ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA IN ASSEMBLEA 3/02239

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 627 del 03/05/2012
Firmatari
Primo firmatario: BORGHESI ANTONIO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 02/05/2012


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI delegato in data 02/05/2012
Stato iter:
03/05/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 03/05/2012
Resoconto BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI
 
RISPOSTA GOVERNO 03/05/2012
Resoconto FORNERO ELSA MINISTRO - (LAVORO E POLITICHE SOCIALI)
 
REPLICA 03/05/2012
Resoconto BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 03/05/2012

SVOLTO IL 03/05/2012

CONCLUSO IL 03/05/2012

Atto Camera

Interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-02239
presentata da
ANTONIO BORGHESI
giovedì 3 maggio 2012, seduta n.627

BORGHESI. -
Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
- Per sapere - premesso che:

dopo mesi che lo richiedevano, il Ministro interrogato ha convocato i sindacati il 9 maggio 2012 con l'obiettivo di cercare di trovare una soluzione per quanti hanno perso il lavoro o sono stati incentivati a lasciarlo e, per effetto della riforma previdenziale, rischiano di trovarsi per anni senza reddito e senza pensione;

l'incontro è importante per trovare una soluzione soprattutto al problema delle lavoratrici e dei lavoratori «esodandi», ovvero la platea non ancora esattamente quantificata dal Governo di coloro che, transitando dalla cassa integrazione guadagni straordinaria alla mobilità, rischiano di rimanere senza tutele a causa dell'innalzamento dell'età pensionabile, a differenza dei 65 mila lavoratori ribattezzati dal Ministro interrogato come «salvaguardati», che andranno in pensione con i precedenti requisiti;

la distinzione è contenuta in una lettera inviata il 20 aprile 2012 ai leader sindacali dal Ministro interrogato che ricorda come per i 65 mila salvaguardati nei decreti-legge «salva Italia» e «milleproroghe» è stata trovata una copertura economica di 5 miliardi di euro fino al 2019, e per i quali entro il 30 giugno 2012 dovrà essere adottato un decreto interministeriale;

il decreto interministeriale è importante perché dovrà individuare i criteri e le caratteristiche per rientrare nella platea dei salvaguardati e solo sulla base di questi si potrà stabilire il numero reale di lavoratrici e lavoratori interessati, come ricordato dal presidente dell'Inps in un'intervista a Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2012;

è necessario ricordare che la soluzione al problema delle lavoratrici e dei lavoratori «esodati» o «esodandi» richiede risorse molto maggiori rispetto a quelle preventivate dal Governo per i 65 mila salvaguardati. Secondo calcoli per difetto, all'interrogante risulta che servirebbero almeno altri 15 miliardi di euro aggiuntivi;

ad oggi, il Governo e il «super-Inps» hanno dimostrato quella che all'interrogante appare un'imbarazzante incapacità, impiegando oltre quattro mesi a calcolare il numero delle lavoratrici e dei lavoratori interessati. Il Ministro interrogato ha imputato il ritardo alla difficoltà di elaborazione dei dati, ma tale giustificazione non è accettabile. Anche sull'orlo del baratro finanziario, il Governo aveva il dovere di conoscere in anticipo il numero di persone per le quali la riforma pensionistica stava dimenticando di prevedere un regime transitorio, ad eccezione dei «salvaguardati»;

trattandosi di lavoratrici e lavoratori che hanno versato tra i 30 e i 40 anni di contributi, il Governo aveva il dovere di trovare una soluzione per salvaguardare gli accordi già presi e non, invece, creare una lotteria tra gli stessi lavoratori, individuando una soluzione per i soli «salvaguardati»;

nel «balletto» delle cifre che sono state fornite sono macroscopiche le differenze: il Governo ha parlato di 65 mila lavoratori «esodati»; l'Inps di 130 mila; i sindacati di oltre 350 mila. Il Ministro interrogato si è affrettato a precisare che non vi è contraddizione tra i numeri, dal momento che il Governo intendeva far riferimento unicamente a quei lavoratori che nel corso del 2012 non percepiranno più una forma di sostegno al reddito, non avranno uno stipendio e non percepiranno la pensione; l'Inps ha, invece, fornito numeri che non tengono in considerazione i lavoratori in uscita ammessi alla prosecuzione volontaria dei contributi, mentre i sindacati hanno fatto riferimento a tutti i lavoratori e le lavoratrici che si troveranno nella predetta situazione nei prossimi anni, a causa di accordi accettati fino alla fine del 2011, ma che in alcuni casi non hanno ancora materialmente lasciato il posto di lavoro;

