICO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BARANI LUCIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/01/2011

NON ACCOLTO IL 19/01/2011

PARERE GOVERNO IL 19/01/2011

DISCUSSIONE IL 19/01/2011

RESPINTO IL 19/01/2011

CONCLUSO IL 19/01/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00057
presentata da
ANTONIO DI PIETRO
testo di
mercoledì 19 gennaio 2011, seduta n.420

La Camera,
premesso che:
le comunicazioni che il ministro della giustizia presenta alla Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 2, comma 29, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150, costituiscono un documento impegnativo, di bilancio dell'amministrazione della giustizia e di definizione programmatica per il futuro, cosicché richiedono un esame particolarmente rigoroso da parte del Parlamento, consono alla vitale importanza del servizio giustizia per i cittadini e le istituzioni;
la tutela giurisdizionale costituisce uno strumento imprescindibile per assicurare ai cittadini la garanzia e la piena attuazione dei loro diritti in sede penale, civile, tributaria e amministrativa. Naturalmente la garanzia del diritto dei cittadini alla sicurezza presuppone necessariamente non solo l'efficacia dell'azione delle forze dell'ordine (che devono essere dotate dei mezzi indispensabili ed idonei) ma un sistema giudiziario efficiente, per il cui miglioramento è necessario stanziare risorse adeguate e idonee a realizzare un effettivo miglioramento della qualità dell'amministrazione della giustizia;
il settore giustizia negli ultimi dieci anni, otto dei quali governati dal centrodestra, non ha visto alcuna riforma strutturale corrispondente ad un impianto complessivo e strategico di rilancio, mentre le poche riforme avviate in passato hanno incontrato ostacoli applicativi e rilevanti problemi in sede di attuazione, non da ultimi a causa delle ripetute e sostanziali decurtazioni di risorse al bilancio dell'amministrazione;
si è assistito e si assiste, invece, alla reiterazione da parte di questo Governo di scelte che, dal punto di vista delle politiche finanziarie, delle dotazioni infrastrutturali, delle politiche del personale e del quadro normativo, non vanno in tale direzione. Esse non solo procedono in direzione diametralmente opposta a quella auspicata dagli operatori del settore ma anche a quella suggerita, più semplicemente, dal «buon senso» e dalla buona amministrazione ordinaria;
a fronte, dunque della enfatizzazione posta dal Governo sui provvedimenti urgenti in materia di sicurezza, non solo si persevera nella mancanza di un disegno riformatore efficace e coerente, ma di fatto si paralizzano le riforme introdotte con ampio e condiviso consenso;
non è certo motivo di vanto e di orgoglio per il nostro Paese che il rapporto Doing Business 2011, della Banca mondiale, che annualmente indica i paesi in cui è vantaggioso investire, che è stato pubblicato qualche tempo fa, ancora collochi l'Italia all'ottantesimo posto (su 183). È, dunque, ben vero che «un investitore di qualsiasi nazionalità, tra le spinte all'investimento in un paese europeo, soppesi anche "tempi e costi di recupero di un credito" per valutare la convenienza a investire in Italia - come evidenzia l'ultima relazione sull'amministrazione della giustizia dell'anno 2009 -, ma nella sua decisione peseranno soprattutto i tempi sicuramente lunghi delle autorizzazioni, gli appalti opachi, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione;
la macchina della giustizia sta girando a vuoto creando frustrazioni ai cittadini e a tutti gli operatori del diritto. Lentezza dei processi, drammatica penuria di risorse umane e materiali, vetusta organizzazione e mancata informatizzazione sono problemi cui la politica deve dare risposta, a fronte del continuo aumento della domanda di giustizia anche a causa di un sistema che aumenta a dismisura e senza ragioni le fattispecie penati e che non razionalizza il processo civile;
sono pendenti oltre cinque milioni di cause civili e oltre tre milioni e mezzo di processi penali, cosicché uno dei problemi più impellenti che affliggono la giustizia italiana concerne la ragionevole durata del processo, in applicazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo concernente il diritto ad un processo equo;
