ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00874

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 589 del 21/02/2012
Abbinamenti
Atto 1/00384 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00897 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00900 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00904 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00917 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00919 abbinato in data 12/03/2012
Atto 1/00974 abbinato in data 27/03/2012
Firmatari
Primo firmatario: BINETTI PAOLA
Gruppo: UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
Data firma: 15/02/2012
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MONDELLO GABRIELLA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
D'IPPOLITO VITALE IDA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
CAPITANIO SANTOLINI LUISA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
CARLUCCI GABRIELLA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
FORMISANO ANNA TERESA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
TESTA NUNZIO FRANCESCO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
CALGARO MARCO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
DE POLI ANTONIO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012
DELFINO TERESIO UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO 15/02/2012


Stato iter:
27/03/2012
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 12/03/2012
Resoconto BINETTI PAOLA UNIONE DI CENTRO PER IL TERZO POLO
 
INTERVENTO GOVERNO 12/03/2012
Resoconto BALDUZZI RENATO MINISTRO - (SALUTE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 12/03/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 12/03/2012

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 12/03/2012

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 27/03/2012

RITIRATO IL 27/03/2012

CONCLUSO IL 27/03/2012

Atto Camera

Mozione 1-00874
presentata da
PAOLA BINETTI
testo di
martedì 21 febbraio 2012, seduta n.589

La Camera,

premesso che:

donne e uomini sono uguali rispetto al diritto alla salute e di fronte ai servizi socio-sanitari. Proprio per questo occorre parlare di salute della donna e di salute dell'uomo: la parità del diritto richiede la diversificazione dei modi nella sua tutela. È importante ricordare che la medicina di genere non significa medicina delle donne. Un approccio di genere significa prendere in considerazione uomini e donne al di là degli stereotipi e promuovere all'interno della ricerca medica e farmacologica l'attenzione alle differenze biologiche, psicologiche e culturali che ci sono tra i due sessi;

per questo si ha bisogno di parlare di medicina di genere che non si identifica con le malattie delle donne e degli uomini, ma cerca di capire come curare, diagnosticare e prevenire le malattie comuni ai due sessi, e che incidono diversamente su uomo e donna per la differenza di genere, e che sono, in realtà, il lavoro quotidiano del medico nel territorio e nell'ospedale: lo scompenso cardiaco, le aritmie cardiache, l'infarto del miocardio, i tumori del colon e del polmone, le malattie infettive epidemiche e poi il dolore, le cefalee, le malattie gastroenterologiche e così via. Con questa necessaria reimpostazione concettuale ci si è perfino resi conto che la donna non è immune dalle malattie che si è sempre ritenuto dovessero colpire prevalentemente l'uomo, come le malattie del cuore e dei vasi (infarto e ictus), o i tumori del polmone; addirittura si deve prendere conoscenza che le malattie cardiovascolari portano a morte più donne che uomini, e che gli effetti collaterali dei farmaci sono molto diversi nei due generi;

nel nostro Paese le donne vivono più a lungo degli uomini, - nel 2006 la loro speranza di vita alla nascita era di 84 anni, contro i 78,3 anni degli uomini -, ma spesso la loro qualità di vita e di salute è minore: si recano dal medico molto più degli uomini e lo fanno, nella maggior parte dei casi, per affrontare patologie non tipicamente femminili (il 58 per cento delle visite ambulatoriali è per una donna);

la scoperta che uomini e donne differiscono tra loro, non solo per quanto riguarda l'apparato riproduttivo sembra essere piuttosto recente in campo medico. Infatti, fino a pochi anni fa si riteneva che ciò che valeva per l'uomo fosse valido anche per la donna. Con i progressi della ricerca scientifica sono emerse però differenze sostanziali tra i generi e quanto più procedono questi studi, tanto più emergono concrete difformità tra uomini e donne: dal DNA, molecola base della vita, che si esprime in modo diverso a seconda del sesso, a molte malattie, che hanno spinto a creare una nuova branca della medicina ancora poco conosciuta nel nostro Paese: «la cosiddetta medicina di genere»;

