ATTO CAMERA

ODG IN ASSEMBLEA SU P.D.L. 9/04086/066

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 440 del 25/02/2011
Firmatari
Primo firmatario: BARBATO FRANCESCO
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 25/02/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MESSINA IGNAZIO ITALIA DEI VALORI 25/02/2011
CAMBURSANO RENATO ITALIA DEI VALORI 25/02/2011
BORGHESI ANTONIO ITALIA DEI VALORI 25/02/2011


Stato iter:
25/02/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 25/02/2011
Resoconto BARBATO FRANCESCO ITALIA DEI VALORI
 
INTERVENTO GOVERNO 25/02/2011
Resoconto GIORGETTI ALBERTO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 25/02/2011
Resoconto GIACHETTI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 25/02/2011
Resoconto GIORGETTI ALBERTO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 25/02/2011

ACCOLTO IL 25/02/2011

PARERE GOVERNO IL 25/02/2011

RINUNCIA ALLA VOTAZIONE IL 25/02/2011

CONCLUSO IL 25/02/2011

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/4086/66
presentato da
FRANCESCO BARBATO
testo di
venerdì 25 febbraio 2011, seduta n.440

La Camera,
premesso che:
l'articolo 2, comma 61, del decreto-legge in esame ha stabilito che ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa;
questo comma rappresenta l'ennesimo colpo di spugna ai diritti dei consumatori e delle imprese, quelli conquistati con fatica con l'ultima sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la n. 24418 del 2 dicembre 2010;
questa sentenza aveva posto una pietra tombale sulle diffuse illegalità bancarie in merito all'usura legalizzata, denominata anatocismo: gli interessi capitalizzati trimestralmente. I giudici hanno stabilito a Sezioni unite che la prescrizione decennale decorre dal momento in cui si chiude il conto corrente. Il Governo invece inserisce in questo decreto una norma ad hoc per cancellare i diritti delle piccole e medie imprese taglieggiate dalle banche;
la norma introdotta stabilisce che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa per le operazioni bancarie regolate in conto corrente;
con il termine anatocismo (dal greco anà - di nuovo, e tokòs - interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi). Nella prassi bancaria, tali interessi vengono definiti «composti». Un esempio di anatocismo è quello di capitalizzare (ossia sommare al capitale di debito residuo) gli interessi ad ogni scadenza di pagamento, anche se sono regolarmente pagati;
il calcolo degli interessi in regime di capitalizzazione composta anziché in regime di capitalizzazione semplice determina una crescita esponenziale del debito, di conseguenza per periodi inferiori all'anno l'importo calcolato con la capitalizzazione composta sarà inferiore a quello che si determina nella capitalizzazione semplice;
giuridicamente, in un'obbligazione pecuniaria l'applicazione dell'anatocismo comporterebbe, per il debitore, l'obbligo di pagamento, non solo del capitale e degli interessi pattuiti, ma anche degli ulteriori interessi calcolati sugli interessi già scaduti;
la legge autorizza il pagamento degli interessi legali sulle quote di debito (capitale e interessi), che non sono state regolarmente pagate a scadenza;
malgrado l'anatocismo sia un istituto conosciuto dagli albori del prestito ad interesse, la normativa italiana non ha raggiunto un sufficiente grado di completezza, tant'è che la disciplina si basa ancora sul codice civile del 1942, ed in particolare sull'articolo 1283 del codice civile. Secondo questa norma, gli interessi scaduti, in assenza di usi contrari, possono produrre a loro volta interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. In linea di principio, il codice civile vieta un regime di capitalizzazione composta degli interessi, ovvero il pagamento degli interessi su interessi di periodi precedenti;
nonostante la tutela approntata dal citato articolo, che subordina l'anatocismo alla compresenza di alcuni presupposti ben determinati, per circa mezzo secolo nella prassi bancaria italiana hanno trovato applicazione pressoché generalizzata, nei contratti di apertura di conto corrente, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli impieghi. Ciò grazie (anche) all'avallo della giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito, che ha affermato la validità delle clausole di capitalizzazione trimestrale, escludendo l'esistenza di un contrasto con la previsione di cui all'articolo 1283 del codice civile, sulla base dell'affermazione dell'esistenza di un uso idoneo a derogare al divieto di anatocismo stabilito da tale norma;
nel 1999 la Corte di cassazione, invertendo il proprio orientamento giurisprudenziale, ha più volte affermato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, sostanzialmente argomentando nel senso della inesistenza di un uso normativo idoneo a derogare all'articolo 1283 del codice civile;
per evitare scompensi tra il lavoro dei giudici e la prassi, il legislatore ha ritenuto opportuno, con il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, modificare l'articolo 120 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia): tale intervento ha introdotto in materia il principio della eguale cadenza di capitalizzazione dei saldi attivi e passivi, nel contempo stabilendo - con norma transitoria - una sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale contenute nei contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina;
la norma transitoria è stata però dichiarata illegittima, per eccesso di delega e conseguente violazione dell'articolo 77 della Costituzione, dalla Corte costituzionale (sentenza 17 ottobre 2000, n. 425);
il cosiddetto «decreto salvabanche» fu presentato il 23 luglio 1999, sotto il Governo D'Alema I, convertito in legge n. 342 del 4 agosto 1999. La Consulta, con la citata sentenza, ha abrogato l'articolo 25, comma 3, dichiarato incostituzionale per: l'irretroattività della legge, la disparità di trattamento fra soggetti del testo unico bancario e creditori sottoposti all'anatocismo, il non rispetto dell'autonomia e indipendenza della magistratura;
dopo la sentenza della Consulta, del 17 ottobre 2000, un secondo decreto fu approvato il 29 dicembre 2000, n. 394, a firma del Presidente del Consiglio Amato e della Repubblica, Ciampi, e convertito in legge 28 febbraio 2001, n. 24. Il decreto è l'«interpretazione autentica» della legge antiusura, la n. 108 del 1996;
venuta meno la norma transitoria, finalizzata ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, la Corte di cassazione ha continuato, con una ulteriore serie di sentenze (tra le altre, si veda la sentenza 13 dicembre 2002, n. 17813), a ribadire il suo approccio più recente, peraltro estendendo i principi enunciati inizialmente con riferimento al conto corrente bancario anche ai contratti di mutuo. Infine, con sentenza n. 21095/2004 (Cassazione civile, sezioni unite, 4 novembre 2004, n. 21095), la suprema Corte ha confermato in modo netto il revirement del 1999, così consolidando il nuovo trend giurisprudenziale;
trend ulteriormente confermato con la già citata ultima sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione, la n. 24418 del 2 dicembre 2010;
l'articolo 2, comma 961, introduce un'interpretazione autentica: in nessun modo, ad avviso dei sottoscrittori, il contenuto della disposizione può essere accolto come interpretativo, con ciò configurandosi un abuso della funzione di interpretazione autentica; siffatta constatazione è confortata dalla giurisprudenza costituzionale ben consolidata in materia, che riconosce «carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente» (sentenza Corte costituzionale n. 155 del 1990),

impegna il Governo

a informare il Parlamento con un'apposita relazione dell'esatto ammontare dei benefici derivanti agli istituti di credito dall'interpretazione di cui all'articolo 2, comma 61, del provvedimento in esame.
9/4086/66. Barbato, Messina, Cambursano, Borghesi.