uno dei problemi più rilevanti che affligge la giustizia italiana concerne notoriamente il mancato rilancio del comparto giustizia sia in termini di investimenti che di personale. Il perdurare e l'aggravarsi di tale situazione determina riflessi inevitabilmente negativi sulla funzionalità e sull'efficacia del servizio reso al cittadino, a cominciare dalla ragionevole durata del processo. L' assenza di proposte sulla deflazione della giustizia penale o di incisivi interventi su aspetti come la riforma del giudizio contumaciale, oltre a denunciare una preoccupante mancanza di idee che sappiano riorganizzare risorse e strumenti in un quadro di sistema, tradiscono piuttosto una strategia volta a far languire progressivamente il sistema fino all'asfissia per impossibilità di funzionamento;
l'eccessiva durata dei processi, le numerose condanne inflitte all'Italia per i ritardi nelle decisioni, il grande numero delle pronunce di prescrizione (dopo anni di dibattimento e un enorme spreco di risorse), l'impossibilità per i pubblici ministeri di trattare tutte le notizie di reato ed il consequenziale e «obbligato» accantonamento in sede di indagini di migliaia di procedimenti, la mancanza di risorse finanziarie, di personale amministrativo e di magistrati, le ricadute negative dell'indulto e delle riforme a costo zero approvate in questi anni, sono tutti aspetti negativi che richiedono interventi urgenti;
a fronte di tale straordinaria emergenza, il Governo, a dispetto di spot ed annunci strabilianti, non ha posto in essere alcun organico intervento normativo, ordinamentale e strutturale idoneo a consentire all'apparato giudiziario di risolvere enti o tempi accettabili questo così grave problema. Anzi, anche con l'ultima legge di stabilità, con costanti ed irragionevoli tagli lineari, ha drasticamente ridotto le disponibilità economiche del Ministero della giustizia, oltre che di quello degli interni, così da rendere ancora più difficile assicurare una maggiore sicurezza e un sistema giudiziario più efficiente;
la scopertura degli uffici è un'emergenza assoluta: mancano oggi più di mille magistrati su un organico di 9000, dato già di per sé allarmante, ma che preoccupa ancor di più se si pensa che l'ultima legge di stabilità ha previsto il blocco delle assunzioni fino al 2013 e che attualmente mancano le risorse economiche necessarie all'assunzione dei vincitori dell'ultimo concorso. A ciò si aggiunga che i vincitori del penultimo concorso sono stati assunti finanziando la spesa con un aumento di 3 euro del contributo unificato;
come riporta il rapporto Cepej, in Italia le sopravvenienze civili annue contenziose di primo grado per ogni giudice ammontano a 438,06, contro le 224,15 della Francia e le 54,86 della Germania. Nel campo penale i valori assoluti si assottigliano ma la sostanza non cambia. Se poi si passa ad esaminare i procedimenti penali e civili per ogni grado, definiti per ogni giudice, emerge con evidenza lo sforzo della magistratura per portare a termine i processi. Nel civile il dato è di 411,33 per l'Italia, di 215,67 per la Francia e di 78,86 per la Germania. Nel penale 181,09 per l'Italia, 87,06 per la Francia, 42,91 per la Germania;
al contrario, l'unica preoccupazione della maggioranza appare quella di evitare al Presidente del Consiglio la partecipazione alle udienze penali, di modo che il Parlamento è occupato nella definizione di questo problema con l'esame di molteplici e concorrenti provvedimenti legislativi mentre dovrebbe occuparsi della grave crisi economica del Paese e, semmai, della riforma della giustizia per farla funzionare meglio;
appare quindi sempre più chiaro, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, come il Governo appaia del tutto disinteressato agli strumenti di tutela giurisdizionale e sostanziale dei diritti dei cittadini, avendo preferito invece spendere tempo prezioso per sottrarre alla giustizia il Presidente del Consiglio dei ministri - prima attraverso la fulminea approvazione del disegno di legge recante il cosiddetto «lodo Alfano» (dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte Costituzionale n. 262 del 2009) poi con il cosiddetto «legittimo impedimento» (dichiarato parzialmente incostituzionale il 13 gennaio u.s., per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione), oltre che con il cosiddetto «processo breve», disegno di legge ancora all'esame della Camera dei deputati. Se tale ultima «innovazione», consistente nella trovata di sommare i devastanti effetti di una prescrizione processuale a quelli già noti prodotti dal più consolidato istituto della prescrizione del reato, entrasse in vigore, i riti alternativi e le procedure deflattive del processo entrerebbero definitivamente in crisi, determinando l'inevitabile