anche se la precisazione del Ministro interrogato trovasse riscontro, rimarrebbe il fatto che il Governo nei decreti-legge «salva Italia» e «milleproroghe» ha tralasciato non solo ogni soluzione per gli «esodati» e «esodandi» che verranno a trovarsi, a partire dal 2013, nella situazione in cui si troveranno quelli che nel 2012 non percepiranno un reddito, né una pensione, ma a giudizio dell'interrogante ne ha ignorato anche l'esistenza;

rispondendo ad una interpellanza alla Camera dei deputati il 19 aprile 2012, il Ministro interrogato ha detto che il numero complessivo di 65 mila è composto da: «lavoratori di cui alla lettera a) del comma 4, articolo 24, che complessivamente sono 25 mila 590 lavoratori collocati in mobilità ordinaria ai sensi di accordi sindacali sottoscritti secondo i requisiti previsti dalla disposizione vigente, cioè con un accordo fatto entro il 4 dicembre 2011; lavoratori di cui alla lettera b) - sempre del comma 14 dell'articolo 24 - che sono complessivamente 3 mila 460 lavoratori collocati in mobilità lunga, sempre ai sensi di accordi sindacali sottoscritti entro il 4 dicembre; lavoratori di cui alla lettera c), che sono 17 mila 710 lavoratori titolari di una prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà, ovvero aventi il diritto di accesso a tali fondi sulla base di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011. In questo caso è stato previsto che tali lavoratori restino a carico dei fondi di solidarietà fino a 62 anni, in ciò avvalendosi della possibilità prevista dalla stessa disposizione di adeguare il limite anagrafico di accesso. Nel nostro decreto dicevamo «almeno fino a 60 anni»; in sede di definizione, proprio anche per tener conto di vincoli di bilancio, abbiamo detto che questi lavoratori dovrebbero restare negli accordi di solidarietà fino a 62 anni. Inoltre, lavoratori di cui alla lettera d), che complessivamente sono 10 mila 250 soggetti autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione. Questo è un numero di persone estratto da un pool più ampio di contributori volontari, dei quali, però, può essere più o meno vicina la prossimità al pensionamento. In questo caso, al fine di garantire la necessaria coerenza ed omogeneità tra i requisiti previsti per le diverse categorie di lavoratori salvaguardati, è stata considerata la platea dei soggetti i cui trattamenti pensionistici avrebbero avuto decorrenza entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto «salva Italia», in analogia con il requisito richiesto per i lavoratori aggiunti dall'articolo 6 del decreto «milleproroghe», come modificato dalla legge di conversione»;

guardando, invece, alle reali dimensioni della platea di lavoratrici e di lavoratori non salvaguardati, che nei prossimi quattro-cinque anni si troveranno senza reddito, senza copertura di ammortizzatori e senza pensione, i numeri (per difetto) sono molto diversi: 70 mila lavoratori in uscita con accordi individuali e collettivi per esodi incentivati; 45 mila in mobilità lunga e breve; 15 mila coperti da fondi di solidarietà aziendali o di categoria; 200 mila in uscita ammessi alla prosecuzione volontaria dei contributi;

la predetta situazione dovrebbe riguardare oltre 100 mila lavoratori nel 2013; 90 mila nel 2014 e 70 mila nel 2015;

si tratta di un quadro spaventoso e doloroso, in quanto le cifre riguardano persone e non numeri;

per tentare di risolvere le criticità che si sono determinate, il Ministro interrogato ha dichiarato che i lavoratori per i quali «in base ad accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre 2011 fosse previsto, al termine di un periodo di fruizione di strumenti di integrazione reddituale (Cig, mobilità), l'accesso al trattamento pensionistico», specie se il periodo di tempo che li separa dalla pensione in base alle nuove regole è lungo, si dovrebbe puntare sull'offerta di nuove opportunità occupazionali piuttosto che solo su una soluzione previdenziale;

il Ministro interrogato immagina che - in base al disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, che ancora non è legge - chi assuma questi lavoratori porterà in dote lo sconto contributivo del 50 per cento per un anno (in caso di contratto a termine) e per 18 mesi (in caso di assunzione a tempo indeterminato) previsto per i contratti di reinserimento. Il Ministro interrogato ha anche ipotizzato la sperimentazione di forme graduali di ricorso al part-time volontario associato a un incasso parziale della pensione, attraverso accordi aziendali che avrebbero il pieno sostegno del Governo;

in fondo, aveva ricordato il Ministro interrogato, gli «esodati» li creano le imprese e la responsabilità è loro;

