ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00485

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 391 del 08/11/2010
Abbinamenti
Atto 1/00440 abbinato in data 08/11/2010
Atto 1/00480 abbinato in data 08/11/2010
Atto 1/00481 abbinato in data 08/11/2010
Atto 1/00482 abbinato in data 08/11/2010
Atto 1/00484 abbinato in data 08/11/2010
Firmatari
Primo firmatario: MECACCI MATTEO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 08/11/2010
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BELTRANDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
TURCO MAURIZIO PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
ZAMPARUTTI ELISABETTA PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
COLOMBO FURIO PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
SARUBBI ANDREA PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
DUILIO LINO PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010
TOUADI JEAN LEONARD PARTITO DEMOCRATICO 08/11/2010


Stato iter:
09/11/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 08/11/2010
Resoconto MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 08/11/2010
Resoconto COLOMBO FURIO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 09/11/2010
Resoconto MANTICA ALFREDO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (AFFARI ESTERI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 09/11/2010
Resoconto EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI
Resoconto PISICCHIO PINO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto VOLONTE' LUCA UNIONE DI CENTRO
Resoconto DELLA VEDOVA BENEDETTO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto REGUZZONI MARCO GIOVANNI LEGA NORD PADANIA
Resoconto TEMPESTINI FRANCESCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto MUSSOLINI ALESSANDRA POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto FARINA RENATO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto COLOMBO FURIO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BOCCHINO ITALO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto DUSSIN LUCIANO LEGA NORD PADANIA
Resoconto SANTELLI JOLE POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO UNIONE DI CENTRO
Resoconto CASTAGNETTI PIERLUIGI PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto TABACCI BRUNO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA
Resoconto CORSARO MASSIMO ENRICO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto DE TORRE MARIA LETIZIA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto CASINI PIER FERDINANDO UNIONE DI CENTRO
 
DICHIARAZIONE GOVERNO 09/11/2010
Resoconto FRATTINI FRANCO MINISTRO - (AFFARI ESTERI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 09/11/2010
Resoconto DOZZO GIANPAOLO LEGA NORD PADANIA
Resoconto FRANCESCHINI DARIO PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 09/11/2010
Resoconto DELLA VEDOVA BENEDETTO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
 
DICHIARAZIONE VOTO 09/11/2010
Resoconto MECACCI MATTEO PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 09/11/2010
Resoconto EVANGELISTI FABIO ITALIA DEI VALORI
 
DICHIARAZIONE VOTO 09/11/2010
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto D'ALEMA MASSIMO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BIANCONI MAURIZIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 08/11/2010

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 08/11/2010

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 08/11/2010

NON ACCOLTO IL 09/11/2010

PARERE GOVERNO IL 09/11/2010

DISCUSSIONE IL 09/11/2010

RESPINTO IL 09/11/2010

CONCLUSO IL 09/11/2010

Atto Camera

Mozione 1-00485
presentata da
MATTEO MECACCI
testo di
lunedì 8 novembre 2010, seduta n.391