allungamento dei tempi della macchina della giustizia, a scapito sia dei diritti dell'imputato che, soprattutto, delle parti civili. Di modo che si potrebbe giungere all'obiettivo di aver conseguito non già un processo breve ma un «processo morto». Tutto ciò evidenzia ancor di più come, lungi dal voler attuare una riforma che restituisca certezza ai tempi e alla effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, la finalità della proclamata azione riformatrice sia solo quella di ridurre progressivamente, fino ad estinguerle, le concrete possibilità di arrivare ad una decisione di merito, rinunciando in tal modo ad arrivare ad una giusta ed equa decisione di merito. Fine ultimo del combinato disposto delle proposte di legge citate e della sottrazione costante di fondi all'amministrazione della giustizia, appare dunque la rimozione del processo, non la rimozione delle cause che rendono lungo e costoso un processo. E per fare ciò si è pronti a sacrificare i diritti delle parti civili e persino l'interesse dell'imputato ad avere un accertamento non frettoloso dei propri diritti. Come ciò si concili con la proclamazione reiterata della volontà di tutelare la «sicurezza» dei cittadini, enfatizzata con l'adozione di ben quattro decreti-legge in materia - nessuno del quali sembra aver prodotto risultati di rilievo sia per pochezza contenutistica che per problemi connessi alla formulazione stessa delle norme, come lo stesso incessante succedersi dei cosiddetti «pacchetti sicurezza» di per se' dimostra - resta un mistero ancora irrisolto, a meno di non voler considerare quale obiettivo ultimo e reale dell'azione sin qui intrapresa la sostanziale rinuncia dello Stato all'esercizio della giurisdizione;
in luogo della minacciata introduzione nel codice di rito dell'istituto della fattispecie estintiva del processo per violazione del termine di durata (stabilito in maniera assolutamente arbitraria ed apodittica) sarebbe invece necessario un razionale snellimento e una coerente semplificazione delle procedure, oltre che l'apprestamento di congrue dotazioni di personale e mezzi per gli uffici giudiziari e per le forze dell'ordine. Occorrerebbe, altresì, una più analitica disciplina per governare i tempi del processo, anche sotto il profilo organizzativo, dando concretezza al principio sancito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 255 del 1992, secondo il quale: «Fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità». Fine primario di talune riforme sostenute dal Governo, e certamente effetto dell'azione di progressiva e costante riduzione dei fondi e degli investimenti, appare invece quello di ostacolare in tutti i modi, se non impedire, la funzione giudiziaria in generale e quella processuale in particolare, con l'esito dunque, di impedire l'accertamento della verità;
una delle questioni cruciali per il nostro Paese è rappresentata dalla risposta che il sistema giustizia è in grado di offrire al fenomeno della corruzione, che, oltre a determinare sacche di illegalità in ambiti pubblici e privati, costituisce una vera e propria «zavorra» per lo sviluppo e per il progresso economico e sociale. È evidente che una risposta a tale problema non può essere circoscritta al piano giudiziario, tuttavia occorre rilevare che il Consiglio d'Europa ha più volte sottolineato criticamente come la prescrizione dei reati incida pesantemente, nel nostro Paese, sui processi per corruzione, invocando riforme che consentano di addivenire alle sentenze. Le riforme che sono state prospettate, rendono più difficile, a giudizio della magistratura e dell'avvocatura associata, l'impegno dell'Italia nella lotta alla criminalità e alla corruzione in particolare, reato per il quale la legge 5 dicembre 2005 n. 251 sulla prescrizione breve ha purtroppo già potuto dispiegare i suoi effetti. Il gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d'Europa ha, peraltro, inviato all'Italia 22 raccomandazioni amministrative, procedurali (per evitare l'interruzione dei processi) e normative. Si ricorda che nel corso del G8 de L'Aquila del 2009 è stato sottoscritto il documento dell'Ocse per un global legal standard. Il predetto rapporto del Consiglio d'Europa si conclude con una raccomandazione all'Italia, ove si auspica l'individuazione di soluzioni che consentano di addivenire ad una pronuncia di merito. L'applicabilità dell'Istituto della «prescrizione processuale» anche ai processi per il reato di corruzione oltre a non essere conforme alla tendenza espressa dalle fonti sovra-nazionali, rischia di impedire del tutto l'accertamento giudiziario in tale ambito penale;
