Doc. XXII-bis, n. 1

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA
SULLA MORTE DI GIULIO REGENI

(Istituita con delibera della Camera dei deputati del 30 aprile 2019)

(composta dai deputati: Palazzotto, Presidente, Serracchiani, Trancassini, Vicepresidenti, Turri, Ungaro, Segretari, Aresta, Bilotti, Centemero, De Carlo, Formentini, Giordano, Magi, Orsini, Penna, Pettarin, Quartapelle Procopio, Sportiello, Suriano, Maria Tripodi, Zoffili)

RELAZIONE
SULL'ATTIVITÀ SVOLTA DALLA COMMISSIONE

(Relatore: on. Erasmo Palazzotto)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 1° dicembre 2021

Comunicata alla Presidenza il 1° dicembre 2021 ai sensi dell'articolo 7, comma 1,
della delibera della Camera dei deputati del 30 aprile 2019

Pag. 3

INDICE

AVVERTENZA ... Pag. 7

PARTE PRIMA

I RISULTATI DELL'INCHIESTA ... » 9

1. Luci e ombre della cooperazione giudiziaria ... » 11

2. L'esercizio della pressione diplomatica nei rapporti bilaterali e nelle sedi multilaterali ... » 13

3. Il movente dell'omicidio: la ricerca sui sindacati indipendenti e l'intervento degli apparati securitari ... » 19

4. La scomparsa di Giulio Regeni e il ritrovamento del suo corpo ... » 22

5. Il ruolo dell'Università di Cambridge ... » 26

6. Conclusioni ... » 27

PARTE SECONDA

I TEMI DELL'INCHIESTA ... » 31

Nota introduttiva ... » 33

1. PERCHÉ GIULIO REGENI ERA AL CAIRO ... » 37

  1.1 L'interesse per l'Egitto, il mondo e la lingua araba nel percorso degli studi ... » 37

  1.2 La rivoluzione del 2011 in Egitto e i successivi sviluppi nel quadro delle «Primavere arabe» ... » 42

  1.3 La scelta del tema della tesi di dottorato all'Università di Cambridge ... » 47

  1.4 La missione di studio al Cairo presso l'American University ... » 53

  1.5 La metodologia della ricerca sul campo ... » 60

   1.5.1 Il metodo delle interviste ... » 65

   1.5.2 Il coinvolgimento degli organismi portatori di interessi collettivi ... » 66

   1.5.3 Amici e colleghi italiani al Cairo ... » 67

  1.6 Lo svolgimento della ricerca in seno ai sindacati degli ambulanti ... » 69

   1.6.1 Conoscenza e rapporto con Abdallah Said ... » 70

   1.6.2 Il giro dei mercati ... » 74

   1.6.3 La proposta di finanziamento della Fondazione Antipode ... » 77

   1.6.4 La supervisione della ricerca ... » 80

Pag. 4

2. LA PERCEZIONE DEL RISCHIO – EGITTO ... Pag. 82

  2.1 Il risk assessment svolto a Cambridge ... » 82

  2.2 La consapevolezza del rischio e le cautele nella vita quotidiana ... » 83

  2.3 La fotografia nella riunione dell'11 dicembre 2015 ... » 84

  2.4 L'articolo su NENA-NEWS (l'uso dello pseudonimo) ... » 88

3. L'ENTRATA NELL'ORBITA DEL REGIME ... » 89

  3.1 Egitto: un regime in transizione ... » 89

   3.1.1 Il quadro istituzionale egiziano tra formalità e informalità: un Ordine ad Accesso Limitato ... » 96

   3.1.2 Organi e funzioni delle forze di sicurezza e profili di criticità e conflittualità ... » 102

  3.2 La «ragnatela» degli apparati di sicurezza egiziani intorno a Giulio Regeni ... » 107

   3.2.1 La denuncia ... » 115

   3.2.2 Intervento della National Security ... » 121

   3.2.3 Il coinvolgimento delle persone vicine a Giulio Regeni ... » 126

   3.2.4 La videoregistrazione dell'incontro del 7 gennaio 2016 ... » 132

4. LA SCOMPARSA NEL V ANNIVERSARIO DELLA RIVOLTA DI PIAZZA TAHRIR ... » 139

  4.1 Significato del giorno della scomparsa e sua rilevanza politica in Egitto ... » 139

  4.2 Cronaca della giornata ... » 141

   4.2.1 Le cautele e la consapevolezza di Giulio Regeni relativamente al 25 gennaio 2016 ... » 145

  4.3 Riflessioni e osservazioni relative al clima securitario presente al Cairo nel giorno della scomparsa ... » 147

5. LA GESTIONE DELLA SCOMPARSA: DA CASO ISOLATO A CASO DIPLOMATICO ... » 150

  5.1 Il campanello d'allarme ... » 150

  5.2 L'attuazione del cosiddetto «protocollo della Farnesina» ... » 160

   5.2.1 Le prime attività dell'ambasciata d'Italia e i contatti con la famiglia ... » 160

   5.2.2 Le valutazioni relative all'annuncio della notizia di scomparsa ... » 166

  5.3 Il flusso delle informazioni dal Cairo a Roma ... » 172

  5.4 I contatti con le autorità egiziane da parte dell'Ambasciata a partire dalla denuncia ... » 175

6. IL RITROVAMENTO DEL CORPO DURANTE LA VISITA MINISTERIALE ... » 180

  6.1 «L'affinamento» della missione del MISE. Il colloquio Al Sisi-Guidi ... » 180

  6.2 Il ruolo decisivo dell'Ambasciatore d'Italia nel riconoscimento del cadavere e la scelta di interrompere la visita ministeriale ... » 183

  6.3 Ipotesi circa il ritrovamento (coincidenza/circostanza?) ... » 189

7. LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA CON L'EGITTO ... » 191

Pag. 5

  7.1 Questione dell'assenza del trattato bilaterale e rilievi consuetudinari ... » 191

  7.2 Arrivo del team investigativo nell'ambito della cooperazione di polizia ... Pag. 194

  7.3 Avvio dei rapporti tra magistratura italiana ed egiziana ... » 196

   7.3.1 La fase positiva del dialogo ... » 198

   7.3.2 La seconda faccia della cooperazione, il dialogo apparente ... » 200

  7.4 L'autopsia: perizia egiziana vs. perizia italiana ... » 202

  7.5 I depistaggi delle forze di sicurezza egiziane ... » 204

  7.6 Le rogatorie attive e passive ... » 216

  7.7 La vicenda dei video della metropolitana e le mancate risposte della magistratura egiziana ... » 217

8. I RISULTATI DELLE INDAGINI E LE REAZIONI EGIZIANE ... » 225

  8.1 La ricostruzione della Procura della Repubblica di Roma ... » 225

  8.2 L'iscrizione nel registro degli indagati e la questione dell'elezione di domicilio ... » 228

  8.3 L'atto finale della cooperazione giudiziaria ... » 234

  8.4 Analisi del memorandum egiziano del dicembre 2020 ... » 238

  8.5 L'ultimo depistaggio: il video su Youtube e Facebook «The Story of Regeni» ... » 256

  8.6 Il rinvio a giudizio e lo stato del procedimento ... » 268

9. LA VICENDA DI GIULIO REGENI NELLE RELAZIONI ITALO-EGIZIANE ... » 271

  9.1 Italia ed Egitto nel quadro geopolitico del Mediterraneo ... » 271

  9.2 Il richiamo dal Cairo dell'ambasciatore Massari l'8 aprile 2016 ed il periodo di assenza dell'ambasciatore d'Italia al Cairo ... » 274

  9.3 Il ritorno dell'ambasciatore al Cairo (14 settembre 2017) ... » 277

  9.4 Visite e rapporti politici bilaterali dopo il ripristino delle normali relazioni diplomatiche ... » 283

  9.5 I rapporti commerciali bilaterali ... » 294

  9.6 Le esportazioni verso l'Egitto di sistemi d'arma e la vendita delle FREMM ... » 297

  9.7 Le relazioni bilaterali nei media egiziani ... » 299

10 IL VERSANTE INGLESE: LA MISSIONE A CAMBRIDGE ... » 308

  10.1 Le indagini della Procura della Repubblica di Roma e la collaborazione con le autorità britanniche ... » 308

  10.2 L'Università di Cambridge ... » 311

  10.3 La supervisor, Maha Abdelrahman ... » 313

11 LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN EGITTO E I SUOI RIFLESSI SU GIULIO REGENI ... » 315

  11.1 Il controllo delle ONG e degli attivisti per i diritti umani ... » 315

  11.2 Leggi repressive e situazione dei media ... » 319

  11.3 L'aumento delle incarcerazioni e il fenomeno delle sparizioni forzate ... » 324

   • Il caso di Patrick Zaki ... » 330

Pag. 6

  11.4 Il caso del cittadino francese Éric Lang ... » 331

12. MOBILITAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE PER LA VERITÀ E LA GIUSTIZIA ... Pag. 335

  12.1 La campagna italiana. Verità e Giustizia per Giulio Regeni ... » 335

  12.2 La mobilitazione di Cambridge e del mondo accademico ... » 337

  12.3 L'altro Egitto: le critiche della stampa egiziana alla gestione del caso da parte del regime e l'empatia della società civile nei confronti di Giulio Regeni ... » 342

13. INIZIATIVE EUROPEE E INTERNAZIONALI ... » 346

  13.1 Le istituzioni europee e la diversità degli atteggiamenti degli Stati membri ... » 346

  13.2 Risoluzioni del Parlamento europeo e reazioni egiziane ... » 350

  13.3 L'implementazione del Magnitsky Act ... » 355

  13.4 Interventi sull'Egitto del Consiglio ONU per i diritti umani ... » 357

14. GLI STRUMENTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: LA CONVENZIONE ONU CONTRO LA TORTURA ... » 358

15. LA SICUREZZA DEI RICERCATORI ITALIANI ALL'ESTERO ... » 363

  15.1 Rilievi critici ... » 364

  15.2 Situazione attuale ... » 365

  15.3 Proposte ... » 366

PARTE TERZA

CRONOLOGIA RAGIONATA DEI FATTI ... » 371

1. Dall'arrivo al Cairo al giorno prima della scomparsa (9 settembre 2015-24 gennaio 2016) ... » 372

2. Dalla scomparsa al ritrovamento (25 gennaio-3 febbraio 2016) ... » 381

3. Dall'avvio delle indagini ad oggi (4 febbraio 2016-14 ottobre 2021) ... » 386

ALLEGATO: Tabella delle Audizioni ... » 458

Pag. 7

AVVERTENZA

  Con delibera del 30 aprile 2019, pubblicata nella «Gazzetta Ufficiale» n. 110 del 13 maggio 2019, la Camera dei deputati ha istituito la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, approvando le proposte abbinate presentate dai deputati De Carlo e Palazzotto (Doc. XXII n. 36-A e abb.). La Commissione, insediatasi il 3 dicembre 2019, ha svolto audizioni dal 17 dicembre 2019 al 30 settembre 2021.

  A fronte del lavoro svolto e della documentazione raccolta, la Commissione ha ritenuto opportuno articolare la relazione conclusiva in modo da darne conto in modo ampio e circostanziato, mettendo in luce introduttivamente le questioni più salienti.

  La relazione si compone pertanto di tre parti. Nella prima parte si delineano i risultati conseguiti dalla Commissione, con particolare riferimento agli esiti della cooperazione giudiziaria tra Italia ed Egitto, all'esercizio della pressione diplomatica, alla ricostruzione della vicenda accaduta al Cairo.

  Nella seconda parte si analizzano in capitoli specifici i temi affrontati, sullo sfondo della ricostruzione del contesto egiziano. Si dà infine conto del lavoro fatto sul tema della sicurezza dei ricercatori italiani all'estero e sulle relative proposte.

  La terza ed ultima parte consiste di una cronologia ragionata, di cui la Commissione si è avvalsa nel corso della sua attività d'inchiesta. Se ne è considerata opportuna la pubblicazione al fine di offrire all'opinione pubblica un utile strumento di studio e di conoscenza.

Pag. 8 Pag. 9

PARTE PRIMA

I RISULTATI DELL'INCHIESTA

Pag. 10 Pag. 11

  La responsabilità del sequestro, della tortura e dell'uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d'Egitto, e in particolare su ufficiali della National Security Agency (NSA), come minuziosamente ricostruito dalle indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Roma. Al riguardo, il quadro probatorio, formatosi nel corso della prima fase della cooperazione giudiziaria, è stato consolidato inequivocabilmente da numerose e convergenti testimonianze anche oculari.
  Nel corso dei suoi lavori, la Commissione ha potuto accertare il qualificato e straordinario ruolo svolto dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, efficacemente supportati dagli ufficiali di polizia giudiziaria del ROS dell'Arma dei Carabinieri e dallo SCO della Polizia di Stato. Nonostante la difficoltà evidente di perseguire reati commessi all'estero, e in assenza di una convenzione bilaterale in materia di assistenza giudiziaria, gli inquirenti hanno conseguito risultati insperati che costituiscono un importante precedente, anche alla luce della crescente esigenza di tutela dei connazionali all'estero nell'epoca della globalizzazione.
  In tutto il loro corso, decisivi contributi alle indagini sono venuti dall'attività della famiglia Regeni e dello studio legale che la rappresenta. I Regeni hanno personalmente testimoniato – in ormai troppi anni di mancata giustizia – un impegno civile non comune che ha riscosso costantemente l'incoraggiamento e il sostegno dell'opinione pubblica, non solo italiana.
  La battuta d'arresto dell'iter processuale, a seguito dell'ordinanza della Corte d'assise di Roma del 14 ottobre 2021, ha natura meramente procedurale e non pregiudica in alcun modo le conclusioni cui è giunta la magistratura inquirente, pienamente condivise con questa Commissione alla luce dell'ampia inchiesta svolta e della documentazione acquisita.
  Gli sforzi diplomatici profusi dal Governo per l'acquisizione dell'elezione di domicilio degli imputati si sono rivelati infruttuosi, nonostante le missioni ad hoc svolte al Cairo nel novembre dello scorso anno dall'ex ministro Minniti – in qualità di inviato speciale del Presidente del Consiglio – per superare la condizione di stallo grazie alla sua esperienza pregressa.
  La mancata comunicazione da parte egiziana non si risolve quindi nella mera «fuga dal processo» ma sembra costituire una vera e propria ammissione di colpevolezza da parte di un regime che sembra aver considerato la cooperazione giudiziaria alla stregua di uno strumento dilatorio finalizzato a recuperare il precedente livello delle relazioni bilaterali, e non certo la via maestra per assicurare alla giustizia gli assassini di Giulio Regeni.

1. Luci e ombre della cooperazione giudiziaria.

  A questo proposito, è indubbio che, nell'ambito di tale cooperazione, e soprattutto nella fase in cui l'Ambasciatore d'Italia al Cairo era stato richiamato, la procura egiziana abbia fornito importanti materiali a quella italiana (segnatamente la registrazione del colloquio di Giulio Regeni con il sindacalista Said Abdallah ed i tabulati telefonici). Si tratta di acquisizioni rilevanti che si devono soprattutto alla sagacia Pag. 12degli inquirenti romani che hanno saputo individuare una modalità di approccio alla controparte cairota, ma anche al fatto che all'interno della magistratura egiziana fosse inizialmente ancora operante una tradizione giuridica risalente.
  Ma è altrettanto indubbio che la maggior parte delle rogatorie italiane è rimasta senza risposta e che non sono state artatamente prodotte le prove che avrebbero potuto essere definitive, come ad esempio i video della metropolitana del Cairo, da cui sarebbe potuta venire l'evidenza di quanto occorso a Regeni nell'ora del suo ultimo contatto telefonico che lo localizzava in stazione. È risultato a tratti surreale per questa Commissione ricostruire la faticosa trattativa per il loro recupero, amaramente conclusasi nella rilevazione che, proprio negli orari di interesse per il caso, le registrazioni si interrompessero, a fronte del fatto che invece, nell'immediatezza dell'evento, gli egiziani avessero dichiarato di aver visionato i video e di non avervi riconosciuto il giovane ricercatore, salvo ovviamente mai condividere le immagini con la parte italiana! Dalle indagini tecnico-scientifiche, emerge peraltro la quasi certezza della manomissione dei relativi file di log, sulla base delle varie anomalie riscontrate sempre a ridosso degli orari più significativi.
  Peraltro, sin dall'arrivo al Cairo degli investigatori italiani nel febbraio 2016, come riferito a questa Commissione, i loro margini di attività sono stati talmente ristretti e sottoposti al penetrante controllo degli omologhi egiziani da far considerare la loro compresenza alle indagini poco più di un'operazione di facciata. Appare veramente singolare che proprio quando, il 24 marzo 2016, il team investigativo italiano si apprestava a rientrare in Italia certificando l'inutilità della sua presenza al Cairo, si sia verificato, come un coup de théâtre, il più eclatante tentativo di depistaggio inscenato dalla parte egiziana per chiudere il caso addossandone la responsabilità ad una banda criminale asseritamente dedita a derubare cittadini stranieri, i cui membri venivano peraltro provvidenzialmente uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia.
  È nota la pronta reazione italiana a questa vera e propria provocazione, che di lì a pochi giorni sfocerà nel richiamo dell'ambasciatore. Meno noto è che allora la magistratura egiziana stessa sembrerebbe essersi resa conto dell'enormità dell'accaduto, aprendo, pur senza esito, un'inchiesta sugli eccessi compiuti dalla polizia. Risultano peraltro alla magistratura italiana dichiarazioni circa il fatto che i documenti personali di Giulio Regeni sarebbero stati collocati sulla scena del crimine dagli stessi poliziotti.
  In aperto contrasto con tale pur timida consapevolezza, a più di cinque anni di distanza, la tesi della responsabilità di quella banda criminale, almeno di furto ai danni dello studente, è stata riproposta con inopinata tenacia dalla Procura generale della Repubblica araba d'Egitto nel memorandum trasmesso alle autorità italiane a fine 2020 per rigettare integralmente e recisamente le conclusioni della Procura della Repubblica di Roma, nonostante che solo un mese prima, nell'ultimo incontro bilaterale, fosse stato emesso un comunicato nel segno del rispetto delle reciproche posizioni.
  Quest'ultimo atto della parte egiziana, che peraltro rinvia a non precisate ulteriori indagini l'individuazione dei responsabili della morte Pag. 13di Giulio Regeni, rappresenta la «pietra tombale» della cooperazione giudiziaria, come confermato dal persistente «muro di gomma» sulla questione dell'elezione di domicilio degli imputati. Benché negli ultimi due anni possa essere stato parzialmente imputabile alla pandemia il rallentamento dei contatti diretti tra le due procure, appare decisivo l'avvicendamento intercorso al vertice di quella egiziana, che ha coinciso con la sostituzione di tutti i magistrati precedentemente applicati al caso. Difficile non cogliere in tale circostanza qualcosa di più di un semplice turn over.
  È quindi impossibile non prendere atto che il progressivo ritiro dell'Egitto dalla cooperazione giudiziaria si configurerebbe come «copertura» delle responsabilità degli apparati di sicurezza del regime, primi indiziati del sequestro, della tortura e della morte di Giulio Regeni. A poco giova richiamare l'assenza di un trattato internazionale come causa di una mancata più penetrante collaborazione. Innanzitutto, sul piano politico, ai più alti livelli è sempre stata espressa la massima disponibilità a collaborare. È poi lecito domandarsi come mai, negli ormai non pochi anni trascorsi, almeno come segno di buona volontà non si sia messo mano a finalizzare un accordo che peraltro risultava essere in un avanzato stato negoziale. D'altra parte, sul piano strettamente giuridico, oltre alle norme consuetudinarie del diritto internazionale, l'obbligo dell'assistenza giudiziaria deriva dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ratificata sia dall'Italia sia dall'Egitto. Non a caso, proprio con riferimento a questo strumento internazionale la Procura della Repubblica di Roma fu in grado di radicare il procedimento sull'assassinio di Giulio Regeni, prima che intervenisse una modifica specifica del codice di procedura penale a chiarire il profilo della competenza territoriale (D.L. 67/2016).
  Quanto al versante inglese della cooperazione giudiziaria la Commissione ha potuto constatare come le autorità del Regno Unito abbiano collaborato nel rispetto delle prassi e del diritto internazionale rispondendo alle rogatorie della Procura della Repubblica di Roma. Al contempo la Commissione ha riscontrato come le diversità procedurali abbiano in un primo tempo rallentato l'avvio della collaborazione facendo mettere in dubbio la reale volontà di cooperare da parte inglese tanto da richiedere un'interlocuzione al livello politico tra i Governi dei rispettivi Paesi.

2. L'esercizio della pressione diplomatica nei rapporti bilaterali e nelle sedi multilaterali.

  È quindi pieno diritto dell'Italia continuare a pretendere dall'Egitto fatti e non parole per la verità e la giustizia sulla morte di Giulio Regeni. Fin dal giorno del ritrovamento del cadavere, il Governo ha assunto una posizione molto netta in tal senso, come dimostra l'immediata interruzione della missione in corso al Cairo dell'allora ministra dello Sviluppo economico, concordata con la Farnesina e con Palazzo Chigi. Analoga determinazione è stata dimostrata ricorrendo al richiamo dell'ambasciatore al Cairo, dall'aprile 2016 all'agosto 2017. A tutt'oggi, con il pieno sostegno dell'opinione pubblica, il Governo dichiara che i rapporti bilaterali non potranno essere ripristinati ai precedenti livelli finché non saranno puniti i responsabili della morte Pag. 14di Giulio Regeni. Tutti gli interlocutori politici e diplomatici ascoltati dalla Commissione hanno ribadito come la «qualità» delle relazioni italo-egiziane sia subordinata al caso Regeni e che le relative potenzialità non vengono implementate. Al tempo stesso, sia dal ministro degli esteri in carica all'epoca del rientro al Cairo dell'ambasciatore sia dal ministro attualmente in carica, è stato definito «ineludibile» per l'Italia il rapporto con l'Egitto alla luce del quadro geopolitico mediterraneo e mediorientale, con riferimento alla questione migratoria, alla lotta al terrorismo, all'instabilità della Libia e a tutti gli altri conflitti regionali.
  In tutta evidenza, a fronte della sempre più marcata reticenza delle autorità egiziane, l'esercizio della pressione diplomatica, anche a livello europeo, resta la più efficace risorsa a disposizione del Governo. Lo ha dimostrato, a suo tempo, l'esperienza del richiamo a Roma dell'allora ambasciatore al Cairo. Successivamente, anche in forza dell'esplicito mandato ricevuto nella lettera di missione, l'invio in Egitto del nuovo ambasciatore avrebbe dovuto consolidare i risultati positivi suscitati dalla precedente scelta sul piano della cooperazione giudiziaria, come in effetti in un primo tempo avvenuto con il rilascio del fascicolo processuale da parte egiziana.
  La Commissione ha potuto però accertare come, a partire dal 2018, le relazioni bilaterali tra i due Paesi abbiano subito una nuova evoluzione iniziando un lento processo di normalizzazione testimoniato dalla ripresa di visite ad alto livello che seppur caratterizzate dalla richiesta di cooperazione sulla ricerca di verità e giustizia hanno ingenerato un equivoco destinato a segnare una soluzione di continuità gravida di conseguenze per gli sviluppi del caso Regeni.
  Se dalla parte italiana la ripresa dei contatti ad alto livello era intesa come ulteriore forma di sensibilizzazione della leadership egiziana alla soluzione del caso nell'auspicio di un rinnovato partenariato strategico, nella controparte si è invece ingenerata l'opinione che la questione fosse chiusa o almeno confinata ad una dimensione laterale, consentendo di tornare al business as usual.
  È un fatto accertato dalla Commissione che tale opinione sia andata sempre più consolidandosi al Cairo, basandosi in particolare sulla crescente collaborazione necessitata dal dossier libico (ci si riferisce in modo specifico alla partecipazione del presidente Al-Sisi alla conferenza di Palermo), fino ai giorni nostri, in cui la comunità internazionale, per iniziativa degli USA, assegna all'Egitto, senza che risulti alcuna osservazione da parte italiana, l'organizzazione della COP27 per il prossimo anno.
  Proprio con riferimento alla solidarietà sul piano internazionale, la Commissione non può non denunciare il sostanziale isolamento dell'Italia nel rivendicare dal Cairo comportamenti concludenti sull'accertamento delle responsabilità della morte di Giulio Regeni e sulla punizione dei colpevoli. Sin dall'epoca dei fatti, nonostante il fatto che lo studente fosse affiliato ad uno dei più prestigiosi atenei inglesi, non risulta alcun intervento significativo da parte del Regno unito presso le autorità egiziane, ritenendosi evidentemente assorbente la nazionalità italiana. È superfluo sottolineare che un'immediata e decisa azione congiunta italo-britannica avrebbe potuto esercitare sul Cairo maggiore pressione. Ben altro, come noto, è stato e continua ad essere l'atteggiamento Pag. 15 dell'Italia sull'arresto e la prolungata detenzione dello studente egiziano dell'Università di Bologna, Patrick Zaki, peraltro appartenente alla minoranza religiosa dei cristiani copti.
  Quanto alle sedi multilaterali, è doveroso dare atto che il Governo ha sollecitato a più riprese l'attenzione del Consiglio per i diritti umani in seno alle Nazioni Unite e soprattutto ha posto la questione in ambito UE, da ultimo lo scorso 25 gennaio – in coincidenza fortuita con il quinto anniversario della scomparsa di Giulio Regeni – presso il Consiglio dei ministri degli esteri. Tuttavia, nel migliore dei casi non si è pervenuto che a dichiarazioni di principio, francamente insoddisfacenti, che scontano il dubbio che taluni degli Stati membri non siano esenti da uno spirito di competizione rispetto all'Italia sul piano delle relazioni con l'Egitto e siano quindi interessati al permanere dell'attuale condizione di disagio politico. Questa Commissione ritiene non più procrastinabile, da parte italiana, assumere in sede europea una posizione più assertiva e rivendicativa, anche facendo leva sulle dichiarazioni molto esplicite votate dal Parlamento europeo a sostegno della causa della verità e della giustizia per Giulio Regeni.
  Ritornando agli aspetti bilaterali, la Commissione ha potuto verificare che il raffreddamento delle relazioni con l'Egitto ha certamente ridotto le dimensioni complessive dell'interscambio commerciale, sulla cui dinamica hanno peraltro influito anche altri fattori (sul turismo, ad esempio, incombe tuttora la minaccia degli attentati terroristici, senza poi contare più di recente le conseguenze della pandemia). Risulta ancora non più convocato a livello bilaterale il Business Council. Fanno naturalmente eccezione i risultati dei grandi gruppi industriali, come l'ENI che del resto gioca un ruolo da protagonista nell'economia egiziana, a partire dall'approvvigionamento energetico garantito dal giacimento di gas naturale di Zohr.
  Una cartina al tornasole molto delicata e sensibile, nel contesto delle relazioni commerciali, è rappresentata dall'andamento dell'esportazione dei sistemi d'arma, che come tale ha fatto oggetto di un particolare approfondimento da parte della Commissione. Già all'indomani del colpo di Stato dell'estate 2013 che avrebbe portato al potere il generale Al-Sisi e della strage di Rabaa, l'Italia si era uniformata alle indicazioni del Consiglio dei ministri degli esteri dell'UE volte a limitare le esportazioni di armi leggere utilizzabili a scopi repressivi verso l'Egitto. Negli anni immediatamente successivi alla morte di Giulio Regeni, le esportazioni di armamenti in genere verso l'Egitto si riducono significativamente. Negli ultimi anni invece, anche in sintonia con l'evoluzione in sede europea, l'Italia ha ripreso ad esportare armamenti verso l'Egitto in modo rilevante come mostrano le ultime relazioni al Parlamento (2019-2020). Giova rammentare che la legislazione italiana (L. 185/90) disciplina il commercio dei sistemi d'arma in modo molto attento e scrupoloso, oltre che rispettoso del diritto internazionale e della tutela dei diritti fondamentali, tanto che non sono mancate prese di posizione critiche con riferimento sia alla co-belligeranza dell'Egitto nella guerra in Yemen sia alla situazione generale dei diritti umani in quel Paese, di cui viene monitorato il costante peggioramento. Un altro tema controverso è rappresentato dall'esportazione di armi leggere, in ordine alla loro destinazione a scopi repressivi da parte di un regime a forte valenza securitaria. Pag. 16
  In particolare, l'attenzione della Commissione è stata richiamata dalla complessa operazione di vendita all'Egitto da parte di Fincantieri di due fregate (modello FREMM), già fornite alla Marina militare. Senza naturalmente entrare nella valutazione della ricaduta dell'operazione stessa sul piano nazionale sotto il profilo sia del seppur temporaneo ridimensionamento della flotta sia degli aspetti di natura tecnica e finanziaria, si è proposto prepotentemente alla Commissione il problema del significato politico dell'entità di una simile fornitura, anche per la modalità non proprio consueta di rivendere unità già in uso e per giunta varate e battezzate. Al riguardo, nella persona dell'allora Presidente del Consiglio, sono giunte ampie rassicurazioni circa il permanere del contenzioso aperto con l'Egitto sul caso Regeni, escludendosi ogni ipotesi di normalizzazione delle relazioni bilaterali senza il conseguimento di apprezzabili risultati per la soluzione del caso stesso. L'eccezionalità dell'operazione è stata sottolineata dall'inconsueta procedura di un passaggio politico addirittura in Consiglio dei ministri, preliminarmente al rilascio dell'autorizzazione da parte dell'UAMA (giugno 2020).
  Purtroppo, la Commissione non ha potuto non prendere atto di come negli stessi giorni, non solo l'Egitto continuava a respingere al mittente le richieste italiane di acquisire l'elezione di domicilio dei suoi ufficiali rinviati a giudizio, ma si consumava altresì un ennesimo episodio provocatorio con la consegna in via assolutamente irrituale – ovvero per il tramite di una missione al Cairo del direttore dell'AISE – di alcuni oggetti presuntivamente appartenuti a Giulio Regeni e rinvenuti nel marzo 2016 nell'alloggio a disposizione del capo della banda criminale cui si era maldestramente tentato di addossare la colpa dell'assassinio del giovane ricercatore. A seguito dell'immediata smentita della famiglia che tali oggetti potessero essere appartenuti al congiunto, mentre l'opinione pubblica non poteva che ribadire la sua indignazione, non risulta che da parte del Governo sia stata elevata alcuna forma di protesta.
  D'altra parte, è a far data dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Roma nei confronti degli ufficiali egiziani ritenuti responsabili del sequestro, della tortura e della morte di Giulio Regeni, che i pur costanti sforzi diplomatici esperiti a vari livelli dal Governo non hanno trovato alcuna eco da parte egiziana. A giudizio della Commissione, i rari incontri pur faticosamente programmati tra investigatori e magistrati delle due parti non hanno sortito il benché minimo effetto ed hanno amaramente confermato l'impressione di uno stanco rituale, al pari delle solenni dichiarazioni rese a livello politico in occasioni di appuntamenti istituzionali.
  A maggior ragione a fronte delle accertate conseguenze sull'iter processuale della mancata elezione di domicilio, occorre valutare attentamente, secondo questa Commissione, l'opportunità di un «salto di qualità» nell'esercizio della pressione diplomatica sull'Egitto che faccia superare l'attuale stallo. Non vanno purtroppo in questa direzione alcune recenti notizie accertate dalla Commissione circa la ripresa delle consultazioni, sia pure a livello soltanto tecnico, tra i rispettivi ministeri degli esteri e della difesa.
  In tutta evidenza, la mancata collaborazione delle autorità del Cairo si configura come un'oggettiva ostruzione al naturale decorso Pag. 17della giustizia italiana che reclama un'adeguata presa di posizione politica. È infatti intollerabile che da parte egiziana si ritenga di poter impunemente contravvenire alle più elementari concezioni del diritto ignorando che favorire la celebrazione del processo, ovvero parteciparvi da parte degli imputati, non implicherebbe affatto la sanzione della loro colpevolezza, ma significherebbe soltanto rispettare veramente e non solo formalmente l'ordinamento italiano.
  Il progressivo arroccamento ostruzionistico dell'Egitto nei confronti dell'impegno delle istituzioni italiane per la ricerca della verità e della giustizia sulla morte di Giulio Regeni è ben esemplificato dalla diffusione «ad orologeria», alla fine dello scorso mese di aprile, di un documentario che ricostruirebbe il soggiorno al Cairo del giovane ricercatore, assolvendo da ogni responsabilità le autorità egiziane e riproponendo velatamente le trite allusioni ad una possibile attività spionistica ascrivibile alla sua affiliazione all'Università di Cambridge. Al di là del topos francamente poco più che letterario, qui rileva il fatto che il filmato, la cui realizzazione ha peraltro richiesto la destinazione di un non trascurabile finanziamento, sia stato diffuso sui social media in concomitanza con l'udienza preliminare allo svolgimento del processo e quindi trasmesso da una rete televisiva egiziana notoriamente compiacente. Pur scontandone la sicura buona fede, lascia perplessi che talune personalità italiane politiche e militari, che pure hanno ricoperto importanti incarichi, abbiano potuto farsi coinvolgere in una simile operazione di contro-informazione, questa sì tipica degli apparati di intelligence!
  Finora, l'Italia ha legittimamente seguito la via della cooperazione giudiziaria volta ad individuare i singoli colpevoli della morte di Giulio Regeni ed è bene che vi insista nonostante il sempre più chiaro boicottaggio egiziano che la retorica delle parole pronunciate negli incontri internazionali non può più celare. Ma a livello politico è giunta l'ora di richiamare l'Egitto alle sue responsabilità, in quanto Stato, che sono molto evidenti e pregnanti circa il destino di Giulio Regeni e trascendono quelle personali penalmente rilevanti dei suoi agenti. La Commissione ha ritenuto opportuno indagarle sotto il duplice profilo del contesto dell'apprensione e delle modalità dell'esecuzione del delitto.
  Sotto il primo profilo, assume particolare significato la circostanza che il rapimento di Giulio Regeni sia avvenuto nel quinto anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir, il 25 gennaio 2016, in una giornata in cui la città del Cairo era ferreamente controllata dalle forze dell'ordine e dagli apparati di sicurezza. Come è noto, a quel tempo il governo del presidente Al-Sisi era intento a consolidare la sua presa sulla popolazione, appena reduce dallo svolgimento delle elezioni legislative nel dicembre 2015. L'enorme deterrenza dispiegata rende poco credibile che un'azione criminale ai danni di Giulio Regeni sarebbe potuta accadere senza destare l'attenzione dell'enorme dispositivo di sicurezza schierato nel luogo della sua presunta sparizione, al contrario è possibile ritenere che proprio tale circostanza abbia reso più agevole per gli apparati di sicurezza che già avevano posto sotto stretta sorveglianza il giovane ricercatore (circostanza peraltro ammessa, seppure limitata temporalmente, da parte egiziana) la sua cattura. Pag. 18
  Per quanto concerne le modalità di esecuzione del delitto, l'autopsia svolta a Roma ha drammaticamente confermato, oltre ogni ragionevole soglia di dubbio, non solo l'effettuazione di efferate torture sul corpo del giovane ricercatore, ma anche l'inflizione precisa e quindi consapevole del colpo letale. Come regolarmente documentato dai rapporti di Amnesty International e da Human Rights Watch, sono pratiche comuni negli apparati repressivi egiziani a danno dei propri connazionali, molti dei quali scompaiono senza lasciare traccia.
  È indubbio che, a questo riguardo, la sorte di Giulio Regeni costituisca un'eccezione, essendo lui cittadino italiano e studente britannico, in grado di parlare abbastanza bene l'arabo, ma certamente non confondibile con un egiziano. Non sono infrequenti in Egitto i casi di sparizioni forzate di cittadini stranieri per opera delle forze dell'ordine e anzi le cancellerie ne stavano registrando in quel periodo un'escalation che stava prendendo di mira soprattutto cittadini statunitensi. Ma simili casi si sono di norma conclusi, al peggio, con il rimpatrio ovvero con l'espulsione delle vittime: un grave e doloroso esito soprattutto per un ricercatore universitario a cui viene in tal modo preclusa un'opportunità di studio scientifico e di carriera accademica, ma non una questione di vita o di morte.
  Tra le ipotesi avanzate in proposito, esercita una certa suggestione l'eventualità che il nuovo regime egiziano abbia scientemente voluto sfatare il tabù dell'intoccabilità della vita dei cittadini esteri, occidentali in particolare, e magari inviare, con l'assassinio del Regeni ed il ritrovamento del suo corpo, un cupo segnale di avvertimento ai ricercatori stranieri.
  Tutti gli auditi da parte della Commissione, dai magistrati ai politici, dai diplomatici ai dirigenti dei servizi di sicurezza, hanno a loro volta negato qualsivoglia credibilità alle ricostruzioni complottistiche apparse di tanto in tanto sulla stampa circa interferenze degli apparati di intelligence di stati terzi magari collusi con frange degli apparati egiziani.
  In ogni caso, la Commissione ha ricevuto conferma che Giulio Regeni non era in contatto né con i servizi di informazione italiani né con quelli britannici. La Commissione ha altresì preso atto, sentendo le competenti autorità, che non risulta l'applicazione del segreto di Stato a nessun atto relativo al caso.
  La vicenda Regeni ha in ogni caso dimostrato che esiste anche un altro Egitto che non si rinchiude nell'orgoglio nazionalistico e non si lascia sopraffare dalla propaganda del regime. Lo hanno testimoniato da subito i tanti cittadini egiziani che hanno portato un fiore presso l'ambasciata italiana per rendere omaggio alla memoria dello studente. Quindi è stata la volta degli attivisti per i diritti umani e dei consulenti legali che hanno affrontato carcere e persecuzioni, ma hanno continuato a lavorare per la ricerca della verità e della giustizia sulla morte di Giulio Regeni. Non si può d'altra parte fare a meno di osservare che sono stati anche alcuni cittadini egiziani a fornire agli inquirenti italiani deposizioni volontarie che hanno corroborato gli indizi emersi nel corso delle indagini, dando prova di coraggio civile alla luce delle conseguenze cui potrebbero andare incontro.
  In seno alla stessa magistratura egiziana, non è mancata una componente per cui la cooperazione giudiziaria non è stata un esercizio Pag. 19di stile, a riprova dell'esistenza in Egitto di una tradizione statuale che non può essere ricondotta sic et simpliciter al regime al potere, ma custodisce gelosamente, seppur tenuta ai margini, una cultura delle istituzioni. Ha inoltre destato impressione che nella primavera 2016, sotto la strumentale accusa di blasfemia, sia stato rimosso dal presidente Al-Sisi proprio il ministro della giustizia Ahmed El-Zend, il quale aveva pubblicamente chiesto che si facesse luce sulle vere cause della morte del giovane ricercatore.
  Non è forse un caso che un'espressione ricorrente nei confronti di Giulio Regeni sia la parola araba «Minnena» (ovvero «uno di noi»), proclamata dai giovani attivisti ma anche utilizzata dai vertici istituzionali. Trasferendo questa espressione dalla retorica nella realtà, il rapimento, la tortura e la morte di Giulio Regeni acquisterebbero la drammatica evidenza di accomunarlo al destino subito da tanti cittadini egiziani vittime degli apparati securitari perché ritenuti oppositori del regime.
  La ricostruzione del percorso di formazione e di studi di Regeni, nonché la documentazione acquisita da questa Commissione d'Inchiesta, restituisce infatti il profilo di un giovane studioso, cosmopolita e poliglotta, che ha rappresentato un modello di cittadinanza attiva, curiosa e impegnata culturalmente. Regeni coltiva i suoi interessi in un ambiente familiare ricco di stimoli e di attenzione allo sviluppo della persona; cresce in un territorio «di confine» sino al 1918 fuori dall'allora Regno d'Italia a meno di quindici chilometri dall'attuale frontiera con la Repubblica di Slovenia e manifesta presto interesse e rispetto verso la diversità e la contaminazione culturale, che appare essere un tratto importante e costante della sua personalità in formazione. Regeni sin da giovanissimo ha mostrato intraprendenza, spirito civico e maturità peculiari a tal punto da essere eletto all'età di tredici anni «sindaco dei ragazzi» del proprio Comune dal 2001 al 2003.
  Giulio Regeni, quindi, era e si sentiva un cittadino europeo e del mondo.

3. Il movente dell'omicidio: la ricerca sui sindacati indipendenti e l'intervento degli apparati securitari.

  La Commissione concorda con le conclusioni a cui è pervenuta la Procura della Repubblica di Roma sull'individuazione del movente dell'omicidio di Giulio Regeni con riferimento alla ricerca accademica che egli stava svolgendo sul sindacalismo indipendente in Egitto ed in particolare sull'organizzazione dei venditori ambulanti. Ma non sarebbe bastato il tema in sé ad attrarlo nell'orbita della National Security, se non fosse intervenuta la delazione del sindacalista Said Abdallah a cui il giovane ricercatore si era rivolto in perfetta buona fede, dietro presentazione della referente del Centro per le ricerche economiche e sociali, Hoda Kamel, a cui era stato indirizzato dalla sua tutor presso l'American University of Cairo, Rabab El Mahdi, a sua volta raccomandatagli dalla sua supervisor presso la Cambridge University, Maha Abdelrahman. Non solo quest'ultima, ma tutti i docenti e gli esperti sentiti dalla Commissione escludono che quel tema di ricerca fosse all'epoca percepito come delicato o pericoloso dal punto di vista del regime, che se mai si mostrava preoccupato rispetto ad altri temi Pag. 20come la Fratellanza musulmana che pure erano oggetto di approfondimento da parte di studiosi stranieri. Una ricerca analoga, ma relativa al mondo rurale, veniva svolta da un ricercatore italiano, Francesco De Lellis, di cui il giovane friulano divenne presto amico e sodale negli studi.
  Prima di recarsi al Cairo, Regeni aveva provveduto, con l'avallo della supervisor, ad adempiere correttamente a tutti gli oneri amministrativi allora previsti dall'Università di Cambridge per la valutazione del rischio (risk assessment), prendendo in considerazione le cautele che lo svolgimento della ricerca avrebbe potuto comportare.
  In ogni caso, la documentazione agli atti della Commissione restituisce l'estrema prudenza del giovane ricercatore nella sua vita quotidiana al Cairo, l'attenzione a ogni minimo particolare che potesse metterlo in evidenza, insomma l'assoluta consapevolezza di doversi muovere con i piedi di piombo in un ambiente potenzialmente ostile. In tale ottica, non avrebbe neanche esitato a manifestare perplessità alla sua supervisor – provocandone una risposta ironica e piccata – circa la scelta della tutor locale, in quanto Rabab El Mahdi militava politicamente e, pur appartenendo alla sinistra egiziana, aveva fondato un partito assieme a un candidato presidenziale transfuga dalla Fratellanza musulmana. Benché sia superfluo sottolineare che la docente in questione continui a insegnare all'American University e abbia avuto e abbia tuttora numerosi altri allievi, qui preme evidenziare come Giulio Regeni mettesse al primo posto l'esercizio della massima prudenza.
  Ciononostante, a seguito della delazione alla National Security, egli entra rapidamente nell'orbita degli apparati securitari che tessono alle sue spalle una ramificata ragnatela di informatori senza trascurare le persone a lui più vicine, secondo un costume ben noto ai regimi autoritari fondati sulla costrizione dei loro cittadini a una doppia vita. A ragione, la Procura della Repubblica di Roma anticipa l'inizio di tale attività rispetto a quanto ammesso dalla parte egiziana relativamente a meri controlli di routine che si sarebbero conclusi in pochi giorni senza conseguenze. È pertanto ipotizzabile che l'accanimento su Regeni sia il frutto del combinato disposto tra l'aspirazione ad una ricompensa da parte del sindacalista Said Abdallah – peraltro probabilmente non nuovo ad essere impiegato dai servizi segreti come dimostrerebbe il fatto che fosse in possesso dei contatti giusti per attivarli tempestivamente – e l'aspirazione a fare carriera di un'unità della National Security, desiderosa di recuperare nel nuovo regime il terreno perduto in termini di influenza politica rispetto all'epoca di Mubarak.
  La Procura della Repubblica di Roma ha individuato il potenziale elemento che avrebbe fatto elevare il livello dell'attenzione securitaria nei confronti di Regeni nella proposta da lui avanzata al sindacalista Abdallah di partecipare – per il tramite del Centro per le ricerche economiche e sociali che li aveva messi in contatto – al bando per un finanziamento a progetto, indetto da una fondazione legata ad una rivista geografica avente sede a Cardiff nel Galles (Antipode Foundation), al fine di utilizzare l'importo previsto, pari a diecimila sterline, per rafforzare la sua organizzazione sindacale. Il netto rifiuto da parte di Regeni (che avrebbe poi commentato la cosa con le parole «miseria umana») di consentire al sindacalista di appropriarsi a fini personali Pag. 21di almeno una parte della somma, nell'eventualità dell'aggiudicazione del bando, potrebbe averlo indotto ad aggravare la posizione del giovane italiano presso i suoi interlocutori della National Security.
  D'altra parte, avevano certamente già potuto impressionare i suoi giri nei mercati, effettuati anche prima di esservi accompagnato da Abdallah, e la frequentazione dei venditori ambulanti, in attuazione della metodologia della ricerca partecipata sul campo di cui Regeni era entusiasta fautore, non sfuggendogli concettualmente l'influenza della ricerca stessa sul soggetto dello studio. È da richiamare, in proposito, il buon livello medio dell'istruzione scolastica egiziana per cui gli interlocutori del giovane ricercatore, a partire dallo stesso Abdallah, non sono da considerarsi privi di riferimenti politici e culturali che infatti emergono dagli appunti delle loro conversazioni riassunte dallo stesso Regeni.
  Per quanto concerne l'Antipode Foundation, la Commissione ha potuto accertare che l'interesse del giovane ricercatore potrebbe ricollegarsi al fatto che la rivista di geografia da essa pubblicata ha più volte trattato il tema dei venditori ambulanti sia pure in altri contesti. Né l'Egitto, né il Mediterraneo rappresentano aree di riferimento per la fondazione, le cui dimensioni sono del resto piuttosto limitate, sicché non sembra che essa in quanto tale possa essere stata ritenuta particolarmente sospetta. Interrogata dalla Commissione, la professoressa Abdelrahman ha dichiarato di non ricordare, ma anche di non poter escludere, di avere suggerito – da Cambridge – al suo studente di prendere in considerazione il bando, circostanza che risulterebbe da una mail privata dello stesso Regeni il quale, con tutta probabilità, avrebbe dovuto invece essersi confrontato al Cairo, prima o dopo averne parlato ad Abdallah, sia con Rabab El Mahdi sia con Hoda Kamel, il cui centro avrebbe dovuto peraltro fare da tramite per ricevere il finanziamento.
  È noto quanto il regime egiziano sia particolarmente sospettoso verso i finanziamenti esteri alle locali organizzazioni non governative e li abbia fortemente scoraggiati anche sotto il profilo normativo. Giova tuttavia precisare che il finanziamento in questione rientrava in ambito accademico e quindi non doveva sembrare dissimile, agli occhi di Regeni, rispetto ai tanti bandi a cui aveva fatto domanda frequentemente nel corso dei suoi studi, considerando sempre molto importante assicurarne la sostenibilità ricorrendo a tutte le risorse disponibili.
  Il bando dell'Antipode Foundation – su istruzione della National Security – è il tema principale della conversazione videoregistrata il 7 gennaio 2016 dal sindacalista Abdallah naturalmente all'insaputa di Regeni. Pur non celando i suoi personali riferimenti politico-culturali, è assolutamente evidente nelle parole dello studente l'estrema prudenza a non dire nulla di compromettente nonostante l'insistenza a condurlo sul terreno politico da parte dell'interlocutore che, a dire il vero, si spinge talmente oltre da lasciare forse trapelare qualche sospetto in Regeni, appena rientrato al Cairo dalle vacanze di fine anno e già determinato ad essere ancora più cauto dopo l'impressione ricevuta dall'essere stato inopinatamente fotografato da una giovane egiziana velata nel corso di una riunione sindacale l'11 dicembre 2015.
  Non si può, peraltro, escludere che la National Security fosse venuta a conoscenza del particolare interesse per quella riunione dello Pag. 22stesso Regeni e del De Lellis che ne avevano scritto una cronaca politicamente impegnata in italiano pubblicata a metà gennaio, sotto pseudonimo, sul sito Nena News, dopo il rifiuto de «il Manifesto» di stamparla senza i veri nomi degli autori. Ne stavano infatti curando anche una versione in inglese con la collaborazione dell'amica e collega Noura Wahby, poi risultata coinvolta nella rete di informatori costruita intorno a Giulio Regeni. Quanto l'articolo rivestisse interesse per i servizi egiziani è stato confermato ex post dal fatto che uno dei motivi che suggerì l'immediato allontanamento dal Cairo del professor Gennaro Gervasio fu la contestazione fattagli nel corso di un interrogatorio – dopo la morte di Giulio Regeni ed il ritrovamento del suo cadavere – di esserne stato il coautore assieme al giovane friulano, a seguito della pubblicazione postuma poi avvenuta su «il Manifesto».

4. La scomparsa di Giulio Regeni e il ritrovamento del suo corpo.

  La figura di Gennaro Gervasio – docente presso la British University del Cairo, autore di importanti testi sulla realtà politico-sociale egiziana e punto di riferimento riconosciuto nella comunità degli studiosi internazionali e in particolare degli italiani – assume un rilievo decisivo perché sarà lui a dare l'allarme della scomparsa di Giulio Regeni, dopo il mancato appuntamento serale, segnalandola immediatamente all'ambasciatore Maurizio Massari, oltre che agli amici più vicini dello stesso Regeni per dare il via alle ricerche. La tempestività della segnalazione, e la contestuale attivazione della filiera diplomatica, è senz'altro eccezionale, ma assolutamente congruente, oltre che alla dinamica temporale della scomparsa (l'appuntamento mancato era stato concordato solo una ventina di minuti prima), alla nota attitudine del regime egiziano alla pratica delle cosiddette «sparizioni forzate», ben nota alla locale ambasciata che si era trovata ad affrontarla in diverse precedenti occasioni.
  È poi indubbio che un fattore di massima preoccupazione sia stato rappresentato dalla coincidenza con la data del quinto anniversario della rivoluzione di Piazza Tahrir. Rivelatesi ben presto infruttuose le verifiche di rito (come ad esempio il giro degli ospedali), l'ipotesi dell'apprensione da parte delle forze di sicurezza si evidenziò da subito come la più probabile, anche alla luce del quadro notiziale da più fonti attinto, ivi incluso il locale centro AISE interessato peraltro dall'ambasciatore Massari appena informato della scomparsa.
  Che la data del 25 gennaio riconduca inequivocabilmente ad un'azione degli apparati securitari è confermato dalla circostanza che, nella conversazione videoregistrata del 7 gennaio, il sindacalista Abdallah, all'uopo istruito dalla National Security Agency, provochi ripetutamente Giulio Regeni a programmare una protesta dimostrativa in quella data, offrendosi di mettere a disposizione gli iscritti al suo sindacato in cambio di un anticipo della somma da parte dell'Antipode Foundation. Ne consegue l'elevata probabilità che l'agenzia egiziana abbia quindi esercitato in tale giornata una stretta vigilanza sul Regeni, mettendo anche sotto controllo la sua utenza telefonica e pertanto venendo a conoscenza della decisione di incontrarsi col Gervasio per andare assieme a trovare un noto intellettuale.
  L'azione tempestiva ed incisiva dell'Ambasciata d'Italia al Cairo, sin dalle prime battute del caso, è stata condotta senza tralasciare alcunché, Pag. 23 muovendosi in tutte le direzioni. Sotto il profilo politico, sono stati attivati i contatti con i più autorevoli interlocutori egiziani disponibili e la questione è stata immediatamente segnalata sia al Ministero degli Esteri che alla Presidenza del Consiglio per ogni opportuna iniziativa. Sono state attivate altresì fonti confidenziali che hanno contribuito ad arricchire il quadro informativo. Emerge al riguardo una netta discrasia tra il dialogo in ogni caso instauratosi con il versante diplomatico egiziano – da cui infatti perverrà la notizia del ritrovamento di un corpo che avrebbe potuto essere quello di Giulio Regeni – e l'inconsueta chiusura – alla luce dei rapporti pre-esistenti – manifestata dal Ministro degli Interni, Ghaffar da cui dipende la NSA, sia nel rifiutarsi per più giorni di ricevere l'ambasciatore Massari sia nel trincerarsi poi in uno sprezzante silenzio.
  A questo proposito, la Commissione ha accertato che l'Ambasciata al Cairo non si è limitata a seguire il protocollo «informale» che la Farnesina prevede in tali casi – non sussistendo in materia linee-guida codificate in ragione dell'estrema varietà delle situazioni poste all'attenzione dei competenti uffici ministeriali (Unità di crisi, Direzione generale per gli italiani nel mondo) – ma ha agito con solerzia ed abnegazione anche affrontando momenti di significativa contrapposizione con la controparte egiziana, come nel caso della presentazione della denuncia di scomparsa e soprattutto nella visita all'obitorio per l'identificazione del cadavere, pur in assenza della prescritta autorizzazione. A tale gesto, la Commissione ritiene di poter ascrivere la possibilità di aver acclarato le torture subite dal giovane ricercatore che avrebbero potuto essere occultate se non ci fosse stato un tale intervento.
  Parallelamente all'azione diplomatica, il centro AISE del Cairo ha ininterrottamente seguito il caso, non solo interloquendo con i cosiddetti «servizi collegati», ma cogliendo l'occasione di esercitare ulteriori pressioni durante due visite di alto livello già programmate per altri scopi. Ne conseguiva una contraddizione in termini tra le reiterate negazioni ufficiali di tutti e tre i servizi di sicurezza egiziani e le informazioni confidenziali via via raccolte che confermavano invece il rapimento del Regeni – peraltro non noto alla stessa AISE fino alla sua scomparsa – da parte loro. Ferma restando la rigorosa applicazione delle procedure interne, la Commissione ha dovuto prendere atto del sostanziale disallineamento tra la filiera diplomatica, in cui il caso è stato immediatamente posto all'attenzione del livello politico, e quella dell'intelligence, in cui il livello politico è stato sensibilizzato soltanto il 31 gennaio. È stato altresì verificato che la notizia del rinvenimento del corpo di Regeni è giunta prima all'ambasciata che al centro AISE, nonostante che fosse in corso nelle stesse ore una visita al Cairo del direttore di quell'agenzia il quale poco prima era nuovamente e decisamente intervenuto sui suoi interlocutori sollecitando la rapida soluzione del caso. Una simile circostanza – assolutamente contrastante con i tradizionali rapporti di consultazione e di collaborazione esistenti tra i due Paesi in tale delicato comparto – suscita non poche perplessità circa la buona fede della controparte.
  Nella stessa giornata del 3 febbraio, si stava svolgendo al Cairo la missione della Ministra per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, da tempo programmata, che il Governo aveva deciso di mantenere anche Pag. 24per avere l'opportunità di inviare al regime egiziano il segnale politico della sua attenzione al caso. Il colloquio privato tra la ministra e il presidente Al-Sisi, a margine del programma bilaterale, ha fatto registrare da parte egiziana, al più alto livello, la consapevolezza dell'importanza che l'Italia annetteva al ritrovamento di Giulio Regeni.
  Come già detto, la missione sarebbe stata sospesa da parte italiana a seguito del ritrovamento del corpo del giovane ricercatore. In proposito, è da rilevare la reazione molto stupita e negativa della parte egiziana, manifestatasi anche attraverso gli ostacoli pratici frapposti alla ripartenza dell'aereo per Roma nella notte, oltre che le note di protesta diplomatica. Ne potrebbe derivare l'impressione che per gli egiziani aver fatto ritrovare Giulio Regeni fosse da considerarsi sufficiente a chiudere il caso e a riprendere il normale andamento delle relazioni bilaterali. In ogni caso, gli elementi raccolti dalla Commissione tendono ad escludere la casualità del ritrovamento stesso, non solo perché l'occultamento di un cadavere avrebbe potuto avvenire in ben altro modo, ma anche per la vicinanza ad una sede degli apparati di sicurezza, circostanza pregnante come che la si voglia interpretare.
  Nei giorni della scomparsa, non solo le istituzioni italiane hanno cercato Giulio Regeni. Per dovere d'ufficio, si è mossa l'American University del Cairo, in quanto il ricercatore risultava accademicamente affiliato ad essa. Non ne emergeva tuttavia alcuna risultanza ufficiale, benché risulti a questa Commissione che l'incaricato per la sicurezza dell'ateneo – in cui si forma buona parte della classe dirigente egiziana – abbia effettuato un sopralluogo personale presso la sede della National Security.
  Tutta la rete degli amici, colleghi di Giulio Regeni si mobilita inoltre nelle ricerche, a cominciare dalla supervisor di Cambridge, la professoressa Maha Abdelrahman, la cui corrispondenza elettronica documenta un incessante sforzo di sensibilizzazione a tutti i livelli, che tuttavia non sfocia in una presa in carico ufficiale della questione da parte di quell'università così da indurre il governo britannico ad assumere un'iniziativa presso le autorità egiziane, ritenendosi evidentemente inopportuno affiancarsi all'Italia sulla questione. In tale ambito, le notizie dall'Egitto giungono da Noura Wahby, la frequentazione più assidua di Giulio Regeni al Cairo, con toni talmente preoccupati da lasciare apparire confermata l'ipotesi degli inquirenti italiani, tratta dal traffico telefonico, che la stessa ricercatrice fosse stata coinvolta dalla NSA nella «ragnatela» di informatori intessuta ai danni del giovane friulano.
  La mobilitazione di amici e colleghi si svilupperà poi in una campagna sui social media, non appena la notizia della scomparsa sarà stata resa di pubblico dominio. Alcuni tra di loro, ed in particolare la tutor locale, professoressa El-Mahdi, avrebbero espresso nei giorni precedenti l'opinione di anticipare la campagna ritenendola una forma di scalpore che avrebbe fatto pressione sulle autorità egiziane. Prevalse tuttavia l'orientamento di seguire la tempistica dettata dall'ambasciata italiana, che risulta a questa Commissione coerente con le prassi vigenti in casi di questo tipo. Ex post, la scelta dei tempi di divulgazione della notizia è stata oggetto di differenti valutazioni, così come è stato anche lamentato un certo ritardo nella comunicazione alla famiglia della scomparsa del congiunto. Pag. 25
  La questione che tuttavia più ha richiamato l'attenzione della Commissione è l'incoerenza tra gli eccellenti rapporti bilaterali esistenti all'epoca – essendo stata l'Italia tra i Paesi europei il partner che più si era esposto a sostegno del neo-presidente Al-Sisi – e l'assoluta mancanza di collaborazione manifestatasi sul caso di Giulio Regeni da parte delle autorità cairote, come se fosse soltanto lontanamente immaginabile che un cittadino occidentale possa sparire per così tanti giorni senza lasciare alcuna traccia identificabile da parte di un regime che, nella migliore delle ipotesi, controlla serratamente la vita quotidiana in tutto il paese ed ancor più nella capitale, per di più nei giorni vicini all'anniversario di Piazza Tahrir. Tale atteggiamento risulta politicamente inspiegabile anche perché la parte italiana aveva provveduto immediatamente ad investirne ad alto livello gli interlocutori egiziani, per cui in nessun modo il caso avrebbe potuto essere stato da loro considerato di scarsa importanza. C'è stato insomma tutto il tempo per intervenire e per salvare la vita a Giulio Regeni. La responsabilità di questa inerzia grava tutta sulla leadership egiziana.
  Fino alla morte di Giulio Regeni, la cittadinanza estera era considerata una sorta di condizione privilegiata per svolgere una ricerca in Egitto al riparo almeno dalle più efferate conseguenze che gli apparati repressivi avrebbero potuto apprestare, essendo la peggiore prospettiva rappresentata dal rimpatrio, prospettiva evidentemente da scongiurare in ogni caso perché avrebbe compromesso il lavoro accademico in corso. L'essere cittadino italiano ispirava forse una maggiore fiducia nello stesso Regeni, in considerazione dell'eccellente stato delle relazioni italo-egiziane.
  L'inchiesta svolta dalla Commissione ha corroborato le indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Roma, confermandone integralmente l'impianto accusatorio anche se la reticenza della parte egiziana non ha consentito sinora di chiarire le dinamiche interne agli apparati di sicurezza del regime e quindi di individuarne penalmente i livelli di responsabilità. Molti elementi raccolti suffragano tuttavia l'ipotesi di una latente conflittualità tra i diversi servizi di intelligence, rinviando alla loro rivalità nel controllo e nella gestione degli spazi del potere politico ed economico, confermata peraltro dallo stato degli studi sull'argomento. Emerge in tale ottica la concomitanza con la strategia di recupero di prestigio da parte della National Security Agency, più favorita ai tempi di Mubarak che non a quelli di Al-Sisi. È emblematico sotto questo profilo l'atteggiamento del ministro Ghaffar, la cui presenza nella sede della NSA sarebbe altresì attestata proprio nelle ore successive alla presentazione della denuncia nei confronti dello studente. La presenza di agenti strettamente collegati a quelli che avevano seguito Regeni nel «montare» il depistaggio della banda criminale – che incredibilmente continua ad essere ancora oggi il fulcro della ricostruzione della vicenda da parte egiziana – è un ulteriore tassello della regia del caso da parte degli apparati securitari, confinando pertanto ad un ruolo poco più che ornamentale l'esercizio della funzione giurisdizionale.
  Mentre non mette conto in questa sede soffermarsi sui tentativi di depistaggio in quanto tali per la loro intrinseca incongruenza, è da menzionare la tesi ricorrente dell'interferenza di Paesi terzi che avrebbero potuto trarre vantaggio da una crisi dei rapporti tra Italia ed Pag. 26Egitto. A parte il fatto che nessun elemento di fatto è emerso al riguardo e che sono stati smentiti da chi di competenza interventi da parte di altri servizi di intelligence, tale tesi si presenta come una sorta di profezia ex eventu, ricavando cioè la causa sottostante dall'effetto successivo. A giudizio della Commissione, la genesi della vicenda, e quindi le cause e le responsabilità della morte di Giulio Regeni, sono interne al regime egiziano ed alla sua condizione, perennemente sospesa tra repressione ed instabilità, soprattutto nel periodo interessato quando la leadership del presidente Al-Sisi era certamente meno salda di quanto lo sia oggi sia all'interno che all'esterno. In via di ipotesi, non è tuttavia possibile escludere del tutto che, ad un certo stadio della vicenda stessa, l'esito finale possa essere stato determinato da frange interne al regime portatrici di interessi ostili all'Italia.

5. Il ruolo dell'Università di Cambridge.

  Un'altra ipotesi, talora ventilata sulla stampa e naturalmente spesso fatta propria dai media egiziani ed infatti ripresa nel documentario diffuso a fine aprile 2021, verte sull'eventualità che Giulio Regeni, anche non consapevolmente, possa essere stato utilizzato da servizi segreti di paesi terzi, ad esempio da quelli britannici.
  La Commissione ha approfondito tale aspetto nel corso dei suoi lavori, avendo avuto modo di registrare come sia nell'ambito delle indagini svolte nel Regno unito dagli inquirenti italiani, sia nelle attività informative dei nostri apparati di intelligence non vi sia alcun elemento che possa suffragare tale ipotesi.
  Inoltre nel corso della missione svolta a Cambridge nel settembre 2021 e delle indagini svolte, la Commissione ha potuto accertare – cosa peraltro abbastanza usuale in tutti i paesi occidentali compreso il nostro – che esistano legami tra il mondo accademico e i servizi di intelligence, ma che questi siano limitati al piano del confronto analitico.
  La missione è stata anche l'occasione per la Commissione, nel prendere atto di quanto sia ancora molto viva in quella comunità accademica la memoria della vicenda Regeni, di chiarire anche altri aspetti su cui si è spesso rivolto il dibattito pubblico in questi anni, ma anche di cogliere le motivazioni intellettuali che avevano indirizzato il giovane studente nel mondo accademico britannico, alla ricerca di una metodologia di ricerca moderna ed innovativa.
  Con riferimento alla procedura della valutazione del rischio, eseguita peraltro con assoluta correttezza e consapevolezza dallo studente ed approvata dalla supervisor e dai competenti organismi universitari, la Commissione ha potuto accertare che quell'ateneo ha significativamente rafforzato tale procedura a seguito del caso Regeni, introducendo in particolare un livello di approvazione di ultima istanza, e che il Dipartimento di scienze politiche e sociali, cui lo stesso Regeni afferiva, ha cessato di inviare ricercatori in Egitto. È tuttavia emerso come il sistema universitario britannico sia prevalentemente orientato a favorire lo svolgimento di soggiorni di studio all'estero anche in condizioni difficili, per non comprimere la libertà della ricerca.
  La missione ha anche consentito alla Commissione di ascoltare la professoressa Maha Abdelrahman, che ha ricostruito nel dettaglio la Pag. 27genesi dei suoi rapporti accademici con Giulio Regeni, ivi inclusa la progressiva definizione e il successivo svolgimento del tema della ricerca di dottorato, sottolineando gli ampi margini di autonomia riservati allo studente. In particolare, la docente, nel ribadire la sua totale estraneità rispetto alla politica egiziana e soprattutto rispetto alla Fratellanza musulmana, ha fatto presente come in Egitto, prima dell'accaduto, continuassero a svolgersi ricerche storiche, sociologiche e politologiche su argomenti anche più compromettenti di quello trattato dal ricercatore italiano.
  Ricevendo tali dichiarazioni nel corso di un ampio ed articolato incontro, la Commissione ritiene che possano dirsi fugati i dubbi circa il ruolo della docente riconducendo l'atteggiamento della professoressa Abdelrahman nel corso di questi anni ad un approccio personale teso ad allontanare da sé il peso della tragedia che ha avuto su di lei un notevole impatto dal punto di vista umano e psicologico.

6. Conclusioni.

  I responsabili dell'assassinio di Giulio Regeni sono al Cairo, all'interno degli apparati di sicurezza e probabilmente anche all'interno delle istituzioni. La via della verità e della giustizia può trovare un correlativo oggettivo solo in presenza di un'autentica collaborazione da parte egiziana. Se nei primi due anni alcuni risultati sono stati faticosamente e parzialmente raggiunti, anche in virtù dell'intransigenza mantenuta dall'Italia, negli anni successivi non sono venute dal Cairo altro che parole a livello politico, mentre la magistratura si è chiusa a riccio in un arroccamento non solo ostruzionistico, ma apertamente ostile e lesivo sia del lavoro svolto dagli inquirenti italiani che dell'immagine del giovane ricercatore, verso cui lo stesso presidente Al-Sisi aveva usato un tono ben diverso.
  A seguito dell'interruzione per i noti motivi procedurali dell'iter processuale, è giunto il momento per il Governo di compiere un passo decisivo presso il governo egiziano perché sia rimosso l'ostacolo che vi si frappone. La mancata comunicazione dell'elezione di domicilio degli ufficiali indagati suona infatti come un'ammissione della loro colpevolezza e non può essere giustificata dall'assenza di un trattato bilaterale di assistenza giudiziaria. Essa non solo smentisce in modo che appare spudorato le dichiarazioni di buona volontà puntualmente esibite dalle autorità egiziane, ma viola le norme consuetudinarie del diritto internazionale e soprattutto la Convenzione della Nazioni Unite sulla tortura ratificata sia dall'Italia che dall'Egitto.
  Si impone, pertanto, a giudizio della Commissione, un atto deciso e conseguenziale da parte del Governo, che sia rispettoso degli impegni assunti con la famiglia Regeni, con il Parlamento e con l'opinione pubblica, oltre che coerente con l'atteggiamento tenuto sin dall'inizio della vicenda dall'esecutivo in carica e ribadito da quelli successivi. Al riguardo, la Commissione non ha potuto fare a meno di raffrontare tale atteggiamento a quello assunto in casi analoghi da altri paesi, come ad esempio con riferimento alla morte in una prigione del Cairo del cittadino francese Éric Lang, restando sconcertata dall'elevata onorificenza transalpina concessa al presidente egiziano in una recente visita ufficiale. Pag. 28
  Un'azione efficace è richiesta anche al fine di fugare ogni dubbio – inclusa ogni percezione che possa essere stata ingenerata nella controparte – circa il fatto che il semplice decorso del tempo abbia portato alla normalizzazione delle relazioni bilaterali oppure che l'Italia sia sottoposta ad un ricatto dell'Egitto in quanto stake-holder regionale.
  Questa Commissione ha infatti valutato attentamente la complessità delle relazioni tra Italia ed Egitto ed è consapevole di quanto queste siano delicate sotto il profilo degli equilibri geopolitici e della stabilità regionale. Tale rilevanza strategica, alla luce dell'atteggiamento tenuto dalla controparte egiziana in questa vicenda, richiede quindi che le relazioni italo-egiziane siano affrontate e orientate nel loro complesso assumendo una posizione più chiara e determinata, elevando il livello del confronto politico con l'Egitto al fine di riaffermare chiaramente che per il nostro Paese l'esigenza di assicurare alla giustizia i responsabili dell'omicidio di Giulio Regeni investe direttamente l'interesse nazionale al pari delle questioni di natura geopolitica e strategica.
  È indubbio che l'esercizio della pressione diplomatica trarrebbe maggiore forza da un impegno concomitante a livello europeo ed internazionale. Nel dare atto al Governo di essersi adoperato in merito in diverse sedi, ed in particolare nel Consiglio dei ministri degli esteri dell'UE, la Commissione ritiene tuttavia che vi siano ancora ampi margini da utilizzare, ivi incluso il Consiglio europeo, per accrescere l'assertività della posizione italiana e rivendicare l'effettiva solidarietà degli Stati membri.
  A livello europeo sembra utile valutare l'applicazione del cosiddetto Magnitsky Act, con riferimento alle torture subite da Giulio Regeni, considerato che tale strumento offre la possibilità di applicare specifiche misure contro chi viola i diritti umani.
  La Commissione ritiene inoltre che il caso in questione richieda una ulteriore riflessione, sempre nel quadro UE, sulla questione delle importazioni egiziane di armi leggere, onde evitare che queste siano usate a fini repressivi.
  Infine, la Commissione, con il supporto di autorevoli studiosi di diritto internazionale, ritiene che l'Italia sia legittimata a richiamare l'Egitto al rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura, aprendo pertanto una controversia internazionale ai sensi dell'articolo 30 della predetta Convenzione. Tale opzione si tradurrebbe in un atto dovuto, se l'Egitto continuasse a non comunicare il domicilio degli imputati, violando platealmente gli obblighi liberamente pattuiti in ordine all'assistenza giudiziaria (articolo 9) ed allo svolgimento di «un'inchiesta imparziale, quando vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione» (articolo 12).

* * *

  La delibera istitutiva di questa Commissione del 30 aprile 2019 prevedeva altresì il compito di indicare soluzioni atte ad «incrementare i livelli di protezione delle persone impegnate in progetti di studio e di ricerca all'estero, in funzione di prevenzione dei rischi per la loro sicurezza e incolumità». La Commissione ha dunque proceduto, a Pag. 29latere del filone principale dell'inchiesta, ad approfondire i diversi aspetti connessi a tale problematica attraverso un ciclo di audizioni che ha visto coinvolti i principali attori sul campo.
  La Commissione è quindi giunta alla determinazione di raccomandare un intervento normativo che dovrebbe contribuire a fare chiarezza su ruoli, competenze e responsabilità dei diversi soggetti coinvolti a vario titolo nelle diverse fasi della procedura che porta gli studenti a svolgere un periodo di ricerca all'estero, ferma restando la libertà accademica da tutelare ricorrendo a convenzioni attuative con i singoli atenei. Inoltre, come è stato sottolineato in diverse audizioni, occorrerebbe introdurre l'obbligo, a carico di chi si rechi all'estero per periodi prolungati, di iscrizione ad un albo conservato presso le ambasciate e i consolati italiani, ad integrazione dell'obbligo d'iscrizione all'AIRE ove ne ricorrano i requisiti. In tal modo si verrebbe a delineare un preciso quadro di riferimento entro il quale realizzare i programmi di ricerca all'estero da parte delle Università e dei dottorandi e rendere altresì possibile l'adozione di interventi in situazioni di pericolo in un quadro di certezza operativa.

* * *

  De iure condendo, anche alla luce della battuta d'arresto subita dall'iter processuale, la Commissione ritiene opportuno raccomandare altresì l'opportunità di una più ampia riflessione in ordine al perseguimento dei reati commessi all'estero in danno di cittadini italiani. Negli ultimi anni, per effetto dell'internazionalizzazione della società contemporanea, l'opinione pubblica è stata scossa da altre morti di giovani italiani in circostanze oscure, come Mario Paciolla in Colombia, Luca Ventre in Uruguay, oppure l'ambasciatore nella Repubblica democratica del Congo, Luca Attanasio ed il carabiniere assassinato assieme a lui, Vittorio Iacovacci. Fermo restando che per le vittime italiane in stragi terroristiche viene a configurarsi un delitto contro la personalità dello Stato, altri casi, forse meno eclatanti dal punto di vista mediatico, hanno comunque recato gravi lutti a famiglie italiane che hanno perso loro congiunti all'estero. In tale contesto evolutivo, almeno per i reati più gravi, sarebbero da meglio precisarsi le condizioni di procedibilità. D'altra parte, le pur doverose garanzie da riconoscersi agli imputati non possono risolversi nella subordinazione della possibilità di celebrare il processo all'assoluta discrezionalità di uno Stato estero. Sono quindi da studiare, ad esempio in materia di elezione di domicilio ai fini degli obblighi di notifica, soluzioni procedurali che contemperino il principio garantista con quello dell'effettività dell'esercizio della giurisdizione.

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PARTE SECONDA

I TEMI DELL'INCHIESTA

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Nota introduttiva

  In conformità ai compiti individuati dalla delibera istitutiva, l'attività della Commissione ha inteso svolgere i propri lavori attenendosi a principi di programmazione, riservatezza e correttezza istituzionale nella collaborazione con i propri interlocutori, in particolare con la Procura della Repubblica di Roma, al fine di non sovrapporsi alle indagini in corso.
  Va rilevato come tutti gli auditi abbiano sempre manifestato una grande disponibilità, accogliendo prontamente l'invito della Commissione. Si sottolinea al riguardo il contributo recato dall'assidua partecipazione da parte dei funzionari diplomatici convocati dalla Commissione stessa.
  Subito dopo la propria costituzione, avvenuta il 3 dicembre 2019, la Commissione ha proceduto all'audizione della Procura della Repubblica di Roma, titolare delle indagini sull'omicidio del ricercatore italiano, e della famiglia Regeni, assistita dall'avvocata Alessandra Ballerini, che in questi anni ha rappresentato un punto di riferimento nella mobilitazione pubblica per la ricerca della verità e della giustizia.
  Tali audizioni hanno fornito alla Commissione le indicazioni essenziali per sviluppare un programma di lavoro strutturato e articolato su una pluralità di filoni di inchiesta diretti ad approfondire gli aspetti politici, diplomatici, accademici ed economici al fine di «raccogliere gli elementi utili per chiarire tutte le responsabilità e le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni».
  Inoltre, l'audizione dell'allora Segretaria generale della Farnesina, ambasciatrice Elisabetta Belloni, ha permesso di compiere una complessiva ed esaustiva ricostruzione dell'azione politico-diplomatica svolta continuativamente dal ministero e dall'ambasciata italiana al Cairo, nel corso degli anni e nell'alternarsi dei responsabili politici e diplomatici coinvolti nella vicenda.
  Nonostante la drastica interruzione dell'attività per due mesi, subita a seguito dell'emergenza pandemica, grazie anche alla delibera della proroga, la Commissione ha potuto seguire un iter coerente e fruttuoso nello svolgimento dei lavori, secondo linee direttrici sinteticamente illustrate nel successivo paragrafo.
  Complessivamente, la Commissione ha svolto 45 audizioni e acquisito all'Archivio in formato elettronico circa 32.000 pagine di unità documentali, in massima parte costituite dagli atti relativi al procedimento penale trasmessi dalla Procura della Repubblica di Roma e da documentazione proveniente dalle articolazioni competenti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ivi inclusa l'UAMA. La Commissione ha altresì richiesto, per economia procedurale, al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – e quindi acquisito – gli elementi raccolti prima della sua costituzione. In ordine al documentario diffuso a fine aprile 2021 (di cui al paragrafo 8.5 di questa parte seconda), la Commissione ha disposto l'effettuazione di accertamenti da parte degli ufficiali di collegamento ad essa assegnati, raccordandosi con le indagini avviate dalla Procura della Repubblica di Roma.

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I filoni dell'inchiesta.

  L'attività della Commissione si è concentrata su cinque filoni fondamentali.
  Il primo filone ha avuto per oggetto la ricostruzione degli eventi occorsi nei giorni del rapimento, della tortura e dell'omicidio di Giulio Regeni al Cairo al fine di raccogliere gli elementi utili per chiarire responsabilità e circostanze che hanno portato alla morte di Giulio Regeni, così come previsto dalla delibera istitutiva.
  Particolare rilievo hanno assunto al riguardo le audizioni dell'allora ambasciatore d'Italia al Cairo, Maurizio Massari, dell'ex Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, della dottoressa Federica Guidi, già ministro dello Sviluppo economico all'epoca dei fatti nonché del ministro plenipotenziario Mario Cospito, allora suo consigliere diplomatico, dell'ambasciatore Michele Valensise, Segretario generale della Farnesina pro-tempore, del dottor Stefano Catani, incaricato d'affari nel periodo di richiamo dell'ambasciatore, del dottor Davide Bonvicini già primo segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo, nonché delle persone allora più vicine a Giulio, il professor Gennaro Gervasio e il collega ricercatore dottor Francesco De Lellis.
  Il secondo filone ha riguardato la verifica degli ostacoli frapposti alla ricerca della verità, nei giorni e nei mesi successivi all'omicidio.
  A tale riguardo, significative sono state le audizioni della Procura della Repubblica di Roma volte alla verifica dell'andamento, degli sviluppi e delle battute d'arresto nella cooperazione giudiziaria, nonché di alcuni componenti della polizia giudiziaria presenti al Cairo nei mesi immediatamente successivi all'omicidio. Grazie alla costante collaborazione con la Procura della Repubblica di Roma, la Commissione ha potuto altresì acquisire rilevante documentazione su molteplici aspetti inerenti alle cause che hanno determinato rallentamenti e ostacoli nella ricerca della verità sulla vicenda. A tale contesto si riferisce, a titolo comparativo, l'audizione dell'avvocato Kempf, legale della famiglia di Eric Lang, un professore ucciso in un carcere egiziano il cui caso presenta alcuni profili di analogia con la vicenda Regeni.
  Il terzo filone di inchiesta ha riguardato l'audizione di tutti i responsabili politici coinvolti nella vicenda, chiarendone atti e condotte adottati, ovvero i Ministri degli Esteri e i Presidenti del Consiglio dei ministri che si sono avvicendati nel corso di questi anni.
  Un segmento di tale ultimo filone ha riguardato l'approfondimento di una vicenda occorsa durante i lavori della Commissione, ovvero le trattative per la vendita di due importanti unità navali (fregate FREMM). Sono stati ascoltati il direttore dell'Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento), ministro plenipotenziario Alberto Cutillo, e il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.
  Sempre nell'ambito del terzo filone si inserisce un secondo segmento di audizioni, particolarmente articolato e complesso, che ha riguardato l'esame dell'attività svolta dai rappresentati del Sistema di informazione per la sicurezza. In particolare sono stati auditi l'Autorità delegata dell'epoca, senatore Marco Minniti, il direttore all'epoca del Dipartimento informazioni per la sicurezza (DIS), ambasciatore Giampiero Massolo (sentito anche come presidente di Fincantieri S.p.A.), e i direttori dell'Agenzia di informazione per la sicurezza esterna (AISE) Pag. 35dottor Alberto Manenti e generali Luciano Carta (sentito anche come presidente di Leonardo S.p.A.) e Giovanni Caravelli.
  Il quarto filone di indagine ha avuto per oggetto l'analisi dell'andamento delle relazioni economiche e commerciali tra Italia ed Egitto e della loro intersezione con considerazioni di natura geopolitica e geostrategica. Rilevano a tal proposito le audizioni del presidente dell'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE), dell'amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi.
  Il quinto filone dell'inchiesta ha avuto per oggetto l'approfondimento del ruolo dell'Università di Cambridge nell'ambito della quale Giulio Regeni ottenne il Master e stava svolgendo l'attività di ricerca sul campo per conseguire il PhD, delle iniziative intraprese da quella istituzione accademica dopo la scomparsa e l'omicidio e dei rapporti tra Giulio e la sua supervisor Maha Abdelrahman. A tal fine la Commissione ha svolto nel settembre scorso una specifica missione in Regno Unito, dove ha altresì avuto modo di prendere contatti con alcuni rappresentanti della Camera dei Comuni e del Foreign Office.
  La Commissione sin dall'inizio dei suoi lavori aveva ipotizzato di svolgere una missione in Egitto. Inizialmente, la pandemia ha impedito di programmare una possibile visita nel Paese. Quando le condizioni sanitarie avrebbero permesso di portare a compimento tale opportunità, l'atteggiamento di progressiva chiusura da parte delle autorità egiziane non ha consentito di poter programmare una missione che garantisse adeguati margini di collaborazione e che fornisse dunque un qualche apporto fruttuoso.
  Uno specifico approfondimento, mediante lo svolgimento di audizioni di esperti e docenti di diritto internazionale, è stato altresì dedicato alla possibilità di intraprendere ulteriori strade per ottenere giustizia e verità sulla vicenda di Giulio Regeni utilizzando rimedi e strumenti offerti dal diritto internazionale consuetudinario e pattizio, in particolare dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. In tale quadro si inserisce anche l'audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia, una delle organizzazioni non governative più attive nella mobilitazione dell'opinione pubblica internazionale.
  Un ulteriore ciclo di audizioni, funzionale all'assolvimento di uno dei compiti che la delibera affida alla Commissione, ha riguardato la individuazione degli strumenti volti a incrementare i livelli di sicurezza e di protezione delle persone impegnate in progetti di studio e ricerca all'estero. Al riguardo sono stati ascoltati il Rettore e alcuni docenti della Università degli studi di Trieste, rappresentati della Società per gli studi sul Medio Oriente (SeSaMO), il professor Maurizio Tira, delegato della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) per gli affari internazionali, e rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia e della Società italiana del dottorato di ricerca.