La Camera,
premesso che:
il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore a seguito della legge di ratifica ed esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7, intendeva porre fine al contenzioso tra i due Paesi risalente all'epoca coloniale, dando vita ad una nuova fase politica basata sul rispetto reciproco e sulla pari dignità;
tale trattato - diversamente da quanto normalmente accade quando il Parlamento italiano discute i trattati internazionali - è stato oggetto fin dalla sua discussione nelle Commissioni affari esteri di Camera e Senato di una forte, ancorché minoritaria, contestazione politica per i suoi contenuti;
l'Italia è, infatti, il primo Paese che ha stipulato un trattato di «amicizia» con la Libia, dopo che questo Paese è stato tolto dalla lista di quelli sotto sanzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu; sanzioni che erano state imposte dopo l'accertamento delle responsabilità delle autorità di Tripoli in attività di terrorismo internazionale che hanno colpito interessi e tolto la vita a cittadini di Paesi alleati dell'Italia all'interno della Nato e dell'Unione europea;
secondo tale trattato - all'articolo 8, capo II - l'Italia si è impegnata, tra l'altro, a realizzare in Libia progetti infrastrutturali nei limiti di una spesa di 5 miliardi di dollari per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni, quale segno di risarcimento per il colonialismo italiano di inizio secolo scorso, e la Libia si è impegna ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
nessuna cifra è stata, invece, indicata nel trattato per risarcire né gli italiani espulsi dalla Libia dopo il colpo di Stato del Colonnello Gheddafi, né per le imprese italiane che hanno continuato a lavorare in Libia e che non si sono viste corrispondere i crediti che vantano legalmente;
solo in sede parlamentare, all'interno del disegno di legge di ratifica, si è dopo prevista una cifra parziale di risarcimento per i cittadini espulsi dalla Libia, che resta tuttavia ancora da corrispondere, mentre niente si è previsto al momento a tutela dei crediti delle imprese italiane che hanno operato in Libia;
nei mesi precedenti la ratifica parlamentare le autorità italiane, e in particolare il Ministero dell'interno, hanno posto grande enfasi sulla necessità di ratificarlo, per gli effetti che quest'atto avrebbe avuto nel contrasto all'immigrazione clandestina proveniente dalla Libia;
l'articolo 19 del trattato, infatti, prevede - dando attuazione al protocollo di cooperazione, firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007 tra il Ministro dell'interno Amato e il Ministro degli esteri libico Abdurrahman Mohamed Shalgam - un pattugliamento del tratto di Mediterraneo tra la Sicilia e la Libia con equipaggi misti italo-libici, con motovedette messe a disposizione dall'Italia e con la realizzazione di un sistema di telerilevamento alle frontiere terrestri libiche da affidare alle società italiane;
nonostante l'articolo 19 non faccia, però, alcun riferimento ai respingimenti verso la Libia dei migranti intercettati in mare, bensì solo alle operazioni di pattugliamento congiunto, dal maggio 2009, e come ampiamente preannunciato dal Ministro dell'interno Maroni prima dell'ingresso in vigore del trattato, è stata introdotta la politica italiana dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel Canale di Sicilia, quali misure volte a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
tale politica destava fin dall'inizio profonda preoccupazione poiché, nonostante gli impegni generali delle Parti contraenti previsti dal trattato al rispetto dei diritti umani, la Libia non ha mai ratificato le convenzioni di Ginevra che tutelano i diritti dei rifugiati e, soprattutto, pratica da lungo tempo una politica di discriminazione e di gravi violazioni dei diritti dell'uomo, denunciate regolarmente dalle organizzazioni internazionali, nei confronti delle centinaia di migliaia di migranti che transitano o risiedono in Libia e che provengono da zone dell'Africa dove sono in corso conflitti armati e crisi umanitarie gravissime da lungo tempo, che sono costati la vita a milioni di persone;
l'Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), come riportato nell'articolo del Sole 24 Ore del 12 maggio 2009, ha subito espresso profonda preoccupazione per la politica dei respingimenti che l'Italia ha deciso di applicare, visto che «essa mina l'accesso all'asilo nell'Unione europea e comporta il rischio di violare il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione del 1951 sui rifugiati»;
per tutta risposta le autorità libiche, il 2 giugno 2010 hanno deciso di chiudere l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli, chiarendo definitivamente - per il momento - che non vogliono che sia garantita alcuna protezione internazionale a centinaia di migliaia di migranti che si trovano in Libia e che non hanno riconosciuto alcuno status giuridico;
stando a quanto riferito dalla stessa agenzia Onu, l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stato chiuso dalle autorità libiche senza alcuna spiegazione né preavviso;
l'8 giugno 2010, in un comunicato diffuso sul sito dell'agenzia di stampa ufficiale libica Jana, il Comitato popolare per le comunicazioni estere e la cooperazione internazionale libico, ha fatto sapere che «la Libia non riconosce l'esistenza dell'Ufficio dei rifugiati nel suo territorio perché la Libia non è uno Stato membro della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, e non ha firmato alcun accordo di cooperazione con l'Ufficio dell'Alto commissariato per i rifugiati. Di conseguenza, qualsiasi attività svolta dall'Ufficio è stata un'attività illecita»;
la portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Italia, Laura Boldrini, si è subito augurata che tale chiusura sia temporanea visto che la Libia non solo non ha firmato la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, ma neanche ha nel proprio ordinamento un sistema per la richiesta e l'ottenimento dell'asilo politico, e si ricorda che finora a tale mancanza sopperiva l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, valutando le domande dei richiedenti e assegnando eventualmente lo status di rifugiato;
grave preoccupazione per l'applicazione di tale politica dei respingimenti è stata espressa a più riprese anche da altre autorità come dall'Alto commissario Onu sui diritti umani Navy Pillay, dalla Conferenza episcopale italiana, e dal Commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Thomas Hammarberg;
il dossier dell'organizzazione non governativa internazionale Human rights watch, intitolato «Scacciati e schiacciati», pubblicato il 21 settembre 2009, critica duramente la politica sull'immigrazione del Governo italiano e si scaglia contro i respingimenti verso la Libia effettuati dal Governo, dichiarando che «l'Italia intercetta migranti africani e richiedenti asilo e senza valutare se veramente sono rifugiati o bisognosi di protezione, li respinge forzatamente in Libia, dove molti sono detenuti in condizioni disumane e degradanti»; «la realtà è che l'Italia respinge senza senso i migranti»;
il 23 giugno 2010 è stato pubblicato un rapporto di Amnesty international dal titolo «La Libia domani: quale speranza per i diritti umani?», che mette in luce il fatto che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari che si trovano in Libia siano sfruttati e subiscano violenze, abusi e torture durante la loro detenzione da parte delle autorità libiche;
secondo tale rapporto, diverse migliaia di loro sono detenuti indefinitamente in centri sovraffollati e molti rischiano costantemente di essere rinviati in Paesi come la Somalia e l'Eritrea, dove potrebbero essere sottoposti a persecuzioni e torture;
sulla base dei dati relativi ai respingimenti in un periodo di soli quasi quattro mesi, dal 6 maggio al 30 agosto 2009, ci sono state complessivamente 8 operazioni di respingimento nel Canale di Sicilia e in totale sono stati riportati in Libia 757 immigrati - il dato è stato reso noto dal Sottosegretario all'interno Mantovano nell'audizione del 22 settembre 2009 presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività dell'unità nazionale Europol -;
sempre secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, il Sottosegretario di Stato Nitto Palma, durante la seduta n. 251 del 24 novembre 2009, ha dichiarato che nessuno dei «respinti» intercettati dalle autorità italiane avrebbe fatto richiesta di asilo politico o di protezione internazionale, mentre i dati relativi al 2008, riportano che, dei 36 mila cittadini di altri Paesi che sono sbarcati sulle nostre coste, circa il 75 per cento ha fatto domanda di asilo;
come riportato nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, anche 103 dei 205 eritrei che si trovavano segregati in condizioni estreme nel carcere libico di Brak - e che lì rimasero per 16 giorni - erano stati respinti in Libia dopo essere stati intercettati in mare dalle autorità italiane;
nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, Don Mussie Zerai, sacerdote e responsabile dell'agenzia Habesha - un'organizzazione non governativa con sede a Roma che si occupa dell'accoglienza dei migranti africani - ha affermato che: «gran parte dei 205 eritrei segregati nel carcere libico di Brak erano sulla rotta di Lampedusa quando sono stati arrestati e portati nel lager di Gheddafi, ammassati in 90 in una stanzetta e picchiati ogni due ore»;
a seguito dell'accordo, firmato il 7 luglio 2010 con il Ministro del lavoro libico e su pressione del Governo italiano, i 205 eritrei sono stati liberati dal carcere di Brak e la loro condizione è attualmente la seguente: gli eritrei, dopo esser stati liberati il 17 luglio 2010 dal carcere di Brak, sono ora bloccati nella città di Sebha, a 800 chilometri da Tripoli, dove hanno un permesso di soggiorno di tre mesi, che però ha validità solo nella regione di Sebha; gli eritrei con il permesso di soggiorno possono solo circolare liberamente nella città di Sebha, ma non possono uscirvi e, una volta scaduto il permesso di soggiorno, i migranti saranno costretti a chiedere un visto, per il quale dovranno prima recarsi all'ambasciata eritrea e farsi rilasciare un passaporto; per gli eritrei tale ultima eventualità è impraticabile e molto pericolosa, dal momento sono richiedenti asilo in fuga dal proprio Paese, dove l'emigrazione è considerata un crimine e punita severamente;
in merito alla vicenda dei 205 eritrei, il 7 luglio 2010 il Sottosegretario di Stato agli esteri Stefania Craxi, parlando con i cronisti a margine della sua audizione presso la Commissione esteri del Senato, ha così affermato: «L'Italia sarebbe pronta ad accogliere alcuni dei cittadini eritrei attualmente in Libia a determinate condizioni»; «Già nel 2009 abbiamo accettato una procedura di resettlement per 67 cittadini eritrei e se anche in questo caso si ripresentassero le medesime condizioni, il Governo italiano farà la sua parte», ha assicurato la Craxi. «Ci aspettiamo che lo stesso facciano anche altri stati dell'Ue», ha aggiunto;
l'articolo 4 del trattato Italia-Libia sancisce il principio di non ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato;
tale articolo, inoltre, sancisce al comma 2 che: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia»;
il 12 settembre 2010, al largo di Lampedusa, un motopeschereccio italiano che si trovava in acque internazionali è stato avvicinato da una motovedetta guidata da equipaggio libico, ma all'interno della quale vi era anche un equipaggio italiano e, in particolare, si trattava di ufficiali della Guardia di finanza;