con l'espressione «medicina di genere» si intende la distinzione in campo medico delle ricerche e delle cure in base al genere di appartenenza, non solo da un punto di vista anatomico, ma anche secondo differenze biologiche, funzionali, psicologiche e culturali, oltre che di risposta alle cure. Una serie ormai vasta di studi dimostra che la fisiologia degli uomini e delle donne è diversa e tale diversità influisce profondamente sul modo in cui una patologia si sviluppa, viene diagnosticata, curata e affrontata dal paziente. Per questo chi lavora nel campo della salute - medici, ricercatori, aziende farmaceutiche, ma anche istituzioni pubbliche e società scientifiche - devono preoccuparsi che le risposte e le soluzioni - assistenza, terapie, farmaci - siano adeguate alle caratteristiche della persona, incluse quelle di genere;

la medicina di genere applica alla medicina il concetto di bio-diversità per garantire a tutti, uomini o donne, il migliore trattamento auspicabile in funzione delle specificità di genere. Questo oggi non avviene ancora in misura soddisfacente in diversi ambiti della medicina e della farmacologia: ad esempio, per minimizzare i rischi di una nuova molecola sulle donne in età fertile se ne limita la partecipazione negli studi clinici. Se questo tutela correttamente le donne in età fertile, non permette di acquisire un livello di conoscenze adeguate sulla risposta specifica delle donne ai farmaci, anche in tempi diversi da quelli dell'età fertile;

donne e uomini presentano nell'arco della loro esistenza, patologie differenti o differenti sintomi di una stessa patologia e, quindi, si ritiene necessario un approfondimento scientifico della medicina dedicata alla donna; la «medicina di genere» rappresenta il tentativo di approfondire la diversità tra i sessi applicandola alla medicina, così da garantire ad entrambi il miglior trattamento possibile. Questo concetto si evidenzia, infatti, a livello anatomico, ma anche e soprattutto a livello biologico, funzionale, psicologico, sociale, ambientale e culturale; l'ottica di genere difatti non è ancora pienamente utilizzata per programmare gli interventi di promozione della salute e ancora persistono pregiudizi di genere nello studio dell'eziologia, dei fattori di rischio, nelle diagnosi e nei trattamenti. Proprio perché è stato fatto pochissimo e si è ancora lontani da una politica sanitaria che rispetti le distinzioni di genere, la Commissione europea ribadisce la necessità che quanto prima si promuova una politica in difesa della salute tenendo conto della diversità di genere ed il Consiglio dell'Unione europea sollecita una maggior conoscenza da parte degli operatori sanitari per affrontare le disuguaglianze nella salute e garantire parità di trattamento e di accesso alle cure. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;

l'approccio di genere non rientra ancora nelle scelte di programmazione per gli interventi a tutela della salute nel nostro Paese e nemmeno nei programmi universitari. Esistono ancora stereotipi e pregiudizi di genere, nella ricerca biomedica e nella medicina: dallo studio delle cause ai fattori di rischio per la salute, dai sintomi alla diagnosi. La medicina di genere (MDG) non è quindi una nuova etichetta della medicina della donna ma un percorso trasversale tra le discipline mediche; un nuovo approccio non più rimandabile di cui l'organizzazione sanitaria deve prendere atto per agire di conseguenza;

c'è bisogno di un nuovo approccio scientifico al genere che si traduca in una ricerca biomedica sempre più capace di indagare la complessità biologica della differenza di sesso, accanto alla necessaria attenzione alla differenza con cui i due generi sono interpretati nell'organizzazione sanitaria, per evitare diseguaglianze che ricadono sulla sofferenza dell'individuo e sui costi della sanità. La spesa sanitaria viene sempre più considerata un investimento per la salute e, quindi, come uno dei principali determinanti della crescita di un Paese. Il livello di diseguaglianza di genere, soprattutto nell'erogazione di servizi, non corrispondente alle esigenze dei fruitori, è considerato un indice della qualità di vita di una nazione. Un'appropriatezza di genere nella protezione della salute dell'uomo e della donna può essere misurata con indicatori economici;