L'articolazione dei temi.

  Il primo capitolo delinea il profilo culturale di Giulio Regeni, l'impostazione e la conduzione della sua ricerca di dottorato, sullo Pag. 36sfondo della ricostruzione del contesto egiziano, all'indomani della caduta di Mubarak. Dopo aver affrontato la questione della valutazione del rischio (capitolo 2), il terzo capitolo evidenzia l'entrata del giovane ricercatore nell'orbita degli apparati di sicurezza del regime egiziano, approfondendone in proposito le caratteristiche di «Ordine ad accesso limitato». I capitoli 4-6 ricostruiscono, quindi, le fasi della scomparsa, della ricerca e del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni.
  Segue la disamina dettagliata delle alterne vicende della cooperazione giudiziaria (capitoli 7-8), mentre il capitolo 9 illustra l'andamento delle relazioni bilaterali, non solo dal punto di vista della politica italiana, ma anche degli echi nei media egiziani. Il successivo capitolo 10 focalizza il versante inglese delle indagini e il ruolo dell'Università di Cambridge, alla luce della missione ivi svolta nel settembre 2021.
  I capitoli 11-14 ampliano la prospettiva alla situazione dei diritti umani in Egitto, alla mobilitazione della società civile ed alle iniziative in sede europea ed internazionale. L'ultimo capitolo dà conto del lavoro fatto sul tema della sicurezza dei ricercatori italiani all'estero e sulle relative proposte.

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1. PERCHÉ GIULIO REGENI ERA AL CAIRO

1.1 L'interesse per l'Egitto, il mondo e la lingua araba nel percorso degli studi

  Giulio Regeni nasce a Trieste il 15 gennaio 1988 e cresce a Fiumicello Villa Vicentina (in provincia di Udine). La ricostruzione del percorso di formazione e di studi di Regeni, nonché la documentazione acquisita da questa Commissione d'inchiesta, restituisce il profilo di un giovane studioso, cosmopolita e poliglotta, che ha rappresentato un modello di cittadinanza attiva, curiosa e impegnata culturalmente. Regeni coltiva i suoi interessi in un ambiente familiare ricco di stimoli e di attenzione allo sviluppo della persona; cresce in un territorio «di confine» sino al 1918 fuori dall'allora Regno d'Italia, a meno di quindici chilometri dall'attuale frontiera con la Repubblica di Slovenia e manifesta presto interesse e rispetto verso la diversità e la contaminazione culturale, che appare essere un tratto importante e costante della sua personalità in formazione. Per meglio collocare l'origine dell'interesse verso il mondo di Giulio Regeni non va omesso che l'educazione ricevuta in famiglia è stata caratterizzata da numerose esperienze di viaggio che sin dall'infanzia hanno costituito un elemento essenziale e alla base del patrimonio culturale del giovane Regeni, il quale ha mostrato precocemente intraprendenza, spirito civico e maturità peculiari a tal punto da essere eletto all'età di tredici anni «sindaco dei ragazzi» del proprio Comune dal 2001 al 2003.
  Giulio Regeni, quindi, era e si sentiva un cittadino europeo e del mondo. Sin dall'adolescenza manifesta curiosità per l'estero tanto da frequentare il liceo classico con indirizzo linguistico «Francesco Petrarca» di Trieste fino al terzo anno e nel 2005, ancora minorenne e grazie ad una borsa di studio assegnatagli per concorso dalla Regione Friuli Venezia Giulia, si trasferisce a Montezuma (Nuovo Messico – Stati Uniti d'America) per studiare allo Armand Hammer United World College of the American West dove si diploma nel 2007. Regeni entra in contatto con le istituzioni educative dei Collegi del Mondo Unito(1) (United World Colleges – UWC) vivendo in prossimità dell'UWC sito Pag. 38nella città di Duino, località della provincia di Trieste, attigua al comune di Fiumicello. La passione per le lingue straniere, l'intensa quanto precoce esperienza formativa internazionale vissuta già da adolescente e il proponimento di raggiungere – per merito – i traguardi accademici vengono qui sottolineate per meglio tratteggiare, per quanto possibile, attraverso fatti, i contorni di un approccio al mondo che ispirerà il futuro ricercatore.
  Terminato il suo «baccellierato» internazionale nel 2007, Regeni inizia il suo percorso universitario a Leeds, nel Regno unito. Nel sistema anglosassone Regeni ottiene il Bachelor of Arts in Arabic and Politics con votazione First Class Honours in quattro anni come previsto dal piano di studi britannico (2011).
  La passione per la lingua e la cultura araba fiorisce proprio negli anni dei primi studi universitari a Leeds e Regeni, tra il 2008 e il 2009, si reca per la prima volta in Egitto, al Cairo, per un percorso formativo organizzato dall'Università e vi trascorre un intero anno accademico nel «programma di studi all'estero», come partecipante al corso intensivo di arabo moderno standard e dialetto egiziano coordinato dall'International Language Institute. Regeni parlava correntemente quattro lingue (italiano, inglese, spagnolo e arabo), aveva dimestichezza anche del tedesco e il primo intenso contatto con la lingua araba lo ebbe proprio in Egitto.
  Nell'estate del 2010, tra giugno e agosto, Regeni trascorre un breve periodo a Damasco, in Siria, per studiare ulteriormente l'arabo partecipando al corso intensivo di livello medio avanzato tenuto dalla locale università (The Damascus Summer Arabic Program). Nell'anno accademico 2009-2010, nel pieno dei suoi studi all'Università di Leeds, Regeni partecipa al programma Students as Scholars e ha modo di collaborare, non ancora laureato, con ricercatori e accademici «in visita» di altre università come loro «giovane assistente», sperimentando in tal modo l'ambiente della ricerca accademica e iniziando a prendere confidenza con le tematiche del Medio Oriente e dell'economia delle migrazioni alle quali viene introdotto, tra gli altri, dal professor Yasir Suleiman(2) di Cambridge.(3) Nel 2011, sul finire degli studi all'Università di Leeds durante i quali è stato anche eletto presidente dell'Italian Society Student Union dal 2009 sino alla sua laurea, trascorre da giugno a settembre un breve periodo di tempo in Germania come volontario presso l'Institute for Cultural Diplomacy (ICD), un'organizzazione internazionale, senza scopo di lucro e non Pag. 39governativa, con sede a Berlino e viene impiegato nel coordinamento delle conferenze internazionali, nell'assistenza logistica e di ricerca e nelle traduzioni.
  L'esperienza all'Università di Cambridge inizia per il giovane studente nell'ottobre del 2011 allorché si inscrive al Master of Philosophy (MPhil) in Development Studies di un anno. Questo percorso è in larga misura equiparabile – e tuttavia non strettamente sovrapponibile – alla laurea magistrale italiana e include, soprattutto nel sistema britannico, una parte significativa di preparazione alla ricerca, la quale accompagna e prepara lo studente nel successivo dottorato di ricerca (PhD) «Philosophiae Doctor». Gli obiettivi futuri, relativi all'utilità del Master e al progetto di vita dell'allora studente, sono esplicitati molto chiaramente nella sua domanda di ammissione, pur scontando le esigenze burocratiche: «Conseguendo una laurea magistrale in Studi dello Sviluppo a Cambridge, il mio obiettivo è quello di concentrarmi sullo sviluppo del Medio Oriente in relazione all'Unione europea. La migrazione interna e lo sfollamento dei rifugiati è la mia area di particolare interesse. Di conseguenza, vorrei iniziare una carriera come parte del personale dell'Unione europea lavorando per una delle sue agenzie correlate in Medio Oriente. In questo modo, aspiro a ottenere una preziosa esperienza sul campo, a conoscere i meccanismi dell'Unione europea e ad impiegare il mio arabo. Credo che la lunga tradizione accademica degli studi sullo sviluppo a Cambridge rappresenterebbe la migliore opportunità per perseguire i miei obiettivi di carriera e mi consentirebbe di contribuire alla creazione di politiche di sviluppo per il Medio Oriente in futuro».
  Giulio Regeni aveva presentato domanda di ammissione al Master anche presso altre due università: l'University College London e la School of Oriental and African Studies (SOAS), prestigiose istituzioni costitutive dell'Università di Londra.(4) La scelta di Regeni di perseguire l'opzione del MPhil a Cambridge è legata sia alla fama internazionale dell'ateneo e alla qualità dell'insegnamento, sia alla possibilità di approfondire le aree di suo interesse in maniera estensiva e trasversale.(5) Regeni ha svolto con profitto il Master of Philosophy il cui supervisore dipartimentale è stato il professor Ha-Joon Chang(6) e ha ottenuto le alte valutazioni idonee a superare i requisiti di ammissione Pag. 40al dottorato di ricerca oltre ad aver svolto con profitto una tesi, «dissertation», – che nel Master of Philosophy in Development Studies a Cambridge rientra tra gli elaborati facoltativi e non obbligatori, in quanto opzione largamente prediletta dagli studenti che hanno la vocazione e l'intenzione di proseguire con gli studi del dottorato di ricerca – dal titolo Egyptian Labour and the contestation of neoliberal policies: how workers' struggles created a popular base for regime contestation. Nel luglio del 2012 Regeni termina il suo Master of Philosophy(7) e inizia nello stesso mese un tirocinio di otto mesi, sino al febbraio 2013, presso l'UNIDO (l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale) a Vienna in Austria. Nell'agenzia specializzata delle Nazioni Unite Regeni sarà «assistente di ricerca» sulla politica economica della regione araba. La passione per il mondo arabo resta un elemento di grande stimolo per Giulio Regeni che per conto dell'UNIDO verrà inviato in Egitto da giugno ad agosto del 2013, nella sede del Cairo, come «assistant programme officer» per lo sviluppo di progetti di politica industriale e ricerca sull'economia del mondo arabo.(8) Lo stesso Regeni darà, nella domanda per il dottorato a Cambridge, contezza delle sue attività svolte all'UNIDO: «Nell'ambito del mio lavoro presso il Field Office dell'UNIDO in Egitto ho preparato una valutazione istituzionale del settore industriale egiziano che ha contribuito al lavoro dell'unità di politica industriale del Ministero del Commercio egiziano».
  In quegli anni vinse tre volte il premio «Europa e giovani» (2012, 2013 e nel 2014)(9) al concorso internazionale organizzato e promosso dall'«Istituto Regionale di Studi Europei del Friuli Venezia Giulia», per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente nel primo anno (2012), poi per l'elaborato su Javier Cercas e l'importanza di una memoria collettiva necessaria alle istituzioni democratiche per operare nella Spagna contemporanea (nell'edizione 2013), e in ultimo con un elaborato sulla storia del capitalismo democratico e della sua crisi attuale, alla quale Regeni sollecita risposte iniziative che partano dal basso e offrano all'UE strategie di uscita, attraverso un progetto costituente (nell'edizione 2014). Dopo aver lavorato come stagista presso l'UNIDO, Regeni torna nel Regno Unito, ad Oxford, e viene assunto per un anno – da settembre 2013 a settembre 2014 – dalla società privata di analisi geopolitiche ed economiche Oxford Analytica. Pag. 41Qui viene incaricato di cercare documentazione e stilare rapporti sul Nord Africa, analizzando tendenze politiche, economiche e strategiche. Regeni viene assunto come Production Researcher per svolgere analisi delle tendenze economiche e politiche. Il giovane ricercatore italiano è responsabile inoltre dell'aggiornamento dello strumento di monitoraggio dello stato di rischio politico globale e supervisiona tre assistenti di ricerca. Lo stesso Regeni in una delle numerose mail alla professoressa Maha Abdelrahman con la quale si scriveva già dall'ottobre del 2011 – giacché ella era docente del corso di Sociologia e Politiche dello Sviluppo, seguito dallo studente italiano durante il suo Master of Philosophy, nel Dipartimento di politica e studi internazionali (POLIS) dell'Università di Cambridge, come in seguito più diffusamente si tratterà – descriveva Oxford Analytica, nel settembre 2013 a poche settimane dalla sua assunzione, come un «academic spin in Oxford». Regeni nella medesima mail descrive in prima persona il suo impiego dalla sua prospettiva quotidiana: tutti i giorni si svolge una riunione con diversi accademici per parlare degli ultimi sviluppi nel mondo.(10)
  Va sottolineato il fatto che già negli anni del Master a Cambridge Regeni aveva in animo, come molti ragazzi promettenti della sua età con un ottimo bagaglio di competenze acquisite durante gli studi in contesti internazionali, di mettere a frutto le sue esperienze in maniera funzionale all'ingresso nel mondo del lavoro. Nella corrispondenza con la predetta docente, Regeni comunica di essere intenzionato a presentare domanda per tirocini retribuiti e le anticipa che avrebbe avuto bisogno di diverse lettere di referenze, come in uso nell'accademia e in particolare nel mondo anglosassone. Quindi, Regeni presenterà, unitamente alle molteplici lettere di referenze domande di tirocinio finanziato almeno alle seguenti istituzioni: il Center for Middle Eastern and African Studies del Dayan Institute dell'Università di Tel Aviv (gennaio 2012); l'IAEA – International Atomic Energy Agency – a Vienna (gennaio 2013); l'istituto GIGA – German Institute for Global and Area Studies – di Amburgo (gennaio 2013).
  Sebbene Regeni abbia presentato nel tempo varie domande di tirocinio o di impiego, tra cui l'ultima (mentre il giovane svolgeva la sua attività professionale ad Oxford) risalente al marzo del 2014 presso la fondazione ENI in Italia all'interno del programma di ricerca sul «cambiamento climatico e sviluppo sostenibile»(11), le due esperienze professionali di rilievo continuative e concretizzate restano quella dell'UNIDO svolta prima a Vienna e poi al Cairo e quella in Oxford Analytica(12) trascorsa nell'Oxfordshire, che terminerà proprio per perseguire la sua vocazione di studioso. Questo a fortiori mostra come Pag. 42la ricerca accademica fosse un'autentica aspirazione perseguita nel tempo. Nell'ottobre 2014 Regeni inizia il suo dottorato di ricerca presso l'Università di Cambridge.

1.2 La rivoluzione del 2011 in Egitto e i successivi sviluppi nel quadro delle «Primavere arabe»

  La definizione di «Primavera araba» o «Primavere arabe» è comunemente utilizzata per la serie di episodi di protesta iniziati in Tunisia alla fine del 2010 e successivamente estesisi a diversi paesi arabi della regione. Il sincronismo di tali episodi è solitamente attribuito a un processo imitativo per il quale lo scontento sociale precedentemente accumulatosi in un paese ha trovato incanalamento in metodi di protesta «mutuati» da quelli osservati accadere in contemporanea in altri paesi considerati culturalmente e politicamente affini. Un processo, questo, diventato noto nelle cronache di quel periodo come «effetto contagio». Nonostante tale processo di imitazione avesse reso queste rivolte apparentemente simili, esse hanno ben presto mostrato notevoli differenze e declinazioni, condizionate dalle circostanze locali in cui si sono svolte. In alcune contesti, come la Tunisia e l'Egitto, proteste di massa prolungatesi per alcune settimane, nonostante diversi tentativi di repressione da parte dei regimi locali, hanno portato alle dimissioni, o alla fuga, del presidente in carica. Questo è stato il caso del presidente tunisino Ben Ali, fuggito in Arabia Saudita all'inizio di gennaio 2011 dopo circa un mese di manifestazioni contro la sua ultraventennale permanenza al potere. L'11 febbraio seguente è stata la volta del presidente egiziano Mubarak, anch'egli al potere da quasi trent'anni, dimessosi una volta diventato evidente che le Forze Armate non l'avrebbero seguito nei suoi tentativi di repressione della rivolta.
  Quella egiziana e quella tunisina sono state però le uniche due sollevazioni attribuibili alla cosiddetta «Primavera araba» conclusesi con la dipartita del vertice del regime al potere senza che lo scontro tra forze di sicurezza e manifestanti si trasformasse in un conflitto civile armato, come si è verificato in altri paesi.
  Nonostante la simultaneità di questi eventi, dovuta in parte ai processi imitativi sopradescritti, essi si sono verificati all'interno di società caratterizzate da diversi livelli di sviluppo sociale e politico, che hanno contribuito a determinare diverse evoluzioni delle rivolte e dei processi di transizione seguenti. Secondo la letteratura sul tema, diversi livelli di alfabetizzazione – per esempio, tra il 70 e l'80 percento in Tunisia ed Egitto, e solo il 54 percento in Yemen – hanno avuto una grande influenza sulla capacità della fase di transizione di sfociare in sistemi politici nuovi. Allo stesso modo, la dimensione, l'influenza e gli interessi delle Forze Armate sulla società hanno avuto parimenti un ruolo di grande rilievo.
  Ad accomunare però tutte le sollevazioni del 2010-2011 troviamo la crisi strutturale del patto sociale che, dall'indipendenza della regione dalle potenze coloniali, era stato sotteso ai sistemi autoritari che l'avevano sempre dominata. Esso era sempre stato caratterizzato, pur Pag. 43con variazioni anche cospicue tra paesi e fasi storiche, da due elementi principali:

   un governo autoritario incentrato su una figura individuale «forte» (un presidente o un monarca ereditario);

   un sistema socioeconomico basato su un ampio settore pubblico in grado di garantire occupazione e reddito alla maggioranza della popolazione.

  Questa sorta di «Pax autoritaria» si era però progressivamente incrinata a causa di due dinamiche convergenti:

   una esponenziale crescita demografica(13) che aveva comportato la sempre minore capacità dei sistemi pubblici di assorbire e garantire occupazione e reddito all'intera popolazione, soprattutto ai giovani entranti nel mercato del lavoro;

   la pressione sul settore pubblico che era stata progressivamente esacerbata prima dalla riduzione dei sostegni esterni che gran parte degli stati della regione riceveva nel quadro della guerra fredda dal blocco occidentale o da quello orientale, e poi dalla rapida perdita di competitività delle economie locali dovuta all'emergere di nuovi competitor globali, soprattutto in Asia.

  A partire dagli anni Novanta la maggior parte dei regimi arabi – soprattutto quelli sprovvisti di ampie riserve di risorse naturali per l'esportazione come le monarchie del Golfo persico – avevano intrapreso diversi tentativi di ristrutturazione dell'economia mirati a ridurre la pressione sul settore pubblico e stimolare occupazione e crescita attraverso il settore privato. L'Egitto può considerarsi un esempio lampante di tali tentativi di riforma socioeconomica e dei suoi fallimenti nei decenni precedenti al 2011. Il Paese era stato infatti un precursore di questo tipo di riforme già dagli anni Ottanta, con i programmi di Iftitah (apertura economica) promossi da Sadat dopo la svolta che l'aveva portato a schierarsi con l'Occidente. Nonostante alcuni successi, come la firma di alcuni importanti accordi commerciali con Stati Uniti ed Europa e la creazione di zone industriali appositamente pensate per promuovere l'export, il settore pubblico era rimasto ampiamente dominante almeno fino alla fine degli anni Novanta. Il processo di ristrutturazione in senso liberista dell'economia egiziana riprende con vigore nella prima metà degli anni Duemila, quando diventa evidente l'insostenibilità dell'attuale modello economico. I governi guidati da Ahmed Nazif inaugurano dal 2004 una serie di riforme radicali e privatizzazioni che effettivamente alterano notevolmente le dinamiche economiche interne della società egiziana. In primis, le notevoli privatizzazioni contribuiscono a creare una nuova élite borghese rappresentata dai principali uomini d'affari entrati in controllo delle grandi società precedentemente pubbliche in vari rami, a partire dalle telecomunicazioni, le costruzioni e il settore immobiliare. Questa nuova alta borghesia rimane strettamente legata al regime politico al Pag. 44potere, iniziando a concentrarsi intorno a Gamal Mubarak, figlio del presidente in carica e designato erede. Sebbene si assista in questi anni a una forte espansione del settore privato, soprattutto per quanto riguarda quei settori un tempo appannaggio del settore pubblico, a questa espansione non si accompagna un proporzionale aumento dell'occupazione, soprattutto della qualità che le riforme miravano a stimolare. Gli alti tassi di crescita e tassi di occupazione apparentemente stabili iniziano a celare in questi anni un costante aumento del malcontento popolare, soprattutto fra i giovani, causato da un costante deterioramento dello stile di vita e del potere d'acquisto effettivo di gran parte della popolazione.
  I primi segnali di tale malcontento si hanno già nella seconda metà del primo decennio del nuovo secolo, quando vengono indetti i primi scioperi e le prime proteste in diverse realtà produttive del Paese. Il più noto di tali episodi è probabilmente quello avvenuto per alcune settimane nella primavera 2008 presso El-Mahalla El-Kubra. Le proteste prolungate avvenute in questa occasione porteranno alla formazione dell'associazione 6 Aprile, considerata l'embrione dei movimenti di opposizione della società civile che seguiranno.
  Questo periodo di proteste dà infatti vita, poco tempo dopo, a un primo soggetto di opposizione politica su scala nazionale, rappresentato dal Movimento Kefaya («abbastanza»), che incontra il sostegno anche di numerosi intellettuali e figure di spicco della società civile, oltre che dei nascenti movimenti informali di lavoratori in tutto il Paese.
  Il graduale innalzamento del livello complessivo di malcontento e la coagulazione dei primi movimenti organizzati o semi-organizzati di protesta preparano il terreno alle grandi manifestazioni del 2011, le cui motivazioni non possono essere analizzate in maniera adeguata senza tenere conto di tali prodromi.
  A determinare un primo significativo scossone al sistema di potere egiziano vi è la decisione, dopo alcuni tentennamenti durante i primi giorni delle proteste, dell'amministrazione americana guidata da Barak Obama di appoggiare i movimenti che nelle piazze arabe, comprese quelle di paesi tradizionalmente alleati dell'Occidente, chiedono radicali cambiamenti politici. L'esplicito endorsement dato da Washington alle proteste egiziane avrebbe determinato il primo colpo fatale alle speranze di Mubarak di mantenere il potere e generato una reazione «di shock» tra le altre leadership regionali alleate degli Stati Uniti, a cominciare dalle monarchie del Golfo. Quello che viene visto come un sostanziale «tradimento» nei confronti degli alleati locali avrà di lì a poco conseguenze assai rilevanti per le dinamiche regionali.
  Le rivolte, nel frattempo, avevano reso evidente, soprattutto a partire dalla seconda metà del 2011, che le principali beneficiarie dei movimenti di protesta sarebbero state, almeno nel breve termine, le forze politiche legate alla Fratellanza musulmana internazionale. Nata nel 1928 in Egitto, la Fratellanza musulmana era andata nei decenni successivi a costituire un crescente movimento di riforma religiosa e politica, mirante a rinnovare le società arabe e musulmane attraverso un riconsolidamento dal basso dei valori islamici originari. La dottrina di questo movimento aveva visto nel tempo numerose trasformazioni e diramazioni, anche in senso più radicale vicino al wahhabismo dominante nelle monarchie del Golfo. Nel complesso, però, essa aveva Pag. 45sempre rappresentato un pericoloso avversario per queste ultime, proprio a causa della sua impostazione «dal basso», contrapposta alla governance monarchica «dall'alto» che contraddistingue ancora oggi l'approccio politico e religioso nel Golfo. Essa era diventata rapidamente invisa anche agli altri governanti arabi più laici, i quali vedevano nella Fratellanza una fonte pericolosa di opposizione politica islamista, assai attrattiva per le masse rimaste in gran parte legate ai valori tradizionali nonostante i numerosi tentativi di laicizzazione dall'alto compiuti in diversi stati della regione. Tale contrapposizione aveva portato nei primi decenni del secondo dopoguerra a scontri e persecuzioni e alla sostanziale messa al bando della Fratellanza da numerosi paesi della regione (resistevano forme partitiche o associative legalizzate solo in alcuni stati come la Giordania e il Marocco). Tale messa al bando non ne aveva però determinato la totale scomparsa. Nei decenni seguenti le numerose diramazioni locali della Fratellanza avevano infatti proseguito le proprie attività in forma clandestina, diventando in molti casi le principali organizzazioni di opposizione attive in diversi stati mediorientali, tra i quali l'Egitto. Nel caso egiziano, infatti, dopo essere riuscita a sopravvivere alla dura repressione attuata durante la presidenza Nasser, nei decenni successivi la Fratellanza era riuscita a mantenere e ampliare le proprie attività di predicazione e assistenza agli strati sociali più svantaggiati, approfittando anche di alcuni momenti di apertura politica durante la presidenze di Sadat (che dopo la firma del trattato di pace con Israele ne aveva facilitato l'espansione a scapito delle forze politiche di sinistra che si opponevano alla sua svolta pro-occidentale) e di Mubarak. Quest'ultimo, anche a causa della forte pressione dell'amministrazione statunitense guidata da George W. Bush affinché liberalizzasse e democratizzasse maggiormente il sistema politico, aveva infatti concesso agli esponenti della Fratellanza una libertà senza precedenti, consentendo loro di partecipare alle elezioni legislative del 2005 durante le quali, pur potendo concorrere solo come indipendenti (la Fratellanza era infatti ancora considerata una organizzazione illegale) si aggiudicarono 88 seggi su 454. Il notevole successo ottenuto, nonostante anni di repressione, aveva significativamente allarmato la leadership egiziana, messa di fronte all'inaspettata popolarità dell'organizzazione. Per tale motivo gli spazi politici per la Fratellanza erano stati notevolmente ridotti in occasione delle elezioni legislative successive nel 2010, dove aveva potuto ottenere solo un seggio. Tale risultato, dovuto essenzialmente alla messa al bando delle candidature di esponenti ad essa vicini, non poteva però nascondere il fatto che la Fratellanza costituisse ancora la forza di opposizione politica più significativa nel panorama egiziano. Non sorprende, quindi, come essa emerga ben presto come l'organizzazione politica più forte e organizzata durante la fase di transizione seguita alle dimissioni di Hosni Mubarak nel febbraio 2011. Nonostante si fosse unita al movimento di protesta solo in un secondo momento, infatti, essa poteva contare sulla popolarità guadagnata in decenni di opposizione al regime al potere e alla capillare rete di sostegno e welfare che era riuscita a stabilire per anni a favore soprattutto delle famiglie più povere. Una popolarità ben presto confermata dai notevoli risultati ottenuti prima nelle elezioni legislative e poi, alla fine della transizione, con l'elezione di un suo esponente, Mohamed Morsi, a presidente. Pag. 46
  L'ascesa della Fratellanza musulmana durante la fase di transizione era avvenuta con l'accettazione, e il sostanziale sostegno, dell'Esercito, assurto al ruolo di guida dopo le dimissioni di Mubarak. Quest'ultimo sembrava averne infatti almeno temporaneamente accettato l'ineluttabilità, vedendola come il male minore di fronte al pericolo rappresentato dal potenziale consolidamento di forze politiche in grado di mettere radicalmente in discussione il ruolo privilegiato di cui le Forze Armate avevano goduto nella politica e nell'economia del Paese fin dalla rivoluzione del 1952. La sostanziale alleanza emersa tra Esercito e Fratellanza va quindi vista, soprattutto dal punto di vista delle Forze Armate come un tentativo di mantenere almeno parte della propria influenza.
  Nel frattempo, l'ascesa di forze politiche legate alla Fratellanza musulmana, prima in Tunisia e poi in Egitto, aveva reso evidente alle altre leadership mediorientali come gli statici equilibri regionali dei due decenni precedenti fossero in procinto di cambiare radicalmente. Tali cambiamenti erano certamente visti con grande preoccupazione dalla monarchia saudita e da quelle degli Emirati Arabi Uniti (EAU). Allo stesso tempo, però, la nuova situazione aveva cominciato anche a essere vista come una potenziale occasione di ascesa per altre potenze come Turchia e Qatar, le quali, per motivi diversi, avevano coltivato negli anni precedenti una crescente vicinanza con le forze afferenti alla Fratellanza musulmana internazionale. Dal 2011 si assiste quindi, in maniera sempre più accentuata, all'emergere di una nuova faglia di contrapposizione politica in Medio Oriente, che divide le potenze cosiddette «reazionarie» – in primis Arabia Saudita ed EAU – a quelle che si fanno ben presto sponsor delle emergenti forze islamiste nei vari paesi investiti dalle ondate di protesta – Turchia e Qatar. Obiettivo soprattutto di queste ultime è quello di affermarsi come nuove egemonie regionali approfittando, da una parte, dell'ascesa di forze politiche considerate da loro affini in numerosi stati della regione, compreso il popoloso Egitto, e, dall'altra, dell'evidente e progressivo ritiro americano dal Medio Oriente, destinato ben presto a lasciare un vuoto di potere che intraprendenti potenze regionali avrebbero potuto colmare.
  Il destino della transizione in Egitto, paese nodale per gli equilibri regionali, con l'elezione nel giugno 2012 di Mohamed Morsi sembra sancire il vantaggio turco e qatarino nella nuova scena politica mediorientale, mettendo in serio pericolo, per la prima volta in decenni, l'influenza dominante saudita nella regione. In questo periodo sia il Qatar sia la Turchia fanno in Egitto importanti investimenti politici ed economici volti a sostenere il nuovo regime guidato dalla Fratellanza musulmana. Ed è quindi in tale quadro che vanno comprese la volontà e le risorse profuse di lì a poco dalle rivali potenze del Golfo – Arabia Saudita e EAU – per mettere fine all'esperimento egiziano appoggiando il ritorno al potere dell'Esercito.
  Se, infatti, il supporto dato dall'Esercito alle vaste manifestazioni contro il governo di Morsi nel giugno 2013 e il colpo di stato del 3 luglio seguente vanno intesi a livello interno come il tentativo riuscito di ritornare dominante nella politica egiziana, a livello regionale il forte sostegno dato da Arabia Saudita e EAU ai piani di Al-Sisi va inteso proprio come atto mirato a ristabilire la propria dominazione regionale a discapito dei tentativi qatarini e turchi di metterla in discussione. Sia Pag. 47Riyadh che Abu Dhabi infonderanno infatti nelle casse e nell'economia dell'Egitto ingenti risorse anche negli anni seguenti al fine di garantire la stabilità del nuovo regime.

1.3 La scelta del tema della tesi di dottorato all'Università di Cambridge

  Per comprendere uno dei nodi rilevanti della vicenda Regeni – lo svolgimento del dottorato di ricerca a Cambridge e la scelta del tema della tesi – va anzitutto chiarito che è stato il frutto di una serie di circostanze non del tutto prevedibili, né attese, da Regeni o altri. Rileva a tal proposito il fatto che il giovane studente abbia tra settembre e dicembre del 2012 presentato domanda di ammissione al dottorato almeno presso altri tre atenei: l'Università di St. Andrews in Scozia, la Freie Universität di Berlino (in particolare nel programma di dottorato della Berlin Graduate School for Transnational Studies) e l'Università di Londra per la School of Oriental and African Studies (SOAS).(14)
  Un'ulteriore circostanza da porre in evidenza è il fatto che per Giulio Regeni la sua legittima aspirazione professionale e di crescita nel mondo della ricerca accademica sia stata anche condizionata dalla possibilità di sostenerne i notevoli costi, soprattutto nel sistema britannico di un'università prestigiosa come quella di Cambridge. Sebbene si sia laureato nel luglio del 2012, l'inizio del dottorato risale all'ottobre del 2014 ed è stato per Regeni subordinato all'assegnazione della borsa di studio «interna» del Centre of Development Studies afferente al Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali.(15) Giova infatti ricordare che nell'anno successivo alla laurea magistrale, nonostante sia stata presentata domanda di ammissione al dottorato da parte dello studente, gli eventi hanno condotto Regeni prima ad intraprendere il tirocinio all'UNIDO e poi l'esperienza lavorativa ad Oxford, posticipando di fatto di due anni accademici l'inizio del dottorato.
  La scelta del tema della tesi di dottorato è strettamente legata alla combinazione di una serie di fattori, in parte risalenti come si è detto e meglio si dirà, e si riallaccia agli interessi accademici ed alle attitudini teorico-speculative di Giulio Regeni. In primo luogo la passione del giovane studente per il mondo arabo si è alimentata nel tempo ed è stata coltivata attraverso le esperienze di studio in Egitto (già nel 2008-2009), poi durante il programma Students as Scholars svolto all'Università di Leeds (2009-2010) e ancora con il corso di lingua araba Pag. 48a Damasco (estate 2010). Vieppiù con le due esperienze professionali post laurea – all'UNIDO e in Oxford Analytica –, svolte a partire dal luglio del 2012 sino al settembre 2014, sebbene queste ultime possano considerarsi esperienze formative – oltre che professionali – svolte in una fase transitoria.(16)
  Dalla documentazione acquisita da questa Commissione, emerge che Regeni ha dimostrato interesse specifico e autonomo ai temi del Medio Oriente già durante il Master (in modo non strutturato persino da prima del Master) e per meglio comprendere l'evoluzione dell'oggetto della ricerca di dottorato e il relativo labor limae concertato con la docente Maha Abdelrahman, che sarà la sua supervisor, giova ripercorrere lo sviluppo delle idee e delle proposte attraverso la corrispondenza mail, in modo da restituire nell'autenticità di un dialogo coevo ai fatti le dinamiche oggetto d'interesse e non solo il punto d'approdo.
  Regeni conosce la professoressa Maha Abdelrahman, come anticipato, durante il Master of Philosophy e se ne ha contezza dalla mail scritta il 12 ottobre del 2011 e rivolta alla docente, che appare essere in tutta evidenza la prima conversazione tra i due. Nel testo, Regeni si presenta alla docente, le dice di essere un suo nuovo studente del Master e le chiede se è stato completato il programma delle lezioni extra del corso di Politica in Medio Oriente. Nelle risposte la professoressa allega il programma di tutte le lezioni dei corsi di scienze politiche, incluse le opzioni relative al Medio Oriente.(17) A metà novembre del 2011 Regeni inizia ad interrogarsi sulla preparazione della tesi del Master – la sua «dissertation» – e coinvolge la professoressa Abdelrahman. Il giorno 14 novembre scrive alla professoressa Abdelrahman chiedendole suggerimenti circa letture utili per la sua dissertazione, all'interno di alcune aree d'interesse che vorrebbe approfondire come: le tendenze e le performance economiche dell'Egitto dal 1952 con valutazione comparativa tra Nasserismo e Neoliberismo; gli anni '70 e le ragioni sottostanti al cambiamento ideologico verso il concetto di «Infitah» («apertura» del modello economico di Sadat rispetto al modello dirigistico nasseristico precedente); movimenti sociali e movimenti di resistenza; corporativismo.(18) È in questi giorni che Regeni chiede in prestito alla docente i testi indicati dalla medesima e le anticipa che a breve intende fare domanda per tirocini retribuiti.(19) Nel corso del 2012, quindi, il rapporto tra Regeni e Maha Abdelrahman si intensifica e procede con confronti accademici professionali, del tutto in linea con quella che è una relazione di stima reciproca e scambio intellettuale tra docente e allievo.(20) Regeni scriverà(21) poi alla professoressa Pag. 49 da Vienna in luglio, mentre sta conducendo il tirocinio all'UNIDO, dicendole di aver ricevuto le valutazioni del MPhil dal dipartimento di Development Studies, di aver ottenuto un High Pass e che pertanto potrà fare domanda per il dottorato. Nella medesima mail, Regeni chiede alla professoressa di essere il suo supervisor e le pone domande circa la modalità di presentazione della domanda di dottorato a Cambridge. Regeni informa anche la docente del fatto che la sintesi della sua dissertazione è stata accettata per la conferenza sulle «opposizioni politiche» che si sarebbe poi tenuta a Salford nel successivo settembre. La docente, a sua volta, si dichiarerà lieta di essere la sua supervisor, presumendo che voglia rielaborare la sua dissertazione nella proposta di ricerca di dottorato. Abdelrahman consiglia di scrivere una proposta di ricerca che possa dimostrare in breve competenza e conoscenza della letteratura specifica e porta l'attenzione del giovane sulla qualità della proposta stessa, a prescindere dai voti conseguiti, quale elemento più importante della domanda di dottorato.
  Come precedentemente accennato, Regeni è fermamente orientato a procedere verso l'impegno accademico di ricerca, sebbene non abbia ancora definito presso quale ateneo e in un certo senso proceda ancora per tentativi. A riprova di questo fatto vi è la conversazione mail avvenuta tra il 12 e il 13 settembre del 2012 nella quale il professor Gilbert Achcar(22) della SOAS dell'Università di Londra informa la professoressa Abdelrahman di aver ricevuto una mail da un suo studente, Giulio Regeni, il quale intendeva svolgere un dottorato sotto la sua supervisione e pertanto ne chiede un giudizio a riguardo. Nella sua risposta la professoressa afferma che Regeni è «un eccellente materiale» per il dottorato, aggiungendo che non ha ricevuto la «distinzione» come valutazione alla sua tesi del Master of Philosophy ma che ha conseguito un «High Pass» pieno sia nella dissertazione che nel corso di studi. Abdelrahman descrive poi Regeni come molto acuto e intelligente e aggiunge che egli intende indagare in aree di grande interesse, che conosce già l'Egitto e parla l'arabo. La professoressa in conclusione esplicita che il ragazzo deve ancora crescere intellettualmente e accademicamente ma che potrebbe prosperare sotto la supervisione del professor Achcar.(23) Nello stesso giorno, il 13 settembre, Regeni scrive una delle mail più significative e icastiche relativamente Pag. 50all'indirizzo che intende prendere nella sua ricerca e le aree che si prefigge di indagare. Giulio Regeni informa la professoressa che è in procinto di presentare domanda per il dottorato a Cambridge che inizierà nell' autunno del 2013 e, come già propostole nella mail del 23 luglio, vorrebbe fosse lei a farle da supervisor. Specifica che vorrebbe delineare la sua area di ricerca e che al momento sta ancora chiarendosi la domanda di base relativa, il nodo problematico da affrontare. Regeni precisa che vorrebbe specializzarsi sui movimenti sociali del mondo arabo e sulle sue politiche economiche, teoria dello stato e temi del lavoro. L'intenzione esplicitata da Regeni è affrontare nel suo dottorato lo studio rivolto a «connettere gli emergenti movimenti di protesta in Egitto con il fenomeno della deindustrializzazione e l'assenza di una coerente politica industriale nell'era neoliberista». In particolare, è interessato al concetto di democrazia industriale elaborato da Assef Bayat e vorrebbe utilizzarlo per dimostrare l'importanza d'includere i diritti democratici (inclusi i diritti dei lavoratori) all'interno di un progetto olistico di sviluppo economico e umano per l'Egitto e i Paesi in via di sviluppo in genere. Per tale motivo vorrebbe andare nelle città industriali come Mahalla El Kubra per condurre una ricerca sul campo al fine di raccogliere dati quali-quantitativi. Regeni chiede di poter discutere con maggiore dettaglio la cosa con la professoressa e si dice molto disponibile a ricevere suggerimenti relativamente alla forma da dare all'esatto tema di ricerca, soprattutto se coerente con le aree di ricerca della docente e se queste ricerche possano consentirgli di ottenere finanziamenti a Cambridge e altrove.(24) Nella risposta del giorno seguente la professoressa Abdelrahman si dice felice di poter essere sua supervisor per l'attuale interesse di ricerca e visto anche il suo precedente lavoro di tesi magistrale, aggiungendo di essere stata contattata da un altro accademico (Gilbert Achcar) che le ha chiesto un giudizio su di lui.(25)
  È tra il mese di ottobre e novembre del 2012 che il tema della ricerca prende una forma maggiormente definita e concertata tra la docente Abdelrahman e Regeni. Giulio Regeni discute del progetto di ricerca con la professoressa e le chiede consigli, suggerimenti di letture per integrare e migliorare una proposta che spera sia sufficientemente affascinante. Chiede alla docente se il suo approccio metodologico alla ricerca abbia senso e manifesta una preoccupazione circoscritta alla possibilità di raccogliere i dati utili al suo studio a causa dello stato di rivoluzione in corso in Egitto.(26) Abdelrahman risponde dando consigli riguardanti la metodologia e le ipotesi di ricerca presentate da Regeni. Per lei l'ambito di ricerca proposto dallo studente è troppo ampio e generico in quanto non specifica cosa egli andrà a studiare nel dettaglio. Propone a Giulio, a titolo di esempio, alcune questioni di stimolo come il ruolo dei lavoratori nella rivoluzione; lo sforzo dei lavoratori di organizzarsi nell'era post-Mubarak oppure i rapporti tra i movimenti dei lavoratori e gli altri gruppi e forze politiche. Vista l'assenza di una tematica specifica nella proposta di Regeni, Abdelrahman sollecita la riflessione del ricercatore sugli obiettivi che intende porsi e lo invita ad esplicitare il metodo di ricerca che utilizzerà e chi Pag. 51incontrerà, quali dati vorrebbe raccogliere, e chiede se c'è qualche città specifica, regione o evento sul quale desidera focalizzarsi. Abdelrahman scrive in conclusione che la sua preoccupazione circa i dati dipende dalla tipologia che si ha necessità di raccogliere e da quali fonti. Specifica poi che ciò che aveva detto circa le difficoltà a questo riguardo non è determinabile per nessun tipo di ricerca. La mail termina con la rassicurazione che vi sono numerosi ricercatori che stanno lavorando in Egitto.(27)
  Dopo circa un mese, nel quale non risultano comunicazioni tra la docente e il ragazzo, il 13 novembre 2012 Giulio Regeni scrive un'importante mail nella quale informa la professoressa Abdelrahman che sta per inviare la sua domanda per il dottorato a Cambridge e avrebbe bisogno della sua lettera di referenze da allegare anche alla parallela richiesta di borsa di studio «Gates» (finanziamenti dalla Bill Gates Foundation come visto). In questa mail, significativamente, aggiunge di aver concentrato il focus della sua ricerca sui sindacati indipendenti in Egitto, dal momento che avrebbe compreso il fatto che la ricerca empirica sarebbe stata più semplice da condurre rispetto ad una ricerca teoretica e le invia la sintesi della proposta di ricerca sui sindacati in Egitto che allegherà alla domanda di dottorato.(28)
  L'ultima e rilevante comunicazione relativa alla definizione del tema della tesi di dottorato è la mail del 20 novembre 2012 nella quale la professoressa Abdelrahman scrive a Giulio Regeni che sta predisponendo la sua lettera di referenze per la borsa di studio «Gates» (Cambridge Gates Trust) finalizzata al finanziamento del dottorato, e che necessita pertanto di informazioni sull'inoltro della medesima. La docente gli consiglia di farsi preparare anche una lettera dal suo attuale supervisor all'UNIDO per ciò che attiene alle caratteristiche non accademiche ma personali. In relazione alla proposta di ricerca, Abdelrahman afferma di ritenerla molto ben fatta e consiglia di posizionarla in un quadro teorico che consideri le organizzazioni sindacali a livello generale, anche al di là del caso di studio dell'Egitto. Suggerisce di inserire, ad esempio, letteratura sul declino dei sindacati e il ruolo dei lavoratori nella politica come conseguenza della globalizzazione e della flessibilizzazione del lavoro, e di includere le riflessioni relative a come il suo studio metterà alla prova questa letteratura.(29)
  Il tema del progetto di ricerca del dottorato può dirsi sostanzialmente cristallizzato al novembre 2012 e, come affrontato precedentemente, la relazione tra Regeni e Abdelrahman continuerà a distanza in quanto lo studente si troverà impegnato nel tirocinio UNIDO e, successivamente, nell'impiego ad Oxford Analytica(30). Pag. 52
  Nell'ottobre del 2013, dopo quasi un anno esatto dalle prime attività intraprese per il dottorato, Regeni riceve la comunicazione dell'opportunità di ottenere la borsa di studio per il dottorato a Cambridge da parte della professoressa Abdelrahman che gli chiede se sia ancora interessato a perseguire il suo progetto nel successivo anno accademico (2014).(31)
  Giulio Regeni venne quindi ammesso al dottorato a Cambridge nel febbraio del 2014 ma sino al 3 giugno del 2014 ancora scriverà alla professoressa di stare valutando la possibilità di svolgere il dottorato da ottobre del 2014.(32) La riserva del giovane Regeni verrà sciolta con l'assegnazione della borsa di studio da parte del Centre of Development Studies.(33) In perfetta coerenza con le ambizioni di chi intende divenire un professionista della cooperazione internazionale istituzionale, Regeni guardava al contributo proattivo che in futuro avrebbe potuto dare alle strategie economiche promosse dalle organizzazioni internazionali. Di estrema sintesi e chiarezza risultano le parole utilizzate nella sua domanda del PhD: «Il mio dottorato di ricerca in Studi sullo Sviluppo a Cambridge sull'emergere del sindacalismo indipendente in Egitto mi consentirebbe di affinare le mie capacità di risolutore di problemi in un momento di trasformazione senza precedenti nella regione araba».(34) Dal primo ottobre del 2014 Giulio Regeni venne formalmente riconosciuto come dottorando e iniziò il suo primo anno di ricerca teorica a Cambridge.(35)

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1.4 La missione di studio al Cairo presso l'American University

  Gli interessi accademici maturati, le esperienze di studio e professionali passate al Cairo, le tematiche affrontate nel corso del tempo sin dagli anni trascorsi all'Università di Leeds poi durante la laurea magistrale, le aspirazioni professionali a lungo termine presso le istituzioni europee correlate al Medio Oriente hanno naturalmente spinto Giulio Regeni a svolgere ricerca sul campo in Egitto. La tesi di laurea magistrale su «Il lavoro egiziano e la contestazione delle politiche neoliberiste» ha permesso a Regeni di analizzare le questioni relative alle relazioni industriali e alla responsabilità sociale delle imprese durante l'era Mubarak.(36) Già nelle fasi di domanda al dottorato Regeni riporta con chiarezza l'intenzione di aspirare all'opportunità di specializzarsi ulteriormente sulle traiettorie di sviluppo del mondo arabo e di diventare un operatore dello sviluppo nella regione.(37) Se la tesi di laurea ha permesso a Regeni di concentrarsi sull'economia politica del mondo arabo in generale e dell'Egitto in particolare, la ricerca empirica sul campo – come indicato alla supervisor dallo stesso Regeni – avrebbe permesso alla sua tesi di dottorato di raccogliere i dati quali-quantitativi per studiare e problematizzare «la comparsa del sindacalismo indipendente in Egitto».(38)
  Giulio Regeni si recò pertanto al Cairo il 9 settembre 2015 con l'esclusivo proposito di svolgere al meglio la sua ricerca partecipata sul campo nell'ambito del suo dottorato in «Development Studies» presso l'Università di Cambridge. Il tema della sua ricerca era: «Sindacati indipendenti e sviluppo nell'Egitto post-Mubarak». La sua supervisor, Maha Abdelrahman aveva studiato i movimenti di opposizione al regime egiziano: il suo testo Egypt's Long Revolution Protests Movements and Uprisings ricostruisce i rapporti politici tra i movimenti sindacali egiziani. La docente era entrata a far parte del Center of Development Studies di Cambridge nel 2007, dopo aver lavorato come professore associato di Sociologia e Studi sullo Sviluppo presso l'Università Americana del Cairo.(39) Il prestigio dell'AUC(40) – considerata Pag. 54tra le migliori università in Egitto e la più blasonata del Paese sotto il profilo della reputazione internazionale, tanto che massima parte dell'establishment vi si forma e svetta da anni stabilmente nei primi tre posti delle migliori università di tutto il continente africano nelle classifiche internazionali delle università e le relazioni personali intrattenute dalla docente che vi si è altresì formata hanno creato le condizioni per l'affiliazione di Giulio Regeni presso quell'Ateneo come ricercatore in visita. Fu infatti la professoressa Abdelrahman a rivolgersi ad Hanan Sabea, professoressa di antropologia sociale all'American University in Cairo per chiederle se il suo dipartimento offrisse la possibilità di affiliare studenti di dottorato interessati a svolgere ricerca in Egitto, in quanto un suo studente di Cambridge, italiano, stava lavorando sui sindacati indipendenti e sarebbe stato in Egitto tra agosto 2015 e marzo 2016. La professoressa aggiungeva che lo studente sarebbe stato lieto di essere in qualche modo formalmente associato Pag. 55all'AUC. Nella risposta, Hanan Sabea comunicava che certamente esisteva la possibilità di una affiliazione senza borsa di studio anche perché in quel momento c'erano molti ricercatori nell'Università e sarebbe stata bel lieta di ospitarne un atro. Aggiungeva che l'aspetto negativo era il costo dell'affiliazione di cinquecento dollari a semestre.(41) Il giorno seguente la professoressa Abdelrahman scrive a Regeni dicendogli che «i suoi contatti all'AUC riferiscono di un programma per visiting students a cui potrebbe aderire» e gli invia il link. Regeni risponde nel medesimo giorno chiedendole se debba iniziare a preparare la domanda e di fargli sapere «quando vi saranno notizie sul fronte del supervisor locale» – in merito, pertanto, all'individuazione del suo supervisore in Egitto –.(42)
  Per agevolare Giulio Regeni nell'attività di ricerca empirica sul campo al Cairo, la professoressa Abdelrahman aveva individuato la professoressa egiziana Rabab El-Mahdi(43), sua amica e professore associato di Scienze Politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'AUC dal 2005, come tutor del giovane ricercatore all'interno dell'American University in Cairo.
  In questa sede, preme richiamare l'impegno pubblico della professoressa El-Mahdi – attivista politica vicina all'opposizione di sinistra in Egitto – che aveva sostenuto, come consigliere senior, nel 2012 la campagna presidenziale del candidato indipendente Abdel Moneim Aboul Fotouh Abdel Hady – un medico ex leader dei Fratelli musulmani che aveva inquadrato la sua posizione politica durante la corsa alla presidenza nella teoria di «pietà personale» (religiosità intima) e laicità pubblica(44), noto per la sua strenua opposizione ai regimi di Sadat e Mubarak e che è stato arrestato nel 2018 con altri esponenti del partito Masr Al-Qawya (Egitto Forte) – dichiarato fuori legge – di cui è stato fondatore con l'accusa di guidare un'organizzazione terroristica Pag. 56 –.(45) Aboul Fotouh ottenne più di quattro milioni di voti nelle elezioni presidenziali del 2012, raccogliendo il 17,47% dei voti validi espressi nel primo turno. In quelle elezioni si classificò quarto e restò fuori dal «ballottaggio», dal quale risultò vincitore Mohamed Morsi poi deposto dal colpo di Stato militare del luglio del 2013. Rabab El Mahdi, descritta come marxista femminista anche da giornali statunitensi come «The New York Times»(46), fu tra i maggiori artefici di quel tentativo di conciliare idee liberali e di sinistra con una voce islamista. Aboul Fotouh venne considerato un sostenitore della liberalizzazione all'interno della Fratellanza musulmana al punto da essere espulso nel 2011 in un'epurazione dei moderati, all'interno del gruppo dirigente, da parte dei conservatori i quali nel 2012 ne sospesero l'affiliazione politica in quanto Aboul Fotouh aveva deciso di candidarsi alla presidenza nonostante la determinazione iniziale della Fratellanza di non schierare alcun candidato.(47) Quantunque Aboul Fotouh avesse espresso posizioni moderate come il fatto che la Fratellanza avrebbe dovuto smettere di chiamarsi islamista e dirsi invece solo conservatrice, poiché in una società aperta gli islamisti possono anche essere moderati o liberali, oppure che avrebbe garantito le libertà personali dalle restrizioni degli islamisti intransigenti e l'uguaglianza per i cristiani (circa il 10% della popolazione)(48), si è trovato da un lato a perdere il sostegno dell'establishment del suo partito storico e dall'altro ad interpretare le posizioni di parte di una generazione di giovani all'interno della Fratellanza musulmana(49), ottenendo anche l'approvazione di alcuni eminenti studiosi religiosi, tra cui lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, un influente esule egiziano che vive a Doha, in Qatar, molto presente nel dibattito pubblico sui temi della compatibilità tra le leggi della Shari'a e la democrazia. La Fratellanza musulmana per mezzo dell'allora portavoce, Mahmoud Ghozlan, minacciò di espellere i membri che avessero sostenuto Aboul Fotouh il quale, tra tutti i contendenti alla presidenza, fu anche il più esplicito sulla necessità del pieno controllo civile dell'esercito, sulla protezione delle libertà civili e sulla spesa pubblica per l'assistenza sanitaria e l'istruzione. Rabab El Mahdi sostenne che l'opposizione dei suoi ex colleghi dei Fratelli musulmani Pag. 57sarebbe stata la sfida più grande: «Il dott. Aboul Fotouh è molto pericoloso per loro, una questione di vita o di morte» – affermò El Mahdi. E ancora: «Se ci riesce, significa che la Fratellanza perde il suo monopolio sull'Islam moderato. Mostra che c'è una molteplicità nell'Islam abbastanza grande da includere marxisti e liberali. Dice ai loro moderati che si può lasciare la Fratellanza e questo non è la fine della vita».(50) Aboul Fotouh ha lavorato per garantire che le idee dei Fratelli Musulmani fossero conformi ai principi democratici e Rabab El Mahdi ha rappresentato un elemento rilevante della sua politica tanto da co-fondare il partito «Masr Al-Qawya» (Egitto Forte)(51), tra luglio e ottobre del 2012, e sostenerne l'impegno all'interno del movimento «Terza Piazza» negli eventi di protesta diffusa dell'estate del 2013 in Egitto.(52) El-Mahdi continua a insegnare e fare ricerca presso l'AUC, Pag. 58anche se molti dei movimenti nei quali è stata coinvolta, inclusa l'organizzazione politica di Aboul Fotouh «Egitto Forte» sono stati sciolti o sono stati oggetto di repressione statale, e ha partecipato al think tank The Century Foundation nell'ottobre 2018 relativamente al tema dell' alleanza laico-islamista a cui prese parte.
  Le indagini degli investigatori italiani del Raggruppamento Operativo Speciale dell'Arma dei Carabinieri (ROS) e del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato (SCO), disposte dalla Procura della Repubblica di Roma il 4 febbraio 2016 a seguito delle torture e dell'omicidio di Giulio Regeni, hanno fatto emergere, attraverso le analisi tecniche del suo personal computer portatile e delle conversazioni digitali, una conversazione tra Giulio Regeni ed un suo caro amico del 24 aprile 2015 nella quale il ricercatore rivela di aver manifestato alla sua docente alcune perplessità relativamente alla sovraesposizione (politico-mediatica) della tutor egiziana Rabab El Mahdi. Nella chat si esprimono anche i timori di trovarsi in una situazione simile a quella di un'altra ricercatrice «del secondo anno», seguita dalla medesima supervisor Abdelrahman, che a detta di Regeni sarebbe stata espulsa dall'Egitto con divieto di rientro dopo aver ricevuto un libro («The conspiracy theory») da un'amica in Israele.(53) L'inchiesta della Commissione e lo svolgimento di più approfondite indagini svolte presso Cambridge da una delegazione parlamentare hanno permesso di avere un riscontro relativamente a quanto affermato dal ricercatore, tale da confermare l'esistenza di una ricercatrice supervisionata dalla Abdelrahman che è rientrata in sede e non è più tornata in Egitto, tuttavia al contempo riconducendone le ragioni ad una scelta personale della studiosa, che pure avvertiva un clima di insicurezza personale, e non già ad una espulsione coatta comminata dalle autorità egiziane.
  L'esternazione di Regeni con il suo amico appare prodursi in coerenza con le fasi esplorative e di orientamento nella definizione della possibilità di affiliazione presso un prestigioso ateneo, quale l'American University in Cairo, e altresì palesa una conoscenza e una specifica sensibilità di Giulio Regeni relative all'Egitto e alle sue dinamiche politiche. La conversazione del ricercatore con il suo amico non pare essere un elemento di per sé discretivo di uno stato di timore e preoccupazione di Giulio Regeni per inquietudini maturate in funzione dell'oggetto specifico delle sue attività di ricerca, quanto più di Pag. 59una naturale avvedutezza e cautela naturalmente sviluppate in coerenza con la conoscenza del Medio Oriente e dell'Egitto. Un atteggiamento di precauzione che, esaminato in combinato con altre mail(54), era rivolto con probabilità alla buona riuscita delle sue attività di studio accademico – e quindi del completamento con buon esito del dottorato – che avrebbero potuto potenzialmente risentire di una diretta esposizione politica della tutor, nota attivista dell'opposizione.
  Il 4 giugno 2015 Regeni riceve due lettere di accreditamento presso l'AUC da parte di Cambridge a firma dell'amministrazione del Centro studi sullo Sviluppo, Nathalie Henry. Cambridge informa nelle lettere – come richiesto dall'AUC – anche della somma stanziata dal Leave to Work Away programme, come fondo di sostegno alla ricerca dell'Università di Cambridge, a copertura delle spese. Lo stanziamento ammonta a tremilanovecentoventisei sterline. Da quel momento in avanti il dottorando si adopererà per presentare tutta la documentazione come ricercatore in visita all'AUC e ne terrà informata la docente Abdelrahman.(55) Per tutto il mese di giugno del 2015 Regeni sarà impegnato nella preparazione del viaggio di studio come dimostrano varie comunicazioni tra lui e la sua supervisor(56) e a fine mese l'amministrazione di Cambridge formalizza l'accettazione della proposta di lavoro di ricerca all'estero anche in base alle valutazioni espresse nel Risk Assessment di cui si tratterà con maggiore dovizia più avanti.(57) A metà luglio Giulio Regeni riceve la lettera dalla Finance Division di Cambridge che gli conferma l'attivazione della copertura assicurativa dall' 8 settembre 2015 al 20 marzo 2016 per l'attività di ricerca all'estero in Egitto.(58)
  Il 9 settembre 2015 Giulio Regeni giunge al Cairo.
  Il suo primo impegno è farsi assegnare al dipartimento di Scienze Politiche dell'AUC – per poter essere seguito dalla professoressa El Mahdi – e non già a quello di Sociologia al quale era stato affidato automaticamente dalla segreteria al momento della sua domanda. Eloquente in tal senso è la mail del 14 settembre 2015 che Giulio Regeni scrive in tono formale, poco dopo il suo arrivo in Egitto, a Rabab El Pag. 60Mahdi in cui si presenta per la prima volta alla tutor dicendole formalmente di essere uno studente di dottorato di Maha Abdelrahman e di essere da poco giunto al Cairo. Regeni comunica che vorrebbe essere affiliato al dipartimento di Scienze Politiche dell'American University in Cairo e le dice che la professoressa Abdelrahman gli ha gentilmente suggerito di scriverle per «vedere se possa divenire il suo sponsor».(59) La professoressa risponde a Regeni suggerendo di scrivere una richiesta a lei e al preside per sollecitare la sua tutorship e aggiunge che lei avrebbe risposto ad entrambi positivamente, se questo fosse stato ancora possibile. Il giorno successivo Giulio Regeni invierà una mail al preside della School of Humanities and Social Sciences of American University in Cairo –«HUSS» centre –, Bowditch, scrivendo che la sua domanda è stata indirizzata al dipartimento di Sociologia mentre desidererebbe essere trasferito al dipartimento di Scienze Politiche in quanto vorrebbe essere seguito dalla professoressa Rabab El Mahdi, la quale – scrive esplicitamente il ricercatore – «conduce ricerche affini alle sue».(60) In via incidentale va inoltre evidenziato il fatto che Regeni conosceva certamente da qualche anno le teorie e l'approccio accademico di Rabab El Mahdi tanto da citarla nel suo «progetto di ricerca» già nel novembre del 2012. Il 20 settembre il professor Ibrahim El Nur, direttore del dipartimento di Scienze Politiche, approverà l'affiliazione di Giulio Regeni come borsista in visita (per l'ateneo formalmente «visiting scholar without stipend») presso il suo dipartimento nell'AUC.(61)
  Presso l'AUC Giulio Regeni entrerà in contatto anche con la professoressa Ghada Barsoum(62) – docente di «Metodi di ricerca per le politiche pubbliche e l'amministrazione», di «Politica sociale in Medio Oriente» oltre che di «Analisi qualitativa per la politica e l'amministrazione», nonché attuale direttrice del Dipartimento di politica e amministrazione pubblica presso l'Università Americana del Cairo – proponendosi come assistente.(63)

1.5 La metodologia della ricerca sul campo

  Giulio Regeni era un ricercatore. Il suo progetto di ricerca è stato oggetto di valutazione accademica per l'accesso al PhD. Le attività Pag. 61svolte in Egitto e l'approccio utilizzato per la sua ricerca sociale sono di natura ordinaria e vengono comunemente riconosciuti come il metodo più adeguato ad indagare fenomeni socio-politici contemporanei e in evoluzione. La ricerca partecipata di Giulio Regeni era ed è il metodo più efficace e accademicamente affermato per comprendere empiricamente le dinamiche di sviluppo politico, sociale e culturale delle organizzazioni umane, raccogliere dati quali-quantitativi e per comprendere e meglio poter descrivere il fenomeno osservato: per Giulio Regeni «la comparsa del sindacalismo indipendente in Egitto». Il tema è stato discusso e perfezionato insieme al supervisor, ma – come espresso in audizione dinanzi a questa Commissione– «è il dottorando l'artefice e il responsabile della propria ricerca e diverrà lo specialista dell'ambito di studio prescelto. Il lavoro sul campo è condotto con discrezionalità ed è il dottorando che individua gli interlocutori e i testimoni privilegiati costruendo in loco network utili all'avanzamento della ricerca».(64) La ricerca partecipata si è storicamente svolta anche in ambienti particolarmente critici nonché durante periodi di conflitto armato.(65) «La caratteristica di un dottorato di ricerca, per come si delinea in Gran Bretagna è l'indipendenza. Lo studente di dottorato, coadiuvato dal personale docente, svolge ricerche su un tema di sua scelta atte a scoprire qualcosa di originale e rilevante della realtà che ci circonda. Un dottorando non è un ricercatore “su commissione”. Le istituzioni accademiche universitarie, peraltro, si fondano su questo lavoro di ricerca. Non ci sarebbe università senza ricerca. Le università si fondano sul principio della libertà di ricerca».(66)
  Nel 2015-2016, periodo di ricerca sul campo di Giulio Regeni, al Cairo erano presenti ricercatori provenienti da atenei in tutto il mondo, anche italiani. Va altresì rilevato che in quel periodo il Foreign Office, al quale le università britanniche, tra cui Cambridge, fanno di prassi riferimento nel valutare il rischio legato alla ricerca sul campo, definiva l'Egitto un «Paese sicuro», così come peraltro faceva il ministero degli Pag. 62Affari Esteri italiano.(67) Sotto il profilo dell'importanza dello scambio e della libera circolazione dei ricercatori universitari è d'uopo evidenziare che «con le loro esperienze sul campo, ma anche con i rapporti di amicizia e affettivi che continuano a coltivare anche al loro rientro in Italia, gli studiosi che fanno ricerca in Egitto producono non solo conoscenze insostituibili, ma anche un tessuto di relazioni che coincide nei fatti con lo spazio euro-mediterraneo. Senza questi ricercatori europei in Medio Oriente o senza studiosi arabi in Europa, da Taha Husayn, all'inizio del Novecento, a Patrick Zaki oggi, questo spazio euro-mediterraneo nei fatti non esisterebbe e sarebbe abbandonato alle incomprensioni, agli stereotipi, alla propaganda. La ricerca sul campo è indispensabile per la conoscenza. Tuttavia, ci si continua a chiedere perché studiare i sindacati indipendenti in Egitto, perché andare lì a fare una ricerca del genere. Per la comunità scientifica internazionale il tema del sindacalismo indipendente in Egitto è un tema di indiscutibile rilevanza».(68)
  Nell'ambito del rapporto tra il docente di riferimento del dottorato e il ricercatore non stupisce che vi possa essere una coincidenza e convergenza sostanziale negli interessi accademici e nelle direttrici della ricerca: sarebbe atipico il contrario. Lo stesso Regeni si è premurato di accertarsi – nell'illustrare il tema di interesse del suo dottorato come lo studio rivolto a «connettere gli emergenti movimenti di protesta in Egitto con il fenomeno della deindustrializzazione e l'assenza di una coerente politica industriale nell'era neoliberale» – che fosse coerente con le aree di ricerca della docente.(69)
  La circostanza di una coincidenza degli interessi di studio con la docente Abdelrahman, come altresì un potenziale interesse della professoressa ad utilizzare per sue attività accademiche ed eventuali pubblicazioni parte delle ricerche e i dati quali-quantitativi in potenza raccolti da Regeni emerge analizzando due elementi. Il primo è un articolo scritto da Maha Abdelrahman e pubblicato il 14 gennaio 2013 sul sito «Jadaliyya.com» dal titolo «Ordering the Disorderly? Street Vendors and the Developmentalist State».(70) Nell'articolo si affronta la tematica dei venditori ambulanti e della ricerca di libertà individuale e collettiva che ha alterato le pratiche e le percezioni dello spazio pubblico. La docente mette in risalto le iniziative di pressione per un sindacato indipendente, la raccolta di firme e il processo per avviare un sindacato indipendente reso complicato dal Ministero del Lavoro, rientrando ciò «in una strategia sistematica dei governi post-Mubarak per arrestare lo sviluppo di centinaia di nuovi sindacati indipendenti ».Pag. 63(71) Il secondo elemento è la proposta al collega Habib Ayeb di lavorare insieme in un progetto da presentare all'Arab Council of Social Sciences (ACSS), rispondendo ad un bando sul tema della ineguaglianza, della mobilità e dello sviluppo in chiave di ricerca comparativa. Abdelrahman esplicita di essere interessata al tema dei venditori ambulanti e di aver scritto un piccolo articolo per «Jadaliyya» e spera di sviluppare qualche elaborato più vasto.(72) Questi elementi attestano, da un lato, un dichiarato ed evidente interesse accademico congiunto con Regeni per le tematiche oggetto delle successive ricerche dello studente. Dall'altro lato, confermano che la professoressa Abdelrahman aveva interesse a far svolgere una ricerca accademica sul campo per raccogliere dati su vari casi di studio in termini comparativi, non necessariamente in Egitto e a prescindere dal lavoro di ricerca di Giulio Regeni, e altresì dimostrano che i temi del sindacalismo indipendente come forma di organizzazione emergente e dello spazio urbano e pubblico, condizionato dai venditori ambulanti e dagli altri emarginati, erano d'interesse sotto il profilo scientifico e nella comunità accademica, tanto che la docente aveva scritto e pubblicato un articolo in merito già nel gennaio del 2013 e nel gennaio 2014 manifestava l'intenzione di partecipare ad un progetto da presentare all'Arab Council of Social Sciences(73) ad un altro accademico, cosa che effettivamente avvenne nella seconda conferenza dell'ACSS dal titolo «Questioning Social Inequality and Difference in the Arab Region» che si è tenuta dal 13 al 15 marzo 2015 a Beirut.(74) Pag. 64
  Le coordinate teoriche entro le quali si muoveva la ricerca di Giulio Regeni sono state in parte precedentemente accennate in quanto risalenti già al tempo della sua laurea magistrale e della preparazione del progetto di ricerca, tuttavia va ancora detto che l'interesse per le teorie elaborate da Assef Bayat e da Joel Beinin(75) rappresenta un nodo centrale nell'attività speculativa e di ricerca del giovane Regeni. In questa attività è stata coinvolta anche la sua amica e, all'epoca, dottoranda di Cambridge Noura Wahby, egiziana e ampiamente presente in più fasi della vicenda come meglio si affronterà in seguito.
  Noura Wahby – oggi assistente presso il Dipartimento di Politiche Pubbliche e Amministrazione dell'Università Americana del Cairo (AUC) – appare per la prima volta nelle comunicazioni mail agli atti di questa Commissione il 1° febbraio 2015.(76) La collaborazione e il confronto tra i due ricercatori sono concreti tanto che in più occasioni si scambieranno suggerimenti, articoli, testi, proposte di elaborati, correzioni reciproche di bozze e progetteranno di scrivere insieme articoli accademici. Nel febbraio del 2015(77) Regeni e Wahby avevano espresso alla professoressa Abdelrahman l'intenzione di sviluppare congiuntamente un articolo. È significativo del quadro teorico entro il quale si posiziona Regeni che l'elaborato intendesse affrontare le differenti visioni dello sviluppo che si stavano proponendo in Egitto. Questo pone in evidenza, come si osserverà in altre occasioni, gli ampi interessi del giovane ricercatore che andavano anche oltre al tema del sindacalismo indipendente e abbracciavano argomenti come la politica industriale, la globalizzazione economica, la storia della classe operaia sia in Europa e nei Paesi sviluppati che nel Sud del mondo.
  In occasione della domanda da «ricercatore in visita» inviata da Regeni all'American University in Cairo (AUC) nel mese di giugno del 2015 il tema e le modalità della ricerca possono dirsi definitivamente stabiliti e circoscritti.(78) Nella research proposal inviata all'AUC si afferma chiaramente che il titolo della ricerca è: «Independent trade unions and development in post-Mubarak Egypt». La domanda generale di ricerca è: «I sindacati indipendenti stanno lavorando per un'agenda sviluppista nell'Egitto post-Mubarak?». Regeni afferma che la sua ricerca di dottorato si concentra sull'importanza del sindacalismo nel XXI secolo esaminando la formazione dei sindacati indipendenti nell'Egitto post-Mubarak.
  Se durante il suo primo anno di dottorato, Regeni ha collocato il caso di studio dell'Egitto all'interno di tendenze più ampie dell'economia globale, come la flessibilizzazione del lavoro e l'informalità, al fine Pag. 65di comprendere quale fosse la rilevanza dei sindacati, nel corso del lavoro di ricerca sul campo intende analizzare la misura in cui i sindacati sono rappresentativi delle aspirazioni dei lavoratori entrando in contatto con gli stessi lavoratori e sindacalisti, ottenendo i dati mediante interviste semi-strutturate e attraverso il racconto di storie di vita nelle differenti tipologie di sindacato. Qui Regeni indica l'intenzione di studiare l'emergere dell'IGURETA («Independent General Union of Real Estate Tax Authority Workers», il primo sindacato indipendente a ricevere il riconoscimento governativo nel 2009 dopo un duro confronto politico con le autorità), il sindacato degli esattori fiscali, e di svolgere l'analisi di un altro sindacato emergente nell'economia informale: il sindacato degli ambulanti di strada. Conclude molto chiaramente Regeni: «questi diversi casi di studio mi daranno l'opportunità di confrontare e contrapporre due modelli radicalmente diversi di sindacalismo emergente in Egitto e di comprendere meglio le linee di questo nuovo fenomeno politico».

1.5.1 Il metodo delle interviste

  L'interesse di Regeni è orientato a comprendere le dinamiche del lavoro e le prospettive del movimento dei lavoratori nelle differenti sue articolazioni, in differenti settori e con particolari e specifici sviluppi. Per ciò che attiene alle modalità di conduzione della ricerca Regeni è pertanto molto chiaro ed esplicita altresì: «le mie domande di ricerca saranno incentrate sulle tattiche quotidiane dei sindacati per la sopravvivenza, il riconoscimento e l'espansione e sui modi in cui le attività sindacali si inseriscono all'interno di un'agenda sviluppista che presenta un'alternativa alle politiche del regime. Farò anche domande sul processo rivoluzionario dal 2011, per capire cosa questo ha significato per il movimento operaio e fino a che punto questo processo è ancora vivo per i lavoratori e i sindacati. Intendo approfondire l'atteggiamento dello Stato nei confronti dei sindacati indipendenti, per capire se i modi autoritari dello Stato presentino qualche trasformazione rispetto a quanto già noto nella letteratura accademica». È d'uopo inoltre evidenziare come la ricerca di Giulio Regeni avesse come macro-orizzonte non tanto e non solo l'Egitto quanto piuttosto il sindacalismo indipendente come fenomeno politico, appena riemerso in Egitto e per questo meritevole di attenzione «soprattutto – afferma Regeni – per quanto riguarda il settore informale, che è relativamente poco studiato». A corroborare tale affermazione è lo stesso ricercatore che esplicita: «attraverso l'analisi di questo nascente movimento la ricerca fornirà spunti di confronto tra i paesi del Sud del mondo e il significato più ampio del sindacalismo indipendente nell'economia globale del ventunesimo secolo. [...] Quindi, utilizzando le voci di lavoratori, attivisti, sindacalisti egiziani e delle loro controparti come caso di studio, si darà forma al più ampio quadro dietro le sfide in corso al sindacalismo indipendente».
  L'arco temporale del lavoro di ricerca sul campo è esplicitamente dichiarato da Regeni nel periodo che intercorre tra il primo settembre 2015 e il 15 marzo del 2016. Il ricercatore illustra nel report anche l'ipotesi di strutturazione dell'indice della tesi finale del dottorato che si sarebbe dovuta articolare in sette capitoli: l'introduzione della Pag. 66ricerca, l'introduzione ai sindacati indipendenti, i nuovi movimenti sociali, la storia del movimento dei lavoratori in Egitto, la comparsa del sindacalismo indipendente e il caso degli esattori fiscali, la comparsa del sindacalismo indipendente e il caso degli ambulanti, le implicazioni per la letteratura specifica.
  Giulio Regeni era rigoroso e scrupoloso nella strutturazione del suo lavoro di ricerca e aveva redatto una serie di domande che lo guidavano nelle interviste svolte sul campo ai sindacalisti, ai lavoratori e alle persone ritenute idonee a fornire elementi qualitativamente rilevanti relativamente all'oggetto di ricerca accademica. Le interviste condotte dal ricercatore erano registrate e successivamente riscritte in forma strutturata e, se necessario, tradotte dall'arabo all'inglese o comunque corrette anche utilizzando brevi appunti a supporto. La struttura di base delle interviste, oggetto di lavoro da parte di Regeni nei primi giorni di permanenza al Cairo, è stata anche condivisa con altri ricercatori di Cambridge presenti in Egitto come Sophie Roborgh,(79) Benjamin Abrams(80), oltre che con l'egiziana Noura Wahby (insieme alla quale, come si vedrà, Regeni parteciperà nel dicembre del 2015 anche ad un convegno organizzato dall' Association for Middle Eastern Public Policy and Administration in veste di relatore), impegnata nello studio degli spazi urbani, la quale ha avuto l'opportunità di suggerire variazioni e integrazioni. Le domande da porre e poi effettivamente poste ai singoli interlocutori sono state strutturate da Regeni in modo molto chiaro e non equivoco e attengono alla natura del sindacato o dell'organizzazione d'appartenenza, al tipo di lavoro svolto, alla visione futura di sviluppo del sindacato, alla percezione del popolo e dello stato relativa ai sindacati.

1.5.2 Il coinvolgimento degli organismi portatori di interessi collettivi

  È chiara l'intenzione del ricercatore di svolgere un'analisi comparativa di due modelli di sindacalismo: quello «istituzionale» o «Top-down» che intende cogliere le opportunità politiche offerte dalla transizione post-Mubarak e quello adottato dall' «EDLC» (Egyptian Democratic Labour Congress), insieme all'ONG «Center for Trade Unions and Workers Services» (CTUWS), che promuove lo sviluppo del movimento dei lavoratori «dal basso» nel lungo periodo. Per questa ragione entrerà in contatto con l'organizzazione civile egiziana Egyptian Center for Economic and Social Rights (ECESR) e con Hoda Kamel Hussein, una ricercatrice egiziana che in quel Centro lavora come coordinatrice responsabile dell'archivio in materia di lavoro e diritto sindacale e a cui Regeni è stato indirizzato dalla sua tutor al Cairo, professoressa El-Mahdi.
  Come anche più avanti si vedrà, Hoda Kamel Hussein è colei che ha introdotto Regeni nell'ambiente dei sindacalisti degli ambulanti tanto che il 13 ottobre 2015 presenta il giovane ricercatore a Mohamed Pag. 67Abdallah Said, capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti del Cairo Ovest, proprio negli uffici dell'Egyptian Center for Economic and Social Rights (ECESR). Naturalmente Hoda Kamel, che verrà anche intervistata da Regeni il 9 dicembre del 2015, intratterrà frequenti rapporti con il ricercatore e lo supporterà ponendolo in contatto con sindacalisti, ambulanti e studiosi egiziani. Dal mese di ottobre del 2015 Regeni incontra più volte Hoda Kamel e con lei organizza le visite presso alcuni mercati. Dai resoconti scritti da Regeni e recuperati dal suo PC nel corso delle indagini degli investigatori italiani, i suoi rapporti con gli ambulanti sono molto buoni e il ricercatore riesce in breve tempo ad instaurare delle relazioni cordiali e, per quanto possibile, di amicizia.

