ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01189

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 719 del 15/11/2012
Abbinamenti
Atto 1/01183 abbinato in data 20/11/2012
Atto 1/01184 abbinato in data 20/11/2012
Atto 1/01191 abbinato in data 20/11/2012
Atto 1/01192 abbinato in data 20/11/2012
Atto 1/01193 abbinato in data 20/11/2012
Atto 1/01194 abbinato in data 20/11/2012
Firmatari
Primo firmatario: DI GIUSEPPE ANITA
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 15/11/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PALAGIANO ANTONIO ITALIA DEI VALORI 15/11/2012
PALOMBA FEDERICO ITALIA DEI VALORI 15/11/2012
MURA SILVANA ITALIA DEI VALORI 15/11/2012
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 15/11/2012


Stato iter:
20/11/2012
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 20/11/2012

RITIRATO IL 20/11/2012

CONCLUSO IL 20/11/2012

Atto Camera

Mozione 1-01189
presentata da
ANITA DI GIUSEPPE
testo di
giovedì 15 novembre 2012, seduta n.719

La Camera,

premesso che:
la prima relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, dell'aprile 2012, quantifica in 10,8 milioni i bambini e gli adolescenti presenti nel nostro Paese, ossia il 17 per cento circa della popolazione complessiva. E di questi, è bene ricordarlo, poco più di 1 milione sono di origine straniera regolarmente registrati all'anagrafe;

la stessa sopra citata relazione chiarisce bene i principali problemi che incontra nel nostro Paese una seria, efficace e credibile politica per la tutela dei minori: «Un quadro normativo lacunoso ed incoerente, la mancanza di un sistema organico di protezione dei minori, le gravi sperequazioni da regione a regione, il piano di azione nazionale per l'infanzia e l'adolescenza privo di finanziamenti adeguati, l'insufficiente sostegno alla genitorialità, la mancanza di un sistema di formazione e aggiornamento obbligatorio per tutti gli operatori che lavorano con e per i bambini e gli adolescenti, le perduranti discriminazioni normative o di trattamento, la mancanza di una normativa generale sul diritto all'ascolto e alla partecipazione sono solo alcune delle criticità che il Comitato ONU sui diritti dell'infanzia ha evidenziato al nostro Paese, raccomandandoci, ancora una volta, di colmarle al più presto»;

a gennaio 2012, l'Istat ha reso noti gli indicatori demografici per il 2011. In Italia, natalità zero per il quinto anno consecutivo: «Sono 556 mila i bambini nati nel 2011, 6 mila in meno rispetto al 2010», mentre i morti lo scorso anno sono stati «592 mila, 4 mila unità in più dell'anno precedente». Il risultato è che «per il quinto anno consecutivo», la popolazione diminuisce, con 36 mila unità in meno per il 2011; con un tasso di natalità che scende dal 9,3 per mille (2010) al 9,1 per mille (2012), il numero medio di figli per donna è pari a 1,42;

uno dei principali problemi del nostro Paese - e che contribuisce fortemente al costante calo demografico - risiede principalmente nella sostanziale assenza di mirati aiuti finanziari, di adeguati servizi all'infanzia a supporto delle famiglie e di politiche mirate a sostenere le pari opportunità tra uomini e donne;

il 15 maggio 2012, l'associazione onlus Save the children ha pubblicato i dati riguardanti la povertà minorile in Italia. Dati tanto allarmati quanto emblematici dell'arretramento del nostro Paese sul fronte della promozione dei diritti dell'infanzia, e che collocano l'Italia ai primi posti della classifica europea sul rischio povertà minorile: quasi un minore su quattro oggi, ossia il 22,6 per cento dei bambini che sono nel nostro Paese, è a rischio povertà. Un dato che è il più alto degli ultimi 15 anni. Se si considerano i bambini figli di madri sole, l'incidenza di povertà sale al 28,5 per cento, e nel caso in cui il capofamiglia abbia meno di 35 anni detta incidenza raggiunge circa il 50 per cento. Il Sud e le isole sono le aree del Paese a più alta incidenza di povertà, che raggiunge rispettivamente quasi il 40 per cento e il 44,7 per cento dei minori;

ben il 58,4 per cento dei bambini di cittadinanza straniera risulta povero, quasi tre volte il valore che si registra tra gli italiani. Dato che raggiunge addirittura il 62,2 per cento nelle famiglie con un solo genitore;

