LAURA MOLTENI e STUCCHI. -
Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le pari opportunità.
- Per sapere - premesso che:
ai nostri giorni i mezzi di comunicazione, includendo la stampa, la televisione e internet, ricoprono un importante ruolo non solo informativo ma anche formativo e di conseguenza la pubblicità, nella sua realtà virtuale e mediatica, veicola messaggi e modelli di grande rilevanza sociale;
l'abuso dei messaggi pubblicitari può provocare rischi, sui soggetti più vulnerabili, quali l'effetto omologante nei modelli di identificazione, la globalizzazione culturale, la spinta all'emulazione, l'inibizione della scelta critica e dello sviluppo creativo;
il parlamento europeo, approvando il mese scorso a larga maggioranza la relazione di Eva-Britt SVENSSON (GUE/NGL, SE), ha sottolineato anzitutto l'importanza di dare alle donne e agli uomini «le stesse possibilità di svilupparsi come individui a prescindere dal sesso di appartenenza», osservando che gli stereotipi di genere esistono ancora «in ampia misura»;
in quella sede, il parlamento europeo ha rilevato come la discriminazione di genere nei media sia tuttora diffusa, considerando come parti di tale fenomeno la pubblicità e i media che presentano stereotipi e auspicando che la pubblicità sia disciplinata da norme etiche e/o giuridiche vincolanti e/o dai codici condotta esistenti che proibiscono la pubblicità che trasmette messaggi discriminatori o degradanti basati sugli stereotipi di genere;
il parlamento europeo ha osservato peraltro che la rappresentazione dell'ideale corporeo nella pubblicità e nel marketing «può influire negativamente sull'autostima delle donne e degli uomini», in particolare delle adolescenti e di quante sono esposte al rischio di disordini alimentari;
secondo un comunicato stampa del 3 settembre 2008, del parlamento europeo, la presenza di stereotipi negli spot pubblicitari trasmessi durante i programmi per bambini "costituisce un vero problema a causa delle sue potenziali ripercussioni sulla socializzazione di genere e, di conseguenza, sul modo in cui i bambini vedono se stessi, i propri familiari e il mondo esterno»;
l'autodisciplina pubblicitaria in Italia, integrandosi con la disciplina che regola la stessa materia nell'ordinamento statale, garantisce una regolamentazione nell'interesse collettivo dei consumatori, degli operatori e della stessa pubblicità;
all'articolo 9 del codice di autodisciplina pubblicitaria del 2007, si legge che la pubblicità non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti;
l'articolo 10 dello stesso codice recita che la pubblicità deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni;
il parlamento europeo ha espresso la convinzione secondo cui la pubblicità deve tenere nella giusta considerazione la dignità della persona e ha definito intollerabile la violazione di tale dignità e la discriminazione di un sesso per incrementare le vendite di un prodotto;
la risoluzione A4-0258/1997 del parlamento europeo invita il settore della pubblicità a rinunciare in concreto e interamente a sminuire la donna ad oggetto sessuale dell'uomo attraverso espedienti tecnici e raffigurazioni immaginistiche come ridurre il ruolo femminile alla bellezza fisica e alla disponibilità sessuale;
la medesima risoluzione ha sottolineato che lo sfruttamento ingiustificato del corpo femminile a fini commerciali può offendere in modo particolarmente grave la dignità della donna;
nonostante il codice di autodisciplina pubblicitaria e le denunce da parte del parlamento europeo, in Italia sono migliaia le pubblicità poco rispettose della dignità delle donne, che ne ritagliano parti del corpo, ne ritoccano i contorni con sofisticate tecnologie digitali, ne eliminano le imperfezioni e ne risaltano la seduttività per incentivare l'acquisto di un prodotto;
in occasione della V Conferenza mondiale dell'Onu sulle donne del 2005, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne ha espresso forti preoccupazioni per la condizione delle donne italiane che vengono percepite come madri e come oggetti sessuali soprattutto attraverso i messaggi veicolati dalla pubblicità e dalla televisione -:
se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga opportuno invitare gli operatori del settore delle comunicazioni ad intraprendere i lavori per la stesura di un codice di autoregolamentazione per la tutela della donna nella pubblicità, riconoscendo il principio della necessità e convenienza del rispetto e dell'applicazione di alcune regole da parte dell'intera categoria, al fine di combattere il problema degli stereotipi di genere, denunciato sia dal parlamento europeo che dalla conferenza mondiale delle donne dell'Onu;
se non ritenga opportuno varare nuove norme sulla pubblicità, per limitare lo sfruttamento ingiustificato del corpo femminile a fini commerciali e per favorire la produzione e la messa in onda di fiction, film e programmi contenenti modelli comportamentali aderenti alla realtà che viviamo, per dare un'immagine positiva delle donne, degli uomini e del rapporto fra i due sessi, evitando di ridurre il ruolo femminile alla bellezza fisica e alla disponibilità sessuale.
(4-02734)