l'invito pressante dell'ONU/WHO, e in particolare l'articolazione del terzo Millennium Development Goal - MDG3 (che richiama attenzione e impegni più costanti non solo nell'empowerment della donna, e al miglioramento educativo della stessa, ma anche sugli interventi sulla salute che estendano l'aspettativa di vita dell'uomo in modo comparabile con la donna), ha stentato nel trovare una risposta nel fertile terreno italiano, storicamente abituato ad affrontare nella realtà di tutti i giorni la necessità di superare distanze o differenze culturali, e di intervento, per esempio, sulla salute e la sua protezione. Il concetto di pari opportunità non è di ieri e risale a indirizzi ben chiari nella costituzione della Repubblica (ormai oltre i sessanta anni di età). Pur tuttavia le classifiche ultime vedono la posizione italiana scendere progressivamente al 74mo posto in una classifica ideale di livello di pari opportunità;

secondo i dati del Ministero della salute il 6 per cento delle donne soffre di disabilità (vista, udito, movimento) contro il 3 per cento degli uomini, il 9 per cento soffre di osteoporosi contro l'1 per cento degli uomini, il 7,4 per cento di depressione contro il 3 per cento degli uomini. Ci sono poi malattie autoimmuni che colpiscono prevalentemente il sesso femminile, come ad esempio l'artrite reumatoide e questo dimostra che ci sono differenze tra il sistema immunitario maschile e quello femminile. Le malattie per le quali le donne presentano una maggiore prevalenza rispetto agli uomini sono: osteoporosi (+736 per cento), malattie tiroidee (+500 per cento), depressione e ansietà (+138 per cento), cefalea ed emicrania (+123 per cento), Alzheimer (+100 per cento), cataratta (+80 per cento), artrosi e artrite (+49 per cento), calcolosi (+31 per cento), l'ipertensione arteriosa (+30 per cento), il diabete (+9 per cento), le allergie (+8 per cento) e alcune malattie cardiache (+5 per cento);

secondo gli ultimi studi condotti dai ricercatori della New York university school of medicine, il rischio di morte per malattie cardiache è complessivamente molto più alto nelle donne che negli uomini. In Italia, circa 33mila donne ogni anno restano vittime di un attacco cardiaco. Anche in questo caso sono coinvolti gli ormoni femminili che, in età fertile proteggono l'apparato cardiocircolatorio; col sopraggiungere della menopausa, tale effetto protettivo viene a mancare. Comunque, la malattia cardiovascolare resta il killer numero uno per la donna e supera di gran lunga tutte le cause di morte. Anche la diagnosi è sottostimata, e avviene in uno stadio più avanzato rispetto agli uomini, la prognosi è più severa per pari età ed è maggiore il tasso di esiti fatali alla prima manifestazione di malattia. Nonostante ciò, è sempre stata invece considerata una malattia maschile e questo ha creato un pregiudizio di genere che riguarda l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne. La conseguenza è che l'intervento preventivo, a differenza degli uomini, non si rivolge verso gli stili di vita delle donne, ma fondamentalmente al controllo di quello che è considerato il principale fattore di rischio, e cioè la menopausa, con la somministrazione di ormoni che a lungo hanno esposto le donne ad altri fattori di rischio;

una differenza esiste anche per quanto riguarda l'obesità e le sue conseguenze: infatti, pur se tale patologia interessa in egual misura uomini e donne, tra le donne obese la complicanza diabetica è molto più marcata rispetto agli uomini. Le patologie psichiche sono prevalenti e in crescita tra le donne. In particolare, la depressione è la principale causa di disabilità delle donne di 15-44 anni: essa presenta una prevalenza dell'11 per cento nei dati di HS. Una ricerca effettuata tra i medici di medicina generale rivela che il 20 per cento delle donne del campione usa ansiolitici contro il 9 per cento degli uomini, e il 15 per cento usa farmaci antidepressivi, SSRI (inibitori del reuptake della serotonina) contro il 7 per cento degli uomini. Anche negli Stati Uniti i farmaci psicotropi vengono prescritti per i 2/3 alle donne, e numerose ricerche hanno evidenziato che essi tendono a provocare loro maggiori effetti collaterali, in considerazione del fatto che le variazioni ormonali cicliche mensili, oltre a quelle indotte dall'uso contemporaneo di terapia contraccettiva o sostitutiva ormonale, possono avere un azione negativa sul tipo di farmaco, sulla dose necessaria per ottenere l'effetto ricercato e sul tipo di risposta. Ma in realtà, andrebbe verificato quanto spesso nelle ricerche, nei risultati dei trial clinici, nella valutazione degli effetti collaterali dei farmaci, si tiene conto della differenza di genere, soprattutto considerando il fatto che le donne consumano più farmaci rispetto agli uomini;