1.5.3 Amici e colleghi italiani al Cairo

  Dagli atti acquisiti da questa Commissione emerge la frequentazione di Regeni in Egitto in particolare con due studiosi italiani: Gennaro Gervasio e Francesco De Lellis. Come fatto accertato si può ritenere che la conoscenza di Regeni con il professor Gennaro Gervasio è da ricondurre almeno al maggio/giugno del 2014. Regeni riferisce di essere entrato in contatto con Gennaro Gervasio, che giudica una «persona piacevole», in conclusione della mail del 3 giugno 2014 tra il giovane studente e la professoressa Abdelrahman che li aveva messi in contatto. In quella mail Regeni scriveva di essere in fase di valutazione della fattibilità del suo dottorato a Cambridge da ottobre 2014 e intendeva discutere, come visto, alcuni dettagli del suo dottorato di ricerca.(81) Il professor Gennaro Gervasio(82) – all'epoca dei fatti docente presso la British University in Egypt (BUE) del Cairo – ha avuto con Regeni un assiduo rapporto di confronto culturale e intellettuale nel periodo che il ricercatore ha trascorso al Cairo. Gervasio è inoltre la persona con la quale, come noto, Giulio Regeni si sarebbe dovuto incontrare alle ore 20.00 la sera della sua scomparsa il giorno 25 gennaio 2016, per raggiungere congiuntamente l'anziano professore egiziano Hassnein Kishk in occasione del compleanno di quest'ultimo.(83) Il professor Gervasio era al Cairo da molti anni ed era considerato un punto di riferimento per gli studenti, gli accademici e la comunità italiana in genere presente in città.(84) Il rapporto di stima e amicizia stretto con Regeni, prima epistolare a distanza e poi dal momento dell'arrivo del ricercatore al Cairo anche di periodica frequentazione Pag. 68(85), aveva sviluppato un'intesa culturale che giunse anche alla valutazione di stesure congiunte di articoli accademici ed elaborati nel campo della sociologia e delle scienze politiche.(86) Regeni si confrontava con Gervasio relativamente alla ricerca e talvolta lo aiutava nel lavoro di correzione di elaborati degli studenti.(87)
  Francesco De Lellis, all'epoca dei fatti dottorando dell'Orientale di Napoli, amico e coetaneo di Regeni, stava svolgendo una ricerca analoga sui sindacati indipendenti, con una particolare declinazione relativa al caso di studio del sindacalismo rurale e alla storia del movimento contadino.(88) Giulio Regeni e Francesco De Lellis condividevano alcuni temi di ricerca legati al sindacalismo egiziano e avevano pertanto modo di confrontarsi anche sotto il profilo scientifico, tanto che insieme parteciperanno per motivi di studio e ricerca ad una riunione sindacale presso il Center for Trade Union and Workers Services (CTUWS) al Cairo il giorno 11 dicembre 2015.(89) Come emerso dalle attività investigative, durante il suddetto incontro Regeni si accorse di essere stato fotografato da una giovane donna. L'episodio mise in allarme Giulio Regeni e la vicenda lo inquietò al punto di sospettare di essere sorvegliato da qualcuno. Regeni racconterà la circostanza a De Lellis (che in quel momento non si trovava vicino a Giulio Regeni in sala e che confermerà gli eventi(90)) nell'immediatezza del fatto e successivamente narrerà questo episodio alla fidanzata che affermerà, nelle sue dichiarazioni rese agli inquirenti italiani, che Giulio Regeni avrebbe dovuto partecipare nei giorni successivi ad un'altra riunione sindacale alla quale preferì non andare per prudenza e perché sembrava ci fosse molta polizia nei pressi. Come più ampiamente si dirà, secondo gli investigatori italiani sarebbe pertanto con probabilità ascrivibile ad un già pianificato servizio di osservazione degli apparati di sicurezza verso il ricercatore italiano questa circostanza della fotografia scattata dalla donna, anche prima della data della telefonata del sindacalista Mohammed Abdallah Said a Hosam Foda (presidente del consiglio egiziano per i diritti dei lavoratori) del 15 dicembre 2015, nella quale Abdallah Said avrebbe denunciato dei Pag. 69supposti sospetti su Giulio Regeni, come da Abdallah Said stesso esposto al magistrato egiziano Elyas Imam nelle dichiarazioni rese il 10 maggio 2016.(91) La circostanza della riunione sindacale dell'11 dicembre 2015 diede modo a Regeni e De Lellis di scrivere congiuntamente un articolo sul sindacalismo egiziano che venne pubblicato il 14 gennaio su «Nena News» (Agenzia Stampa Vicino Oriente) sotto lo pseudonimo di Antonio Drius, di cui più approfonditamente si tratterà.

1.6 Lo svolgimento della ricerca in seno ai sindacati degli ambulanti

  Nel 2015, anno in cui Giulio Regeni si reca in Egitto per la ricerca dei dati necessari per la stesura della propria tesi di dottorato il panorama sindacale egiziano è sostanzialmente diviso tra due realtà, quella della «Federazione dei sindacati egiziani» (ETUF), organo istituzionale i cui vertici sono effettivamente di nomina governativa, cui si contrappone un variegato panorama di sindacati indipendenti. Parte di questi è in possesso di status legale ed è pertanto considerato «riconosciuto» (e.g. il «Sindacato generale degli impiegati delle imposte sulle tasse immobiliari – IGURETA»), mentre i restanti organismi di rappresentanza sono privi di riconoscimento ufficiale e si raccolgono prevalentemente sotto la sigla della «Federazione dei sindacati indipendenti» (EFITU).
  Dopo il suo arrivo al Cairo nelle prime ore della mattina del 9 settembre 2015, Giulio Regeni occupa il primo mese di presenza in Egitto organizzando la logistica del suo soggiorno e il suo lavoro di ricerca nonché prendendo contatti con la tutor Rabab El-Mahdi e, attraverso questa, con Hoda Kamel Hussein dell'Egyptian Center for Economic and Social Rights (ECESR) che, come richiamato precedentemente, in quel Centro lavora come coordinatrice responsabile dell'archivio in materia di lavoro e diritto sindacale. Hoda Kamel crea per Regeni diversi contatti in seno al sindacato degli ambulanti con vari sindacalisti e venditori sindacalizzati e organizza con questi, tra ottobre 2015 e gennaio del 2016, delle occasioni di incontro per il ricercatore finalizzati ad interviste semi-strutturate e opportunità di svolgere osservazione partecipata presso i mercati di Roxy e Masr al Gadida. Prima di tratteggiare gli eventi legati alla ricerca in seno al sindacato degli ambulanti e all'osservazione partecipata occorre chiarire il fatto che il secondo caso di studio di Regeni relativo al sindacato degli esattori fiscali doveva, nelle intenzioni del ricercatore, essere affrontato nella seconda parte della sua permanenza al Cairo, tra gennaio e marzo del 2016, al rientro dalle vacanze natalizie.(92)
  Per Regeni riuscire ad accreditarsi presso i venditori di strada rappresentava sicuramente uno dei maggiori fattori di criticità, in ragione della metodologia di ricerca adottata, la «ricerca partecipata». Il metodo esige, infatti, che l'osservatore si immerga nell'ambiente studiato, relazionandosi intensamente – e durante la loro ordinaria quotidianità e attività professionale – coi soggetti che costituiscono il campione e l'oggetto dello studio. Ciò comporta di fatto che il ricercatore doveva essere accolto dai venditori ambulanti tra i loro banchi Pag. 70del mercato e ottenerne la fiducia. Si trattava di un obiettivo evidentemente molto ambizioso in una realtà sociale fortemente controllata dagli apparati di sicurezza. Si comprende quindi come l'intermediazione di Hoda Kamel e dell'ECESR fosse necessaria agli occhi di Giulio Regeni per poter aver accesso ai dati indispensabili al completamento della propria tesi di dottorato.
  Il metodo dell'osservazione partecipata, come già affrontato e come appresso si noterà, immerge Regeni nel campione sociale sottoposto a studio e nel contempo delinea di fatto anche la possibilità che il ricercatore faccia evolvere la realtà circostante attraverso il proprio intervento attivo e comunque condizionante. Le implicazioni di tale fenomeno studiato dal ricercatore nelle lezioni relative ai «metodi della ricerca» sono duplici: da un lato, in aree del mondo ove vigono forme di governo che reputino approcci sociologici diversi dalle ricerche «compilative» come potenzialmente «eversivi» o «rivoluzionari», il ricercatore attira le attenzioni delle autorità costituite, che hanno interesse a mantenere inalterato lo status quo. Dall'altra gli studiosi, influenzando il comportamento del campione, alterano le realtà sottoposte ad osservazione. Come visto, queste preoccupazioni emergono nell'ambito del carteggio di Giulio Regeni con la sua supervisor inglese del 14 novembre 2015.

1.6.1 Conoscenza e rapporto con Abdallah Said

  Il 13 ottobre 2015 Regeni conosce Mohamed Abdallah Said(93), capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti del Cairo Ovest. Abdallah viene presentato a Regeni da Hoda Kamel negli uffici dell'Egyptian Center for Economic and Social Rights (ECESR). Negli appunti di Regeni emerge un significativo interesse per il rappresentante sindacale sin da questo momento.
  Il primo incontro è ricco di contenuti, l'interlocutore rappresenta per lo studioso un soggetto di estremo interesse: proveniente da una famiglia di ambulanti aveva interrotto gli studi universitari per far fronte ad esigenze familiari. Presa in gestione l'attività di ambulante del padre, era stato fatto oggetto di soprusi e inganni da parte delle autorità e avrebbe, infine, partecipato alla formazione di un organismo di rappresentanza degli interessi degli ambulanti alla cui guida era stato eletto presidente, al momento della costituzione del sindacato, nel 2014(94). Nella trascrizione dell'intervista, emerge l'interesse di Giulio Pag. 71Regeni per gli aspetti correlati alla nascita del sindacato e le finalità che si proponeva di raggiungere. Il ricercatore non si sbilancia, si limita a recepire i contenuti che Abdallah Said gli fornisce. Nella parte conclusiva il sindacalista si mostra più loquace, anche con il supporto argomentativo di Hoda Kamel, e inizia ad affrontare il problema della gestione degli spazi pubblici e del cattivo impiego che ne viene fatto attraverso lucrose concessioni d'uso non propriamente trasparenti, mancando la documentazione che ne sostanzi il titolo, con canoni pagati in contanti ai funzionari che li gestiscono. Tale situazione, sostiene Abdallah, impedendo ai venditori di ottenere in concessione aree più favorevoli ai commerci, stava progressivamente portando i venditori di strada verso la rovina, con risvolti pericolosi sul fronte della pace sociale Come si nota, non è lo studioso ad introdurre l'argomento della rivoluzione e della minaccia alla pace sociale, ma lo stesso Abdallah Said.
  Come ricostruito dalla Procura della Repubblica di Roma è già immediatamente dopo questa data, pertanto tra la metà di ottobre e la metà di novembre, che Regeni viene sottoposto ad un servizio di osservazione da parte degli apparati di sicurezza egiziani. Emergerà dalle dichiarazioni di Mohamed Abdallah Said che questi, alla richiesta di Hoda Kamel avanzata nel giorno del loro primo incontro, inizialmente si rifiuterà con decisione di accompagnare Regeni tra gli ambulanti del Cairo e tuttavia, dopo poco tempo e in linea con quella che si ritiene essere il «nullaosta» degli apparati di sicurezza e un vero inizio di «indagini» su Regeni, Abdallah Said ci ripenserà e accetterà di introdurre Regeni agli ambienti degli ambulanti mediante «visite guidate» dei mercati di riferimento; non prima di aver avvertito gli ambulanti stessi della delicatezza delle visite che avrebbe fatto con il ricercatore e aver sollecitato attenzione nel fare commenti e nel dare risposte poco caute alle domande di Regeni, cosa perfettamente in linea con la prudenza da utilizzare proprio in quanto vi sarebbero state già in corso attività di controllo da parte dei servizi di sicurezza.(95)
  Il sindacalista, ascoltato più volte dalla procura egiziana, asserirà di aver incontrato la prima volta Giulio Regeni presso l'ECESR nel mese di dicembre del 2015 ma questo dato sarà smentito sia dalle dichiarazioni di Hoda Kamel sia dagli appunti del ricercatore. I verosimili motivi che hanno portato il sindacalista a mentire sulla data del loro primo incontro sono stati ricondotti dagli inquirenti italiani all'esigenza, da parte dei servizi di sicurezza egiziani, di dimostrare che il loro interesse per il ricercatore italiano era stato solo superficiale e concentrato nel breve intervallo temporale racchiuso tra gli inizi di dicembre, epoca della «denuncia», e la prima metà di gennaio 2016. A tal riguardo il responsabile della raccolta informativa da parte della National Security egiziana su Giulio Regeni, Maggiore Abdelal Sharif(96), nelle sue numerose deposizioni dinanzi all'autorità giudiziaria egiziana, pur contraddicendosi su numerosi punti, è rimasto coerente Pag. 72riguardo alla data iniziale di avvio delle attività di controllo relative allo studioso italiano.
  Il giovane ricercatore incontra diverse volte Mohamed Abdallah Said per intervistarlo nell'ambito della sua ricerca accademica. Le interviste al sindacalista, di cui Regeni prende nota nei suoi appunti, sono almeno tre nel mese di ottobre, a partire dal giorno 13, data del primo incontro, sino al 20 ottobre, data dell'ultima intervista accertata. Per tutto il mese di ottobre Abdallah Said si rifiuterà di accompagnare il ricercatore nelle strade del Cairo, salvo poi cambiare idea a fine novembre.(97) Si concretizzeranno in seguito vari incontri tra gli ambulanti a partire dai primi di dicembre. La ricostruzione dei fatti svolta dalla Procura della Repubblica di Roma colloca al 7 dicembre 2015 la data in cui il colonnello Husam Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif della National Security sollecitano il sindacalista Mohamed Abdallah per avere notizie su Regeni. Si ritiene questa richiesta della National Security coerente con la ricostruzione dei fatti che colloca la «denuncia» di Regeni tra la fine di ottobre e la metà di novembre. Sebbene le visite di Regeni presso i mercati finalizzate all'osservazione partecipata della quotidianità degli ambulanti siano autonomamente iniziate dal mese di ottobre, sarà solo l' 8 dicembre 2015 che Regeni incontra gli ambulanti del mercato al capolinea di Ahmed Helmy accompagnato per la prima volta da Mohammed Abdallah.(98) Scrive Giulio Regeni nel suo pc al termine di quella giornata(99): «Oggi mi sono reso conto di quanto Mohamed sia riconosciuto come leader dalla comunità degli ambulanti...mi ha detto che vorrebbe creare un partito per i venditori ambulanti. Io ero ipnotizzato all'idea». Regeni scrive anche del fatto che gli ambulanti in questa occasione fecero domande sulla ricerca, sulle ragioni di questa e sul perché era interessato al tema. Riferisce ancora il ricercatore, nei suoi appunti, che inizialmente erano tutti curiosi e sospettosi riguardo a lui. Abdallah aveva organizzato in ogni dettaglio quella visita: «Siccome non mi fidavo» – spiegherà il sindacalista agli inquirenti cairoti – «prima di andarlo a prendere alla stazione Ramses ho fatto un giro e ho detto di stare attenti a quello che dicevano, di non farsi coinvolgere in discussioni con lui. Avevo spiegato di non fare commenti, di lasciare fare a me». In questo incontro tra gli ambulanti di Ahmed Helmy Regeni ottiene le copie di alcuni documenti come l'atto costitutivo della cooperativa/sindacato, gli articoli di legge che regolano le attività degli ambulanti (legge 105 del 2012 a modifica della legge 33 del 1957)(100) e la copia di un disegno relativo ad un progetto di costruzione e organizzazione di un mercato in piazza Elfalaky e Dar Alkadaà.
  Nella ricostruzione degli investigatori italiani operata mediante analisi dei tabulati telefonici risulta accertata la chiamata di Mohammed Abdallah Said ad Hosam Foda (presidente del consiglio egiziano Pag. 73per i diritti dei lavoratori) il 15 dicembre 2015. Mohammed Abdallah Said dichiarerà il 10 maggio 2016 che le indagini della National Security sul conto di Regeni sarebbero iniziate, diversamente da quanto ricostruito dagli investigatori italiani, proprio a valle della sua telefonata ad Hosam Foda e dopo la giornata dell' 8 di dicembre trascorsa tra gli ambulanti; nel momento in cui avrebbe confidato a Foda (il quale Mohammed Said Abdallah sapeva essere in contatto con gli apparati di intelligence) i suoi dubbi sulla linearità del comportamento di Regeni. Come più avanti si dirà, Foda in quell'occasione, e nei successivi contatti con Abdallah Said avuti di persona, introduce il sindacalista al generale Mohammad Ayman, vice governatore del Cairo per le zone Ovest e Nord, il quale investe della questione relativa ai sospetti su Regeni il colonnello della polizia giudiziaria del Cairo Ather Kamal. Il colonnello Kamal accompagnerà il 5 gennaio 2016 Abdallah Said presso la sede della National Security a Nasr City (sobborgo del Cairo) al cospetto del colonnello Husam Helmi e del maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.(101)
  Il 18 dicembre 2015 Regeni menziona nei suoi appunti un colloquio avvenuto nella giornata medesima con Mohammed Abdallah presso il mercato di Ahmed Helmy. Nell'incontro, il sindacalista Abdallah, come da richiesta avanzata al ricercatore secondo le istruzioni ricevute dal maggiore Sharif(102), ottiene da Giulio Regeni la traduzione del bando di concorso per la borsa da diecimila sterline della Fondazione Antipode di cui meglio si dirà. Giulio Regeni consegna la traduzione delle linee guida e anticipa al sindacalista che ha già coinvolto Hoda Kamel Hussein per le attività di dettaglio della partecipazione al bando. Il sindacalista Abdallah, per quel che emerge dall'appunto sul pc del ricercatore, chiede quanto potrebbe ricavare per se stesso e la sua famiglia (accampando vari problemi familiari e di salute). Regeni risponde che ne ricaverebbe in quanto da sindacalista starebbe lavorando per l'interesse degli ambulanti e si augura che questo interesse personale di Mohammed Abdallah non pregiudichi gli esiti concreti del progetto di finanziamento. In questa occasione viene poi scritto negli appunti privati il noto commento di Regeni in riferimento ad Abdallah Said: «Miseria umana».(103)
  L'inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Roma ha avuto modo di accertare numerosi contatti e incontri tra Mohamed Abdallah Said e ufficiali della National Security e della polizia giudiziaria avvenuti tra la seconda metà di dicembre 2015 e il gennaio del 2016. La volontà di Mohamed Abdallah Said di trarre in qualche modo profitto dalla relazione con Giulio Regeni si è palesata sia nella circostanza delle richieste avanzate al ricercatore volte, nei piani del sindacalista, a dirottare a suo vantaggio l'eventuale finanziamento a progetti di sviluppo e ricerca in campo sociale, sia nel probabile tornaconto ottenuto o comunque atteso dal sindacalista a seguito della denuncia di Giulio Regeni agli organi di sicurezza egiziani come soggetto presunto pericoloso per la sicurezza nazionale, nel momento in cui ha compreso che nessun utile avrebbe potuto conseguire direttamente Pag. 74 da Giulio Regeni, il quale rettamente e onestamente continuava a mantenere inalterata la linearità di condotta e la volontà di utilizzare i fondi eventualmente ottenibili per progetti nell'ambito del sindacato e non in forma privata e/o particolare. La distorta narrazione in danno all'immagine del ricercatore, compiuta dal sindacalista Abdallah circa il comportamento tutt'altro che anomalo tenuto da Giulio Regeni nello svolgimento quotidiano della sua ricerca, ha certamente contribuito a renderlo interessante presso gli apparati di sicurezza egiziani in ordine alla loro necessità di tutelare il governo in carica da qualunque opposizione interna o esterna al paese.
  La sera del 7 gennaio 2016 Regeni incontra Mohamed Abdallah Said che lo filma tra le ore 21.10 e le 22.26 tramite un'apparecchiatura nascosta in un bottone che, secondo la ricostruzione della Procura della Repubblica di Roma, gli è stata fornita dalla National Security a seguito degli incontri del 5 e del 6 gennaio con il maggiore Sharif e il colonnello Helmi, con l'intento di documentare una supposta attività eversiva del ricercatore italiano e di fatto ottenendo l'esatto opposto effetto dimostrandone ulteriormente l'irreprensibile comportamento.(104) L'interlocutore di Regeni tenta più volte di indurlo a trattare questioni socio-politiche, tuttavia Regeni, pur affrontando il tema del finanziamento della fondazione Antipode, esprime chiaramente l'impossibilità di distrarre i fondi per usi personali e fuori dalle logiche del bando della fondazione. Nella registrazione svolta da Abdallah Said viene anche acquisito l'audio di una telefonata che lo stesso Said effettua subito dopo la ripresa di Regeni. Nella telefonata il sindacalista chiede istruzioni sulla disattivazione dell'apparecchio chiamando l'utenza che agli investigatori italiani consta essere riconducibile al colonnello Ather Kamal.(105)

1.6.2 Il giro dei mercati

  L'analisi del personal computer del ricercatore svolta dagli investigatori italiani(106) ha permesso di determinare il fatto che la più intensa attività di osservazione partecipata presso i mercati degli ambulanti è stata svolta da Regeni tra l'ultima settimana di ottobre e la metà di dicembre del 2015, con una particolare intensità nel mese di novembre. Giulio Regeni ha stilato e lasciato almeno dieci report di quelle giornate nei suoi appunti.(107) Sul finire di ottobre del 2015 Hoda Kamel Hussein, dopo aver organizzato il citato primo incontro tra Mohamed Pag. 75Abdallah Said e Regeni, si attiva su richiesta mail del ricercatore italiano(108) per creare occasioni di incontro con gli ambulanti e il 29 ottobre lo condurrà anche in visita presso l'area di Masr al Gadida. Nella medesima verrà presentato a Regeni Rabie Mohamed Fadhl El Sayed, il vicepresidente del sindacato degli ambulanti del centro (Gharb Al-Qahira) e ambulante presso il mercato di Masr al Gadida, originario di Sohag nell'Alto Egitto.(109) Per dare contezza dei rapporti di fiducia stabiliti tra Regeni e gli ambulanti durante le attività di osservazione partecipata basti citare il fatto che in questa giornata Regeni assiste ad un tentativo di controllo della polizia locale nei confronti dei venditori ambulanti e resta al seguito degli ambulanti nella fuga, nascondendosi con loro vicino ad una moschea.
  Le modalità utilizzate da Giulio Regeni hanno carattere scientifico, nondimeno dai suoi appunti traspare la sua empatia per le difficili condizioni di vita delle persone che intervista: «Sono ancora impressionato dal fatto che questi venditori di strada debbano scappare dalla polizia di continuo, come parte della loro routine quotidiana. Rabie mi dice che capita circa ogni ora (dieci volte al giorno) [...], i venditori ambulanti con cui ho parlato in questa occasione sono istruiti a livello universitario (almeno due di loro) e sono in grado di conversare in arabo classico con me. Sono consapevoli della situazione difficile in cui si trovano e disperatamente cercano di essere considerati cittadini con gli stessi diritti di tutti gli altri».(110)
  Il 3 novembre 2015 Regeni intervista gli ambulanti presso l'area di Masr al Gadida. Il ricercatore incontra Rabie Mohamed Fadhl El Sayed (che lo accompagnerà spesso) e ancora una volta l'ambulante «Fathi», con i quali berrà del thè. Negli appunti relativi alla giornata Regeni annota alcuni temi condivisi da lui con gli ambulanti tra cui il fatto di come non avesse senso pagare regolarmente l'elettricità alle autorità senza avere un posto assegnato.(111)
  Il ricercatore italiano cerca di frequentare i venditori di strada il più possibile, conquistandone man mano la fiducia. Annota negli appunti relativi al 3 novembre 2015: «Sono andato a Masr al Gadida in metro. Rabie sapeva che sarei venuto, ma non a che ora. Sono circa le 05.00 e si stanno appena preparando per iniziare a lavorare. Rabie, Fathi e un ragazzo più giovane che vende occhiali stanno tutti uno accanto all'altro. Mi hanno detto che ieri la baladia ha confiscato tutte le loro scatole e probabilmente anche i tavolini di legno [...] Rabie mi Pag. 76ha detto di sedermi vicino a lui e alla sua bancarella, appoggiata su una macchina parcheggiata. In modo da poter parlare più facilmente, ma sospetto anche che possa usare la mia presenza per attirare la curiosità dei clienti.»
  Sino agli incontri citati dell'8 e del 18 di dicembre 2015 nei quali Regeni viene accompagnato da Said Abdallah presso il mercato di Ahmed Helmy, tutti gli altri incontri con gli ambulanti e le relative osservazioni partecipate di ottobre e novembre hanno luogo presso l'area cairota di Roxy e il mercato di Masr al Gadida, in zona Heliopolis, a contatto del medesimo gruppo «campione di ricerca» e con il supporto di Rabie Mohamed Fadhl El Sayed. Nelle giornate del 9; 13; 18; 21; 26 novembre; 1 e 8 dicembre (in questa giornata Regeni incontrerà sia Rabie Fadhl a Masr al Gadida che Abdallah Said ad Ahmed Helmy )(112) il ricercatore annoterà le sue attività di osservazione. Nel frattempo, giova ricordare, Regeni conduceva le interviste a sindacalisti, attivisti e intellettuali sul tema sindacale.(113)
  Con particolare riferimento al contenuto delle interviste e delle osservazioni partecipate di Regeni, emergente dai report redatti relativi alle osservazioni partecipate e dai resoconti dei vari colloqui svolti, è doveroso rilevare come sia del tutto evidente come questi attengano eminentemente a temi di ricerca accademica e sociologica che alcuna utilità o, per converso, rischio potrebbero inoltre rappresentare o determinare per alcuno Stato. Nell'inchiesta svolta da questa Commissione non sono emersi elementi nello studio o nelle condotte del giovane Giulio Regeni avulsi da logiche scientifiche di ricerca socio-economica che possano, o avrebbero potuto, rappresentare neanche in potenza minaccia o vantaggio competitivo in campo politico ed economico sovranazionale.

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1.6.3 La proposta di finanziamento della Fondazione Antipode

  La fondazione britannica Antipode offre annualmente finanziamenti fino a diecimila sterline per la promozione e lo sviluppo di progetti e ricerche in campo sociale sin dal 2012, anno in cui ha smesso di finanziare borse di studio per singoli studenti universitari, come aveva fatto dal 2000 in quanto rivista, per concentrarsi sul supporto a progetti. La fondazione viene creata nel 2011 come ente di beneficenza legato alla rivista «Antipode, a Radical Journal of Geography». La rivista è una pubblicazione scientifica periodica «peer-reviewed». Originariamente ispirata dai movimenti per la giustizia sociale degli anni sessanta, la pubblicazione nasce nel 1969 e sostiene oggi cause progressiste attraverso il lavoro della fondazione Antipode.(114)
  Dichiarerà in audizione il sostituto procuratore Colaiocco il 10 dicembre 2020 «Secondo noi l'occasione della partenza di tutta questa tragica vicenda è legata all'attività di ricerca che Giulio Regeni aveva avviato al Cairo, certamente di per sé sola non sufficiente a fare comprendere quanto è successo. Quindi noi riteniamo che sia stato elemento scatenante dell'attenzione della National Security la circostanza del finanziamento della fondazione Antipode e quando si è iniziato a parlare delle diecimila sterline. Questo discorso del finanziamento ha certamente attirato e acceso i riflettori degli indagati su Giulio Regeni e la possibilità di partecipare a questo bando di concorso della fondazione Antipode, che con tutta evidenza nella mente di Giulio Regeni era un'idea solo per aiutare i sindacati indipendenti attraverso l'ONG che gli aveva fatto conoscere il sindacalista Abdallah, è stata del tutto equivocata dallo stesso Abdallah e poi dagli ufficiali della National Security che oggi sono indagati, che immaginano che questo finanziamento in realtà non derivi da una fondazione, ma immaginano ben altro. Certamente questo è stato il fattore scatenante. A metà dicembre Giulio Regeni inizia a parlare ad Abdallah di questo finanziamento che avrebbe dovuto avere attraverso l'ONG della signora Hoda, colei che gli aveva fatto conoscere il sindacalista Abdallah. Pochi giorni dopo la National Security gli chiede di portargli il bando di Antipode e il famoso video del 7 gennaio ha proprio a oggetto, lo ricorderete, il finanziamento. Questo quindi è stato il fattore scatenante che ha fatto equivocare sulla condotta di Giulio Regeni e si deve ritenere ragionevolmente che abbiano pensato che fosse una persona che, come d'altronde il maggiore Sharif riferisce al suo collega keniota, voleva finanziare una rivoluzione, cioè volesse avviare un'azione sovversiva che era tutto tranne quello che era nelle idee di Giulio Regeni».
  Il proposito di richiedere un finanziamento per progetti e attività di sviluppo locale(115), mai concretizzato né uscito dall'alveo delle Pag. 78ipotesi, emerge in una chat di Regeni del 13 ottobre 2015 con un suo amico triestino. Nella conversazione Regeni, mostrando il link del project awards della fondazione Antipode, si domanda se sia il caso di tentare di «connettere» il finanziamento di fondazione Antipode alla sua ricerca di dottorato.
  Scrive Regeni: «mi stavo pensando se se podesi connetter sta roba qua al dottorato; domani me vedo con Gennaro, el ricercator italian, e ghe chiedo cosa che ghe sembra [...]. Fosi de veder quanto del dottorato rivo a zontarghe, me xe vegnuda solo oggi l'idea perché oggi durante l'intervista i me ga dito che no i ga schei per organizzar robe...alternativamente, i ga una roba equivalente per organizzar workshops, podesi anche esser un'idea». Il riferimento è all'intervista con Mohamed Abdallah Said che Regeni ha raccolto nella medesima giornata. Il sindacalista, in occasione del loro primo incontro, ha manifestato a Regeni la penuria di sostanze economiche per organizzare le attività del sindacato, pagare la locazione della sede etc.
  Dalla ricostruzione svolta dalla Procura della Repubblica di Roma emerge che dopo un mese Regeni, in una chat con la madre, lascia intendere di aver tratto dalla professoressa Maha Abdelrahman l'idea di poter far presentare un progetto alla Fondazione Antipode, o comunque da lei la nozione stessa della sua esistenza. Scrive il ricercatore: «Questo è il bando per un progetto che Maha mi ha inviato un poco di tempo fa. Riguarda la possibilità di ottenere soldi per un progetto di “sviluppo dal basso”. Sarebbe perfetto per quello che sto facendo adesso e vorrei capire se si possa implementare qualcosa».(116)Tale circostanza non è negata dalla professoressa Albdelrahman che ha dichiarato in proposito alla Commissione di non ricordarlo. Sulla rivista da cui è nata la Fondazione Antipode, peraltro, il tema dei sindacati dei venditori ambulanti ha fatto oggetto di interesse sia pure in altri contesti geografici, per cui l'eventuale riferimento ad essa, anche bibliografico, rientrerebbe perfettamente nel contesto della ricerca di Giulio Regeni.
  L'entusiasmo di Regeni relativamente al sostegno allo sviluppo di dinamiche partecipative bottom up, connesse con lo spirito di cooperazione e operosità che lo animavano, ha alimentato nel ricercatore la determinazione a prodigarsi proponendosi a supporto nell'elaborazione della domanda di accesso ai finanziamenti della fondazione Antipode e promuovendone l'utilizzo per progetti di sostegno al sindacato e di sviluppo dei diritti dei lavoratori. A ciò si aggiunga poi la considerazione che, in ragione di quanto già detto circa la necessità accademica di Regeni di farsi «accettare» – soprattutto nelle fasi iniziali della ricerca sul campo nelle quali si trovava ad ottobre – dall'ampia platea Pag. 79di venditori ambulanti asseritamente rappresentati dall'egiziano(117), lo studioso ha ragionevolmente ritenuto che Mohammed Abdallah avrebbe potuto essere l'espediente per accedere ai venditori di strada e ai sentimenti più intimi della categoria. Ciò avrebbe offerto, verosimilmente, un contributo alla ricerca in corso.
  Il 16 dicembre 2015 Giulio Regeni pertanto scambia una mail con Hoda Kamel e le parla della fondazione Antipode. Regeni invia ad Hoda Kamel il link relativo «al progetto» e nella circostanza le chiede un parere.(118) Come precedentemente affrontato, il 18 dicembre Regeni consegna al sindacalista la traduzione delle linee guida del bando della fondazione Antipode e gli comunica che ha già coinvolto Hoda Kamel per le attività di dettaglio della partecipazione alla domanda attraverso l'ECESR. Nell'occasione Regeni comprende e raccoglie le esternazioni del sindacalista che palesano le intenzioni di trarre vantaggio personale dall'opportunità di finanziamento prospettata.(119)
  Come incidentalmente anticipato, e oltre si dirà, il tentativo di Abdallah Said di provocare Regeni durante l'incontro videoregistrato del 7 gennaio 2016 allo scopo di dimostrare che questi aveva facoltà di disporre (a fini sovversivi) o distrarre (per fini personali) i finanziamenti prospettati è fallito. Nel video che riprende la conversazione tra Abdallah e Regeni, il ricercatore chiarisce che non si può fare un uso personale di quel finanziamento e che vi è la necessità di presentare un buon progetto dal quale emergano le finalità e l'utilizzo delle risorse stanziate, per poter competere con molti altri progetti presentati alla fondazione britannica da enti di tutto il mondo e ottenerne così le sovvenzioni. Nel video Abdallah, agendo come un «agente provocatore», induce Regeni a trattare questioni politiche e gli prospetta anche un uso privato di quei finanziamenti, accampando ragioni di necessità familiari. Regeni si opporrà recisamente.(120) L'8 e 9 settembre 2016, nel corso del terzo vertice tra le Procure italiana ed egiziana svolto a Roma, emergerà che Mohamed Abdallah Said era colluso con i servizi egiziani e ha denunciato Regeni come «spia».(121)
  L'ipotesi di partecipare al bando della Fondazione Antipode è verosimilmente uno dei più rilevanti motivi che hanno portato gli apparati di sicurezza egiziani a decidere di porre in atto il successivo passo, quello del sequestro e delle torture ai danni di Regeni. Questo è un nodo della vicenda difficile da comprendere se non ci si cala nel contesto sociale egiziano, ove l'opposizione politica è sottoposta ad un continuo monitoraggio e repressione da parte delle istituzioni securitarie statali. Si riportano in proposito le dichiarazioni del ricercatore italiano Francesco De Lellis, divenuto amico di Giulio Regeni durante il periodo di permanenza al Cairo: «non abbiamo mai parlato della fondazione Antipode; non sapevo di questa roba e se avessi saputo che Pag. 80avesse avuto intenzione di parlare della possibilità di un finanziamento, gliel'avremmo sconsigliato».(122)

1.6.4 La supervisione della ricerca

  Secondo il costume accademico britannico, la supervisione della ricerca di Regeni ha lasciato ampio margine alle attività autonome del ricercatore sul campo. Sono accertati solo due incontri del dottorando con la docente Abdelrahman al Cairo e alcune comunicazioni mail non ascrivibili a particolari o anomale richieste e indirizzi da parte della professoressa di Cambridge. Giulio Regeni arriva al Cairo il 9 settembre del 2015 alle primissime ore della mattina e incontra la docente verso la fine del primo mese di attività, il 27 settembre, e successivamente appena rientrato in Egitto dopo le vacanze natalizie, il 7 gennaio.(123) Dall'inchiesta condotta non emergono contributi e particolari attività di tutoring di Rabab El Mahdi alla ricerca di Giulio Regeni. Naturalmente non si esclude che vi siano stati indirizzi e confronti accademici tra il giovane ricercatore e la docente dell'AUC, tuttavia il contributo della tutor appare più frequentemente in modo indiretto nelle citazioni e nella bibliografia degli elaborati che non attraverso contributi e confronti di cui si abbia contezza.
  Nel corso dei mesi di attività sul campo del ricercatore, le comunicazioni con la docente di Cambridge hanno avuto ad oggetto anche revisioni di elaborati destinati a convegni e workshop, nonché suggerimenti circa eventi di carattere scientifico a cui la docente ha sollecitato la partecipazione. Il 19 ottobre 2015 la docente scrive a Regeni e Noura Wahby allegando un documento di un workshop di politica economica del Medio Oriente organizzato per primavera/estate del 2016 e volto a connettere dottori di ricerca con ricercatori più esperti nel campo per generare occasioni di confronto nella comunità accademica. La professoressa invita i suoi due studenti a presentare la loro lettera di interesse.(124) Il 4 novembre 2015(125), poco dopo aver ricevuto la conferma dell'accettazione di un suo elaborato nell'ambito del convegno AMEPPA (Association for Middle Eastern Public Policy and Administration), Regeni invia alla docente Abdelrahman il testo di presentazione della sua ricerca da allegare alla domanda di partecipazione al workshop sull'economia politica del Medio Oriente richiedendole eventuali correzioni. L'inchiesta della Commissione e l'analisi della documentazione acquisita ha permesso di individuare anche la presenza di Regeni nel panel dei relatori alla «Quarta Conferenza Globale sulle Politiche Pubbliche e l'Amministrazione nel Medio Oriente» organizzata da AMEPPA insieme all'American University in Cairo che Pag. 81ha avuto luogo dal 5 al 7 dicembre del 2015.(126) Il ricercatore italiano prepara la partecipazione come oratore ad uno dei tavoli di lavoro del convegno insieme a Noura Wahby e Anne Rowell (un'altra dottoranda di Cambridge in Architettura e Urbanistica in missione al Cairo) dal mese di ottobre.(127) L'intervento di Giulio Regeni nell'ambito del convegno AMEPPA aveva il seguente titolo: «A Tale of Everyday Resistence: street vendors and the contestation of urban space in Cairo» e indagava il concetto di marginalità e vulnerabilità degli ambulanti nella società egiziana, sebbene essi rappresentino una quota significativa del mercato del paese. Nell'elaborato si affrontava il tema del «diritto alla città» rivendicato dagli ambulanti spesso trascurati dalle autorità statali che non li contemplerebbero nelle prospettive di sviluppo della nazione.(128)
  Regeni aggiorna ovviamente la professoressa Abdelrahman circa il suo lavoro al Cairo scrivendole di aver iniziato ad effettuare le sue interviste e l'osservazione partecipata ai mercati di Roxy e Masr al Gadida. Il ricercatore conferma alla docente l'utilità dell'ECESR nel fornire contatti e afferma che c'è molto da esplorare per quanto riguarda la sindacalizzazione dei venditori ambulanti, che giudica espressamente molto accoglienti nei suoi confronti.
  In questo contesto merita senz'altro di essere menzionata la mail del 14 novembre 2015(129) che Regeni indirizza alla docente nella quale il ricercatore, che sta intervistando un gruppo di venditori sindacalizzati di Masr al Gadida, ipotizza che dal momento che l'osservazione partecipata sta andando bene, la sua presenza potrebbe avere effetti sui venditori ambulanti. Al riguardo le chiede alcune letture che esplicitino l'influenza del partecipante sulle persone osservate come ad esempio i lavori di Paulo Freire, menzionato dalla stessa Abdelrahman durante le lezioni relative al metodo della ricerca svolte nel primo anno di corso del dottorato. Il 16 novembre la docente risponderà dichiarandosi ancora una volta felice del fatto che il lavoro proceda bene e affermando che l'influenza degli osservatori – degli scienziati sociali – sul contesto è una questione complessa di cui deve essere consapevole e gli consiglia delle letture.(130) Pag. 82
  Sino all'incontro della mattina del 7 gennaio 2016, svoltosi tra il ricercatore e la docente nel medesimo giorno dell'incontro serale di Regeni con Mohamed Abdallah Said, che lo filmerà tramite apparecchiatura nascosta, non vi saranno particolari contatti tra Abdelrahman e Regeni se non relativi a richieste di lettere di referenze per workshop o borse di studio e una comunicazione – come si è già affrontato – relativamente alla risoluzione di tematiche amministrative legate alla variazione delle rette universitarie di Cambridge.(131) L'ultimo contatto tra il ricercatore e la docente che risulta agli atti di questa Commissione è la mail del 15 gennaio 2016 nella quale Regeni scrive ad Abdelrahman dicendole che la versione italiana dell'articolo sull'incontro CTUWS (la già citata riunione sindacale dell'11 dicembre 2015) è finalmente pronta. Scrive Regeni che «loro» (esplicita «lui e un altro dottorando italiano») hanno utilizzato nomi fittizi dal momento che non vogliono attirare attenzioni indesiderate. Regeni allega il link per raggiungere in cloud l'articolo condiviso e conclude la mail affermando che stanno in quel momento lavorando alla versione in inglese che vorrebbero pubblicare su «Jadaliyya».(132)

2. LA PERCEZIONE DEL RISCHIO – EGITTO

2.1 Il risk assessment svolto a Cambridge

  L'ateneo inglese ha una consolidata tradizione nell'inviare i propri ricercatori all'estero e prevede, pertanto, una procedura piuttosto articolata nell'approvazione dei progetti di ricerca finanziati dall'ateneo. Tra gli altri documenti, si richiede che il ricercatore rediga un documento di valutazione del rischio («risk assessment»), controfirmato dal proprio docente supervisore. Il documento è un passaggio fondamentale affinché l'ente universitario inglese possa approvare il progetto di ricerca.
  Il modulo che Giulio Regeni utilizzò all'epoca della presentazione del progetto di ricerca (2015) era piuttosto snello, composto da due Pag. 83pagine e articolato su tredici sezioni. Tra queste, quelle di maggiore interesse sono tre:

   - la quarta, laddove viene chiesto di descrivere brevemente la natura dell'attività che dovrà essere svolta: Regeni nel compilarla dà atto del tipo di lavoro che farà, specificando che si concentrerà sui sindacati degli esattori delle tasse immobiliari e su quelli dei venditori ambulanti;

   - la quinta, ove il candidato viene chiamato a descrivere come reagirebbe a circostanze impreviste (furto, incidenti di viaggio, rischi sanitari, terrorismo, turbamenti dell'ordine pubblico, disastri naturali): Giulio Regeni afferma di avere la possibilità di fare riferimento ad enti di supporto sia istituzionali sia accademici, oltre che a conoscenze personali (ambasciata italiana, American University);

   - la sesta dove si chiede se siano stati presi in considerazione i rischi politici: lo studioso afferma che la situazione politica in Egitto è stabile, in quanto il sito del Foreign Office indica che l'area del Cairo è sicura.(133)

  Il modulo verrà poi validato dalla sua supervisor, Maha Abdelrahman, cui era chiesto di appore una firma in calce, per attestare la congruità di quanto in esso descritto.
  Per comprendere la percezione del livello di rischio risulta tuttavia di particolare interesse un punto di un altro questionario che si deve presentare per l'approvazione della ricerca, diverso da quello sulla valutazione del rischio. Alla domanda:

  «Quali sono i punti di forza e di debolezza della mia metodologia? È possibile prevedere dei provvedimenti per ogni probabile ostacolo o limitazione?», Giulio Regeni risponde testualmente: «Mentre la mia metodologia di ricerca appare essere lineare, sono preoccupato per lo scenario altamente volatile attualmente presente in Egitto. Investigare sui sindacati in uno scenario post-rivoluzionario potrebbe essere visto con sospetto da molti dei previsti intervistati e dalle autorità... Mentre sono sicuro sulle mie capacità di parlare in arabo con interlocutori eruditi, sono meno sicuro sulla mie capacità di comunicare con persone in dialetto/gerghi con i quali non ho familiarità«(134).

2.2 La consapevolezza del rischio e le cautele nella vita quotidiana

  Già all'indomani della laurea magistrale (2012), quando cominciava a immaginare il percorso del dottorato di ricerca, Giulio Regeni affrontava con la sua docente di riferimento la questione del contesto in cui avrebbe dovuto svolgere le sue ricerche sul campo(135). Le manifestava infatti le proprie preoccupazioni per il fermento che animava la società egiziana (l'anno successivo, nel mese di luglio, il colpo di stato orchestrato da Al Sisi deporrà il presidente Al Morsi, eletto nelle liste della fratellanza musulmana) ricordando alla professoressa Pag. 84 quanto da lei stessa riferitogli, ossia che alcuni ricercatori di sua conoscenza non erano stati in grado di operare al meglio a causa delle turbolenze che agitavano la società egiziana. Lo stesso giorno la docente gli risponde invitandolo a focalizzare ulteriormente l'ambito della propria ricerca e tranquillizzandolo circa la possibilità di effettuare attività accademica in Egitto, essendovi già degli studenti che stavano facendo ricerca, nonostante la rivoluzione.
  Durante il periodo di frequenza dell'anno preparatorio presso la sede dell'ateneo, in particolare nel mese di giugno 2015, vengono definiti i dettagli del periodo di ricerca all'estero. E' in tale fase che ritornano talune preoccupazioni del giovane ricercatore, che, come detto nel precedente capitolo, si appuntano in modo particolare sulla scelta della tutor locale, la professoressa Rabab El Mahdi.
  Come già accennato. Giulio Regeni non era un viaggiatore sprovveduto. Conduceva una vita indipendente da molti anni, essendosi allontanato dalla casa familiare per frequentare il «Collegio del mondo unito» (sede del New Mexico – USA) già all'età di 15 anni, e avendo poi proseguito tutta la propria formazione superiore all'estero, nel Regno unito. Aveva familiarità col mondo arabo avendo seguito un corso di perfezionamento della lingua araba a Damasco, in Siria e avendo già lavorato al Cairo, durante un internato alla «United Nations industrial development organization» tra il giugno e l'agosto del 2013, periodo, tra l'altro, del colpo di stato di Al Sisi e quindi particolarmente rischioso.
  Tutti coloro che l'hanno conosciuto, d'altronde, hanno confermato la natura vigile e attenta del giovane ricercatore che conduceva una vita sobria, uscendo solo il necessario dall'appartamento in cui aveva affittato una stanza.
  Le accortezze adottate da Giulio Regeni nel muoversi, divenute per lui un habitus mentale, gli consentivano di essere costantemente consapevole di ciò che gli accadeva intorno, qualità che gli ha consentito di rendersi conto dei fatti che seguono.

2.3 La fotografia nella riunione dell'11 dicembre 2015

  Nel corso del proprio soggiorno al Cairo Giulio Regeni conosce un altro dottorando italiano in scienze sociali, proveniente dall'Orientale di Napoli, Francesco De Lellis. I due sono accomunati dall'interesse per i movimenti sociali e l'influenza che questi hanno nel processo di evoluzione delle democrazie. De Lellis, in particolare, si concentra sulle formazioni sociali rurali e sulle questioni conseguenti all'espropriazione delle terre dei contadini.
  Più di qualche volta il comune interesse li porta ad effettuare interviste congiunte ad esponenti del mondo sindacale egiziano oltre che a condividere alcuni momenti di convivialità.
  Nell'ambito di tale rapporto di collaborazione scientifica, l'11 dicembre del 2015 entrambi partecipano ad una riunione pubblica presso il «Center for trade unions and workers services» (CTUWS – Casa dei servizi per i sindacati e per i lavoratori)(136) in cui per la prima Pag. 85volta rappresentanti di una cinquantina di sigle sindacali indipendenti cercano di definire un'azione collettiva per contrastare una norma che, qualora applicata, li avrebbe fortemente penalizzati(137). Mentre i rappresentanti delle sigle sindacali si succedevano sul palco, De Lellis prendeva appunti e Regeni coglieva l'occasione per intervistare, individualmente, alcuni di loro.
  Nel corso di tale riunione, Giulio Regeni viene fotografato da una donna sconosciuta, indossante il «'hijab», il tipico velato usato dalle donne di fede musulmana. La circostanza mette in allarme il ricercatore, tant'è che egli stesso confiderà all'amico (che in quel momento non si trovava vicino a Giulio Regeni in sala e che confermerà gli eventi agli investigatori italiani), e successivamente alla fidanzata a Kiev, tali preoccupazioni sull'inusuale comportamento, interpretabile unicamente come una delle circostanze che hanno consolidato lo sviluppo di un servizio di osservazione nei confronti dell'italiano e l'iscrizione dell'avvio delle indagini parte della National Security, risalente al range temporale tra ottobre e novembre 2015.
  La riunione, cui partecipano circa centocinquanta tra sindacalisti e leader dei lavoratori era stata indetta dopo l'emanazione di una circolare del Consiglio dei Ministri che raccomandava una stretta collaborazione tra il Governo e il sindacato ufficiale ETUF (unica formazione ammessa fino al 2008)(138), con il fine esplicito di limitare, di fatto, i diritti dei sindacati indipendenti sui luoghi di lavoro.(139) Pag. 86
  Oggetto dell'incontro erano, in specie, «le misure da intraprendere per arginare le manovre del governo Al-Sisi tese a contrastare le sigle sindacali indipendenti. In particolare, il superamento dell'estrema frammentazione che caratterizza gli attuali assetti del fronte sindacale indipendente è considerato il presupposto indispensabile per rispondere alle politiche repressive espresse dal governo...»(140).
  In merito alla decisione intrapresa dai due dottorandi di prendere parte a tale evento perché attinente agli argomenti di loro interesse, Francesco De Lellis afferma: «... La riunione avvenne di venerdì pomeriggio, durò circa un paio d'ore e vi parteciparono anche dei giornalisti; vi erano stranieri oltre a loro due... (...) ... nel corso del pomeriggio, dopo aver lasciato i registratori sul tavolo, degli oratori, Giulio Regeni si è alzato in più di un'occasione per raccogliere interviste fuori dalla sala... (...) a un certo punto nel pomeriggio Giulio Regeni mi riferì che, poco prima, mentre eravamo seduti in punti diversi della sala, una ragazza, che era seduta poco distante da lui, gli aveva scattato una foto credo con un tablet. Giulio Regeni raccontò che la cosa lo sorprese e chiese immediatamente spiegazioni alla ragazza che però rispose tergiversando senza spiegargli le ragioni della sua condotta...».
  Successivamente, Giulio Regeni gli indicò la ragazza, notando che era egiziana, aveva il velo, ed era vestita in modo ordinario, non mostrando oltre i 30 anni. «A noi era apparsa fuori contesto». Questo episodio preoccupò molto Giulio Regeni quel giorno e, pur essendosi turbato, non capitò più che ne parlassero fra di loro.
  Nella stessa deposizione, oltre a sottolineare che, a suo parere, l'assemblea sindacale in argomento «poteva essere la nascita di un'azione sindacale più incisiva», ribadisce che essa non mirava alla rimozione del Presidente ma rappresentava una mera protesta di alcune decisioni decretate dal Governo.
  Ritornando a quelle immagini scattate, e alla visione di alcune foto estrapolate dal pc marca Acer in uso all'escusso De Lellis, l'8.06.2016(141), costui dichiara che tra di esse, «... la foto principale, ricordo, riguarda una riunione sindacale svoltasi a Il Cairo l'11 dicembre alla quale partecipammo sia io che Giulio Regeni. In merito ai “ritagli” dei due volti in primo piano, non ricordo di averli creati io personalmente; peraltro, alcuni ritagli sono stati ricavati direttamente nella foto principale, Pag. 87mentre altri non mi pare provengano dalla stessa foto ma non escludo possano provenire da altre foto contenute sempre nel mio pc e relative allo stesso evento... tengo a precisare che non si tratta di foto scattate personalmente da me o da Giulio, ma sono state ricavate direttamente dalla pagina Facebook dell'organizzazione promotrice dell'evento...»
  L'interesse smisurato all'acquisizione di una effige della vittima da parte degli organismi di sicurezza cairoti nel contesto della nota assemblea ha coinciso, con tempistiche abbastanza ravvicinate, dall'altrettanto interesse di procurarsi una foto del passaporto della vittima.
  In tale direzione sono confluite le dichiarazioni del teste Beta che racconterà un segmento di cruciale importanza del contesto delle indagini avviate sul conto di Giulio Regeni: quello, in particolare, sulla «collaborazione» fornita agli inquirenti egiziani da Mohamed Khaled El Sayyad, avvocato e coinquilino del ricercatore friulano, rilevando che, poco prima del Natale 2015, verso metà dicembre, un ufficiale della National Security(142) si era «presentato dal portiere del palazzo mostrando interesse verso Regeni. Il motivo della presenza dell'Ufficiale era quello di ottenere la fotocopia del passaporto della vittima, cosa che ottenne dopo essere tornato per ben tre volte».
  Un ulteriore contributo apportato alla vicenda che si narra, è stato fornito nel corso della Memoria Difensiva, condotta dall'avvocato Alessandra Ballerini(143), nella quale si afferma di aver ricevuto da Francesco De Lellis la registrazione di parte dell'assemblea dell'11 dicembre 2015 e copia dell'audio di alcune interviste effettuate da Giulio Regeni a margine della stessa assemblea.
  «... Giulio Regeni non faceva mistero delle sue idee politiche, almeno tra noi amici, non aveva difficoltà a parlare dell'ideologia che era sua propria», lo ricorda l'amico De Lellis, il 3 febbraio 2016(144), «... Voglio precisare, però che lui non era un militante politico. Aveva certamente quei principi ideologici ma non era certo uno che andava in giro a parlare delle sue idee politiche...».
  Egli afferma: «... ne parlammo dopo la riunione dell'11 dicembre 2015, ma fu una conversazione a caldo, fatta in quel momento e che non ha dato corso ad alcun tipo di approfondimento... (...) non ricordo se all'assemblea dell'11 dicembre 2015 fosse presente anche il sindacalista Said Abdallah...».
  Circa l'intervento di Said si rilevano, nel dispositivo del ricercatore, le sue impressioni su quanto dichiarato dal sindacalista a quella convention(145): «il relatore sottolinea il ruolo che il circuito dei venditori di strada hanno avuto nello sviluppo del tessuto commercial al Cairo. Si citano i casi del Ahned Helmy Market e del Helwan Market. In particolare, il primo, è stato il primo mercato pubblico in Medio Oriente ad essere alimentato attraverso l'uso dell'energia solare. Lamenta poi la mancanza di comunicazione tra i venditori di strada e i sindacati indipendenti. Infine dichiara il supporto dei venditori ai sindacati indipendenti nell'ipotesi della creazione di una loro federazione». Pag. 88
  Tale ultima circostanza è, per contro, corroborata dalla ricostruzione cui è giunta la procura romana(146), confermando la presenza in loco del sindacalista Abdallah.

2.4 L'articolo su NENA-NEWS (l'uso dello pseudonimo)

  Quanto osservato dai due studiosi in occasione della riunione dell'11 dicembre trova un momento di sintesi in un articolo scritto a quattro mani dal titolo: «L'Egitto degli scioperi cerca l'unità sindacale»(147), proposto per la pubblicazione inizialmente al quotidiano «il Manifesto» e, successivamente, in ragione dell'assenza di una risposta definitiva, pubblicato on line, il 14 gennaio 2016, sul sito «Nena-News.it»(148), a firma di «Antonio Drius»(149) (pseudonimo nato dalla fusione del nome Antonio, scelto da De Lellis, col cognome della nonna materna di Regeni, Drius per l'appunto) utilizzato dai due studiosi per evitare di attirare l'attenzione delle istituzioni securitarie egiziane su di sé(150). L'articolo avrebbe dovuto avere una versione inglese, che era in fase di preparazione ma che non vedrà mai la luce. Quest'ultimo avrebbe dovuto costituire la base per un articolo accademico da proporre alle riviste specializzate del settore, idea che non ha superato lo stadio di mero proposito(151).
  La scelta di pubblicare l'articolo, inizialmente rifiutato dal «Manifesto» in ragione della richiesta dei due autori che venisse pubblicato sotto pseudonimo(152), è testimonianza ulteriore delle cautele che Giulio Regeni (e in questo caso anche De Lellis(153)) adoperavano per evitare sovraesposizioni che avrebbero potuto portarli ad una espulsione dall'Egitto, evento che avrebbe impedito loro di portare a termine le rispettive ricerche.
  I due studiosi nella loro premessa illustrano le modalità di esercizio del potere messe in atto da Al Sisi dal punto di vista dei partecipanti alla riunione: «Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla “guerra al terrorismo”, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile» e ritengono che «il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento».
  L'idea che l'evoluzione della società egiziana verso un ordinamento pienamente democratico possa arrivare da una spinta dal basso colpiva Pag. 89i due studiosi che, nel chiudere l'articolo, affermano: «... la strada appare ancora lunga e accidentata, ma è unicamente da questi fermenti sociali che può scaturire la speranza per un Egitto realmente democratico.»
  Dichiarerà De Lellis ai magistrati: «...Eravamo consapevoli che il regime nel 2011 era caduto a seguito dei reiterati scioperi e che l'assemblea sindacale dell'11 dicembre poteva segnare la nascita di una azione sindacale più incisiva»(154).
  L'articolo, come detto, era stato proposto da Francesco De Lellis al quotidiano italiano, il precedente 9 gennaio. Il contatto del ricercatore italiano era un redattore, sua conoscenza occasionale grazie al quale aveva già pubblicato altri articoli, Giuseppe Acconcia che, pur apprezzando il contributo non avrebbe compreso la scelta di utilizzare uno pseudonimo da parte dei due autori. Comunque l'articolo non venne pubblicato nell'immediato ma solo dopo il rinvenimento del corpo privo di vita di Giulio Regeni.
  Epilogo, purtroppo infruttuoso, della specifica vicenda è l'approfondimento voluto dalla magistratura italiana sugli indirizzi IP di coloro che avevano avuto accesso all'articolo, al fine di verificare se indirizzi riferibili alle istituzioni egiziane rientrassero tra questi: «... al fine di verificare l'esistenza di dati utili relativi ad accessi provenienti dall'Egitto, ma nessun dato era possibile acquisire.».(155)

3. L'ENTRATA NELL'ORBITA DEL REGIME

3.1 Egitto: un regime in transizione

  L'attuale sistema di governo egiziano si configura come l'evoluzione del sistema di potere instauratosi a seguito della cosiddetta Rivoluzione degli Ufficiali Liberi nel 1952, che sostituì la secolare monarchia fondata dal leader politico-militare Mohamed Ali all'inizio del diciannovesimo secolo con un gruppo di potere radicalmente nuovo composto primariamente da individui provenienti dei ranghi medi dell'Esercito. L'attribuzione a tale evento della definizione di «rivoluzione» è incoraggiato dalla letteratura sulla storia egiziana nel suo senso più letterale(156). Oltre al radicale cambiamento che comportò a livello di vertici dello Stato, infatti, esso fece scaturire un altrettanto radicale trasformazione all'interno di molti altri settori cruciali della società, dalle forze armate all'economia (sia nazionale sia locale), portando tra le altre cose alla progressiva riduzione dei cittadini appartenenti a gruppi etnici o religiosi non arabo-musulmani (tra gli altri, cittadini di origine greca, italiana, inglese, turca o di religione ebraica). Questi ultimi, sotto la monarchia perlopiù appartenenti alle élite dominanti, si trovarono infatti rapidamente spodestati dalle posizioni privilegiate di un tempo – e in gran numero costretti all'esilio – dalle nuove élite economico-politiche sponsorizzate dal regime rivoluzionario, perlopiù appartenenti alla maggioranza arabo-musulmana. Il sistema instauratosi a partire dal 1952 è perciò ritenuto responsabile della trasformazione Pag. 90 in senso nazionalista dello stato egiziano, con a capo la maggioranza arabo-musulmana. Quest'ultima, giunta per la prima volta al potere nella storia recente del Paese, dovette in fretta diventare in grado di generare una adeguata classe dirigente, un ruolo che fino a quel momento era stato appannaggio essenzialmente quasi solo delle minoranze.
  Dalla sua fondazione a oggi il sistema instauratosi nel 1952 ha subito numerosi cambiamenti ed evoluzioni. Il più radicale è stato certamente il tentativo di trasformazione portato avanti a seguito della rimozione di Hosni Mubarak dalla presidenza nel 2011 e la sua sostituzione, dopo un turbolento periodo di transizione guidato dall'Esercito, con l'esponente di spicco della Fratellanza Musulmana egiziana Mohamed Morsi. Il fallimento di tale tentativo, sancito poco più di un anno dopo dalle grandi manifestazioni di piazza del giugno 2013 e dal colpo di stato portato a termine dall'Esercito il 3 luglio seguente, hanno condotto a una restaurazione solo parziale dell'ordine politico in controllo del paese fino al termine della presidenza Mubarak. La nuova leadership impossessatasi del potere nel luglio 2013, guidata dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Mohamed Abdel Fattah Al-Sisi, può essere infatti considerata l'autrice di un «golpe correttivo», non solo rispetto ai tentativi della breve presidenza Morsi, ma anche rispetto ad alcune forme istituzionali peculiari coagulatesi durante la trentennale presidenza di Hosni Mubarak e dei suoi predecessori Anwar Sadat e Gamal Abdel Nasser, che avevano portato nei decenni a un progressivo spostamento degli equilibri interni di potere dalla componente militare verso quella civile, controllata saldamente e direttamente dal presidente e dalla sua famiglia.
  Il forte ridimensionamento di tale componente civile, sancito dall'ascesa al potere di Al-Sisi, ha comportato un riequilibrio nei rapporti di potere interni al regime in numerosi ambiti, da quello economico – tra vari gruppi imprenditoriali legati a diversi poli di potere del regime – ai servizi di sicurezza – anch'essi tradizionalmente differenziati tra le due agenzie dipendenti dai circoli militari (Ministero della Difesa) e quella dipendente dai centri di potere civili (Ministero dell'Interno).
  L'analisi della genesi e dell'evoluzione dei principali circoli di potere interno al regime egiziano è perciò fondamentale per la ricostruzione dettagliata del magmatico quadro politico, istituzionale e securitario che caratterizzava il Paese nei mesi precedenti e successivi al soggiorno di Giulio Regeni al Cairo, e che ne hanno contribuito a rendere possibile l'«attenzionamento» da parte dei servizi di sicurezza e, quindi, anche il rapimento e la morte.
  I seguenti paragrafi affrontano l'evoluzione interna del regime egiziano dalla Rivoluzione degli Ufficiali del 1952 ai giorni nostri, analizzandola attraverso le lenti fornite dalla più recente letteratura scientifica inerente alle dinamiche caratterizzanti i regimi autoritari. Essi si soffermano quindi al ruolo di primo piano giocato dalle Forze Armate egiziane a partire dalla fondazione della Repubblica e al graduale ridimensionamento di tale ruolo dovuto alla necessità dei presidenti che si sono succeduti di dare spazio a nuove élite politiche ed economiche civili ed emanciparsi almeno in parte dalle leadership militari. In tal senso, il testo ripercorre le principali tappe dell'evoluzione Pag. 91 politico-economica dello stato egiziano, inteso come un «Ordine ad Accesso Limitato»(157) secondo la letteratura dell'economia dello sviluppo, evidenziando le radici storiche di alcuni elementi cruciali che lo caratterizzano e che sono emersi durante le investigazioni sulla morte di Giulio Regeni : la forte attenzione, e il conseguente stretto monitoraggio, applicato dal regime, su organizzazioni operanti «dal basso» come i sindacati informali di cui Regeni si occupava nella sua ricerca; la forza della narrativa legata alla lotta al terrorismo islamista che il regime egiziano ha continuato a usare dall'insediamento a oggi, ottenendo positivo riscontro popolare, anche per giustificare la repressione esercitata contro attivisti e ricercatori afferenti all'opposizione laica; e, infine, le specifiche dinamiche che hanno caratterizzato l'evoluzione e gli equilibri di potere interni al comparto delle agenzie di sicurezza dello Stato egiziano, le quali all'epoca dell'omicidio Regeni si trovavano in un momento di forte trasformazione e ribilanciamento che può aiutare a comprendere alcuni degli elementi «senza precedenti» riscontrati durante il caso in questione – in primo luogo l'uso di metodi di tortura e l'esecuzione di un giovane studente straniero, nonché il ritrovamento del cadavere – e che sono attribuibili allo stato di turbolenta transizione in cui versava in quei mesi, e in parte versa ancora, il nuovo regime egiziano.

Transizioni di potere nei regimi autoritari: il ruolo dell'esercito

  L'esperienza egiziana relativa al nuovo regime instauratosi nel 2013 rappresenta un interessante caso ibrido, rispetto alle classificazioni adottate dalla letteratura scientifica.
  Nonostante, infatti, la rimozione dell'esecutivo guidato da Mohamed Morsi sia stata portata a termine dal golpe militare del 3 luglio, è infatti importante evidenziare come esso sia avvenuto all'indomani di una serie di grandi manifestazioni che dal 30 giugno precedente avevano percorso il paese, finalizzate proprio alla rimozione del presidente Morsi. Tale esecutivo era però a propria volta il risultato della lunga transizione avvenuta a partire dai moti di piazza avvenuti dal 25 gennaio all'11 febbraio 2011, che avevano comportato la fine della trentennale presidenza di Hosni Mubarak. Anche in tale circostanza, l'effettiva rimozione di quest'ultimo era stata portata a termine dai vertici militari(158). La fase di transizione successiva era stata guidata quindi per gran parte da questi ultimi, e si era esplicata tramite la sostituzione solo parziale della classe politica e amministrativa al potere. La presidenza di Mohamed Morsi, membro di spicco della Fratellanza musulmana, si era quindi instaurata in un contesto statale-burocratico coagulatosi intorno a un regime che per lungo tempo era stato estremamente ostile alla Fratellanza stessa. Non colpisce, quindi, come investigazioni giornalistiche e accademiche successive(159) abbiano portato alla luce il ruolo di alcuni corpi dello stato – nello specifico il comparto di intelligence legato all'esercito (Military Intelligence Dipartment) Pag. 92 – nell'organizzazione della mobilitazione popolare che aveva portato alle grandi manifestazioni del 30 giugno 2013. In particolare, sembra oggi assodato come alla creazione del gruppo di protesta Tamarroud (letteralmente «disobbedienza») – per lungo tempo considerato il frutto di una genuina mobilitazione popolare da parte soprattutto di alcuni gruppi di giovani studenti e che è risultato il principale organizzatore delle manifestazioni che hanno preceduto il golpe – non sia stata estranea l'azione proprio dell'intelligence militare, corpo per lungo tempo guidato dallo stesso Al-Sisi. In questo quadro, quindi, appare chiaro come, oltre al golpe militare del 3 luglio, e alle manifestazioni di piazza che l'hanno preceduto (partecipate anche da milioni di cittadini estranei al ruolo dell'intelligence militare nella loro organizzazione), alle dinamiche che hanno portato all'instaurazione del regime di Al-Sisi abbia attivamente partecipato anche una parte dello stesso Stato egiziano, coagulatosi sotto le lunghe presidenze di Gamal Abdel Nasser, Anwar Sadat e Hosni Mubarak, e sopravvissuta alla rimozione dal potere di quest'ultimo. Sarebbe però impreciso concludere che si sia trattato di un semplice golpe militare preceduto da manifestazioni di piazza preparate appositamente dagli stessi golpisti al fine di ripristinare il regime parzialmente rimosso nel febbraio 2011. Quello del 3 luglio 2013 può configurarsi infatti anche come un golpe «correttivo», in cui parti dello Stato egiziano sopravvissute alla rimozione di Mubarak due anni prima, in primo luogo l'Esercito, hanno agito per ribilanciare gli equilibri di potere a proprio favore, scardinando il processo culminato con l'elezione di Morsi nel 2012. Fine ultimo di tale ribilanciamento era quindi la creazione un nuovo ordine di potere che, rispetto al trentennale periodo della presidenza Mubarak, avrebbe visto l'Esercito non più come comprimario progressivamente marginalizzato dalla componente «civile» del regime, ma come elemento dominante dell'intero sistema.
  Infatti, pur conservando parte dell'apparato burocratico dell'era Mubarak, Al-Sisi ha operato rilevanti cambiamenti ai vertici delle istituzioni, in molti casi modificando significativamente gli equilibri di potere fra le istituzioni stesse, e portando, tra le altre cose, l'Esercito a ricoprire un ruolo di preminenza che non deteneva dai tempi di Nasser. Come analizzato in uno dei paragrafi successivi, i cambiamenti più lampanti apportati dal nuovo regime hanno riguardato la centralità della sua «componente civile», incarnata dal Partito Democratico Nazionale, che specialmente nell'ultima decade di potere dell'ex Presidente aveva acquistato sempre maggiore centralità a discapito di altre componenti del regime, a partire proprio dall'Esercito. Allo scioglimento del PDN, portato a termine nei primi mesi del regime di transizione instauratosi dopo le dimissioni di Mubarak nel 2011, non ha infatti fatto seguito un suo ripristino, nemmeno in forme almeno similari, da parte di Al-Sisi che ha finora rifiutato di costituire un nuovo partito espressione diretta dell'esecutivo, elemento che era invece risultato una costante del regime egiziano a partire dalla presidenza di Nasser (il quale nel 1962 aveva costituito il partito unico «Unione Socialista Araba», poi dismesso dal successore Anwar Sadat, intenzionato ad allontanarsi dalle posizioni socialiste del predecessore, e sostituito nel 1978 dal PDN, fondato dallo stesso Sadat). Tale evidente ridimensionamento della componente civile operato da Al-Sisi si è Pag. 93riflesso anche in altri settori del Paese, come l'economia (che ha visto una parziale trasformazione dell'élite economica a discapito di figure civili private in passato vicine a Mubarak e a favore di imprese a imprenditori facenti parti o vicini agli ambienti militari), o le forze di sicurezza (divise anch'esse in apparati più afferenti alla componente civile del regime e altri, come l'Intelligence Militare, più vicine all'Esercito), come analizzato maggiormente nel dettaglio nei paragrafi successivi.
  Va però sottolineato che a differenza degli episodi precedenti di presa del potere in Egitto da parte di leader militari, il golpe del 3 luglio 2013 si connota per alcune differenze fondamentali, a partire dal ruolo giocato dalla società civile – per quanto in parte organizzata «dietro le quinte» dall'intelligence militare, come sottolineato precedentemente – e le dinamiche di spartizione del potere con alcune figure ad essa appartenenti, o afferenti a formazioni politiche emerse durante il periodo di transizione post-Mubarak (per esempio, molte delle figure appartenenti al governo guidato da Hazem Al-Beblawi, instauratosi dopo il 3 luglio 2013, come Mohamed AlBaradei e Al-Beblawi stesso) che ha connotato il periodo immediatamente successivo al golpe. Anche questo tipo di alleanza temporanea tra Esercito e parti dell'opposizione civile (in questo caso contrarie al governo allora in carica di Mohamed Morsi) trova ampio riscontro nella letteratura. Se infatti, come visto in precedenza, l'Esercito può di solito contare su buona coesione, gerarchie chiare, centralizzazione e abitudine ad agire collettivamente, le organizzazioni di opposizione composte da civili, per quanto di solito meno efficienti dal punto di vista organizzativo, tendono a presentare un maggiore radicamento e popolarità all'interno della società. Per questo, in caso di grave scontento popolare, non di rado è possibile osservare il realizzarsi di alleanze tra opposizione civile e militare durante le fasi più acute di tensione col regime.
  Se questa dinamica rispecchia certamente quanto osservato durante e dopo le proteste di piazza del gennaio-febbraio 2011, essa è forse ancora più evidente nel caso del colpo di stato del 2013 che ha portato al potere Al-Sisi. Nonostante, infatti, parte del movimento di protesta contro la presidenza Morsi coagulatosi nei mesi precedenti fosse stato organizzato e finanziato dalle agenzie di sicurezza legate all'esercito, slogan e contenuti di tale movimento rimanevano ancorati al simbolismo della Primavera Araba e della «rivoluzione» del gennaio-febbraio 2011. L'organizzazione principale animatrice del movimento di protesta – creata e sviluppata per mesi dalla Military Intelligence – era infatti denominata «Tamarroud» e attaccava Morsi e la Fratellanza musulmana in quanto, secondo tale narrativa, intenzionati a sovvertire il neonato ordine democratico a proprio favore(160). In tal modo, Tamarroud si connotava come una organizzazione avente la propria raison d'être nella difesa dei principi democratici e laici contro un palese tentativo di accentramento del potere e nuovo autoritarismo islamista. Tale, almeno apparente, attaccamento ai principi laico-democratici permea le grandi manifestazioni iniziate il 30 giugno 2013 e culminate nel colpo di stato del 3 luglio, nonché tutto il periodo successivo. È opportuno ricordare, infatti, come tutto il primo periodo Pag. 94seguito alla rimozione di Morsi sia stato caratterizzato, e dominato, dall'alleanza instauratasi dai militari coi gruppi civili animatori della protesta e coi principali gruppi e partiti di opposizione alla Fratellanza musulmana che componevano lo spettro politico egiziano.

Consolidamento post-instaurazione: accentramento del potere e marginalizzazione della componente civile

  Nella letteratura accademica che si occupa delle dinamiche di formazione e consolidamento dei regimi autoritari si identifica una divisione netta tra due periodi cruciali che connotano l'instaurazione di un nuovo regime: il periodo di preparazione e di presa del potere e il periodo immediatamente successivo. Un terzo periodo, meno facilmente posizionabile temporalmente, viene individuato a distanza di alcuni anni dall'avvenuta presa del potere – la quantità esatta di tempo dipende da regime a regime ed è difficilmente associabile a un evento preciso – e si caratterizza per l'avvenuto coagularsi delle principali proprietà di lungo periodo del nuovo sistema di potere.
  Il presente paragrafo si focalizza sulla seconda fase sopradescritta, ovvero quella di consolidamento a seguito dell'avvenuta presa del potere. La divisione tra tale fase e quella precedente di preparazione e attuazione dei piani per sovvertire l'ordine esistente per sostituirlo è certamente netta dal punto di vista temporale – con lo spartiacque rappresentato dal giorno dell'avvenuta capitolazione del regime precedente – ma anche dal punto di vista del tipo di dinamiche intercorrenti tra le diverse componenti del nuovo gruppo di potere e dei piani e azioni necessari per proseguire il sentiero del consolidamento del nuovo regime. Tale fase è riconosciuta unanimemente come la più delicata per il nuovo regime stesso, ovvero quella dove lotte di potere intestine e possibili minacce esterne possono intaccare la stabilizzazione e la durata di lungo termine del nuovo ordine. Essa è inoltre di particolare interesse per questa relazione in quanto il periodo che l'attuale regime egiziano stava attraversando nei mesi di permanenza al Cairo di Giulio Regeni è connotabile proprio in questa seconda fase di consolidamento, spesso travagliato, di un regime autoritario.
  A rendere questa fase particolarmente delicata vi sono, in primo luogo, le notevoli differenze che connotano le dinamiche interne all'aspirante gruppo di potere nel periodo precedente alla caduta del regime corrente e quelle che invece vanno a caratterizzare il periodo successivo, in cui è necessario identificare con precisione ruoli e distribuzione del potere all'interno del gruppo stesso. In Egitto tale ambiguità è emersa in entrambi i recenti episodi di deposizione del leader al potere, nel 2011 e nel 2013. Nel primo caso, nel momento in cui si è schierato contro Mubarak, l'Esercito è immediatamente diventato di gran lunga l'organizzazione più forte e strutturata dell'opposizione, riuscendo a imporsi come «gestore» del periodo di transizione. È importante notare che in mancanza dell'Esercito l'organizzazione più efficiente e strutturata dell'opposizione egiziana in quel momento era certamente la Fratellanza musulmana, da sempre primo avversario del sistema di potere centrato sulle Forze Armate instaurato dalla Rivoluzione degli Ufficiali Liberi del 1952. In questo lungo e non lineare processo di formazione di una nuova scena politica «libera» nel paese, Pag. 95la Fratellanza musulmana è riuscita durante la transizione a restare di gran lunga il gruppo più forte e organizzato, anche se messo a più riprese in difficoltà dalla forte popolarità dei leader e dei piccoli gruppi che per primi avevano guidato le rivolte del gennaio 2011, a cui la Fratellanza si era unita con molto ritardo. Ciò aveva comportato una alleanza, dalla maggior parte degli osservatori giudicata temporanea e di comodo, tra la Fratellanza stessa e l'Esercito al fine di unire le forze contro quelle frange dell'opposizione che più mostravano una concezione pluralistica e laica dello stato. Una concezione che, in quanto pluralistica, contrastava con il tradizionale status dell'Esercito che avrebbe visto deteriorarsi ulteriormente la propria posizione di potere all'interno della società per fare posto a una vasta schiera di nuove organizzazioni politiche, a loro volta rappresentanti di gruppi sociali precedentemente esclusi dal potere. Allo stesso tempo, la natura laica della maggior parte delle nuove organizzazioni politiche emergenti dopo il gennaio 2011 contrastava con il progetto egemonico-islamista della Fratellanza musulmana(161). Tale fase di alleanza temporanea si esaurisce però rapidamente con i tentativi di accentramento del potere da parte del nuovo presidente Morsi, eletto a metà 2012. Secondo le ricostruzioni giornalistiche e accademiche più recenti di quel periodo, in tale fase i vertici militari comprendono che quel fronte politico rimasto magmatico e marginalizzato dal potere grazie alla temporanea alleanza tra Fratelli musulmani ed Esercito può ora tornare utile a quest'ultimo in quanto allo stesso tempo debole e manipolabile ma ancora in grado di mobilitare un alto numero di persone se messo nelle condizioni di farlo(162). Nel pilotare la formazione della nuova «coalizione» di opposizione alla presidenza Morsi – a cui segretamente si sarebbero uniti anche i vertici militari, compresi quelli al momento visti come molto vicini al presidente in carica, tra cui lo stesso Al-Sisi – l'Esercito ha quindi tentato con successo di unire forze politiche estremamente diverse fra loro, dalle forze della sinistra estrema più laica a quelle salafite, rivali per certi versi ancora più conservatori della Fratellanza nel panorama islamista, ma accomunate dall'opposizione verso i tentativi di accentramento del potere portati avanti in quei mesi dai Fratelli musulmani. Il coagularsi di alleanze politiche estremamente larghe e per certi versi contraddittorie – includenti, ad esempio, sinistra laica e destra salafita – è tipico delle fasi precedenti a golpe ben organizzati, di solito aventi l'Esercito, o parte di esso, come principale organizzatore dietro le quinte. È opportuno sottolineare che in questa fase della preparazione di un golpe, caratterizzata dalla coagulazione di grandi coalizioni di oppositori pronti a muoversi contro al leader in carica, la forma finale del regime post-golpe è ancora molto incerta e aperta a lotte di potere successive.
  Questo è nella sostanza quanto è stato osservato accadere in Egitto nei mesi precedenti al luglio 2013 e nei mesi immediatamente successivi. Una forte e variegata componente civile ha preso parte alle numerose e partecipate manifestazioni che hanno preceduto il golpe del 3 luglio, in particolare le grandi manifestazioni di massa che hanno attraversato il Paese a partire dal 30 giugno. Tali azioni collettive hanno Pag. 96attivamente utilizzato slogan e simbolismi legati alla cosiddetta Rivoluzione del 25 gennaio 2011, come quelli invocanti una maggiore redistribuzione della ricchezza, dignità sociale, e democratizzazione della società(163). Come nel 2011, dopo mesi di rifiuti per ogni sorta di compromesso, il presidente Morsi ha cercato un dialogo con rappresentanti di questo enorme movimento civile che era venuto a coalizzarsi contro di lui, ma troppo tardi. Ancora una volta come nel 2011, i manifestanti hanno accettato che fossero i militari a dare la spallata finale al presidente in difficoltà, rimuovendolo di forza il 3 luglio successivo. Il copione della fine della presidenza Mubarak e di quella di Morsi, per quanto diverse in molti aspetti, si assomiglia almeno in queste caratteristiche essenziali: in primo luogo, il coagularsi nei mesi (nel caso di Mubarak interi anni(164)) di un forte movimento di protesta dal basso guidato da una coalizione variegata e scarsamente centralizzata di piccole organizzazioni perlopiù informali accomunate dal desiderio di rimuovere il regime al potere in nome di ideali redistributivi e democratici. In seguito, l'organizzazione da parte di questo movimento civile, anche grazie ai moderni mezzi tecnologici(165)), di imponenti manifestazioni di piazza che per giorni costringono la leadership del Paese a confrontarsi con esso sperimentando diversi approcci, da quello più violento e repressivo – utilizzando soprattutto le forze di polizia – a quello più compromissorio.
  Esattamente come nel 2011, nel 2013 l'Esercito è intervenuto a seguito di una enorme mobilitazione popolare organizzata da gruppi della società civile. Anche in questo caso la rimozione finale operata dalle Forze Armate del presidente in carica è stata seguita da un periodo di transizione a guida «collegiale», con un Presidente della Repubblica ad interim, Adly Mansour (precedentemente Presidente della Corte Costituzionale), e un governo di transizione guidato Hazem Beblawi, politico e attivista politico di lungo corso apprezzato da gran parte della variegata opposizione civile. In tale governo l'Esercito ricopriva un ruolo apparentemente limitato, con l'allora Capo di Stato Maggiore Al-Sisi nel ruolo di Ministro della Difesa. Il rapido deterioramento del potere negoziale della componente civile della coalizione che aveva rovesciato Mohamed Morsi ha portato ad un'altrettanto rapida rimozione dal potere di ogni rappresentante della coalizione civile che aveva partecipato alle manifestazioni del giugno 2013 dagli organi di governo – alcune rimaste soltanto con ridotte rappresentanze parlamentari – avvenuta soprattutto in seguito alle elezioni presidenziali del maggio 2014 che avevano portato Al-Sisi al vertice del potere.