in un articolo comparso sul Corriere della Sera del 25 aprile 2012, vi è scritto che la Banca Popolare di Bari ha riassunto 60 dipendenti tutti ultra cinquantenni che già lavoravano presso la banca prima di accettare accordi di incentivo all'esodo. La fortuna di questi lavoratori (gli «esodati» del settore bancario sono almeno 22 mila) è che nell'accordo erano riusciti a far inserire una clausola di salvaguardia che metteva al riparo da eventuali cambi del quadro legislativo;

il segretario generale della Fabi ha raccontato di aver chiesto l'inserimento della clausola di salvaguardia per gli «esodati» a tutte le banche con cui il sindacato ha negoziato negli ultimi due anni la riduzione degli organici attraverso i prepensionamenti. Tuttavia, solo la Banca Popolare di Bari e il Banco Popolare hanno accettato. Il segretario generale dà ragione al Ministro interrogato quando afferma che il problema degli «esodati» è stato creato dalle aziende, chiedendosi come mai lo stesso Ministro non abbia ritenuto che fosse giusto adottare il modello del gruppo Banco Popolare quando fu fatto un accordo di incentivazione all'esodo in Banca Intesa, con il Ministro che sedeva nel consiglio di sorveglianza della banca dell'allora amministratore delegato Corrado Passera;

non deve essere facile per il Ministro interrogato trovarsi in quella che appare all'interrogante una situazione di conflitto di interessi, in veste ora di accusata, ora di accusatrice;

per di più, bisogna aggiungere che, al termine della risposta all'interpellanza già citata, il Ministro interrogato aveva voluto ricordare «che qualche volta i patti con lo Stato si fanno non in astratto, ma addossando oneri alle generazioni giovani e future. Quindi, quando diciamo che in nome di principi economici noi rinneghiamo questo patto, vorrei ricordare che non si tratta di astratti principi economici. Si tratta, tuttavia, di considerare che l'onere di questi patti viene addossato a qualcuno che agli stessi non ha partecipato e si tratta essenzialmente dei giovani. Non ci sono astratti principi economici da salvaguardare. Ci sono degli oneri che gravano - lo ripeto - soprattutto sui giovani ed è qui che interviene il concetto di equità. È bene domandarsi quali siano questi oneri ed è bene domandarsi quali criteri di equità possano presiedere alla distribuzione degli oneri e, quindi, per garantire quelli che appaiono diritti acquisiti, stabilendo però che questi diritti non possono essere sempre pagati da qualcun altro. Ricordo anche che, siccome si tratta di pensioni retributive, vale per tali pensioni una non corrispondenza tra contribuzione e prestazione. Questa non corrispondenza è esattamente l'onere di cui parlavo. Aggiungo anche un'altra cosa perché spesso c'è un malinteso dietro questi patti, anche quando sono siglati da grandi imprese. C'è l'idea che il lavoro di qualcuno debba escludere qualcun altro. Vorrei dire che questo è un principio alla base della nostra riforma del mercato del lavoro: vorremmo avere una società dove il lavoro è inclusivo ed è per tutti e non è che mandando fuori una persona non anziana e ancora giovane, tu fai un posto di lavoro per uno giovane. Noi vorremmo - per questo stiamo proponendo la riforma del mercato del lavoro - avere una società nella quale c'è lavoro per un giovane e per un anziano»;

non erano passati che pochi giorni, che un altro componente del Governo, il Ministro dell'interno Cancellieri, dovendo tagliare i costi del proprio dicastero ha dichiarato al Corriere della Sera: «Vorrei ridurre del 10 per cento i dipendenti civili del ministero, grazie ad uno scivolo, un pensionamento anticipato, senza traumi». Per ingraziarsi i sindacati promette anche di assumere un numero di giovani pari a quello dei lavoratori allontanati;

le parole del Ministro Cancellieri, lette in uno con quelle del Ministro interrogato, gettano, a giudizio dell'interrogante, ulteriore discredito sul Governo, ingenerando oltretutto una situazione ridicola. Si tratta, infatti, di una serie di contraddizioni inestricabili;

è necessario che il Governo trovi con urgenza una soluzione al problema che ha creato alle lavoratrici e ai lavoratori «esodandi», che non rimetta in gioco i patti da essi sottoscritti, ma individui un regime transitorio e le risorse necessarie ad evitare che si crei una lotteria tra lavoratori -:
se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, con gli strumenti a disposizione del Governo, a parte gli incentivi ipotizzati per il reinserimento nel mercato del lavoro, per trovare le risorse necessarie a garantire tutte le lavoratrici e i lavoratori di cui in premessa dal rischio che nei prossimi quattro o cinque anni si trovino senza stipendio, senza misure di sostegno al reddito e senza pensione.(3-02239)