ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00038

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 270 del 21/01/2010
Abbinamenti
Atto 6/00036 abbinato in data 21/01/2010
Atto 6/00037 abbinato in data 21/01/2010
Atto 6/00039 abbinato in data 21/01/2010
Atto 6/00040 abbinato in data 21/01/2010
Firmatari
Primo firmatario: VIETTI MICHELE GIUSEPPE
Gruppo: UNIONE DI CENTRO
Data firma: 21/01/2010
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO 21/01/2010
RIA LORENZO UNIONE DI CENTRO 21/01/2010


Stato iter:
21/01/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 21/01/2010
Resoconto ALFANO ANGELINO MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 21/01/2010
Resoconto LA MALFA GIORGIO MISTO - REPUBBLICANI REGIONALISTI POPOLARI
Resoconto PISICCHIO PINO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI
Resoconto RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO
Resoconto BRIGANDI' MATTEO LEGA NORD PADANIA
Resoconto ORLANDO ANDREA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto COSTA ENRICO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 21/01/2010

ACCOLTO IL 21/01/2010

PARERE GOVERNO IL 21/01/2010

DISCUSSIONE IL 21/01/2010

APPROVATO IL 21/01/2010

CONCLUSO IL 21/01/2010

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00038
presentata da
MICHELE GIUSEPPE VIETTI
testo di
giovedì 21 gennaio 2010, seduta n.270