le carceri italiane si trovano in una gravissima situazione emergenziale con circa 66 mila presenze, in surplus di 25 mila detenuti rispetto ai posti letto regolamentari a disposizione, con una deficienza organica del Corpo di polizia penitenziaria di circa 5.500 unità. Deficitaria è anche l'edilizia penitenziaria. La Corte dei conti nell'ordinanza 13 luglio 2010 sostiene che "...L'intera gestione in materia di edilizia penitenziaria risulta contrassegnata da pesanti difficoltà di attuazione per varie ragioni, tra le quali emergono particolarmente la cronica insufficienza dei finanziamenti, i tortuosi meccanismi di assegnazione delle risorse disponibili, le lungaggini procedurali, il frequente e rapido mutamento delle esigenze e degli obiettivi, la dilatazione dei tempi nella fase esecutiva di costruzione delle nuove strutture penitenziarie dovuta anche al sorgere di contenziosi (...)». Emerge un quadro assai allarmante. La terribile condizione in cui sono costretti a vivere i detenuti nelle carceri italiane alimenta gli effetti criminogeni della pena e si pone in contrasto con l'articolo 27 della nostra Costituzione che prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» e con l'articolo II-64 della Costituzione europea che stabilisce che «nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti»;
sono solo poche migliaia i detenuti che potenzialmente potrebbero usufruire del nuovo beneficio di legge consistente nella opportunità di scontare l'ultimo anno di pena detentiva «presso altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza». Certamente ben meno delle 7 mila unità ipotizzate dal Ministero della giustizia in prossimità della approvazione della legge n. 199 del 2010 avvenuta il 17 novembre scorso. La legge aveva l'obiettivo di ridurre i tassi di sovraffollamento penitenziaria;
nel 2009 le morti in carcere sono state 113 di cui 72 suicidi, 18 da accertare, 22 per malattia e 1 per omicidio. Nei primi nove mesi del 2010 suicidi sono stati 55. È pertanto ipocrita far uscire comunicati per ogni suicidio in carcere che purtroppo quasi quotidianamente si verifica, se la situazione continua ad essere quella attuale: se mille detenuti continuano a sopravvivere in istituti che ne possono contenere cento; se il 16 per cento dei carcerati soffre di depressioni e disturbi psichici e gli psicologi e gli educatori continuano ad essere in rapporto gravemente inadeguato; se inevitabilmente nelle carceri, si realizza l'annullamento della persona e non il, previsto dalla Costituzione, percorso di rieducazione guidata e se alcuni nuovi istituti o padiglioni, non possono essere aperti e resi agibili per mancanza della polizia penitenziaria, in grave sottorganico, nonostante le promesse di nuove assunzioni mai avvenute;
considerato che il Governo è anche in grave ritardo nella definizione delle problematiche, soprattutto ordinamentali, di una categoria assolutamente benemerita quale quella della magistratura onoraria, composta da magistrati che amministrano il 60 per cento del contenzioso civile e il 30 del processo penale in tempi brevi e con la durata media di un anno per processo, pur ricevendo retribuzioni totalmente inadeguate e non dignitose in rapporto all'alta funzione pubblica del rendere giustizia che svolgono al servizio dello Stato e del cittadino;
peraltro, la soluzione ipotizzata dal Governo appare partire dal presupposto della scarsa considerazione di questa categoria di indispensabili e benemeriti operatori del diritto, introducendo arbitrarie differenziazioni, non prevedendo alcuna forma di scudo previdenziale, prevedendo, a regime, la messa in disparte di un personale qualificato ed esperto che ha svolto con dignità un prezioso lavoro in funzione dell'introduzione di personale della necessaria esperienza. Bisogna superare il periodico ricorso alle proroghe, che hanno il solo effetto di far permanere personale sostanzialmente retribuito «a cottimo» se non "in nero", per arrivare ad una definitiva e dignitosa soluzione del problema che preveda forme di continuità, di specializzazione, di giusta retribuzione e di forme compatibili di previdenza;
