ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00891

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 593 del 27/02/2012
Abbinamenti
Atto 1/00760 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00877 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00878 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00879 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00885 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00886 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00889 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00890 abbinato in data 27/02/2012
Atto 1/00894 abbinato in data 28/02/2012
Firmatari
Primo firmatario: PIFFARI SERGIO MICHELE
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 27/02/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DONADI MASSIMO ITALIA DEI VALORI 27/02/2012
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 27/02/2012
EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI 27/02/2012
PALADINI GIOVANNI ITALIA DEI VALORI 27/02/2012


Stato iter:
28/02/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
DICHIARAZIONE GOVERNO 28/02/2012
Resoconto FANELLI TULLIO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 28/02/2012
Resoconto IANNACCONE ARTURO MISTO-NOI PER IL PARTITO DEL SUD LEGA SUD AUSONIA
Resoconto MOSELLA DONATO RENATO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto MISITI AURELIO SALVATORE MISTO-GRANDE SUD-PPA
Resoconto PIFFARI SERGIO MICHELE ITALIA DEI VALORI
Resoconto SCILIPOTI DOMENICO POPOLO E TERRITORIO (NOI SUD-LIBERTA' ED AUTONOMIA, POPOLARI D'ITALIA DOMANI-PID, MOVIMENTO DI RESPONSABILITA' NAZIONALE-MRN, AZIONE POPOLARE, ALLEANZA DI CENTRO-ADC, LA DISCUSSIONE)
Resoconto DI BIAGIO ALDO FUTURO E LIBERTA' PER IL TERZO POLO
Resoconto LIBE' MAURO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Resoconto VIOLA RODOLFO GIULIANO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto TOGNI RENATO WALTER LEGA NORD PADANIA
Resoconto ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto GHIGLIA AGOSTINO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto MARGIOTTA SALVATORE PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto GIBIINO VINCENZO POPOLO DELLA LIBERTA'
 
PARERE GOVERNO 28/02/2012
Resoconto FANELLI TULLIO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 27/02/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 27/02/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 28/02/2012

DISCUSSIONE IL 28/02/2012

ACCOLTO IL 28/02/2012

PARERE GOVERNO IL 28/02/2012

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 28/02/2012

APPROVATO IL 28/02/2012

CONCLUSO IL 28/02/2012

Atto Camera

Mozione 1-00891
presentata da
SERGIO MICHELE PIFFARI
testo di
lunedì 27 febbraio 2012, seduta n.593