non è, tuttavia, solo il reddito della famiglia a determinare la condizione di povertà di un bambino, ma è fondamentale poter contare anche su una rete di opportunità e di servizi, come l'asilo nido e una scuola di qualità, così come di spazi adeguati per il gioco e il movimento;

di fronte a questi dati non stupisce il fatto che molte giovani donne siano spinte a rinunciare o a rinviare sine die una maternità comunque desiderata;

finora il nostro Paese non si è dato obiettivi precisi per la riduzione della povertà minorile e non esiste nessun piano di intervento al riguardo;

secondo un'elaborazione Eurostat, la quota di minori usciti dalla soglia del rischio, grazie all'intervento pubblico, è salita dal 3 per cento del 2009 al 3,8 per cento del 2010, un dato assai lontano da quello di Inghilterra (14,5 per cento), Francia (13,5 per cento) o Germania (11,1 per cento), dove i trasferimenti sociali riescono ad allontanare dalla soglia di povertà un numero tre, quattro volte maggiore di bambini;

l'Italia è, peraltro, agli ultimi posti in Europa per finanziamenti a favore delle famiglie, infanzia e maternità con l'1,3 per cento del prodotto interno lordo contro il 2,2 per cento della media europea;

relativamente, infatti, alle riduzioni delle risorse finanziarie stanziate per le politiche a favore dei minori, si ritiene utile riportare alcuni passaggi del documento conclusivo, approvato l'8 febbraio 2011, dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, dell'indagine conoscitiva su aspetti dell'attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e adolescenza. Detto documento evidenzia come «la questione centrale nella programmazione di efficaci politiche per i minori consiste nell'individuazione e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche. Al contrario, invece, il succedersi di diverse leggi in questa materia ha posto in luce un processo di progressiva erosione delle risorse destinate a finanziare le politiche per l'infanzia e l'adolescenza (...). Il Comitato ONU ha raccomandato all'Italia, altresì, di introdurre un sistema di monitoraggio che consenta di analizzare annualmente la quota di risorse che l'Italia destina complessivamente e, per settore, all'infanzia e all'adolescenza, tenendo presente le risorse stanziate dai diversi Ministeri competenti, dalle regioni e dagli enti locali. Lo stesso Comitato ha anche raccomandato all'Italia di incrementare nei prossimi bilanci annuali le risorse destinate ai fondi nazionali che finanziano i servizi dell'infanzia e dell'adolescenza. È noto, peraltro, che tale sistema di monitoraggio, che tarda a nascere, sarebbe invece il primo strumento di valutazione e programmazione delle politiche per infanzia e adolescenza. Resta il fatto inoppugnabile che il Fondo nazionale per le politiche sociali, dentro cui è confluito al 70 per cento il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, è attualmente sceso a 75 milioni di euro e sarà rifinanziato di 200 milioni solo a partire dal 2011. Oltre a ciò, occorre considerare che mentre il primo Piano infanzia relativo agli anni 2000-2002 poteva contare su risorse dedicate e il secondo, per gli anni 2002-2004, sebbene non prevedesse un finanziamento specifico, poteva comunque attingere al Fondo sociale indistinto (che nel 2005 ammontava ad 1 miliardo di euro), il terzo Piano di fatto non può contare su alcun finanziamento adeguato»;

anche se con l'ultimo disegno di legge di stabilità 2013, in via di approvazione da parte del Parlamento, al fondo per le politiche sociali vengono assegnate per il solo anno 2013 ulteriori 300 milioni di euro - stanziamento importante ma del tutto insufficiente - rimane il costante e pesante taglio di risorse ad esso assegnate in questi ultimi anni. Tale disegno di legge di stabilità stanzia solamente 43,9 milioni di euro per il 2014 e 43,3 milioni di euro per il 2015;

uno dei problemi strutturali dell'Italia è, peraltro, l'evidente carenza di strutture per l'infanzia e di asili nido comunali. Nel rapporto di Cittadinanzattiva dell'ottobre 2011 sugli asili nido comunali in Italia, emerge un quadro avvilente in fatto di welfare, con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese. Gli asili nido comunali sembrano più strutture a pagamento che statali, con costi medi che si aggirano intorno ai 300 euro mensili e tariffe in crescita rispetto agli anni passati. La distribuzione sul territorio nazionale di asili nido comunali o finanziati dal comune è, peraltro, fortemente squilibrata;