3.1.1 Il quadro istituzionale egiziano tra formalità e informalità: un Ordine ad Accesso Limitato

  Il periodo di consolidamento del nuovo regime avviatosi in seguito alla rimozione di Mohamed Morsi dalla presidenza può considerarsi ancora in corso ed è andato acquisendo dal 2013 a oggi caratteristiche Pag. 97specifiche assai diverse da quelle del regime di Hosni Mubarak. Tra queste, come detto, la principale è la sostanziale eliminazione della componente «civile» del regime a favore di quella militare. A tutt'oggi la nuova leadership militare egiziana ha infatti evitato di coagulare intorno a sé un contraltare civile, nella forma di un partito o una coalizione di forze politiche in grado di rappresentare determinati gruppi socioeconomici non-militari, al potere dell'Esercito. Ciò ha avuto finora un effetto diretto sulla forma che ha assunto la leadership politica del Paese – formata oggi da una maggioranza di ex militari(166) – e sulle dinamiche interne dell'economia, che ha visto un processo di costante «militarizzazione» – ovvero l'occupazione da parte di aziende direttamente possedute dall'Esercito o controllate da militari o figure vicine alle Forze Armate – anche di settori un tempo dominati da imprenditori privati provenienti dal mondo civile(167). La funzione principale dell'ala civile del regime di Mubarak, incarnata principalmente dal Partito Nazionale Democratico, era sempre stata quella di cooptare notabili locali ed esponenti del settore privato dell'economia, permettendo loro di entrare nell'orbita del potere centrale attraverso il meccanismo delle elezioni locali e nazionali.
  Il venir meno di tali meccanismi ha portato in Egitto a una strutturale trasformazione all'interno di quello che nella letteratura politologica è definito «Ordine ad Accesso Limitato»(168), ovvero il sistema istituzionale – formale e informale – che regola l'accesso al potere politico, ed economico, e soprattutto alle rendite privilegiate che conseguono dall'esercizio di tale controllo. Gli Ordini ad Accesso Limitato (Limited Access Order – OAL) caratterizzano gran parte dei sistemi politici nel mondo, primariamente quelli di paesi caratterizzati da sistemi politici autoritari, e si oppongono agli Ordini ad Accesso Aperto (Open Access Order). Per tutta la sua storia moderna fino alle dimissioni di Mubarak – fatta in parte eccezione per il breve tentativo di democratizzazione seguito alla rivolta del 2011 – il sistema politico dell'Egitto si è inquadrato come un OAL, inizialmente dominato essenzialmente dalle Forze Armate a cui, in seguito, si sono affiancati altri tre poteri distinti: la Presidenza – incarnata dal presidente, la sua famiglia allargata e il circolo di potere, perlopiù affaristico, formatosi intorno ad essa; i servizi di sicurezza – aventi non solo il potere di tenere sotto stretto controllo la popolazione ma anche aventi una funzione di stretto controllo rispetto all'Esercito e al partito dominante; e il partito politico dominante, fino alla fine della presidenza Mubarak diventato il canale per incanalare verso il centro del regime le istanze dei centri di potere minori, soprattutto locali, e mantenerne la fedeltà. Il seguito di questo paragrafo affronta le principali tappe dell'evoluzione dell'OAL egiziano fino alla caduta di Mubarak e le trasformazioni strutturali introdotte dalla salita al potere di Al-Sisi. Infine, vengono analizzate più in dettaglio le implicazioni che tale trasformazione ancora in divenire hanno avuto nello specifico sulle agenzie di sicurezza dello Stato egiziano e il tipo di dinamiche che le caratterizzavano Pag. 98tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016, evidenziandone il ruolo che potrebbero aver avuto nel portare al sequestro e all'omicidio di Giulio Regeni.

Il nuovo regime di Al-Sisi: l'involuzione delle componenti civili e il nuovo dominio dell'Esercito

  La sostanziale epurazione della componente civile del regime egiziano appare almeno in parte conseguenza di un diverso baricentro internazionale che caratterizza le alleanze esterne dell'Egitto odierno. Una comparazione attenta del regime guidato da Hosni Mubarak, specialmente dell'ultimo periodo della sua presidenza, con quello guidato da Al-Sisi mostra infatti differenze lampanti in primo luogo rispetto al rapporto meno esclusivamente dipendente che quest'ultimo intrattiene con l'Occidente – inteso come Europa e Stati Uniti – e la sua assai più marcata indipendenza in politica estera, che ha visto Al-Sisi avvicinarsi anche ad altre potenze internazionali come la Russia, o posizionarsi in modo diametralmente opposto rispetto a Europa e Stati Uniti su questioni regionali preminenti(169). Ciò certamente è in parte spiegato dalla trasformazione avvenuta nell'ultimo decennio nei rapporti di forza nella regione, scaturita dal sostanziale graduale disimpegno statunitense e dall'occupazione dei vuoti di potere lasciati dagli Stati Uniti da parte sia di potenze regionali – in primo luogo Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Turchia – e da potenze internazionali – in primo luogo la Russia(170). Paesi mediorientali un tempo alleati pressoché esclusivi dell'Occidente oggi si trovano quindi a poter contare meno sulla sponda statunitense ma, al contempo, a poter perseguire obiettivi diplomatici più indipendenti che in passato e poter interagire a tale fine con nuovi attori un tempo assenti o meno attivi nella politica regionale. Tali fattori spiegano in parte la nuova politica più indipendente da parte del nuovo regime egiziano di Al-Sisi. In particolare, pur conservando l'ingente sostegno annuale statunitense di circa 3 miliardi di dollari per le Forze Armate egiziane introdotto e mai abrogato a partire dall'accordo di pace sancito tra Egitto e Israele nel 1979, il nuovo regime, appena insediatosi nel 2013, ha potuto anche contare sull'ingente supporto economico di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita che nel solo 2013 gli offrirono circa 8 miliardi di dollari in aiuti(171). Tale supporto, oltre a stabilizzare il regime, ha inoltre giocato un ruolo cruciale nel permettere alla leadership egiziana di ignorare sostanzialmente le critiche occidentali alla rimozione del presidente eletto Morsi e alla severa repressione ai danni della Fratellanza musulmana seguita al golpe, culminata a Rabaa nell'agosto del 2013 (almeno mille vittime secondo Human Rights Watch(172)).
  L'appoggio ad Al-Sisi di sauditi ed emiratini si inquadra nella volontà di queste due potenze regionali di contrastare l'ascesa dell'influenza Pag. 99 di Turchia e Qatar nella regione, divenute, soprattutto a seguito dei moti del 2011, i due principali sponsor delle diramazioni locali della Fratellanza musulmana internazionale. Quest'ultima, emersa nei primi mesi seguenti le scoppio delle proteste in diversi Paesi attraversati dalla cosiddetta Primavera Araba come la forza di opposizione più organizzata e verosimilmente destinata a dominare la fase politica successiva, si è posta tradizionalmente come alternativa «dal basso» dell'approccio di governo islamico «dall'alto» propugnato dalle monarchie assolute al potere nei principali stati arabi del Golfo(173). Per questo, essa è stata tradizionalmente vista dalle leadership di questi paesi come una grave minaccia alla base ideologica del proprio potere, sia a livello domestico sia per la loro proiezione esterna. Per tale motivo, specialmente le leadership di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno fornito negli anni forte sostegno a quei regimi autoritari – laici (Egitto, Tunisia) o monarchici (Giordania, Marocco) della regione che ne reprimevano o ne contenevano le diramazioni locali(174). Soprattutto a partire dal 2011, però, i vari movimenti e partiti afferenti alla Fratellanza musulmana in Medio Oriente hanno iniziato a ricevere ampio sostegno da Turchia e Qatar, due potenze apparentemente decise a sovvertire l'ordine regionale fino a quel momento dominato da sauditi ed emiratini(175). Dal 2011 al 2013 tali dinamiche di competizione regionale hanno avuto nell'Egitto il principale campo di confronto.
  La nuova indipendenza – o «polidipendenza», nel senso di capacità di poter ottenere sostegno politico ed economico diversificato da più fonti rispetto al passato – delle relazioni esterne egiziane ha avuto un ruolo cruciale nel determinare una attitudine sostanzialmente nuova del regime di Al-Sisi verso alcuni valori fondanti dell'ordine liberale internazionale sostenuto dall'Occidente, a partire dall'importanza data a un processo di democratizzazione, almeno apparente, e al rispetto per i diritti umani. Tale situazione si contrappone nettamente a quella di un decennio prima quando, durante i primi anni Duemila, il regime guidato da Mubarak aveva dovuto cedere almeno in parte alle pressioni dell'amministrazione Bush perché trasformasse il sistema egiziano in senso più democratico(176). Ciò aveva portato ad un allentamento parziale della repressione e a un deciso spostamento del baricentro del regime, sia in senso politico sia in senso economico, a favore della sua componente civile incarnata del Partito Nazionale Democratico (PND) e dai nuovi capitani d'impresa che più di tutti avevano tratto vantaggio dalle liberalizzazioni e privatizzazioni attuate in quegli anni sotto l'egida del cosiddetto Washington Consensus. In seguito, la forte dipendenza del regime di Mubarak dal sostegno occidentale, e primariamente statunitense, ha contribuito a determinarne la fine nel 2011, una volta che tale sostegno era stato ritirato in Pag. 100seguito dei tentativi di reprimere violentemente le proteste da parte del regime.
  In tal senso, la situazione per il regime egiziano odierno è radicalmente mutata, e la leadership egiziana si trova oggi ad avere una libertà d'azione sia in politica interna che in quella internazionale sconosciuta durante l'epoca Mubarak. La capacità di influire sulle politiche interne egiziane – in termini di rispetto dei valori democratici e dei diritti umani – delle potenze occidentali può infatti oggi dirsi considerevolmente ridimensionata proprio a causa del sopradescritto riequilibrio del baricentro politico all'interno della regione mediorientale avvenuto negli ultimi dieci anni. Prova di ciò sono stati gli effetti pressoché intangibili delle proteste occidentali per la sanguinosa repressione seguita all'instaurazione del regime di Al-Sisi, che oltre ai sostenitori della Fratellanza Musulmana egiziana ha colpito in questi anche numerosi esponenti afferenti alla società civile laica, al giornalismo, e ai movimenti politici emersi a seguito della rivolta del 2011. Ma una seconda conseguenza cruciale ha riguardato gli assetti interni del regime e la struttura stessa dell'OAL egiziano.
  Mentre è possibile affermare che l'OAL abbia rappresentato la tipologia di ordine politico che ha caratterizzato tutta la storia moderna egiziana, gli equilibri interni hanno subito forti cambiamenti nel corso dei decenni a partire dalla presa del potere da parte degli Ufficiali Liberi nel 1952. Quello che si era instaurato infatti come un regime prettamente militare ai suoi inizi, ha infatti subito immediatamente una forte evoluzione nei suoi primi anni, soprattutto a partire dalla presa di potere da parte di Abdel Gamal Nasser nel 1956, caratterizzata da una moltiplicazione dei soggetti organizzati inclusi nell'OAL egiziano. In primo luogo, al fine di difendersi dai propri rivali interni alle Forze Armate, Nasser procedette al rafforzamento delle agenzie dei servizi segreti e alla fondazione di nuove strutture completamente sottoposte al proprio potere. In particolare, egli fondò la Military Intelligence proprio per controllare da vicino i principali esponenti delle forze armate in grado potenzialmente di complottare contro di lui(177). Nel tempo tali agenzie, in particolare il Central Intelligence Directorate e la Military Intelligence, sono assurti a veri e propri centri di potere indipendenti all'interno dell'OAL egiziano, assumendo sotto il proprio controllo anche parti dell'economia e delle rendite da essa generate(178). Nasser le utilizzò infatti in maniera quasi esclusiva per la repressione delle principali organizzazioni nella società civile che potevano sfidare il suo controllo sulla società: la Fratellanza Musulmana e i sindacati indipendenti(179). Inoltre, proprio al fine di riequilibrare le basi del proprio potere a favore di segmenti della società esterne alle Forze Armate, Nasser fondò nel 1962 il partito dell'Unione Socialista Araba, avente l'obiettivo di aprire le porte dell'OAL anche ad alcuni segmenti della società civile e limitare così l'influenza fino a quel punto quasi esclusiva dell'Esercito sul presidente. La graduale transizione verso un OAL misto civile-militare sempre più sbilanciato a favore della componente civile caratterizza anche gran parte delle dinamiche osservate durante le presidenze successive di Anwar Sadat Pag. 101e Hosni Mubarak, accompagnate dal tentativo di evitare che tale allargamento della componente civile annessa non creasse centri di poteri alternativi alla presidenza forti a tal punto da compromettere il dominio sostanziale di quest'ultima sul sistema politico ed economico.
  Lo spostamento del baricentro di potere verso la componente civile è spiegabile con diversi fattori interagenti. In primo luogo, come suddetto, a partire da Nasser i presidenti egiziani si trovarono nella condizione di dover arginare potenziali competitor provenienti dalle Forze Armate, e per questo dovettero creare nuovi centri di poteri esterni ad esse per bilanciarle e tenerle sotto controllo. In secondo luogo, la fine ufficiale del conflitto con Israele, sancito dall'accordo di pace israelo-egiziano del 1979, e lo spostamento dell'asse della politica estera egiziana dal campo sovietico a quello statunitense pose il problema del doveroso ridimensionamento delle spese militari e dell'apertura dell'economia al fine di poter usufruire degli ingenti investimenti esteri che la nuova alleanza con l'Occidente sembrava promettere per l'ammodernamento dell'economia nazionale. Nei primi anni Ottanta tale trasformazione venne resa ancora più urgente dal crollo dei prezzi petroliferi rispetto ai picchi toccati negli anni Settanta, che ridusse considerevolmente la liquidità a prestito disponibile per gran parte dei Paesi in via di sviluppo, costringendoli a dolorose riforme economiche finalizzate a ridurre le spese statali e ad attirare capitali esterni. È quindi in tali dinamiche interne ed esterne che si inquadra la cosiddetta «Rivoluzione Correttiva» voluta da Sadat nei primi anni della sua presidenza. Le riforme economiche della cosiddetta «Iftitah» («apertura») avevano l'obiettivo di snellire l'apparato statale e potenziare un settore privato fino a quel momento quasi inesistente(180). All'Esercito, ridimensionato nel suo ruolo strettamente militare in seguito alla pace con Israele, venne permesso di estendere il proprio comparto industriale – creato sotto Nasser e fino a quel momento perlopiù dedicato alla produzione di beni a scopo militare – al settore privato, gettando i semi che negli anni successivi, e specialmente a partire dalla Presidenza di Al-Sisi, daranno vita a una presenza a tratti dominanti all'interno dell'intera economia nazionale(181). Le riforme di Sadat riguardarono da vicino anche il sistema politico. Al fine di ampliare, seppur limitatamente, l'accesso al potere anche a settori civili borghesi emergenti in seguito alle aperture economiche, il sistema a partito unico venne riformato e trasformato in un sistema multi-partitico caratterizzato dalla presenza di un partito dominante. Quest'ultimo ruolo venne dato al Partito Nazionale Democratico, che andò a sostituire l'Unione Socialista Araba di Nasser.
  Gli anni di Sadat sono inoltre caratterizzati da alcune politiche interne che lasceranno effetti importanti nei decenni successivi. Al fine, infatti, di mettere argine all'influenza e alle capacità organizzative dei numerosi gruppi di sinistra che avevano proliferato durante la presidenza di Nasser – e la lunga vicinanza tra quest'ultima e il blocco sovietico – Sadat riaprì lo spazio politico-sociale necessario per la riorganizzazione di quei gruppi afferenti all'universo dell'Islamismo politico – in primo luogo la Fratellanza musulmana – scarcerandone Pag. 102numerosi membri e agevolando la loro proliferazione, soprattutto all'interno delle università. La competizione tra gruppi islamisti e gruppi di sinistra che ne seguì, coadiuvata da un significativo aumento della repressione contro quest'ultimi, portò a un forte ridimensionamento della sinistra politica all'interno della società egiziana, rispecchiando un trend che in quegli anni riguardava l'intero mondo arabo, ancora alle prese con le enormi conseguenze della Rivoluzione Iraniana del 1979(182). La Fratellanza musulmana, dopo la feroce repressione di Nasser che l'aveva pressoché rimossa dalla società egiziana, riemerse quindi con forza negli anni di Sadat, rimanendo un soggetto di primo piano, seppur escluso dal vertice di potere egiziano, anche per tutta la presidenza successiva di Mubarak. Insieme ad essa, in quegli anni emersero anche altri gruppi islamisti più piccoli ed estremisti le cui attività portarono alla lunga stagione terroristica che si protrarrà fino agli anni Novanta e di cui lo stesso Sadat sarà una delle prime vittime(183). Tale stagione di violenza terroristica di matrice islamista lascerà un profondo impatto sulla coscienza collettiva egiziana, il cui ricordo è stato rapidamente e drammaticamente rinnovato con l'inizio della stagione terroristica portata avanti nell'ultimo decennio da gruppi terroristici basati nel Sinai(184). Non sorprende quindi come la leadership egiziana abbia saputo facilmente utilizzarne il forte effetto emotivo per allargare l'accusa di terrorismo anche ad organizzazioni non necessariamente collegate ad episodi di violenza politica, quantomeno nella loro storia recente, come la Fratellanza musulmana, o addirittura gruppi o individui non appartenenti alla galassia islamista ma semplicemente in contrasto con l'attuale regime.
  In tale contesto è particolarmente rilevante come al proprio interno il comparto delle agenzie di sicurezza del regime egiziano abbia visto negli anni un'evoluzione analoga, che ha modificato nel tempo gli equilibri di potere fra esse, ancora una volta a favore della loro componente civile – ovvero la National Security, controllata dal Ministero dell'Interno, e quindi dal governo e dalla presidenza – e a sfavore della loro componente militare – composta dal General Intelligence Directorate e dalla Military Intelligence, queste ultime controllate dal Ministero della Difesa, e quindi dalle Forze Armate.

3.1.2 Organi e funzioni delle forze di sicurezza e profili di criticità e conflittualità

  Il quadro istituzionale che contraddistingue le agenzie di intelligence egiziane è tuttora quello formatosi nel primo decennio seguente la Rivoluzione degli Ufficiali Liberi del 1952, e in particolare durante la presidenza Nasser. A partire da quel periodo fino ad oggi, infatti, lo Stato egiziano si è contraddistinto per la presenza di tre agenzie di intelligence, facenti capo ad altrettante istituzioni superiori: il General Intelligence Directorate, direttamente dipendente dalla Presidenza della Repubblica; la Military Intelligence, facente capo al Ministero della Pag. 103Difesa; e, infine, la National Security Agency (fino alla fine della presidenza Mubarak denominata State Security Investigations), dipendente dal Ministero dell'Interno.
  Durante l'era repubblicana gli equilibri di potere e le responsabilità distribuite tra le tre agenzie hanno subito numerose evoluzioni, direttamente legate anche ai cambiamenti avvenuti nei rapporti esistenti tra le diverse istituzioni da cui ognuna di esse ha sempre dipeso. Importante sottolineare, a tale riguardo, come lo sviluppo del comparto di intelligence a partire dalla presidenza Nasser sia stato principalmente il frutto dei tentativi di quest'ultimo, e poi dei suoi successori, di creare un polo di potere alternativo all'Esercito all'interno dello Stato, in modo da poter contenere le potenziali mire golpiste di soggetti provenienti dalla leadership delle Forze Armate. Soprattutto la Military Intelligence, creata dallo stesso Nasser nel 1952 all'indomani del colpo di stato degli Ufficiali Liberi, avrebbe avuto fin dall'inizio lo scopo di tenere sotto sorveglianza il personale militare. Nel primo periodo repubblicano, infatti, parte dell'Esercito in quel periodo era sospettata di sostenere Abd Al-Hakim Amer, membro del gruppo di ufficiali golpisti del 1952 e inizialmente stretto alleato di Nasser, che l'aveva voluto a capo delle Forze Armate. In tale posizione, però, Amer aveva iniziato a consolidare la propria posizione di forza, diventando un pericoloso rivale per il presidente, il quale userà la Military Intelligence proprio per arginarne il potere attraverso uno stretto monitoraggio dei quadri delle Forze Armate, prima di liquidarlo definitivamente nel 1967. Come descritto nei paragrafi precedenti, negli stessi anni Nasser tentò di diluire l'influenza dell'Esercito, a lungo considerato pericolosa fonte di sostegno per potenziali rivali, anche dando vita all'ala civile del regime, prima incarnata nel Liberation Rally, un cartello elettorale strettamente legato alla presidenza che sarà precursore dell'Unione Socialista Araba, il primo partito unico della storia repubblicana dell'Egitto. All'allargamento del regime a parte della società civile e alla volontà di estendere il controllo sull'intera società, si deve far risalire anche la fondazione della State Security Investigations, posta sotto il Ministero dell'Interno proprio a sottolinearne la sfera d'azione in ambito non-militare.
  Nei decenni seguenti, il rapporto fra le tre agenzie rispecchierà le evoluzioni subite dal regime egiziano già descritte nei paragrafi precedenti. In particolare, la State Security Investigations subirà una espansione significativa e costante, di pari passo con l'aumento di importanza dell'ala civile del regime, soprattutto durante la presidenza Mubarak. Da poche migliaia di effettivi nell'era Nasser, infatti, l'agenzia arriverà ad averne oltre 100 mila alla vigilia della rivolta del 2011, nonché ad avere accesso ad addestramento e armamenti di livello militare. A tutti gli effetti, in questo periodo la State Security Investigations diventa il principale meccanismo di controllo e repressione utilizzato dal regime, assumendo anche un ruolo di primo piano nel regolare l'accesso alle cariche pubbliche. In particolare, è in questo periodo che sembra saldarsi una forte cooperazione tra State Security e il circolo d'affari coagulatosi intorno al figlio del presidente Gamal Mubarak. Tale saldatura sancisce ed espande una commistione politico-economica che ha il suo fulcro in queste nuove élite politico-economiche arricchitesi grazie alle liberalizzazioni e privatizzazioni Pag. 104degli anni Novanta e Duemila e diventate influenti anche in campo politico grazie alla presenza tra i vertici del Partito Democratico Nazionale, il cui dominio sulla società veniva garantito grazie all'opera di monitoraggio e repressione svolta soprattutto dalla State Security Investigations. Uomo simbolo di tale triplice commistione tra la presidenza, il futuro presidente in pectore e la sua cerchia ristretta, e l'agenzia di intelligence è Hassan Abdel Rahman, potente direttore della State Security e allo stesso tempo partner d'affari di Gamal Mubarak. Nello stesso periodo si assiste ad un sostanziale ridimensionamento delle altre due agenzie. Posta sotto la diretta giurisdizione della presidenza, attraverso la leadership di Omar Suleiman, influente consigliere dello stesso presidente (che lo nominerà primo vice-presidente nel febbraio 2011 pochi giorni prima di dimettersi), il General Intelligence Directorate si specializza nella gestione di un portafoglio soprattutto di questioni in ambito di politica estera, in primo luogo il conflitto israelo-palestinese e le delicate relazioni con la confinante Striscia di Gaza. Infine, questi anni segnano anche il punto di minor influenza della Military Intelligence, il cui declino aveva subito una forte accelerazione a partire dai primi anni della presidenza Mubarak. Quest'ultimo aveva infatti subito la pericolosa competizione di Abd Al-Halim Abu Ghazala, potente e carismatico Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, durante i primi anni della sua presidenza. Dopo essere riuscito a liquidarlo nel 1989 e a sostituirlo con Mohamed Hussein Tantawi, una figura assai meno carismatica e quindi meno pericolosa per il presidente al potere (il quale infatti lo manterrà nella posizione ininterrottamente fino alle proprie dimissioni), Mubarak non sentirà più l'immediato bisogno di tenere le Forze Armate sotto stretto controllo, compito primario svolto dalla Military Intelligence.

La rivolta del 2011 e l'ascesa di Al-Sisi

  Gli equilibri progressivamente consolidatisi nei decenni precedenti subiscono una battuta di arresto e una decisa inversione a partire dalla caduta di Hosni Mubarak nel 2011 e il ritorno dell'Esercito al centro della scena politica. Come già analizzato nei paragrafi precedenti, la rinnovata centralità dell'Esercito inaugurata in seguito alla rivolta del gennaio 2011 è da inquadrarsi, nell'immediato, come la reazione della leadership militare a un travolgimento sociale che rischiava di mettere a repentaglio, insieme ai vertici politici dello Stato, anche la posizione di privilegio detenuta storicamente dalle Forze Armate. Dal punto di vista di quest'ultime, quindi, la rivolta del 2011 rappresenta in primo luogo un elemento di grave pericolo, mentre solo in seguito diventerà anche una finestra di opportunità per poter riconquistare parte del terreno perduto nei decenni precedenti in termini di influenza e potere all'interno dello Stato.
  Nell'immediato, quindi, per quello che rimane del regime repubblicano al potere, i fatti del 2011 emergono come un grave precedente da analizzare al fine di individuarne cause, responsabilità e soluzioni affinché non possa ripetersi nuovamente. È quindi attribuibile a questo tipo di logica il significativo ridimensionamento del ruolo e delle responsabilità della National Security (dalla nuova denominazione che assumerà dopo il 2011), la quale durante l'era Mubarak era diventata Pag. 105di gran lunga l'istituzione investita di maggiore responsabilità per quanto riguarda la sorveglianza e la repressione di potenziali istanze sovversive all'interno della popolazione. Nonostante l'enorme impiego di uomini e di risorse di cui era stata dotata negli anni precedenti, essa aveva clamorosamente fallito il suo principale compito di prevenire l'emersione di pericoli vitali per il regime al potere dall'interno della società. Nel periodo di reggenza del Consiglio Supremo delle Forze Armate (CSFA) durante il periodo di transizione, la National Security verrà quindi gradualmente ridimensionata nelle sue mansioni, un processo che andrà in parallelo con il forte ridimensionamento del Ministero dell'Interno, decapitato come il resto dell'esecutivo civile e sostituito di fatto dal CSFA. Il ridimensionamento della National Security diventa, soprattutto con l'ascesa di Al-Sisi nel 2013, parte di una generale strategia di rottura rispetto al triangolo di potere sopradescritto consolidatosi sotto Mubarak e composto dalla Presidenza – in particolare il figlio del presidente Gamal Mubarak – l'élite economica civile che negli anni Novanta e Duemila aveva saldamente soppiantato l'Esercito nel controllo delle principali leve economiche, e la State Security Investigations, diventata l'agenzia prediletta dai primi due gruppi di potere.
  Al ridimensionamento della National Security si accompagna in parallelo il rafforzamento in termini di potere e influenza della Military Intelligence, istituzione nata originariamente come organo di monitoraggio e controllo delle Forze Armate che si trasforma gradualmente in questo periodo nel principale braccio di intelligence utilizzato dai vertici delle Forze Armate al potere per sostituire la National Security caduta in disgrazia. Non a caso viene invitato a far parte del CSFA anche il suo leader, il giovane generale Abdel Fattah Al-Sisi, il quale, grazie al suo ruolo, al termine del periodo di transizione avrà conquistato tale influenza sul resto dei vertici delle Forze Armate da essere sponsorizzato da questi ultimi per sostituire Tantawi come Comandante in Capo e Ministro della Difesa.
  La nuova centralità acquisita dalla Military Intelligence è certamente dovuta alla composizione del suo staff, in gran parte proveniente dalle Forze Armate. Al contrario, la National Security, pur incorporando alcuni elementi di provenienza militare, aveva negli anni aperto i propri ranghi a soggetti provenienti dalla polizia o a civili assunti direttamente e privi di background militare.
  Il progressivo rafforzamento della Military Intelligence avvenuto durante il periodo di transizione non emerge particolarmente dalle cronache. Il primo segnale è certamente rappresentato dalla rapida scalata di Al-Sisi ai vertici delle Forze Armate. Un secondo segnale, più strutturale, si può riscontrare nella ricostruzione storica delle principali tappe della presidenza di Mohamed Morsi e, soprattutto, della sua caduta. La parte avuta, secondo ricostruzioni storico-giornalistiche posteriori, dalla Military Intelligence nella fondazione e nell'organizzazione del movimento Tamarrod – di cui si è già parlato nei paragrafi precedenti – denuncia infatti un netto salto di qualità da parte di questa agenzia, per anni confinata a un compito di controllo e monitoraggio delle Forze Armate. Tale vicenda, oltre a costituire un elemento cruciale delle dinamiche che porteranno al golpe del luglio 2013, mette in luce una inedita capacità di questa agenzia di raccordarsi Pag. 106 e infiltrarsi all'interno della società civile del Paese. Un compito del genere, infatti, prima del 2011 sarebbe stato appannaggio unico della National Security, la quale aveva sviluppato una fitta rete di uffici locali e informatori – in buona parte conservata anche negli anni post-2011 come la vicenda di Giulio Regeni ha portato alla luce – proprio per questo tipo di attività. Il fatto che, al contrario, sia stata la Military Intelligence ad occuparsene delinea nettamente per la prima volta nell'Egitto post-2011 il grado di deterioramento dell'influenza della National Security e l'ascesa della Military Intelligence.
  Secondo indagini accademiche e giornalistiche, la primazia della Military Intelligence nel campo della gestione della società civile prosegue anche nel biennio seguente, incontrando alcuni chiari momenti di difficoltà che porteranno, a partire dal 2016 a un parziale ritorno sulla scena della National Security. Nel biennio abbondante che va dal golpe del 2013 alla fine del 2015, il sistema delle agenzie di intelligence egiziane si trova, come gran parte del sistema sociopolitico, in un periodo di forte e irregolare transizione verso un ordine diverso da quello coagulatosi durante la lunga presidenza Mubarak. Un sistema, come analizzato nei paragrafi precedenti, dominato nettamente dall'Esercito e caratterizzato dalla completa assoggettazione da parte di quest'ultimo del sistema politico e dell'economia, destinati a diventare, per la gran parte, semplici propaggini del sistema militare. Una trasformazione che finora sembra aver mirato a riportare il fulcro del potere politico ed economico in Egitto saldamente nelle mani dell'Esercito al fine di costruire un sistema che assicuri che ciò che è accaduto nel 2011 non si ripeta mai più. La trasformazione necessaria affinché tale obiettivo fosse raggiunto ha comportato, specialmente nei primi anni dopo il golpe, un netto ribilanciamento dei poteri e delle influenze delle varie istituzioni statali, tra cui ovviamente anche le agenzie di sicurezza, con il significativo ridimensionamento della agenzia controllata dall'Esecutivo civile – e, secondo la narrazione prevalente all'interno degli oppositori della rivolta del 2011, principale colpevole della caduta di Mubarak – e l'ascesa delle due agenzie controllate direttamente dalla leadership delle Forze Armate e dalla Presidenza.
  Episodio cruciale di tale ribilanciamento e della lotta di potere conseguente è rappresentato dalla preparazione e gestione sia delle elezioni presidenziali svoltesi dal 26 al 28 maggio 2014, che porteranno Al-Sisi alla presidenza della Repubblica, sia delle elezioni legislative svoltesi dal 17 ottobre al 2 dicembre 2015. In passato, il controllo di questo tipo di eventi sarebbe stato di totale appannaggio della National Security e della sua fitta rete di monitoraggio sul territorio e di legami con notabili e uomini d'affari locali. Al contrario, reduci del successo ottenuto con l'organizzazione del movimento Tamarrod nel 2013, la Military Intelligence e il General Intelligence Directorate vengono preposti all'organizzazione di entrambi tali appuntamenti elettorali, tagliando fuori quasi totalmente la National Security, la quale si trova improvvisamente impossibilitata a garantire ai circoli d'affari a cui si era legata nei decenni precedenti posti di influenza e potere politico come in passato.
  La gestione dei due appuntamenti elettorali da parte delle altre due agenzie controllate dalla Presidenza e dal Ministero della Difesa, però, Pag. 107non è priva di incidenti ed errori, cosa che costringerà la leadership egiziana a riconsiderare, almeno in parte, la marginalizzazione della National Security e il suo parziale ritorno nella gestione della politica interna del Paese, almeno a partire dal 2016.
  I primi incidenti di malagestione si verificano durante le elezioni presidenziali del 2014, in quanto il grande sforzo di mobilitazione – nel quale non vengono lesinati fondi pubblici – fallisce nell'obiettivo di tradursi in un'alta affluenza alle urne. Le elezioni, inizialmente previste solo per la giornata del 26 maggio, vengono prolungate d'imperio affinché si abbia il tempo di portare alle urne un più elevato numero di elettori ed evitare al nuovo presidente di venire eletto con una affluenza inferiore a quella ottenuta dall'appena deposto Morsi. Il prolungamento all'ultimo momento delle giornate elettorali causa grave imbarazzo ad Al-Sisi e mette in luce le gravi mancanze in materia di presenza e conoscenza capillare del territorio delle due agenzie d'intelligence a cui si è affidato principalmente per l'organizzazione e la mobilitazione dell'elettorato.
  Questo significativo incidente di percorso non risulta però sufficiente per convincere la leadership egiziana a riabilitare la National Security a principale agenzia responsabile per la gestione degli appuntamenti elettorali. Ritroviamo infatti sia la Military Intelligence sia il General Intelligence Directorate ancora una volta investiti di tale responsabilità anche l'anno successivo in occasione delle elezioni legislative, inizialmente previste prima dell'estate 2015 e poi posticipate alla fine dell'anno proprio per le difficoltà incontrate nella formazione di una larga coalizione fedele al regime corrente e allo stesso tempo in grado di mobilitare una sufficiente affluenza.
  Tale circostanza, oltre a rappresentare un momento cruciale per il riequilibrio di potere fra le diverse agenzie di intelligence, è particolarmente importante per gli scopi di questa relazione in quanto si svolge in sovrapposizione con il periodo di arrivo e soggiorno di Giulio Regeni al Cairo. La sua analisi è quindi di primaria rilevanza per comprendere il tipo di macro-dinamiche che caratterizzavano il mondo dell'intelligence egiziana in quel periodo. In particolare, serve a far emergere in modo chiaro il grande clima di competizione e di ricerca di riscatto che caratterizzava soprattutto l'atmosfera interna alla National Security, che si vedeva per la prima volta quasi totalmente esclusa dalla selezione e gestione dei candidati e dei partiti in corsa per il Parlamento egiziano.

3.2 La «ragnatela» degli apparati di sicurezza egiziani intorno a Giulio Regeni

  «... Se finora abbiamo visto come Giulio Regeni abbia vissuto i mesi tra settembre e gennaio, in estrema sintesi mi sembra utile vedere come invece, sulla base degli elementi raccolti, la National Security, alcuni appartenenti alla National Security – perché qui ovviamente parliamo di responsabilità personali, singole e individualizzanti – hanno stretto una ragnatela intorno a Giulio Regeni per stringerlo sempre di più e trasformare tutte le persone che gli stavano vicine – le tre di cui ho parlato più volte – in loro informatori. È in questo modo che da ottobre a gennaio Giulio Regeni viene sempre più stretto da questa ragnatela, di cui finisce inconsapevolmente al centro...» Pag. 108
  È quanto affermato dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco ascoltato, assieme al procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, davanti a questa Commissione, il 17 dicembre 2019.
  Ricostruendo quanto accaduto non solo nell'immediatezza degli eventi ma anche nei giorni precedenti al sequestro, seppur in presenza di palesi difficoltà e divergenze di regole sostanziali e processuali tra i due ordinamenti giudiziari, quello italiano ed egiziano, si è riusciti ad acquisire elementi di prova in ordine a quella stringente attività degli apparati egiziani nei confronti del nostro concittadino, aggiungendo quei «tasselli necessari per ultimare la ricostruzione di quanto accaduto e delle relative responsabilità», come affermato da Michele Prestipino nel corso della stessa audizione.
  Pur non essendo stato individuato con compiuta esattezza il lasso temporale cui far risalire il monitoraggio nella quotidianità della vittima – per certi aspetti, lo si colloca all'ottobre 2015 – intorno a Giulio Regeni è stata stretta una ragnatela dalla National Security egiziana, architettata progressivamente da parte di un numero consistente di attori, tutti prevalentemente appartenenti alla citata agenzia di intelligence, e/o persone agli stessi riconducibili, per partecipazione indiretta, ma ben ricettivi delle direttive loro impartite, che sono stati individuati in quattro dei cinque indagati, uno appartenente a forze di polizia e tre agli apparati di sicurezza civili egiziani. Divenuti quattro a seguito della richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma del 9 dicembre 2020, che ha stralciato la posizione dell'agente Mahmoud Najem, in servizio presso la National Security-Direzione della Sicurezza Nazionale del Governatorato di Giza, essendo stato ritenuto nei suoi confronti non sufficiente il quadro probatorio acquisito per esercitare utilmente l'azione penale.
  «... Immaginare che la sera del 25 gennaio, quarto anniversario della manifestazione a piazza Tahrir, in una Cairo in cui erano state interrotte tutte le attività lavorative per tutta la giornata, in una città blindata e piena di poliziotti e di militari dell'esercito, in una zona quella centrale, quella di piazza Tahrir, dove la presenza era particolarmente significativa, ci possa essere stato qualcuno che abbia posto in essere delle attività criminose in danno di Giulio Regeni, senza che nessuno della National Security o dell'esercito se ne accorgesse, rimane francamente piuttosto difficile...», sono le parole dello stesso pubblico ministero Colaiocco.
  La sorveglianza dispiegata dalla National Security si è protratta per settimane e ha avuto quale esito non l'espulsione o il ritiro del visto – come accaduto in altri casi analoghi – ma il tragico epilogo dell'uccisione di Giulio Regeni. Nei suoi confronti è stata intessuta una ragnatela in cui gli apparati di intelligence egiziani si sono serviti delle persone a lui più vicine, persone delle quali si fidava, con le quali aveva intrecciato amicizie, trasformandole in delatori. Tra loro, il coinquilino avvocato, Mohamed Khaled El Sayyad, il sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah Said e la collega di studi a Cambridge Noura Medhat Mohamed Wahby.
  La complessità dei dati investigativi, seppur resi dalle autorità egiziane a titolo di «cortesia internazionale» – con il probabile convincimento, peraltro, che dalla documentazione frammentaria concessa non potessero essere estrapolate informazioni utili per ricostruire un autonomo castello accusatorio in territorio nazionale – ha consentito, Pag. 109per contro, di elaborare uno scenario nel quale attori protagonisti sono stati, in prima facie, appartenenti alla intelligence egiziana. I quali, secondo le proprie competenze e funzioni, hanno condotto una macchina ben congegnata al solo fine di demolire e/o alterare la verità fattuale degli eventi e assicurare l'impunità dei suoi autori.
  Per una migliore lettura degli eventi attinenti a quella specifica timeline che circoscriviamo, allo stato, dall'arrivo di Giulio Regeni al Cairo al suo rientro in Italia in occasione delle festività natalizie, si produce, nel sottostante box, una ricostruzione in chiave cronologica, tratta dalla richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma del 9 dicembre 2020. Ciò consente di esplorare come, nell'esistenza del giovane ricercatore, il cerchio si sia stretto in maniera costante e progressiva, solo poche settimane dopo il suo arrivo all'aeroporto dal Cairo, il 9 settembre 2015.

Cronologia dei fatti

9 settembre 2015 Giulio Regeni, a ventotto anni, atterra in Egitto; arriva per la seconda parte del suo dottorato presso l'Università di Cambridge.

  Su indicazione dell'amica Noura Wahby, affitta nel quartiere di Dokki una stanza in un appartamento condiviso con l'avvocato egiziano Sayyad ed una ragazza tedesca.
  Giulio Regeni aveva conosciuto l'amica Noura a Cambridge. Arrivato al Cairo sarà anche lei ad aiutarlo nella sua attività di ricerca del dottorato.
  Nei mesi al Cairo Giulio Regeni stringe alcuni rapporti di amicizia: ad esempio va a correre con il coinquilino Sayyad, frequenta l'amica Noura e, crede, di aver fatto amicizia anche con il sindacalista Abdallah che, già ad ottobre, intervista più volte. È a lui che Giulio Regeni chiede di essere accompagnato nei mercati della città per conoscere gli ambulanti appartenenti ai sindacati indipendenti ma il sindacalista rifiuta; dichiarerà, dopo, che riteneva pericoloso farsi vedere con un occidentale che chiedeva informazioni e faceva domande.
  È per questa ragione, come lo stesso sindacalista affermerà in seguito agli investigatori, che decide di denunciare Giulio Regeni, e, accompagnato dal colonnello Kamel della Polizia Investigativa, si reca nella sede della National Security ed incontra il colonnello Helmi e il maggiore Sharif.
  Da quel momento il sindacalista inizia a riferire, tutto quanto viene a sapere delle attività e delle condotte di Giulio Regeni, al maggiore Sharif.

Pag. 110

7 dicembre il colonnello Helmi chiede al sindacalista Abdallah se sta controllando Giulio Regeni ; questi lo rassicura comunicando che ha organizzato per il giorno dopo – 8 dicembre – un giro al mercato di Masr Al-Giadida.

8 dicembre Regeni si reca accompagnato dal sindacalista Abdallah al mercato di Masr Al-Giadida; non è consapevole del fatto che il sindacalista ha avvertito tutti i venditori di non parlare con l'italiano facendo presente, ai colleghi, che, trattandosi di uno straniero, non era il caso di dargli confidenza.

11 dicembre Giulio Regeni assiste ad una riunione dei sindacati indipendenti. In questa occasione si accorge di essere stato fotografato da una donna; alla riunione è presente anche il sindacalista Abdallah.

15 dicembre vi è un cambiamento nei rapporti dell'amica Noura con Giulio Regeni. In questa data la stessa «svuota» la cartella Dropbox condivisa con Giulio Regeni contenente il file word con le domande che Giulio Regeni rivolgeva ai venditori di strada: essere associati a Giulio Regeni è diventato evidentemente pericoloso.

17 dicembre Giulio Regeni incontra Gennaro Gervasio per parlargli dei risultati della sua ricerca. Il maggiore Sharif e l'agente turistico Rami si sentono per ben tre volte a distanza di poche ore.

18 dicembre il maggiore Sharif chiede al sindacalista Abdallah di accertare la fonte del finanziamento di 10.000 sterline proveniente dal Regno Unito; di conseguenza il sindacalista Abdallah chiede, a Giulio Regeni, di fargli avere copia del bando di concorso della Fondazione inglese Antipode che offre il finanziamento.

20 dicembre il maggiore Sharif incarica l'agente Ibrahim Najem di andare a ritirare dal sindacalista Abdallah i documenti sul finanziamento che Giulio Regeni aveva consegnato al sindacalista Abdallah pochi giorni prima. Regeni rientra in Italia.

  Lo stesso sostituto procuratore, Sergio Colaiocco, nel corso dell'audizione del 6 febbraio 2020, traccia un breve profilo della vita del giovane ricercatore, «... in particolare al Cairo, era una vita estremamente riservata, sobria, dedita solo ed esclusivamente all'attività di ricerca che lui sperava di poter terminare il più presto possibile. Aveva già comprato il biglietto aereo di ritorno; doveva rientrare dal Cairo il 23 marzo, quindi mancavano poche settimane al suo rientro dal Cairo. Non aveva attività particolari, se non vedersi la sera ogni tanto con gli amici con cui faceva attività di ricerca. Pertanto, il movente si è andato a incentrare sulla sua attività perché era l'unico elemento significativo che poteva essere di interesse. Il fatto poi che è emerso, cioè che alcuni appartenenti agli apparati lo avevano seguito, ha fatto coincidere i due fatti; cioè ha fatto sì che evidentemente, per qualche ragione che noi non siamo in grado di ricostruire compiutamente, la presenza di più ricercatori italiani, e non solo italiani, al Cairo in quei mesi ha attirato l'attenzione della National Security. D'altronde, se l'unica attività che lui svolgeva al Cairo era l'attività di ricerca... quelli interessati all'attività di ricerca evidentemente non potevano essere una banda criminale o avere un movente sessuale o un movente economico. Non c'è stata nessuna richiesta di denaro; non è stato un sequestro con finalità estorsive da parte di qualche banda criminale che ha chiesto un riscatto durante il suo sequestro. Se l'attività di ricerca era l'unica attività svolta da Giulio Regeni al Cairo, l'attività di ricerca doveva essere di interesse di qualcuno Pag. 111che aveva attenzione verso i sindacati indipendenti, per il ruolo dei sindacati indipendenti...».
  Un ulteriore ricordo su chi fosse realmente Giulio, viene rimesso al racconto di «Amr»(185), un docente universitario che lo descrive come «un intellettuale serio, impegnato nel suo lavoro, ma anche curioso, vivace, ricco di interessi: dall'arte alla letteratura, dall'economia allo sport.....Ultimamente mi aveva chiesto come organizzare una mostra di un pittore italiano che considerava una rivelazione e che avrebbe voluto portare con sé a Londra e poi al Cairo, quando sarebbe tornato nel mese di marzo....»(186).
  È ragionevole supporre, pertanto che in un range temporale, tra il mese di ottobre (non più tardi ai primi di novembre) e dicembre 2015, sono state poste in essere, secondo quanto stimato dalla Procura romana nella propria ricostruzione indiretta e indiziaria, le prime azioni di sorveglianza e osservazione nei confronti della vittima.
  Non va sottaciuto, inoltre, che l'opera di «progressivo accerchiamento(187), sia stata suffragata dalla preziosa collaborazione di due dei cinque testimoni di cui le investigazioni hanno potuto beneficiare nella ricostruzione di quel segmento dell'inchiesta particolarmente critico e che costituisce il momento di «non ritorno» per la sorte di Giulio Regeni.
  Essi hanno confermato, con le loro testimonianze, come la National Security avesse messo Regeni nel loro mirino già dal precedente mese di ottobre, ben prima, quindi, del sequestro avvenuto il 25 gennaio dell'anno successivo.
  È lo stesso pubblico ministero, Sergio Colaiocco che, nella terza audizione presso questa Commissione, il 10 dicembre 2020, introduce i due testimoni, indicandoli con il nome in codice di Alfa e Beta che riferiscono rispettivamente sulle modalità con cui gli appartenenti alla National Security fossero entrati in possesso della copia del passaporto di Giulio Regeni, il primo, e sull'esecuzione delle «ispezioni e/o perquisizioni» (ne sono state conteggiate almeno tre) all'interno della stanza del ricercatore italiano, il secondo.
  Come ricostruito dal ROS, nella informativa finale del 15 ottobre 2020(188), che fornisce le fonti probatorie suffragate nella richiamata richiesta di archiviazione, le attività di osservazione compiute dagli appartenenti alla National Security risiedevano nel presupposto di individuare profili di illiceità nel dinamismo giornaliero compiuto dal Regeni impegnato, invece, nell'approfondimento accademico della tesi sui «Sindacati indipendenti e sviluppo nell'Egitto post-Mubarak» attraverso il progetto di «ricerca partecipata.
  Ragnatela e manovre di accerchiamento sono state descritte da un altro testimone, il teste «Gamma», escusso in Italia il 18.04.2019 dalla Pag. 112Procura della Repubblica di Roma(189). Il teste Gamma narra di un episodio accaduto nel mese di agosto 2017 (ma in data successiva all'8.8.2017(190)), presso un ristorante sito nel quartiere Hurlington di Nairobi, nel contesto di incontri tra appartenenti alle strutture di polizia o intelligence egiziani e omologhi kenioti facendo particolare riferimento ad una conversazione in inglese tra un arabo e un keniota. Nel descrivere l'incontro tra i due soggetti (giunti su due distinte autovetture, una in uso alla polizia, l'altra con targa diplomatica), il testimone fa menzione di un colloquio durato oltre 45 minuti, nel corso del quale i due uomini, l'egiziano e il keniota, hanno cominciato a discutere riguardo alla situazione che si era venuta a creare a Nairobi in tema di ordine pubblico e riguardo ai movimenti di protesta in Kenya. Quando ha terminato il keniota, l'arabo ha cominciato a parlare di uno studente italiano, un dottorando che stava cercando di fomentare un piccolo gruppo di persone al fine di avviare un'altra rivoluzione.
  Definisce l'italiano, «appartenente alla CIA o al Mossad, che si era adoperato per conto della Fondazione Antipode, risultando molto “attivo” a il Cairo». Aggiunge di aver ascoltato il nome di Giulio Regeni, menzionato dall'arabo ed il dettaglio che, all'esito del suo monitoraggio(191), lo avevano costretto a salire su un'autovettura, interrogato e percosso.
  L'egiziano usa la prima persona plurale raccontando di queste questioni, dicendo che loro, gli egiziani, erano molto arrabbiati mentre, usando la prima persona singolare, afferma di averlo colpito.
  La fonte(192), nel suo racconto, riporta anche il nome del soggetto arabo in esame poiché questi, al termine dello scambio di idee con l'interlocutore, al momento di pagare il conto e presentando la propria carta di credito, gli aveva offerto il proprio biglietto da visita, aggiungendo di chiamarsi «Sharif Magdi Ibrahim»(193).
  Le ammissioni, quindi, furono fatte durante un pranzo in cui il funzionario discuteva di questioni legate alla lotta interna all'opposizione politica dell'Egitto. E non si accorse di essere ascoltato dal testimone che era seduto al tavolo accanto. A un certo punto l'egiziano avrebbe cominciato a parlare del «ragazzo italiano»: avrebbe raccontato dei pedinamenti e delle intercettazioni telefoniche di cui era stato oggetto fino al 24 gennaio del 2016, vigilia della sua scomparsa, aggiungendo, peraltro, di essere stato protagonista dell'operazione che lo avrebbe fatto scomparire: «... Ci convincemmo che era una spia e scoprimmo che il 25 gennaio doveva incontrare una persona che ritenevamo sospetta...», avrebbe pronunciato l'ufficiale nella ricostruzione fatta dal testimone. «... Per questo entrammo in azione quel giorno...». Stando alla nuova testimonianza, quel che accade a Giulio Pag. 113Regeni è stato proprio l'ufficiale egiziano a raccontarlo al suo interlocutore: «... Caricammo il ragazzo italiano in macchina e io stesso lo colpii più volte duramente al volto...».
  A seguito delle dichiarazioni del citato testimone, veniva avviata, il 30 aprile 2019, una ulteriore richiesta di rogatoria all'ufficio requirente egiziano, chiedendo nuove attività investigative da effettuarsi attraverso la cooperazione giudiziaria(194). In particolare:

   si chiede di accertare e riferire sulla presenza, e sugli spostamenti, del maggiore Sharif, nel mese di agosto 2017, a Nairobi (Kenya);

   e, in specie, se in tale occasione, avesse incontrato appartenenti ai servizi di polizia e intelligence di quel Paese;

   di voler fornire, ex art. 169 c.p.p., le complete generalità (data e luogo di nascita, nonché luogo di residenza e indirizzo, per eventuali notifiche) e una fotografia effigiante ognuno dei soggetti iscritti sul registro degli indagati;

   si domandava, altresì, di identificare compiutamente e ascoltare l'appartenente alla National Security che aveva fornito e poi rimosso l'apparecchiatura di videosorveglianza di cui era stato dotato Said Abdallah;

   si chiedono nuovamente gli indumenti di Giulio Regeni e gli effetti personali custoditi dagli organi inquirenti egiziani;

   si chiede, infine, l'escussione del generale Mohamed Ebeid, consulente dell'American University of Cairo, che si è attivato per conto di tale Università nella ricerca di Regeni al momento della scomparsa e ha avuto contatti con la professoressa Rabab El Mahdi, tutor in Egitto del dottorando;

   identificare compiutamente il poliziotto di nome Ibrahim, collaboratore del Magg. Magdi Ibrahim Abdelal Sherif;

   acquisire il traffico telefonico dell'utenza in uso all'indagato agente Mahmoud Najem;

   accertare a quali uffici della National Security fossero assegnate le utenze di telefonia fissa che la sera del 7 gennaio 2016 avevano contattato il sindacalista Said Abdallah».(195)

  I riscontri a tale richiesta non sono ancora pervenuti.
  Ma quale era la percezione che aveva di Regeni il regime egiziano e, per contro, quale percezione di rischio aveva Regeni del regime egiziano?
  Certamente l'episodio della foto scattata, nel corso della riunione sindacale dell'11 dicembre, da una ragazza egiziana, con il velo, ma vestita in modo ordinario, che sembrava «fuori contesto, è un dato che «preoccupò molto Giulio Regeni quel giorno» e che «pur essendosi agitato molto successivamente non capitò più di parlarne tra noi...(...) lui Pag. 114usciva poco di casa nel tempo libero perché era preso da molti impegni di studio e di articoli scientifici....», ricorda l'amico e collega Francesco De Lellis.
  Pur ribadendo che Giulio Regeni non gli aveva mostrato alcun segnale di apprensione, resta il fatto che assumesse generalmente atteggiamenti di prudenza e attenzione nei movimenti in quanto «la pressione del regime è evidente e noi c'eravamo resi conto di essere gli unici ricercatori ad occuparci e a studiare il mondo sindacale...(...) Rispetto ad altri movimenti come quello religioso fondamentalista islamico o i gruppi giovanile di vario tipo, che sono oggetto di grande attenzione da parte del regime, il mondo sindacale, anche per il fatto di riguardare il mondo sindacale, anche per il fatto di riguardare il mondo del lavoro e quindi una gran massa di persone, ci è sempre sembrato meno rischioso dei primi due. Ciò anche se eravamo consapevoli del fatto che il regime nel 2011 era caduto a seguito dei reiterati scioperi e che l'assemblea sindacale dell'11 dicembre poteva segnare la nascita di un'azione sindacale più incisiva...».(196)
  Dalla lettura delle comunicazioni avvenute mediante messaggeria istantanea (Facebook o Skype) – si legge in una delle informative della polizia giudiziaria – emerge la presa di coscienza da parte di Regeni dell'esistenza nel tessuto sociale cairota di un diffuso sentimento di timore e preoccupazione nell'affrontare temi di attualità storica e politica, verosimilmente poco «graditi» al regime governativo egiziano.
  La cronicità di tale condizione psicologica collettiva ha contribuito a suscitare in Regeni preoccupazioni «in merito alla sua esposizione dovuta alla frequentazione del mondo dell'attivismo sindacale», inducendolo a rafforzare il suo atteggiamento di prudenza e discrezione, persino nelle conversazioni via Skype».
  Si aggiunga che il tema della ricerca affrontato da Giulio Regeni, certamente incoraggiato dalla sua supervisor ad andare avanti perché condotto «per la prima volta», come confidato alla madre il 26 ottobre 2015, via Skype, ha generato in lui la consapevolezza di trovarsi ad operare in «ambiti spinosi», connotati da un certo grado di rischio, soprattutto laddove tali contesti fanno «da collettore ad interessi politici ed economici contrastanti», come rivelato, confidenzialmente, nella stessa chat del 30.09.2015, via Skype(197).
  Tuttavia e, per quanto sia apparso dalle testimonianze in seguito acquisite, turbamenti o mutamenti del proprio vivere quotidiano, non sono emersi nell'animo del connazionale, tant'è che lo stesso De Lellis, nel corso delle dichiarazioni rese a Fiumicello, ha riferito: «... era molto entusiasta per la sua ricerca in quanto aveva l'impressione di cominciare a far collimare le sue ipotesi teoriche con la pratica osservata sul campo. Non l'ho mai percepito allarmato o teso per qualche ragione, a parte qualche lieve preoccupazione per la sua relazione a distanza...»(198).
  Tra i messaggi di chat rilevano, tra gli altri, quello con un'amica, il 28 settembre 2015, dopo che Giulio Regeni era riuscito a trovare un alloggio stabile al Cairo, alla quale riferisce di aver conosciuto un dottorando italiano, Francesco De Lellis, che «sta conducendo un Pag. 115lavoro di ricerca ancora più rischioso del suo... lavora su cose simili alle mie....fa una cosa ancora più borderline della mia...».
  Il giovane ricercatore commenta il «sentimento di particolare soggezione e condizionamento psicologico che ha percepito nei suoi interlocutori nelle occasioni in cui sono stati affrontati temi di attualità. Giulio Regeni mostra molta cautela in alcune parti della corrispondenza e riferisce «di non voler scrivere troppo su internet riguardo al suo pensiero».
  Con la stessa amica(199), in merito alle conoscenze fatte al Cairo, Regeni aveva parlato più volte di Gennaro Gervasio, ma non le aveva fatto molti accenni sui coinquilini conviventi. Soltanto in un'occasione le aveva confidato che il ragazzo egiziano che viveva con lui «aveva persino paura di parlare della storia dell'Egitto degli anni '50». In una circostanza, «... mi ha parlato di un dottorando molisano (il riferimento è al citato De Lellis), precisando che il progetto lavorativo di quest'ultimo era più rischioso di quello suo...», e dopo averle descritto la sua «partecipatory action research» trascorrendo del tempo con alcuni venditori ambulanti, le aveva rivelato che «... vivendo quell'esperienza era in contatto con un sindacalista di base che non era ben visto dal regime e che in alcune occasioni aveva paura... diceva che era stanco... era tutto molto faticoso ed era contento di rientrare a marzo...»
  La testimonianza resa da un altro amico, il 23 novembre 2017(200), restituisce, infine, il profilo di una persona seria, determinata e caparbia: «... Giulio Regeni era una persona riservata, testarda, dedita al suo lavoro e molto motivata (...) Forse non si è reso conto, a causa di alcune rigidità caratteriali che non gli hanno dato la sufficiente capacità di capire i rischi in cui si era progressivamente messo. Per come conoscevo Giulio Regeni se lui trovava una fonte di informazione attendibile la seguiva, aprendosi con questa persona, anche a rischio di essere frainteso o compromettersi (...) mi ha stupito quando disse che sarebbe tornato in Egitto per questo studio, il suo precedente periodo in Egitto l'aveva molto scosso perché non aveva apprezzato molti comportamenti della società egiziana, tanto da tornare a dire che stava iniziando a portare il crocifisso al collo per affermare la propria identità culturale. lui era ateo e questo mi stupiva ancora di più.

3.2.1 La denuncia

  In un'intervista all'edizione araba dell'Huffington Post(201), realizzata alla fine del dicembre 2016(202), il sindacalista Said Abdallah ha confessato di aver denunciato il ricercatore italiano Giulio Regeni al Ministero dell'Interno.
  «... Sì, l'ho denunciato e l'ho consegnato agli Interni e ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso. Siamo noi che collaboriamo con il Ministero degli Interni. Solo loro si occupano di noi ed è automatica la nostra appartenenza a loro. Quando viene un poliziotto a festeggiare con noi a un nostro matrimonio, mi dà più prestigio nella mia zona». Pag. 116
  Nella medesima intervista conferma, per la prima volta pubblicamente la sua collaborazione con i servizi segreti: «Noi stiamo dalla loro parte, Giulio Regeni faceva troppe domande sulla sicurezza nazionale. Lo avranno ucciso le persone che lo hanno mandato qua, dopo che io l'ho fatto scoprire». E ancora, il sindacalista ha aggiunto che Giulio Regeni era un ragazzo straniero che faceva domande strane e stava con gli ambulanti per le strade. Dirà: «È illogico che un ricercatore straniero si occupi dei problemi degli ambulanti se non lo fa il ministero degli Interni». Infine, Abdallah sostiene ancora pubblicamente: «l'ultima volta che l'ho sentito al telefono è stato il 22 gennaio, ho registrato la chiamata e l'ho spedita agli Interni».
  Il capo del sindacato indipendente dei venditori ambulanti di Cairo Ovest, Said Mohamed Abdallah, nel rivendicare la denuncia presentata negli uffici della National Security, ha contribuito con le proprie delazioni alle iniziative poste in essere dagli apparati di sicurezza egiziani concretizzatesi attraverso mirati servizi di osservazione e controllo, diretto e indiretto, dall'autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, giorno della sparizione del ricercatore italiano appartenente alla Cambridge University e visiting researcher dell'American University nella capitale cairota.
  Qualificandolo come «... capo del sindacato indipendente dei rivenditori di strada, quindi non del sindacato ufficiale statale ma di un sindacato autonomo, che raccoglie coloro che vendono oggetti di ogni tipo per strada sulle bancarelle. Questa persona verrà ascoltata già in occasione della prima riunione il 10 febbraio e verrà poi ascoltata molte volte tra febbraio, marzo e aprile, ma – come vedremo poi – inizierà a dire quella che risulterà poi essere la verità solo in data 10 maggio (2016 n.d.r.). Per cui contribuirà a depistare le indagini per alcuni mesi...», il sostituto procuratore Colaiocco, introduce la figura del sindacalista egiziano che, per posizione dominante – in qualità di responsabile del settore dei Sindacati alla National Security con il compito di raccogliere informazioni su quanto può minacciare la sicurezza e stabilità del Paese – ha rivestito un ruolo nevralgico nell'inchiesta sul sequestro e omicidio di Giulio Regeni.(203)
  Il suo diretto apporto ha contribuito alle investigazioni degli ufficiali della National Security che hanno fatto di lui non un vero e proprio collaboratore ma «uno che ha un mutuo beneficio ad avere un rapporto con gli apparati»(204) .
  L'apporto degli esami testimoniali resi dal sindacalista, incrociati con l'analisi dei tabulati di traffico telefonico generato dall'utenza in uso al medesimo – a sua volta messo a sistema con tutte le parti entrate in causa direttamente o per interposta persona – ha permesso di ricostruire la genesi del rapporto interpersonale tra i due, i contatti intercorsi per concordarsi sugli incontri finalizzati alle interviste e giri per i mercati e, da ultimo, quello attinente alla «trappola» tesa in occasione della fatidica videoregistrazione del 7 gennaio 2016.
  L'inchiesta della Procura della Repubblica italiana, suffragata dalle attività tecniche, per contro, ha permesso di ancorare il sindacalista, Pag. 117nell'intera vicenda, in una posizione baricentrica rispetto al suo legame con la National Security Agency (che non sembra gerarchico, in senso stretto, ma certamente in un'ottica funzionale rispetto alle disposizioni che gli sono state impartite nel tempo).
  Tale condizione è stata rafforzata da una triangolazione di telefonate tra questi, Hosam Foda (lo stesso che il sindacalista investe ab origine) e il maggiore Sharif:

   il maggiore Sharif, consultato da Said, su quanto egli avrebbe dovuto rivelare all'ufficiale di polizia Mustafa Maabad, nell'interrogatorio che si apprestava a sostenere di ciò che conosceva della vicenda, gli raccomandava di non citare la National Security, né tantomeno la figura del citato Foda;

   Foda e Said tornano a risentirsi telefonicamente (dopo che costui ha interloquito con Kamal quasi un mese più tardi rispetto all'ultimo contatto e proprio poche ore prima della scomparsa del connazionale);

   e, ancora, Said e Foda si risentono anche in altre due date cruciali: il 2 e 3 febbraio 2016, rispettivamente le giornate in cui il corpo potrebbe essere stato «gettato», in corrispondenza del ciglio di una strada che dal Cairo conduce ad Alessandria.

  Eppure, nel corso del terzo vertice tra le procure italiana ed egiziana, svoltosi a Roma, l'8 e 9 settembre 2016, il Procuratore egiziano, Nabeel Sadek, ha dichiarato «di aver accertato che la polizia del Cairo, in data 7 gennaio 2016, ha ricevuto dal capo del sindacato indipendente dei rivenditori ambulanti, Mohammed Abdallah, un esposto su Regeni a seguito del quale la polizia ha eseguito accertamenti sull'attività dello stesso».
  Le verifiche, a detta di Sadek, sarebbero durate tre giorni e non avrebbero però riscontrato «alcuna attività di interesse per la sicurezza nazionale e, quindi, sono cessati gli accertamenti».
  Purtroppo, a detta degli inquirenti egiziani, le indagini condotte non sono state formalizzate in alcun atto informativo, tanto che gli atti di riferimento sarebbero stati eliminati poiché «era emerso che la sua attività non minacciava la sicurezza nazionale egiziana».
  Menzioniamo, ancora una volta, quanto riferito a questa Commissione dal sostituto Colaiocco, in relazione al posizionamento temporale delle attività svolte nei confronti della vittima: «... Relativamente al momento in cui la National Security inizia ad attenzionare e a controllare Giulio Regeni, noi non abbiamo una data precisa di inizio. La ricostruzione indiretta e indiziaria che è stata effettuata la colloca tra due date purtroppo non vicinissime. Noi sappiamo che nella prima metà di ottobre, per l'esattezza il 13 ottobre 2015, il sindacalista Abdallah incontra per tutto il pomeriggio Giulio Regeni a cui rilascia un'intervista e racconta tutta la sua esperienza di capo del sindacato dei rivenditori e questo lo sappiamo perché l'intervista è stata trascritta sul personal computer di Giulio Regeni. Questo in data 13 ottobre. Nella stessa data la signora Hoda, responsabile dell'ONG dove è avvenuto questo incontro, chiede al sindacalista Abdallah di accompagnare Giulio Regeni per i mercati del Cairo e il sindacalista si rifiuta decisamente di accompagnarlo, dicendo che lui non ci pensa proprio ad accompagnare uno straniero in giro per il Cairo. Questo è l'incontro del 13 ottobre. Noi Pag. 118sappiamo che il 7 dicembre la National Security, per l'esattezza uno degli indagati, il colonnello Helmi, sollecita il sindacalista Abdallah ad avere notizie su Regeni. Quindi tra la data del 7 dicembre e la data del 13 ottobre dobbiamo collocare la denuncia che il sindacalista Abdallah fa alla National Security, sul cui dettaglio adesso non entro, avendone forse già accennato nella precedente audizione. Ragionevolmente collochiamo questa denuncia intorno alla metà di novembre, in modo che la National Security abbia tempo di recepire la denuncia, incaricare Abdallah di seguire Regeni e poi sollecitarlo il 7 dicembre. Infatti poi l'8 dicembre il sindacalista Abdallah accompagnerà Regeni per i mercati, cosa che nella prima fase si era rifiutato di fare, evidentemente a ciò autorizzato da qualcuno che lui riteneva sufficientemente autorevole da evitargli problemi nell'accompagnare uno straniero per mercati. Abbiamo quindi alcune settimane nelle quali ragionevolmente collochiamo questo fatto che poi si collega al fatto che l'11 dicembre, durante la riunione sindacale, Regeni viene fotografato da una persona in modo del tutto particolare e di cui già abbiamo parlato.».(205)
  La ricostruzione fornita dal sindacalista non apparve del tutto convincente dacché gli eventi poc'anzi descritti, seppur a sommi capi, messi a sistema con gli accertamenti di natura tecnica, documentale e testimoniale, hanno permesso inevitabilmente di retrodatare la timeline relativa all'interessamento degli apparati di sicurezza egiziani verso Giulio Regeni, ad un periodo sicuramente antecedente rispetto alla denuncia che il sindacalista attesta al dicembre 2015.
  Per quanto convergano, dal punto di vista formale, le dichiarazioni della citata Hoda Kamel, coordinatrice dell'ECESR, con quelle del sindacalista, una evidente discrasia con quanto riferito da quest'ultimo traspare in tema di collocazione degli eventi nel tempo, per incoerenza con la realtà fattuale.
  Racconta Said(206) di aver incontrato Regeni per la prima volta a dicembre 2015 presso l'ufficio della menzionata coordinatrice dell'ECESR e di aver accompagnato lo stesso sul campo, presso i luoghi in cui operano i venditori ambulanti.
  «... Nel dicembre del 2015 mi ha chiamato la dottoressa Hoda Kamel per dirmi che c'era un ricercatore che doveva eseguire un dottorato su i venditori ambulanti e mi ha chiesto di incontrarci per vedere in che modo potevamo aiutarci a vicenda. Sono andato nel suo ufficio in un centro di proprietà di Khaled Ali in cui lei fa la direttrice e dove ho trovato Regeni»
  Quanto riferito, infatti, in ordine alla datazione del suo primo incontro con Regeni non può corrispondere al vero in quanto, dagli approfondimenti condotti, esiste la prova che i due si erano già conosciuti il 13.10.2015, dato coerente, invece, con il racconto della coordinatrice dell'ECESR, Hoda Kamel.
  Gli appunti individuati dall'analisi dei file informatici recuperati sul dispositivo e sui supporti di memoria appartenuti al ricercatore scomparso, hanno consentito di rilevare, sin da quel primo incontro, un rapporto continuativo con il rappresentante sindacale Abdallah e la fiducia posta in lui sin da quel momento. Pag. 119
  La Procura della Repubblica di Roma ritiene, alla luce di questo evento, che Regeni sia stato sottoposto ad un servizio di osservazione e, magari, ad attività tecniche da parte degli apparati di sicurezza in quanto, come noto, il capo del sindacato autonomo degli ambulanti inizialmente si rifiuterà con decisione di accompagnare Regeni tra gli ambulanti del Cairo, alla richiesta di Hoda Kamel avanzata nel giorno del loro primo incontro, il 13 ottobre, appunto.
  Costui rievoca, in tal modo, la richiesta ricevuta: «... Hoda Kamel ... (...) ... mi ha riferito che Regeni sarebbe voluto andare in giro per le strade con me ed io ho risposto che non si poteva fare. Dopo ho ripensato che non ci sarebbero stati problemi ... (...) ... e ho chiamato la dottoressa Hoda Kamel e le ho detto che non avevo problemi ad accompagnarlo per le strade...».
  Ciò chiarito, è stato appurato che il sindacalista:

   a metà ottobre si rifiuta di accompagnare Regeni per i mercati del Cairo;

   quando decide di denunciarlo, viene portato dal colonnello Ather Kamal, della polizia investigativa, alla sede della National Security, dove – secondo il racconto dello stesso Abdallah – incontra il colonnello Helmy e il maggiore Sharif;che il 7 dicembre riceve dal colonnello Helmy l'incarico di organizzare per il giorno dopo un giro al mercato di Masr al-Gadida – in precedenza descritto – ma il sindacalista Abdallah, non volendo creare problemi ai suoi colleghi, la mattina fa un primo giro tra i rivenditori di strada per dire loro, qualcosa tipo: «attenzione, vi porterò una persona, ma voi non vi esponete, non vi pronunciate, perché è una persona pericolosa»;

   successivamente «fa il teatro» con Giulio Regeni: gli fa fare il giro mostrandogli una realtà che invece non era: tutto questo su richiesta del colonnello Helmy e del maggiore Sharif.

  Se ne deve dedurre che la denuncia deve collocarsi tra l'ottobre ed il novembre 2015.
  È verosimile, quindi, che ricevuta l'«approvazione» degli apparati di sicurezza ed assicurazioni sul concreto avvio delle attività investigative sul conto del connazionale, Abdallah Said ci ripenserà ed accetterà di introdurre Regeni agli ambienti degli ambulanti mediante «visite guidate» dei mercati di riferimento.
  La sera in cui il sindacalista-informatore Mohamed Abdallah denunciò Giulio Regeni alla National Security, nella stessa struttura c'era anche l'allora Ministro dell'Interno egiziano, Magdi Abdel Ghaffar.
  I racconti di Abdallah, con i relativi accordi per spiare e segnalare ogni successivo movimento di Giulio, erano andati avanti per ore, fino alle 4 del mattino, e al momento di tornare a casa il sindacalista fu fermato, perché dal palazzo stava uscendo proprio Ghaffar: «... Nella mia mente ho pensato che la questione era così grave che persino il Ministro dell'Interno era venuto di persona. Siamo rimasti bloccati finché il ministro è sceso e se n'è andato...».
  La presenza di Ghaffar nel momento in cui il ricercatore italiano entra nel mirino delle forze di sicurezza egiziane potrebbe essere una casuale coincidenza, giacché Agenzia e Ministero sono nella stessa struttura. Ma potrebbe anche non esserlo, come pensò il sindacalista. L'orario inusuale suggerisce un sospetto in più. Pag. 120
  Alla luce di quanto esposto, la Procura della Repubblica di Roma, nella richiesta di archiviazione del 9 dicembre 2020, così conclude: «Considerato, quindi, che a metà ottobre il sindacalista Abdallah si rifiuta di accompagnare Regeni per i mercati de Il Cairo e che in data 7 dicembre riceve dal colonnello Helmy la richiesta di notizie su Regeni se ne deve dedurre che la denuncia deve collocarsi nel mese di novembre.
  In definitiva, le interviste al sindacalista Mohamed Abdallah Said, di cui Regeni prende nota nei suoi appunti di ricerca, sono almeno tre nel mese di ottobre, a partire dal giorno 13, data del primo incontro negli uffici dell'ECSR. Sino al 20 ottobre successivo, Abdallah Said si rifiuterà, come sottolineato, di accompagnare il ricercatore nelle strade del Cairo, salvo poi cambiare idea a fine novembre. Poi, altri incontri, tra gli ambulanti a partire da dicembre. Gli inquirenti italiani ritengono che sia in questo arco temporale che Regeni viene posto sotto osservazione dai servizi di sicurezza egiziani.
  Il cambio di atteggiamento di Abdallah Said tra il 20 ottobre e fine novembre, con molta probabilità è riconducibile proprio alla già accennata attenzione che si crea nei riguardi del ricercatore e all'esigenza di generare occasioni di indagine sul suo conto in territorio egiziano.
  In quei giorni il sindacalista aveva iniziato a riferire al maggiore Sharif ogni azione o attività condotta da Giulio Regeni. Sappiamo che il 7 dicembre il colonnello Helmy chiede al sindacalista Abdallah se sta controllando Giulio Regeni; questi lo rassicura comunicando che ha organizzato per il giorno dopo – 8 dicembre – un giro al mercato di Masr al-Gadida: la Procura di Roma ritiene questa richiesta della National Security coerente con la ricostruzione dei fatti che colloca la «denuncia» di Regeni, come sottolineato, intorno alla metà di novembre.
  Il giorno 8 dicembre, infatti, Regeni incontra gli ambulanti del mercato al capolinea di Ahmed Helmy per la prima volta con Mohammed Abdallah ed intervista Talal Shukr del «CTUWS» (Center for Trade Union & Workers Services).
  In particolare, Abdallah ha dato appuntamento a Giulio Regeni nel quartiere Ahmed Helmy per il primo incontro con gli ambulanti svolto insieme, sebbene il ricercatore avesse iniziato in autonomia già da fine ottobre le visite nei mercati.
  Appresa la notizia del rinvenimento del cadavere del Regeni, il 05.02.2016, stante a quanto dichiarato dal sindacalista, questi si mette in contatto con il maggiore Sharif per verificare l'attendibilità della informazione, venendo convocato presso la sede della National Security a Nasr City. Lì, prima a Sharif e poi ad un Generale dell'intelligence, Tariq Sabir(207) , esterna la sua opinione su chi potesse essere l'autore dell'omicidio dell'italiano. Considerandolo una «spia», egli riteneva che il delitto fosse l'opera di coloro che lo avevano «mandato» in quel Paese e la conseguenza della perdita di copertura che utilizzava. Compiaciuto dell'opinione di Said, avvalorando la tesi sostenuta dall'ambulante, Tariq consigliava al suo interlocutore di adottare delle cautele per garantire la sua sicurezza, offrendogli persino la possibilità Pag. 121di ottenere la «protezione di due guardie ed una licenza di porto d'armi».
  Protezione contro silenzio; protezione contro strategie per depistare ed allontanare le attenzioni della polizia giudiziaria; protezione a fronte dei suggerimenti e delle indicazioni offerte da Said di «dire tutta la verità meno che la parte dell'apparecchio di registrazione»; protezione contro la disinformazione: «raccontare quanto egli sapeva della vicenda ma di astenersi dal coinvolgere la National Security ed Hosam Foda».
  Da ultimo, emblematiche si sono palesate le ulteriori collaborazioni di alcuni testimoni le cui rivelazioni sono state depositate negli atti della Procura della Repubblica di Roma in vista dell'udienza preliminare.
  Tra i nuovi testimoni, compare un cittadino egiziano che ha dichiarato che lo stesso Abdallah gli riferì dei suoi contatti con Regeni e dell'interesse del ricercatore italiano per i venditori ambulanti rappresentati proprio da Abdallah «sin dal novembre 2015». Il testimone anonimizzato, per ragioni di sicurezza, ha riferito di aver seguito passo dopo passo l'evoluzione dei rapporti tra il sindacalista e Regeni. Il giorno prima del ritrovamento del corpo del ricercatore italiano ormai senza vita, il testimone ha raccontato che «Abdallah aveva spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina lui si trovava nell'ufficio della State Security, in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam (uno degli odierni imputati), quando quest'ultimo aveva ricevuto la notizia della morte di Regeni».
  Lo stesso Abdallah gli confidò, secondo quanto aveva ascoltato dall'ufficiale, che la National Security avrebbe trovato il sistema di addossare la responsabilità dell'omicidio a una banda di rapinatori facendo ritrovare nella loro disponibilità i documenti della vittima.
  Cosa che è poi avvenuta effettivamente due mesi dopo, il 24 marzo 2016, quando la polizia comunicò l'uccisione in uno scontro a fuoco dei cinque membri della banda di rapinatori, con alcuni effetti personali del ricercatore italiano, che sono poi stati ritrovati all'interno dell'abitazione di uno di essi.