la giustizia minorile sta vivendo il periodo più buio della sua esistenza perché si stanno facendo mancare ad essa le risorse necessarie (persino per il trattamento dei minori) e, sotto il pretesto di una riorganizzazione, si sta consentendo il depotenziamento delle professionalità attraverso lo svuotamento delle competenze con il loro trasferimento alle strutture generali organizzative del Ministero della giustizia che si occupano di tutto, così vanificandosene la specificità. Ciò costituisce la premessa per lo svilimento di un settore e di una cultura dei diritti dei minori che vede l'Italia all'avanguardia in un panorama internazionale, in contrasto anche con l'affermata opinione del ministro della giustizia per cui la giustizia minorile rappresenta un «fiore all'occhiello» che va salvaguardato e difeso;
il Governo ha altresì annunciato altri interventi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, non meno inquietanti volti ad incidere, anche con quelli che appaiono veri e propri stravolgimenti costituzionali, sull'ordinamento giudiziario anche sulla separazione delle carriere, cui dovrebbe far seguito la divisione del Consiglio superiore della magistratura. Premesse, queste, per l'attenuazione o l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale e la dipendenza del pubblico ministero dal Governo; il tutto funzionale a sottoporre la magistratura e la giustizia al controllo politico, a danno della indipendenza e autonomia riconosciuta dalla Costituzione e dalle originarie teorie sulla separazione dei poteri;
considerato, inoltre, che:
dal Fondo unico per la giustizia risultano pervenuti al Ministero della giustizia appena 79 milioni di euro e ciò soltanto grazie alla rinuncia del Ministero dell'economia e delle finanze alla propria quota per l'anno 2009. Va infatti ricordato che, con l'obiettivo di razionalizzazione della gestione delle somme amministrate dal sistema giustizia, con il decreto-legge n. 143 del 2008, convertito nella legge 181 del 2008, recante «Interventi urgenti in materia di funzionalità del «sistema giudiziario», era stato istituito il Fondo unico giustizia. La gestione del Fondo è stata affidata ad Equitalia Giustizia spa. Essa avrebbe dovuto consentire il recupero di quote da devolvere al Ministero dell'interno e al Ministero della giustizia, che avrebbero dovuto utilizzare, rispettivamente, per la tutela della sicurezza e del soccorso pubblico e per il potenziamento dei propri servizi istituzionali. Con una modifica introdotta all'articolo 2 dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14 il Governo ha previsto che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri siano stabilite - fino a una percentuale non superiore al 30 per cento delle sole risorse oggetto di sequestro penale o amministrativo. Le quote delle risorse rese disponibili per massa e in base a criteri statistici, intestate «Fondo unico giustizia», anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare: in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, fatta salva l'alimentazione del Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e del Fondo di rotazione per la solidarietà delle vittime dei reati di tipo mafioso; in misura non inferiore ad 1/3, al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; all'entrata del bilancio dello Stato. In tal modo, la dotazione delle risorse volte ad assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi del Ministero della giustizia è stata ridotta ad appena un terzo del 30 per cento del «paniere» iniziale. Ne deriva che, in virtù di tale meccanismo, al Ministero della giustizia vengono destinate somme infinitesimali a fronte di un costo del sistema giustizia valutato dal medesimo ministro in 8 miliardi di euro l'anno;
un tale volume di riduzioni degli investimenti e delle spese correnti non solo non consentirà di accrescere l'efficienza del servizio giustizia, ma non permetterà neppure di garantire l'attuale, pur insufficiente, livello di funzionamento degli uffici giudiziari. A tale riguardo si evidenzia anche la mancanza di un serio progetto di geografia giudiziaria che, seppur in maniera non rigida, avvii una positiva revisione delle sedi. Né si registra alcun importante alleggerimento degli uffici pubblici, con particolare riferimento ai Ministeri, in cui operano attualmente magistrati posti fuori ruolo, che secondo talune stime arriverebbero a sfiorare il 3 per cento dell'organico a fronte di una scopertura che si aggira intorno all'8 per cento ed incide in maniera preoccupante soprattutto nelle regioni meridionali e nelle aree maggiormente esposte a fenomeni di criminalità diffusa e criminalità organizzata;
considerato che:
il processo di digitalizzazione e di informatizzazione appare la strada maestra per velocizzare efficientemente il sistema giudiziario del Paese. Al contrario, sotto questo profilo, il panorama nazionale è quello della dotazione di strumenti obsoleti, di assenza di programmazione di scelte di spesa oculate e a lungo termine, dell'utilizzo di programmi e sistemi che spesso non colloquiano tra di loro, mentre è carente una politica di potenziamento, formazione e valorizzazione della professionalità del personale degli uffici giudiziari. Tuttavia, se è incontestabile la necessità di ricorrere all'informatizzazione dei processi organizzativi dei palazzi della giustizia, non si può condividere il perdurante affidamento ai privati dell'organizzazione informatica dell'attività giudiziaria;
in particolare, si è seriamente rischiata l'interruzione del servizio di assistenza informatica applicativa agli uffici giudiziari per l'anno 2011, in dipendenza dalla mancata copertura dei contratti pluriennali sottoscritti negli anni 2009 e 2010, Come già dichiarato del Governo all'Assemblea della Camera dei deputati il 22 dicembre u.s. «l'esiguità delle risorse previste dal Ministero dell'economia e finanze per il 2011 ha imposto l'inserimento nei suddetti contratti (peraltro, su diretta sollecitazione della Corte dei conti, oltre che dell'Ufficio Centrale del Bilancio di questo dicastero) di una clausola determinante l'arresto delle attività di supporto agli uffici giudiziari, a decorrere dal 1o gennaio 2011, in assenza di adeguata copertura finanziaria. Peraltro, la spesa corrente destinata al mantenimento dei sistemi informatici degli uffici giudiziari, allo stato attuale, non è ulteriormente comprimibile senza rischiare di compromettere il mantenimento di tutti i sistemi, Negli ultimi anni la spesa collegata al settore si è notevolmente ridimensionata, passando da una spesa registrata di circa 79 milioni di euro nel 2008 ad una previsione di spesa di circa 56 milioni di euro per il 2011. È evidente, quindi, che la situazione descritta non soltanto è nota, ma è anche oggetto di costante e puntuale verifica». Sebbene il ministro della giustizia abbia dichiarato di aver sottoscritto le variazioni di bilancio necessarie per ottenere il ripristino del servizio, il problema risulta perdurare, almeno sotto il profilo degli investimenti settoriali oltre che in termini di sottrazione ad altri capitoli di spesa dell'amministrazione giudiziaria già ridotti allo stremo di risorse finanziarie;
considerato ancora che:
da quando il Governo in carica si è insediato si è registrato un costante e pesante crescendo nella conflittualità dell'esecutivo nei confronti dei magistrati, soprattutto del pubblico ministero, con dichiarazioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, offensive ed aggressive del Capo del Governo;
manca un programma che faccia intravedere ai cittadini, così come al personale del comparto giustizia, che il Governo ha un vero e concreto indirizzo politico per il miglioramento della sicurezza pubblica e per la risoluzione delle gravi inefficienze che ancora caratterizzano l'amministrazione della giustizia nel nostro Paese;
ritenuto che il giudizio globalmente negativo sulla politica della giustizia emerge anche dalle numerose manifestazioni di protesta organizzate tanto dagli avvocati quanto dai magistrati,
non approva
le comunicazioni rese dal ministro della giustizia; impegna, invece, il Governo, e in particolare il ministro della giustizia:
a provvedere urgentemente al reperimento di risorse finanziarie, organizzative e di personale adeguate per assicurare l'efficiente e celere amministrazione della giustizia;
a promuovere una riforma organica del processo sia civile che penale, in modo da consentire agli uffici giudiziari di gestire il carico degli adempimenti e di superare i ritardi nella trattazione dei processi determinati spesso da soli meri problemi procedurali e meramente formali;
ad assumere iniziative per semplificare il processo civile procedendo anche all'unificazione dei diversi riti che oggi caratterizzano il sistema processuale e ammodernare il processo del lavoro in considerazione della drammatica situazione che caratterizza questo settore a causa della precarizzazione del rapporto di lavoro e delle relative tutele, in quanto la politica di welfare del Governo erode progressivamente le garanzie previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori;
a riaffermare con forza il diritto-dovere del pubblico ministero di promozione dell'azione penale, quale strumento di garanzia dell'uguaglianza tra i cittadini ed effettività del principio di legalità, che sottende l'obbligatorietà dell'azione penale;