La Camera,
premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita dai cittadini come distante e incapace di contribuire al progresso civile;
la lentezza dei processi e l'imprevedibilità del giudicato sono le cause fondamentali che contraddicono i diritti individuali, compromettono il buon andamento dell'economia e finiscono per sfociare nell'irragionevolezza;
riformare la giustizia deve significare anzitutto ottenere giudizi più rapidi, attraverso una robusta razionalizzazione del sistema, e rendere maggiormente prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti dei cittadini;
l'attuale irragionevole durata dei processi è determinata da una pluralità di fattori, su cui bisogna agire congiuntamente;
la necessaria svolta sul piano organizzativo, tuttavia, non può essere di per sé sola sufficiente a risolvere le forti criticità presenti;
udite le comunicazioni del ministro sull'amministrazione della giustizia,
impegna il Governo
e, in particolare, il ministro della giustizia,
ad intraprendere tutte le iniziative necessarie, e in particolare:
I) a considerare preliminare ad ogni intervento una revisione delle circoscrizioni giudiziarie che consenta la più razionale allocazione delle risorse umane e materiali, che vanno comunque potenziate. Il tema della scopertura degli uffici di procura, soprattutto nelle sedi disagiate, può trovare soluzione stabile nella eliminazione del divieto di destinazione degli uditori e soluzione transitoria in una deroga per gli ultimi vincitori di concorso. Il processo telematico deve passare dalle parole ai fatti, con un adeguato stanziamento.
II) Nel settore civile, tenuto conto dei seguenti aspetti:
a) in attesa di valutare i decreti legislativi attuativi della riforma processuale di inizio legislatura, si ribadisce un giudizio non positivo sulla mancanza di organicità di quell'intervento e più in particolare sulla testimonianza in forma scritta;
b) in un sistema a grado d'appello generalizzato, che riteniamo utile conservare e auspicabilmente potenziare, la garanzia della collegialità è comunque assicurata al cittadino: nulla dovrebbe ostare, allora, all'introduzione del giudice monocratico in tutto il primo grado del processo civile, il che consentirebbe anche di dare vita a un unico rito ordinario di cognizione e di recuperare risorse umane;
c) è indispensabile affrontare il problema della deflazione del contenzioso giudiziale. In quest'ottica, occorre ripensare il precetto di cui all'articolo 24 della Costituzione, immaginando forme di tutela dei diritti anche non «giudiziali». I cosiddetti strumenti alternativi di risoluzione delle controversie vanno potenziati, più e meglio di quanto faccia il decreto legislativo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione in materia civile e commerciale;
d) è necessario rivedere l'attuale sistema delle impugnazioni. Tre gradi di giudizio generalizzati, infatti, sono difficilmente compatibili con il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Giudichiamo un errore aver eliminato dalla riforma le previsioni introdotte dalla Camera sulla non ricorribilità per Cassazione nell'ipotesi di «doppia conforme» sul fatto. Si dovrebbe anche, più radicalmente, eliminare la facoltà di ricorso per Cassazione per «insufficiente o contraddittoria motivazione»; il che, per un verso non lederebbe il principio costituzionale di cui al comma 6 dell'articolo 111 della Costituzione e per altro verso consentirebbe l'adozione di provvedimenti giurisdizionali in forma particolarmente sintetica;
e) la proposta di riforma organica del libro primo del codice civile avanzata dal gruppo UdC dovrebbe costituire la base per una rapida decisione sulla materia senza che il Governo inneschi inutili competizioni.
III) Nel settore penale, atteso che:
a) il sistema è oggi largamente inefficace sia per il corto circuito determinato dal rapporto tra lunghezza dei processi e termini di prescrizione, sia per il carattere virtuale che la pena ha assunto in troppi casi, inficiandone la funzione deterrente; inoltre, per altro verso, i provvedimenti cautelari reali e personali, adottati in assenza di contraddittorio, anche per la loro rilevanza mediatica, hanno ormai assunto una funzione sostanzialmente surrogatoria della pena e determinano un effetto di carcerazione in dimensioni spropositate rispetto alle condanne definitive;
b) l'irragionevole durata del processo - come è noto, una pena in sé - non può giustificare l'ampliamento dei termini di prescrizione. E tuttavia, nell'attuale situazione, termini di prescrizione brevi comportano un indiretto effetto-amnistia. È necessario intervenire, dunque, attraverso un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti processuali. In questa logica, il cosiddetto «processo breve» è condivisibile a due condizioni: che riguardi i procedimenti futuri, aperti successivamente alla norma che ne stabilisce tempi di prescrizione e che sia accompagnato dalle risorse necessarie a portare a termine, entro la durata prevista, il carico ordinario di procedimenti pendenti nei singoli uffici giudiziari;
