Atto Camera
Interpellanza urgente 2-01110
presentata da
PIETRO FRANZOSO
martedì 7 giugno 2011, seduta n.482
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere - premesso che:
il mercato dei servizi di call center in outsourcing vale in Italia circa 1 miliardo di euro e consta di 80.000 addetti, dei quali circa 50.000 lavoratori dipendenti che si occupano prevalentemente di «assistenza clienti» (in modalità inbound) e 30.000 «a progetto», le cui maggiori attività sono quelle d'informazione commerciale e vendita (in modalità outbound);
il settore presenta notevoli difformità rispetto ad altri Paesi ed in generale viene considerato ancora dalla committenza come un servizio a basso valore aggiunto, da esternalizzare al più basso prezzo possibile;
lo sviluppo di nuove tecnologie per garantire al cliente finale servizi di elevata qualità, non ha infatti ancora avuto pieno riscontro in Italia: l'attenzione in molti casi è stata piuttosto rivolta al contenimento del costo del lavoro, facendo ricorso a forme di lavoro precario (o addirittura a cottimo) sull'outbound, essendo in tal caso consentita questa tipologia contrattuale, a tutto discapito di quelle realtà meritevoli che hanno invece effettuato importanti investimenti sia sul miglioramento dei processi che, soprattutto, sulla formazione delle proprie risorse;
il contratto collettivo nazionale di lavoro (il più diffuso nel settore è quello delle telecomunicazioni) presenta inoltre alcune rigidità che mal si adattano ad un lavoro «aleatorio» come quello del call center;
in particolare, costituiscono spunti di riflessione i temi legati alla gestione dell'orario di lavoro ed alle forme di retribuzione. È evidentemente problematico adattare gli orari di lavoro, specie per contratti part-time, ai volumi variabili di chiamate che il call center riceve, così come è problematico aumentare la retribuzione «netta in busta» degli operatori in considerazione del fatto che, probabilmente, otto ore consecutive al telefono non sono sostenibili e che, pertanto, si usano contratti part-time che non garantiscono retribuzioni adeguate;
vi sono altri aspetti cogenti che impattano sull'intero mercato e nella fattispecie sulle aziende del settore, che rischiano a breve di mettere a repentaglio circa 25.000 posti di lavoro, equivalenti alle stabilizzazioni frutto della circolare 17/2006 emanata dall'allora Ministro Damiano: tale circolare, prevedendo infatti l'obbligo di assunzione per i così detti «lavoratori in-bound», ha comportato una crescita dei costi fissi, che però in Italia - per i motivi sopra esposti - non ha implicato un parallelo adeguamento dei prezzi di tali servizi rimasti ai parametri antecedenti, per non citare l'annoso fenomeno delle gare al massimo ribasso da parte della committenza pubblica (PA);
il sistema in questi ultimi tre anni ha trovato un equilibrio grazie agli sgravi contributivi derivanti dall'applicazione della legge n. 407 del 1990, che consente un abbattimento del 50 per cento - o del 100 per cento nelle regioni obiettivo 1, dove risiedono al maggior parte dei call center - degli oneri sociali, per tutti i dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato;
tali benefici hanno durata triennale ed essendo le trasformazioni dei contratti avvenute a partire dalla metà del 2007, questo ha significato che la maggior parte delle società del settore stanno entrando in crisi, non trovando più un equilibrio tra costi (lievitati del 40 per cento) e ricavi (che sono rimasti i medesimi);
alcuni primi esempi sono già alla luce delle cronache: il fallimento dei gruppi Phone Media ed Omnia Media ha causato la perdita di circa 10.000 posti di lavoro;
la soluzione potrebbe essere, a parere dell'interrogante, quella di prevedere per le imprese del settore una deroga alla legge n. 407 del 1990, una proroga che consenta di estendere di altri tre anni i benefici degli sgravi contributivi, durante il quale periodo gli attori in campo (sistema delle imprese, sindacati ed Istituzioni) dovranno poi lavorare alla costruzione di un sistema stabile ed in grado di garantire un allineamento dei prezzi da parte della committenza, sia pubblica che privata;
tale provvedimento, calcolato sui circa 25.000 addetti stabilizzati nel 2007 (dei quali però solo una parte ha avuto e avrebbero ancora diritto a tali benefici, per gli specifici requisiti previsti dalla legge), avrebbe per lo Stato un costo di circa 40-45 milioni di euro;
tale sacrificio da parte dello Stato sarebbe, a parere dell'interrogante, inferiore al danno economico che deriverebbe dal non prevedere alcuna misura a favore: il costo della mobilità e cassa integrazione (in deroga) applicabile a tali risorse, sarebbe infatti senz'altro superiore, con la conseguenza negativa della creazione di nuova disoccupazione e cancellazione di tante professionalità -:
se non ritenga necessario, in un'ottica di costruttiva collaborazione, aprire un tavolo di confronto - con le aziende del settore e le associazioni di categoria - sui temi illustrati in premessa, con l'obiettivo di costruire un sistema stabile ed in grado di garantire un allineamento dei prezzi da parte della committenza, sia pubblica che privata.
(2-01110)
«Franzoso, Terranova, Lisi, Pescante, Pianetta, Picchi, Nicolucci, Fucci, Formichella, Dell'Elce, Armosino, Marinello, De Angelis, Sbai, Fallica, Ceroni, Torrisi, Bernardo, Sisto, Lazzari, Nastri, Dima, Castiello, Gottardo, De Camillis, Di Caterina, Scelli, Stagno D'alcontres, Pelino, Di Cagno Abbrescia, Del Tenno, Germanà, Biava, Savino, Barba».