PALADINI, BORGHESI, DONADI e EVANGELISTI. -
Al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
- Per sapere - premesso che:
risulta dall'ultimo rapporto dell'Ocse che i redditi da lavoro italiani sono tra i più bassi tra i trenta Paesi più sviluppati, collocandosi al ventitreesimo posto. In Europa occidentale solo in Portogallo esistono salari più bassi;
nell'ambito Ocse, solo i redditi dei salariati dell'Est Europa, dei messicani e dei turchi sono più bassi dei nostri;
lo stipendio netto di un lavoratore single italiano è pari a tre quarti della media dei 15 Paesi della vecchia Unione europea;
nel 1995 il reddito italiano pro capite era superiore di circa il 4 per cento a quello medio relativo ai 15 Paesi dell'Unione europea; nel 2008 è, invece, sceso sotto la media di circa il 10 per cento: in pratica, «l'italiano medio» si è impoverito quasi dell'un per cento all'anno in rapporto agli altri appartenenti all'Unione europea;
senz'altro il «cuneo fiscale», la differenza fra il costo del lavoro per l'azienda e quanto concretamente incassa il lavoratore, incide molto nel nostro Paese, anche per l'alto livello della pressione fiscale che si esercita sui redditi da lavoro, in conseguenza dell'ampiezza dell'evasione fiscale che impone circa 9 punti percentuali di pressione fiscale in più ai contribuenti fiscalmente onesti;
da anni non viene restituito, neanche parzialmente, il drenaggio fiscale, mentre è stato calcolato che nel 2008 la differenza tra quanto il contribuente paga e quanto pagherebbe, senza l'aumento dell'aliquota media indotto dall'inflazione, è pari a 3,7 miliardi di euro;
il mancato recupero del fiscal drag ha pesato, secondo la Banca d'Italia, per 2/3 sulla perdita del potere d'acquisto degli ultimi 5 anni. In altre parole i lavoratori hanno perso 1.182 euro dal 2002 al 2008 (dati Ires Cgil);
la Banca d'Italia, tramite l'indagine sui bilanci delle famiglie italiane, evidenzia che nel 2000-2006 il reddito delle famiglie con capofamiglia dipendente, in termini reali, è rimasto stabile rispetto ad una crescita del 13,6 per cento di quelle con capofamiglia autonomo: vi è, dunque, anche un problema reale di distribuzione dei redditi;
incide altrettanto, se non in misura maggiore, l'esteso utilizzo strumentale delle tipologie di contratti di lavoro cosiddetto «flessibile», che hanno reso precarie le condizioni di vita e salariali di milioni di lavoratori subalterni nel nostro Paese;
per mettere riparo alla crisi finanziaria agli Stati è stato richiesto un intervento di enorme entità a favore degli istituti di credito;
ma la crisi finanziaria è oramai diventata una vera e propria crisi economica: nei tre mesi del 2009 il prodotto interno lordo è diminuito rispetto allo stesso periodo del 2008 del 5,9 per cento;
la crisi economica attuale incide pesantemente sui redditi delle famiglie: in Europa il tasso di disoccupazione si avvia a diventare pari al 10 per cento;
il rilancio dei consumi, invocato dal Presidente del Consiglio dei ministri come principale strumento anticrisi, appare inevitabilmente legato ad una maggiore stabilizzazione del reddito, la cui costante precarizzazione ha contratto in maniera notevole spese ed investimenti, mentre la deregolamentazione del mercato del lavoro, in assenza dei necessari investimenti, non ha generato flessibilità ma precarietà;
il ricorso alla flessibilità non può essere utilizzato come uno strumento per abbassare i costi del lavoro -:
quali iniziative intenda assumere per migliorare i livelli retributivi dei lavoratori italiani tramite misure economiche a favore dei medesimi sia sul piano fiscale, restituendo il fiscal drag e riducendo il cuneo fiscale, sia attraverso l'estensione degli ammortizzatori sociali, sia assumendo iniziative volte a limitare l'utilizzo strumentale delle tipologie di lavoro atipico. (3-00532)