c) nessuna seria efficacia deterrente potrà essere assicurata dal sistema penale se la pena non torna ad essere effettiva. Si conferma la necessità di una rivisitazione della legislazione penale ispirata al principio di residualità: occorre, in sostanza, una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali l'oblazione nel processo penale per i reati bagatellari, l'archiviazione per irrilevanza sociale del fatto, e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie. È assolutamente indispensabile, poi, una profonda revisione del modello sanzionatorio, che riduca l'utilizzazione della pena detentiva (troppo spesso tanto apparentemente pesante quanto nei fatti meramente virtuale) e la sostituisca con pene alternative alla detenzione (interdittive, prescrittive o ablative), di cui assicurare l'effettività. Anche la pena detentiva, ove irrogata, deve essere effettivamente scontata. In proposito, è necessario ripensare tanto l'istituto della sospensione condizionale della pena, quanto l'impianto della legge Simeone-Saraceni. In ogni caso, per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, occorre affidare al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa. Nel ridare credibilità al sistema penale, simili misure - riducendo il ricorso alla carcerazione quando inutile e antieconomico - potrebbero d'altra parte contribuire a porre fine allo scandalo del sovraffollamento penitenziario, cui non può far fronte un piano esclusivamente immobiliare, peraltro ancora incerto nella portata, nei costi e nei tempi di esecuzione;
d) dopo che ne era stata dichiarata la priorità nella politica della giustizia del Governo, i disegni di legge in materia di intercettazioni telefoniche sono stati abbandonati, lasciandoli di fatto decadere, insieme con le pur discutibili proposte del Governo, le giuste motivazioni di un'azione di riforma.
IV) Nei rapporti istituzionali, ritenuto che:
a) affrontare il tema della giustizia significa inevitabilmente considerare l'assetto dei poteri quale delineato dalla nostra Costituzione. Occorre considerare l'evoluzione che l'assetto dei poteri ha subito dal 1948 ad oggi, con lo scopo di assicurare un nuovo equilibrio. In particolare, occorre ribadire la validità del modello pluralistico dell'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, sottolineando che non può esservi alcuna gerarchia tra potere politico legittimato dalla volontà popolare, e poteri neutri di controllo che fondano differentemente la propria legittimazione; e poiché ad ogni potere deve corrispondere pari responsabilità, una maggiore responsabilizzazione del magistrato è corollario indispensabile dei nuovi poteri acquisiti; occorre affrontare, finalmente, il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati. Si potrebbe dare vita ad un'Alta corte di giustizia, nella quale la componente elettiva delle magistrature potrebbe anche non essere maggioritaria, considerata la peculiarità della funzione disciplinare;
b) l'azione penale deve restare obbligatoria, a garanzia del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si impone, tuttavia, una riflessione sui criteri di selezione delle notizie di reato e soprattutto sui criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, oggi sostanzialmente discrezionali. Occorre, dunque, un intervento in duplice direzione. Quanto alla selezione delle notizie di reato, vanno ridefiniti i rapporti tra pubblico ministero e Polizia giudiziaria. È un problema di «cultura» più e prima che di norme. Il pubblico ministero, in sostanza, deve continuare a «disporre» della Polizia giudiziaria per lo svolgimento delle indagini (articolo 109 della Costituzione), ma non può e non deve diventare il «capo» della Polizia giudiziaria. Quanto ai criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale è possibile pensare a un rapporto di cooperazione istituzionale tra CSM e Parlamento;
c) se l'azione penale resta obbligatoria, il pubblico ministero, che la esercita, non può non restare un magistrato indipendente. Occorre porsi, tuttavia, il problema di un bilanciamento del potere che oggettivamente - anche per ragioni legate alle dinamiche del sistema mediatico - il pubblico ministero esercita oggi in tutte le democrazie contemporanee. In proposito, la ipotizzata separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici non pare idonea di per sé, a risolvere i problemi;
d) il legame inscindibile tra potere e responsabilità del magistrato implica la soluzione del problema del controllo sulla produttività. In proposito, occorre introdurre un sistema informatico di rilevazione statistica uniforme e generalizzato, al fine di consentire una misurazione della quantità e qualità del lavoro dei magistrati.
V) A riconoscere il rilevante ruolo ormai assunto dalla cosiddetta magistratura onoraria nel nostro ordinamento, affrontando senza equivoci il problema della sua collocazione ordinamentale. In primo luogo, occorre scegliere definitivamente tra «modello di prossimità», che privilegia il giudizio secondo equità, e «modello semiprofessionale». Questa presa d'atto rende ineludibile garantire la professionalità iniziale e permanente del giudice di pace, nonché il rispetto delle regole deontologiche. Si devono individuare, insomma, criteri più stringenti degli attuali sia per selezionare i giudici di pace, sia per controllarne l'operato, sia sotto il profilo delle incompatibilità. Distinto e diverso è il problema dei magistrati onorari propriamente detti, quali GOT e VPO, le cui funzioni - considerata l'attuale insostituibilità - devono essere adeguatamente normate e non più affidate a continue proroghe dell'esistente.
VI) A riconoscere il rilievo costituzionale dell'avvocatura, quale tramite necessario per l'affermazione del diritto alla giustizia del cittadino, rendendo la riforma dell'ordinamento professionale un tassello indispensabile di una più complessiva riforma della giustizia. Il non avere proceduto contestualmente alla riforma dell'ordinamento giudiziario e di quello forense, ha determinato una profonda crisi di fiducia da parte dell'avvocatura nei confronti delle forze politiche che occorre recuperare.
(6-00038) «Vietti, Rao, Ria».