infine, quando si parla di salute della donna non si può dimenticare, come purtroppo spesso avviene, l'entità del problema «violenza» a tutti i livelli. La violenza sessuale, fisica, psicologica, economica contro le donne rappresenta ormai una grande emergenza e una grande questione di civiltà. I dati 2006 dell'Istat dimostrano che in Italia le donne tra 16 e 70 anni vittime di violenza, nel corso della vita, sono stimate in quasi 7 milioni. Il 14,3 per cento delle donne, che abbiano o abbiano avuto un rapporto di coppia, ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, ma solo il 7 per cento la denuncia. La violenza contro le donne ha una forte rilevanza sanitaria, per le conseguenze immediate delle lesioni fisiche e per gli effetti secondari: depressione, ansia e attacchi di panico, disturbi dell'alimentazione, dipendenze, disturbi sessuali e ginecologici, malattie sessualmente trasmissibili, disturbi gastrointestinali e cardiovascolari;

secondo l'ultima indagine ISTAT su «Condizione di salute e ricorso a servizi sanitari», un'indagine che viene svolta con cadenza quinquennale, le donne di età media hanno, rispetto agli uomini, una percezione negativa del proprio stato di salute. In effetti, esse sono affette con maggiore frequenza degli uomini da quasi tutte le patologie croniche e in particolar modo, come si è visto, da patologie osteo-articolari, malattie neuro-degenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi e cefalea;

il problema della medicina di genere nasce anche dal fatto che gli studi di nuovi farmaci, di nuove terapie e dell'eziologia e dell'andamento delle malattie sono stati condotti considerando sempre come fruitori i maschi. Di conseguenza le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un vizio di fondo: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile che sottovaluta le peculiarità femminili. Le caratteristiche specifiche della salute delle donne vengono sottovalutate anche all'interno di una ricerca medica che è prevalentemente centrata sull'uomo. Sussiste una sorta di pregiudizio scientifico che considera le malattie delle donne come una derivazione biologico-ormonale di quelle degli uomini con una prevalente derivazione socio-ambientale e lavorativa;

il problema di individuare un approccio alla medicina basato sul genere nasce dal fatto che tutti gli studi sperimentali sui farmaci sono sempre stati condotti considerando come finitori i maschi, perché sono fisiologicamente più stabili e per la difficoltà scientifica a portare avanti una sperimentazione nel sesso femminile. Di conseguenza le cure mediche rivolte alle donne sono compromesse da un difetto alla base: i metodi utilizzati nelle sperimentazioni cliniche e nelle ricerche farmacologiche e la successiva analisi dei dati risentono di una prospettiva maschile, che sottovaluta le peculiarità femminili ed in particolare il ruolo degli ormoni;

la medicina di genere permette, dunque, di evidenziare anche nel campo della ricerca farmacologica, le diverse risposte all'assunzione dei farmaci tra gli individui di sesso maschile e quelli di sesso femminile, che, per esempio, sembrano essere più inclini a reazioni avverse. Sarebbe, pertanto, auspicabile uno studio mirato di questo tipo in tempi brevi, considerando che il consumo dei farmaci da parte delle donne è percentualmente più elevato rispetto a quello degli uomini. La conoscenza delle differenze di genere favorisce, infatti, una maggiore appropriatezza della terapia ed una maggiore tutela della salute per entrambi i generi;