3.2.2 Intervento della National Security

  La complessa mole dei dati investigativi raccolti ha consentito l'individuazione di una struttura operativa composta da operatori di polizia e dell'intelligence egiziana che, nel rispetto di un ferreo «principio di compartimentazione», ha assicurato il rispettivo contributo non solo nella fase delle «investigazioni» condotte al fine di effettuare una profonda ricognizione nella quotidianità del giovane ricercatore – ante rapimento – ma anche in quella successiva al suo sequestro, avendo inquadrato lo studente italiano come «soggetto sovversivo e pericoloso per il Paese».
  Le attività investigative svolte nell'ambito della cooperazione internazionale di polizia e giudiziaria(208), nonché quelle «suppletive e parallele» condotte sul territorio italiano, secondo lo scientifico metodo Pag. 122di «tecnologia applicata alle indagini», hanno ricostruito anche il ruolo di alcuni soggetti impegnati nella insidiosa veste di «depistatori»; soggetti, cioè, coinvolti nella complessa manovra di alterazione dei fatti(209).
  La visione di insieme dei fatti oggetto delle indagini ha consentito di appurare che l'attività «investigativa» condotta in direzione del Regeni, il suo sequestro e il conseguente omicidio ma anche il successivo tentativo di depistare e di manipolare alcune fonti di prova (ivi compresa la manomissione del video-sorveglianza della metropolitana) ha avuto il presumibile scopo di adattarla alla realtà del regime egiziano al fine di assicurare l'impunità dei suoi autori, senza peraltro incrinare la solidità di una struttura criminale ad hoc istituita, all'interno della quale ognuno ha giocato il proprio ruolo tra le istituzioni egiziane che, per contro, hanno provato in ogni modo a insabbiare la verità.
  Il ricercatore italiano è finito nell'orbita dell'attenzione di uno Stato che, dall'inizio del 2021, ha condannate alla pena capitale 51 persone(210), dopo le oltre 100 condanne a morte del 2020 e dove, in attesa di giudizio, ci sono decine e decine di detenuti, tra i quali il cittadino egiziano, Patrick Zaki, iscritto al Master in Studi di Genere (GEMMA) presso l'Università Alma Mater di Bologna, arrestato(211) mentre rientrava nel suo Paese e ora in carcere con l'accusa di «istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione» per i post pubblicati nella propria pagina Facebook(212). Nel 90% dei casi il riferimento alla Fratellanza musulmana viene impiegato come passe-partout.
  Rivela Human Rights Watch, nel rapporto pubblicato il 7 settembre 2021, che «negli ultimi anni la polizia del ministero dell'interno egiziano e i funzionari dell'Agenzia nazionale per la sicurezza hanno ucciso decine di presunti «terroristi» in tutto il paese, archiviando come «sparatorie» una serie di esecuzioni extragiudiziali e illegali(213).
  Si tratta, secondo quanto dichiarato da Joe Stork, vicedirettore di Human Rights Watch per il Medio Oriente, di esecuzioni extragiudiziali commesse da anni da parte delle forze di sicurezza egiziani che sostengono, invece, che le vittime abbiano perso la vita durante conflitti a fuoco. Pag. 123
  Per circa tre mesi – all'inizio, ignaro dell'occhio del regime, decisamente più consapevole probabilmente negli ultimi tempi – Giulio Regeni potrebbe essere divenuto protagonista di un «fair game«, preda di una competizione tra gli apparati dello Stato – servizi militari e servizi civili – in lotta per contendersi un posto al sole nella gerarchia del regime, fino all'esito finale.
  Non è un caso che, dalle azioni investigative condotte, siano emerse le responsabilità degli ufficiali egiziani al di sopra di ogni ragionevole dubbio. Responsabilità che si sono estrinsecate in diversi momenti e con mirate attività affinché appartenenti ai servizi dell'intelligence egiziana potessero avere il controllo diretto, ma anche indiretto di Giulio Regeni, riuscendo a «coprire» sia gli aspetti della sua vita accademica e della «ricerca partecipata», sia le attività casalinghe che quelle amicali assicurandosi, in tal modo, un monitoraggio costante della sua vita, tout court.
  Ed è lo stesso Procuratore generale Hamada Al Sawi che, nel Memorandum del 30 dicembre 2020, per provocazione o mera estrema difesa dell'operato, offre timide ammissioni sui servizi di monitoraggio attivati nei confronti della vittima.
  Prima ribadisce, come già fatto a fine novembre dello stesso anno, che «per il momento non c'è alcuna ragione per intraprendere procedimenti penali circa l'uccisione, il sequestro e la tortura della vittima Giulio Regeni, in quanto il responsabile resta sconosciuto»; poi, si spinge ancora più in là definendo il comportamento tenuto da Giulio Regeni, nel corso della sua permanenza in Egitto, «non consono al suo ruolo di ricercatore» e per questo posto «sotto osservazione» da parte della sicurezza egiziana «senza però violare la sua libertà o la sua vita privata».
  «Tuttavia – aggiungeva – il suo comportamento non è stato valutato dannoso per la sicurezza generale e, quindi, il controllo è stato interrotto».
  Da una parte viene confermato il coinvolgimento delle forze dell'ordine, dall'altra però si lascia intendere che il ricercatore italiano non avrebbe arrecato «disturbo» alle Autorità e, dunque, queste non avrebbero avuto motivo di arrestarlo, interrompendone il monitoraggio nei suoi confronti.
  Prima di allora, invece, a Giulio Regeni sarebbero state ascrivibili e imputabili gravissime accuse quali, «l'istigazione ad assassinare il Presidente della Repubblica e autorevoli personalità dello Stato. Istigazione al sabotaggio e lo sciopero al fine di bloccare il ciclo produttivo. Manipolazione dell'immagine e dell'azione operaia in Egitto. Perpetrazione di azioni specifiche al fine di suscitare conflitti tra le fila operaie, creare disordine all'interno del Paese nonché calunniare l'Egitto con l'accusa di guidare il terrorismo. Istigazione degli operai a manifestare contro la legge e le istituzioni al fine di sovvertire il governo.».
  Di ritorno al Cairo, dopo le vacanze natalizie Regeni, il 9 gennaio 2016, scrive ad un amico: «... tengo un profilo basso e non vado dove non devo andar... limita molto il mio spazio di manovra la cautela mi fa perdere molto tempo ma è inevitabile...».
  Il monitoraggio costante in direzione del nostro connazionale attuato dagli officers della National Security mediante il coinvolgimento consapevole del suo entourage amicale – (e, forse, con poca possibilità Pag. 124di scelta per chi ha dovuto collaborare con tali apparati) – ha trovato la sua centralità nell'acquisizione, o perlomeno il tentativo di acquisizione, da parte di personale di quella struttura di una copia del passaporto di Giulio Regeni attraverso la inaspettata attiva collaborazione del già citato coinquilino El Sayyad, prima, e dei vari accessi e ispezioni delle forze di sicurezza nella stanza del ricercatore, dopo.
  Sappiamo anche come tale attività non si sia limitata all'acquisizione di immagini o all'acquisizione di copia del suo passaporto o alla perquisizione della sua stanza, ma si è sviluppata molto più in profondità, attraverso l'esecuzione di penetranti attività tecniche: la più eclatante, si ricorda, è quella della videoregistrazione avvenuta il 7 gennaio 2016.
  Questi dati, incrociati con gli ulteriori elementi investigativi raccolti, consentono di affermare come i contatti dell'agente Najem e il colonnello Helmi, da questi definito come suo stretto collaboratore, siano intrinsecamente correlati con un sospetto traffico telefonico con il coinquilino El Sayyad, con specifico riferimento alla circostanza del 26 gennaio 2016, allorquando lo stesso legale egiziano, in compagnia di Noura Wahby e Gennaro Gervasio si era recato per presentare formale denuncia della scomparsa di Regeni al Commissariato di Dokki(214).
  Il legale, nell'ottica di orientarsi negli eventi, fa riferimento proprio all'agente Najem, raggiungendolo sulla sua utenza telefonica, speranzoso di ottenere indicazioni.
  Non riuscendo a sostenere il peso della situazione, il legale egiziano confida ad un amico quanto accadeva nel suo appartamento, introducendo la tematica delle perquisizioni nell'appartamento di Dokki.
  A farne parola, intervengono le dichiarazioni del teste «Alpha».
  Escusso in Italia il 16 aprile 2016, costui racconta agli inquirenti di aver appreso da El Sayyed, perlomeno due giorni prima della scomparsa, che l'appartamento sarebbe stato oggetto di una perquisizione, evento avvenuto in sua presenza e dell'intimazione ricevuta a non rivelare nulla all'interessato.
  Queste affermazioni ricalcano perfettamente le esternazioni del citato teste Beta in ordine alle «visite» compiute dalla National Security presso l'appartamento ove viveva Giulio Regeni, alla presenza del già citato agente Najem «... due giorni dopo la scomparsa lo stesso ufficiale... si era presentato presso l'abitazione e aveva fatto un giro dell'appartamento...», aggiungendo il dettaglio «... successivamente hanno fatto un accesso all'appartamento tre poliziotti del Commissariato locale e successivamente raggiunti dall'ufficiale con le quattro stelle...»(215).
  Nel processo di ispezione della stanza della vittima attuato, come detto, perlomeno in ben tre distinti momenti, quanto riferito dal teste collima con le evidenze telefoniche che conducono a «significative triangolazioni tra i numeri in uso all'Agente Najem, il colonnello Helmi e il coinquilino El Sayyad del 22.1.2016. Le telefonate tra il primo e il secondo risultano esclusivamente nel periodo compreso tra il 22.1.2016 Pag. 125(tre giorni prima della scomparsa di Regeni) e il 2.2.2016 (il giorno antecedente la data di rinvenimento del cadavere del connazionale), e sembrano deporre per l'ipotesi che la stanza di Regeni sia stata perquisita sia prima che dopo la scomparsa del giovane, molto verosimilmente il 22.1.2016 e il 28.1.2016. Infatti, il colonnello Helmi, alle 15:06 del 22 gennaio, dava avvio ad un circuito chiuso di quattro telefonate che si risolveva nel giro di 12 minuti e che vedeva: il colonnello Helmy chiamare l'agente Najem, quest'ultimo contattare il coinquilino El Sayyad, quest'ultimo richiamare l'agente Najem e lo stesso chiudere il cerchio con la telefonata all'indirizzo del colonnello Helmi. Una circostanza del tutto sovrapponibile al frangente appena evidenziato si verificava nella giornata del 1° febbraio 2016, allorquando un nuovo circuito chiuso di telefonate tra l'Agente Najem, il colonnello Helmi e il coinquilino El Sayyad si compie nel volgere di soli sette minuti a partire dalle 12:50.»(216)
  Dalla rievocazione del personale che ha sottoposto il «Teste Beta» ad interrogatorio presso una struttura della National Security Agency, si apprende che uno di essi indossava una uniforme da ufficiale superiore (presumibilmente il Colonnello Helmy) e l'altro una da ufficiale inferiore (presumibilmente l'agente Najem), quest'ultimo dall'aspetto giovane e con il volto butterato dall'acne, circostanza che coincideva con la descrizione di questi effettuata dall'avvocato El Sayyed.
  Da ultimo, la circostanza che ad effettuare le perquisizioni sia stata la National Security Agency, trova conforto nei dati di traffico telefonico che delineano la triangolazione di comunicazioni tra Najem, El Sayyed e Husain Helmy, in data 22 gennaio 2016. Circuito di telefonate che ha il medesimo pattern anche il giorno 1° febbraio 2016, quando Giulio Regeni era ancora nelle mani dei suoi sequestratori.
  È verosimile, di conseguenza, che una delle «perquisizioni» nella stanza di Giulio Regeni sia avvenuta proprio il 22 gennaio 2016. Tale circostanza è avvalorata dalla «triangolazione tra i numeri in uso all'Agente Najem, il colonnello Helmi e il coinquilino El Sayyad del 22.1.2016».
  Un'altra fonte spontanea dichiarerà in un colloquio telefonico con l'ambasciata italiana a Berlino, il 1° aprile 2016, di essere venuto a conoscenza di un'attività di perquisizione in casa di Giulio Regeni dal coinquilino del ricercatore, Mohamed El Sayyad, suo amico.
  Secondo la testimonianza, El Sayyad avrebbe riferito tramite telefonata a mezzo Facebook in data 23 gennaio 2016 che, in data 21 gennaio 2016, la polizia avrebbe effettuato una perquisizione nella stanza di Regeni che in quel momento era assente, poi avrebbe intimato al coinquilino di non informare Regeni. Sempre tramite telefonata Facebook in data 8 febbraio 2016, durante una seconda conversazione, El Sayyad avrebbe manifestato allo stesso amico timori nel riaffrontare il discorso Regeni, lasciando intendere di non voler mettere a repentaglio la propria sicurezza personale.
  In quella stessa giornata, si registra una telefonata tra il sindacalista Mohamed Said Abdallah e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif.

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3.2.3 Il coinvolgimento delle persone vicine a Giulio Regeni

  Le indagini condotte hanno dimostrato come le manovre di accerchiamento tese dagli apparati di intelligence egiziani si sono avvalse delle persone più vicine a Giulio Regeni al Cairo, trasformati, con o senza consapevolezza, in informatori. Tra loro, il coinquilino avvocato, Mohamed Khaled El Sayyad, il sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah Said e Noura Medhat Mohamed Wahby.
  Quest'ultima, collega e amica di studi da Cambridge, si attiva da subito a procurargli una sistemazione alloggiativa, offrendogli persino l'attivazione di una scheda SIM del gestore Vodafone, a lei intestata. Quindi, era in grado di estrapolare, lei stessa, il dettaglio del traffico in entrata e uscita, chiamate e messaggi prodotti dal suo amico.
  Sarà sempre lei a lanciare l'allarme su Twitter, quel 25 gennaio, ad appena cinque ore dalla scomparsa del suo amico e a dichiarare apertamente: «Giulio Regeni è il mio miglior amico»; mentre, il 1° febbraio successivo, dal proprio profilo Facebook, supplicava: «Trovatelo, per favore», solo pochi giorni prima del rinvenimento del corpo.
  Noura Wahby è talmente coinvolta nel lavoro di ricerca di dottorato di Regeni, condivide con quest'ultimo una posizione di memoria sul cloud Dropbox (cartella denominata «Egypt»), da lei stessa svuotata il 15.12.2015. La cartella «Egypt» è altamente probabile contenesse appunti, riflessioni e le bozze di domande delle interviste partecipate alle quali Giulio Regeni lavorava spesso con l'ausilio linguistico della stessa Noura. Gli inquirenti italiani sospettano che Noura Wahby, in quel momento, percepisse come un pericolo l'essere associata a Giulio Regeni.
  L'unica volta che la Wahby parla alle Autorità egiziane è il 18 febbraio 2016, a Nasr City, presso la sede della National Security, alla presenza degli investigatori italiani ma non può rispondere ai quesiti posti da questi ultimi.

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  Nelle sue dichiarazioni, integrate con quelle rese alle Autorità cairote il 4 febbraio 2016, conferma quanto scritto sui social in occasione della scomparsa di Giulio Regeni e fornisce il dettaglio che questi le aveva confidato che un tassista lo aveva additato come «spia» quando lui gli aveva rivelato di essere uno studente. La Wahby aveva chiesto a Regeni se il tassista lo avesse accompagnato direttamente sotto la sua abitazione e Regeni le aveva risposto che aveva preferito scendere poco distante da casa sua.
  Afferma che gli ultimi contatti con Regeni sono avvenuti il 23 gennaio per organizzare un'uscita con alcuni amici, ma lei non ha accettato l'invito perché doveva studiare.
  La giovane donna afferma, inoltre, di essere venuta a conoscenza della scomparsa di Giulio Regeni da Gennaro Gervasio il quale, il 25 gennaio verso le ore 23.00, le ha inviato un messaggio su Facebook fornendole anche il suo numero di cellulare; la ragazza aveva provveduto a contattare telefonicamente il professore; dopo essere riuscita a reperire il numero cellullare di El Sayyad, lo aveva nuovamente richiamato tra le ore 23.00 e le 23.10 per avere aggiornamenti su Giulio. L'interlocutore era fuori casa; al suo rientro l'ha contattata e le ha riferito che Regeni non era in casa. Quindi ulteriore chiamata a Gervasio con la comunicazione di quest'ultimo che l'Ambasciata era stata informata della scomparsa.
  Infine, dichiara di essere venuta a conoscenza del decesso di Giulio Regeni dalla madre di lui che l'ha chiamata alle ore 23.00 circa del 3 febbraio 2016.(217)
  Per quanto riguarda le tematiche affrontate dalla vittima nel suo fieldwork al Cairo, la donna ha affermato che il tema era «delicato» e che Giulio, per le sue ricerche, amava spostarsi tra i quartieri di Downtown e quello di Moadesin, restando spesso lì a pranzare; annotava su un'agendina le parole arabe sentite per la prima volta e le chiedeva significato e traduzione quando si incontravano. Il Regeni riusciva a farsi capire perché parlava l'arabo classico ma stava imparando l'egiziano(218).
  In quel periodo, afferma la Wahby, ha raccomandato a Regeni di non uscire durante i giorni, 23, 25 e 28, in quanto date particolarmente delicate e strettamente connesse alla ricorrenza della rivoluzione del 25 gennaio.

  Per lungo tempo si è tentato di chiederle di fornire il proprio contributo alle indagini, ma agevolata dalle norme procedurali locali – come quelle egiziane che hanno impedito alla delegazione italiana di porle domande come semplice testimone – si è allontanata alla volta degli Stati Uniti. Qui, raggiunta da investigatori dell'FBI, il 17 aprile 2017, su specifica delega della Procura italiana, ha fornito solo brevi dichiarazioni con non poche contraddizioni. In tale sede, non ha sgomberato il campo dai dubbi sul suo comportamento e sul suo amico Rami, l'agente turistico di cui si parlerà, lì dove qualificava le interlocuzioni «comunicazioni generali tra amici».
  Il 28 aprile 2016, nel corso di una richiesta rogatoriale, la prima al Regno Unito, viene chiesto di interrogare, tra gli altri, la stessa Noura Medhat Mohamed Wahby che avrebbe dovuto partecipare a giugno a Cambridge ad una commemorazione in ricordo di Giulio, ma senza esito.
  Non rivela null'altro Noura Wahby, come nulla rivela l'avvocato El Sayyed il quale, proprio come lei, in diverse occasioni ha telefonato ad una persona che subito si è messa in contatto con esponenti della National Security.
  Un'altra figura che ha influito notevolmente con la propria condotta è il titolare di un'agenzia di viaggi, l'egiziano Rami Imad Adli Issa Mikhail. Pag. 128
  Amico di Noura Medhat Mohamed Wahby, Rami fornisce il proprio contributo di concorrente «esterno», pur non essendo organico alle strutture investigative della National Security intente ad effettuare quella raccolta di informazioni in direzione del nostro connazionale. Le interazioni tra la donna e l'agente turistico, nella ricostruzione della polizia giudiziaria italiana, assumono una certa dose di sospetto se poste a sistema con i contatti tra Noura e lo stesso Regeni: appare singolare come il traffico Noura-Regeni è sempre preceduto o seguito da un contatto Noura-Rami, lasciando ipotizzare, dunque, un passaggio biunivoco di informazioni da Rami a Noura e da questa a Rami(219).
  Illuminanti sono peraltro i conseguenziali contatti tra quest'ultimo e il maggiore Sharif, che testimoniano l'esistenza dei rapporti tra i due e non di rara frequenza(220).
  Si scrive nell'informativa del 5 dicembre 2017 che la valenza di queste relazioni è importante se si considera la coincidenza temporale che esiste tra quanto dichiara Noura Wahby circa il fatto di aver incontrato Giulio Regeni il 20 gennaio 2016 e il dato tecnico in esame che, per un verso testimonia la genuinità del racconto della donna, per converso conferma che anche in quella circostanza aveva sentito Rami e quest'ultimo, di conseguenza, si era interfacciato con Sharif.
  L'ipotesi avanzata dagli investigatori italiani – strettamente connessa anche con il comportamento reticente della donna – è che che costei fosse oggetto delle attenzioni della National Security ad opera del suo contatto, Rami, molto vicino agli apparati di intelligence, o che la stessa consapevolmente o meno si fosse prestata alle osservazioni della struttura, perché vicina all'obiettivo «Regeni». Noura Wahby non ha mai chiarito agli inquirenti le ragioni di un comportamento così insolito e ambivalente: da una parte la preoccupazione per la scomparsa dell'amico italiano e nel contempo l'interazione con l'agente turistico Rami; aspetto quest'ultimo mai contestato da parte degli organi inquirenti egiziani che l'hanno interrogata.
  In tal senso, si esprime la procura romana: «... la ricostruzione di quanto sopra si presta ad un doppio ordine di interpretazioni: da un lato, si può avanzare l'ipotesi che anche la giovane egiziana fosse oggetto delle attenzioni della National Security ad opera di Rami o, di converso, che quest'ultima struttura si servisse della donna per controllare Regeni...».
  La Wahby, rievocando i propri ricordi dell'amico dottorando, nel verbale del 18 febbraio 2016, in presenza della delegazione italiana, riferisce di aver incontrato Regeni, l'ultima volta, il 21 gennaio quando afferma:
  «... è stato giovedì 21.01.2016... quel giorno l'ho incontrato la mattina verso le 11.00 in piazza Lebnan, e siamo andati con la mia Pag. 129macchina all'Università Americana in New Cairo, dopo di che siamo andati a casa della mia famiglia perché gli avevamo organizzato una festa per il suo compleanno che era passato da qualche giorno. Ha passato la giornata con noi e la sera è tornato a casa sua...»; e di aver contattato il Regeni, «... il sabato 23.01.2016, ci siamo mandati dei messaggi perché dovevamo uscire insieme ad amici ma io dovevo studiare e non sono potuta uscire con loro...».(221)
  Non è dirimente ai fini della convalida dell'una o dell'altra ipotesi quanto dichiarato dall'agente turistico Rami il 9 maggio 2017 all'autorità giudiziaria egiziana: «...nel 2009 ero impiegato al Consiglio Nazionale per i Diritti dell'Uomo ed era nell'ambito di questo impiego che avevo conosciuto Sharif Magdi, precisamente tramite un suo amico che lavorava con me nel Consiglio. Così eravamo diventati amici. Questo rapporto si era rinforzato dopo che avevo organizzato il viaggio di nozze prima alla sorella, poi a lui mediante l'agenzia di viaggi in cui lavoro. Il tipo di rapporto che ho con Sharif Magdi è paragonabile a quello che ho con Noura Medhat. Ci parlo di continuo. Entrambi sono miei amici, ma non si conoscono...».
  Quanto, poi, al merito dei contatti telefonici intercorsi con l'amica Noura, a partire dal 25 gennaio, lo stesso ammetteva di essere stato raggiunto telefonicamente il giorno 26 per una richiesta di aiuto che la donna gli aveva rivolto nell'ambito delle ricerche del giovane scomparso, così come, la sera del 25, alle ore 23.00 circa, aveva fatto con l'avvocato El Sayed, con la differenza che quest'ultimo davanti alle autorità egiziane ha sostenuto di non conoscere Noura e che lei sarebbe riuscita a risalire al suo numero di telefono solo attraverso l'annuncio di affitto dell'abitazione. Ciò è stato confermato anche dall'analisi dei tabulati in cui si evince che i contatti tra le due utenze iniziano a decorrere dal 25 gennaio, data della scomparsa di Giulio.
  È plausibile supporre che la ragione di aver chiamato l'agente turistico Rami, il 26 gennaio, nell'incertezza derivante dalla scomparsa, risieda nel fatto che anch'ella fosse a conoscenza del fatto che Rami fosse in contatto con la National Security.
  Conclude al riguardo la Procura della Repubblica di Roma: «... Il ruolo degli stessi, per come emerge allo stato delle indagini, se, da un lato, è quello di soggetti che hanno riferito ad ufficiali della National Security tutte le attività di Regeni in ambito lavorativo, amicale e della ricerca, dall'altro non risulta essere un ruolo attivo nei fatti accaduti dalla sera 25 gennaio in poi; anzi, ciò che sembra emergere è la circostanza che, dopo il sequestro, resisi conto delle gravissime conseguenze della loro condotta, abbiano cercato di adoperarsi, almeno alcuni di loro, in favore di Giulio Regeni».
  Colui, invece, che già dalle prime battute della vicenda pone le basi per comporre la fitta ragnatela intorno alla vittima, è l'allora trentottenne maggiore Mustafa Maabad, l'ufficiale della National Security applicato al monitoraggio delle attività degli stranieri in Egitto(222) e, successivamente, incluso tra i membri della squadra investigativa Pag. 130egiziana creata ad hoc per indagare sull'omicidio del nostro connazionale.
  Sentito dall'Alta Procura per la Sicurezza Nazionale in ordine alle ragioni del suo coinvolgimento nel gruppo di lavoro e l'attività compiuta nello sviluppo delle investigazioni sul caso, in due distinti momenti, il 22.5.2016 e del 3.7.2016, affermava: «... finora le indagini non sono giunte a scoprire l'autore o le modalità dell'omicidio di Giulio Regeni ...», e «... le indagini finora espletate non sono in grado di scoprire il movente dell'omicidio e sono tuttora in corso per scoprirlo...».
  Tuttavia, a differenza di altri suoi colleghi escussi dalle autorità egiziane, restituisce un quadro più puntuale: emergerà come le sue dichiarazioni, incrociate con i dati di traffico telefonico, danno contezza del coinvolgimento dello stesso Maabad e di alcune persone incluse nella cerchia relazionale del Regeni, tra i quali il coinquilino El Sayyad, l'amica Noura Wahby e il sindacalista Said Abdallah; relazioni che, tra l'altro, emergono anche dopo il ritrovamento del corpo dell'italiano, ovvero dal 5.2.2016(223).
  L'analisi dei tabulati di traffico telefonico a disposizione ha consentito di riscontrare «... anche quando Maabad riferisce in ordine alla sua cooperazione con il colonnello Husam Helmi, anch'egli parte della squadra investigativa nominata dal Ministero dell'Interno egiziano così come di quella italo-egiziana creata dagli investigatori italiani giunti a Il Cairo dopo il ritrovamento del cadavere del connazionale...».
  In sintesi, il traffico dell'utenza a lui in uso restituisce eventi telefonici con il colonnello Helmi (il 3.2.2016, ore 13.08, ora in cui il corpo senza vita era stato già rinvenuto ma le autorità locali italiane non erano ancora state informate(224)), che denotano il «coinvolgimento Pag. 131di un investigatore ben informato sui fatti che ha trattato e il cui traffico telefonico non può che definirsi coerente con questi suoi impegni professionali»(225).
  Ma il ruolo del Maabad non si esaurisce qui. Sarà lui a convocare il sindacalista Said, dopo il rinvenimento del corpo del Regeni presso il Commissariato di Dokki; ma prima di recarvisi, lo stesso Said, contatterà il maggiore Sharif che gli raccomanda di raccontare quanto sia a sua conoscenza sulla vicenda ma di astenersi dal coinvolgere la National Security e Hosama Foda.
  Le indagini di Maabad proseguivano con una nuova convocazione di Said, presso la Procura di Giza, con nuove indicazioni del colonnello Helmi che suggeriva di dire: «tutta la verità meno che la parte dell'apparecchio di registrazione»(226).
  Secondo la ricostruzione del ROS dell'Arma dei Carabinieri(227), riepilogativa delle fonti di prova raccolte nei confronti degli ufficiali appartenenti alle Forze di Sicurezza della Repubblica Araba d'Egitto, in relazione all'ipotesi di sequestro di persona, è stato appurato come il tentativo operato dagli apparati di intelligence egiziani per individuare nel Regeni una fonte di sospetta cospirazione nei confronti dello Stato egiziano e raccogliere ogni indizio che potesse inchiodarlo alle sue «responsabilità», si è evidenziato anche in azioni che hanno letteralmente violato la sfera privata del ricercatore italiano, con l'ausilio delle citate fonti confidenziali a lui particolarmente vicine in quel momento storico, ossia i suoi amici.
  Significativa, invece, è la versione fornita agli inquirenti egiziani dall'avvocato El Sayyad che, nel tentativo di riabilitare la sua amicizia con la vittima e far dimenticare i pregiudizi che aveva nutrito nei suoi confronti durante la convivenza, nel verbale di interrogatorio del 19.05.2016, innanzi alla Procura della Repubblica di Giza, riepiloga le azioni da lui compiute nella giornata del 25 gennaio 2016, raccontando di essere tornato a casa alle ore 23.00 e di aver ricevuto una chiamata da Noura mentre era ancora sotto casa, allarmata della scomparsa del coinquilino italiano.
  Rivela che, nonostante vi fossero delle misure di alta sicurezza in città, aveva avvertito il coinquilino di non andare «in giro quel giorno perché è uno straniero e che c'erano per le strade alte misure di sicurezza, gli ho consigliato di portare il passaporto con sé nel caso in cui fosse uscito...».
  Tuttavia, chi lo interroga dimentica di porre una ulteriore domanda: cosa il Regeni abbia replicato a tale suggerimento e quale reazione abbia manifestato, in quella circostanza: stupore, diffidenza, preoccupazione?
  Probabilmente le autorità egiziane, nella migliore delle ipotesi, avevano pensato di «tutelare» il proprio informatore e, nel contempo, si erano determinate ad evitare di fornire ulteriori e preziosi elementi alla parte italiana presente all'atto in qualità di semplice uditore, ben consce che tale deposizione, come del resto tutte quelle degli altri testimoni, si prestavano a contestazioni, dalle quali si è sempre palesato, in chi ha avuto modo di consultarle, la mancanza di volontà di Pag. 132approfondire le dinamiche della scomparsa dell'italiano per celare le evidenti discrasie operate.
  Solo a dicembre 2018, in via rogatoriale, si ottengono le dichiarazioni dell'agente Najem che confermava nella sostanza il quadro già precedentemente ricostruito, pur negando di essere mai riuscito ad ottenere la copia del passaporto, circostanza che per il modus operandi della National Security appare a dir poco inverosimile.
  Riferiva l'Agente Najem che: «... il proprietario del predetto appartamento (quello ove abitava anche Regeni) mi aveva fornito il recapito telefonico di Mohamed Al Sayyad invitandomi a contattarlo per farmi portare copia fotostatica del contratto di affitto e del documento di riconoscimento e mi aveva contestualmente informato che vi erano dei cittadini stranieri che abitavano con lui e che, quindi, mi avrebbe potuto portare anche le fotocopie dei loro passaporti. Avevo tuttavia contattato Mohamed Al Sayyad e avevo appreso che è un avvocato, che aveva affittato l'appartamento insieme ad altre due persone straniere, una tedesca e un italiano, ma non mi aveva detto i loro nomi. Dopodiché aveva promesso di portarmi fotocopie dei loro passaporti e della propria carta d'identità e mi aveva effettivamente portato fotocopia del passaporto della ragazza tedesca sua coinquilina, ma mancava la fotocopia del passaporto del cittadino italiano. Successivamente avevo appreso da Mohamed Al Sayyad che era scomparso... La prima volta che avevo sentito il nome di Giulio Regeni era dopo la notizia della sua scomparsa e successiva uccisione. Prima di allora non mi era noto questo nome...».

3.2.4 La videoregistrazione dell'incontro del 7 gennaio 2016(228)

  Il 7 gennaio 2016 si registra il salto di qualità operato dagli apparati di intelligence, non solo in senso metaforico, ma posto in essere con le videoriprese registrate di nascosto dal sindacalista, attraverso la dotazione di una bodycam con l'obiettivo celato in un bottone della camicia, ed il fine ultimo di acquisire ulteriori dettagli sul progetto in argomento.
  Da lì probabilmente la situazione è precipitata perché mancavano pochi giorni al 25 gennaio, nota ricorrenza dei moti di piazza Tahrir.
  È ragionevole ritenere, quindi, che alcuni componenti della National Security Agency che hanno seguito Giulio Regeni per lungo tempo non smettano di seguirlo anche dopo la realizzazione delle riprese video, nonostante fossero entrati in possesso della documentazione (cd. form della Fondazione), approfittando dell'assenza dall'Egitto del ricercatore in Italia, ed aver avuto tutto il tempo a disposizione per analizzarne i contenuti. Infine, operando perquisizioni nelle sue pertinenze ed acquisita una fotocopia del suo passaporto, avevano completato il «criminal profiling» dell'italiano, ritenuto sovversivo, a vantaggio di coloro che lo avrebbero forzatamente arrestato il successivo 25 gennaio.
  Tra le ore 21.10 e le 22.26, dello stesso giorno, Regeni verrà videofilmato – con le già note modalità descritte – con un'apparecchiatura fornita dalla National Security Agency, in particolare dal maggiore Sharif Magdi Abdelal, nell'intento di documentare la supposta Pag. 133attività eversiva dell'interlocutore, iniziativa che non solo ha tradito le aspettative di coloro che ne avevano disposto l'esecuzione, ma che ha anche certificato la totale estraneità dell'italiano rispetto a qualsivoglia tentativo di sovvertire l'ordine costituito egiziano o di finanziare operazioni di sollevazione popolare, nonostante appaia che Regeni fosse chiaramente indotto dal suo interlocutore a parlare di questioni politiche.
  Le immagini – diffuse attraverso le principali testate giornalistiche nazionali ed estere nel dicembre 2020 – documentano come Giulio Regeni tenga a chiarire nettamente la sua posizione di ricercatore che non poteva disporre a suo piacimento delle somme stanziate da una fondazione.
  Il video, della durata di circa due ore, registra prima il sindacalista Said che passeggia, si guarda attorno, osserva. Poi, dopo circa un'ora, arriva Giulio Regeni. Per cinquanta minuti Abdallah in arabo lo incalza, lo provoca, tenta in ogni modo di portare il discorso sul progetto della Fondazione Antipode. Si vede Regeni inquadrato dal basso che, stupefatto, risponde in assoluta buona fede al suo interlocutore.
  In questo passaggio si rinviene il tentativo da parte di Abdallah, tipico di un agente provocatore, di inserire la politica nel dialogo per condurre l'interlocutore in una trappola concordata con chi li ascoltava nella cabina di regia: «... questi soldi li useremo in affitto di spazi per le bancarelle, oppure per progetti politici destinati a promuovere la libertà? Regeni replica: “fare politica? La vedo difficile in questo frangente...”».
  In seguito e, per un caso propizio emerso nel corso delle fasi di riascolto dei frame forniti dalla controparte egiziana, si apprenderà che nella registrazione svolta da Abdallah Said – rivelatosi incapace di utilizzare il dispositivo fornito dai suoi “committenti” (le immagini sono spesso poco inquadrate) – viene anche acquisito l'audio di una telefonata che lo stesso Said effettua subito dopo la ripresa di Regeni. Nella telefonata Abdallah Said chiede istruzioni sulla disattivazione dell'apparecchio al colonnello Ather Kamal.
  Si percepisce come il ruolo di “persona interposta”, prestato dal sindacalista, sia stato un “prima volta” per lui. La sua mancanza di esperienza in tale veste lo espone a parlare e chiedere delucidazioni su come procedere alla disattivazione della registrazione.
  Questa circostanza è confermata, nel corso del suo esame del 10 maggio 2016, dall'autore del video che riferisce di essere stato indottrinato sull'esecuzione del servizio e sulla strumentazione fornita dalla National Security Agency e, in particolare, dalla figura del maggiore Sharif Magdi Abdelal. Costui, escusso anche dalla Procura generale del Cairo, si è dichiarato totalmente estraneo all'operazione, attribuendo all'inopinata iniziativa del sindacalista la videoregistrazione dell'incontro operata dal cellulare del suo autore(229) .
  Seguendo l'ordine cronologico delle fasi dell'incontro videoregistrato tra il sindacalista Abdallah ed il nostro connazionale, si riportano le parti salienti schematizzate nel sottostante box(230).

Pag. 134

al minuto 20:18 della prima parte di registrazione, il sindacalista Abdallah inizia un breve dialogo telefonico con Regeni, evento che, considerato quanto emerge dai tabulati del traffico telefonico, va collocato alle 21:07 del 7.1.2016;

al minuto 23:28 sempre del primo file (le ore 21:10 circa del 7.1.2016, questo secondo un calcolo nel quale sono conteggiati i minuti di registrazione intercorrenti tra la telefonata delle 21:07 e l'evento esaminato), Regeni giungeva all'appuntamento con il sindacalista Abdallah e, di lì, in compagnia del sindacalista, si avviava verso il caffè teatro di una lunga discussione, raggiunto al minuto 26:35 del filmato, le ore 21:13;

al minuto 18:02 della terza parte della registrazione, dopo 73 minuti e 37 secondi dall'inizio dell'incontro (sono le ore 22:26 del 7.1.2017), il ricercatore italiano, accompagnato alla stazione della metropolitana, lasciava il sindacalista, salutandolo;

al minuto 26:25 della terza porzione di filmato il sindacalista Abdallah effettuava una telefonata all'indirizzo di un soggetto chiamato con l'appellativo di “Ya Basha” richiedendo istruzioni su come disattivare la registrazione.

  Di seguito, secondo l'evoluzione dei dialoghi, si riportano gli elementi in rilievo ricavati dal girato in esame:

   dopo uno scambio di convenevoli, Abdallah apre la conversazione citando il foglietto relativo alla gara, precisando di non aver compreso di cosa si tratti esattamente e di aver compreso sol che ci sono “in ballo” 10.000 sterline;

   Abdallah domanda quale fosse il proprio ruolo nell'ambito di questa gara e si augura che non si tratti di qualcosa di compromettente che potrebbe farlo finire in prigione;

   Abdallah chiede insistentemente informazioni sulla possibilità di ricevere un finanziamento dalla più volte richiamata Fondazione, sulle concrete modalità di ricezione del denaro in argomento, nonché sulle possibilità del relativo impiego;

   Regeni risponde che si tratta di un'idea semplice: una decina di migliaia di sterline da investire in un eventuale progetto consistente nel finanziare un eventuale istituto che sia gestito su base popolare;

   Regeni prosegue precisando come l'anzidetto progetto debba essere realizzato sia da accademici sia da appartenenti alla base/ceto popolare e ad organizzazioni non governative;

   Abdallah gli chiede se quando si riferisce alla parola “accademici” intende riferirsi a Hoda e quando invece si riferisce alla parola “base popolare” intende Abdallah;

   Regeni risponde che lui (Regeni) è l'accademico e Hoda la rappresentante della organizzazione non governativa;

   Abdallah domanda (con la risposta negativa del Regeni) se esistesse la possibilità di distrarre parte del denaro per farne un uso personale, versando in stato di indigenza;

   Regeni più volte sottolinea come sia necessario coinvolgere Hoda Kamel e la sua ONG per veicolare la sovvenzione;

Pag. 135

   Abdallah, facendo riferimento ad una sua precorsa interlocuzione con il Regeni in ordine al possibile incremento del ruolo “sociale” dei sindacati degli ambulanti, propone al suo interlocutore se fosse possibile impiegare il danaro in questione per una generica attività sindacale a sfondo “politico”. Il ricercatore rispondendo negativamente, rappresenta che i soldi servirebbero a promuovere un eventuale progetto “pratico” in favore del sindacato degli ambulanti, lasciando all' Abdallah l'opportunità di formulare ipotesi concrete. Abdallah, pertanto propone una “manifestazione per inneggiare alla libertà” da attuarsi il successivo 25 gennaio ma Regeni vi si oppone eccependo sia questioni di tempo (i fondi sarebbero arrivati il successivo mese di marzo ed il 25 gennaio era quasi alle porte) che ragioni di opportunità. Il sindacalista poi ribadisce precedenti affermazioni del Regeni e che lo avevano colpito, ossia che la libertà inizia dal basso”, con verosimile riferimento ad un ruolo attivo delle classi sociali meno agiate, ed insiste sulla possibilità di organizzare “qualcosa” (manifestazioni, attività ed altro) per il 25 gennaio, con Regeni che sottolinea come ciò non sia nelle sue possibilità ed esorbiti dalla finalità cui potrebbero essere destinati i fondi stranieri;

   Il sindacalista chiede informazioni sulla durata del soggiorno di Regeni in Egitto e su chi sia al corrente della possibilità di ricevere fondi stranieri da impiegare per le necessità dei lavoratori egiziani;

   Regeni, su richiesta dell'Abdallah. si sofferma sul capitalismo, sul colonialismo, sull'economia globale e sul ruolo delle grandi potenze mondiali, con il sindacalista che porta artificiosamente la discussione sui moti “popolari” del 25 gennaio proponendosi come persona capace di convincere e trascinare numerosi ambulanti in eventuali “cambiamenti” proposti dal Regeni che insiste sul punto che cambiamenti del tipo esaminati sono spontanei e non indotti;

   Regeni, sempre provocato palesemente dall'interlocutore, riferisce di ritenere come l'attuale governo egiziano limiti le interlocuzioni tra i sindacati locali e gli omologhi europei e che i cambiamenti nella società derivano o dal popolo (come avvenne in Europa nell'epoca post comunista) o dalla volontà dei rispettivi governi, sebbene quello egiziano sia rigido e non propenso ad evolversi;

   Chiusi i discorsi più “politici” Abdallah chiede a Regeni l'ubicazione della sua abitazione e se frequentasse donne egiziane o straniere. Sul punto, il giovane italiano riferisce inequivocabilmente all'interlocutore di non avere in corso frequentazione con donne egiziane;

   Lasciato il Regeni, il sindacalista telefona verosimilmente ad un ufficiale della polizia egiziana (non se ne evince il nome) chiedendo informazioni su come spegnere l'«apparecchiatura che porta indosso»(231).

  Concludono gli investigatori italiani: «Dalla visione del video emerge chiaramente come il Regeni non abbia proposto in alcun modo di organizzare manifestazioni turbative dell'ordine pubblico o attività di tipo eversivo, sebbene abbia affrontato anche tematiche a sfondo politico, ma in maniera del tutto teorica e generica. Il tenore dei dialoghi non appare Pag. 136minimamente compatibile con le finalità spionistiche del giovane ricercatore italiano ipotizzate in più occasioni dal sindacato egiziano»(232).
  Lasciato Regeni, Abdallah si incammina e durante il tragitto digita sul proprio cellulare e saluta diversi conoscenti lungo la strada. Dal minuto 26.24 al minuto 26.50 Abdallah telefona ad un ufficiale appellandolo «Ya Basha», cioè utilizzando il titolo turco «Pasha» in segno di rispetto. Si presenta come Abdallah e gli chiede la cortesia di farlo contattare da qualcuno per istruirlo sullo spegnimento dell'apparecchiatura che porta addosso.
  Tale contatto è presente nel tabulato del sindacalista in corrispondenza delle ore 22:32:26 del 7.1.2016, in uscita verso l'utenza che consta essere in uso al colonnello Kamal, numerazione chiamata nuovamente dal sindacalista Abdallah tredici minuti dopo la prima telefonata dopo due telefonate originate dai centralini riconducibili alla National Security Agency (caratterizzati dalla radice comune 0020222648***) delle 22:52:19 e 23:27:34.(233)
  Resta il dato storico che «il fuori onda» registrato dal sindacalista costituisce uno dei tasselli cardine dell'episodio in analisi, già intrinsecamente considerevole nella sua gravità poiché, in primis, lascia poco spazio a possibili chiavi di lettura alternative.
  Affermerà, Abdallah, al suo interlocutore «Va bene, allora aspetto qui»: una risposta a chi verosimilmente gli suggerisce di attendere qualcuno che arrivi a recuperare la strumentazione utilizzata per la videoregistrazione.
  Analizziamo, in dettaglio, alcuni brevi passaggi, integralmente riportati, ritenuti di profondo interesse per i fatti in esame.
  In uno di essi, rileva come il Regeni abbia «opposto resistenza» al tentativo di distrarre i fondi della Fondazione proposto dal suo interlocutore a proprio favore. Prova, il Regeni, con tutta la serietà che lo ha sempre contraddistinto, a persuadere il suo interlocutore dai propositi del tutto personali che si era prefigurato, quando Abdallah afferma: «...Giulio, Giulio, un attimo, capisci quello che ti sto chiedendo. Ok, d'accordo, entreranno (i soldi N.d.T.) tramite il Centro. Ho capito. Io, noi come venditori ambulanti, come faremo a prenderli (i soldi N.d.T.) da loro (da quelli del Centro N.d.T.)? che ne sai se quelli se li prendono per sè stessi! ... C'è il rischio che questi centri si trattengano i soldi per sè stessi e non ci entra un soldo a noi. (...) ... Sì, no, ma tu devi sistemarmi la cosa perché ho sentore che il Centro Egiziano può prenderci in giro e non darci nulla...(...) Preferivo lavorare lontano dagli altri, solo tra di noi....(...)»
  Con gli stessi toni pacati e competenti, Regeni suggerisce al sindacalista la soluzione per aggiudicarsi tale sovvenzionamento; impegnarsi nell'individuazione di argomenti culturalmente significativi e presentarli direttamente come sindacato ovvero attraverso il centro facente capo a Hoda Kamel, per perfezionare la richiesta di finanziamento.
  Difronte all'affermazione diretta e senza scrupoli dell'interlocutore: «Ma non c'è una scappatoia per utilizzarli a fini personali?», Regeni risponde: «... Senti, Mohammed, questi soldi non sono i miei. Io Pag. 137non posso utilizzarli a mio piacimento perché sono un accademico e non posso comunicare all'istituto britannico che intendo usare i soldi per fini personali. Si creerebbe un grande problema per i britannici! ... Sì ma questo va al di là delle mie possibilità personali! Io non saprei proprio come fare per risolvere questo problema! Mi spiace, ma questo è quanto!... (...) io non ho l'autorità» ... (...).
  Insiste Regeni per evidenziare alla controparte la sua posizione di «semplice» ricercatore e di auspicare che la categoria da lui sostenuta negli studi di ricerca, quella degli ambulanti, possa aggiudicarsi il finanziamento nella sua unica forma: quella ufficiale: «... Eh lo so. Capisco. Io ... col mio tempo (frase senza senso, detta in un arabo scorretto e quindi incomprensibile N.d.T.). Non ho nessuna autorità. Io sono solamente uno straniero in Egitto. Sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca – progetto. Io, Giulio, il mio interesse è questo. E mi interessa che voi come venditori ambulanti fruiate del denaro in modo ufficiale, come previsto dal progetto e dai britannici. Questo è l'importante per me. ...»
  Ed aggiunge, nel vano tentativo del suo interlocutore di muoverlo a pietà adducendo le avverse condizioni economiche in cui versa: «... Sì ma questo va al di là delle mie possibilità personali! Io non saprei proprio come fare per risolvere questo problema! Mi spiace, ma questo è quanto! ....
  In conclusione, Regeni continua a prospettare, nel girato in analisi, lo sviluppo di proposte che attengano alla questione sindacale, buone idee che possano essere sviluppate e presentate come motore propulsore del progetto discusso nell'incontro di quel giorno: «... qual'è la cosa più importante per te per quanto riguarda il sindacato e quali sono i bisogni del sindacato». «Voglio idee a partire da tale questione, la più importante per noi, e si potranno sviluppare le idee», dice ancora Regeni.
  Come sopra accennato, copia della videoregistrazione consegnata nel summit di settembre 2016 a Roma, confermava alcune delle circostanze riferite dal sindacalista nel verbale del 10 maggio smentendo, al contempo, la versione dei fatti offerta dalla National Security Agency.
  «Avvenuto l'incontro con Regeni, e conclusa la registrazione, il sindacalista affermava (nel verbale del 10 maggio 2016) di aver contattato ancora una volta il Magg. Sharif che lo faceva andare presso la sede della National Security Agency dove, giunto, gli veniva tolta l'apparecchiatura per la registrazione».
  Nelle dichiarazioni rese da Hoda Kamel, nel corso del proprio esame dinnanzi alla Procura della Repubblica romana, il 10 dicembre 2016, riportando le impressioni che aveva ricevuto Regeni allorquando aveva proposto a Said un progetto promosso dalla Antipode Foundation riferiva: «... è mia opinione che l'Abdallah avesse capito che Giulio Regeni non gli avrebbe più dato soldi, non escludendo anche che lui glielo possa aver detto direttamente, e che per tale motivo si fosse vendicato, denunciandolo come spia alla National Security Agency...».
  Francesco De Lellis, nel corso della sua deposizione del 3 febbraio 2020, con riferimento al finanziamento de quo, conferma la possibile interpretazione distorta del sussidio, per quanto apprezzabile per la profondità degli intenti: «... Giulio Regeni non faceva mistero delle sue Pag. 138idee politiche, almeno tra noi amici, non aveva difficoltà a parlare dell'ideologia che era sua propria. Voglio precisare, però che lui non era un militante politico. Aveva certamente quei principi ideologici ma non era certo uno che andava in giro a parlare delle sue idee politiche... Ci eravamo confrontati sull'idea di poter contribuire allo sviluppo del movimento sindacale egiziano; ne parlammo dopo la riunione dell'11 dicembre 2015, ma fu una conversazione a caldo, fatta in quel momento e che non ha dato corso ad alcun tipo di approfondimento... non abbiamo mai parlato della fondazione Antipode; non sapevo di questa roba e se avessi saputo che avesse intenzione di parlare della possibilità di un finanziamento, glielo avremmo sconsigliato. Non era prudente presentarsi in giro con idee che facessero riferimento a finanziamenti di vario tipo, anzi, la questione delle sovvenzioni che vengono dall'estero è un qualcosa che il regime di Al Sisi guarda con estrema attenzione perché è guardando a questo tipo di sussidi che il regime accusa le organizzazioni per la promozione dei diritti umani, screditandole...»(234).
  Nel già richiamato Memorandum(235), in merito al ruolo del sindacalista incaricato dall'ufficiale Sherif Magdi di controllare la vittima, la Procura egiziana afferma che, in qualità di responsabile del settore dei Sindacati alla National Security, che ha come compito la raccolta delle informazioni su quanto può minacciare la sicurezza e stabilità del Paese, l'ufficiale poteva adottare misure nei confronti «dei rischi correlati» e, in tal senso, si giustificano le attività investigativa finalizzate a appurare la veridicità delle notizie e il comportamento del segnalato. Di conseguenza, incaricare l'informatore di comunicare all'ufficiale tutte le discussioni con la vittima e la natura della proposta fatta da quest'ultimo su un presunto workshop, «è un'azione legale in quanto avveniva in luoghi pubblici frequentati dalla vittima».
  Secondo la procura egiziana, la suddetta registrazione è avvenuta nel contesto delle indagini non negate dalla National Security sul comportamento della vittima ritenuta sospetta e, di conseguenza, le indagini e la registrazione in argomento – ammessa la riconducibilità alla National Security«non possono essere ritenute elemento di sospetto nei confronti dell'ufficiale perché la negazione del fatto da parte di quest'ultimo non può essere ammessa per sostenere l'accusa nei suoi confronti».
  Nel già richiamato Memorandum viene sancito: «che le indagini della Procura Generale hanno precisato che nonostante il comportamento non consono, la vittima non era legata a nessun gruppo o organizzazione che rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale dello Stato egiziano, il suo regime e la sua stabilità» e, ancora, «... le indagini hanno sottolineato anche che la vittima contattava molti cittadini per la sua ricerca tra i quali membri dei sindacati autonomi e appartenenti a varie correnti politiche e freelancers. La vittima ha anche incontrato molti venditori ambulanti al Cairo e Giza e frequentava i luoghi di raduno nella stazione Ahmed Helmy a Ramsis e nei pressi di piazza Roxy a Heliopolis. Le indagini non hanno precisato nessuna informazione sull'adesione della vittima a gruppi o organizzazioni le cui attività rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale egiziana, Pag. 139non hanno nemmeno sottolineato che aveva contattato gruppi del genere e non hanno rivelato le circostanze di uccisione della vittima...».
  Purtroppo, a detta degli inquirenti egiziani, le indagini condotte non sono state formalizzate in alcun atto giudiziario, malgrado siano state insistentemente richieste e divenute parte integrante di una Rogatoria proposta al collaterale egiziano. La risposta pervenuta, sic et simpliciter, ha argomentato che gli atti di riferimento sono stati eliminati poiché «era emerso che la sua (quella della vittima, ndr) attività non minacciava la sicurezza nazionale egiziana».
  In essi, con elevata probabilità, erano contenute tutte le informazioni acquisite nel lungo periodo di monitoraggio nei confronti della vittima ed il contestuale «via libera» alle future azioni propedeutiche al rapimento del 25 gennaio successivo. Si sottolinea, infine, la decisione, partecipata tra le autorità egiziane, di eliminare ogni possibile traccia sugli indizi raccolti, quale cifra dell'atteggiamento adottato per insabbiare la ricerca della verità.

4. LA SCOMPARSA NEL V ANNIVERSARIO DELLA RIVOLTA DI PIAZZA TAHRIR

4.1 Significato del giorno della scomparsa e sua rilevanza politica in Egitto

  Il significato della data del 25 gennaio nell'Egitto di oggi, e ancor di più nell'Egitto del 2016, può essere analizzato su diversi piani di lettura. Un primo piano riguarda il significato che questa data ha avuto per il Paese nel suo insieme e in particolare per quello che in seguito al colpo di stato del luglio 2013 è diventato il gruppo dominante, sostituendosi sia al breve dominio della Fratellanza musulmana, sia a parte delle figure di vertice che avevano detenuto il potere durante l'era Mubarak. Un secondo piano invece riguarda il significato che essa ha avuto per quella che oggi può essere definita l'opposizione politica all'attuale regime, ovvero quell'ampio spettro di forze politiche, oggi perlopiù marginalizzate e bandite dall'attività politica legale, che avevano animato il periodo di transizione inaugurato a inizio 2011 e che si è concluso bruscamente nel luglio 2013. Un terzo piano, infine, può essere individuato nel significato che tale data aveva nel gennaio 2016 come momento simbolico in grado di generare pericolosi episodi di instabilità all'interno di un regime politico ancora in maturazione a pochi anni dal colpo di stato del 2013.
  Per quanto riguarda il primo piano di lettura citato, la data del 25 gennaio ha rappresentato, e rappresenta tuttora, un importante momento di svolta per l'attuale gruppo di potere, composto principalmente dai vertici delle Forze Armate. Come già analizzato nei capitoli precedenti, infatti, la rottura dello status quo politico rappresentata dal 25 gennaio è emersa come un'occasione senza precedenti per l'Esercito di riaffermare la propria supremazia sullo Stato egiziano. La presa del potere da parte del Consiglio Supremo delle Forze Armate durante la fase di transizione apertasi nel febbraio 2011 sancisce quindi il primo passo verso una inversione di tendenza pluridecennale, che aveva visto le Forze Armate assumere gradualmente un ruolo sempre meno cruciale all'interno dello Stato egiziano. Pag. 140
  Se, però, la data del 25 gennaio 2011 ha indubbiamente segnato una svolta positiva per l'Esercito, essa è risultata in una catastrofica perdita di potere e influenza per altri comparti dello Stato, a cominciare dagli apparati di sicurezza legati al Ministero dell'Intero, come Polizia e la State Security Investigations. Queste ultime, infatti, escono dalla rivolta del 2011 e dalla successiva fase di transizione estremamente ridimensionate. Un destino analogo sarà quello dei gruppi politico-economici legati al Partito Democratico Nazionale, dissolto d'imperio durante la fase di transizione e mai più riformato. Il ridimensionamento in termini di influenza e la frammentazione delle élites civili dominanti sotto Mubarak sarà infatti un tratto distintivo del regime instauratosi a seguito del colpo di stato del luglio 2013.
  La svolta positiva per le Forze Armate rappresentata dalla rivolta del 2011 non è però mai emersa come tratto distintivo della narrativa con cui tale episodio è diventato noto ed esaltato successivamente. Le grandi manifestazioni del gennaio-febbraio 2011, infatti, sono state presentate principalmente con riferimento alle istanze popolari che durante la rivolta invocavano maggiore giustizia sociale e la democratizzazione di un sistema considerato chiuso e corrotto. Istanze che, quindi, prevedevano un cambiamento radicale nella struttura dello Stato e la messa in discussione dei ruoli privilegiati detenuti fino a quel punto dai gruppi sociali dominanti. Durante la fase di transizione seguita alle dimissioni di Mubarak si è assistito alla coagulazione, lenta e solo parzialmente riuscita, di forze politiche intenzionate a rappresentare tali istanze, le quali si sono trovate rapidamente a dover affrontare da una posizione di debolezza il nuovo asse di alleanza tra Forze Armate e Fratellanza musulmana. Quest'ultima, da parte sua, per anni aveva anch'essa espresso un programma politico volto a cambiare radicalmente gli assetti tradizionali dello Stato egiziano, anche se con connotazioni in alcuni ambiti sostanzialmente diverse rispetto ai movimenti più laici che avevano preso parte alla rivolta. Nonostante questo, però, è possibile affermare che la narrazione prevalente legata alla data del 25 gennaio si sia da subito legata a richieste di cambiamento radicale invocate sia dai numerosi movimenti laici che vi hanno preso parte sia dalla Fratellanza Musulmana, che nei decenni precedenti aveva incarnato, con alterni successi, la principale forza di opposizione al regime al potere.
  In tal senso, quindi, è possibile affermare che il significato della data del 25 gennaio nelle narrazioni più popolari sia legato a una richiesta radicale di cambiamento e profonda ristrutturazione degli equilibri di potere all'interno dello Stato egiziano, istanze contrarie agli interessi di tutti gli apparati dominanti dello Stato, incluso l'Esercito. Non stupisce quindi come quest'ultimo, nonostante sia stato forse il maggiore beneficiario dei cambiamenti generati da quella rivolta, abbia da subito tentato di ridimensionarne – se non di cancellarne – il ricordo sostituendolo con quello delle grandi manifestazioni del 30 giugno 2013 contro la presidenza Morsi, che hanno aperto la strada al golpe militare dei giorni successivi.
  Infine, è utile analizzare un terzo piano di lettura della data del 25 gennaio, contestualizzandolo nel preciso clima politico di inizio 2016. A meno di tre anni dalla presa del potere dei militari, infatti, da oltre un anno aveva cominciato a emergere in modo lampante come il Pag. 141consolidamento politico in corso stesse andando decisamente nella direzione di una marginalizzazione delle forze politiche protagoniste della rivolta del 2011 per fare posto a un sistema quasi esclusivamente dominato dall'Esercito. Tale evoluzione aveva deluso i molti che avevano apprezzato i primi atti inclusivi messi in atto dalle Forze Armate dopo il golpe del 2013, quando a guidare la nuova fase di transizione era stato posto un governo in cui partecipavano gran parte delle forze laiche che avevano dato vita prima alla rivolta del 2011 e poi all'opposizione che aveva tentato di contrastare il dominio della Fratellanza Musulmana dopo l'elezione di Morsi. Tale stagione di apertura politica, però, aveva avuto vita breve. Con l'elezione di Al-Sisi a presidente nel 2014 e la progressiva messa al bando di gran parte delle attività politiche e della società civile egiziana nel suo complesso, era infatti emersa in modo lampante l'intenzione del nuovo regime di marginalizzare nuovamente le frange politiche più democratiche e liberali e di rinnovare – e intensificare – gli strumenti repressivi tipici dell'era Mubarak. A ciò si era accompagnato l'inizio dell'ondata di arresti arbitrati di oppositori – o presunti tali – che dura ancora oggi. Per questo l'inizio del 2016 rappresenta una fase delicata per il nuovo regime, appena uscito dalla difficile organizzazione delle sue prime elezioni legislative e da poco più di un anno alle prese con la marginalizzazione e la repressione delle forze politiche che avevano animato la rivolta del 2011. Se negli anni successivi la massiccia campagna repressiva porterà al sostanziale annichilimento delle principali tra queste organizzazioni, nel 2016 ci si trova ancora in una fase incerta di tale campagna, in cui contraccolpi di nuove proteste e campagne di rivolta sono ancora possibili, soprattutto in concomitanza di una data così simbolica come il 25 gennaio. Non sorprende, quindi, il massiccio apparato di sicurezza messo in campo per la sorveglianza dell'intera città del Cairo in quella data, che ha con ogni probabilità reso più semplice l'arresto illegale in un luogo pubblico di uno straniero come Giulio Regeni.

4.2 Cronaca della giornata

  Il giorno del quinto anniversario della rivolta egiziana del 2011, cosiddetta «protesta di piazza Tahrir», il 25 gennaio del 2016, Giulio Regeni lo trascorre interamente nella sua abitazione al numero 8 di Shari Yanboo nel quartiere di El Dokki. Alle 11.20 il coinquilino e avvocato El Sayaad esce per andare a lavoro e nell'appartamento restano la coinquilina tedesca e Regeni, che si mette al computer. Alle 11.58 – annota la Procura della Repubblica di Roma(236) – Regeni svolge una ricerca su Google. Tra le 12.45 e le 13.20 consulta alcuni profili Facebook. Alle ore 13.53 il ricercatore invia un sms al professor Gennaro Gervasio: «Come va, piani per oggi?». I due si erano incontrati in un'ultima precedente occasione, con altri amici, la sera del 17 gennaio per vedere al cinema un film sperimentale concernente gli operai delle fabbriche di Helwan intitolato «Out on the street». Il 24 gennaio Giulio Regeni avrebbe dovuto, grazie ad Hoda Kamel, incontrare assieme a Gennaro Gervasio l'ex ministro e fondatore del sindacato Pag. 142 degli esattori fiscali Kamal Abu Eita. Regeni aveva preannunciato l'incontro al professor Gervasio e tuttavia il 24 mattina quell'incontro era stato posticipato, non casualmente, a dopo il 25 gennaio per cui Regeni avvisò Gervasio della variazione. Si può supporre – come lo stesso Gervasio farà in audizione presso questa Commissione – che Regeni avesse desiderio di confrontarsi con il professore, come spesso aveva fatto in passato, relativamente ai progressi della sua ricerca di dottorato sui sindacati indipendenti.
  Consapevole della particolare data del 25 gennaio e della mobilitazione delle forze di polizia che da giorni avevano intensificato i controlli per timore di manifestazioni e proteste contro il governo, alle ore 14.46 Gennaro Gervasio risponde al messaggio di Regeni: «Hassanein(237) sta meglio e se è tranquillo vorrei andare da lui per il compleanno; ti aggiorno dopo aver fatto un giretto più tardi». Intorno alle ore 16.00 Giulio Regeni torna al computer su cui lavora la gran parte del pomeriggio; accede ad alcuni profili Facebook e poi lavora ancora alla versione inglese dell'articolo contenente la cronaca dalla riunione dei sindacati indipendenti dell'11 dicembre 2015 al Cairo sul file word «CTUWS_English_Journalistic» sino alle ore 18.44 quando «salva» il file. Nel tardo pomeriggio, alle 18.52, Regeni invia un sms ad un amico ed economista egiziano – Amr Assad(238) – che non avrà mai risposta: «Ciao professore c'è qualcosa di organizzato per il compleanno del dr. Hassanein?». Dopo poco, alle ore 19.19 mentre il ricercatore naviga su Youtube, Gervasio invia un sms a Regeni nel quale preannuncia la sua intenzione di verificare le condizioni per una uscita serale: «Sto andando a fare perlustrazione e poi ti dico», perché fortemente motivato a festeggiare l'anziano docente a cui era molto legato perché era stato una guida per i suoi studi sulla sinistra egiziana. Dopo poco, alle ore 19.23, la risposta di Regeni manifesta il suo interesse ad accompagnare il connazionale: «ottimo, sarei per salutare il prof. se fosse possibile». Alle ore 19.38 Giulio Regeni e Gennaro Gervasio si accordano telefonicamente per incontrarsi di lì a poco, alle ore 20.00. Il ricercatore in questa conversazione conferma al professor Gervasio l'intenzione di uscire di casa nell'immediato per raggiungere quindi piazza Bab el-Louq, abituale luogo degli appuntamenti tra i due. Da lì avrebbero dovuto raggiungere Hassanein Kishk nella sua casa. Gervasio aveva avuto da Regeni al telefono la chiara indicazione di «venticinque minuti» come il tempo che il giovane avrebbe impiegato per arrivare al «solito posto», davanti al ristorante «Gad» o al bar «Horrea». Alle 19.41 il giovane ricercatore invia l'ultimo messaggio alla fidanzata tramite Facebook per annunciarle che stava uscendo per andare con Gennaro Gervasio a trovare il professore da festeggiare. Alle 19.51 è accertato l'ultimo aggancio dello smartphone di Regeni (una connessione internet) ad un ripetitore della rete egiziana nella stazione metro di Dokki, successiva a quella di El-Bohoos in direzione Pag. 143della fermata Naguib. Il ripetitore nr. 1326 installato all'interno della metropolitana di Dokki copre un'area di 700 metri esclusivamente all'interno della stazione. Pertanto Giulio Regeni si sarebbe diretto dalla stazione metro «linea 2» di El-Bohoos, distante poche centinaia di metri dalla sua abitazione, verso la stazione di Mohamed Naguib (fermata successiva a quella di Piazza Tahrir – «Sadat» –, chiusa per motivi precauzionali in concomitanza del citato anniversario della Rivoluzione).
  Trascorsi più di venticinque minuti senza aver visto arrivare l'amico, Gervasio ritiene di muoversi verso la stazione metro di Naguib, dalla quale presumibilmente sarebbe dovuto uscire Regeni, ed avvicinarsi così a lui come aveva già fatto ad ottobre in un'altra occasione nella quale avevano incontrato il professor Kishk. L'intenzione di Gervasio era quella di capire dove fosse il ricercatore e di comunicargli di fermarsi lì in quanto lo stava raggiungendo. Alle 19.59 Gennaro Gervasio invia un sms a Regeni: «mi sono spinto fino a Tahrir. Quando arrivi fa squillo e ci vediamo davanti a Kentucky FC. Sono nell'unico caffè aperto a fianco KFC». Il professor Gervasio spiegherà agli inquirenti italiani: «preferii inviargli un sms perché, soprattutto nel giorno di rimembranza della rivoluzione, volevo evitare che Giulio, in metro, potesse rispondere in italiano al telefono ed attirare attenzioni indesiderate»(239). Alle 20.18 e 20.23 Gennaro Gervasio tenta di chiamare senza successo Giulio Regeni, constatando che il cellulare squillava senza risposta. Alla chiamata di Gervasio delle 20.31 il cellulare del ricercatore risulta spento. Tra le ore 20.00 e le ore 21.00 Regeni si trova, secondo la ricostruzione della Procura della Repubblica di Roma, nel Commissariato di polizia di Dokki.
  Il sostituto procuratore Colaiocco riferisce alla Commissione una testimonianza, ritenuta attendibile e avente riscontri, resa da quello che viene definito «teste Delta» dagli inquirenti.(240) «Il teste Delta – afferma il PM – ci riferiva che il 25 gennaio, mentre lui era alla stazione di polizia di Dokki e «potevano essere le 20 o massimo le 21, è arrivata una persona, che avrà avuto tra i 27 e i 28 anni, aveva una barba corta, indossava un pullover verosimilmente tra il blu e il grigio e, se non mi ricordo male, portava una camicia sotto, si esprimeva in italiano e ha chiesto un avvocato e sono sicuro che si trattasse di Giulio Regeni, anche se nelle foto che ho visto in internet aveva la barba più lunga». Continua il teste Delta: «Mentre ero alla stazione di Dokki, ho visto arrivare il ragazzo che solo successivamente ho riconosciuto come Giulio Regeni che, mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il consolato. In quel frangente ho visto bene il ragazzo italiano che arrivava con quattro persone in abiti civili. Contestualmente ho visto uno di questi quattro soggetti con un telefono in mano». Secondo il racconto del teste, successivamente Regeni è stato fatto salire su un'auto egiziana che corrisponde a una FIAT 123 italiana, è stato bendato e condotto in un posto che si chiama Lazougly. «Uno dei poliziotti che si trovavano lì veniva chiamato Sharif. Un altro si chiamava Mohamed, ma non so se è il vero nome. Regeni chiedeva un avvocato e un altro arrestato che provava ad aiutarlo ricevette una Pag. 144gomitata al volto da un poliziotto, che disse che il ragazzo italiano parlava arabo». – Continua il magistrato: «mi soffermo solo su quest'ultimo particolare, sul fatto che la polizia sapesse che Regeni parlava arabo, pur esprimendosi lui in quel momento e in quella sera in lingua italiana [...], questa era una circostanza che non poteva essere nota ai poliziotti della stazione di Dokki se non fossero stati a conoscenza di quel video [il video del 7 gennaio 2016 registrato dal sindacalista Mohamed Abdallah], visto che lui secondo il testimone quella sera si esprimeva in italiano».
  Alle ore 21.00 Gennaro Gervasio raggiunge la casa del professore Hassanein Kishk con il quale, considerato il ritardo del ricercatore, si era consultato telefonicamente per stabilire cosa fare e se recarsi presso la sua abitazione senza attenderlo ulteriormente. Ascoltato da questa Commissione, Gervasio rievocherà le rassicurazioni telefoniche del professor Kishk il quale suggerì di raggiungerlo comunque a casa e ipotizzò che nell'eventuale successiva telefonata di Regeni avrebbero potuto, come in uso al Cairo, spiegare telefonicamente ad un tassista – che ipotizzavano avrebbe potuto essere con lui – come raggiungere l'abitazione. Gervasio tuttavia, conoscendo la breve distanza che Regeni avrebbe dovuto e potuto percorrere in metro e constatando anche l'assenza di traffico al Cairo in quel momento (nell'improbabile ipotesi che Regeni avesse optato per utilizzare un taxi), preoccupato per l'anomalo ritardo dello studente con il quale si era accordato per incontrarsi nell'arco di soli venticinque minuti dall'ultima telefonata e per la concomitanza di questa singolarità nel giorno dell'anniversario della rivolta di piazza Tahrir – in una città «militarizzata» –, cerca di rintracciare Regeni tramite i comuni conoscenti (Noura Wahby, Francesco De Lellis, Amr Assad) una volta giunto in casa del professore egiziano. Teme infatti, dai primi momenti, per le sorti del giovane ricercatore, generalmente molto puntuale, e contatta alle 22.44 Noura Medhat Mohamed Wahby tramite Facebook per sapere se abbia notizie di Regeni. Inizia in quel momento un'intensa attività di ricerca della quale più compiutamente si tratterà oltre. Nondimeno va osservato che Gennaro Gervasio, attraverso Noura Wahby, riesce ad ottenere dal coinquilino di Giulio Regeni – l'avvocato Mohammed El Sayed – la conferma del fatto che il ricercatore non fosse in casa. Emerge altresì dalle ricostruzioni svolte da Gervasio che la medesima Noura Wahby apparve molto allarmata e paventò immediatamente un fermo di polizia, tanto da proporsi in prima persona per attivare suoi conoscenti in modo da verificare se Regeni fosse trattenuto dalle forze dell'ordine. Gervasio ritenne plausibile l'ipotesi di un fermo di polizia al punto di condividere con Wahby il fatto di conoscere un avvocato esperto di sparizioni forzate e persone scomparse, Malek Adly(241), che infatti contatterà nel pomeriggio del giorno seguente. Nella notte del 25 gennaio 2016, in conclusione, Gennaro Gervasio ritiene di elevare il livello dell'attenzione e segnala alle ore 23.16, con un messaggio Pag. 145indirizzato al cellulare dell'ambasciatore italiano in Egitto Maurizio Massari, la scomparsa di Regeni. Nel messaggio, Gervasio esprimeva all'ambasciatore la sua preoccupazione per le sorti del ricercatore italiano che inspiegabilmente aveva mancato un appuntamento – confermato pochi minuti prima dell'incontro – risultando improvvisamente irreperibile. Tra le ore 23.21 e le ore 23.34 quindi, dopo sms e chiamate telefoniche tra Gervasio e l'ambasciatore Massari, la struttura diplomatica è avvertita della scomparsa del giovane connazionale e ne avvia immediatamente le ricerche.

4.2.1 Le cautele e la consapevolezza di Giulio Regeni relativamente al 25 gennaio 2016

  Il significato della ricorrenza, i timori del governo relativamente a possibili disordini e il dispositivo di controllo predisposto dalle forze di polizia egiziane già dai giorni precedenti erano noti a Regeni che ben conosceva, da ricercatore di scienze politiche e sociali, l'Egitto. La prudenza del dottorando e le cautele generalmente adottate sin dal suo arrivo in Egitto possono ricondursi alla ferma volontà di non incorrere in alcuna difficoltà che potesse interrompere il suo lavoro di ricerca e quindi, di fatto, il suo percorso accademico. Le ricostruzioni degli auditi De Lellis e Gervasio tratteggiano inoltre una diffusa percezione all'interno della comunità dei ricercatori – ed anche dei giornalisti – occidentali in Egitto dopo il 2013 relativa al respingimento o al rimpatrio, in quanto persona non gradita, come il peggiore degli scenari possibili. Diffusamente si credeva che, per un occidentale che trattasse temi di ricerca non graditi al governo, a fortiori se non afferenti alla Fratellanza musulmana o all'Islam politico, «il massimo che poteva accadere» si limitasse ad una espulsione dal Paese. Cosa che tuttavia dalla prospettiva accademica è da ritenersi un grave problema per un ricercatore perché significa cambiare tesi, cambiare programma e probabilmente anche relatore. In generale, le ragioni delle cautele di Regeni sono quindi da ricondursi alla volontà di portare a termine e con profitto i suoi studi dottorali.
  Giulio Regeni, come emerge dalle audizioni di questa Commissione e dalle indagini degli investigatori e dei magistrati italiani, era molto prudente ed evitava di esporsi a pericoli derivanti dal contesto politico e sociale del Paese.(242) «Infatti, in quei giorni – afferma lo zio del ricercatore innanzi agli investigatori italiani – in coincidenza della celebrazione della primavera araba, so che aveva fatto delle scorte alimentari proprio per non dover uscire da casa. Mi meraviglio, considerata la sua prudenza e le raccomandazioni ricevute dalla madre e dalla ragazza, che proprio la sera del 25 gennaio 2016 Giulio Regeni fosse uscito».(243) Da dichiarazioni concordanti di parenti (come quella testé riportata), amici e conoscenti del ricercatore è stato possibile Pag. 146ricostruire la cautela adottata generalmente dal ricercatore per non trovarsi coinvolto in eventuali manifestazioni collettive e problemi legati all'ordine pubblico o in situazioni di rischio concernenti la criminalità comune nonché, in ultimo, in campagne di repressione autoritaria «randomica», come egli stesso risulta che le considerasse. Giulio Regeni adottava delle cautele quotidiane perché si premurava di non rischiare un arresto o un'espulsione dal Paese al fine di non mettere a rischio la riuscita della sua ricerca, consapevole dell'atteggiamento che il governo e le autorità di polizia avevano adottato in Egitto.
  «Vi era comunque prudenza e attenzione nei movimenti in quanto la pressione del regime è evidente [...]. Rispetto ad altri movimenti come quello religioso fondamentalista islamico o i gruppi giovanili di vario tipo, che sono oggetto di grande attenzione da parte del regime, il mondo sindacale, anche per il fatto di riguardare il mondo del lavoro e quindi una gran massa di persone, ci è sempre sembrato meno rischioso dei primi due. Ciò anche se eravamo consapevoli del fatto che il regime nel 2011 era caduto a seguito dei reiterati scioperi e che l'assemblea sindacale dell'11 dicembre poteva segnare la nascita di una azione sindacale più incisiva».(244) Nelle dichiarazioni rese nel febbraio 2016 all'autorità giudiziaria, Francesco De Lellis ricostruisce come nell'assemblea sindacale dell'11 dicembre Regeni e De Lellis avevano avuto modo di incontrare alcuni esponenti del sindacato degli insegnanti il quale, sebbene non strettamente legato ai movimenti oggetto di ricerca dei due dottorandi, avrebbe dato modo mediante qualche incontro successivo di raccogliere le analisi e le impressioni sullo sviluppo sindacale più in generale e le dinamiche interne alle federazioni. I due ricercatori pertanto nei giorni precedenti la data del 25 gennaio riuscirono a svolgere due incontri: il primo con una rappresentante locale del sindacato degli insegnanti e l'altro con un quadro di livello più alto, della stessa organizzazione. Entrambi si svolsero in un ristorante del centro nei pressi della sinagoga del Cairo.
  Giulio Regeni aveva sempre con sé i documenti, il portafoglio e il cellulare quando usciva di casa. «Era molto attento e prudente e consapevole della situazione nella quale doveva agire; ciò era valido sempre a Il Cairo ma in particolare nei giorni di fine gennaio».(245) Regeni, ricorderà De Lellis, era determinato a svolgere la sua ricerca e «non era uno sprovveduto». La consapevolezza del ricercatore della necessità di adottare precauzioni in un contesto difficile quale è quello dell'Egitto traspare nella sua pienezza dalle parole della fidanzata ucraina agli investigatori italiani: «Giulio Regeni era preoccupato per la situazione in generale e portava sempre i documenti con sé». Afferma ancora icasticamente la ragazza: «non ricordo se nel periodo precedente o successivo alle festività natalizie, mi ha raccontato che era salito a bordo di un taxi e l'autista gli aveva chiesto di cosa si occupasse. Giulio Regeni ha risposto che studiava arabo, ma l'autista gli ha risposto che era una spia. Questo episodio lo aveva colpito. Giulio Regeni conosceva bene la situazione in Egitto ed era consapevole della possibilità che si potessero verificare tumulti in occasione della ricorrenza Pag. 147 del 25 gennaio. Tra l'altro, per non uscire troppo spesso, era solito rifornirsi di cibo ed alimenti».(246)
  In conclusione per comprendere le intenzioni e i programmi del ricercatore relativamente al giorno della scomparsa va richiamata una conversazione avvenuta proprio il 25 gennaio 2016 – alle ore 15.45 locali tramite chat «Messenger» – tra Regeni e la sua fidanzata in cui il ricercatore l'informava di aver ricevuto l'invito da parte del coinquilino Mohamed El Sayyad per andare a correre insieme. Nella chat Regeni fa menzione di aver declinato l'invito in quanto quella giornata risultava a suo giudizio piuttosto fredda(247) e pertanto manifestava l'intenzione di restare in casa a bere del tè e a leggere un libro.(248) Sebbene quest'ultimo elemento non sia riconducibile direttamente alle cautele adottate dal ricercatore e alla sua consapevolezza relativamente al significato della data del 25 gennaio, la combinazione di questo con quanto citato in precedenza contribuisce significativamente a ricostruire la cronaca di quella giornata e dimostra come il ricercatore avesse in animo di trattenersi in casa e che l'iniziativa di uscire in serata sia stata assunta in modo estemporaneo e non programmato e sia stata autodeterminata dallo stesso Regeni, molto probabilmente ansioso di rivedere il professor Gervasio per aggiornarlo sull'andamento delle sue ricerche. Sul piano logico, tale circostanza porta a considerare una probabile attività di osservazione costante del giovane ricercatore da parte degli apparati di sicurezza che poi repentinamente hanno agito al momento dell'uscita non prevista di Regeni.(249) Quantunque per converso si possa finanche ipotizzare – ma al momento non dimostrare – che la proposta di uscire per andare a correre fosse parte di una pianificazione più ampia in danno a Regeni, con conseguente aggravio della posizione di corresponsabilità del coinquilino El Sayyad nella vicenda e conseguenti effetti e valutazioni in merito alla dinamica del sequestro affrontata in altri capitoli della presente relazione.