La Camera,
premesso che:
le alluvioni che hanno interessato in questi mesi il nostro Paese, ripropongono ancora una volta il tema della fragilità del nostro territorio e la necessità ormai improcrastinabile della sua messa in sicurezza;
peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni '90, a 4-5 all'anno;
secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro in relazione a dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
si continua a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni e troppo spesso, purtroppo, le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le zone colpite;
l'emergenza diventa così, oltre a un evidente danno economico e sociale, spesso un meno evidente business per la ricostruzione, senza, però, mai essere tradotto in investimenti duraturi attraverso interventi di prevenzione e di buona pianificazione urbanistica e del territorio;
i dati forniti dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Stefania Prestigiacomo, durante l'audizione del 20 settembre 2010 in Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati circa lo stato di dissesto e di rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale, parlano di un 9,8 per cento della superficie nazionale ad alta criticità idrogeologica; di 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani; di un 24,9 per cento dei comuni interessato da aree a rischio frana; di un 18,6 per cento di aree a rischio alluvione; e di un 38,4 per cento di aree a rischio sia di frana che di alluvione;
le regioni che hanno pressoché la totalità dei comuni con aree a rischio idrogeologico sono la Calabria, l'Abruzzo, la Basilicata, la Campania, il Lazio, la Liguria, le Marche, il Molise, la Toscana, l'Umbria, la Valle d'Aosta e la Provincia autonoma di Trento. Queste regioni non rappresentano evidentemente tutte le aree a rischio idrogeologico, come dimostrano gli eventi anche recenti che hanno colpito la Lombardia, il Piemonte, il Veneto ed altre regioni. È tutto il nostro territorio che mostra la sua fragilità e che necessita di interventi di messa in sicurezza A questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
sempre durante la medesima audizione, veniva sottolineato come «il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro. Di contro, per azioni di emergenze di protezione civile, indennizzi e opere a seguito di eventi calamitosi, nel solo bacino del fiume Po, dal 1994 al 2005, sono stati spesi oltre 12,5 miliardi di euro, dei quali oltre 5,5 miliardi di euro per far fronte alla sola alluvione del 2000. Inoltre, per gli interventi di gestione dell'emergenza della zona di Sarno è stato speso oltre mezzo miliardo di euro. In sintesi si stima che la spesa dello Stato per le attività di emergenza sia stata mediamente tra 2 e 3,5 miliardi di euro all'anno. La spesa per la prevenzione è stata in media di 250 milioni l'anno. Per ogni milione speso per prevenire, ne abbiamo spesi 10 per riparare i danni della mancata prevenzione»;
a ciò va aggiunto che nella XVI legislatura gli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo si sono ridotti in maniera inaccettabile. Un taglio di quasi l'85 per cento;
la tutela delle acque rappresenta un interesse prioritario della collettività; un bene comune, peraltro, ribadito con forza dall'esito del referendum del giugno 2011. In questo ambito, manca una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti;
esiste sulla carta un piano straordinario contro il dissesto idrogeologico, dotato di risorse per circa due miliardi e mezzo di euro fra fondi statali e cofinanziamento regionale, da definire attraverso la stipula di accordi di programma con le regioni. Ma detto piano non è praticamente mai decollato: risorse, di fatto, in gran parte «virtuali». Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non li ha mai messi a disposizione e i tagli indiscriminati a regioni ed enti locali da parte del Governo Berlusconi hanno fatto sì che queste ultime non hanno più risorse da investire e che quel poco che potrebbero spendere è limitato a causa dei vincoli del patto di stabilità;
è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, ha sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata, come è avvenuto con l'ultima legge di stabilità, ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
l'attuazione del suddetto piano straordinario contro il dissesto idrogeologico, come sottolinea l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anmbi), composto in gran parte da progetti immediatamente cantierabili, permetterebbe anche importanti ricadute occupazionali;
i cantieri, come ha più volte denunciato l'Associazione nazionale dei costruttori, «non sono mai stati avviati». Solo risorse virtuali, quando invece ci sarebbe bisogno urgente di certezza di finanziamenti;
l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltre che un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 14 dicembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Clini ha ricordato come le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo. Fenomeno quest'ultimo, che - a detta dello stesso Ministro - «non può essere ulteriormente tollerato, ma che deve essere combattuto anche laddove sia stato regolarizzato, quando diventa un fattore di rischio per la sicurezza del territorio»;
sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
i ripetuti condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, i piani urbanistico-territoriali hanno troppo spesso accompagnato ed assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengono spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta gestione del territorio. Da questo punto di vista, ricordiamo che l'Italia è il primo Paese tra quelli europei per la cementificazione;
un lavoro predisposto dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 l'Italia è stata capace di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
ogni italiano vede oggi attribuirsi una media di 230 metri quadrati di urbanizzazione ed anche se le percentuali cambiano da regione a regione (dai 120 metri quadrati per abitante della Basilicata ai 400 del Friuli Venezia Giulia), l'insieme dà l'immagine di un territorio quasi saturo, disordinato, una sorta di città diffusa;
secondo il dossier presentato recentemente dal Fai e dal Wwf sul consumo del suolo «Terra rubata - viaggio nell'Italia che scompare», nei prossimi 20 anni la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di circa 600 mila ettari, pari ad una conversione urbana di 75 ettari al giorno, e raffigurabile come un quadrato di 6.400 chilometri quadrati;
la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connesse. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;
gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati - se vogliono essere realmente efficaci - con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali - per motivazioni politiche, quali, ad esempio, l'approvazione dei piani urbanistici o la destinazione delle aree edificabili - non attuano il principio della prevenzione e, a volte, strutture pubbliche, quali scuole, caserme, ospedali, stazioni, vengono costruite in aree a rischio, come, per esempio, quelle nelle prossime vicinanze dei fiumi,
impegna il Governo:
ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria opera infrastrutturale in grado non solamente di mettere in sicurezza il nostro fragile territorio, ma di attivare migliaia di cantieri, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
a valutare la possibilità di individuare ulteriori risorse, nonché lo «sblocco» di risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
b) la revisione - in accordo con le regioni - delle priorità della «legge obiettivo» al fine di mettere al primo posto le opere di difesa del suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
c) l'individuazione di ulteriori forme di finanziamento, peraltro già ipotizzate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, quali, per esempio, l'istituzione di un fondo rotativo finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, la previsione di un credito d'imposta per investimenti che hanno effetti positivi sulla sicurezza del suolo;
a valutare la possibilità che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
a individuare le opportune iniziative normative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
a valutare la possibilità di integrare le risorse del fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
a prevedere, nell'ambito delle proprie prerogative e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, studiando idonee forme di agevolazione finalizzate alla loro eventuale delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità, in dette aree;
ad adottare opportune iniziative in materia di governo del territorio che, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguano l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti.
(1-00891) «Piffari, Donadi, Borghesi, Evangelisti, Paladini».