la prima sperimentazione farmacologica riservata alle donne risale al 2002 quando, presso la Columbia university di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere. La prima volta che in medicina venne menzionata la cosiddetta «questione femminile» fu nel 1991 quando Bernardine Healy, direttrice dell'Istituto nazionale di salute pubblica, sulla rivista New England journal of medicine parlò di «yentl syndrome» a proposito del comportamento discriminante dei cardiologi nei confronti della donna. Solo 10 anni dopo però venne avviata una sperimentazione riservata alle donne, nel 2002 quando la Columbia University di New York istituì il primo corso di medicina di genere, «a new approach to health care based on insights into biological differences between women and men». Un corso dedicato allo studio di tutte quelle patologie che in modo diverso riguardano entrambi i sessi. La stessa OMS (Organizzazione mondiale della sanità) ha inserito poi la medicina di genere nell'equity act a testimonianza che il principio di equità implica che la cura sia appropriata e sia la più consona al singolo genere. Recentemente ci si è resi conto di significative differenze nell'insorgenza, nello sviluppo, nell'andamento e nella prognosi delle malattie. Gli organi e gli apparati che sembrano differire maggiormente sono il sistema cardiovascolare, il sistema nervoso e quello immunitario. Per esempio, la malattia cardiovascolare, considerata da sempre una malattia più frequente nell'uomo, è in realtà il killer numero uno per la donna tra i 44 e i 59 anni. Eppure esiste ancora la tendenza a sottovalutare l'approccio ai problemi cardiovascolari delle donne;

senza un orientamento di genere, la politica della salute risulta metodologicamente scorretta, oltre che discriminatoria. Per esempio:

a) l'interesse per la salute femminile è prevalentemente circoscritto agli aspetti riproduttivi: la medicina materno-infantile è parte integrante e prioritaria della medicina di genere, ma non esclusiva;

b) le donne sono al primo posto nel consumo di farmaci, ma sono poco rappresentate negli studi clinici o farmacologici. Di conseguenza, sono maggiormente esposte a possibili reazioni avverse al momento dell'assunzione di farmaci dopo l'immissione in commercio, con l'evidenziazione di riscontri di una minore efficacia nel loro uso, con effetti collaterali e indesiderati più frequenti e più gravi rispetto agli uomini;

c) rispetto alle condizioni di lavoro, sono state considerate sino ad oggi quasi esclusivamente le caratteristiche del lavoratore maschio. Delle donne si parla soltanto nel periodo della gravidanza, in rapporto esclusivamente ai rischi del nascituro. Gli infortuni e le malattie professionali che riguardano le donne (come le dermatosi e i disturbi muscolo-scheletrici) non sono sufficientemente presi in considerazione;

d) non viene prestata attenzione agli eventi patologici connessi con il lavoro domestico, in particolare gli infortuni;

e) non si considera il maggior rischio psico-sociale che colpisce le donne e che è dato dal doppio carico di lavoro;

nelle sperimentazioni dei medicinali, in effetti, vengono utilizzate quasi esclusivamente soggetti di sesso maschile, questo perché le donne, a causa del loro complesso sistema ormonale, prolungano i tempi necessari per una sperimentazione, necessitano di regole ben più precise, devono usare un anticoncezionale per evitare gravidanze durante lo studio e così creano troppi problemi alle lobby per cui più semplicemente non vengono inserite nelle sperimentazioni farmacologiche;

proprio per questo però è da non sottovalutare il fatto che gli ormoni femminili possono interferire con l'efficacia di molti farmaci, come gli antistaminici, gli oppiacei, gli antibiotici e gli antipsicotici; di conseguenza gli effetti farmacologici ne potranno risultare amplificati o ridotti. In sostanza, molto spesso, vengono prescritti farmaci di cui si conosce perfettamente il meccanismo d'azione sull'uomo ma non sulla donna, rischiando di non curare o curare in maniera sbagliata le patologie di cui è affetta la donna;

anche i medicinali più comuni, in base a recenti studi scientifici, possono avere degli effetti diversi su donne e uomini. Tra tutti, l'esempio che più ha fatto discutere negli ultimi anni è, senza dubbio, l'aspirina. Alcune ricerche, la più importante delle quali è quella condotta nell'ottobre 2007 da Tood Jerman della university of British Columbia hanno scoperto che la terapia a base di aspirina potrebbe essere inutile per le donne nella protezione dall'infarto del miocardio. In questo studio è stato dimostrato, infatti, attraverso 23 trial con oltre 100.000 pazienti in quarant'anni, che l'aspirina riduce il rischio di infarto del miocardio negli uomini, ma nelle donne questo effetto di prevenzione è fortemente ridotto;