i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista sia della qualità del servizio che dei costi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;

facendo un confronto tra i posti disponibili negli asili e la potenziale utenza (numero di bambini in età tra gli zero e i tre anni), in media in Italia la copertura del servizio è del 6,2 per cento (percentuale che sale all'11,7 per cento se si considerano solo i capoluoghi di provincia) con un massimo del 15,7 per cento in Emilia Romagna ed un minimo dell'1 per cento scarso in Calabria e Campania;

questo dato conferma non solo quanto l'Italia sia lontana dall'obiettivo comunitario, che fissa al 33 per cento la copertura del servizio, ma anche dal resto dei Paesi europei: Danimarca, Svezia e Islanda si contraddistinguono per il più alto tasso di diffusione dei servizi per la prima infanzia (con una copertura del 50 per cento dei bambini di età inferiore ai tre anni), seguiti da Finlandia, Paesi Bassi, Francia, Slovenia, Belgio, Regno Unito e Portogallo (con valori tra il 50 per cento e il 25 per cento). Percentuali comprese tra il 25 per cento e 10 per cento si registrano, oltre che nel nostro Paese, in Lituania, Spagna, Irlanda, Austria, Ungheria e Germania;

anche il dossier di Cittadinanzattiva 2012, da poco pubblicato, conferma in pieno le difficoltà già evidenziate: le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. I genitori di un bambino su quattro (23,5 per cento) restano in lista d'attesa e sono costretti a rivolgersi altrove;

al di là della disponibilità di strutture dedicate, rimane il problema dei costi per la famiglia. Secondo il rapporto, una famiglia spende in media 302 euro per mandare il proprio figlio all'asilo. È chiaro, infatti, che minori sono le risorse su cui può contare l'ente locale, maggiore è l'intervento a carico dei genitori;

l'insufficienza nell'offerta dei servizi socio-educativi per l'infanzia influisce negativamente e scoraggia la partecipazione femminile al mercato del lavoro, facendo rinunciare le donne alla ricerca del lavoro. Si ricorda, infatti, che questo rappresenta uno dei maggiori ostacoli che ancora oggi una donna incontra nel mondo del lavoro, tanto che il tasso di occupazione femminile pone l'Italia all'ultimo posto nella graduatoria europea del livello di attività;

in questo ambito è, quindi, improcrastinabile individuare efficaci politiche attive del lavoro che puntino a favorire la buona e stabile occupazione femminile nel nostro Paese. Per far ciò, dette politiche non possono non intrecciarsi inevitabilmente con le esigenze di cura della famiglia e, quindi, anche con un aumento dell'offerta qualitativa e quantitativa della scuola, del tempo pieno e dei servizi socio-educativi per l'infanzia;

altro problema drammatico riguarda la violenza sui minori;

la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza riconosce ad ogni bambino e adolescente il diritto alla protezione da ogni tipo di abuso, sfruttamento e violenza;

la medesima Convenzione richiede l'impegno, da parte degli Stati, al fine di proteggere il bambino dallo sfruttamento per fini pornografici e dal coinvolgimento in attività sessuali illegali. Gran parte delle violenze avviene all'interno dell'ambiente familiare e, conseguentemente, la stima degli abusi e delle violenze rimane un numero. Dal terzo Congresso mondiale sullo sfruttamento sessuale dei bambini e degli adolescenti è emerso che sono 150 milioni le bambine e circa 75 milioni i minorenni sotto i 18 anni che hanno avuto rapporti sessuali forzati o subito violenze sessuali, con o senza sfruttamento commerciale;

per quanto riguarda l'Italia, i recenti dati presentati il 7 novembre 2012 da Telefono Azzurro dicono che, dal 2006 ad oggi, sono triplicati i casi di abuso fisico sui minori. Nel 2006, le segnalazioni per abusi fisici erano il 5,2 per cento del totale delle denunce. Una percentuale cresciuta in questi pochi anni e passata all'11,3 per cento del 2010 al 13,2 per cento del 2011 e a un allarmante 17,1 per cento nel 2012. Nello stesso arco di tempo, inoltre, è raddoppiato il numero di denunce per casi di grave trascuratezza: dal 5,7 per cento nel 2006 al 10,4 per cento nel 2012;