4.3 Riflessioni e osservazioni relative al clima securitario presente al Cairo nel giorno della scomparsa

  «In una Cairo in cui erano state interrotte tutte le attività lavorative per tutta la giornata, in una città blindata e piena di poliziotti e di militari dell'esercito, in una zona quella centrale, quella di piazza Tahrir, dove la presenza era particolarmente significativa, ci possa essere stato qualcuno che abbia posto in essere delle attività criminose in danno di Pag. 148Giulio Regeni, senza che nessuno della National security o dell'esercito se ne accorgesse, rimane francamente piuttosto difficile».(250) «La sera del 25 gennaio, come noto, era l'anniversario della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011, data particolarissima al Cairo. Le testimonianze acquisite ci descrivono una situazione di una città completamente bloccata, di una città controllata non solo nei punti nevralgici, come piazza Tahrir, ma in ogni strada, a ogni accesso alle metropolitane. Ogni snodo della città era presidiato dai militari dell'esercito e della polizia. Questo conferma le circostanze di tempo e di luogo. Non si è trattato di un'apprensione occasionale, ma si è trattato di un'apprensione da parte di chi evidentemente controllava la città, essendo assolutamente inimmaginabile che quella sera un qualche criminale o una qualche banda criminale potesse agire in punti e snodi così nevralgici della città stessa, come la metropolitana».(251)
  Così il sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma Sergio Colaiocco rappresenta, in audizione presso questa Commissione parlamentare, il clima securitario che era presente al Cairo quel 25 gennaio del 2016.
  L'attività di inchiesta di questa Commissione ha raccolto dichiarazioni sostanzialmente convergenti di una intensa attività di controllo delle forze di polizia in quei giorni di gennaio al Cairo, sebbene si sia al contempo potuto rilevare, nelle dichiarazioni degli auditi nel merito, allora presenti al Cairo, una relativa assenza di «tensione e nervosismo» nella giornata stessa. Soprattutto nei giorni che hanno preceduto l'anniversario della rivoluzione, è certo tuttavia che il clima repressivo si era percettibilmente inasprito.
  Le affermazioni raccolte dalla Commissione dagli auditi nel merito restituiscono un'attività di controllo dispiegata nelle settimane precedenti, comprendente incursioni in numerosi appartamenti nei quartieri centrali e diverse retate e arresti «di persone sospette» che le autorità non avevano alcuna remora a dichiarare sulla stampa di aver compiuto. Nei giorni immediatamente precedenti il 25 si erano anche diffuse voci di alcuni stranieri arrestati e poi espulsi, perché ritenuti responsabili di atteggiamenti sovversivi, vagamente definiti. Certamente la presenza di forze di sicurezza in strada era visibilmente più intensa ed era evidente che il regime intendesse evitare mobilitazioni e manifestazioni «di piazza» che potessero celebrare l'anniversario della rivoluzione, approfittando dell'occasione per contestare le autorità, scoraggiando di fatto qualunque iniziativa. La ricostruzione di quei giorni al Cairo fa emergere che la sera del 23 gennaio, in occasione di una festa per il compleanno di Regeni, venne scelto un ristorante popolare in un quartiere periferico, anche perché il centro diventava sempre più militarizzato e molti locali – compreso il caffè frequentato abitualmente dagli italiani – a volte venivano arbitrariamente chiusi per alcuni giorni.
  Ha acquisito questa Commissione come la mattina del 25 gennaio «il quartiere era quasi deserto, come un giorno festivo. La strada principale che portava a piazza Tahrir risultava essere presidiata da diverse pattuglie di polizia. La sera invece, l'atmosfera sembrava relativamente Pag. 149 più serena. Durante tutta la giornata non c'erano stati incidenti significativi al Cairo e nel resto del Paese e per le strade sembrava essere tornata una relativa normalità e si osservava anche un certo movimento di persone. Scongiurato il rischio di grandi manifestazioni, la tensione sembrava essersi allentata e il peggio sembrava passato».
  Relativamente alla sussistenza di una maggiore mobilitazione in generale delle forze di polizia per la data del 25 gennaio 2016, va ricordato come fosse stato indetto un giorno di festa per quella data. Dalle ricostruzioni fornite a questa Commissione si evince che vi era grande prudenza da parte della popolazione, almeno nel centro del Cairo, e che tuttavia «non c'era nessuno stato di emergenza». Il Cairo di quei giorni era una città nella quale vi erano moltissime attività chiuse ma al contempo non sussisteva uno «stato di emergenza». Quella data era comunque considerata un giorno di festa, certamente l'anniversario della rivoluzione ma anche la ex festa della polizia e l'Ambasciata italiana, e le altre rappresentanze diplomatiche, erano aperte. Vicino alla fermata Naguib (quella da cui sarebbe dovuto uscire Giulio Regeni per raggiungere Gervasio) molte persone erano «in fila» presso un famoso chiosco di succhi, uno dei più famosi del Cairo e lo storico locale «Caffè Strand» – nel quale Gervasio si era spostato per chiamare il professor Hassanein Kishk poco dopo le ore 19.10 – era pienissimo.
  Il clima generale del Cairo in quei giorni è descritto anche dall'ambasciatore italiano al Cairo Massari che in audizione riferisce alla Commissione: «il 25 gennaio è in Egitto una data particolare, legata agli eventi del 2011: una data in cui dopo i mutamenti politici nel giugno 2013, alla vigilia e durante ogni anniversario, le autorità egiziane rafforzano le misure di controllo sociale e di ordine pubblico. Regolarmente, in quella data, come all'occasione, in altre circostanze, quando si preannunciano situazioni di potenziale pericolo per i nostri connazionali, l'ambasciata invia alla rete dei connazionali registratisi via sms un warning, cioè un avviso per raccomandare la massima cautela ed evitare luoghi e situazioni potenzialmente pericolosi; cosa che facemmo regolarmente anche alla vigilia di quel giorno».(252)
  Alle parole dell'ambasciatore Massari possono aggiungersi quelle di Davide Bonvicini, già Primo segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo, che in prima persona durante la sua audizione fa stato dell'atmosfera presente quel giorno: «il 25 gennaio rappresenta in Egitto una data particolare, legata agli eventi del 2011, giorno in cui gli egiziani rafforzano pesantemente le misure di controllo sociale, anche sul web, e di ordine pubblico. Ricordo bene le immagini della città quella sera. Stavo rientrando a casa dall'ambasciata in macchina verso le 19.00 e la città era completamente deserta. Nei pochi chilometri che mi separavano dalla mia abitazione si potevano contare numerosi posti di blocco, in particolare intorno a piazza Tahrir. Pochissima gente comune era per strada. Gli unici presenti, e in cospicuo numero, erano gli agenti di sicurezza in divisa o in borghese. Regolarmente in quella data, come in tutte le occasioni di potenziale pericolo per i nostri connazionali, frequenti peraltro in quegli anni, l'Ambasciata inviò un SMS alla rete dei connazionali registrati, un SMS di avviso per raccomandare la Pag. 150massima cautela negli spostamenti e di evitare luoghi e situazioni potenzialmente pericolosi, cosa che facemmo anche il 24 e il 25 gennaio del 2016. Purtroppo Giulio, non essendosi segnalato, non poteva aver ricevuto direttamente il nostro avviso, né sappiamo se sia stato informato da qualcuno dei suoi conoscenti italiani registrati e quindi destinatari dell'avviso».(253)
  L'uscita serale di Regeni nella circostanza dell'anniversario della rivoluzione – pur avvenuta dopo aver accertato il clima di tranquillità e quasi di «scampato pericolo» rispetto ai timori della vigilia – può in ogni caso aver causato un effetto di distorsione della percezione che di Giulio Regeni avevano le forze di sicurezza di un regime preoccupato di mantenere il controllo del potere e che, ai limiti della paranoia, vedeva oppositori e forze destabilizzatrici ovunque dentro e fuori dal Paese. Inoltre, l'anomalo ritardo di Giulio Regeni all'appuntamento serale con Gennaro Gervasio ha destato allarme in quest'ultimo – tale da determinare i suoi messaggi e la telefonata diretta all'ambasciatore italiano – proprio in quanto la coincidenza dell'anomalia nella particolare data del 25 gennaio evocava per Gervasio anche esperienze passate di fermi di polizia ed espulsioni occorse ad altri cittadini italiani come un giornalista e videomaker freelance, fermato dalla polizia egiziana al Cairo proprio un 25 Gennaio – quello del 2014 – mentre svolgeva, nei pressi di piazza Bab el-Louk nel quartiere di West el Balad, molto vicino a piazza Tahrir, delle riprese durante gli scontri di piazza tra i sostenitori del regime militare e alcuni degli oppositori. Il connazionale venne accusato di spionaggio e poi espulso.(254)
  La concomitanza dell'improvvisa scomparsa di Regeni con la data del 25 gennaio è stata, come si vedrà oltre, motivo di maggiore inquietudine anche dell'ambasciatore Massari che ne attivò le ricerche la sera stessa accelerando in qualche misura il «protocollo» ordinario per questi casi, La data del 25 gennaio pertanto sembra aver avuto in termini generali un impatto sulla vicenda sia nella percezione della gravità delle circostanze dell'improvvisa scomparsa, sia nell'attivazione delle ricerche formali ed informali del ricercatore e sia, con tutta probabilità, nella percezione che di Regeni e delle sue attività hanno avuto – di fatto – le forze di sicurezza egiziane, ancorché il giovane italiano fosse estraneo a qualsivoglia azione eversiva o mobilitazione coincidente e correlata all'anniversario della rivoluzione.

5. LA GESTIONE DELLA SCOMPARSA: DA CASO ISOLATO A CASO DIPLOMATICO

5.1 Il campanello d'allarme

  Così l'ambasciatore Massari in audizione presso questa Commissione ricostruisce le sue azioni alla notizia della scomparsa di Giulio Pag. 151Regeni la notte del 25 gennaio: «Venni informato con una telefonata alle 23.21 del professor Gennaro Gervasio, professore di economia presso l'Università britannica del Cairo, con il quale Giulio Regeni aveva appuntamento quella sera stessa. Non conoscevo Giulio, né io personalmente né il resto del personale dell'ambasciata e del consolato, non avendo Giulio Regeni segnalato, come del resto accade con molti nostri connazionali non solo in Egitto, ma un po' in tutto il mondo, presso i nostri uffici la sua presenza al Cairo. [...] Gervasio mi disse, con tono preoccupato, che un suo amico, uno studente ricercatore, Giulio Regeni, era improvvisamente scomparso. Aveva con lui un appuntamento alle 20.00 di quella sera presso un ristorante in centro nei pressi di piazza Tahrir, ma Giulio Regeni non si era presentato all'appuntamento, e vani erano stati i suoi, di Gervasio, numerosi tentativi di contattarlo sul cellulare. [...] A seguito della telefonata di Gervasio, contattai immediatamente il responsabile del nostro ufficio di intelligence in ambasciata chiedendogli di attivare i propri interlocutori egiziani. Mi rispose poco dopo che a seguito di alcune prime verifiche, le controparti locali non avevano alcuna informazione su Giulio Regeni. La mattina del 26 gennaio intervenimmo a più riprese presso le competenti autorità egiziane, reiteratamente attraverso i funzionari responsabili dell'intelligence e anche del Ministero dell'interno in Ambasciata, perché fossero avviate le ricerche e si giungesse quanto prima al ritrovamento del nostro connazionale. Nella giornata del 26, prima che passassero le ventiquattr'ore dalla scomparsa di Giulio, interessai ufficialmente tramite formale nota verbale il Ministero degli esteri egiziano. Al contempo, sollecitai anche il Ministro di Stato egiziano per la produzione militare, Mohamed El-Assar, un mio regolare interlocutore, e conoscenza personale, particolarmente influente e vicino ai vertici militari dell'intelligence. El-Assar mi assicurò di occuparsene personalmente e di informare tempestivamente il Ministro dell'interno, Magdi Abdel Ghaffar, per sensibilizzarlo sulla delicatezza e importanza del caso. Inoltre, informai e chiesi l'intervento anche dell'allora ambasciatore egiziano a Roma, Amr Helmy».(255)
  La sera della scomparsa Gervasio quindi si adopera intensamente con telefonate e SMS nella ricerca di Regeni. Tra le 23.40 e le 00.52 scrive cinque messaggi all'ambasciatore Massari – il quale conferma di aver attivato le sue fonti informali e l'intelligence italiana per la ricerca – e chiama Noura Medhat Wahby la quale tra la mezzanotte e le 3.19 chiama a sua volta Gennaro Gervasio tre volte e gli invia due SMS. Alle 00.31 Gennaro Gervasio contatta Francesco De Lellis. Quest'ultimo confermerà in audizione di aver saputo della scomparsa di Giulio Regeni «nella tarda serata» allorché trovò «un messaggio o una chiamata persa di Gennaro Gervasio». Gervasio aggiorna De Lellis sul fatto che l'Ambasciata era stata già allertata. Alle ore 02.44 del 26 gennaio Noura Medhat Wahby scrive a Gennaro Gervasio: «Ho chiamato tutti gli ospedali del centro e non hanno nessuno. Ho chiamato Dokki e nemmeno c'è nessuno. Attendo notizie dai commissariati di Dokki e El-Agouza. Finisco tutti gli ospedali e ti chiamo». Sostanzialmente la ricerca informale di Regeni è pertanto continuata tutta la notte; la mattina presto del 26 gennaio alle 05.35 Gennaro Gervasio chiama Francesco De Lellis e già alle 9.40 si può attestare una Pag. 152telefonata dell'ambasciatore Massari a Gervasio volta a condividere i reciproci aggiornamenti.
  Nella ricostruzione delle prime reazioni e delle attività intraprese nell'immediatezza della scomparsa dalle persone vicino a Regeni, giova richiamare nei tratti essenziali le comunicazioni scritte via mail che attestano un rapido innalzamento del livello di apprensione e il quasi istantaneo presentimento diffuso di un coinvolgimento delle forze di polizia e di un possibile fermo. Alle ore 10.50 del fuso di Londra del 26 gennaio Noura Wahby scrive una lunga e dettagliata mail alla professoressa Abdelrahman a Cambridge per informarla dell'accaduto.(256) Dopo poco meno di due ore, la docente di Cambridge scrive alla «direzione» del Centre of Development Studies (H.J Chang, P. Nolan, S. Fennel, G.D. Willis) comunicando con urgenza le notizie riguardanti il suo dottorando. Nella mail la professoressa riferisce quanto ha appreso da Noura Wahby e riporta: «Giulio Regeni sta lavorando sui sindacati indipendenti in Egitto e questo mi fa preoccupare del fatto che possa essere stato preso per un interrogatorio dalla polizia. [...] Ho contattato l'ambasciatore italiano al Cairo e lui sta facendo indagini. Giulio Regeni ha lavorato mediante un gruppo che si occupa di diritti umani, con il quale anche io sono in contatto, che opera con i sindacati indipendenti». In conclusione della mail, la Pag. 153supervisor afferma di essere in contatto anche con la tutor di Regeni all'American University del Cairo.(257) Naturalmente a questa mail rispondono Peter Nolan(258) e Shailaja Fennel(259) manifestando preoccupazione, chiedendo di essere tenuti aggiornati e mettendosi a disposizione come Università di Cambridge.
  Poco dopo che la notizia ha raggiunto Cambridge, alle ore 15.13 fuso del Cairo (ore 13.13 di Londra) la professoressa Rabab El-Mahdi scrive a Brian MacDougall, Nathaniel Bowditch, Sherif Sedky, Amr Salama, suoi colleghi dell'AUC. Nella mail si informano tutti che Giulio Regeni, un dottorando di Cambridge ufficialmente affiliato come ricercatore in visita all'AUC, seguito nella sua ricerca da lei, è scomparso dal giorno precedente. Rabab spiega che il giovane doveva incontrare un amico, che non è mai arrivato all'appuntamento e che Il suo cellulare è spento. Rabab continua dicendo che il ragazzo è di nazionalità italiana e che l'ambasciatore italiano Maurizio Massari è stato informato. Scrive di aver inviato una mail anche ad Amr Salama (Rettore AUC) ma che non sa se sia nel Paese. In conclusione della mail, la professoressa chiede di sapere chi può continuare a mantenere i contatti con l'ambasciatore italiano e come s'intende procedere.(260)
  Da quel momento l'American University si attiva nelle ricerche e iniziano alle 15.37 una serie di comunicazioni mail (per condividere qualche informazione di base al momento nota sulla vicenda) che interessano anche il responsabile della sicurezza dell'università, il generale Mohamed Ebeid, coinvolto da Brian MacDougall. Il generale Ebeid alle ore 15.47 (fuso del Cairo) risponde a tutti dicendo di essere in quel momento al telefono con la National Security per sapere dove si trovi Regeni. Aggiunge il generale, concludendo la sua breve mail: «forse è stato arrestato da qualche parte. Vi terrò aggiornati».(261)
  Anche Gervasio entra in contatto in quel pomeriggio con Maha Abdelrahman e con Rabab Al Mahdi, che naturalmente già conosceva in quanto sue colleghe accademiche. Alle 15.51 (ora del Cairo) Gennaro Gervasio scrive alle due docenti una mail in parte in inglese e in parte in arabo. Riferisce di aver detto a Noura Wahby di contattarle e ritiene che lo abbia già fatto.(262) Dopo due minuti Rabab El Mahdi risponde a Gervasio e Abdelrahman dicendo di aver informato l'AUC, che il capo della sicurezza dell'università sta parlando in quel momento con la National Security (che chiama Amn Eldawla come la denominazione del Pag. 154State Security Investigations Service sino al 2011, poi divenuta Homeland Security e successivamente National Security Agency) e che ha anche contattato Maurizio (l'ambasciatore Massari). El Mahdi chiude la mail annunciando ai destinatari una chiamata telefonica entro breve.(263)
  Frattanto – come risulta dalle mail nei server britannici recuperate dagli investigatori italiani attraverso la collaborazione dell'Università di Cambridge – tra le persone coinvolte nello scambio epistolare si inizia a fare strada il tema della denuncia di scomparsa presso le autorità egiziane come raccomandato dall'ambasciata italiana per potersi attivare anche perseguendo le vie ufficiali e più formali. La stessa El Mahdi aggiunge Gervasio al mailing con la direzione dell'AUC e il generale Ebeid suggerendo di far accompagnare il professore italiano da un avvocato dell'AUC per procedere alla segnalazione di scomparsa presso la polizia egiziana.(264) Alle ore 16.12 del Cairo il generale Ebeid risponde che si spera di trovarlo il giorno stesso e rassicura tutti. Naturalmente la preoccupazione per le sorti del ricercatore aumenta con l'avanzare del tempo e in serata – ore 20.44 del Cario – la tutor El Mahdi scrive al generale Ebeid, con in copia tutti gli altri indirizzi dei membri della direzione dell'AUC che hanno seguito la conversazione, sollecitando notizie ed esercitando «pressione» sul generale stesso. La El Mahdi conclude asserendo che sta cercando di «mantenere la cosa tranquilla» dal momento che questa sarebbe una pubblicità negativa per l'AUC, ma che loro necessitano di informazioni.(265)
  Va rilevato che in queste prime fasi dell'emergenza relativa alla scomparsa del ricercatore, in risposta alle mail dei colleghi di Cambridge che chiedono notizie e se debbano agire in qualche modo come università, alle ore 18.43 (orario di Londra) Maha Abdelrahman scrive a Shailaja Fennel, mettendo in copia Peter Nolan, Hj Chang e G.D. Willis (la «direzione» del Centre of Development Studies), per segnalare che la situazione sta diventando molto seria e che al momento le hanno suggerito di tenere Cambridge al di fuori. La Abdelrahman continua scrivendo che l'ambasciata italiana e l'AUC, alla quale Giulio Regeni era affiliato, stanno guidando le ricerche e che i loro avvocati e i contatti diplomatici dovrebbero riuscire ad ottenere qualche risultato. Conclude affermando che tuttavia l'Università di Cambridge potrebbe dover essere coinvolta se le cose si complicassero.(266)
  Nella serata del giorno 26 gennaio, ormai a poco più di 24 ore dalla scomparsa del ricercatore, alle 23.52 (ora del Cairo) Rabab El Mahdi scrive all'ambasciatore Maurizio Massari e a Gennaro Gervasio – e in copia nascosta anche a Maha Abdelrahman – affermando di aver ricevuto un aggiornamento dal generale Ebeid: «il ministero asserisce che Giulio Regeni non è stato arrestato e non è tenuto in alcuna stazione di polizia». Ebeid, riferisce El Mahdi, raccomanda di sporgere denuncia di scomparsa, cosa che lei sostiene di sapere che si stia facendo, e perseguire i canali ufficiali. Ora – esplicita la tutor – è un caso confermato di scomparsa.(267) Pag. 155
  Relativamente alla diffusione della notizia, all'operosità, all'atteggiamento e ai sentimenti manifestati dalla docente Abdelrahman nell'immediatezza degli eventi, è di efficacia un breve riferimento alla mail delle ore 22.36 (fuso di Londra) nella quale la supervisor informa la collega Anne Alexander(268) e due amici giornalisti (Sameh Mikhail, Jack Shenker) che non potrà essere presente alla presentazione del libro del giorno seguente e che ha ricevuto delle cattive notizie in giornata. Abdelrahman racconta della scomparsa del suo dottorando (che non nomina mai nella mail) e aggiunge di essere stata in contatto con l'ambasciatore italiano al Cairo e con la sicurezza dell'AUC in quanto il ragazzo era un ricercatore affiliato presso l'American University del Cairo. La Abdelrahman riferisce che la National Security (che chiama Amn Eldawla, come fatto da Rabab El Mahdi) nega di avere fermato il ragazzo. La professoressa scrive che il giorno seguente avrebbe dovuto organizzare il coinvolgimento dell'università nel caso e forse contattare i media, oltre a continuare a comunicare con quante più persone possibili al Cairo. La docente in ultimo afferma: «Sono molto preoccupata e mi sento estremamente responsabile per lui, soprattutto perché lui non è un caso di alto profilo e temo che possa perdersi («le indagini potrebbero cadere nel dimenticatoio»)».(269)
  Nell'ultima, rilevante, comunicazione di quella giornata, Maha Abdelrahman scrive a Shailaja Fennel ponendo in copia i restanti indirizzi della «direzione» del Centre of Development Studies mettendoli a parte del fatto che l'ambasciatore italiano al Cairo e l'American University del Cairo sono stati informati dalla «State Security» [intende la National Security Agency] che non risulta in alcun luogo che Regeni sia stato preso per essere interrogato. Abdelrahman esprime preoccupazione perché questo significa che non si ha idea di dove sia e che cosa gli sia accaduto. La supervisor aggiorna tutti del fatto che è stata presentata una denuncia di persona scomparsa. Afferma che a quel punto è importante che l'Università di Cambridge contatti l'AUC per fare alcune domande e che le è stato suggerito che non dovrebbe essere lei la persona a farlo, in quanto sarebbe meglio che qualcuno con un Pag. 156nome «straniero» seguisse ufficialmente la cosa. Indica nel vicepresidente dell'AUC Brian Mac Dougall la persona da contattare e ipotizza che Nolan o Fennel possano inviare una mail.(270) Alle ore 10.25 (orario di Londra. 12.25 orario del Cairo) Peter Nolan scrive a MacDougall dell'AUC per comunicare che Cambridge è stata informata della scomparsa di Regeni. Alle ore 13.06 orario del Cairo (11.06 orario di Londra) Brian MacDougall dell'AUC risponde a Nolan riportando anche la loro preoccupazione per la scomparsa dello studente. MacDougall mette in copia il generale Mohamed Ebeid, dal momento che egli è stato in contatto con le autorità egiziane sin dal tardo pomeriggio del giorno precedente e – afferma con fiducia – «potrebbe essere in grado di fare più luce sulla questione nel pomeriggio».(271)
  Con il passare del tempo e all'aumentare dell'inquietudine dopo gran parte della giornata tesa a comprendere, come si dirà, se e come informare la famiglia oltre all'opportunità e al livello di rilevanza mediatica da dare alla vicenda, la professoressa Abdelrahman alza il livello di attenzione dell'Università di Cambridge superando l'ambito del Centre of Development Studies e raggiungendo, dopo le vie brevi, con una mail in serata (19.45 orario di Londra) il professor David Runciman (Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali – POLIS), chiedendo se l'Università possa contattare l'ambasciatore britannico al Cairo in modo da capire se egli possa fare di pressione sulle autorità egiziane affinché prendano il caso più seriamente.(272)
  Tra la tarda sera del 27 e la mattina del 28 gennaio il caso della scomparsa di Regeni sembra essere, dalle parole del generale Ebeid, all'attenzione dei massimi livelli egiziani e infatti in una mail a Nolan e a MacDougall egli afferma: «Sono nell'ufficio della National Security per seguire il caso con loro. Ora il caso di Giulio Regeni è sulla Pag. 157scrivania del ministro degli Interni. Secondo la National Security egli ha ordinato di trovarlo il più presto possibile».(273)
  Nella mattinata del 28 gennaio, le voci circa l'interessamento del ministro degli Interni egiziano alla vicenda si rincorrono e Rabab El Mahdi scrive a Gervasio e ad Abdelrahman di aver ricevuto una chiamata dalla sicurezza dell'AUC dopo il suo incontro con il capo della State security (National Security). «Il ministro – riferisce El Mahdi – è personalmente coinvolto e stanno dispiegando gli informatori lungo la strada che doveva fare Giulio».(274)
  Il responsabile della comunicazione di Cambridge – Paul Holland – viene avvertito dalla professoressa Abdelrahman nella tarda mattinata del 28 gennaio con una mail nella quale la supervisor, dopo aver raccontato brevemente i fatti della scomparsa del suo dottorando italiano, aggiunge qualche considerazione volta ad innalzare il livello di attenzione. «Non sappiamo se il caso ha motivazioni politiche ma il fatto che la scomparsa sia avvenuta il giorno dell'anniversario della rivoluzione, quando sono stati effettuati arresti casuali, ci fa sospettare che potrebbe averne. A questo punto una pressione da parte di diplomatici e gruppi politici in Europa è essenziale per far agire il governo egiziano». La mail si chiude con l'apprezzamento del fatto che forse Paul potrebbe contattare l'ambasciata italiana al Cairo o altri che ritiene pertinenti.(275)
  Tra i tentativi di Abdelrahman di innalzare l'attenzione sul caso e di creare maggiore pressione politica vi è anche quello che la docente persegue dal 28 pomeriggio contattando il ricercatore Matthew Fright – dottorando del Centre of Development Studies e studente del Queens' College che aveva già avuto esperienze professionali presso la Camera dei comuni – con il fine di sperimentare l'adozione di una strategia parallela a quella dei canali diplomatici e ufficiali, prendendo contatti con personalità politiche.(276) I due organizzano un loro incontro per il giorno seguente e nella comunicazione Fright fa stato dei rumor pervenutigli circa la scomparsa di uno studente, già circolanti nell'università, relativamente ai quali la docente afferma di ritenere che «bisognerebbe informare tutti perché i rumor possono essere devastanti».(277) L'attivazione di Matthew Fright, di per sé poco produttiva di effetti e tuttavia indicativa di un atteggiamento psicologico e delle preoccupazioni di Maha Abdelrahman – per quanto sia possibile ricostruire a posteriori –, si manifesterà il primo febbraio allorché, dopo aver constatato la presenza della notizia della scomparsa sui giornali(278), il ricercatore scrive a Lord John Eatwell(279). In risposta Pag. 158alla mail di Fright, la docente Abdelrahman conferma (alle 11.45 ora di Londra) che la notizia è uscita attraverso il Governo italiano e gli scrive che ora può condividere l'informazione quanto più ampiamente desideri e nondimeno lo prega di non rispondere alle domande dei media.(280) Al di là dell'epitome svolta, risulta d'interesse il fatto che Fright nella sua mail ad Eatwell – con probabilità nella velata speranza di una intercessione – si chiede se il Lord raccomanderebbe di prendere contatti anche con l'FCO (Foreign and Commonwealth Office) e afferma che ogni suggerimento che egli possa dare per coinvolgere l'establishment britannico nella questione sarebbe apprezzatissimo. La faccenda ora è nota e – indica il ricercatore – «il maggior obiettivo è portare al grande pubblico la consapevolezza della situazione».(281)
  Coerentemente e quasi contestualmente al tentativo svolto dalla docente Abdelrahman nel pomeriggio del 28 gennaio di percorrere la strada dell'innalzamento dell'attenzione sulla vicenda attraverso Matthew Fright e i suoi contatti, alle 18.08 (ora di Londra) Abdelrahman scrive nuovamente a David Runciman perché ritiene che si dovrebbe attivare l'Università di Cambridge e non solo il Centro per gli studi sullo sviluppo. La professoressa vorrebbe scrivere anche alla Scuola (di «scienze umane e sociali» che è un coordinamento di vari dipartimenti a Cambridge) e al Vice Chancellor (il rettore).(282) In quelle ore a Cambridge iniziano a rincorrersi le mail di chi è venuto a conoscenza della scomparsa di Regeni(283) e le docenti di Regeni, Abdelrahman ed El Mahdi, insieme a Noura Wahby avviano degli scambi mail tra loro volti a vagliare delle ipotesi e a condividere informazioni ritenute utili nella sommaria ricostruzione degli eventi – senza peraltro nascondere sfiducia e un certo sospetto e diffidenza nei confronti della polizia –.(284) In questo confronto telematico tra le tre egiziane desta particolare Pag. 159 interesse la mail delle 21.23 (ora di Londra. 23.23 ora del Cairo) di Noura Wahby che, in coerenza con quanto ipotizzato dagli investigatori italiani circa la consapevolezza di Noura Wahby dell'esistenza di rapporti tra suoi conoscenti e gli apparati della National Security (il rapporto tra Rami Mikhail e il maggiore Magdi Sharif di cui si è detto), scrive «anche altre tre persone hanno detto che non è alla State Security (National Security). Penso che dobbiamo rivolgerci all'altro apparato (scrive letteralmente “grande macchina”). Immagino che il 25 gennaio anche i servizi segreti fossero lì poiché le forze sono state schierate visibilmente».(285) Anche la risposta di Rabab El Mahdi risulta significativa: «non è presso l'altro apparato... (sempre letteralmente Pag. 160scritto come “big machine”) Per quanto hanno detto. Ha incontrato Heba per i fondi».(286)
  La notizia della scomparsa di un dottorando italiano al Cairo che iniziava a trapelare a Cambridge – al momento senza citarne il nome – viene data la sera del 28 gennaio anche alla docente Lori Allen della SOAS (School of Oriental and African Studies, Università di Londra).(287) La comunicazione ufficiale agli studenti del Centre of Development Studies a Cambridge viene diffusa alle 19.02 (ora di Londra) del 29 gennaio.(288) Le autorità italiane in quel momento non avevano ancora reso pubblica la notizia che, come si vedrà, verrà divulgata ufficialmente nel tardo pomeriggio del 31 gennaio. Alle ore 12.57 (fuso di Londra) Maha Abdelrahman aveva scritto alla «direzione» del Centre of Development Studies (Nolan, Fennel, Chang e Willis) del fatto che stava ricevendo domande dagli altri dottorandi sul caso di Giulio Regeni e che credeva si dovesse spiegare la situazione con una mail per evitare la diffusione di congetture e per rassicurare il gruppo. La docente condivise la bozza della mail che Natalie Henry (PhD administrator) inoltrerà agli studenti del Centro.(289) Nella mail a firma «Maha» si dichiara che Giulio Regeni, dottorando del Centre of Development Studies impegnato nella ricerca sul campo al Cairo, è scomparso da qualche giorno. L'Università – si scrive nel messaggio – sta facendo tutto il possibile per garantire un suo ritorno ed è in stretto contatto con l'Ambasciata italiana al Cairo, con l'Università Americana del Cairo, con le autorità egiziane, con i suoi amici al Cairo e la sua famiglia in Italia. In conclusione, prima di rassicurare tutti dell'impegno profuso, si afferma che «l'indagine sulla sua scomparsa è una priorità assoluta per il ministero degli Interni egiziano e il Governo italiano è direttamente coinvolto».(290)

5.2 L'attuazione del cosiddetto «protocollo della Farnesina»

5.2.1 Le prime attività dell'Ambasciata d'Italia e i contatti con la famiglia

  Ben rappresenta in audizione presso questa Commissione l'ambasciatrice Elisabetta Belloni – già Segretaria generale del ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale – il contesto e i tratti generali di ciò che qui verrà trattato come il «protocollo» della Farnesina. Pag. 161
  «Non esiste un protocollo formale; esistono alcuni principi che seguiamo e che attiviamo automaticamente. Fra l'altro, è l'esperienza che abbiamo maturato nel corso degli anni attraverso una struttura che abbiamo al ministero degli Esteri, l'Unità di crisi, che è operativa 24 ore su 24 e che nel corso degli anni – la conosco bene – ha trattato le fattispecie più svariate. Il semplice fatto che queste sparizioni di italiani in difficoltà, in situazioni di crisi e di emergenza all'estero possano dipendere dalle ragioni più svariate, ci induce immediatamente a comprendere che non ci può essere un protocollo specifico, perché purtroppo ogni situazione è diversa dall'altra. Infatti, direi che nel protocollo, in quella specie di protocollo che abbiamo, chiamiamolo vademecum, la prima cosa che un bravo direttore dell'Unità di crisi deve fare è studiare il caso, cioè le cause che potrebbero avere provocato la situazione di crisi. Fra questi elementi oggettivi, c'è l'immediata segnalazione all'intelligence italiana, che può fare un'ampia attività di supporto. Per quanto riguarda l'immediato rapporto con i familiari – questa è un'innovazione che è stata portata nel corso degli anni alle procedure previste dalla legge – normalmente i casi vengono comunicati dalle forze dell'ordine, dai carabinieri. Quando io ero direttore dell'Unità di crisi, ho invece sempre voluto farlo personalmente, benché questo crei spesso delle situazioni di grande dolore, di grande difficoltà anche per noi funzionari. Tuttavia, credo che sia molto più dignitoso essere esposti noi direttamente con i familiari e devo dire che l'Unità di crisi ha continuato nel corso degli anni a essere esposta personalmente. Poi, naturalmente, c'è il contatto attraverso la nostra rete diplomatica con le autorità locali, perché, noi ci siamo, nei luoghi dove i fatti avvengono. Ciò fa sì che immediatamente si possa prendere contatto, laddove possibile, con le controparti; poi naturalmente il protocollo si sviluppa di volta in volta: questo è inevitabile».(291)
  Per quanto attiene al caso specifico dell'Egitto e al «rischio Paese» va rilevata oggi la maggiore attenzione da parte del ministero degli Affari Esteri italiano, rinvenibile anche nella «scheda Paese» del sito web www.Viaggiaresicuri.it gestito dall'Unità di Crisi del ministero degli Affari Esteri, con particolare riferimento alla vicenda del «brutale omicidio di Giulio Regeni».(292)
  Così l'ambasciatore Massari, in audizione presso questa Commissione, ricostruirà con chiarezza le attività intraprese nei primi giorni della scomparsa: «Nella notte tra il 26 e 27 gennaio, su mie istruzioni, un funzionario dell'ambasciata si recò presso il commissariato di polizia del quartiere Dokki per sporgere formale denuncia di scomparsa. Nel frattempo sollecitai la cancelleria consolare dell'ambasciata al Cairo, affinché procedesse a effettuare le opportune verifiche presso gli ospedali e gli obitori del Cairo. Il 27 gennaio informammo i genitori di Giulio, Claudio Regeni e Paola Deffendi, che giunsero al Cairo il successivo 30 Pag. 162gennaio. Sempre il 27 gennaio, sollecitai di nuovo i miei interlocutori egiziani dei ministeri degli esteri, in particolare l'allora assistant minister, cioè il viceministro per gli affari europei, l'ambasciatore Hossam Zaki, e dell'interno, dal capo di gabinetto del ministro Ghaffar sino al responsabile dei rapporti con l'Italia, il colonnello Shawkat, per avere notizie. Al contempo avanzammo la prima formale richiesta di incontro con il Ministro dell'interno Ghaffar; incontro che venne ripetutamente sollecitato nei giorni successivi, ma che fu tuttavia concesso solamente il 2 febbraio. Nel corso di queste prime 48 ore, dai contatti avuti attraverso il responsabile dell'intelligence e del ministero degli Interni in ambasciata, le diverse articolazioni di sicurezza egiziane esclusero che Giulio Regeni fosse stato fermato o arrestato. Il 28 gennaio si svolse un'udienza sul caso presso il procuratore della repubblica egiziano, a cui partecipò il legale di fiducia dell'ambasciata, l'avvocato Salim Abdel Monsif, per intensificare anche il binario criminale delle indagini. Nei giorni successivi continuai ripetutamente a sollecitare l'assistant minister per gli affari europei Zaki, e interessai anche il consigliere per la sicurezza nazionale egiziano, l'ambasciatore Faiza Abou el-Naga, una stretta collaboratrice del presidente egiziano Al-Sisi. Entrambi gli interlocutori, pur sottolineando come le autorità egiziane e in primis il ministro dell'interno fossero a conoscenza del caso, mi ribadivano di non avere alcuna notizia circa il nostro connazionale scomparso, precisando che egli non risultava ufficialmente fermato dalle autorità egiziane».(293)
  Per ciò che attiene alle prime fasi della scomparsa e alle attività intraprese deve rilevarsi una accelerazione di quello che può definirsi «il protocollo ordinario» dei casi del genere. Certamente l'attivazione dei canali di intelligence e le comunicazioni con le autorità locali possono essere considerate prassi consolidate, nondimeno solitamente si attendono 24 ore dalla scomparsa per presentare la denuncia formale alla polizia e le note verbali del caso al ministero degli Esteri. Come dichiarato in audizione dall'ambasciatore Massari: «nella giornata del 26, prima che passassero le ventiquattr'ore dalla scomparsa di Giulio Regeni, interessai ufficialmente tramite formale nota verbale il Ministero degli esteri egiziano» – è stata pertanto seguita una procedura accelerata, e in un certo senso «rafforzata» dai contatti personali con le autorità politiche e poi presso l'American University. – In tutta evidenza, l'ambasciatore Massari aveva avvertito come una potenziale anomalia la coincidenza della data del 25 gennaio, peraltro rimarcata da Gervasio nelle sue prime comunicazioni al diplomatico. In aggiunta, l'assenza di notizie da parte degli organi di sicurezza interpellati dai funzionari dell'intelligence e del ministero dell'Interno italiani e i sospetti sollevati dagli amici del ricercatore relativamente ad un possibile coinvolgimento delle forze di sicurezza hanno acuito le preoccupazioni dei diplomatici italiani sino ad accelerare tutte le prassi e ad attivare tutti i canali possibili.
  Tra le prime attività formali intraprese, anche su indicazione dell'Ambasciata, va menzionata – come si affronterà in dettaglio più avanti – la denuncia di scomparsa presso il commissariato di polizia. La sera del 26 gennaio Noura Wahby, Mohamed El Sayyad e Gennaro Gervasio si recano pertanto al Commissariato di polizia di Dokki. Alle Pag. 16323.30 Gervasio chiama l'ambasciatore Massari per riferire circa l'impossibilità di presentare la denuncia e chiede il supporto dell'Ambasciata che invierà suoi funzionari a sostegno. Solo alle prime ore del 27 gennaio, dopo lunga attesa e tentativi di dissuasione da parte degli agenti di polizia, si riesce a sporgere denuncia ufficiale.
  Durante la giornata l'Ambasciata effettua ricerche anche presso gli ospedali e i relativi obitori. Riferirà l'ambasciatrice Belloni: «è una prassi che noi seguiamo quasi regolarmente nei casi in cui ci vengono segnalati nelle varie parti del mondo scomparse o incidenti di vario genere». È nel primo pomeriggio del giorno 27 che la console Alessandra Tognonato avvisa della scomparsa di Giulio Regeni telefonando a casa della famiglia intorno alle ore 14.30. I genitori di Giulio Regeni – Claudio Regeni e Paola Deffendi – iniziano le loro ricerche informali contattando gli amici e i conoscenti del ricercatore in Egitto e giungono al Cairo il 30 gennaio. L'ambasciatore Massari continua a contattare frattanto i suoi interlocutori al ministero degli Esteri e dell'Interno egiziani per sollecitare notizie. Come menzionato in audizione dallo stesso Massari, il 27 gennaio si avanza la prima richiesta di incontro con il ministro dell'Interno Ghaffar.
  Nel corso dell'inchiesta è stato altresì possibile ricostruire, mediante le sensazioni e le opinioni espresse nelle comunicazioni tra le docenti e gli amici di Giulio Regeni al Cairo, le intenzioni, le premure e le inquietudini di chi sostanzialmente avrebbe desiderato non allarmare i familiari ma che al contempo avvertiva un certo «senso di colpa» nel tenerli all'oscuro. Già nella prima lunga mail del 26 gennaio (ore 10.50 di Londra) di Noura Wahby nella quale si informa la professoressa Abdelrahman dell'accaduto si afferma che non hanno diffuso la notizia sui social media o detto nulla agli attivisti in modo tale da consentire all'Ambasciata di fare del suo meglio, «tuttavia – precisa la ricercatrice – pensiamo che dovremmo dirlo alla sua famiglia entro il pomeriggio, anche se avremmo voluto aspettare in modo che almeno sappiamo dove si trova, ma stiamo pensando che forse dovremmo dirglielo in tutti i casi».(294) Del medesimo avviso è anche Gennaro Gervasio già dal giorno 26.(295) Il giorno successivo alle ore 12.45 (fuso del Cairo) Gennaro Gervasio scrive a Rabab El Mahdi per avvertire che ha appena parlato con la console italiana ma non ci sono notizie e ancora non è chiaro se intendano comunicarlo alla famiglia o meno. Alle ore 14.41 (fuso del Cairo) Gervasio scrive a Maha Abdelrahman e Rabab El Mahdi affermando di ritenere che la famiglia debba essere informata a questo punto e che sia lui che Noura iniziano a sentirsi in colpa (per non aver ancora comunicato alla famiglia la scomparsa di Giulio). Gervasio poi esplicita che loro (lui e Noura) sono le uniche due persone, forse insieme ad un altro dottorando italiano, che la mamma di Giulio Regeni conosce almeno per nome.(296) Dopo poco, alle 15.36 (ora del Cairo) anche Rabab El Mahdi scrive a Gervasio e ad Abdelrahman affermando di ritenere che si debba informare la famiglia in quanto sono trascorsi già quasi due giorni dalla scomparsa ma aggiunge incidentalmente nell'occasione un dettaglio interessante che chiarisce una delle maggiori preoccupazioni degli amici e delle due Pag. 164docenti: «e dobbiamo aumentare la pressione (sulle autorità)».(297) Gervasio risponde di essere d'accordo. Il tema dell'innalzamento dell'attenzione sulla vicenda volto ad aumentare «la pressione» sulle autorità è ricorrente(298) nelle comunicazioni degli amici e delle docenti, anche a Cambridge si è detto, e può considerarsi, come si vedrà anche in merito agli aspetti relativi alla diffusione mediatica della notizia, a fondamento della volontà di darne pubblicità. Pur non avendone al momento la certezza, gli amici e i conoscenti di Giulio Regeni sono persuasi del fatto che il ricercatore possa essere ragionevolmente in mano a una delle forze di sicurezza egiziane. In una giornata come quella del 25 gennaio, in cui le strade erano presidiate quasi esclusivamente da poliziotti e agenti degli apparati di informazione e considerata la retorica del complotto straniero agitata dal regime, pareva assolutamente plausibile che Regeni fosse stato trattenuto in seguito a un fermo in strada.
  In conclusione, con riferimento al soggiorno al Cairo dei genitori del ricercatore, va fatta menzione della presenza costante di Noura Wahby(299) dal momento del loro arrivo in aeroporto, come si è detto, in avanti. I genitori di Regeni al Cairo sono stati in stretto contatto con i conoscenti del ricercatore e hanno alloggiato proprio nel suo appartamento sino al trasferimento in ambasciata, disposto precauzionalmente dall'ambasciatore per garantire una maggiore sicurezza alla famiglia Regeni, il giorno 4 febbraio.(300) Pag. 165
  È un fatto, di per sé non dirimente del ruolo avuto da Noura Wahby nella vicenda – sebbene susciti legittime riflessioni –, l'attenzione dedicata dalla ricercatrice ai genitori di Giulio Regeni al Cairo e la sua incessante presenza. D'altro canto è accertato che in quei giorni convulsi tutti i conoscenti di Giulio, gli amici e anche le docenti ricevevano costanti e reciproci aggiornamenti in merito agli sviluppi delle ricerche, in taluni casi come per Wahby ed El Mahdi anche mediante fonti confidenziali evidentemente in contatto con le forze di sicurezza.
  Dalle dichiarazioni rese a questa Commissione dalla professoressa Abdelrahman, in occasione della missione parlamentare svolta presso l'Università di Cambridge dal 27 al 29 settembre 2021, i contatti indiretti di Noura Wahby con persone appartenenti agli apparati di sicurezza non sarebbero, o dovrebbero essere, fonte di alcun sospetto relativamente alla condotta della studentessa in quanto: «quasi ogni persona in Egitto ha un parente o un amico di famiglia che lavora per le forze di sicurezza. È un settore enorme, ed è ciò che si fa quando si ha un problema, si chiama lo zio o l'amico di famiglia che lavora con le forze di sicurezza, e si chiede loro se hanno qualche informazione. Quindi, essendo egiziana, avrei letto questa comunicazione in quest'ottica, e questo fa parte della nostra vita quotidiana, non ha suscitato, e ancora non suscita in me alcun sospetto. Potrebbe aver parlato, mi ha detto, cioè, sappiamo che conosceva persone che avevano legami con la sicurezza, ma come lei altri 90 milioni di egiziani. Quindi, per me, questo non vuol dir nulla che possa dar adito a sospetti». Resta tuttavia un fatto accertato dagli investigatori italiani che Noura Wahby contattava Rami Imad Adli Issa Mikhail (il suo amico titolare di un'agenzia di viaggi in costante contatto con la National Security) presumibilmente in merito a Regeni già prima della scomparsa del ricercatore. Infatti, data la consapevolezza di Noura Wahby dei rapporti tra Rami Mikhail e le forze di sicurezza, se si comprende agilmente che la dottoranda si sia rivolta anche al suo amico egiziano dopo la scomparsa di Giulio Regeni alla ricerca di informazioni, meno comprensibili e limpide risultano le interazioni precedenti presumibilmente legate a Giulio Regeni come emerge dalla ricostruzione degli investigatori italiani.
  Con riferimento alle interazioni tra le docenti – Maha Abdelrahman e Rabab El Mahdi – e Noura Wahby, proprio un giorno prima dell'arrivo dei genitori di Giulio Regeni al Cairo, è rinvenibile una mail nella quale la ricercatrice comunica l'imminente arrivo della famiglia Regeni e la sua predisposizione d'animo di assisterla. Nell'occasione invia anche aggiornamenti circa lo stato di pressione securitaria che si stava vivendo in Egitto, naturalmente sospettandone una relazione con gli eventi in corso.(301) Molto chiara è la risposta data dalla supervisor Pag. 166Abdelrahman il giorno seguente nella mail in cui afferma che le notizie inviate da Noura relativamente alla campagna di perquisizioni negli appartamenti del centro del Cairo forse non sono attinenti alla situazione di Giulio Regeni ma lui «potrebbe essere stato preso per errore durante un raid» e suggerisce di comunicare queste informazioni all'ambasciatore o alla sicurezza dell'AUC. Ancorché consideri che «se il ministro è sul caso avranno verificato anche questa possibilità».(302) Frattanto il Direttore del Cambridge Centre of Development Studies, Peter Nolan, – di ritorno dalla Cina – chiede alla professoressa se sia in contatto con la famiglia del ricercatore e lascia i numeri privati alla docente per essere tenuto aggiornato.(303) Anche la tutor egiziana Rabab El Mahdi il 30 gennaio torna al Cairo e in una solidale comunicazione con Noura Wahby afferma di farle sapere come può rendersi d'aiuto perché: «non devi sopportare questo da sola».(304)

5.2.2 Le valutazioni relative all'annuncio della notizia di scomparsa

  Dall'inchiesta svolta dalla Commissione è emerso che, nelle fasi immediatamente successive alla scomparsa del ricercatore, si è aperta in seno all'ambasciata e, naturalmente, al ministero degli Esteri una riflessione relativamente all'opportunità o meno di diffonderne pubblicamente la notizia. Come già evidenziato, anche in questo caso gli organismi diplomatici hanno agito in conformità con una prassi consolidata coerente con quelle che si ritenevano essere, in funzione delle valutazioni delle circostanze, delle informazioni disponibili e dell'esperienza, le azioni più idonee a risolvere quella situazione di criticità. Non vi è difatti una procedura codificata da seguire relativamente alla comunicazione in casi di sparizione di connazionali in territorio straniero.
  Dalle audizioni dei diplomatici Belloni, Massari e Bonvicini emerge che nella vicenda Regeni l'ambasciata ha agito, d'intesa con il Ministero degli Esteri, in coerenza con l'esperienza relativa a precedenti sparizioni di connazionali in territorio egiziano per i quali la discrezione era stata un'efficace modalità di gestione dell'emergenza. La scelta di mantenere riservata la notizia della scomparsa del ricercatore è stata ritenuta praticabile e funzionale al suo ritrovamento sino al tardo pomeriggio del 31 gennaio, allorché intorno alle 18.30 (ora italiana) il ministero degli Esteri, a seguito di un colloquio telefonico tra l'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e il suo omologo egiziano Sameh Shoukry, dirama un comunicato ufficiale con il quale annuncia pubblicamente la scomparsa di Giulio Regeni e chiede alle autorità egiziane il massimo impegno per rintracciare il connazionale e fornire ogni Pag. 167possibile informazione sulle sue condizioni.(305) La scelta di elevare il livello di pressione politica e mediatica viene determinato dall'assenza di un qualunque tipo di riscontro da parte delle autorità egiziane alle richieste avanzate incessantemente dalla diplomazia e dall'intelligence italiani nei giorni precedenti.
  Le due docenti di Regeni, Noura Wahby e Gennaro Gervasio – come ricostruito dall'inchiesta della Commissione – hanno mostrato una certa prudenza relativamente alla pubblica diffusione della notizia e si sono conformati alle scelte di comunicazione intraprese dall'ambasciata e dalle autorità italiane sebbene sin dai primi momenti avessero ritenuto, almeno per quanto traspare dalle loro comunicazioni mail, necessario e di grande importanza un immediato innalzamento del livello di pressione politica sulle autorità egiziane, tanto da voler interessare della vicenda il maggior numero di soggetti istituzionali e avere in animo una maggiore esposizione mediatica della scomparsa del ricercatore.
  Attraverso Anne Alexander, la professoressa Abdelrahman ha ricevuto sin dalla mattina del 27 gennaio la disponibilità del quotidiano «The Guardian» e del giornalista Jack Shenker (scrittore e già corrispondente dall'Egitto per la testata britannica) a segnalare il caso sui social media e ad attivare i corrispondenti britannici in Egitto per fare «qualche indagine» e «velocizzare la burocrazia al Cairo».(306) Nondimeno, nella stessa giornata le informazioni e le comunicazioni che circolano tra le docenti, Gennaro Gervasio e l'ambasciata italiana fanno affermare ad Abdelrahman che i diplomatici sono la loro unica speranza in quel momento. Nella medesima comunicazione Abdelrahman ipotizza e propone di attendere fino al giorno seguente per poi cambiare strategia. Afferma che si potrebbe decidere di iniziare a fare rumore sulla stampa e sui social media ma che ancora una volta bisogna rifletterci ed essere tattici al riguardo e aggiunge che non si sa cosa accadrà entro il giorno seguente.(307) Gervasio, in risposta a questa mail, aggiunge che la famiglia dovrebbe essere consultata.(308) Anche Noura Wahby appare molto attiva e la mattina del 28 gennaio, in risposta ad una mail di Abdelrahman che la informava delle sue attività intraprese con l'Università di Cambridge al fine di suscitare un'azione dell'ambasciatore britannico, scrive che stava per recarsi al Consiglio Nazionale dei Diritti Umani a presentare il caso in quanto un amico avrebbe potuto organizzare un dialogo con il dipartimento dei diritti umani del ministero dell'Interno, ma che Rabab El Mahdi le ha detto Pag. 168di attendere e di non farlo in quel momento. La ricercatrice afferma che anche Gervasio sta «lavorando su» un contatto nel Parlamento italiano. Aggiunge Noura che anche la fidanzata di Giulio Regeni a Kiev, informata da Noura il 26, lavorando per le Nazioni Unite al World Food Programme, dice di potersi rivolgere al consolato italiano ma che entrambe si stanno trattenendo, al momento.(309) Il 28 gennaio (10.58 ora di Londra) Gervasio avvisa Abdelrahman ed El Mahdi di essere appena stato contattato dalla famiglia di Giulio Regeni.(310)
  Nell'alveo delle azioni autonome intraprese dalla docente Abdelrahman per aumentare la pressione internazionale sull'Egitto in relazione all'anomala scomparsa del cittadino italiano e ricercatore britannico si inserisce anche l'intenzione di coinvolgere il Parlamento europeo mediante la già deputata – e vicepresidente del Parlamento europeo con incarico alle politiche europee per l'Africa e per i diritti umani – Luisa Morgantini. Maha Abdelrahman alle 11.01 (ora di Londra) del 28 gennaio indica la sua intenzione di contattare la Morgantini in una mail a Gennaro Gervasio e Rabab El Mahdi.(311) Nella risposta di Gervasio a questa comunicazione si ha conferma della piena consapevolezza dei conoscenti di Regeni della riservatezza richiesta dall'ambasciata circa la notizia della scomparsa. Gervasio afferma che all'ambasciata credono ancora che non si dovrebbe diffondere la notizia sulla stampa ma che lui non è sicuro di quanto ancora questa strategia sia corretta dal momento che si continua a non sapere assolutamente nulla.(312)
  Dal momento della denuncia formale di scomparsa avvenuta tra la notte del 26 e le prime ore del 27 gennaio, di cui si dirà, i conoscenti egiziani sollecitati da Gervasio nei primi momenti della ricerca – come Amr Assad (pertanto, di conseguenza, gli attivisti egiziani) – e la stessa Rabab El Mahdi, come emerge nelle comunicazioni scritte di cui si è detto, premevano per passare ad un'accentuata modalità di gestione della notizia. Gli stessi ritenevano di dover denunciare subito pubblicamente la scomparsa del ricercatore e ricorrere così alle prassi utilizzate dagli attivisti nei casi di scomparsa per i quali si sospettava un coinvolgimento delle autorità egiziane. Sin dai primi momenti invece si è optato per seguire una modalità di riservatezza della notizia in quanto sia l'ambasciata che l'American University avevano preferito mantenere un «basso profilo» riferendosi a precedenti casi di scomparsa risolti con successo mediante tale «approccio». Effettivamente nelle comunicazioni mail oggetto dell'inchiesta della Commissione, al fine della ricostruzione quanto più possibile ampia e fedele di quanto accaduto nelle fasi immediatamente successive alla scomparsa, emerge l'impulso a diffondere la notizia sui social media – cosa che avverrà soltanto la sera del 31 gennaio con l'hashtag #whereisGiulio Regeni – da parte degli amici e conoscenti di Giulio Regeni, ma pure una certa attenzione a non danneggiare con un'improvvida condotta le azioni intraprese dalla diplomazia. Pag. 169
  In merito a quanto sopra è possibile attestare che già la mattina del giorno 28 erano stati predisposti due post (uno in inglese e uno in arabo) da pubblicare sui social media come emerge dalla mail di Noura Wahby che ne condivide le bozze con le docenti Abdelrahman ed El Mahdi.(313) Nel pomeriggio (17.05 ora di Londra), in risposta ad una mail di El Mahdi che suggeriva alcune correzioni al post, Wahby scrive confermando che farà le correzioni e aggiungerà #freegiulio. È d'interesse notare per inciso, in merito alle azioni degli amici nella gestione della scomparsa, come nella medesima mail la Wahby aggiorni anche del fatto che «un amico ha chiesto al ministero degli Interni e gli hanno riferito che se hanno Giulio Regeni probabilmente lo trattengono sino a dopo il 28 gennaio e che sono in grande allarme sino all'11 di febbraio. Anche un altro contatto nella State Security avrebbe confermato che nessuno straniero è trattenuto».(314)
  Analogamente, a Cambridge il tema della diffusione della notizia di scomparsa è oggetto di riflessione nel pomeriggio del 28 gennaio. Tuttavia i profili di tale comunicazione attengono, almeno in questa prima fase, più all'impostazione delle dichiarazioni formali da dare come istituzione e appaiono rivolte soprattutto ad un eventuale «uso interno» all'università più che orientate ad una pressione mediatica sulle autorità egiziane.(315) Come visto, le azioni e le riflessioni della docente Abdelrahman relative alla gestione della notizia paiono invece indirizzate sia ad un «uso interno» a Cambridge, sia ad una funzione di pressione esogena sulle autorità egiziane. Maha Abdelrahman nel pomeriggio (17.27 ora di Londra) del 28 risponde alla mail di Anne Alexander del giorno precedente. Ringrazia la docente e il giornalista Jack Shenker per l'offerta di aiuto. Li aggiorna del fatto che lei, Rabab e alcuni amici di Giulio Regeni sono – scrive testualmente – «ora arrivati alla fase in cui pensiamo di dover rendere pubblico il caso» e prosegue affermando che «la State Security continua a negare di averlo e allo stesso tempo non riesce a scoprire dove si trovi». Aggiunge la professoressa che presto avrà un post che pubblicheranno sui social media e chiede il favore di farlo circolare nelle loro reti. Conclude affermando di essere in procinto di contattare dei giornalisti italiani e si chiede se Jack Shenker abbia suggerimenti sul come, e se, farlo con i media britannici.(316) È precisamente in questa fase che si sviluppa l'idea di una raccolta di firme da inviare ai media. Anne Alexander difatti, in risposta alla mail di Abdelrahman, afferma che sarebbe una buona idea avere un hashtag condiviso per una campagna sui social media e si propone per scrivere una bozza di lettera da far firmare agli accademici.(317) Mediante Jack Shenker la supervisor di Giulio Regeni Pag. 170riceve gli indirizzi mail di alcuni giornalisti britannici («The Guardian»; «The Times»; «The Daily Telegraph») che potrebbero fare pressioni e far circolare le informazioni relative a Regeni all'interno dell'ambiente dei corrispondenti in Egitto. I giornalisti – afferma Shenker – del Guardian e del Times sono al Cairo, quello del Telegraph segue il Medio Oriente da Londra.(318) Dopo un confronto tra Noura Wahby, El Mahdi e Abdelrahman in cui quest'ultima si chiede se sia utile o non sia consigliabile aggiungere nei post qualche riferimento «alla recente ondata di scomparse in Egitto in modo da dare maggior contestualizzazione» alla vicenda(319), la mattina del 29 gennaio (09.53 ora di Londra) Abdelrahman scrive ad Anne Alexander dicendole di aver ricevuto una comunicazione dall'ambasciata italiana del Cairo relativa al fatto che il ministro degli Esteri italiano sta seguendo il caso con il governo egiziano e che l'ambasciata chiede che si astengano dal rendere pubblica la notizia al momento. In conclusione, aggiunge che sta tentando di ottenere delle reazioni da Cambridge che vadano al di là delle azioni di prassi che stanno facendo. Anne Alexander risponde dopo pochi minuti che non avrebbe pubblicato nulla prima di avere un suo assenso.(320)
  La riservatezza sulla vicenda, che sino al 31 gennaio era stata richiesta anche alla famiglia per agevolare le fasi di ricerca informale, viene superata dal «cambio di approccio» deciso dalla Farnesina. Riferirà Claudio Regeni in audizione: «Il 31 gennaio sera l'ambasciatore Massari ci ha confermato che stava per dare la notizia all'ANSA della scomparsa di Giulio Regeni e che, dal momento in cui avrebbe dato la notizia, noi avremmo avuto cinque minuti di tempo per avvisare i nostri familiari rimasti a casa e gli amici, prima che loro lo scoprissero attraverso la stampa e i mezzi di comunicazione».(321) È allora che la notizia diviene di pubblico dominio e raggiunge immediatamente il web. Riferirà Paola Deffendi: «io ho proprio chiesto all'ambasciatore Massari: “Fino a quando questa strategia del silenzio?”. Era il 31 mattina questo, poi lui non avendo nessuna risposta alla sera – noi tra l'altro eravamo a casa della zia di Noura, con lei – ci telefona e ci dice: “Cinque minuti per avvisare a casa, devo dare la notizia che non si sa dove sia Giulio” e parte il tweet #whereisgiulio, che lancia per prima Noura».(322)
  Il 31 mattina anche Abdelrahman ed El Mahdi vengono informate da Gervasio circa l'incontro che avrebbe avuto luogo di lì a poco in Ambasciata per condividere gli aggiornamenti e per decidere se cambiare strategia di comunicazione e far partire la campagna mediatica.(323) Dopo l'incontro in Ambasciata, alle 13.33 (ora di Londra) Noura Wahby – che come già affrontato accompagnava costantemente i genitori del ricercatore al Cairo – ragguaglia le docenti affermando che i diplomatici avrebbero potuto avere un incontro con il ministero degli Interni nelle successive ore. E conclude: «A seconda di cosa si diranno e se si incontreranno, loro pubblicheranno una comunicazione Pag. 171ufficiale».(324) A sua volta Abdelrahman riferisce nel pomeriggio (17.06 ora di Londra) a Peter Nolan del suo colloquio con Claudio Regeni e del fatto che l'ambasciatore ha informato il padre di Giulio Regeni che il ministro degli Esteri italiano stava entrando in contatto con la controparte egiziana per fare pressione e che senza sviluppi il Governo italiano avrebbe emesso un comunicato ufficiale tale da rendere pubblica la vicenda.(325) Dopo circa 25 minuti (ore 18.30 di Roma) viene emesso il comunicato della Farnesina. Alle 17.51 (ora di Londra) Gervasio invia ad Abdelrahman ed El Mahdi un link del quotidiano «la Repubblica» che riporta la notizia della scomparsa di Giulio Regeni.(326) Alle 18.00 (ora di Londra) anche Peter Nolan viene informato da Abdelrahman del fatto che la notizia è stata resa pubblica dal governo italiano. La docente allega il link dell'ANSA che riporta il comunicato della Farnesina e riferisce che la notizia è anche su Rainews24 e su «la Repubblica».(327) A quel punto la docente di Cambridge si confronta con Gervasio sull'opportunità di rilanciare la notizia e far partire la campagna mediatica già predisposta da Noura Wahby.(328) Con la pubblicazione della notizia si rincorrono naturalmente le informazioni parziali e distorte in rete e all'Università di Cambridge i professori tentano di mantenere la comunicazione «sotto controllo» – anche attraverso il «filtro» del responsabile della comunicazione – come richiesto peraltro dalle autorità italiane e dalla famiglia. La stessa Abdelrahman afferma che gli studenti non dovrebbero rispondere ad alcuna richiesta dei media.(329) Anche Gervasio ritiene di non dover parlare con la stampa dal momento che neanche la famiglia lo ha ancora fatto e si decide in ogni caso di dire che Regeni era al Cairo a studiare l'arabo e a fare ricerca sull'economia egiziana, senza dare troppi dettagli che potrebbero essere usati come pretesto dalla stampa egiziana.(330) Frattanto Noura Wahby sta completando la stesura dei post mediatici, uno in inglese e uno in arabo.(331) La sera del 31 gennaio Noura Wahby e Gennaro Gervasio lanciano la campagna #whereisGiulio Regeni in rete. Il giorno seguente, 1° febbraio, Abdelrahman contatta i responsabili della comunicazione dell'ateneo e la direttrice del Girton College (a cui apparteneva Regeni) sollecitando la presa in considerazione di un comunicato ufficiale dell'Università a sostegno di Regeni – che in molti le stanno richiedendo – anche in modo da mitigare i rumor.(332)
  Nell'ampio panorama della comunicazione internazionale risulta inoltre che l'agenzia di stampa francese AFP (Agence France-Presse), tra le più note al mondo, abbia contattato il ministero dell'Interno egiziano per aumentare la pressione mediatica e per ottenere informazioni. Questo emerge da una mail di El Mahdi indirizzata ad Abdelrahman e a Gervasio al quale, nella medesima, si chiedeva la disponibilità a rilasciare dichiarazioni ad un amico giornalista AFP. Gervasio declinò Pag. 172dicendosi indisponibile in linea, peraltro, con la discrezione concordata.(333) Il 1° febbraio (9.57 ora di Londra) il Dipartimento di Studi sullo Sviluppo invia a tutti gli studenti una mail che li invita a «non rispondere a nessuna domanda o intervista dei media e della stampa». La comunicazione a firma Maha (Abdelrahman) esplicita che il ministero degli Esteri italiano ha rilasciato una breve dichiarazione alla stampa riguardante il caso di Giulio Regeni e conclude affermando che la famiglia di Regeni e le autorità italiane vorrebbero tenere al momento le notizie sotto controllo.(334)

5.3 Il flusso delle informazioni dal Cairo a Roma

  Dall'inchiesta svolta da questa Commissione emerge che la prima comunicazione formale con il ministero degli Esteri a Roma è la nota diplomatica inviata dall'Ambasciata del Cairo il giorno 28 gennaio 2016 alle ore 14.21. L'Ambasciata fa stato delle azioni intraprese e delle preliminari informazioni al momento in possesso. Il messaggio è indirizzato agli uffici della Farnesina e in visione per conoscenza anche agli uffici della Presidenza del Consiglio. Va altresì richiamato il fatto che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni riceve in via informale la notizia dalle strutture della Farnesina già il 26 gennaio.(335)
  Come precedentemente affrontato, va detto che l'intelligence italiana al Cairo viene attivata immediatamente dall'ambasciatore il 25 sera. Attraverso una nota, dal giorno successivo – 26 gennaio – il tema della scomparsa al Cairo di un cittadino italiano e ricercatore universitario, Giulio Regeni, entra nel sistema informativo dell'Agenzia informazioni per la sicurezza esterna (AISE). L'intelligence italiana a Roma viene informata delle attività intraprese sino a quel momento dall'ambasciata e dai funzionari dell'AISE sul posto. La notizia di persona scomparsa entra nelle procedure interne all'AISE e inizia l'attività tecnica. Il giorno 27 gennaio la struttura AISE viene maggiormente coinvolta e utilizza l'occasione di una visita di alto livello con l'omologa agenzia in Egitto, già programmata da diversi mesi, per approfondire il tema della scomparsa e della ricerca del cittadino italiano Regeni. Alla fine del mese, il 31, la notizia di scomparsa del ricercatore italiano viene portata dal direttore dell'AISE, dottor Alberto Manenti, alla conoscenza del direttore del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), ambasciatore Giampiero Massolo, nel quadro di un aggiornamento sul contesto in previsione e approntamento della divulgazione della notizia. Il 30 gennaio infatti, al contrario di quanto previsto e anche preannunciato il giorno prima dall'ambasciatore Massari alla famiglia Regeni (la richiesta di incontro è stata avanzata già il 27 gennaio, poi – dopo sollecitazioni – il 29 sembrava che fosse confermato per il 31. Si giunse infine al 2 febbraio come visto), viene negato l'incontro richiesto al ministro dell'Interno Ghaffar. Questi dinieghi allarmarono definitivamente l'ambasciatore.
  Così l'ambasciatore Massari ricostruisce la percezione degli effetti delle attività intraprese e l'ambiguità riscontrata negli interlocutori Pag. 173egiziani con i quali l'Italia era pure in ottimi rapporti: «Naturalmente di tutte queste azioni dello stato della situazione, ho tenuto costantemente informato le nostre autorità a Roma, in particolare la Farnesina e la Presidenza del Consiglio. Devo dire che ciò che maggiormente colpiva, e preoccupava con il passare delle ore e dei giorni, era la mancanza di risposte concrete da parte delle autorità egiziane, e ciò malgrado le mie insistenze e l'eccellenza dei rapporti bilaterali e anche personali con le autorità egiziane che esisteva a tutti i livelli. Ricordo che all'epoca, l'Italia e la nostra Ambasciata al Cairo erano tra i Paesi maggiormente profilati, sia per quanto riguarda l'intensità delle relazioni diplomatiche sia per i rapporti politici al più alto livello sia per i rapporti economici. Non potevo non notare il contrasto tra questo stato eccellente dei rapporti bilaterali e l'elusività delle risposte rispetto al caso Regeni, il dilazionare di fronte a una situazione che pure avevamo rappresentato alle autorità egiziane, sin dall'inizio, come di prioritaria importanza per l'Italia, per gli evidenti risvolti umani oltre che politici. In questi giorni attivammo con la mia squadra diplomatica contatti anche con esponenti della società civile egiziana, nostri abituali interlocutori, alla ricerca di eventuali notizie sulla sorte di Giulio. Nessuno aveva informazioni certe. Qualcuno ci ricordava che casi simili di sparizione di cittadini stranieri in Egitto, si erano già verificati, soprattutto con studiosi ricercatori americani che erano stati fermati dalle autorità egiziane, ma erano poi riapparsi dopo un certo numero di giorni. Altri ci indicavano che Regeni sarebbe stato in realtà attenzionato già da qualche tempo per la sua attività sui sindacati indipendenti, e che questa avrebbe potuto essere la motivazione eventuale del suo fermo da parte degli organi della sicurezza egiziana, ma ovviamente erano fonti e informazioni non verificabili che comunque aumentavano la nostra preoccupazione e stato di allerta. In assenza di riscontri attraverso i canali diplomatici e di intelligence, decidemmo pertanto di elevare a livello politico la pressione sulle autorità egiziane».(336)
  Nella giornata del 30 si decide di passare dal livello di nucleo tecnico-operativo al livello politico e quindi ad un «allarme generale», perché si ritiene che la questione possa essere di particolare gravità vista l'assenza di riscontri all'attività di ricerca. Il 31 gennaio il direttore del DIS avverte l'Autorità di governo delegata per la sicurezza della Repubblica, il sottosegretario Marco Minniti, il quale quasi contemporaneamente era stato informato dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. All'Autorità delegata giunge evidentemente da entrambi i canali una forte preoccupazione per la scomparsa del ricercatore. Il direttore dell'AISE Manenti coglierà l'opportunità di incontri già programmati da tempo per riproporre il caso alle autorità di intelligence egiziane il 3 febbraio. Nella percezione dell'intelligence italiana, come da dichiarazioni rese in audizione parlamentare, le forze di sicurezza egiziane (General Intelligence Service, National Security Agency, Military Intelligence Department) esprimevano un cauto ottimismo relativamente alla positiva risoluzione della scomparsa sebbene non trasmisero alcuna informazione all'Italia.
  Dalla sera stessa dalla scomparsa di Regeni, pertanto si attivano due canali istituzionali paralleli: la diplomazia e l'intelligence italiani. Pag. 174Nell'ambito dei relativi protocolli di comunicazione gerarchica con Roma, mentre al Cairo si lavorava in modo formale e informale alla ricerca del dottorando, l'informazione sale quindi costantemente in progressione sino a raggiungere il 31 gennaio il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il quale in audizione presso questa Commissione attesterà che nella medesima giornata il Presidente Al Sisi viene certamente informato.(337) Il presidente Renzi viene aggiornato sugli eventi dal rappresentante diplomatico al Cairo e così ricostruisce in Commissione quei momenti: «l'informazione mi arriva direttamente dall'ambasciatore Massari che aveva il mio cellulare, poi naturalmente prendo immediatamente contatto con il ministro degli Affari Esteri e con l'Autorità delegata. Questi sono stati i miei primi passi perché loro erano i due riferimenti dei nostri rapporti con l'Egitto. Ricevo la notizia dall'ambasciatore e poi procedo a comunicarla. Questo accade il 31. Non tocca a me motivare le ragioni per le quali si è deciso di chiamare il Presidente del Consiglio, io posso parlare di quello che ho fatto dal 31 in poi».(338)
  Le attività di ricerca e i contatti intrapresi sia sul piano diplomatico che sul piano dell'intelligence sono stati intensi e tuttavia privi di effetti in quanto nessuna autorità egiziana ha condiviso informazioni.
  Nei giorni tra il 26 e il 28 gennaio le attività delle autorità italiane si sono altresì concentrate sul capire chi fosse Giulio Regeni in quanto il ricercatore non era in alcun modo noto né al Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica né all'Ambasciata. Come ricordato anche in Commissione Affari esteri e comunitari alla Camera dei deputati il 9 febbraio 2016 dal sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Benedetto della Vedova, Regeni non apparteneva ai servizi segreti né svolgeva attività di carattere informativo. L'attività d'inchiesta di questa Commissione può confermare che non è emerso alcun collegamento tra Giulio Regeni e qualsivoglia attività di intelligence.
  Emerge dall'inchiesta della Commissione che nel flusso delle informazioni dal Cairo a Roma possono riferirsi anche quelle giunte informalmente attraverso contatti personali e privati tra Gennaro Gervasio e i suoi conoscenti: l'allora appena nominato sottosegretario agli Esteri con delega agli italiani all'estero Vincenzo Amendola (PD) e il Senatore Giuseppe de Cristofaro (Misto-Sinistra Italiana-SEL) il quale confermerà a Gervasio, nel tardo pomeriggio del 28, che il caso era all'attenzione del ministero degli Esteri e che Consolato e Ambasciata stavano facendo tutto quello che era in loro potere.(339) Come emerge anche nelle comunicazioni mail tra Gennaro Gervasio e le docenti Abdelrahman ed El Mahdi questa iniziativa si inserisce nel Pag. 175quadro delle azioni spontanee intraprese da amici e conoscenti di Giulio Regeni nei giorni immediatamente successivi alla sparizione per sollevare l'attenzione al tema della scomparsa del ricercatore a tutti i livelli, sollecitare quanto più possibile le istituzioni ad agire e, presumibilmente, generare una qualche pressione sull'Egitto.(340)

5.4 I contatti con le autorità egiziane da parte dell'ambasciata a partire dalla denuncia

  Nel tardo pomeriggio del 26 gennaio 2016, a circa 24 ore dall'irreperibilità del giovane ricercatore, l'ambasciatore Massari contatta Gennaro Gervasio chiedendogli di presentare formale denuncia di scomparsa presso le autorità di polizia. Il professore italiano insieme a Noura Wahby e al coinquilino di Regeni, Mohammed El Sayed, si reca al commissariato di polizia di Dokki. All'interno del commissariato, i tre trascorrono molte ore e non riescono, nonostante Gervasio parli fluentemente l'arabo e la presenza degli egiziani Wahby ed El Sayed, a sporgere denuncia. Vista la necessità della presenza di un diplomatico, Gervasio contatta intorno alle 23.30 l'ambasciatore per chiedere supporto e questi attiva le risorse diplomatiche. Ricostruisce così Davide Bonvicini, già Primo segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo, le difficoltà del tutto anomale incontrate presso il commissariato di Dokki nelle lunghe fasi di presentazione della denuncia durate sino alle ore 03.00 circa del mattino seguente: «La sera del 26 gennaio, a circa 24 ore dalla scomparsa, il vice capo missione della nostra Ambasciata mi chiamò al telefono per chiedermi, su istruzione dell'ambasciatore, di recarmi presso il commissariato del quartiere Dokki a sporgere regolare denuncia di scomparsa. Era sera tardi. Ricordo che passai prima in macchina in Ambasciata per chiedere a un nostro collaboratore egiziano di accompagnarmi e successivamente ci recammo insieme in commissariato. Lì incontrai il coinquilino avvocato, Mohamed El Sayed, che mi consegnò una fotocopia del passaporto di Giulio Regeni – ricordo che aveva con sé parecchie copie –, l'amica collega Noura Wahby, che aveva accolto Giulio Regeni al Cairo, e Gennaro Gervasio. I ricordi di quella sera sono in parte sfumati, ma ricordo bene che impiegai molte ore per poter finalmente sporgere formale denuncia e ottenere una copia della stessa. Fui fatto subito sedere in una sala di attesa insieme al resto del gruppo. “Appena un agente è libero, verrà da lei”, mi fu detto, ma l'attesa si protrasse per svariate ore e sistematicamente mi venivano fornite ragioni diverse, come che mancava il responsabile delle denunce, che tutti gli agenti erano impegnati in quel momento e che sarebbe stato meglio tornare il giorno dopo. A un certo punto tentarono anche di dissuadermi dallo sporgere denuncia formale. Ricordo che un agente mi disse: “Attenda qualche giorno. Sono passate in fondo solo 24 ore”. Rimasi. Non me ne andai. Dopo le mie crescenti resistenze e proteste, un agente acconsentì finalmente di mettere a verbale con denuncia formale la Pag. 176scomparsa di Giulio. Ci volle ancora una buona ora prima di ottenere una copia della denuncia. Anche in questo caso fu molto difficile ottenere quello che chiedevo, per ragioni che in quel momento non lasciavano presagire in nessun modo quello che avremmo saputo in seguito. Alla fine, intorno alle 3.00 di mattina, riuscii ad avere una copia autentica della denuncia, che inviai prontamente via e-mail all'ambasciatore e agli altri colleghi».(341)
  In relazione alla denuncia va altresì rilevato il fatto che, dopo la presentazione formale presso le autorità di polizia egiziana, è entrato in funzione all'Università di Cambridge l'iter di interessamento dell'assicurazione che prevedeva procedure di attivazione in casi di scomparsa e arresto all'estero.(342) Da quanto emerge dall'inchiesta l'assicurazione britannica si attiva da subito nelle ricerche del dottorando e contatta Noura Wahby la quale chiede di interessare anche l'ambasciatore britannico al Cairo per fare maggiori pressioni.
  Sin dai primi contatti con Gervasio nelle ore immediatamente successive alla scomparsa l'ambasciata ha, come già affrontato, attivato i canali dell'intelligence italiana e il ministro Mohamed El Assar, il quale garantisce a Massari di occuparsi in prima persona del caso e di provvedere a contattare tempestivamente il ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar. Per tutta la giornata del 26 gennaio i diplomatici italiani sono attivi nelle ricerche presso ospedali e obitori (come parimenti il 27). Il giorno 26 gennaio inoltre, dopo la presentazione della nota verbale al ministero degli Esteri egiziano, nell'ambasciata italiana viene attivato anche l'esperto e addetto per l'immigrazione del ministero dell'Interno italiano in forza alla missione diplomatica. Questi invia copia della suddetta nota verbale all'International Cooperation Committee della National Security – un comitato speciale con il quale ordinariamente si interfacciano tutti gli esperti per la sicurezza e di polizia delle Ambasciate in Egitto e mediante il quale si sviluppa tutta l'attività di cooperazione di polizia – e si interessa attraverso i suoi interlocutori in seno al ministero dell'Interno egiziano ed alla National Security per avere informazioni sulla sparizione. Il giorno 27 gennaio, dunque dopo l'avvenuta presentazione formale della denuncia di scomparsa perfezionata prima dell'alba, l'ambasciatore Massari sollecita i suoi interlocutori egiziani al ministero degli Esteri – in particolare l'allora viceministro per gli Affari Europei, l'ambasciatore Hossam Zaki – e contatta quelli al ministero dell'Interno con il primario intento di parlare con il Ministro Magdy Abdel Ghaffar – a partire dal capo di gabinetto del ministro sino al responsabile dei rapporti con l'Italia, il colonnello Shawkat –. Il ministro dell'Interno Ghaffar, nonostante la richiesta formale dell'ambasciatore e i ripetuti solleciti giuntigli attraverso i suoi collaboratori e il ministro Mohamed El-Assar, tuttavia non si rese disponibile né di persona né al telefono fino al 2 febbraio successivo. Pag. 177
  Nel corso delle prime 48 ore dalla scomparsa di Giulio Regeni la diplomazia italiana ha attivato tutte le risorse formali e informali al momento a disposizione, confidando per altro nell'eccellente rapporto bilaterale intrattenuto sino a quel momento tra le autorità egiziane e quelle italiane. Le diverse articolazioni di sicurezza egiziane, la National Security, la polizia e l'intelligence militare escludono che Giulio Regeni sia stato fermato o arrestato, anche in tutti i contatti avuti attraverso il responsabile dell'intelligence e del ministero dell'Interno in ambasciata. Di tutte queste attività e dello stato della situazione vengono costantemente informate dall'ambasciatore Massari le autorità a Roma. Il 28 gennaio si svolge una riunione in Procura al Cairo alla quale partecipa anche l'avvocato dell'ambasciata italiana, Salih Mohammed Abdel Monsif, per sollecitare l'attività investigativa tesa al ritrovamento dello scomparso.
  Una delle anomalie più evidenti riscontrate in quei giorni è proprio l'atteggiamento di ritrosia del ministro Ghaffar nell'evitare i contatti diretti con l'ambasciatore italiano. Da tutta la ricostruzione svolta sin qui è possibile con certezza affermare la consapevolezza del ministro degli Interni egiziano relativamente al caso di scomparsa del cittadino italiano Giulio Regeni almeno dal giorno 27 gennaio. Stride evidentemente la conoscenza degli eventi in corso avuta dal ministro Ghaffar relativamente alla vicenda della scomparsa del ricercatore, almeno sei o sette giorni prima dell'omicidio, con il rifiuto di incontrare l'ambasciatore Massari e soprattutto con il fatto che il ministro Ghaffar era l'autorità politica che sovrintendeva a cui pertanto riportavano direttamente i più alti funzionari essendo egli il vertice gerarchico – l'operato della National Security Agency, organismo coinvolto nel rapimento, la tortura e l'uccisione di Giulio Regeni secondo la ricostruzione della Procura della Repubblica di Roma.
  Naturalmente, la sensibilità dei diplomatici italiani portava a tenere in grande considerazione «i segnali d'ambiente» e le circostanze emergenti non solo dell'apparente assenza di notizie, ma soprattutto – al di là di una collaborazione formale e delle dichiarazioni d'intenti – della difficoltà sostanziale a ricevere risposte che non fossero ambigue dalle massime autorità egiziane. A tal proposito particolarmente icastico è la testimonianza di Davide Bonvicini: «L'attività dell'Ambasciata fino a quel momento era molto forte a testimonianza dell'intensità delle relazioni diplomatiche, politiche, sociali ed economiche fra i due Paesi. Il contrasto fra questo stato dei rapporti bilaterali e l'elusività delle risposte rispetto a Giulio Regeni, il dilazionare di fronte a una situazione per noi prioritaria, la reticenza, la mancanza totale di informazioni su Giulio, su dove fosse e l'episodio al commissariato, furono tutti elementi che iniziavano ad aumentare la nostra preoccupazione... In assenza di riscontri sulla ricerca in loco e sempre in raccordo con Roma, con cui eravamo in costante contatto a partire dall'ambasciatore Massari, fu deciso quindi di elevare a livello politico la pressione sulle autorità egiziane e preparammo il terreno per un contatto diretto fra ministri degli Esteri».(343)
  Estremamente chiara è la descrizione degli sviluppi che restituisce l'ambasciatrice Belloni a questa Commissione: «Fra il 30 e il 31 gennaio Pag. 178l'ambasciatore Massari sollecita ripetutamente l'allora assistant minister per gli Affari Europei del ministero degli Esteri l'ambasciatore Hossam Zaki e il consigliere della sicurezza nazionale Faiza Abou el-Naga, una stretta collaboratrice del presidente egiziano Al Sisi. Entrambi gli interlocutori, pur sottolineando come le autorità egiziane – in primis il ministero dell'Interno – fossero pienamente a conoscenza del caso, ribadiscono a Massari di non avere notizia alcuna circa il connazionale scomparso. Il 31 gennaio, l'allora Ministro degli esteri Gentiloni interviene personalmente sull'omologo egiziano Shoukry».(344)
  La consapevolezza del ruolo del ministro dell'Interno Ghaffar emerge ancora dalle parole dell'ambasciatore Massari che ricostruisce così i contatti intrattenuti in esito a giorni di pressioni e istanze: «Il 31 gennaio, cinque giorni dopo la mia richiesta, il viceministro degli esteri egiziano mi disse che il ministro dell'Interno mi avrebbe incontrato presto. Avevamo tra l'altro avuto conferma in quei giorni, attraverso i nostri contatti informali con l'American University of Cairo, che il ministro dell'interno era personalmente impegnato sul caso Regeni. Il 2 febbraio 2016, dopo ripetuti tentativi, ottenni finalmente un lungo incontro con il ministro dell'Interno Ghaffar, al quale sottolineai con fermezza la forte preoccupazione del Governo italiano, nonché il crescente interesse dei media e dell'opinione pubblica italiani e rinnovai l'appello affinché ogni sforzo fosse dispiegato per giungere a una rapida e positiva soluzione del caso. L'atteggiamento del ministro Ghaffar risultò evasivo. Malgrado la mia insistenza, il ministro disse ripetutamente di non sapere e di non disporre di informazioni. Il ministro non fornì alcun dettaglio sull'andamento dell'inchiesta o su possibili ipotesi circa la sparizione di Giulio. Fece soltanto un riferimento ai numerosi contatti con gli egiziani di Giulio, che erano al vaglio delle autorità egiziane. Chiesi con insistenza che, per l'Italia, riavere e rivedere Giulio Regeni era l'assoluta priorità e che contavamo per questo sulla massima collaborazione e impegno da parte delle autorità egiziane, in virtù anche degli stretti rapporti di amicizia fra i due Paesi, tra l'altro alla vigilia di una visita al Cairo di un ministro di Governo e di una missione di imprenditori italiana, a dimostrazione dell'intensità dei nostri rapporti. Nel tentativo di ottenere qualche indicazione sulla sorte del nostro connazionale, chiesi altresì al ministro dell'Interno un aggiornamento sullo stato delle indagini e sulle ipotesi investigative su cui le autorità egiziane stavano lavorando: Ghaffar mi rispose che dalle registrazioni delle videocamere, poste nelle stazioni della metropolitana, non risultava alcun passaggio di Giulio Regeni la sera del 25 gennaio, ribadì che tutte le ipotesi erano ancora sul tavolo e assicurò che tutte le informazioni che sarebbero state raccolte dai servizi di intelligence egiziani, che hanno una consolidata esperienza nella localizzazione di persone, sarebbero state condivise in modo trasparente con l'ambasciata».(345)
  Sebbene l'incontro dell'ambasciatore Massari con il ministro Ghaffar sembrasse poter essere – e lo si auspicava, anche nelle interlocuzioni avute a riguardo e in sua preparazione dall'intelligence italiana con le controparti – in qualche modo risolutivo della vicenda, la Pag. 179percezione avuta degli esiti della riunione deluse le aspettative ed accrebbe le preoccupazioni dei funzionari italiani.
  Un'aumentata inquietudine si registrava in quel 2 febbraio, con il passare dei giorni, anche nell'Università di Cambridge tanto che i docenti – la supervisor di Regeni in primo luogo – condividono la bozza di una dichiarazione di grande apprensione e vi è una mobilitazione per tentare di coinvolgere il ministero degli Esteri britannico o l'ambasciata britannica al Cairo nelle ricerche.(346) Sebbene il dottorando non fosse britannico, si prova a tentare «l'eccezione» per il fatto che è stabilmente residente nel Regno unito e dottorando presso una prestigiosa università inglese. Si suggerisce anche di premere sull'ambasciata italiana a Londra per avere notizie e, per converso, lì convogliare qualsiasi informazione che eventualmente potrebbero avere gli amici di Giulio. Maha Abdelrahman tenta di coinvolgere persone al ministero degli Esteri britannico e si rivolge via mail a Julian Huppert (politico e accademico britannico già membro del Parlamento per il collegio di Cambridge fino al 2015 – esponente del partito liberaldemocratico) ed a Daniel Stephen Zeichner (politico britannico membro in carica del Parlamento per il collegio di Cambridge dal 2015 – esponente del partito laburista). Nella giornata del 3 febbraio giunge alla docente anche la disponibilità del MESA CAF («Committee on Academic Freedom della Middle East Studies Association») a scrivere una lettera alle autorità egiziane in quanto anche loro sospettano che il regime abbia Giulio Regeni. Quel 3 febbraio alle 19.58 (ora di Londra), circa 20 minuti prima che le venga annunciato via mail da Rabab El Mahdi il ritrovamento di un corpo, la supervisor di Cambridge dava ancora contezza a Gervasio ed El Mahdi dei tentativi di mobilitazione nel governo britannico compiuti negli ultimi due giorni: «tutti – affermava – dicono che è una questione per il governo italiano». Conclude scrivendo di aver inoltrato una breve lettera al «Committee on Academic Freedom della Middle East Studies Association» e che la mobilitazione degli accademici potrebbe non essere la strada più efficace ma che è tutto quello che lei può fare.(347)

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6. IL RITROVAMENTO DEL CORPO DURANTE LA VISITA MINISTERIALE

6.1 «L'affinamento» della missione del MISE. Il colloquio Al Sisi-Guidi.