il dolore cronico colpisce le donne in maniera maggiore e spesso del tutto differente rispetto agli uomini. In Italia, secondo uno studio epidemiologico svolto dalla IASP, il dolore cronico interessa il 26 per cento della popolazione, di cui il 56 per cento è rappresentato da donne. Tra uomini e donne cambia sia la frequenza sia l'intensità sia il tipo di dolore. Emicrania, fibromialgia, cefalea e artrite reumatoide - tutte patologie il cui sintomo prevalente è il dolore e che, per questo necessitano di una adeguata terapia - sono molto più frequenti nel sesso femminile;

uno studio del 2009, condotto dal dipartimento di anestesiologia della seconda università di Napoli in collaborazione anche con l'università di Siena e quella di Chieti ha valutato l'importanza degli ormoni gonadici (testosterone, estradiolo) nella terapia del dolore. In particolare, è stato dimostrato che l'uso di alcuni oppioidi può avere effetti diversi sulle donne a seconda dell'età riproduttiva e sugli uomini, mentre altri farmaci della stessa categoria possono non agire sull'asse ipotalamo-ipofisi-gonadico;

gli ormoni femminili influenzano anche altri tipi di malattie, ad esempio quelle dello stomaco. Dall'ulcera gastrica, che colpisce prevalentemente le donne rispetto agli uomini, si può guarire con più facilità grazie all'azione degli ormoni femminili, in particolare grazie al progesterone, che inibisce la formazione dei succhi gastrici, ed agli estrogeni, che nella fase pre-menopausale, o meglio ancora in quella della gravidanza, garantiscono la protezione della mucosa dello stomaco;

in Italia, nel 2005, è nato l'osservatorio O.N.D.A. (Osservatorio nazionale sulla salute della donna), che si occupa della salute della donna e che collabora con tutti gli istituti preposti a livello nazionale, per studiare, informare, educare e stimolare una grande attenzione su queste tematiche; senza un orientamento di genere, le misure politiche a tutela della salute risultano metodologicamente scorrette, oltre che discriminanti. Per questo motivo la medicina di genere è ormai una realtà dalla quale non si può prescindere,

impegna il Governo:

a predisporre iniziative di prevenzione sostenute da periodiche campagne informative centrate di volta in volta su obiettivi chiave: incidenti domestici, obesità, patologie cardiovascolari, tumori del seno, violenza femminile e altro;

ad assumere iniziative volte a consigliare l'uso di acido folico alle donne in periodo fertile e a valutare l'utilità dell'assunzione di iodio nelle donne gravide;

a promuovere il potenziamento, omogeneo sul territorio nazionale, della ricerca medica, scientifica e farmacologica nell'ambito della medicina di genere, al fine di tutelare realmente, come sancito dall'articolo 32 della Costituzione, la salute di tutti i cittadini, ponendo al centro dell'attenzione del sistema socio-sanitario la medicina materno-infantile, senza per questo estromettere la donna dalla sperimentazione farmacologica;

a promuovere l'inserimento della «medicina di genere» nei programmi dei corsi di laurea in medicina e chirurgia e delle scuole di specializzazione come un modo di favorire l'interdisciplinarietà nell'ottica di genere, anche attraverso successivi master dedicati a chi, nel post laurea, voglia approfondire questa materia, per incidere sulla cura e sulla prevenzione delle malattie;

a promuovere percorsi che garantiscano all'interno delle strutture sanitarie pubbliche l'esistenza o la realizzazione di un dipartimento dedicato alla medicina materno-infantile e alla medicina di genere per avere un approccio migliore di fronte alle numerose richieste di assistenza della donne italiane;

ad incentivare la pratica degli screening (pap test e mammografia), con particolare riguardo alle donne immigrate che molto spesso non ne sono a conoscenza;

a ricercare strategie di stimolazione degli stili di vita preventivi (contrasto del fumo/attività fisica/dieta) specifici per le donne, posto che le motivazioni per cui esse fumano, non praticano sport, mangiano troppo o bevono, sono diverse da quelle degli uomini, e che ben il 47 per cento delle donne non pratica alcuna forma di attività fisica e solo il 16 per cento dichiara di fare sport con continuità a causa degli impegni familiari (principalmente la cura dei figli e della casa).

(1-00874)
«Binetti, Mondello, D'Ippolito Vitale, Capitanio Santolini, Carlucci, Anna Teresa Formisano, Nunzio Francesco Testa, Calgaro, De Poli, Delfino».