a promuovere una revisione del sistema penale, in coerenza con la normativa europea e con le pronunce della Corte costituzionale nel senso di: rendere più incisiva la disciplina sul voto di scambio; valorizzare la disciplina dei reati ambientali con sensibile aggravamento delle pene; ripristinare la previgente disciplina del delitto di falso in bilancio; incrementare l'entità delle pene previste per i reati economico-finanziari e soprattutto assicurare l'effettività della sanzione; potenziare le normative e le strutture di contrasto all'evasione fiscale; introdurre il reato di auto riciclaggio; assicurare l'effettività del sistema sanzionatorio relativo ai reati contro la pubblica amministrazione, garantendo l'applicazione effettiva delle sanzioni accessorie; a riformare la disciplina del reato di immigrazione clandestina al fine di porre il valore dell'integrazione quale precondizione per il rispetto dei diritti fondamentali, primo fra tutti il principio di uguaglianza;
ad assumere iniziative normative per ridurre i gradi di giudizio e rendere meno strumentale il sistema delle impugnazioni;
ad adottare iniziative che attuino una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali la più estesa oblazione nel processo penale per i reati «bagatellari» e, nei casi meno gravi, l'archiviazione per irrilevanza sociale del fatto, la messa alla prova, le sanzioni sostitutive (pecuniarie e di attività sociale), e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie, facendo sì che a pena detentiva, ove irrogata, sia magari più lieve ma effettivamente scontata per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, affidando al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa;
ad adottare le misure atte a garantire ai detenuti e ai loro familiari il rispetto dei diritti fondamentali, anche mediante il reinserimento sociale e lavorativo e a promuovere una riforma che ponga in primo piano il recupero e la rieducazione del reo, ferma restando l'inflessibilità nell'applicazione dell'articolo 41-bis per ogni forma di criminalità organizzata di tipo mafioso;
a reperire le risorse finanziarie necessarie a salvaguardare i livelli retributivi degli operatori della giustizia ad ogni livello (anche del settore carcerario), nonché per l'edilizia penitenziaria, prevedendo nuove strutture o l'ampliamento e l'ammodernamento di quelle esistenti, assicurando anche l'attuazione dei piani e dei programmi a tal fine previsti da precedenti leggi finanziarie;
a promuovere una complessiva riforma della magistratura onoraria che, partendo dal riconoscimento della insostituibile funzione svolta dai giudici non togati, definisca un'equa normativa ordinamentale che tenga conto della professionalità, della continuità e dell'esigenza di una dignitosa retribuzione e di forme adeguate di scudo previdenziale;
a promuovere, in tempi rapidi, l'auspicata riforma dell'ordinamento forense per garantire all'Avvocatura un ruolo in linea con la normativa comunitaria e con la funzione prevista dalla Carta costituzionale, posto che i disegni di legge proposti dal Governo sono insufficienti a ricondurre a sistema un settore professionale fondamentale per il Paese come quello forense;
ad incrementare le risorse da destinare all'innovazione, al fine di realizzare il processo telematico, con conseguente snellimento delle procedure e realizzazione di un modello organizzativo che ponga al centro l'efficienza del servizio offerto ai cittadini;
ad eliminare i processi di esternalizzazione dei servizi informatici, compresi quelli relativi alle operazioni di intercettazioni, mediante la formazione del personale già nell'organico della pubblica amministrazione;
a prevedere, nel comparto giustizia, un forte incremento di personale sia giudiziario che amministrativo, aumentando gli organici dei magistrati nelle regioni a più alta incidenza criminale e potenziando i servizi di cancelleria, assicurando inoltre un intervento urgente per garantire la verbalizzazione e la trascrizione degli atti presso tutti i singoli uffici giudiziari, e maggiori e sicure risorse per le intercettazioni, quale passaggio fondamentale per lo svolgimento delle indagini e la celebrazione dei processi penali;
ad implementare ogni ipotesi di riorganizzazione della giustizia minorile che potenzi il settore e non disperda le professionalità e a garantire le risorse necessarie per la rieducazione dei minorenni in trattamento penale.
(6-00057) «Di Pietro, Palomba, Donadi, Evangelisti, Borghesi».