  Le relazioni diplomatiche e i rapporti politici ed economici tra Italia ed Egitto nel periodo in questione erano particolarmente intensi. Per l'inizio del 2016, nelle giornate del 3 e 4 febbraio, era stata organizzata una missione imprenditoriale al Cairo guidata dall'allora Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi. Si trattava di una delle frequenti visite all'estero del cosiddetto «Sistema-Paese». La missione era stata predisposta da tempo come emerge dalla chiara ricostruzione del ministro plenipotenziario Mario Cospito: «Venendo alla missione in Egitto dell'allora ministra Federica Guidi, per la quale svolgevo l'incarico di consigliere diplomatico, posso dire che era stata preparata da tempo e con grande attenzione. Gli allora buoni rapporti economici e commerciali, una serie importante di contratti e accordi in trattazione, alcuni contenziosi anche di natura commerciale che bisognava risolvere con una missione governativa, e l'ipotesi di un vertice intergovernativo Italia – Egitto che si sarebbe dovuto tenere nella successiva primavera, avevano portato alla decisione di inserire la missione in Egitto nel calendario delle missioni programmate per la ministra nella prima parte del 2016. A seguito poi di contatti con la nostra Ambasciata al Cairo e con la Farnesina decidemmo il suo svolgimento per le date del 3 e 4 febbraio del 2016. Come tutte le missioni all'estero, già nell'autunno del 2015 iniziò la procedura prevista in questi casi, con la richiesta di autorizzazione alla missione che veniva indirizzata a Palazzo Chigi, e per conoscenza alla Farnesina, e l'informativa alle associazioni, agli enti, alle aziende potenzialmente interessate a partecipare agli eventi aperti previsti dal programma».(348)
  Come sempre accade nelle missioni di natura commerciale, le aziende interessate a costituire la delegazione consegnarono in una riunione organizzata dal MISE la documentazione relativa alla portata dei loro interessi nel Paese di destinazione in modo da permettere agli uffici del ministero e dell'ambasciata di inquadrare i dettagli della visita e di stabilirne il programma.
  Riferisce ancora il ministro plenipotenziario Cospito innanzi a questa Commissione: «Poco prima della riunione – credo nei primi giorni di gennaio del 2016 – fui convocato alla Farnesina per la consueta riunione informativa che precedeva ogni missione all'estero di ogni consigliere diplomatico. Il programma venne così strutturato in due giornate. Il 3 febbraio si sarebbe svolto l'incontro più importante con il Presidente Al-Sisi, incontro che però fu incerto fino alla fine perché era prevista una sua contestuale missione all'estero. Solo negli ultimi giorni avemmo conferma dell'incontro con Al-Sisi, incontro che avrebbe dovuto prevedere una sessione aperta alla delegazione ufficiale e imprenditoriale, e un incontro ristretto. Il 3 pomeriggio si sarebbero svolti gli incontri che noi chiamiamo B2B (business-to-business), cioè imprenditore con imprenditore, quindi aziende italiane con aziende egiziane, seguiti poi dal Pag. 181classico ricevimento che ogni volta viene organizzato, spesso in Ambasciata, in occasione di missioni imprenditoriali di questo tipo. Il 4 febbraio erano stati programmati altri incontri con vari ministri e autorità, soprattutto commerciali, egiziane. Tutto sembrava scorrere nella normalità di questi eventi, quando verso il 27 o il 28 gennaio – non ricordo la data precisa – avemmo, noi del MISE, notizia della scomparsa di Giulio Regeni».

  In questo momento è possibile collocare l'inizio di un «affinamento» della missione del ministero dello Sviluppo economico che, considerati gli accadimenti in corso in Egitto relativi alla ormai acclarata scomparsa di un cittadino italiano, concordò opportunamente con il ministero degli Esteri le azioni al momento ritenute idonee alle circostanze. Esporrà così in Commissione il consigliere diplomatico Cospito in merito alle azioni intraprese al momento dell'arrivo della notizia della scomparsa del ricercatore al MISE: «nelle successive ore arrivarono anche a noi i rapporti preoccupati dell'ambasciatore Massari, e, di concerto con lui e con il ministero degli Esteri, si decise, alla luce degli sviluppi delle ore seguenti, di valutare eventuali passi della ministra Guidi con le più alte autorità egiziane. Passi che ci vennero poi formalmente richiesti alla vigilia della partenza, sia dalla nostra Ambasciata al Cairo, sia dalla Farnesina. Ricordo – ma potrei fare confusione con i contatti intervenuti nel corso della missione – che anche l'ufficio del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi era intervenuto al riguardo. Sulla base di tali sollecitazioni preparai una specifica nota alla ministra e ne discutemmo a lungo in aereo volando verso il Cairo».
  Anche le parole dell'allora ministra Federica Guidi a questa Commissione danno atto della preoccupazione delle articolazioni del Governo coordinatesi nei giorni della scomparsa del ricercatore per tentare un'azione congiunta: «Sono atterrata al Cairo il giorno 3 febbraio per una visita programmata da tempo, con finalità di sviluppo industriale, analoga a tante altre, con al seguito una cospicua delegazione di imprenditori di vari settori che andavano dalla ceramica all'acciaio, alla meccanica, perché l'Egitto, soprattutto in quel momento, rivestiva un particolare interesse strategico e industriale. Non ricordo se la sera prima di partire, o durante il volo che mi ha condotto al Cairo, il mio consigliere diplomatico, l'ambasciatore Cospito, mi fece un briefing sul fatto che era giunta notizia che qualche giorno prima un cittadino italiano, Giulio Regeni, era scomparso in condizioni ancora non chiare e non definite e che, durante i miei colloqui a tutti i livelli istituzionali, avrei dunque dovuto ricordare ai miei interlocutori quanto per il nostro Paese fosse importante avere chiarezza sulla sorte di questo ragazzo».(349)
  Il 3 febbraio, verso l'ora di pranzo intorno alle 13.30, si svolse la riunione plenaria presieduta dal Presidente Al-Sisi, con il primo ministro, diversi ministri e altre numerose autorità egiziane. Per l'Italia, oltre alla ministra, sedevano i vertici di enti pubblici, come l'Istituto per il commercio con l'estero, la SACE, la SIMEST e i rappresentanti di aziende del settore energetico, bancario, assicurativo, siderurgico e delle infrastrutture nonché di numerose piccole e medie imprese. A margine e prima della riunione plenaria, la ministra Guidi si intrattenne a colloquio riservato con il Presidente Al-Sisi in cui rappresentò Pag. 182la massima preoccupazione del Governo in merito alla scomparsa del ricercatore.(350)
  I dettagli e le impressioni di quell'incontro giungono a questa Commissione mediante le parole della stessa ministra: «appena atterrata fui condotta a tenere il primo incontro con il Presidente Al-Sisi, un incontro che era programmato – dopo ci sarebbe stato un incontro “aperto” alle delegazioni degli imprenditori ed egiziani. Durante questo incontro l'ambasciatore Massari e l'ambasciatore Cospito mi ribadirono la necessità di avere un momento di interlocuzione un po' più riservata con il Presidente Al-Sisi per reiterare la richiesta da parte del nostro Paese di avere una piena e totale collaborazione da parte sua nel trovare una soluzione o nel dare un'indicazione su quello che potesse essere successo a Giulio Regeni. [...] Insieme a me rimase solo l'ambasciatore Massari. [...] Al termine di questo incontro già programmato con il Presidente Al-Sisi, rimanemmo per qualche minuto da soli e io ovviamente gli chiesi il massimo sforzo per avere un aiuto nel ritrovare il nostro concittadino e il Presidente Al-Sisi mi diede ampie rassicurazioni. Ricordo questa frase: “Io personalmente farò tutto quello che è in mio potere per cercare di trovare”, non so se mi disse “una soluzione”, ma comunque disse che avrebbe dato una risposta su quello che era successo al nostro concittadino. Ricordo anche che mi disse: “La prego di portare questo messaggio anche al Presidente Renzi e al Ministro degli esteri Gentiloni”. Al-Sisi mi diede quindi personalmente una sorta di disponibilità da parte sua ad attivare tutti quelli che potevano essere gli organi istituzionali egiziani per arrivare il prima possibile a una definizione o a una soluzione di questa vicenda».(351)
  Relativamente all'incontro diretto tra il Presidente Al-Sisi e la ministra Guidi è stato possibile raccogliere le sfumature emotive di quel colloquio che, per amor di integrità si riportano qui al fine di trarne, per quanto possibile, il significato. Riferisce Federica Guidi in audizione: «posso dare un'impressione personale, personale, anche da mamma. Quando ho finito l'incontro nella mattina con il Presidente Al-Sisi non so il perché, glielo giuro, ma ho avuto la sensazione che qualcosa sarebbe successo e ovviamente non sapevo che cosa. Il mio auspicio era che questo ragazzo venisse ritrovato in condizioni del tutto diverse da come poi è stato ritrovato. La mia sensazione è che, nel dirmi ripetutamente Pag. 183per tre o quattro volte: “Darò la mia personale e totale adesione al fatto che l'Egitto, eccetera”, ho avuto la sensazione del tutto personale che qualcosa sarebbe successo. Non sapevo se sarebbe successo da lì a tre, quattro, cinque o sei ore oppure da lì a due o tre giorni. Non lo so. Le dico che – ripensando tante volte a questa vicenda, come dice lei, uscita da quel primo colloquio con Al-Sisi e quando lui mi ha seguita dopo, alla fine dei lavori pubblici, ribadendomi questa cosa – dentro di me ho pensato: “Probabilmente, potrebbe essere che qualcosa succeda”. Non avevo nessun tipo di informazione sul fatto che quello che sarebbe poi successo sarebbe stato un ritrovamento di quel genere. Ho avuto la sensazione che qualcosa avremmo saputo. [...] Le posso dire quella che è stata una sensazione personale da donna, da mamma, che va lì e che parla con un uomo, con il Presidente, ribadendogli quanto per noi fosse importante sapere che sorte avesse avuto questo nostro ragazzo; e quando lui mi ha detto: “Io mi impegnerò personalmente”, dentro di me ho avuto una sensazione del tutto personale, come un lampo, pensando: “Probabilmente, qualcosa sapremo”. Le dico la verità, speravo che quello che avremmo scoperto sarebbe stato del tutto diverso, perché pensavo che potesse essere un segnale».
  Dopo questo momento di dialogo riservato si tenne il previsto tavolo di confronto fra le due delegazioni di imprenditori italiani ed egiziani, presieduto da Al Sisi e dalla ministra Guidi, nel quale si affrontarono ipotesi di collaborazione e possibilità di sviluppo economico-commerciale. Dall'inchiesta emerge che anche nel successivo breve incontro tra la ministra Guidi e Al Sisi, intorno alle 15.30 al termine della riunione con la delegazione, il presidente rassicurò sul suo impegno personale e il suo atteggiamento fu tutt'altro che elusivo. Come nell'incontro precedente ascoltò con attenzione quanto detto dalla ministra.
  «Al termine di questa riunione – riferirà Federica Guidi alla Commissione –, nell'accompagnarmi verso l'uscita del palazzo e rimanendo da soli qualche minuto nei corridoi, il Presidente Al-Sisi mi riconfermò la sua totale e piena disponibilità a far sì che l'Italia avesse la giusta soddisfazione rispetto alla sorte del nostro connazionale».
  Dopo l'incontro al palazzo presidenziale, la missione imprenditoriale del MISE continuò con le attività previste in calendario. Nel pomeriggio vi fu un incontro circa le nuove possibilità conseguenti al raddoppio del canale di Suez e un incontro con alcuni operatori della logistica. Si continuò a svolgere un'agenda con le caratteristiche tipiche di una visita organizzata dal Ministero dello sviluppo economico.
  Si venne a sapere ex post che la mattina stessa del colloquio tra la ministra Guidi e il Presidente al Sisi, intorno alle 10.30, era stato ritrovato il corpo esanime e seviziato di Giulio Regeni.

6.2 Il ruolo decisivo dell'Ambasciatore d'Italia nel riconoscimento del cadavere e la scelta di interrompere la visita ministeriale

  La mattina del 3 febbraio 2016 viene ritrovato alla periferia del Cairo, lungo la strada che conduce dal Cairo ad Alessandria, il corpo senza vita di Giulio Regeni. Le autorità egiziane non ne danno immediata notizia all'Ambasciata d'Italia. Sarà solo poco prima delle 20.00 di quel giorno, durante lo svolgimento di un ricevimento in ambasciata Pag. 184in onore della ministra Guidi e della delegazione di imprenditori al seguito, che l'assistant minister per gli affari europei del ministero degli Esteri egiziano, l'ambasciatore Hossam Zaki (il quale, sin dal 27 di gennaio, per giorni era stato sollecitato al fine di avere notizie circa la scomparsa del ricercatore ed era tra gli interlocutori costanti dell'ambasciatore italiano), informerà ufficiosamente l'ambasciatore Massari del ritrovamento – poche ore prima in una zona periferica del Cairo – di un corpo di un giovane che sarebbe stato corrispondente a quello di Giulio Regeni. Riferirà in audizione l'ambasciatore: «poco dopo mi giunse notizia sul mio cellulare, dalla mia fonte egiziana non istituzionale dell'American University of Cairo, che mi informava che era stato effettivamente ritrovato il corpo di Giulio Regeni. Suggerii quindi al ministro Guidi, che ancora non era giunta in residenza, che, prima di recarsi al ricevimento, che era appena iniziato, di richiedere immediatamente alle autorità egiziane conferma ufficiale della morte di Giulio Regeni e spiegazioni delle circostanze del suo decesso, considerando che soltanto poche ore prima il nostro ministro aveva ricevuto rassicurazioni dal presidente stesso. Cercai invano di ottenere a nome del Governo italiano, e del ministro Guidi, tali conferme e spiegazioni da parte delle autorità egiziane. Ricordo che mi rivolsi immediatamente e con insistenza, oltre che al rappresentante del ministero degli Esteri egiziano presente al ricevimento, anche telefonicamente agli altri interlocutori istituzionali egiziani, inclusi gli uffici del presidente».(352)
  In quei momenti anche il responsabile dell'intelligence italiana al Cairo venne avvisato dall'ambasciata del doloroso rinvenimento e aggiornò il direttore dell'AISE che a sua volta interagì immediatamente e direttamente – intorno alle ore 20.00 – con il direttore del General Intelligence Service (GIS) per chiedere conferma del fatto che si trattasse di Regeni. Il generale Fawzi, direttore del GIS egiziano – il quale durante la medesima giornata del 3 febbraio aveva riferito al direttore dell'AISE Manenti di non avere alcuna notizia riguardo a Regeni e che ne avrebbe parlato con il presidente Al Sisi – comunicò che dalle descrizioni ricevute si poteva trattare del corpo del ricercatore. Benché non fosse stato affermato con certezza, il quadro notiziale sviluppatosi in quei momenti anche da tempestivi confronti tra l'intelligence e l'ambasciatore faceva propendere le autorità italiane presenti al Cairo per il peggiore degli scenari. Il direttore Manenti pertanto riferì alla linea gerarchica a Roma aggiornando il direttore del DIS (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza), Giampiero Massolo, ed ebbe modo di informare l'Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, Marco Minniti.
  La ministra Guidi si trovava ancora in albergo al momento della telefonata dell'ambasciatore Massari al diplomatico Davide Bonvicini che era nella hall dell'hotel in attesa di accompagnare l'autorità di governo al ricevimento. L'ambasciatore avvisava della presenza di novità importanti e chiedeva di attendere lì il suo arrivo. Giunto in hotel, l'ambasciatore informò la ministra Guidi di aver ricevuto ufficiosamente, poco prima nella residenza diplomatica, la notizia del ritrovamento nella periferia del Cairo del corpo di un giovane che avrebbe potuto essere quello di Giulio Regeni. Ricostruisce così quegli Pag. 185istanti Davide Bonvicini: «l'ambasciatore riferì alla ministra Guidi di aver cercato di ottenere ripetutamente, ma invano, una conferma ufficiale della notizia, oltre che dal rappresentante del Ministero degli esteri egiziano presente al ricevimento, anche telefonicamente dagli altri interlocutori egiziani, inclusa la presidenza. Poco dopo, l'ambasciatore Massari ricevette una telefonata da un suo contatto non governativo egiziano che lo informava della presenza del corpo di Giulio Regeni con segni di tortura all'obitorio di Zeinhome. A quel punto l'ambasciatore suggerì alla ministra Guidi di considerare di annullare il ricevimento e interrompere la visita».(353)
  Massari dunque informò la ministra Guidi e il suo consigliere diplomatico Cospito di aver saputo del ritrovamento del corpo di una persona deceduta che poteva essere lo stesso Giulio Regeni e sconsigliò alla ministra di partecipare al ricevimento in Ambasciata, pur non avendo ancora piena conferma che il corpo ritrovato fosse in effetti quello di Regeni. Così ricorda quei momenti Federica Guidi: «nel tardo pomeriggio, l'ambasciatore Massari mi chiamò, dicendomi: “Forse prima di andare all'Ambasciata, è meglio che passi da lei in albergo per informarla che abbiamo ricevuto un'informazione”. [...] L'informazione riguardava il ritrovamento di un corpo. In quel momento nessuno mi disse, e credo che nemmeno l'ambasciatore Massari ne avesse contezza, che quel corpo fosse il corpo di Giulio Regeni. [...] Quindi, l'ambasciatore Massari mi venne a parlare in albergo e mi disse di andare all'Ambasciata, cercando di evitare quel buffet che avremmo dovuto tenervi per agevolare i contatti tra gli imprenditori egiziani e italiani, perché se la notizia fosse stata confermata, era chiaro che tutto lo scenario sarebbe cambiato».(354)
  Giunti in Ambasciata, la ministra, il suo staff e l'ambasciatore restarono in una sala separata rispetto a quella del ricevimento e Massari ebbe continui contatti con i suoi interlocutori egiziani finalizzati ad ottenere conferme ufficiali della morte di Giulio Regeni e spiegazioni delle circostanze del suo decesso. Le valutazioni delle autorità italiane in quel momento presenti al Cairo assunsero da subito una rilevanza politica, oltre che tecnica legata alla gestione del tragico epilogo di giorni di ricerche.
  Così l'ambasciatore Massari identifica e ricostruisce con chiarezza le ragioni sottese alle scelte operate di lì a poco: «non avendo avuto risposta, riscontro a questa richiesta di ufficializzazione della morte del nostro connazionale e delle spiegazioni sulle circostanze del suo decesso, a quel punto suggerii al ministro Guidi di considerare di annullare il ricevimento e interrompere la visita. Ritenevo che continuare un evento sociale e una missione di business, quando un cittadino italiano era stato appena ritrovato morto in circostanze misteriose, con le autorità egiziane che, con ambiguità e imbarazzo, rifiutavano persino di ufficializzare la notizia, dopo otto giorni di nostra insistente ricerca di informazioni sulla sua sparizione, ritenevo fosse assolutamente incompatibile in primo luogo con il rispetto nei riguardi della vita di Giulio Regeni e della sua famiglia, che si trovava in quel momento al Cairo. La protezione dei nostri connazionali, ritengo sia il primo dovere, in assoluto, di un Pag. 186diplomatico all'estero, in qualsiasi posizione esso si trovi; ma si trattava, lasciatemelo dire, anche di una questione di rispetto nei confronti dell'Italia stessa. Assieme allo stesso ministro Guidi decidemmo di recarci dai genitori del ragazzo, che alloggiavano presso l'abitazione di Giulio Regeni a Dokki, per comunicargli personalmente la tragica notizia, e portare immediatamente le condoglianze del Governo italiano. Il ministro Guidi, di concerto con il nostro Governo a Roma, decise contemporaneamente di cancellare la visita in corso, e di fare immediato rientro in Italia. L'Ambasciata informò di tali decisioni le autorità egiziane con una nota verbale la mattina successiva, il 4 febbraio».(355)
  In ambasciata la ministra Guidi ebbe modo di contattare la Farnesina e di valutare con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e l'ambasciatrice Elisabetta Belloni – allora Segretario generale del Ministero degli Affari esteri – la sospensione della visita. La ministra Guidi esperì anche il tentativo di contattare il presidente Matteo Renzi, in quel momento non raggiungibile, per metterlo al corrente del fatto – rammenta la ministra – «che stavamo pensando di sospendere la visita di Stato, perché non ci sembrava opportuno continuare».
  Dopo un paio d'ore – ricorda Federica Guidi – «parlai anche con il presidente Renzi per informarlo della sospensione della visita di Stato, essendo un atto politicamente importante. Volevo informarlo. Gli avevo detto che la Farnesina, per il tramite dell'ambasciatrice Belloni, era d'accordo, che avevo parlato con il ministro degli Esteri di allora, Paolo Gentiloni, che era d'accordo. Gli dissi: «Sappi che io rientro» e lui mi chiese: «Ne siete sicuri?». Credo che gli dissi: «Matteo, la sicurezza non c'è, perché ovviamente non abbiamo avuto delle notizie ufficiali [del fatto che il corpo corrispondesse a quello di Giulio Regeni], ma il timore è forte. Quindi, è evidente che una delegazione di imprenditori italiani domani non si può presentare nei tavoli che avevamo previsto di tenere per fare valutazioni di carattere industriale ed economico con l'Egitto. Abbiamo quindi deciso di rientrare. Sappilo, perché io ho deciso di rientrare, d'accordo con la Farnesina e con l'ambasciatore Massari. Avendo sentito un po' tutti, sappi che noi sospendiamo la visita, che è un atto politico». Lui mi disse: «Bene. Fai bene. Rientra».(356)
  Ancora nell'indeterminatezza delle informazioni e tuttavia con il forte sospetto che quello ritrovato potesse essere il corpo di Regeni, ascoltata la Farnesina e il ministro Gentiloni, la ministra Guidi e l'ambasciatore Massari interrompono il ricevimento e comunicano agli interlocutori la probabile sospensione della visita di Stato.(357) Nella stessa sera, alle 22.30-23.00 circa, la ministra e l'ambasciatore Massari Pag. 187decisero di raggiungere i genitori di Giulio Regeni nell'abitazione del ricercatore a Dokki – dove alloggiavano temporaneamente – per recare la notizia, ancora non confermata, del ritrovamento di un corpo probabilmente corrispondente a quello del giovane studioso. Un paio di telefonate alla famiglia anticiparono l'arrivo delle autorità italiane e delle gravi comunicazioni.(358) L'ambasciatore Massari e la ministra, giunti sul posto, informarono quindi la famiglia degli accadimenti e dell'intenzione di sospendere la visita come primo e importante segnale politico, riferendo altresì le espressioni di vicinanza del Governo e avanzando l'invito a trasferirsi nella residenza dell'ambasciata per i giorni seguenti.
  Prima ancora di ricevere la conferma ufficiale che il rinvenimento riguardasse il corpo di Giulio Regeni, la ministra Guidi diede quindi disposizioni per la sospensione della visita e per il suo rientro immediato a Roma che avvenne durante quella notte, nelle primissime ore del 4 febbraio, a notizia tragicamente confermata.(359) Ricostruirà Mario Cospito: «restammo in albergo fino a notte fonda, poi ci recammo in aeroporto per rientrare a Roma. Viaggiavamo con un aereo di Stato e gli egiziani ci fecero attendere in pista a lungo prima della autorizzazione al decollo. Non ho dubbi che la nostra decisione di interrompere la missione non era stata affatto gradita dalle autorità locali e anche quella snervante attesa sulla pista dell'aeroporto ne fu forse un segnale».(360) Emergerà dai lavori di questa Commissione anche, effettivamente, un preliminare stupore da parte delle autorità egiziane per le immediate, significative e risolute azioni delle istituzioni italiane, tale da indurre a considerare una sottovalutazione della gravità dell'accaduto e di tutta la successiva gestione della vicenda da parte egiziana.
  Nel frattempo, la notizia aveva raggiunto anche la supervisor a Cambridge Maha Abdelrahman e Gennaro Gervasio. Alle 22.21 ora del Cairo (20.21 ora di Londra) la tutor egiziana Rabab El Mahdi scrive ai due docenti: «Hanno appena annunciato di aver trovato un corpo. C'era Pag. 188un ricevimento all'ambasciata un'ora fa e l'hanno interrotto annunciando la notizia. Mi è stato detto da qualcuno ora».(361)
  Dopo pochi minuti, alle 22.32 (20.32 ora di Londra), con una nuova mail El Mahdi riferisce gli aggiornamenti appena ricevuti da Massari: «ho appena chiamato l'ambasciatore che è stato informato in via ufficiosa e finora non sono stati in grado di ottenere alcuna conferma dalle autorità egiziane e nemmeno di vedere un cadavere. Chiamerò la sicurezza dell'AUC per usare le loro fonti. Speriamo che sia qualcun altro».(362)
  Dopo circa un'ora e mezza Maha Abdelrahman aggiorna la direzione del Centro studi di sviluppo scrivendo ai professori J Chang; G. Willis; P. Nolan; S. Fennel: «In attesa di conferme ufficiali ma l'ambasciata italiana crede che il corpo di Giulio Regeni sia stato rinvenuto questa sera».(363)
  In quei frangenti, tra l'arrivo delle prime notizie informali, l'interruzione del ricevimento in ambasciata e gli spostamenti in auto per raggiungere i familiari del ricercatore e rientrare in residenza, l'ambasciatore Massari continuava, come visto, a sollecitare conferme circa l'identità del corpo ritrovato e a tenere i contatti con Roma. Rievocherà Massari: «in quelle ore ebbi notizie, dalla stessa fonte dell'American University of Cairo, che Giulio Regeni si trovava presso l'obitorio centrale di Zeinhom, al-Mokattam, e che sarebbe stato opportuno andarlo a vedere al più presto, prima che fosse portato via dalle autorità egiziane per l'autopsia, facendomi indirettamente intendere che lo stato del suo corpo doveva essere in condizioni critiche. Chiesi ripetutamente l'autorizzazione ufficiale per visitare l'obitorio, autorizzazione che però non ottenni. D'intesa con Roma decisi quindi durante la notte, intorno all'una di notte, di recarmi in ogni caso presso l'obitorio con un carabiniere e il responsabile del ministero dell'interno dell'ambasciata. In quell'occasione potemmo visionare il corpo di Giulio Regeni e riscontrammo oggettivamente segni di violente percosse, abrasioni e torture su tutto il corpo. Una scena che ha lasciato una traccia indelebile della mia memoria. Il corpo, ci dissero dall'obitorio, era stato portato lì verso le 17.00 di quel pomeriggio da un'ambulanza proveniente dalla periferia del Cairo. Le autorità egiziane, come ho detto, non ritennero in quelle ore di informare l'ambasciata né di confermare il decesso».(364)
  Emerge nell'inchiesta della Commissione il ruolo decisivo dell'ambasciatore Massari nell'immediato riconoscimento, durante la notte e presso l'obitorio di Zeinhom, del corpo di Giulio Regeni. D'intesa con la Farnesina, l'ambasciatore si recò presso l'obitorio privo di permesso da parte delle autorità egiziane – alle quali pure era stato richiesto formalmente ma che non risposero, ignorando la richiesta – ed ebbe Pag. 189modo di constatare tempestivamente e prima degli esami autoptici le condizioni della salma del giovane ricercatore, riscontrando evidenti segni di tortura e percosse, appurando e qualificando uno stato di realtà dei fatti non più eventualmente mistificabile. Il corpo di Giulio Regeni visionato in obitorio era in una grande stanza, in terra e vicino ad altri cadaveri, privo di tutela alcuna delle prove materiali di quanto accadutogli. L'ambasciata provvide inoltre al formale riconoscimento – attraverso le informazioni preliminari e la foto recuperate al comune di Fiumicello dal nucleo dei Carabinieri dell'ambasciata, comunicate anche ai ministeri di Esteri e Interno egiziani nei precedenti giorni delle ricerche – presso l'Istituto di medicina legale, dove venne anche effettuata l'autopsia alle ore 10.00 dal medico legale egiziano Hazem Hosam Eldin Hosni che ne redigerà una relazione il 10 febbraio 2016, rilevando frantumazioni dei denti, abrasioni, ferite, fratture ed ematomi su tutto il corpo e riportando gli esami del laboratorio che informavano dell'assenza di tracce di uso di sostanze stupefacenti o alcool. Le parole di Massari dettagliano le prime azioni compiute dalle autorità italiane: «la mattina del 4 febbraio, su istruzione del mio Governo, consegnai personalmente al capo di gabinetto del ministro degli Esteri egiziano Shoukry, l'ambasciatore Seifeldin, una nota verbale contenente la richiesta dell'immediata ufficializzazione della notizia del ritrovamento del corpo di Giulio Regeni, nonché lo svolgimento di un'inchiesta esaustiva sulla tragica vicenda in cui fosse espressamente prevista anche la partecipazione di esperti italiani e, infine, la restituzione immediata della salma del nostro connazionale. Lo stesso giorno l'ambasciata provvide al formale riconoscimento della salma presso l'Istituto di medicina legale di Zeinhom dove i medici legali effettuarono l'autopsia confermando nel loro referto i segni di prolungata tortura sul corpo di Regeni. Su nostra insistente richiesta, la sera del 4 febbraio la salma di Giulio Regeni venne trasferita presso l'ospedale italiano, per essere poi rimpatriata il successivo 6 febbraio».
  Soltanto il 4 febbraio, giorno successivo al rinvenimento quindi, dopo il passo formale della nota verbale consegnata da Massari al locale ministero degli Esteri, ci fu l'ufficializzazione da parte delle autorità egiziane che quel corpo torturato fosse Giulio Regeni.

6.3 Ipotesi circa il ritrovamento (coincidenza/circostanza?)

  Il corpo di Giulio Regeni viene rinvenuto il 3 febbraio 2016, alle 10.30 circa, lungo la Desert Road Cairo-Alessandria, in corrispondenza del sottopasso Hazem Hassan, da parte dei passeggeri di un minivan (un taxi collettivo) che, a causa di una foratura, deve effettuare una sosta. I passeggeri scendono e vedono il corpo che era a contatto diretto del terreno (in posizione seduta e seminudo) con la schiena appoggiata ad un muraglione in cemento armato alto circa un metro e mezzo, che delimitava un'area, non frequentata, posta sopra il citato sottopasso. Il cadavere era stato abbandonato a circa due metri di distanza dal varco di accesso all'area. Queste sarebbero le circostanze del ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni secondo le dichiarazioni rese dal conducente Pag. 190 del minivan, peraltro non confermate dalle testimonianze dei passeggeri che non sono mai stati identificati ne sentiti(365).
  Ci si trova in un luogo desertico e privo di telecamere di controllo. A pochi chilometri di distanza vi è una caserma delle forze di sicurezza egiziane.
  L'interrogativo che ci si pone è riferito ai motivi che hanno portato a lasciare il corpo del ricercatore senza curarsi dell'eventualità che potesse essere successivamente ritrovato. Si possono al riguardo formulare diverse ipotesi.
  1. Il rinvenimento del corpo è un fatto eccezionale e inatteso, conseguenza di una catena di eventi non prevedibile: la foratura di uno pneumatico proprio all'altezza del cavalcavia, la necessità di un passeggero di recarsi dietro il muro di cemento. In realtà i perpetratori avrebbero voluto che il cadavere non venisse scoperto. Si tratta di un'ipotesi suggestiva, tuttavia l'Egitto è per la gran parte desertico e concentra il 95% della popolazione in un'area i cui confini si pongono a non più di 20 km dal Nilo e dal suo delta. Non mancano quindi possibilità di occultamento ben più sicure.
  2. L'ipotesi delle frizioni interne tra apparati dei servizi di sicurezza. Una delle ipotesi sul tavolo, riportata anche dalla stampa nazionale, è che la morte di Giulio Regeni sia l'esito non voluto, ovvero desiderato, di una competizione interna tra i tre apparati di sicurezza che si occupano di intelligence (National Security, General Intelligence Service, Military Intelligence Department) che farebbero a gara per accreditarsi verso il vertice politico. I crediti in parola sarebbero, chiaramente, le informazioni che gli apparati riescono ad acquisire e Giulio Regeni sarebbe rimasto vittima di una delle procedure non convenzionali(366) utilizzate per l'estrazione di informazioni. In tale ottica, il ritrovamento avrebbe lo scopo di inviare un messaggio che all'esterno risulta incomprensibile ma invece risulterebbe perfettamente chiaro ai destinatari. In questa direzione, una ipotesi è che l'intento fosse quello di danneggiare il servizio la cui caserma si trova non lontano dal luogo del rinvenimento.
  Questa ipotesi risulta avvalorata dalla recente divulgazione da parte del sito Disclose di documenti dell'Ambasciata di Francia al Cairo in cui si fa stato della latente conflittualità tra i servizi di sicurezza egiziani e si menziona espressamente la morte di Giulio Regeni come una possibile conseguenza di tale situazione.
  3. Si intendeva danneggiare i rapporti privilegiati tra Italia ed Egitto: questa è la tesi prevalentemente riportata dalle autorità e dai media egiziani vicini al regime. L'idea è che la concomitanza, effettivamente sospetta, dell'importante missione commerciale, guidata dal ministro dello Sviluppo economico italiano dell'epoca, e il rinvenimento del cadavere sarebbe stata frutto non di una circostanza casuale. Su chi poi sia stato a ordire e poi a mettere in atto un simile piano né i media né le autorità di governo egiziane hanno mai fornito indicazioni, riferendosi a generiche «potenze straniere». Ora, se non si può obiettare riguardo agli indubbi vantaggi competitivi che l'assenza di dialogo tra Italia e Egitto ha fatto conseguire alle nazioni che si Pag. 191contendono le considerevoli commesse in armamenti e investimenti infrastrutturali della nazione araba, ci si chiede come mai l'Egitto, che evidentemente beneficiava anch'esso del rapporto preferenziale con l'Italia, non abbia fatto tutto il possibile per arrivare a smascherare il complotto, ma abbia anzi remato costantemente contro gli sforzi profusi per l'accertamento della verità. A margine appare altresì appena il caso di sottolineare che gli inquirenti italiani hanno accertato, allo stato degli atti, la responsabilità degli apparati di sicurezza egiziani nel sequestro e nelle torture inflitte a Giulio Regeni.
  4. È un messaggio rivolto agli occidentali, studiosi e giornalisti, che interferiscono in ambiti che la nazione araba ritiene sensibili per la propria immagine. Anche questa ipotesi appare suggestiva, tuttavia ci si chiede se non sarebbe stato più funzionale accusare uno straniero di una condotta criminale per poi imbastire un processo pubblico, come d'altronde abbiamo visto accadere in tutte quelle nazioni ove vi è un regime autoritario. L'abbandono di un corpo torturato, che lascia aperte molteplici ipotesi interpretative non sembra essere il metodo migliore per raggiungere il risultato che tale ipotesi vuole suggerire. Tra l'altro perché scegliere uno straniero cittadino della nazione più vicina ai loro interessi, con il rischio di subirne le conseguenze?
  5. Il corpo di Giulio Regeni è stato fatto ritrovare volontariamente dalle autorità egiziane, affinché familiari ed amici potessero piangerlo e seppellirlo, nell'intento di chiudere in tal modo il caso diplomatico. Sostiene questa ipotesi un ragionamento di carattere culturale, tipico della mentalità egiziana, ma anche più generalmente mediterranea.

7. LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA CON L'EGITTO

7.1 Questione dell'assenza del trattato bilaterale e rilievi consuetudinari

  Come osserva la Procura della Repubblica di Roma, nel caso in esame tutte le condotte sono state poste in essere in danno di un cittadino italiano all'estero, da parte di stranieri.
  Occorre precisare che l'ordinamento giuridico italiano riconosce la competenza dei propri organi giurisdizionali quando il reato sia stato commesso nel territorio dello Stato(367) o quando anche solo parte dell'azione o dell'omissione, o la mera realizzazione dell'evento sia avvenuta in Italia(368).
  Per i delitti commessi all'estero una previsione specifica del codice penale italiano(369) consente alla nostra autorità giudiziaria di procedere quando ricorrano tre condizioni concorrenti: deve trattarsi di un Pag. 192delitto per il quale la legge italiana stabilisce l'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno; il reo si deve trovare nel territorio dello Stato italiano e infine, il Ministro della giustizia deve depositare la richiesta di procedere.
  La prima delle condizioni è certamente soddisfatta, dato che le previsioni del codice penale che individuano le condotte di chi si rende responsabile di un sequestro, di atti di tortura e di un omicidio prevedono pene che rientrano tra i parametri individuati dalla norma. Per le restanti, si deve osservare che sin dall'avvio del procedimento nessuno dei soggetti successivamente iscritti sul registro degli indagati si è mai trovato fisicamente nel territorio nazionale e che la richiesta del Ministro della Giustizia è stata depositata il 23 marzo 2016.
  La Procura, pertanto, ha incardinato la propria giurisdizione su di un'altra norma del codice penale che prevede che sia punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero reati per i quali una convenzione internazionale stabilisca l'applicabilità della legge penale italiana(370).
  Si deve osservare che all'epoca dei fatti (e così è ancora oggi), non vi era una convenzione bilaterale che regolasse i rapporti tra l'autorità giudiziaria italiana e quella egiziana, benché un trattato fosse in avanzata fase di negoziazione.
  In assenza di uno specifico accordo bilaterale di cooperazione giudiziaria, si deve necessariamente far ricorso ad altre norme del diritto internazionale. Si tratta di norme che possono avere natura consuetudinaria ovvero convenzionale.
  La consuetudine è fonte di diritto nei rapporti tra Stati sovrani e, tra le varie norme, al caso di specie possiamo astrattamente applicare(371): le norme consuetudinarie sulla protezione degli stranieri e due norme di ius cogens, ossia poste al vertice della gerarchia delle fonti consuetudinarie, quella riferita alla protezione della vita e quella concernente il divieto di tortura.
  Nel campo delle norme derivanti da trattati la nostra attenzione si indirizza ai trattati multilaterali sottoscritti sia dall'Italia, sia dall'Egitto. L'opinione dei giuristi auditi è che l'unico trattato che legittimi al riguardo un'azione diplomatica e giudiziaria (anche concorrenti) sia la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti(372).
  Senza entrare in una lunga, seppur interessante, disquisizione sul contenuto delle norme indicate basti precisare che, qualora un ordinamento nazionale non riconosca al proprio ramo giudicante una giurisdizione «universale» (come l'ordinamento italiano) la procedura per rilevare le violazioni alle norme consuetudinarie investe l'ambito dei rapporti tra ordinamenti sovrani, ossia tra stati e, pertanto, non può essere azionato autonomamente dalla magistratura. Pag. 193
  Tornando alla legittimazione della nostra magistratura ad esercitare la propria azione, la convenzione internazionale che viene presa a riferimento dagli inquirenti è la citata Convenzione contro la tortura che vede tra gli Stati che hanno depositato la dichiarazione di adesione sia l'Egitto che l'Italia, che vi ha dato esecuzione con la legge n. 489 del 3 novembre 1988.
  La normativa prevede che «è punito, secondo la legge italiana» lo straniero che commette all'estero un fatto costituente reato che sia qualificato atto di tortura dall'articolo 1 della Convenzione(373) in danno di un cittadino italiano(374).
  L'organo inquirente italiano ha quindi sviluppato il proprio ragionamento sulla giurisdizione partendo dalla tesi per cui un atto qualificato dalla Convenzione come tortura(375), commesso all'estero da uno straniero ai danni di un cittadino italiano, debba essere ex art. 7 c.p. perseguito in Italia sulla base della sola richiesta del Ministro della Giustizia quando integri la fattispecie di sequestro di persona, lesioni o omicidio. La Procura della Repubblica di Roma ha poi ulteriormente argomentato circa i profili della competenza, ossia di quale tra i giudici nazionali fosse titolato a gestire il procedimento. Secondo la norma di legge «se il reato sia commesso interamente all'estero la competenza sia determinata successivamente dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato»(376). In questo caso non era possibile determinare la competenza nei modi indicati e, pertanto, ai sensi dell'allora comma 2 della medesima norma venne individuato il giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico Pag. 194ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro degli indagati, ossia Roma(377).

7.2 Arrivo del team investigativo nell'ambito della cooperazione di polizia

  Il primo degli atti di cooperazione tra Italia ed Egitto che viene posto in essere è rappresentato dalla formazione del team investigativo «congiunto». La sera del 5 febbraio 2016 una squadra di sette appartenenti alla polizia giudiziaria italiana, composta da personale del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato e del Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri giunge al Cairo. Il loro invio in Egitto è frutto dell'azione del Ministro degli Esteri pro tempore, Paolo Gentiloni, che fece pressioni in tal senso sull'omologo egiziano dopo averne discusso col Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Si tratta del primo passo, intrapreso quello stesso 3 febbraio dalle nostre autorità, immediatamente dopo aver saputo del rinvenimento del corpo di Giulio Regeni: «...concordai con il Presidente del Consiglio Renzi di rivolgere alla autorità egiziane la più ferma richiesta di accertamento della verità sull'assassinio anche attraverso il riconoscimento di un ruolo italiano nelle indagini tramite un pool congiunto»(378).
  Si tratta di investigatori esperti provenienti dai reparti di eccellenza delle rispettive amministrazioni, abituati ad operare in contesti ostili che, tuttavia, dovranno svolgere le proprie attività con il limite importante rappresentato dall'essere del tutto privi dei poteri autoritativi di indagine che caratterizzano la loro azione sul territorio nazionale. In sostanza non compiono direttamente atti di indagine, come avviene in taluni casi nell'ambito della cooperazione europea di polizia. Non si tratta, in sostanza, di un pool investigativo ove gli operatori della polizia giudiziaria egiziana e quella italiana operano in condizioni di parità. I nostri investigatori possono solo chiedere ai loro omologhi locali di effettuare le attività che ritengano utili, invitare soggetti presso gli uffici dell'ambasciata italiana – affinché possano essere sentiti senza la presenza degli operatori di polizia locali che potrebbero compromettere la genuinità dei teste –, chiedere di essere accompagnati in luoghi specifici (luogo del rinvenimento del cadavere, appartamento di Giulio Regeni), ma non possono compiere atti giuridicamente efficaci nel procedimento penale incardinato presso il Tribunale di Roma e, soprattutto, sono privi di quella libertà di movimento e iniziativa che caratterizza l'azione investigativa. A fronte di tali limitazioni, tuttavia, gli stessi investigatori attestano che la controparte egiziana ha sempre accolto le richieste formulate, ma è evidente che il rapporto di sostanziale soggezione alla loro disponibilità ha di fatto reso la cooperazione tra gli organi di polizia un mero atto formale e privo dei contenuti di efficacia sostanziale che avrebbe invece avuto in un contesto disciplinato da accordi pattizi vincolanti, quale è quello europeo.
  I nostri investigatori vengono ricevuti dal personale dell'ambasciata la sera stessa del loro arrivo in Egitto. Lì vengono aggiornati sulla base Pag. 195delle informazioni e delle notizie nella disponibilità sia della rappresentanza diplomatica(379), sia dei funzionari dei servizi di informazione e sicurezza italiani.
  Il giorno successivo vi è il primo contatto con i rappresentanti delle forze di sicurezza egiziane. Si tratta, nelle descrizioni dei due referenti dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia di Stato, di una riunione formale, cui partecipano oltre ad ufficiali generali e alti funzionari della polizia e della National Security anche rappresentanti delle autorità di governo egiziane.
  In quella sede viene fornita la massima disponibilità alla cooperazione che tuttavia, già dagli esordi, si comprende essere sottoposta a vincoli condizionanti. Il nostro personale, infatti, fatta esclusione per le saltuarie riunioni con i team investigativi egiziani (uno del Commissariato della polizia di Dokki e un secondo della National Security), non ha la possibilità di operare fianco a fianco con gli investigatori locali ma si relaziona con essi per il tramite di un ufficiale di collegamento.
  Viene quindi sollecitamente chiesto alla controparte egiziana di fornire gli esiti delle richieste anticipate tramite canale Interpol(380) e già nella prima riunione, tenutasi il 7 febbraio, gli investigatori egiziani forniscono un'informazione che non troverà mai riscontro in elementi oggettivi: essi affermano che non vi sia traccia di Giulio Regeni nei video della metropolitana del Cairo, affermazione (anticipata dal ministro Ghaffar all'ambasciatore Massari nel noto colloquio del 2 febbraio) che non sarà mai contestabile poiché la richiesta di acquisizione di immagini viene effettuata solo il 13.02, oltre il termine fisiologico di 15 giorni dopo il quale le nuove immagini sovrascrivono le precedenti, mente il sequestro dei server su cui sono conservate le registrazioni video viene perfezionato solo il 3.03.2016. Tale circostanza, che in sé considerata potrebbe essere asetticamente ascritta al campo delle gravi negligenze, essendo il sequestro dei supporti digitali un'attività che qualunque operatore di polizia dotato di un livello minimo di competenza avrebbe compiuto di iniziativa, rileva ai fini della valutazione della genuinità del rapporto di cooperazione. La richiesta di acquisizione di quei file, infatti, è una delle prime formulate sia tramite il canale Interpol sia direttamente dagli investigatori italiani presenti in loco e si comprende quanto fosse vitale alla luce delle informazioni che l'autorità egiziana fornirà il successivo 2 marzo, dalle quali emerge che il cellulare di Giulio Regeni ha agganciato per l'ultima volta la rete connettendosi al ripetitore che copre una stazione della metropolitana, quella di Dokki che, inoltre, non è agganciabile se non dalla metropolitana stessa(381). Ci si chiede quindi quale valore effettivo possa essere dato ad una cooperazione che già dal primo incontro è viziata da informazioni incomplete ovvero fuorvianti, atteso che Giulio Regeni Pag. 196non poteva non trovarsi nelle immagini riprese quel giorno dal sistema di videosorveglianza.
  Tale episodio dà quindi la misura dell'effettiva cooperazione investigativa che è stata voluta fornire al nostro Paese, che ha limitato l'efficacia dell'azione dei nostri operatori che, seppur in tale regime di costrizione sono riusciti a fornire comunque contributi fondamentali, tra cui l'ascrivere al campo dei depistaggi gli eventi del successivo 24 marzo, in cui rimasero uccisi cinque individui strumentalmente incolpati del sequestro e dei maltrattamenti subiti da Giulio Regeni, episodio che secondo l'interpretazione data investigatori locali avrebbe dovuto chiudere definitivamente il caso(382).
  La perseveranza con cui i nostri investigatori, già la sera stessa del 24 marzo e per la restante settimana della loro permanenza, hanno chiesto riscontri oggettivi rispetto a tale evento ha sancito la fine della cooperazione diretta tra le forze di polizia, rivelandone la funzione meramente notarile di certificazione del valore dell'impegno delle istituzioni egiziane che, nelle loro intenzioni, avrebbe dovuto svolgere.
  Il 31.03.2016 la nostra squadra di investigatori si imbarca definitivamente per l'Italia. Ridimensiona significativamente la reale portata della cooperazione fornita ai nostri investigatori quanto affermato da uno dei due funzionari italiani membri del team investigativo che ha apertamente riconosciuto che tutti i contributi significativi da parte egiziana, fatta eccezione per i tabulati telefonici di Giulio, sono pervenuti tramite il canale della cooperazione tra le due procure e non tramite quella di polizia. Completa il quadro la netta percezione degli operatori italiani di essere controllati anche nei movimenti privati ed in particolare nelle camere d'albergo.

7.3 Avvio dei rapporti tra magistratura italiana ed egiziana

  Il primo contatto tra le due magistrature è di natura formale e riguarda la prima rogatoria inoltrata alla Procura generale egiziana il 10 febbraio 2016.
  Il Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, tuttavia, non ha gestito in maniera burocratica il rapporto con l'omologo egiziano, verosimilmente temendo che l'assenza di un trattato bilaterale che disciplinasse il regime di cooperazione giudiziaria non avrebbe consentito di conseguire i risultati voluti. Il caso era già eccezionale, sia per la risonanza pubblica che l'efferato omicidio del nostro connazionale aveva suscitato nei sentimenti della nazione sia per la pressione sin dall'inizio molto sostenuta della famiglia del ricercatore supportata dall'opinione pubblica. Il procuratore Pignatone, tenendo conto delle dinamiche relazionali che caratterizzano i paesi mediterranei, reputa necessario instaurare un rapporto diretto tra i vertici delle due procure e si reca al Cairo col pubblico ministero titolare dell'inchiesta. Il 14 marzo 2016, al termine dell'incontro, la Procura generale egiziana diffonde un comunicato stampa congiunto: Pag. 197«il Procuratore Generale della Repubblica Araba d'Egitto ha ricevuto nel suo ufficio, su suo invito, il dottor Giuseppe Pignatone, Procuratore capo di Roma, e il dottor Sergio Colaiocco, sostituto Procuratore, per un incontro finalizzato a discutere della morte del cittadino italiano Giulio Regeni. Durante l'incontro – prosegue la nota – entrambe le parti si sono scambiate importanti informazioni riguardo il caso Regeni. Vi è stato uno scambio reciproco dei punti di vista riguardanti l'indagine e si è concordato che questa sia condotta col massimo impegno. Entrambe le parti hanno, inoltre, convenuto di incrementare la loro collaborazione, diretta ad arrivare a prove concrete e ad arrestare i colpevoli. Il Procuratore egiziano ha chiarito alla sua controparte italiana che le indagini egiziane proseguiranno sotto la sua diretta supervisione. Gli italiani, da parte loro, si sono offerti di assistere l'ufficio incaricato in Egitto con informazioni riguardo l'accaduto. Fatto, questo, che è stato molto apprezzato dall'ufficio egiziano
  Sul piano pratico l'incontro vede due aspetti principali venire in rilievo, una apparente iniziale apertura con l'illustrazione da parte del Procuratore generale egiziano Nabil Sadeq delle prime risultanze probatorie acquisite dagli inquirenti e una correlata richiesta di supporto nell'acquisizione di testimonianze di persone che erano rientrate in Italia. Dall'altro, si assiste ad un primo tentativo, cosciente o meno, sia di sostenere tesi di comodo che giustificassero l'inumana fine di Giulio Regeni sia di equiparare la vicenda dello studioso italiano a quella di un egiziano scomparso in Italia
  Emerge quindi per la prima volta sia la narrativa del testimone che avrebbe visto un uomo delle fattezze di Giulio Regeni litigare con uno straniero nei pressi del Consolato d'Italia al Cairo il giorno antecedente la sua scomparsa (circostanza falsa, come meglio dettagliato infra) sia l'assurda equiparazione della vicenda di Giulio Regeni a quella della scomparsa di un cittadino egiziano emigrato in Italia, che ha trovato, comunque, una puntuale e sollecita risposta(383).
  Il procuratore Pignatone, dal canto suo, rilanciava chiedendo che fossero forniti con la massima celerità possibile gli elementi richiesti con la rogatoria di più di un mese prima e in particolare quegli atti dell'indagine egiziana non ancora inviati, tra cui i tabulati e il traffico delle celle telefoniche delle zone di interesse(384). In quell'occasione illustrava, inoltre, i risultati dell'autopsia effettuata dai medici legali italiani che evidenziava come Giulio Regeni fosse stato sottoposto a torture prolungate nel tempo i cui segni lesivi erano compatibili con Pag. 198quanto descritto, secondo uno studio medico-legale egiziano, come tipico del modus operandi locale di torturare gli arrestati(385).
  L'incontro è una prima presa di contatto diretto tra i vertici degli uffici giudiziari investiti della sensibile indagine, ma già emergono alcune delle difficoltà che caratterizzeranno, a fasi alterne, le relazioni tra gli inquirenti fino alla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli appartenenti agli apparati di sicurezza egiziani del dicembre 2020 che, allo stato, costituisce il prodromo della conclusione dei rapporti di cooperazione tra le due procure.
  A riprova di ciò, pochi giorni dopo l'incontro, il 21 marzo 2016, la procura italiana si trovava costretta a sollecitare, nuovamente, gli atti richiesti con la rogatoria del 10 febbraio precedente avendo già, da parte sua, provveduto ad inoltrare quanto richiesto da parte egiziana(386).

7.3.1 La fase positiva del dialogo

  In generale possiamo affermare che, benché la cooperazione abbia conosciuto fasi alterne, essa si sia realizzata solo nella stagione in cui la gestione dell'ufficio della procura generale egiziana dipendeva dal procuratore Sadek. Con l'avvicendamento al vertice della procura egiziana del settembre del 2019, infatti, il subentrato procuratore Hamada Al Sawi non ha dimostrato alcuna volontà di cooperare.
  Una delle fasi più proficue ai fini delle acquisizioni probatorie, a detta degli inquirenti italiani(387), è quella dell'autunno del 2016, coincidente con il periodo in cui l'Italia aveva richiamato l'ambasciatore.
  In quel primo anno si tengono ben cinque incontri tra gli appartenenti ai due uffici giudiziari, cui partecipano anche i funzionari dei due team investigativi (13-14 marzo, 7-8 aprile, 8-9 settembre, 1° novembre e 6-7 dicembre, tenutisi alternativamente al Cairo e Roma).
  Fatta eccezione per i primi due e per la grottesca vicenda del conflitto a fuoco della polizia con la presunta banda di rapinatori egiziani, con l'incontro del settembre di quell'anno –a partire dal quale non partecipano più funzionari della National Security – iniziano a pervenire documenti di assoluto rilievo. Tra essi ricordiamo: la relazione sull'esame del traffico delle celle dell'area della scomparsa e del rinvenimento del corpo; la conferma ufficiale da parte della polizia e della National Security circa la ricezione di una denuncia a carico dello studioso italiano il 7.01.2016 e della successiva declaratoria di non pericolosità da parte della NSA, dopo tre giorni di accertamenti; l'impegno a proseguire le indagini ritenendo che quanto emerso sul gruppo di presunti rapinatori rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con la polizia il 24 marzo precedente fosse privo di indizi certi che ne individuassero le responsabilità nel sequestro di Giulio; i nominativi degli ufficiali coinvolti nel citato conflitto a fuoco e nel successivo blitz in cui erano stati rinvenuti i documenti e i tabulati del traffico telefonico dei loro telefoni cellulari; i tabulati del traffico telefonico degli appartenenti alla banda dei presunti rapinatori; i verbali delle Pag. 199testimonianze rese dal sindacalista Said Abdallah, tra cui quello più significativo redatto nel maggio precedente; si raggiungeva un preliminare accordo per l'imputazione al bilancio del Ministero della Giustizia italiano degli oneri derivanti dalla perizia da affidare ad una ditta tedesca per l'estrazione dei video della metropolitana del Cairo (pari a circa 100.000 €). A margine, a fronte della tardività nella consegna del verbale di interrogatorio del sindacalista (redatto in data persino antecedente alle riunioni di settembre e novembre), il Procuratore della Repubblica di Roma chiedeva che gli atti di indagine prodotti dagli inquirenti egiziani venissero condivisi non solo a seguito di specifica richiesta dei magistrati italiani ma anche di iniziativa, non essendo possibile «vaticinare» il loro compimento da parte egiziana.
  Tale richiesta, tuttavia, non verrà mai realmente presa in considerazione, nonostante un'apparente apertura da parte del procuratore Sadek. Probabilmente, ipotizza la procura italiana, o non sono stati effettuati ulteriori atti rilevanti di indagine di iniziativa dopo quell'incontro o gli inquirenti egiziani hanno limitato la propria attività a quelle richieste con rogatoria da parte italiana(388).
  Una coda della proficua cooperazione osservata nell'autunno del 2016 si ha nel mese di maggio 2017 – sempre in assenza dell'ambasciatore italiano dall'Egitto – quando, in occasione di un incontro tra gli inquirenti tenutosi al Cairo, i magistrati italiani entrano in possesso di ulteriori tabulati di traffico telefonico, richiesti con rogatoria internazionale il precedente 8 marzo. Da essi si ricostruiva il ruolo del coinquilino di Giulio Regeni, l'avvocato Mohammed El Sayyed, nella rete di controllo predisposta intorno lui.
  Quello che è probabilmente da intendersi come l'ultimo momento di reale condivisione degli atti di indagine tra i due uffici risale all'agosto del 2017 e, più precisamente, al giorno 14. In quella data, infatti, nonostante cada in un periodo in cui notoriamente le istituzioni sono meno attive, si concentrano una serie di eventi a catena, di assoluta rilevanza che si rivelano prodromici al ritorno al Cairo dell'ambasciatore italiano. Il procuratore egiziano trasmette otto verbali di interrogatorio redatti anche nei confronti di alcuni dei funzionari delle forze di sicurezza egiziane sospettati di essere coinvolti, a vario titolo, nella vicenda (richiesti con la citata rogatoria di marzo). In particolare pervengono alla procura romana i verbali redatti a carico del maggiore Sharif, del colonnello Helmi, del colonnello Kamel, del colonnello Hendy, di Ala Bashandi, di Hani Mahfouz, di Tarek Ali Saber, e di Mohamed Aiman Abdeltawab Sulaiman.
  Contestualmente al ricevimento della documentazione, veniva diffusa una nota congiunta delle due procure in cui si dava atto della fattiva collaborazione da parte egiziana. Quello stesso giorno il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale pro-tempore, Angelino Alfano, annunciava che alla luce dei positivi sviluppi intercorsi tra le due procure, il Governo aveva deciso di inviare nuovamente l'ambasciatore italiano al Cairo. La coincidenza temporale suggerisce di chiedersi se questo ultimo atto di cooperazione non sia stato preordinato ad ottenere il risultato del ritorno dell'ambasciatore italiano al Pag. 200Cairo, figura ovviamente chiave nelle relazioni politiche ed economiche tra i due Stati.
  Nel mese di dicembre del 2017, il 21 per l'esattezza, i magistrati italiani si recano al Cairo e consegnano agli omologhi egiziani una informativa riassuntiva degli esiti delle indagini effettuate dal team di investigatori italiani. Si tratta di una nota essenziale, di venticinque pagine, nella quale si delineano le responsabilità di nove appartenenti agli apparati di sicurezza egiziani nel sequestro di Giulio. La richiesta della procura italiana è di approfondire quanto descritto nella nota. Il procuratore generale egiziano, Nabil Sadek ringrazia e si impegna a valutare e ad approfondire le risultanze fornite(389). In quella sede, inoltre, lo stesso procuratore generale egiziano comunicava che il tormentato iter per l'individuazione di una ditta che potesse estrapolare i video della metropolitana era terminato con l'affidamento dell'incarico ad un'azienda specializzata ucraina, ribaltando le precedenti intese al riguardo volte a coinvolgere una ditta tedesca(390). In realtà, l'effettiva estrazione dei dati, che si rivelerà inconcludente ai fini della ricostruzione dei movimenti di Giulio Regeni quel fatidico 25 gennaio, avverrà quasi sei mesi dopo, nel maggio del 2018.
  Quasi un anno dopo, il 27 e il 28 novembre del 2018, si tiene l'ultimo incontro in presenza tra le autorità giudiziarie dei due paesi. La riunione, inizialmente presieduta da un sostituto procuratore della procura egiziana, si apre con la dichiarazione che le risultanze delle indagini depositate dalla procura romana nel dicembre dell'anno precedente non recavano sufficienti elementi probatori per poter avviare indagini a carico dei funzionari delle forze di sicurezza egiziane. Inoltre, gli inquirenti egiziani presentavano alcune richieste volte a indagare sui motivi, a loro dire non trasparenti, per cui Giulio Regeni si trovava in Egitto. Le richieste egiziane rimettevano in gioco la figura del ricercatore che gli inquirenti italiani ritenevano di aver ampiamente dimostrato essere al di sopra di qualunque sospetto e, pertanto, vennero ritenute irricevibili provocando l'interruzione della riunione. L'incontro riprendeva alla presenza e con l'intervento del procuratore generale Sadek, come richiesto dalla parte italiana. Il vertice della struttura inquirente egiziana rassicurò nuovamente sulla sua volontà di proseguire nel rapporto di cooperazione costruttiva tra le due procure.
  A tali dichiarazioni, tuttavia, non seguirono fatti concludenti, poiché da allora non sono più giunti atti ai nostri magistrati(391).

7.3.2 La seconda faccia della cooperazione, il dialogo apparente.

  Ci si deve interrogare a questo punto su quale sia stata la reale portata della cooperazione giudiziaria tra le due procure. Sappiamo essersi trattato di una cooperazione «speciale»(392), nel significato strettamente giuridico del termine, ossia riferita ad un singolo caso. Sappiamo anche che si è basata sulla mera volontà delle parti di Pag. 201cooperare, altrimenti definibile «cortesia», e quindi, secondo il principio cardine che regola tali rapporti di diritto internazionale, sulla reciprocità di trattamento.
  Alla luce di quanto sopra come inquadrare taluni degli episodi che non possiamo non qualificare quali sconcertanti, nel rapporto tra le due procure?
  Il primo e più eclatante episodio di apparente cooperazione si ha riguardo ai video della metropolitana. Più volte richiesti, sia tramite il canale della cooperazione di polizia, sia direttamente dai nostri investigatori presenti al Cairo sia, infine attraverso rogatoria internazionale del 10.02.2016, la richiesta arriva all'ente gestore della metropolitana solo il 13.02.2016. Le immagini – viene risposto – non sono più disponibili poiché dopo 15 giorni vengono sovrascritte da quelle nuove. Il passo successivo, logico e consequenziale, è quello di procedere all'immediato sequestro dei server, per salvaguardare gli eventuali file che pur non risultando più consultabili ancora non siano stati sovrascritti. Il provvedimento viene preso il 3 marzo. La grottesca e a tratti paradossale negoziazione successiva tra le due procure per giungere all'affidamento dell'incarico per l'estrapolazione dei dati di interesse dai server sequestrati impegna gran parte del 2017. Giunti ad un accordo, la procura cairota fa marcia indietro e in rimescolamento delle carte in tavola affida l'incarico ad altra ditta. Solo nel maggio del 2018, a distanza di più di un anno dal sequestro, viene infine effettuata l'estrapolazione dei dati, alla presenza anche dei nostri inquirenti e tecnici, all'esito della quale emerge che manca qualunque dato proprio in riferimento all'arco temporale in cui Giulio Regeni avrebbe dovuto essere in metropolitana(393). I magistrati italiani rilevano la «stranezza» di tale coincidenza temporale, non potendo affermare che si tratti dell'esito di una deliberata azione volta a bonificare gli hard disk(394). Operazione di modifica che sarebbe stato possibile verificare qualora fossero stati disponibili i registri digitali degli accessi al sistema, irrimediabilmente cancellati a seguito dell'aggiornamento del software di gestione dell'impianto effettuato (casualmente!) pochi giorni dopo il rinvenimento del cadavere di Giulio Regeni(395). Verrebbe da pensare che l'intera trattativa sia stata un escamotage volto a guadagnare il tempo necessario a consentire la cancellazione dei dati utili.
  Un altro aspetto che appare di difficile comprensione in un regime di piena e aperta cooperazione, sostenuta anche dal vertice politico della Repubblica araba d'Egitto, è la risposta che la procura egiziana ha fornito ai nostri inquirenti nel novembre 2018, rispetto all'informativa con indicazione di elementi a carico degli apparati di sicurezza egiziani consegnata loro più di un anno prima. L'attività di indagine tecnica compiuta dagli investigatori italiani venne infatti ritenuta insufficiente dal punto di vista probatorio per poter avviare un'indagine nei riguardi dei soggetti indicati. Pur apprezzando le diversità tra gli ordinamenti giudiziari, ci si chiede quale sia il significato di una simile locuzione. Le indagini vengono effettuate per acquisire elementi probatori, mentre gli indizi sono ciò che serve per avviare le indagini. Pag. 202Diversamente argomentando, si finirebbe con il dire, per assurdo, che le indagini dovrebbero far emergere fatti già sostenuti da elementi probanti. A ciò si aggiunga che in quella stessa sede il sostituto procuratore egiziano avanzò richieste evidentemente volte a porre dei dubbi sulla natura delle attività di Giulio Regeni in Egitto che, a quel punto della cooperazione e dopo le dichiarazioni pubbliche del novembre 2016 rese dal suo superiore diretto(396), si riteneva essere state ampiamente superate.
  Un altro elemento che non si riesce ad inquadrare nell'ambito della piena e più ampia collaborazione giudiziaria è riferito alla mancata consegna del traffico delle celle telefoniche di interesse il giorno della scomparsa e il giorno del rinvenimento del corpo di Giulio. Mentre giungevano, infatti, i tabulati parziali del telefono dello studioso italiano e altri atti richiesti con la prima rogatoria (tabulati di De Lellis e Gervasio, il verbale del sopralluogo sul luogo del rinvenimento del cadavere con il relativo fascicolo fotografico) rispetto a tale fondamentale tassello delle indagini tecniche i magistrati egiziani non fornivano quanto richiesto, poiché a loro dire, avrebbe violato la normativa egiziana sulla privacy. Si tratta evidentemente di argomentazioni speciose, dal momento che gli ordinamenti giuridici riconoscono che non tutti i diritti hanno pari dignità e, a fronte di una violazione del diritto alla vita, l'attività volta ad accertare le relative responsabilità supera il muro posto intorno al rispetto della privacy.
  Queste ultime argomentazioni, lette insieme a quanto detto circa i video della metropolitana, fanno dubitare della reale intenzione delle istituzioni egiziane di arrivare alla verità sulla sorte di Giulio Regeni. Prevalente scopo della cosiddetta cooperazione giudiziaria sembra piuttosto accreditare delle verità di comodo, intese solo a garantire una piena ripresa delle relazioni istituzionali e commerciali tra i due paesi. A fronte di una tanto ampia divergenza dei fini non vi poteva essere unità di intenti nella cooperazione, che dal lato egiziano era volta a celare, dietro un gioco di specchi, le reali responsabilità (comunque emerse grazie all'opera dei nostri investigatori e inquirenti, solo marginalmente grazie all'operato della procura egiziana che nulla ha fatto per arrivare ad incolpare i responsabili), mentre dal lato italiano erano dirette ad addebitare ai colpevoli le conseguenze delle loro azioni.
  Resta da chiedersi quale sia stato il grado di consapevolezza di essere stati resi partecipi di quella che, se non fosse stato per l'inaccettabile morte di Giulio Regeni, potremmo assimilare ad un pirandelliano «gioco delle parti». Al riguardo, può risultare utile approfondire comparativamente alcuni punti salienti delle indagini nei successivi paragrafi.

7.4 L'autopsia: perizia egiziana vs. perizia italiana

  Il 6 febbraio 2016 la salma di Giulio Regeni rientra in patria venendo immediatamente affidata ai medici legali per l'esame autoptico. Pag. 203
  Già il 21 marzo 2016 i consulenti tecnici del PM riferivano che l'esame tossicologico non aveva rilevato la presenza di: «sostanze di interesse tossicologico, droghe, veleni, farmaci e medicamenti. In considerazione della tipologia dei campioni biologici esaminati, i risultati ottenuti depongono inoltre per la mancata assunzione, recente e anche pregressa, di droghe e sostanze d'abuso»(397)
  I periti sono riusciti, grazie all'esame dell'umor vitreo, a collocare il tempo della morte di Giulio Regeni tra le 22:00 del 31 gennaio e le 22:00 del 2 febbraio 2016(398).
  La causa della morte era da imputare «alle imponenti lesioni cranico-cervico-dorsali di natura traumatica, con conseguente insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale».
  In sostanza, una violenta azione sul collo di Giulio Regeni aveva portato alla sua rottura e alla conseguente morte, intervenuta per asfissia.
  Risulta peraltro alla Commissione che da parte egiziana, nell'immediatezza dei fatti, era stato informalmente indicato come causa della morte proprio un colpo al collo.
  La perizia medico-legale elenca in maniera puntuale le numerose lesioni presenti sul corpo della vittima, ipotizzando quali mezzi produttivi: «ripetuti urti ad opera di un mezzo contundente (naturale –calci o pugni-, strumenti personali di offesa – bastoni, mazze, usate con azione contundente)... omissis... e/o meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici dure, rigide e anelastiche (spinte del corpo con proiezioni e/o cadute a terra). Inoltre, si possono ipotizzare meccanismi contusivo-distrattivi a livello del tratto cranico-cervico-dorsale, nonché meccanismi lesivi inferti con coltelli e mezzi urenti su ulteriori distretti corporei».
  La perizia italiana arriva a determinare che le lesioni cutanee sono state provocate in epoche differenti il che, superando il lessico medico, vuol significare che Giulio Regeni è stato sottoposto a diverse sessioni di tortura prima che ne venisse provocata la morte(399).
  Dal canto suo la perizia medico-legale egiziana, nel complesso più essenziale, pur descrivendo le numerose lesioni sul corpo di Giulio Regeni e attribuendole anch'essa all'azione di corpi contundenti «alcuni dei quali con superficie abbastanza ruvida», anche caldi (per le bruciature) non parla di lesioni da coltello né arriva a determinare un'azione lesiva protratta nel tempo.
  Individua infine quale causa della morte, non le lesioni al collo descritte dai medici legali italiani, bensì una emorragia cerebrale provocata dai traumi al capo: «emorragia cerebrale causata da un trauma in seguito ad un colpo inferto con corpo contundente al capo».
  Fatto, questo, sconcertante alla luce dell'evidenza della lesione al collo descritta dai periti italiani.
  Le differenze evidenti tra le due perizie sembrano voler suggerire che, anche in questo caso, vi sia un tentativo di sviare dalla realtà dei fatti al fine di poter accreditare eventuali successive tesi di comodo, quale quella inopinatamente diffusa dai media egiziani nell'immediatezza del rinvenimento del cadavere di Giulio, che si trattasse degli esiti Pag. 204di un investimento ad opera di un non meglio identificato pirata della strada(400).