questa motovedetta è una delle sei che il Governo italiano ha donato al Governo libico a seguito della ratifica del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, allo scopo di effettuare i pattugliamenti congiunti per contrastare l'immigrazione clandestina per via marittima;
la motovedetta ha in seguito sparato ripetutamente colpi di mitra che hanno colpito il peschereccio italiano, mettendo a rischio la vita dell'equipaggio;
dinanzi all'interrogazione a risposta immediata a prima firma Mecacci e concernente il suddetto fatto, il 15 settembre 2010, il Governo italiano nella figura del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha così risposto: «L'episodio, molto grave, che ha visto coinvolto il peschereccio italiano richiederà un forte impegno affinché azioni del genere non si ripetano più. Nessun accordo né alcuna regola d'ingaggio consente, infatti, interventi con armi da fuoco verso imbarcazioni pacifiche. D'altra parte, lo stesso comandante libico, e subito dopo l'autorità di Tripoli, incluso il Ministero degli affari esteri, hanno formalmente presentato le loro scuse. In Libia è stata avviata un'inchiesta per chiarire le dinamiche dei fatti e accertare le responsabilità. In Italia sono in corso l'indagine promossa dal Ministero dell'interno e l'indagine penale avviata contro ignoti per tentato omicidio dalla magistratura di Agrigento. Il Governo italiano approfondirà con le controparti libiche i necessari correttivi, che dovessero essere opportuni, alle intese tecniche che disciplinano le operazioni di pattugliamento congiunto»;
nel corso della XVI legislatura Gheddafi è il leader politico straniero che si è incontrato più volte con il Presidente del Consiglio dei ministri italiano Berlusconi, caratterizzando la politica estera del nostro Paese con la vicinanza politica a una delle più longeve dittature esistenti al mondo;
nel corso della sua ultima recente visita in Italia, il Colonnello libico Gheddafi ha dichiarato, tra l'altro, che se l'Europa non vorrà «diventare nera» occorreranno non 5 miliardi di dollari in 20 anni, ma 5 miliardi di dollari l'anno, alludendo quindi alla possibilità di usare la minaccia dell'immigrazione clandestina di massa, come strumento di pressione nell'ambito dei negoziati in corso per un accordo di cooperazione tra l'Unione europea e la Libia;
nelle settimane successive alla visita del leader libico Gheddafi in Italia, sono state espresse forti preoccupazioni in vari settori della società italiana sull'acquisizione di quote societarie del gruppo Unicredit, il più grande gruppo bancario italiano, da parte di fondi libici controllati dal Governo, che potrebbe essere avvenuta al di fuori delle regole che disciplinano tali attività e per le quali sono in corso indagini da parte dei competenti organi di controllo;
nel 2009, all'apertura del vertice dell'Unione africana a Tripoli, Gheddafi si è così espresso a proposito d'importanti questioni internazionali: in merito al mandato d'arresto emesso dal Tribunale penale internazionale contro il Presidente sudanese Bashir per i crimini in Darfur ha così affermato:«Tale Tribunale è nuova forma di terrorismo mondiale, e sappiamo che tutti i paesi del terzo mondo si oppongono a questa sedicente Corte penale internazionale. Fino a quando tutti non saranno trattati allo stesso modo, non funzionerà»; in merito allo Stato di Israele, ha invece affermato: «Israele è dietro di tutti nei conflitti in Africa: per questo tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse, in particolare Israele alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, e solo l'Unione africana ha il diritto-dovere di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso»,
impegna il Governo:
a promuovere la revisione del trattato di «amicizia» con la Libia affinché sia in linea con gli obblighi internazionali dell'Italia e, in particolare, con quelli che derivano dall'applicazione della Costituzione italiana e dal diritto internazionale, tra cui il diritto d'asilo e il diritto alla vita;
alla luce di quanto accaduto recentemente, a chiarire i termini degli accordi relativi ai pattugliamenti congiunti in corso, in particolare per quanto riguarda la catena di comando e le regole d'ingaggio, incluso l'uso delle armi durante tali operazioni;
ad attivarsi, sia attraverso i contatti bilaterali con Tripoli, che a livello internazionale, per ottenere che la Libia riconosca i confini marittimi sanciti dal diritto internazionale e consenta ai pescatori siciliani di pescare legalmente in acque internazionali senza il rischio di subire attacchi armati o il sequestro dei pescherecci, come purtroppo già avvenuto numerose volte in passato;
a sospendere la politica dei respingimenti dei migranti in Libia, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, dato che tale politica viola sia il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 (ratificata dall'Italia nel luglio 1954) e considerato un principio di diritto internazionale generale, sia il pieno accesso alle procedure di asilo nell'Unione europea;
ad attivarsi sia in sede bilaterale che a livello internazionale, affinché la Libia riapra al più presto l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli e affinché ratifichi la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, quale condizione minima per poter:
a) farsi promotore, nelle principali sedi internazionali a partire da quella europea, di un percorso che garantisca agli immigrati provenienti dall'Africa, come da altri continenti, il diritto di asilo e tutti gli altri diritti e libertà fondamentali sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948;
b) tutelare i diritti e a dare effettive garanzie per i risarcimenti economici a favore sia degli italiani espulsi dalla Libia, che delle imprese italiane che vantano crediti riconosciuti ma non corrisposti dalle autorità libiche.
(1-00485)
«Mecacci, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti, Colombo, Sarubbi, Duilio, Touadi».