il 32,3 per cento dei casi di emergenza presi in carico ha riguardato situazioni di abuso o violenza subite direttamente dai bambini o vissute in modo indiretto. Nel 2012, quasi il 20 per cento delle denunce riguarda l'abuso fisico. In aumento sono anche le segnalazioni per abuso psicologico e per grave trascuratezza;

un ulteriore aspetto centrale, che riguarda le politiche di tutela dei minori, è quello relativo ai minori non accompagnati;

le Nazioni Unite hanno stimato, relativamente all'anno 2006, che nel mondo ci siano circa 18 milioni di minori migranti, di cui quasi 6 milioni sono rifugiati. All'interno di questo processo migratorio, i minori non accompagnati, negli ultimi 10 anni, sono notevolmente aumentati;

anche nel nostro Paese i minori stranieri, e quelli non accompagnati in particolare, costituiscono una realtà sempre più importante, dalle caratteristiche molto variegate e composite. Ciò comporta anche la difficoltà di quantificare con precisione il fenomeno;

la principale fonte informativa sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio è la banca dati del Comitato per i minori stranieri, in cui vengono puntualmente registrate le segnalazioni effettuate da pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio e da enti che svolgono attività sanitaria o di assistenza. Al 30 settembre 2009, la banca dati contava 6.587 minori non accompagnati;

nell'aprile 2009, la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha concluso un'indagine conoscitiva sulla condizione dei minori stranieri non accompagnati. L'obiettivo principale dell'indagine è stato proprio quello di voler approfondire la situazione e il destino dei suddetti minori immigrati clandestinamente in Italia, una volta abbandonati i centri di prima accoglienza per gli immigrati. È evidente, infatti, come sia estremamente critica la fase del loro primo inserimento nella società civile, che li espone inevitabilmente a gravi rischi di sfruttamento da parte della criminalità, oltre che per la loro stessa incolumità;

il fenomeno, per il quale molti minori si allontanano senza lasciare traccia dalle strutture di ospitalità per loro previste impone, di conseguenza, l'individuazione di efficaci strumenti di contrasto alla loro scomparsa e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Va sottolineato come una delle ragioni dell'allontanamento di questi giovani dalle comunità che li ospitano è da rinvenirsi anche nella riduzione delle risorse finanziarie assegnate ai comuni e, conseguentemente, ai relativi centri di prima accoglienza. Va evidenziato, infatti, che è proprio ai comuni che essi sono affidati con il provvedimento di tutela del magistrato;

un minore straniero non accompagnato dovrebbe avere la possibilità di poter restare nel Paese ospite e il permesso di soggiornare temporaneamente nel Paese ospite non dovrebbe essere inteso solo come una procedura amministrativa, che può essere interrotta bruscamente quando il minore compie i 18 anni;

un aspetto centrale delle politiche di integrazione e di tutela dei minori è la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati, nati in Italia, purché entrambi i genitori abbiano risieduto legalmente nel territorio italiano per almeno cinque anni;

l'applicazione del principio dello jus soli consentirebbe di sostenere il processo di integrazione socio-culturale verso un'effettiva convivenza tra le persone di origine diversa;

il bambino nato in Italia da genitore straniero, pur non essendo cittadino italiano, impara la lingua italiana, frequenta la scuola italiana, acquisisce la cultura e le abitudini locali. Inoltre, il bambino vive in un Paese del quale assorbe le regole e i comportamenti, ma il cui ordinamento giuridico non lo riconosce come cittadino;

a livello demografico, la distribuzione della popolazione straniera in Italia evidenzia una concentrazione nelle fasce di età più giovani: il 22 per cento degli stranieri residenti ha meno di 18 anni; il 47 per cento ha un'età compresa tra i 18 e i 39 anni, gli ultraquarantenni stranieri sono il 30,7 per cento e solo il 2,3 per cento ha un'età superiore ai 65 anni. È, altresì, noto che gli stranieri contribuiscono in maniera determinante allo sviluppo dell'economia italiana e alla sostenibilità del suo sistema di sicurezza sociale;

un freno alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza è rappresentato da un eccessivo numero di soggetti istituzionali dotati di competenze distinte ma troppo frammentate in materia. Questo rende certamente più difficoltosa l'attuazione di un'efficace politica per i minori, con la conseguente eccessiva frammentazione dei ruoli in tale ambito. La normativa vigente attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse. Sono, inoltre, affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, presso il dipartimento per le politiche della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo (in particolare per la predisposizione del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva) riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza. Inoltre, la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso il dipartimento per le pari opportunità in cui opera l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, svolge le funzioni inerenti la prevenzione, l'assistenza e la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale dei minori. L'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza predispone il Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sottopone all'approvazione del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (Ciclope). Per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge n. 285 del 1997 per la «promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», e ne predispone la relazione annuale al Parlamento. Sempre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inoltre, provvede a monitorare, in coordinamento con il Ministero della giustizia e le regioni, lo stato di attuazione della legge n. 149 del 2001 rivolta agli interventi in favore dei minori fuori famiglia;

è evidente, quindi, come si è detto, la frammentazione sia a livello centrale sia a livello regionale e locale, laddove, invece, risulta indispensabile giungere a un coordinamento efficace di compiti e funzioni, e di compartecipazione alle politiche sull'infanzia, e all'unificazione, o, perlomeno, a una sensibile riduzione delle competenze in materia di infanzia e adolescenza, al fine di evitare inutili e controproducenti sovrapposizioni fra soggetti e istanze diverse;

lo stesso terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (decreto del Presidente della Repubblica 21 gennaio 2011), andrebbe integrato con i piani regionali nella stessa materia, attraverso un effettivo processo di coordinamento in sede di Conferenza Stato-regioni, anche al fine di rendere il sopra citato piano nazionale uno strumento in grado di garantire un'azione coordinata tra lo Stato centrale gli enti territoriali e tutti gli altri soggetti coinvolti a vario titolo nell'attuazione dei diritti dei minori;

peraltro, affinché il citato piano nazionale per l'infanzia non rimanga solamente una «buona intenzione», è indispensabile prevedere adeguate risorse finanziarie;

ultimo, ma non meno importante aspetto, è quello collegato al drastico taglio di risorse, che in questi ultimi anni non ha risparmiato neanche il settore della giustizia e, conseguentemente, quello della giustizia minorile;

il problema non riguarda solo le strutture penitenziarie dedicate, ma anche la gestione generale del minore detenuto. Problemi ci sono, ad esempio, nei trasferimenti dei ragazzi in istituti spesso lontanissimi dal loro luogo di origine, con conseguenti difficoltà nel mantenere i rapporti con le famiglie;

il depotenziamento della giustizia minorile rende, di fatto, impossibile l'obiettivo costituito dal recupero sociale dei giovani entrati nel circuito penale e in disagio sociale,
impegna il Governo:
a sostenere politiche attive e misure efficaci di sostegno alla conciliazione dei tempi di lavoro e di cura della famiglia, al fine di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, con particolare riguardo a chi ha redditi bassi e discontinui;

a promuovere politiche sociali di sostegno alla maternità e paternità, anche attraverso l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neo-natale e pre-scolastica, garantendone l'attuazione e l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, confermando, altresì, il tempo pieno in ambito scolastico;

a incrementare le risorse da destinare alla piena attuazione dei diritti dei minori che vivono in Italia e per l'indispensabile finanziamento del terzo piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva;

a superare la carenza di un sistema di raccolta di dati e informazioni finalizzata al monitoraggio della condizione minorile, quale fondamentale strumento di valutazione e programmazione delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, affinché detti dati siano effettivamente rappresentativi, uniformi e comparabili fra le varie regioni;

a prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;

a favorire l'inclusione sociale dei minori stranieri, assumendo, tra l'altro, un'iniziativa normativa volta a concedere la cittadinanza ai nati in Italia da genitori stranieri legalmente residenti in Italia da almeno 5 anni;

ad assumere iniziative volte ad assicurare maggiori risorse finanziarie a favore dalle regioni sulla base delle rispettive presenze, per il potenziamento e il miglioramento dei progetti di accoglienza a favore dei minori stranieri non accompagnati;

ad attuare efficaci iniziative, anche normative, al fine di intervenire nella fase estremamente critica del primo inserimento nella società civile dei minori non accompagnati, aiutandoli in una fase che li espone inevitabilmente a gravi rischi per la loro incolumità e di sfruttamento da parte della criminalità, e a favorirne la loro integrazione, agevolando a tal fine opportune forme di affido temporaneo;

a potenziare il settore della giustizia minorile, al fine di rendere concreto il recupero sociale dei giovani entrati nel circuito penale e in disagio sociale.

(1-01189)
«Di Giuseppe, Palagiano, Palomba, Mura, Borghesi».