7.5 I depistaggi delle forze di sicurezza egiziane

  «...Depistaggi: altra parola dolorosa, evoca tutti i tentativi di dirottare le indagini, messi in atto fin dal primo momento dai rappresentati del Governo egiziano e della National Security circa l'uccisione di Giulio. Invece di confessare la verità hanno mentito...»(401)
  È con queste amare parole che Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, denunciano la poca chiarezza e mancanza di leale collaborazione tenuta fin dal principio dalle autorità egiziane.
  «...In termini polizieschi si chiama depistaggio, ma questo è un intrigo di Stato che vede un intero Governo mobilitato a coprire l'evidenza dell'accaduto. E lo fa con scenari posticci, evocando ombre di “terrorismo” o di “trame spionistiche”, secondo un copione che però riscuote soprattutto incredulità e freddezza...la realtà che si vuole nascondere è un atroce omicidio di Stato con una decina di sgherri che “hanno fatto tutto il male del mondo” e strappato la vita a Giulio Regeni....»(402)
  Se da un lato le istituzioni egiziane si dichiarano inizialmente collaborative nelle indagini sull'omicidio del giovane ricercatore e sul perseguimento della verità, le dichiarazioni rilasciate nei giorni successivi conducono alla creazione di un vero e proprio muro di gomma; il susseguirsi di continui depistaggi rendono il caso, sin da subito, un reticolo inestricabile di tante verità, tutte in antitesi fra loro e di difficile comprensione che conducono a porsi numerosi interrogativi sulle ragioni di siffatte ombre.
  «...Siamo riusciti a sgomberare il campo da una serie di ipotesi, tanto fantasiose quanto irreali, sul motivo. C'è stata prima l'ipotesi di un'attività spionistica e poi l'ipotesi, ancora più fantasiosa, di un'attività di rapina finita male, con un omicidio. Oggi queste ipotesi sono state messe da parte, lavoriamo ovviamente su un altro contesto, e lo facciamo in condivisione con l'autorità giudiziaria egiziana...»
  È quanto dichiarato da Michele Prestipino, allora Procuratore della Repubblica f.f. presso il Tribunale di Roma, nel corso dell'audizione del 17 dicembre 2019.
  Le numerose ipotesi, quindi, formulate sulla morte di Giulio Regeni da parte degli investigatori egiziani, ma considerate sempre inverosimili dalla controparte italiana, si rivelano di volta in volta, vere e proprie «non verità» che producono, nel loro insieme, sia un forte rallentamento di quella delicata fase che fu l'avvio delle indagini che drastici dubbi sull'auspicata cooperazione giudiziaria.
  Fu questo il clima che gli investigatori italiani, giunti al Cairo, la notte tra il 5 ed il 6 febbraio 2016 a seguito della morte del giovane, si ritrovarono a inspirare: un «immediato» sistema di insabbiamento dei fatti con la fabbricazione di «falsi per depistare le indagini».
  In occasione della medesima seduta, innanzi a questa Commissione, i magistrati puntualizzavano le palesi manipolazioni offerte dalle Pag. 205autorità già dai primi rilievi effettuati sul corpo lacerato del giovane ricercatore: «...In primis l'autopsia svolta al Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale. Altro depistaggio è stato quello di collegare la morte di Giulio Regeni a un movente sessuale: Regeni viene fatto ritrovare nudo...», aggiungendo, inoltre, «...esistono altri due rilevanti tentativi di sviare le indagini...Il primo alla vigilia della nostra trasferta del 14 marzo del 2016. Due giorni prima un ingegnere parla alla tv egiziana raccontando di avere visto Regeni litigare con una persona straniera non lontano dal consolato italiano e fissa alle 17 del 24 gennaio l'evento. È tuttavia emerso che il racconto è falso e ciò è dimostrato dal traffico telefonico dell'ingegnere che lo colloca a chilometri di distanza dal nostro consolato sia dal fatto che Giulio Regeni a quell'ora stava guardando un film su internet a casa...(...)...Il quarto tentativo di depistaggio è legato all'uccisione di cinque soggetti appartenenti a una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani erano stati loro gli autori dell'omicidio...».
  Dopo l'ipotesi dell'incidente stradale subito contraddetta dalle autopsie, in Egitto i media vicini al governo iniziano a diffondere false notizie, screditando l'immagine di Giulio Regeni. Si alluderà a un omicidio maturato nell'ambiente del consumo degli stupefacenti, quando l'autopsia (anche quella egiziana) ha stabilito che la vittima non faceva, né aveva mai fatto, uso di droghe. Si parlerà prima di una rapina e poi di un rapimento a scopo di estorsione. Si alluderà a un delitto a sfondo omosessuale. Tutte queste ipotesi si sono dimostrate false e nessuna, secondo le approfondite indagini degli inquirenti italiani, sarebbe compatibile né con il profilo della vittima né con la tecnica con la quale è stato torturato, inferta da «professionisti».

Incidente stradale

  Già poche ore dopo il ritrovamento del corpo di Regeni, il 3 febbraio, il generale Khaled Shalabi, all'epoca Direttore delle Investigazioni del Dipartimento di Giza, incaricato di svolgere le indagini, aveva dichiarato al giornale governativo Youm7: «...non c'è alcun sospetto crimine dietro la morte del giovane italiano, il cui corpo è stato ritrovato sulla strada desertica Cairo-Alessandria..».
  Il generale sostiene con certezza che le indagini preliminari indicano un incidente stradale e smentisce che Regeni «sia stato raggiunto da colpi di arma da fuoco o sia stato accoltellato».
  In seguito, correggerà il tiro, dichiarando che, probabilmente, l'omicidio derivava da motivi personali. Figura alquanto discutibile per i suoi precedenti penali, colpisce che Shalabi sia stato inizialmente applicato alle indagini sull'omicidio del ricercatore italiano. Non a caso, l'11 febbraio 2016, diverse testate giornalistiche italiane(403) e estere riportavano le dichiarazioni di una nota attivista egiziana, Mona Seif, che sosteneva su Twitter e Facebook che l'investigatore capo del caso Regeni aveva un precedente per tortura («Khaled Shalaby, l'ufficiale cui è stato assegnato il caso di Giulio Regeni, fu condannato da un Tribunale Pag. 206penale di Alessandria nel 2003 per falsificazione di rapporti di polizia e – assieme a due altri funzionari – per aver torturato a morte un uomo....»). Shalaby «fu condannato a un anno di prigione, la sentenza fu sospesa», si limita ad aggiungere il testo che allega un link a un blog e al sito dell'Ong «Arabic Network for Human Rights Information (Anhri)».
  Inquieta da subito che la versione propalata da tale personaggio diverga nettamente da quanto dichiarato dal Procuratore Capo di Giza, Ahmad Nagi che, già alle prime battute, aveva rilevato «segni di tortura sul corpo», ad esito dell'esame autoptico, specificando, inoltre: «segni di tortura, bruciature di sigaretta, percosse, escoriazioni e un orecchio tagliato».
  Quel che accade nei giorni successivi, quindi, ha dell'inverosimile: le autorità egiziane, che fino a quel momento non sembrano essersi impegnate a fondo per fare emergere la verità, propugnano la tesi che il giovane ricercatore sia rimasto vittima di un incidente stradale, risultando siffatta argomentazione poco credibile sin dall'inizio, nel vano tentativo di chiudere il caso in fretta e furia.
  Nel frattempo i siti d'informazione indipendenti, convinti da subito delle responsabilità di organi dello Stato egiziano, riportano altre due vicende che riguardano cittadini stranieri.
  Un americano, David Victor, sarebbe stato espulso dal paese perché accusato di «incitare i lavoratori alle proteste». Un ufficiale turco invece è stato detenuto per due settimane per aver fotografato un posto di blocco. Più volte il Ministro dell'Interno si è detto sorpreso e offeso per dichiarazioni e commenti che si riferiscono a una qualche responsabilità di polizia o forze speciali. Per mettere a tacere tali illazioni, dichiara ufficialmente: «Regeni non è mai stato fermato dalla polizia». In seguito, a metà febbraio di quell'anno, risulta che abbia emanato una circolare riservata a tutti i commissariati: l'apparato centrale dovrà essere immediatamente informato dell'arresto di ogni straniero(404).

Movente sessuale

  Nell'analitica ricostruzione in chiave cronologica prodotta nella prima audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta, il PM Colaiocco sosteneva: «...Accennavo prima che, nell'immediatezza dell'evento, vengono costruiti alcuni dati di fatto che la National Security fornisce all'opinione pubblica: (...) successivamente anche il movente sessuale. Giulio Regeni viene fatto ritrovare nudo, se non per una camicia e un maglione appoggiato sul corpo, segno evidente dell'idea di attribuire un movente sessuale ai fatti....».
  Il ritrovamento lungo la desert road – al di sopra del sottopassaggio Hazem Hassa, direzione di piazza Remaya (altrimenti denominata Dhahir Sahrawi) – potrebbe in tale ottica ricollegarsi al fatto che in quella zona del Cairo si svolgeva attività di prostituzione(405). Pag. 207
  Nell'ultimo e decisivo verbale del 10 maggio 2016(406) il sindacalista Abdallah, dinanzi alla Procura generale egiziana, nel rievocare la circostanza del ritrovamento del corpo senza vita del Regeni, riferiva di essere stato sollecitato dal maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif – ora imputato – a prospettare, falsamente, tendenze omosessuali di Regeni o, in alternativa, che lo stesso gli avesse chiesto consigli su come approcciare le donne in Egitto; sollecitazione che dapprima veniva da lui accolta nelle dichiarazioni rese alla National Security il 10 febbraio e il 30 aprile ma poi ammessa e confessata nell'ultimo esame davanti ai magistrati egiziani: «....sono rimasto senza notizie di Giulio Regeni fino al primo venerdì del mese di febbraio del 2016 quando ho letto nel giornale del Akhbar la notizia della morte di Regeni. Ho chiamato la dottoressa Hoda Kamel e le ho chiesto se ciò che ho letto fosse vero, Giulio Regeni è morto? Mi ha risposto dicendo che: ora si sono ricordati i giornali egiziani, hanno trovato il suo cadavere due giorni fa....».
  «Solo la irreprensibilità e la trasparenza delle condotte di Giulio Regeni, come ricostruite nelle indagini, hanno permesso di far decadere, immediatamente, questo tentativo di depistaggio», ha concluso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, nella richiesta di Archiviazione del 9 dicembre 2020(407).

La lite presso il Consolato italiano

  Il 14 marzo 2016, mentre sembravano delinearsi spiragli positivi dai colloqui tra il Procuratore della Repubblica di Roma Pignatone, recatosi al Cairo, e il suo omologo egiziano, si assisteva però all'ennesimo tentativo di depistaggio, secondo il quale Regeni, prima di scomparire, avrebbe avuto un'accesa discussione con un altro straniero. L'ipotesi veniva facilmente confutata dall'inesistenza del presunto video sulla lite. Un testimone avrebbe riferito che Regeni ebbe «un'accesa discussione» con un «altro straniero» dietro la sede del consolato italiano al Cairo.
  Il Procuratore generale del Cairo, al fine di accertare tale ipotesi, avanzò specifica richiesta proprio all'Ambasciata d'Italia al Cairo circa la «presenza del ricercatore italiano nell'area di pertinenza del Consolato italiano nei giorni 24 e 25 gennaio 2016, nonché le registrazioni delle immagini captate dal sistema di videosorveglianza installate presso la struttura demaniale»(408).
  Non veniva considerato, tuttavia, che i sistemi di videosorveglianza sono disattivi dall'attentato dell'11 luglio 2015 che aveva gravemente danneggiato la sede della Cancelleria consolare dell'Ambasciata italiana, nel quartiere cairota del Bulacco e di conseguenza distrutto anche l'impianto di videosorveglianza e videoregistrazione.
  Al momento del dispaccio, quindi, ed «in attesa dei lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza della sede demaniale» gli uffici Pag. 208della Cancelleria Consolare operavano in altro quartiere, quello di Garden City e non più in quello di Bulacco.
  Ma le autorità egiziane erano perfettamente consapevoli del fatto che, presso la sede sita in El Galaa Street/via 26 luglio, non erano più attivi i sistemi di videosorveglianza, poiché il server e i monitor per effettuare le operazioni in parola erano stati trasferiti negli uffici dell'Ambasciata, dove sono avvenuti gli incontri con rappresentanti del National Security e della polizia egiziana.
  A demolire tale congettura, ricorre l'analisi della documentazione acquisita in Egitto dai consulenti legali della famiglia Regeni in merito, specificamente, alle dichiarazioni raccolte – il 15 marzo 2016 – da un ingegnere egiziano, Mohamed Fawzi Mustafa Al Fiqqi il quale, nel corso di un'intervista rilasciata alla tv egiziana Sada al-Balad – in un programma condotto da Ahmed Mussa – racconta gli eventi collocandoli al 24 gennaio 2016.
  In particolare, nel corso del suo esame, il Fawzi racconta di essersi trovato, quel giorno, intorno alle 16.00, nei pressi di un'area commerciale annessa all'Hotel Hilton nella via Ramses al Cairo, in compagnia di un suo conoscente.
  L'uomo aveva affermato che, congedatosi da questi, si era poi diretto in via 26 luglio dove, non distante dal Consolato italiano, era stato testimone di un litigio tra il giovane Regeni ed un soggetto che egli definiva straniero.
  Da questo racconto sono emerse continue incongruenze: l'egiziano si contraddice più volte circa i telefoni che utilizza e che ha avuto nella propria disponibilità e sul fatto che il numero che asseritamene utilizzava l'amico, fosse in realtà intestato ad altra persona.
  L'analisi dei dati di traffico, inevitabilmente, ha fatto emergere l'inconsistenza delle dichiarazioni del Fawzi, poiché il suo traffico cellulare ha permesso di collocarlo a chilometri di distanza (zona 6 Ottobre) dal nostro ricercatore che, in quegli stessi momenti, si trovava nella propria abitazione del quartiere di Dokki a vedere un film in streaming.
  È lo stesso Fawzi a riconoscere di aver sbagliato, nel corso dell'interrogatorio del 15.03.2016: «...riconosco di aver sbagliato per essere andato in televisione e aver detto quelle cose mentre le indagini svolte dalla Procura erano in corso»; aggiungendo: «perché io avevo visto effettivamente l'evento dei due stranieri, e quando si veniva a sapere che erano stranieri e che stavano litigando tra loro come avevo visto in effetti, l'Egitto rimaneva fuori da queste accuse qua...».
  Egli sarebbe, dunque, stato mosso da spirito di patriottismo e dal bisogno di salvaguardare e difendere l'immagine del Paese anche agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, essendo più semplice, quindi, incolpare stranieri per la morte di Regeni.
  A destrutturare ulteriormente questo episodio ricorrono le indagini condotte dal nostro team investigativo che, con specifico riferimento alla falsa testimonianza dell'ingegnere egiziano»(409), individuano nell'ufficiale della National Security, il maggiore Mustafa Maabad, colui che aveva architettato la «falsa pista» da rendere pubblica nel corso della citata intervista. Pag. 209
  Contestate le evidenti discrasie del racconto, nella riunione del 16 marzo 2016 tra magistrati italiani ed egiziani, risulta inspiegabile l'indifferenza a fronte dell'insistente richiesta dei nostri magistrati, dopo la confessione, di aprire un procedimento penale a carico del dichiarante e dell'ufficiale della National Security che lo avrebbe indotto a rilasciare false dichiarazioni.

La banda dei cinque malviventi

  La Sala Nassirya di Palazzo Madama il 29 marzo 2016, ospitò la conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni, Paola Deffendi Regeni e Claudio Regeni, dell'avvocato Alessandra Ballerini e del portavoce di Amnesty International in Italia, Riccardo Noury. La conferenza stampa fu organizzata e coordinata dal Presidente della Commissione straordinaria diritti umani del Senato, senatore Luigi Manconi.
  Nel suo discorso introduttivo, il senatore, riportando alcune affermazioni dei familiari della vittima riferiva che, solo pochi giorni prima, il 16 marzo precedente, partecipando ad un incontro della Commissione «Tutela dei Diritti Umani» del Senato, i medesimi avevano fatto una drammatica previsione, quasi per esorcizzarla per quanto essa apparisse grottesca, temendo che a un «certo punto dell'iter», l'esito di questa vicenda presentasse dei colpevoli «qualsiasi», qualcuno al quale attribuire la morte del figlio.
  Continuava il senatore Manconi: «...mai si poteva immaginare che, a distanza di meno 10 giorni, nella notte tra il 24 ed il 25 marzo, il Ministero dell'Interno egiziano emanasse un comunicato nel quale quella previsione veniva presentata come la versione definitiva e risolutiva della vicenda della morte e tortura di Giulio Regeni con quel particolare, appunto, che dà alla ricostruzione quel tratto di grottesco di cui dicevo.....quei cinque criminali, tutti infallibilmente morti...tutti infallibilmente incapaci di pronunciare una sola parola su quanto accaduto, amavano travestirsi da poliziotti....».
  Venuto meno anche il tentativo di depistaggio del litigio nei pressi del Consolato italiano – il terzo in un poco più di mese – si giunge infatti, il 24 marzo 2016 (8 giorni da quella infausta previsione, 10 giorni dal terzo depistaggio), nel giorno fissato per il rientro in Italia del team investigativo, al più clamoroso tentativo di sviare l'attenzione dalle responsabilità di ufficiali della National Security: la versione della banda dei sequestratori di stranieri, eliminata dalle forze di sicurezza, ed il rinvenimento, in un'abitazione di un familiare, del passaporto e di altri documenti intestati o attribuiti a Giulio Regeni.
  Secondo un'ipotesi investigativa, gli agenti egiziani sapevano della morte di Giulio Regeni già dal 2 febbraio mattina: decisero di inscenare una rapina finita male per sviare le indagini. La conferma è stata data proprio da uno dei testimoni, amico del sindacalista Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti, che ha raccontato di averlo incontrato la sera del 2 febbraio, il giorno prima del ritrovamento del corpo di Regeni. Abdallah gli avrebbe riferito quanto gli era accaduto la mattina nel commissariato di Dokki. Il sindacalista gli disse che uno dei quattro ufficiali imputati, Usham Helmi, ricevette una chiamata da una persona rimasta ignota, che gli comunicava che Regeni era morto. Avrebbe quindi assistito al Pag. 210colloquio in cui si diceva che la soluzione era quella di inscenare una rapina.
  «Ero entrato in rapporti con Abdallah per ragioni del mio lavoro. Il 2 febbraio 2016 io ero con Abdallah e ho notato che era palesemente spaventato. Lui mi ha spiegato che Giulio Regeni era morto e che quella mattina era nell'ufficio della State Security in compagnia di un ufficiale di polizia che lui chiamava Uhsam, quando quest'ultimo aveva ricevuto la notizia» ha raccontato l'uomo(410).
  Lo stesso ministro dell'Interno egiziano scrisse in un post su Facebook che i colpevoli dell'uccisione di Regeni erano quattro membri di una banda criminale «specializzata nel fingersi agenti di polizia, nel sequestrare cittadini stranieri e rubare loro i soldi». Una ricostruzione che la Procura di Roma non ha mancato di definire «priva di ogni attendibilità».
  L'ambasciatore d'Italia al Cairo, Maurizio Massari, così ha ricostruito alla Commissione la cronaca di quel giorno: «...Il 24 marzo del 2016, il nostro team investigativo stava facendo rientro in Italia, quando fu fermato all'aeroporto, proprio pochi minuti prima dell'imbarco sull'aereo di rientro dal Cairo, da una telefonata della controparte egiziana che annunciava importanti sviluppi sul caso. Convocati immediatamente in Procura, i membri del team investigativo italiano vennero informati dalle autorità egiziane che cinque persone, legate all'omicidio di Regeni, erano state uccise. Le autorità egiziane fecero sapere che i cinque uomini avrebbero fatto parte di una banda specializzata nel rapimento di stranieri, e che, al momento dell'arresto, c'era stato uno scontro a fuoco con la polizia che aveva portato alla loro morte. Il Ministero dell'Interno egiziano, a sostegno di questa tesi, affermò che il portafoglio di Giulio Regeni con i suoi documenti, fino ad allora irreperibili, erano stati trovati in una sacca di pelle rossa, in un appartamento legato alle persone uccise. I documenti, il passaporto, la tessera dell'Università di Cambridge, quella della AUC, l'American University of Cairo, le carte di credito, erano stati fotografati, poggiati su un piatto d'argento e diffusi sulla pagina Facebook del ministero dell'interno egiziano, insieme al comunicato degli arresti. Fu evidente sin da subito ai nostri inquirenti che si trattava di una versione inverosimile che non poteva aiutare il prosieguo delle indagini congiunte in un clima di fiducia...»
  Come relaziona la Procura della Repubblica di Roma: «in un clima di grande entusiasmo da parte degli egiziani», venivano dichiarate chiuse le indagini sull'omicidio del ricercatore italiano, attribuito ad una banda criminale, composta da cinque soggetti, dedita principalmente a truffe ai danni di stranieri; tutti e cinque soggetti erano, comunque, deceduti nel corso di uno scontro a fuoco con la polizia avvenuto all'alba di quel giorno e che, nel corso della perquisizione effettuata, nelle ore successive, presso le abitazioni nelle disponibilità dei «malviventi», in particolare presso l'abitazione della sorella di colui che veniva indicato come il capo della banda, identificato in Tarek Saad Abd El Fattah Ise-Mail, era stata rinvenuta all'interno di una borsa rossa decorata con una bandiera italiana, oggetti appartenenti, inequivocabilmente, al connazionale ucciso: il suo passaporto, due tesserini universitari riconducibili allo stesso Pag. 211(uno dell'Università di Cambridge, l'altro dell'American University of Cairo) ed una carta di credito italiana Fineco, intestata a Giulio Regeni(411).
  Nel corso della riunione del 24 marzo, alle ore 23.00, svoltasi presso la sede della National Security, alla presenza di una delegazione di investigatori locali (presenti all'incontro: generale Adel Gaafar, generale Essan El Beshry, brigadiere Sameh El Ragabawy), gli stessi annunciavano la chiusura del caso perché, secondo quegli investigatori, la morte di Giulio Regeni andava attribuita ad una banda criminale, composta da cinque soggetti, dedita principalmente a truffe ai danni di stranieri; tutti e cinque soggetti erano, comunque, deceduti nel corso di uno scontro a fuoco con la polizia avvenuto all'alba di quel giorno.
  La circostanza relativa alla riconducibilità a Regeni dei documenti era, a detta della National Security, prova certa della responsabilità per l'omicidio a carico dei detentori dei documenti anche perché tutti, per i loro trascorsi penali, erano ritenuti responsabili di una serie di truffe, nel corso del 2016, nei confronti di almeno cinque cittadini stranieri, operate da egiziani che si presentavano come ufficiali di polizia e li costringevano ad esibire somme di danaro successivamente sottratte con l'inganno.
  Tra le vittime «confezionate dalla polizia egiziana», rilevava il caso di un cittadino italiano, residente al Cairo, ex dipendente ENI, che sarebbe stato indotto dai malviventi a prelevare dal suo conto corrente la somma di 10.000 euro, successivamente sottrattagli con l'inganno, con la scusa di volerne verificare l'autenticità; i criminali, si sarebbero presentati in varie occasioni come operatori di polizia, usando tesserini falsi. In quel caso, la banda avrebbe indotto la vittima a salire su un minibus di colore bianco, a bordo del quale avrebbe sostituito la borsa contenente i soldi della vittima, con una simile contenente ritagli di carta.
  Il Ministero dell'Interno sui social pubblica le foto dei documenti di Giulio Regeni e di altri oggetti (tra cui occhiali femminili ed hashish) che sarebbero appartenuti al ricercatore. La Procura della Repubblica di Roma, tramite ANSA, esprime subito scetticismo in riferimento alle circostanze del blitz della polizia cairota e agli elementi probatori presentati dalle autorità egiziane.
  Nel corso dell'incontro, oltre a fornire i dettagli della perquisizione eseguita presso l'abitazione della sorella del cd. «capo della banda», Tarek Saad Abd El Fattah Ismail, e del rinvenimento della documentazione attribuita alla vittima, fu altresì fornito un supporto rigido contenente 3 cartelle:

   1. n.1 video registrato dalla telecamera di sorveglianza, relativo all'episodio in pregiudizio dell'ex dipendente ENI, avvenuto il 15 febbraio 2016;

   2. n. 48 foto relative al sopralluogo effettuato al seguito della sparatoria; nonché n. 7 video di cittadini che hanno denunciato episodi di furto e/o truffa, in lingua araba;

   3. n. 24 foto relative al materiale rinvenuto nell'abitazione della sorella del Tarek, nel governatorato di Kalioba, che raffigurano, tra le Pag. 212altre, i documenti della vittima e 2 cellulari smartphone, di cui uno marca SONY, ed il materiale descritto dettagliatamente nell'annotazione(412).

  Nel medesimo incontro, la parte egiziana sostenne:

   che il rinvenimento dei beni del Regeni nella disponibilità di uno dei malviventi costituiva «elemento sufficiente per attribuire agli stessi con certezza l'omicidio del giovane ricercatore»;

   che la vittima non avrebbe «assecondato le richieste dei malviventi e di conseguenza sarebbe stato ucciso»;

   che «non erano intenzionati a svolgere ulteriori approfondimenti investigativi sull'omicidio del ricercatore italiano pur riferendo che la Procura di Shubra (competente per il luogo in cui era stato compiuto l'atto istruttorio della perquisizione), stava compiendo atti relativi alla ricostruzione degli eventi nel contesto familiare.»(413)

  La Procura della Repubblica di Roma e gli investigatori italiani ancora al Cairo ebbero subito, dalle prime evidenti constatazioni, la consapevolezza di un tentativo di depistaggio e quindi ritennero ufficialmente «non idonei a fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni ed identificare i colpevoli» gli elementi forniti. A sconfessare la versione del ministero dell'Interno egiziano sarà successivamente la stessa Procura generale del Cairo che inquisirà i colonnelli Bashandi e Mahfouz per omicidio premeditato dei cinque connazionali e falso ideologico.
  Le innumerevoli discrasie e dubbi, che si erano palesati dalle prime fasi della narrazione degli eventi di quella giornata, presentarono da subito evidenti «buchi neri», a fronte dell'ostentata soddisfazione degli investigatori egiziani per avere chiuso l'indagine.
  Le circostanze non avevano di certo persuaso, invece, gli investigatori italiani i quali, rientrati immediatamente dall'aeroporto – ormai a bordo del volo diretto in Italia, ma richiamati dalla nostra ambasciata verso le 16.30 – avevano contestato la versione fornita agli omologhi egiziani che, proprio quel giorno, si erano convinti di essersi liberati degli invadenti italiani(414).
  Ma questa verità ufficiale fa a pugni con la logica. Non si capisce per quale motivo una banda di rapinatori dovrebbe sequestrare un ragazzo, tenerlo prigioniero e torturarlo per giorni prima di ucciderlo. E poi perché conservare i suoi documenti, proprio in casa, quando è normale che ogni rapinatore si libera immediatamente di oggetti provento della propria attività delittuosa?
  Il declamato «scontro a fuoco», con tutte le incongruenze del caso non poteva essere assunto a verità fattuale per il sol fatto che la più elementare analisi dei tabulati, i pochi che furono messi a disposizione, consentì di fare i puntuali collegamenti e riscontri incrociati del caso, andando ad avvalorare l'ipotesi che il racconto fornito su un piatto Pag. 213d'argento, insieme agli «asseriti» effetti personali della vittima, faceva «acqua da tutte le parti».
  Il team investigativo italiano proseguì, con gli scarni dati in possesso, nella certosina analisi delle tracce delle comunicazioni relative alle utenze in uso, tra gli altri, al presunto capo della banda dei cinque malviventi, eliminato insieme agli altri quattro. Emerge qualcosa di sconcertante dal punto di vista umano e, cioè, che questi, nell'ora e nel giorno in cui il Regeni sarebbe stato rapito, il 25 gennaio 2016, si trovava a 100 chilometri di distanza dal Cairo.
  La ricostruzione dei fatti risultava pertanto del tutto incompatibile per le evidenti discrasie che gli investigatori della National Security avevano prodotto nelle loro conclusioni e che stridevano in diversi punti:

   i cinque componenti della banda criminale erano stati eliminati «attraverso colpi di arma da fuoco sia di fronte sia a destra e a sinistra, mentre sul minivan(415) sul quale erano stati ritrovati i cadaveri i colpi erano solo sul frontale parabrezza anteriore»;

   tutti e cinque i membri di una gang «specializzata nel rapimento di stranieri», avrebbero, come fossa una cosa normale, potuto indossare uniformi della polizia «per fingersi agenti»;

   l'impossibilità da parte degli inquirenti egiziani di giustificare la lapalissiana anomalia di una banda criminale solitamente dedita a truffe che a un certo punto , ed inspiegabilmente, fa un «salto di qualità» nel mondo delinquenziale ed orienti le proprie scelte criminali specializzandosi in reati efferati contro la persona, come avvenuto nel caso del Regeni, peraltro, in una data diversa dall'ultimo prelievo in banca dallo stesso effettuato;

   l'assenza della spiegazione del perché i criminali, ad oltre un mese dai fatti, che tanto scalpore avevano provocato nell'opinione pubblica egiziana ed internazionale, avessero con loro, e non se ne fossero liberati, elementi di riconducibilità all'omicidio di nessun valore oggettivo e, anzi, portassero con loro, anche fuori della propria abitazione, le presunte prove del loro coinvolgimento.

  A fronte di tali incredibili incongruenze, lascia di stucco che tale versione sia ulteriormente perorata dall'autorità giudiziaria egiziana, nel proprio Memorandum del dicembre 2020(416), in cui si afferma che: «l'accusa sulla messa in scena della vicenda del ritrovamento degli effetti personali della vittima nell'abitazione di uno dei membri della banda criminale, dopo averli uccisi per incolparli del rapimento e la tortura della vittima, è una conclusione contraria alle prove rivelate dalle indagini della Procura generale che hanno precisato che i membri della banda criminale si erano limitati a commettere il furto aggravato degli effetti personali della vittima, picchiandolo, lasciandolo e fuggendo con la refurtiva il 25 gennaio 2016. Le indagini hanno accertato che non Pag. 214hanno avuto nessun altro contatto con la vittima successivamente in quanto il referto dell'autopsia ha rivelato che tutte le ferite della vittima si sono verificate simultaneamente ventiquattro ore prima della sua morte. Il corpo della vittima infatti è arrivato all'obitorio il 3 febbraio 2016 a 13-24 ore dalla morte e la vittima aveva mangiato del cibo massimo due ore prima del decesso. Tutto questo indica che la vittima, dopo il furto, è stata sequestrata per un periodo di tempo alla fine del quale è stato ucciso. Si tratta di un periodo misterioso del quale le indagini non hanno rivelato il responsabile.».
  Relativamente alla responsabilità degli operatori di polizia di aver «ecceduto» nell'uso delle armi nel contesto del «conflitto a fuoco» del 24 marzo 2016, la Procura generale egiziana, nella persona del titolare dell'inchiesta, il magistrato Hamada al-Sawi, si esprime nei seguenti termini: «...la Procura generale aveva già svolto un'indagine separata per verificare la proporzionalità del comportamento degli ufficiali della polizia con la banda criminale durante la sparatoria nel momento dell'attuazione del mandato di arresto che è ancora sotto indagini e procederà separatamente appena terminate le indagini in merito...».
  La tesi di fondo egiziana continua a presentare lacune, contraddizioni e paradossi: non è più quella che ad uccidere Giulio Regeni siano stati cinque «banditi», morti successivamente in un «conflitto a fuoco» con le forze di polizia – depistaggio peraltro già smontato dalle indagini italiane – ma attribuisce il delitto a forze «ostili a Italia e Egitto»: dunque cinque criminali di piccolo spessore per lo più avvezzi a truffe nei confronti di turisti stranieri, avrebbero agevolato ambizioni geopolitiche non meglio precisate. Per questo si sarebbero determinati non solo a derubare Giulio Regeni ma anche a torturarlo e ucciderlo, gettandone il corpo e restituendolo in un momento esattamente concomitante con una visita programmata, con finalità di sviluppo industriale, tra la ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e l'omologo egiziano, proprio quel 3 febbraio 2016.
  Ma il documento di Hamada al Sawi ribalta il punto sin qui tenuto fermo dalle autorità egiziane su una parte essenziale della ricostruzione del delitto: il ritrovamento, sinora definito casuale, del corpo del giovane ricercatore. Il cadavere di Giulio Regeni, fa capire il Procuratore generale, fu fatto ritrovare da chi lo aveva ucciso, semplicemente depositandolo in un luogo con una certa valenza simbolica dove, evidentemente, non poteva passare inosservato. Decisivi, secondo il Procuratore generale, sarebbero stati il luogo e il momento in cui il delitto venne alla luce: «Hanno gettato il suo corpo a lato di una struttura appartenente alla Sicurezza egiziana e in coincidenza con la visita in Egitto di una delegazione economica». Dunque il corpo di Regeni, nelle intenzioni di chi lo aveva eliminato, doveva essere scoperto in un luogo e in un momento precisi. L'esatto contrario di quanto avevano sostenuto l'ex ministro dell'Interno Magdy Abdel Ghaffar (che lo definì «casuale» nel corso di una conferenza stampa) e la National Security Agency, i cui ufficiali sono gli odierni imputati.
  Come sostenuto, invece, in audizione il 17.12.2019 dai magistrati romani: «...rimane ovviamente la domanda di come i documenti di Giulio Regeni siano arrivati nelle mani della National Security; rimane la domanda di come il Colonnello Hendy, colui che ha effettuato la perquisizione a casa della banda criminale, abbia fatto ritrovare documenti, Pag. 215 asseritamente a casa del capo della banda criminale, il quale, per le ragioni che ho detto, non poteva essere stato colui che li aveva presi a Giulio Regeni. A parere dell'ufficio, anche se sono elementi solamente indiziari, appare significativo che il colonnello Hendy avesse avuto nelle settimane precedenti il 24 marzo contatti telefonici, diretti e indiretti, con le persone che poi noi accerteremo hanno seguito Giulio Regeni e sono state poi iscritte sul registro degli indagati. Quindi è stato accertato un collegamento tra l'ufficiale che ha presieduto la perquisizione a casa del capo della banda criminale e che ha detto di aver ritrovato in quella casa i documenti, e quelli che seguivano Giulio Regeni nei mesi, nelle settimane precedenti i fatti».
  In contrasto con quanto asserito dalla National Security è stato, in seguito, acquisito un atto di straordinaria rilevanza probatoria, grazie alle dichiarazioni fornite dal teste ZETA.
  Sentito il 21 gennaio ed il successivo 4 febbraio 2017 dinnanzi all'autorità giudiziaria romana, il testimone dichiara quanto appreso da una terza persona presente la sera dell'irruzione e successiva perquisizione presso l'abitazione dove aveva dormito Tarek, presunto capobanda dei rapinatori poi uccisi dalle forze di sicurezza egiziane.
  Egli racconta che, durante la sua detenzione in un carcere cairota da aprile a luglio 2016, aveva conosciuto un detenuto che gli altri chiamavano aggiungendo al suo nome quello di «Regeni» (attribuitogli perché coinvolto nel caso). La conoscenza di tale detenuto ha consentito al teste di apprendere quanto accaduto il 24.03.2016. Nel rievocare i momenti della perquisizione, il predetto afferma che Hendy era in possesso del passaporto di Regeni ancora prima di avviare la perquisizione.
  La vicenda del depistaggio della banda criminale ha un'appendice non meno inquietante nel fatto che l'11 giugno 2020 l'AISE consegna al ROS dei Carabinieri alcuni effetti personali, asseritamente appartenuti alla vittima, ricevuti al Cairo nel corso di una missione del suo direttore. Secondo la procura egiziana, sarebbero stati rinvenuti dalla National Security nel corso della perquisizione del 24 marzo 2016 nell'alloggio a disposizione del capo della banda. Gli oggetti consegnati all'Italia sono risultati non essere di proprietà né riconducibili al Regeni, secondo l'analisi svolta attraverso le fotografie; circostanza confermata dopo la verifica, in presenza, dei genitori del ricercatore.
  Dalla perizia sulle foto dei presunti effetti personali del ricercatore, infatti, è emerso che solo i documenti di riconoscimento sono di Giulio Regeni mentre il restante materiale (come ad esempio gli occhiali da donna e la droga) era forse funzionale ad avvalorare la falsa pista dell'omicidio a sfondo sessuale o la tesi del rapimento a scopo di estorsione.
  Il successivo 1° luglio, in un incontro in videoconferenza tra le due procure, quella egiziana continua a dichiarare l'impegno nella ricerca della verità. Quello stesso giorno, la famiglia di Giulio Regeni dichiara non appartenenti al ricercatore gli effetti personali fatti pervenire in Italia. Gli oggetti consegnati «sono tecnicamente delle prove di reato: ma non per l'omicidio di Giulio, ma sul depistaggio messo in atto per coprire i veri responsabili».

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7.6 Le rogatorie attive e passive

  I rapporti tra le procure, oltre a svolgersi sul piano informale, si sono concretizzati attraverso dei passaggi formali, necessari affinché i documenti trasmessi possano acquisire validità probatoria nell'ambito dei rispettivi procedimenti penali. Tali passaggi formali sono le rogatorie internazionali. Nel caso di specie sappiamo che le parti pur non essendo formalmente obbligate attraverso un accordo bilaterale, a fornire una reciproca assistenza giudiziaria, si sono impegnate, su un piano di mera cortesia nei rapporti, a scambiarsi informazioni rilevanti per l'esercizio dell'azione penale.
  Giova elencare le 5 rogatorie presentate dagli inquirenti italiani:

   1. la rogatoria iniziale del mese di febbraio 2016, che riprendeva i contenuti della richiesta formulata per il tramite del canale di cooperazione internazionale di polizia (INTERPOL);

   2. una seconda rogatoria inoltrata nell'aprile del 2016 a seguito dell'incontro, infruttuoso, tra i magistrati avvenuto i giorni 7 e 8 di quello stesso mese. Tra gli aspetti di rilievo, cui non veniva fornito riscontro, figurano il traffico di cella del luogo della scomparsa di Giulio, quello del luogo del ritrovamento e quello dell'area ove è avvenuto lo scontro a fuoco in cui vennero uccisi i componenti della presunta banda di rapinatori, i profili biologici sul corpo, sui vestiti e sui documenti di Giulio, copia dei verbali della perquisizione in cui sarebbero stati rinvenuti i documenti del ricercatore, copia degli accertamenti di polizia scientifica sul minivan in uso alla citata banda;

   3. la terza rogatoria è del marzo 2017 e i quesiti che non hanno trovato risposta sono tutti riferiti ad accertamenti riguardo a soggetti delle forze di sicurezza egiziane, a vario titolo emersi dall'esame dei tabulati ovvero delle sommarie informazioni effettuate dei magistrati egiziani. Uno per tutti, il tecnico della National Security che ha fornito e poi rimosso l'apparecchiatura al sindacalista Abdallah Said la sera del 7 gennaio 2016, usata per la registrazione del colloquio con Giulio Regeni;

   4. la quarta rogatoria è datata novembre 2017 e le domande inevase si riferiscono, ad approfondimenti sulla catena gerarchica della National Security e sul ruolo da essa rivestito nella vicenda, oltre che alla richiesta di sottoporre a sequestro i computer e i telefoni in uso ai soggetti a qualunque titolo coinvolti nella vicenda;

   5. l'ultima rogatoria è dell'aprile 2019 ed è rimasta del tutto inevasa. Con essa gli inquirenti intendevano acquisire riscontri sui movimenti del maggiore Sharif della National Security rispetto a quanto riferito dal teste «Gamma» che lo aveva riconosciuto in un ristorante di Nairobi (Kenya), le complete generalità di 10 soggetti tra cui i cinque originariamente indagati e le relative effigie fotografiche(417), oltre ad una serie ulteriore di accertamenti su soggetti che in vario modo avevano intersecato la vicenda dell'intercettazione video del Pag. 217colloquio tra Said Abdallah e Giulio Regeni, nonché di soggetti che si erano a vario titolo trovati coinvolti nella fase delle ricerche, tra cui il capo della sicurezza dell'American University del Cairo, molto attivo nelle prime fasi successive alla scomparsa del nostro ricercatore.

  Per delineare un quadro di sintesi del complesso delle attività rogatoriali che hanno interessato le due procure possiamo rifarci a quanto il sostituto procuratore Colaiocco, ha riferito nel corso dell'audizione davanti a questa Commissione il 10 dicembre 2020: «Dall'Egitto a noi sono arrivate sul nostro tavolo in questi cinque anni solo due rogatorie che avevano ad oggetto undici quesiti, su cui è stata richiesta la nostra collaborazione dalle autorità egiziane. Noi nel 2016 e nel 2017 abbiamo risposto ad ambedue le rogatorie, rispondendo a tutti e undici i quesiti che c'erano stati posti fino ad ora. Al contempo noi, come forse è più noto, abbiamo presentato quattro rogatorie alle autorità egiziane in questi anni, che contenevano molti più quesiti, per l'esattezza 64 e per questi 64 quesiti abbiamo avuto 25 risposte. Siamo quindi ancora in attesa di 39 risposte dalle autorità egiziane.»
  Di queste ultime, tra quelle rimaste inevase, ben 13 sarebbero state utili ad identificare ulteriori soggetti appartenenti alla National Security che, in qualche modo, sarebbero coinvolti nei fatti per cui procede la procura capitolina. Poiché dal febbraio 2016 presso la Procura della Repubblica Roma è aperto un secondo procedimento penale, contro ignoti (di cui i quelli aperti contro i soggetti «noti» costituiscono uno stralcio), qualora la procura egiziana dovesse rivedere l'approccio e fornire alcuni degli elementi richiesti, cui non ha inteso precedentemente dare seguito, si potrebbe arrivare all'identificazione di ulteriori soggetti che seppur corresponsabili sono rimasti, sino ad oggi, ignoti(418).

7.7 La vicenda dei video della metropolitana e le mancate risposte della magistratura egiziana

  L'importanza di una fattiva collaborazione giudiziaria volta a far luce sull'omicidio del nostro ricercatore – precondizione essenziale alla piena espressione di tutte le potenzialità dei rapporti bilaterali di cooperazione in ambito giudiziario – trova nel sistema egiziano uno dei maggiori ostacoli nel grave ritardo nell'acquisizione delle immagini che avrebbero proiettato l'ingresso di Giulio Regeni nei sotterranei della metropolitana e quindi la sua apprensione.
  Sin dal 6 febbraio 2016, tre giorni dopo la scoperta del corpo senza vita del ricercatore italiano, nel corso del primo incontro tra la delegazione di investigatori italiani di ROS e SCO, con alti ufficiali rappresentanti di vertice del ministero dell'Interno e della National Security Agency egiziana, viene richiesto il sequestro urgente dei filmati delle telecamere di controllo in funzione agli ingressi della stazione della metropolitana e delle rispettive banchine in cui risulta essere scomparso Giulio Regeni(419). Pag. 218
  Quell'atto, semplice e ordinario in qualunque sistema giudiziario, fu compiuto quasi un mese più tardi, il 3 marzo 2016, il tempo necessario perché i frames di quella serata fossero automaticamente sovrascritti e resi illeggibili.
  La visione del materiale video-fotografico consegnato dalla autorità egiziane ad esito della estrapolazione dalle memorie di massa del sistema di video sorveglianza della metropolitana cairota non ha pertanto consentito di individuare Giulio Regeni tra i frequentatori di quel mezzo di trasporto nelle immagini consegnate agli inquirenti italiani. Peraltro, è stato appurato che: «l'ultimo video prodotto in ordine cronologico era relativo alle ore 20.24 del 28 febbraio; quindi per quanto il sequestro ufficialmente sia avvenuto il 3 marzo 2016, in realtà, i dischi sono stati rimossi il precedente 28 febbraio 2016».
  Tuttavia, prima di procedere nella descrizione dettagliata delle indagini tecnico-scientifiche e delle relative risultanze, ci si deve soffermare sulle lunghe trattative con le autorità egiziane, scandite da numerose vicissitudini in ordine alle azioni adottate per l'esame del materiale contenuto nei server della metropolitana del Cairo.
  In definitiva, l'estrapolazione delle immagini dal sistema di video-sorveglianza avveniva ad opera di un consulente informatico ucraino della società «Sysdev Laboratories»(420), nominato dalla Procura generale egiziana; operazioni che si svolgevano a maggio 2018, innanzi agli esperti egiziani.
  In precedenza, già nel corso del quarto incontro del 1° novembre 2016, al Cairo, il procuratore generale egiziano Sadek, a margine delle altre richieste oggetto della rogatoria attiva del settembre 2016, in ordine al recupero dei video della metropolitana, rappresentava che era stato raggiunto un accordo con una società tedesca, la società Kroll Ontrack Gmbh(421) in base al quale la stessa avrebbe effettuato le operazioni lavorando su una copia dell'hard disk, che doveva essere loro inviato in Germania.
  Ancora prima, le autorità cairote avevano istituito un'apposita commissione tecnica che aveva svolto specifici accertamenti presso la direzione centrale dell'azienda metropolitana del Cairo, dai quali si evinceva che la stessa commissione:

   non era stata in grado di recuperare le registrazioni del 25 e 26 gennaio 2016;

   che le registrazioni presenti all'interno del disco rigido avevano inizio dalla data del 6 febbraio 2016;

Pag. 219

   che l'hard disk del sistema di videosorveglianza non aveva raggiunto la sua massima capienza e di conseguenza che esistevano delle probabilità che vi fossero ancora le registrazioni delle giornate nelle quali era accaduto il fatto, motivo per il quale la commissione aveva chiesto la conservazione dei medesimi hard disk.

  La commissione tecnica aveva contattato la società tedesca EMC, gestore dell'apparato di videosorveglianza, per valutare la possibilità di recuperare i filmati in argomento, al fine di verificare se le registrazioni di interesse fossero state sovrascritte oppure solamente cancellate. Questa società, a sua volta, non era stata in grado di effettuare la ricostruzione dei contenuti presenti sulla memoria rigida o su ogni altro supporto da loro prodotto, dal momento che la stessa EMC era solita avvalersi, di converso, di altra società esterna specializzata, la Kroll Ontrack Gmbh che avrebbe garantito una buona percentuale di successo nel recupero delle sequenze video mediante sofisticati software.
  Nei mesi successivi si assiste ad una girandola di conferme e smentite nelle fasi del sofferto recupero di tale materiale documentale fin quando l'autorità giudiziaria cairota(422) argomenta che, per effettuare le copie dell'hard disk come richiesto dalla società tedesca, era necessaria una spesa nell'ordine dei centomila euro e che vi erano delle difficoltà per la Procura generale egiziana nel farsi carico della ingente spesa.
  Il 22 giugno 2016 la Procura della Repubblica di Roma chiede pertanto al Ministero della Giustizia l'autorizzazione al pagamento degli accertamenti tecnici irripetibili, tramite rogatoria, sui video della metropolitana, stante l'indisponibilità di risorse finanziarie comunicate dalla Procura generale egiziana per sostenere i costi del recupero dei dati della metropolitana da corrispondere alla ditta tedesca Kroll Ontrack Gmbh che avrebbe effettuato le operazioni in Egitto(423). Lo stesso giorno, il Capo di Gabinetto del citato dicastero, autorizza l'accollo delle spese delle attività in parola ricadenti tra le spese di giustizia, rilevata l'assoluta indispensabilità degli accertamenti non ripetibili de quibus. Il successivo 6 luglio 2016 la Procura della Repubblica di Roma corrispondeva con la citata Kroll Ontrack Gmbh alla quale illustrava, secondo gli accordi intercorsi con la controparte egiziana, di potersi avvalere della loro consulenza, qualora disponibili, ai fini del recupero delle riprese necessarie alle indagini essendo le immagini, probabilmente, sovrascritte, segnalando la necessità di effettuare le attività richieste al Cairo.
  In un appunto del 10 settembre 2016(424) redatto da personale dello SCO, viene sintetizzata la corrispondenza avvenuta via mail con il direttore delle vendite Ahmed Lasyan, dipendente della società tedesca individuata per il recupero dei filmati de quo, in cui si legge l'iniziale propensione ad accettare l'incarico purché non comportasse l'invio di loro dipendenti in Egitto mentre, con riferimento alla salvaguardia dei Pag. 220dati, si asseriva l'importanza di «lasciare gli hard drive in questione all'interno del dispositivo di registrazione».
  E, ancora, si precisava che: «la Procura egiziana aveva inoltrato una relazione tecnica redatta da esperti cairoti, con la quale veniva sottolineato come la batteria tampone degli hard disk avrebbe garantito la tenuta del dato per soli 5 giorni dal distacco del dispositivo».
  Tra il 27 luglio ed il 7 settembre 2016, avvengono diversi tentativi di interlocuzione con il partner tedesco non solo per conoscere il nominativo del tecnico designato, ma anche altri aspetti tecnici circa le modalità di presa in consegna degli hard drive. Si giunge, infine, alla mail del 10 settembre successivo in cui Lasyan comunica che la sua azienda non avrebbe accettato l'incarico in questione.
  Nei giorni 6 e 7 dicembre 2016 si svolgeva, ancora a Roma, il quinto incontro tra magistrati, ma per ciò che atteneva al recupero dei video della metropolitana, l'autorità giudiziaria egiziana evidenzia la persistenza delle difficoltà tecniche e finanziarie. Si conclude, con questo incontro, il periodo più florido di collaborazione tra la procura egiziana e quella romana perché; «...tutto il 2017 sarà incentrato sul problema del recupero dei video della metropolitana che in realtà, almeno per l'anno 2017, non porterà ad alcun risultato...».
  Solo il 7 maggio 2018, dopo un silenzio di circa sei mesi tra le parti si teneva un colloquio telefonico tra il Procuratore generale d'Egitto, e il Procuratore della Repubblica di Roma con l'invito della controparte egiziana ad inviare una equipe tecnico-informatica al Cairo per presenziare alle operazioni del recupero delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza della metropolitana(425), rimasto in un archivio della Procura generale del Cairo, dopo un'estenuante e pretestuosa dilazione dei tempi necessari ad aprirle ed esaminarle.
  Purtroppo, «l'attività non porterà a nessun utile acquisizione per le indagini, ed i sospetti, peraltro, in ordine alla genuina conservazione dei dati conservati nei server della metropolitana de Il Cairo».
  In una nota diffusa dai due uffici giudiziari, si legge: «Gli accertamenti compiuti dalla Procura di Roma e dalla Procura generale d'Egitto hanno permesso di verificare l'assenza, tra quanto si è riusciti a recuperare, di video o immagini relative a Giulio Regeni all'interno o in prossimità di stazioni della metro del Cairo«, e, ancora, «...dall'esame delle registrazioni acquisite è emerso che vi sono diversi 'buchi' temporali in cui non vi sono né video né immagini» pertanto «sono necessarie ulteriori indagini tecniche per accertarne le cause».

Le indagini tecnico-scientifiche.

  La lettura dell'analisi forense, condotta dagli esperti delle investigazioni scientifiche di Carabinieri e Polizia di Stato, inviati al Cairo a maggio 2018 per assistere alle operazioni tecniche di estrazione dei files video dal sistema di videosorveglianza, ha restituito una interessante analisi di metadati associati alle immagini video, riferiti al lasso Pag. 221temporale compreso tra le ore 19.00 e le ore 00.59 del 26 gennaio 2016, l'unico pacchetto di dati consegnato dalle autorità egiziane, in base al materiale recuperato dal tecnico Yuri Shula della «Sysdev Laboratories», azienda ucraina incaricata dalla Procura Generale del Cairo(426).
  Lampante è l'audizione dell'8 luglio 2021 di Daniela Tricca, maggiore dell'Arma dei Carabinieri, l'Ufficiale che si recò al Cairo dal 15 al 29 maggio 2018(427), unitamente al Direttore principale della Polizia Scientifica, ingegner Giacomo Rogliero, al seguito della delegazione che accompagnava il pubblico ministero Sergio Colaiocco, con l'intento di riuscire ad estrapolare dagli apparati di videosorveglianza installati all'interno della metropolitana del Cairo (al tempo, di recente installazione) i filmati relativi alla data del 25 gennaio 2016.
  Ricorda il maggiore Tricca che dalle specifiche tecniche dell'apparato di videosorveglianza, sequestrato poco più di un mese dopo il rinvenimento del cadavere del ricercatore italiano, il 3 marzo 2016, risultava che il tempo di registrazione che era stato possibile conservare era di 15 giorni con l'elevata possibilità che i dati ivi contenuti siano stati trascritti perlomeno due volte, fino all'arrivo dei tecnici incaricati(428).
  Il tentativo di riuscire a recuperare qualche filmato riconducibile a quella data fu comunque fatto, malgrado l'apparecchio di videosorveglianza da poco installato non era ancora a pieno regime e si sperava che lo spazio di archiviazione conservasse un tempo superiore ai 15 giorni.
  Nel corso della seduta, l'ufficiale dell'Arma spiega tutti i passaggi tecnici approntati per il pieno rispetto di determinati protocolli di comportamento, al fine di non compromettere l'attendibilità della prova «forense» nel corso dell'accertamento eseguito.
  Il maggiore Tricca ha affermato che, effettuata la copia forense di tutti gli hard disk contenuti all'interno dell'apparato di videosorveglianza e dopo aver ricostruito lo spazio di registrazione, è stato appurato «che i filmati conservati all'interno dell'apparecchio di video sorveglianza erano all'incirca quelli che si stimava, sui 15 giorni o un po' di più e ricercati, tuttavia, nello spazio non allocato, quindi nello spazio reso disponibile per successive registrazioni, c'erano dei frammenti di date precedenti». Spiega l'ufficiale che, dal momento che tali «frammenti» non riuscivano a raggiungere la data del 25 gennaio, con l'ausilio dell'ingegner Rogliero decise di effettuare un'indagine statistica sulla disposizione di tali frammenti per comprendere, appunto, se i Pag. 222frames rinvenuti nelle date successive a quelli della «data incriminata» avessero delle caratteristiche diverse.
  L'indagine, inoltre, nella sua fase iniziale, era mirata anche ad individuare dei files di log. Tale ipotesi fu subito scartata dal momento che la società di gestione della metropolitana egiziana aveva deciso di cambiare gli apparati di videosorveglianza e aveva installato un nuovo software sul vecchio, cancellando tutti i dati di log, utili per individuare se qualcuno avesse avuto accesso alle registrazioni, come si riteneva, in un momento successivo all'evento e che potesse essere stato in qualche modo loggato dallo stesso apparato di sorveglianza.
  Con l'installazione di un nuovo sistema sullo stesso apparato, in definitiva, i filmati di quella data non sono stati recuperati e non è stato possibile trovare riscontro a un'attività di consultazione fatta dalla polizia egiziana perché i file di log non erano più disponibili.
  Nel corso della richiamata relazione tecnica del 21 giugno 2018, risulta che l'attività di duplicazione degli hard disk originali effettuata tra il 18 ed il 31 maggio 2017, un anno prima rispetto all'attività forense svolta dai nostri tecnici, era priva dei report delle operazioni effettuate, precisando che più che copia forense è una copia delle immagini con tutto il contenuto digitale.
  La spiegazione del perché sia stata effettuata con così tanto anticipo è stata che i tecnici incaricati dovevano in «qualche modo testare il software(429) che è stato sviluppato ad hoc dall'informatico Yuri Shulga».
  Per quanto riguarda la problematica del disallineamento temporale di circa due ore in più rispetto all'orario di sistema, il maggiore riferisce che poteva trattarsi della mancanza di attenzione al settaggio corretto dei parametri; i filmati che sono stati recuperati, peraltro, presentavano «un cambiamento nel nome», come se fosse stato modificato il nome nel periodo intercorso tra il 25 gennaio ed il 3 marzo, data del sequestro dell'apparecchiatura.
  Evidentemente, al momento dell'installazione, i tecnici incaricati non avevano prestato attenzione alla configurazione corretta delle impostazioni tant'è che i filmati non riportavano né la data né tantomeno l'ora, «evidentemente qualcuno ha acceduto al sistema e corretto le impostazioni», come ha dichiarato lo stesso maggiore. Il settaggio, quindi, avviene in un tempo successivo e l'accesso sicuramente in data successiva.
  Accertata tale discrepanza, prosegue il maggiore Tricca, è stato modificato l'intervallo di ricerca per tenere conto di questo scostamento di orario, rilevando «che i files associati alle registrazioni video non più visibili e prodotti nel lasso temporale tra il 26 ed il 29 gennaio presentavano dati di accesso e di modifica molto diversi da quelli di creazione». I tecnici italiani furono quindi delegati a verificare la presenza di eventuali log files dell'apparato di videosorveglianza con l'obiettivo di censire le operazioni compiute sul sistema e comprendere quale tipo di attività potessero essere state compiute sullo stesso, con il fine ultimo di accertare eventuali «interventi sul sistema di registrazione». Pag. 223
  Secondo le analisi tecniche condotte sarebbero avvenuti i seguenti interventi di modifica: quello del 6 febbraio 2016 (giorno della richiesta di sequestro probatorio di tale materiale tecnico)(430); e i successivi dell'8, dell'11 e del 23 febbraio 2016.
  In merito agli scarti temporali negli intervalli tra le ore 19.49 e le 20.08 del 25 gennaio e le ore 23.48 e le ore 00.008 del 26 gennaio(431), l'ufficiale riferisce che è stata questa la ragione che ha consigliato di procedere allo «studio statistico» ritenendo «che questi filmati fossero stati cancellati in data precedente a quella in cui sarebbero stati cancellati naturalmente dal sistema; sistema che avrebbe tenuto “storati” i filmati per 15 giorni. La ragione di questa indagine statistica che abbiamo fatto sul numero di frammenti che erano presenti nelle fasce orarie era proprio dovuto a questo, cioè verificare se per caso avessimo avuto un riscontro sul fatto che soltanto in un certo lasso di orario ci fossero delle cancellazioni».
  Si decide, quindi, di ampliare l'orario, riscontrando che le interruzioni si ripetevano anche in altre fasce orarie fuori da quelle di interesse al rapimento di Regeni.
  Afferma testualmente il maggiore Tricca: «Anche in una fascia successiva c'erano quindi intere zone in cui non c'erano né filmati né video e quindi non ci siamo sbilanciati nel dire che ci fosse stata una cancellazione precedente, non ce la siamo sentita perché inizialmente volevamo cercare un supporto, ma avendo trovato un altro riscontro in un intervallo così ristretto secondo me non ci si poteva esprimere con certezza».
  A fronte di tali circostanze, l'unica risposta plausibile sta nella messa in atto della cancellazione dei log file di tutte le attività condotte e memorizzate sul sistema di videosorveglianza «Metis Symphony versione 6». Analizzando l'intero sistema, le indagini hanno infatti consentito di appurare che mancavano le immagini di tutto il sistema di videosorveglianza e non solo di alcune telecamere specifiche a quelle di interesse.
  In definitiva:

   il lungo lasso di tempo prima del sequestro dei dischi, che di fatto hanno permesso la sovrascrittura delle immagini di almeno due volte;

   gli importanti buchi temporali della sera tra il 25 e il 26 gennaio 2016;

   il cambio delle impostazioni e la cancellazione dei file di log per l'installazione di un nuovo software;

   nonché, gli accessi successivi al sistema e a determinati filmati;

Pag. 224

   costituiscono le più gravi anomalie che sono state riscontrate, per quanto statisticamente non «ci si può soffermare che su sette ore di analisi».

  Sicuramente un intervento tempestivo, anche alla data del 6 febbraio 2016, avrebbe consentito il recupero di qualche dato. Ma, proprio quel giorno, qualcuno è entrato nel sistema a modificare le impostazioni perché qualcosa è cambiato nelle registrazioni dei files precedenti a quella data, senza considerare i successivi accessi dell'8, 11 e 23 febbraio 2016: accessi che appaiono abusivi e con tutta probabilità dolosamente manipolati.
  L'ufficiale dell'Arma, a tal proposito, aggiunge: «abbiamo trovato che i file associati alle registrazioni video non più visibili, prodotti nel lasso temporale tra il 25 e il 29 gennaio, presentano date di accesso e di modifica diverse da quelle di creazione, quindi qualcuno li ha visti, a differenza di quanto avviene negli altri file video».
  Questo perché, tecnicamente, anche nel file cancellato rimangono informazioni sulla data di creazione, di accesso e di modifica.
  Riepilogando, il 6 febbraio 2016, potrebbero essere state cambiate le impostazioni, ovvero essere stato effettuato un accesso al sistema che setta i nuovi parametri e nelle date successive dell'8, 11 e 23 febbraio 2016 sono avvenuti degli accessi a determinati files che non si vedono ma di cui è rimasta comunque l'informazione del fatto che esistevano perché è possibile confrontarli con gli altri files che sono stati visionati.
  In conclusione, pur volendo ammettere che nella fascia temporale presa in considerazione, troppo ristretta sia per volontà della procura egiziana che per le limitazioni di natura contrattuale fissate al tecnico ucraino, la presenza di due grossi buchi di sistema, in quelle specifiche fasce orarie, costituisce certamente un'anomalia estremamente grave perché uno di questi buchi si trova esattamente nell'orario compatibile con la sparizione di Giulio Regeni; orario in cui Giulio Regeni si trovava nella stazione della metropolitana ed il suo telefono agganciava una delle celle della stazione, quella di Dokki, per l'appunto.
  Resta il forte rammarico che l'indagine statistica non abbia permesso di affermare con certezza assoluta se vi sia stata manomissione essendo stata «commissionata» l'analisi solo su quella ristretta fascia oraria di interesse, comprensiva di cinque ore, diventate sette a causa del disallineamento di due ore. Un intervallo troppo ristretto per rispondere ai quesiti posti.
  Solo un'analisi comparativa su più giorni – che non rientrava nella richiesta con cui si era partiti e che riguardava l'estrapolazione dei filmati della metropolitana riprendenti Giulio Regeni densamente popolati di fotogrammi e di filmati – avrebbe potuto restituire risposte definitive ed escluso almeno una delle anomalie descritte.
  Il 27 giugno 2018, in un comunicato congiunto, le due procure dichiarano che non stato rinvenuto «Nessun materiale di interesse investigativo» nelle immagini messe a disposizione dall'Egitto...(...)non solo nelle poche immagini messe a disposizione (il cinque per cento di quelle riprese dalle telecamere interne alla linea 2 il 25 gennaio 2016) non si vede mai Giulio, ma ci sono diversi «buchi temporali in cui non vi sono né video né immagini».
  Nelle conclusioni cui è pervenuta la procura italiana, si rilevano rileva ulteriori dubbi sulla poca genuinità del materiale in esame. E' Pag. 225scritto, infatti, nella relativa annotazione di polizia giudiziaria dell'8 febbraio 2016:

   «...Con riferimento all'indagine egiziana, il collaterale organismo investigativo ha riferito che: “...(...)...sarebbero state visionate le telecamere della stazione metropolitana Boohooth, nei pressi della sua abitazione, dove verosimilmente sarebbe dovuto andare il giorno della scomparsa, per prendere quel mezzo di trasporto pubblico e raggiungere il luogo dell'incontro con il Gervasio. Tuttavia, nei filmati relativi alla fascia oraria di interesse non avrebbero rilevato la presenza del Regeni, elemento dal quale desumerebbero che lo stesso non ha mai preso la metropolitana...”.

  Il 7 febbraio 2016, in conclusione, i nostri investigatori apprendevano dai colleghi egiziani che le immagini riferite alla frazione temporale di interesse esistevano, che le stesse erano state visionate dagli investigatori del Cairo, e che nulla di utile alle indagini era stato rilevato mentre successivamente siffatta circostanza veniva negata dagli stessi ufficiali della National Security Agency.
  Infine il PM Colaiocco dichiara:

   “...Pertanto, alla luce di tutti questi elementi, seppur ipotetici, è ragionevole ritenere, sul piano logico, che appartenenti alla National Security Agency non siano estranei alle operazioni effettuate sul server del circuito chiuso della metropolitana: da un lato, contribuendo affinché spazi di memoria fossero disponibili alla sovrascrittura prima della loro scadenza naturale così cancellando le immagini della fascia oraria di interesse. Dall'altro favorendo, in data successiva al 28 febbraio 2016 (come si desume dal fatto che l'ultima registrazione disponibile è datata 28 febbraio 2016, ore 20:04), la sostituzione del sistema operativo, avvenuta attraverso l'installazione di uno nuovo, che ha azzerato ogni possibilità di ricostruire le operazioni effettuate sul sistema stesso...A tal proposito si tenga conto che gli hard disk sono stati posti sotto sequestro dall'Autorità Giudiziaria egiziana, malgrado la richiesta rogatoriale italiana fosse di alcune settimane prima, solo il 3.3.2016, adottando unicamente in tale data idonea procedura per la preservazione dell'integrità dei dati contenuti nell'apparato....”

8. I RISULTATI DELLE INDAGINI E LE REAZIONI EGIZIANE

8.1 La ricostruzione della Procura della Repubblica di Roma

  L'articolata ricostruzione della procura romana su come si sono evoluti gli eventi a far data dall'arrivo di Giulio Regeni al Cairo può essere meglio compresa seguendo la ricostruzione cronologica dei fatti così come delineata dagli inquirenti, che pare opportuno qui ripercorrere anche a costo di qualche ripetizione. Tale cronologia consente di evidenziare la rete di controlli (“la ragnatela”, come è stata definita) che dall'ottobre 2015 si è progressivamente stretta attorno al nostro ricercatore ad opera di ufficiali della National Security, con la partecipazione, consapevole o meno, di coloro che gli erano vicini(432) e ai quali aveva dato la sua fiducia. Pag. 226
  Il 9 settembre 2015 Giulio Regeni, a ventotto anni, atterra in Egitto per effettuare quelle ricerche sul campo che gli sono necessarie per completare il suo dottorato presso l'Università di Cambridge. Il dottorato in “Development Studies” è supervisionato, a Cambridge, dalla professoressa Maha Abdelrahman e ha per oggetto le attività dei sindacati indipendenti in Egitto. La Abdelrahman gli assegna come tutor per la ricerca sul campo la prof.ssa El Mahdi, accademica presso l'American University del Cairo, prestigiosa università di proprietà straniera presente in Egitto. Dopo qualche tempo e grazie all'intermediazione di Noura Wahby, egiziana e ricercatrice presso la Cambridge University come lui, trova in locazione una stanza in un appartamento condiviso con l'avvocato egiziano El Sayyad e una ragazza tedesca, posta nel quartiere di Dokki.
  Grazie ai buoni uffici della professoressa Rabab, Giulio Regeni entra in contatto con Hoda Kamel, coordinatrice di un ente di supporto ai lavoratori e ai sindacati indipendenti (“Egyptian Center for Economic and Social Rights” – ECESR) che lo metterà in contatto coi venditori di strada, accompagnandolo lei stessa nelle prime uscite. Ed è grazie a lei che incontra il sindacalista, Said Abdallah, il 13 ottobre 2015, intervistandolo una prima volta. È a lui che Giulio Regeni chiede, fin da ottobre, due giorni dopo il loro primo incontro, di essere accompagnato nei mercati della città per conoscere gli ambulanti appartenenti ai sindacati indipendenti, richiesta che inizialmente il sindacalista rigetta poiché, come dichiarerà successivamente agli inquirenti egiziani, riteneva fosse troppo rischioso farsi vedere in compagnia di un occidentale che “faceva domande”. Il sindacalista cambierà poi idea, non si sa se imbeccato dagli appartenenti alle stesse forze di sicurezza che volevano sapere di più su Giulio Regeni o se per altri motivi, e lo accompagnerà nelle visite che il ricercatore effettuerà presso il mercato di Masr al-Gadida, al Cairo. Durante queste visite però lo stesso sindacalista maturerebbe la convinzione che il Regeni sia politicamente pericoloso e decide di denunciarlo. Accompagnato dal colonnello Ather Kamal della polizia investigativa del Cairo, si reca nella sede della National Security e incontra il colonnello Helmy e il maggiore Sharif. Da quel momento il sindacalista riferirà tutto al maggiore Sharif.
  Il 7 dicembre il colonnello Helmy chiede al sindacalista se stia controllando Giulio Regeni. Il sindacalista conferma che lo sta seguendo e che ha organizzato per il giorno successivo, l'8 dicembre, un giro al mercato di Masr al-Gadida.
  L'8 dicembre Regeni e Abdallah si recano al mercato, ma il sindacalista ha preavvisato i venditori e ha dato loro istruzioni di non esporsi, facendo presente che trattandosi di uno straniero non era il caso di dargli confidenza.
  L'11 dicembre Giulio Regeni partecipa ad una accesa riunione pubblica dei sindacati indipendenti. È la prima riunione che dopo lungo intervallo di tempo sembra sollecitare un tentativo di coordinamento delle azioni delle circa 50 organizzazioni dei rappresentanti dei lavoratori presenti, al fine di formare, dinanzi al governo, un fronte compatto. In tale occasione si accorge che è stato fotografato da una giovane donna velata e si allarma. Fa cenno della cosa al connazionale e amico Francesco De Lellis anch'egli presente alla riunione. Pag. 227
  Il 15 dicembre Noura Wahby, amica e collega ricercatrice, cancella i contenuti della cartella Dropbox condivisa con Giulio Regeni, dove si trovava il file word con le domande che l'italiano rivolgeva ai venditori di strada e che lei aveva revisionato. Essere associati a Giulio Regeni è diventato evidentemente pericoloso.
  Il 17 dicembre Giulio Regeni incontra il professor Gervasio per parlargli dei risultati della sua ricerca. Il maggiore Sharif e l'agente turistico Rami si sentono per ben tre volte a distanza di poche ore.
  Il 18 dicembre il maggiore Sharif chiede al sindacalista Abdallah di accertare la fonte del finanziamento di 10.000 sterline proveniente dal Regno unito di cui gli aveva parlato Regeni, nell'intento di aiutare la causa del sindacato. Said Abdallah, quindi, si fa consegnare una copia del bando di partecipazione al concorso bandito da Antipode Foundation. Riceverà sia l'originale in inglese sia la copia tradotta in arabo.
  Il 20 dicembre il maggiore Sharif incarica l'agente Ibrahim di andare a ritirare dal sindacalista Abdallah i documenti sul finanziamento che Regeni gli aveva consegnato pochi giorni prima. Quello stesso giorno Giulio Regeni rientra in Italia per trascorrere in famiglia il periodo delle festività natalizie.
  Il 4 gennaio Regeni torna in Egitto. Il successivo 5 gennaio, appresa la notizia del rientro di Regeni, presso gli uffici della National Security si tiene una riunione; al termine della quale il colonnello Helmi e il maggiore Sharif convocano il sindacalista Said Abdallah per il giorno successivo.
  Il 6 gennaio viene pianificata la videoregistrazione dell'incontro che Said Abdallah avrà con il ricercatore il giorno successivo. In quella occasione il generale Tareq, il colonnello Helmi e il maggiore Sharif consegnano al sindacalista l'apparato di videoregistrazione, ingegnosamente celato all'interno di un bottone della camicia.
  Il 7 gennaio il sindacalista si vede con Giulio Regeni, registrando l'intero incontro, nel corso del quale cerca di ottenere dei soldi per poter organizzare delle manifestazioni di protesta in occasione dell'anniversario della rivoluzione, il successivo 25 gennaio. Giulio Regeni chiude subito ad ogni possibilità di poter ottenere un anticipo sull'eventuale sovvenzione, atteso che il concorso si sarebbe concluso a giugno. Terminato l'incontro, il sindacalista chiama il colonnello Kamal e poi viene contattato dagli uffici della National Security per la consegna del video. Infine, si sente direttamente col maggiore Sharif.
  Il 9 gennaio dal centralino della National Security partono, attorno all'ora di pranzo, più telefonate dirette al sindacalista Abdallah.
  Il 10 gennaio il maggiore Sharif chiama, all'ora di pranzo, il sindacalista Abdallah; nel corso della serata vi saranno ben otto scambi telefonici tra loro e due SMS.
  La sera del 13 gennaio Giulio Regeni si reca a casa del professor Gervasio per aiutarlo nella correzione di alcune tesine universitarie.
  Il 14 gennaio viene pubblicato su un sito internet – Nena news – un articolo di Regeni e del suo amico e collega De Lellis sulla riunione sindacale dell'11 dicembre, sotto pseudonimo.
  Il 20 gennaio vi è un intenso scambio di telefonate. L'attività di controllo su Giulio Regeni risulta dai tabulati telefonici. L'amica Noura Wahby chiama Rami; subito dopo lei contatta Giulio Regeni mentre Pag. 228Rami chiama Sharif. Dopo aver parlato con Giulio Regeni, l'amica Noura si sente nuovamente con Rami.
  Il 21 gennaio Noura Wahby organizza una serata, a casa propria, per festeggiare il compleanno di Giulio Regeni di alcuni giorni prima con alcuni amici. Regeni vi si recherà indossando lo stesso pullover con cui poi sarà ritrovato il 3 febbraio. Tra gli invitati vi è anche l'agente turistico Rami, che è sempre in contatto con il maggiore Sharif. Rami entra così per la prima volta in contatto diretto con Regeni. In quella stessa data vi è l'ultimo scambio telefonico tra il sindacalista Abdallah e il maggiore Sharif.
  Il 22 gennaio Il coinquilino Sayyad contatta più volte l'agente Najem che immediatamente dopo contatta il colonnello Helmy, per riferire quanto appreso.
  Il 23 gennaio Regeni esce la sera a cena con un gruppo di amici. Il sindacalista Abdallah dichiarerà: “Parlando con il maggiore Sharif ho capito che volevano tenerlo sotto controllo ancora, per sapere che cosa avrebbe fatto il 25 gennaio”.
  Il 25 gennaio Giulio Regeni:

   esce poco dopo le 19.30, nel giorno del quarto anniversario di Piazza Tahrir per un appuntamento non programmato, ma concordato per le ore 20.00 con Gennaro Gervasio;

   il suo telefono aggancia la rete telefonica per l'ultima volta alle 19.51 alla fermata della metropolitana di Dokki, a circa 20 minuti da casa sua;

   viene fermato, e poi colpito, dal maggiore. Sharif, della National Security;

   viene, quindi, condotto al Commissariato di Dokki;

   la notte stessa è portato a “Lazhougly”, struttura detentiva non ufficiale della National Security dove viene visto, pochi giorni dopo, nudo dalla vita in su, ammanettato e steso sul pavimento, con già indosso i segni delle sevizie operate da appartenenti alla National Security.

  Il 3 febbraio, alle 10.30, ne viene rinvenuto il corpo, in una zona desertica, abbandonato in un'area a ridosso di due grandi vie di comunicazione: la confluenza tra l'Alexandria Desert Road e la Sahara El Ahram Road.

8.2 L'iscrizione nel registro degli indagati e la questione dell'elezione di domicilio

  Nel dicembre 2017, all'approssimarsi del secondo anniversario dell'omicidio, sequestro e torture in pregiudizio di Giulio Regeni, la procura italiana consegna all'omologa egiziana una dettagliata informativa, redatta dai Carabinieri del ROS e dallo SCO della Polizia di Stato, datata 5 dicembre 2017, nella quale gli investigatori ricostruiscono il dettaglio di gran parte della rete di controllo messa in atto dalla National Security e dalla polizia egiziana nei confronti del ricercatore italiano. È confermata l'implicazione degli apparati di Pag. 229sicurezza egiziani nella vicenda del rapimento, nei depistaggi, nelle torture e nell'uccisione del ricercatore italiano.
  I nomi dei soggetti coinvolti nel sequestro sono inizialmente individuati dai magistrati italiani in nove ufficiali della National Security, il servizio segreto civile egiziano, e del Dipartimento di polizia investigazioni municipali del Cairo; quattro di loro hanno sicuramente tenuto sotto stretta osservazione Regeni fino alla sera del 25 gennaio 2016.
  Ricordiamo, brevemente, che in cima alla lista c'è il maggiore Sharif Magdi Ibrqaim Abdlaal che ha coordinato l'operazione di spionaggio, coinvolgendo il sindacalista Mohammed Abdallah. È stata la National Security ad arruolare il capo degli ambulanti e a fornirgli persino una sofisticata telecamera nascosta per provare a incastrare Regeni. Ed è proprio il maggiore Sharif che Abdallah Said chiama il precedente 7 gennaio per riconsegnare l'attrezzatura in dotazione.
  Nell'informativa viene evidenziato inoltre il comportamento di alcuni amici: il coinquilino di Regeni, l'avvocato Mohamed El Sayyed che, durante le vacanze di Natale, ha ricevuto la visita di un ufficiale dei servizi permettendogli di entrare nella stanza di Giulio Regeni e ha chiamato in più occasioni una persona che subito dopo s'è messa in contatto con Nasr City, il quartier generale della National Security. Comparazioni meticolose di tabulati che hanno svelato le telefonate tra Noura Wahby, la compagna di studi egiziana a Cambridge, e un uomo in contatto con uno degli ufficiali che ha seguito il giovane ricercatore a gennaio.
  Qualche giorno dopo la condivisione della nota riepilogativa, il 14 dicembre 2017, c'è stato un ulteriore passo in avanti dal forte valore simbolico: la consegna degli atti processuali alla famiglia Regeni.
  Quello stesso giorno, in un incontro con il Presidente Al-Sisi, l'allora Ministro dell'Interno Marco Minniti, aveva sottolineato la necessita di far avanzare la collaborazione tra le Procure, attraverso uno scambio di materiale investigativo, con particolare riguardo alle videoregistrazioni della metropolitana.
  “Da parte nostra c'è la forte volontà di conseguire risultati definitivi nell'inchiesta sull'omicidio Regeni attraverso la prosecuzione della cooperazione giudiziaria tra la Procura di Roma e la Procura generale egiziana”, aveva infine assicurato il Capo di Stato egiziano.
  Gli esiti delle indagini riepilogati nella citata informativa, vengono successivamente condivisi nel corso del settimo incontro tra le procure al Cairo, il 21 dicembre 2017, durante il quale i magistrati italiani illustrano un'articolata e attenta ricostruzione dei fatti sulla base degli atti consegnati dall'Egitto, da ultimo in data 14 agosto 2017. Nella circostanza ne viene rilasciata alla procura egiziana una copia che contiene la lista, come già accennato, di 9 ufficiali sospettati per il sequestro, le torture e la morte di Giulio Regeni, coinvolti – a vario titolo – nelle operazioni di indagine sulla vittima e nei depistaggi che seguirono il ritrovamento del suo corpo, in un range temporale che si ritiene abbia avuto origine nell'ottobre 2015. Tutti i soggetti sono stati identificati dalle indagini di ROS e SCO sulla base dei tabulati telefonici consegnati dalla Procura del Cairo.
  “Nel corso dell'incontro – si legge nella nota congiunta diffusa al termine della riunione – i magistrati hanno proceduto ad una approfondita Pag. 230 disamina dei nuovi elementi che i due uffici si sono scambiati”. Vi è stato, inoltre, “un aggiornamento sullo stato di avanzamento dei lavori della società incaricata del recupero dei video della metropolitana del Cairo”. Nella circostanza, gli inquirenti italiani comunicano alla procura egiziana di essere disponibili ad attendere le loro analisi della documentazione consegnata dall'Italia prima di procedere ad iscrivere i soggetti presenti nell'informativa nel registro delle notizie di reato.
  Nel 2018, in occasione del secondo anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, il Procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, scrive una lettera aperta sullo stato delle indagini pubblicata su “La Repubblica”. Vi spiega innanzitutto quali sono state le prime complicazioni nell'inchiesta: “La circostanza che i tragici fatti siano avvenuti in Egitto ha avuto come naturale conseguenza il fatto che spetti, innanzitutto, alle autorità di quel Paese il diritto, ma anche il dovere, di svolgere le indagini. Noi – magistrati e polizia giudiziaria italiani – possiamo solo collaborare e supportare le attività degli inquirenti egiziani, anche con proposte e sollecitazioni; non possiamo, invece, immaginare di raccogliere fuori dall'Egitto elementi decisivi per la individuazione dei responsabili”.
  Il procuratore Pignatone ringrazia poi il collega egiziano Nabeel A. Sadek perché “per la prima volta, credo, un Procuratore generale di un altro Paese è venuto in Italia, pur in assenza di trattati, per condividere i risultati delle sue attività d'indagine e noi siamo andati al Cairo con lo stesso scopo”. Il procuratore fissa poi alcuni punti fermi per la Procura tra cui: “il movente, pacificamente da ricondurre alle attività di ricerca effettuate da Giulio Regeni nei mesi di permanenza al Cairo”. Ricorda, ancora, come sia emerso poi “con chiarezza il ruolo di alcune tra le persone che Giulio Regeni ha conosciuto nel corso di tali ricerche, persone che lo hanno tradito”, inoltre “è stata anche messa a fuoco l'azione degli apparati pubblici egiziani che già nei mesi precedenti avevano concentrato su Giulio Regeni la loro attenzione, con modalità sempre più stringenti, fino al 25 gennaio”.
  Per quanto riguarda Cambridge e in particolare Maha Abdelrahman, la supervisor di Regeni nel Regno unito – ascoltata come testimone dai PM nei primi giorni di gennaio con la successiva acquisizione di suoi oggetti personali (pc, hard disk e cellulare) – Pignatone dichiara: “vi è poi da sottolineare come, dato che il movente dell'omicidio va ricondotto esclusivamente alle attività di ricerca di Giulio, è importante la ricostruzione dei motivi che lo hanno spinto ad andare al Cairo e l'individuazione delle persone con cui ha avuto contatti sia nel mondo accademico, sia negli ambienti sindacali egiziani”.
  Nell'audizione del 17 dicembre 2019, il sostituto Colaiocco riepiloga le iniziative portate avanti dalla procura italiana, difronte ad una condizione di stallo generale da parte dell'omologa controparte egiziana.
  “Da dicembre 2017 dovrà passare un anno, fino a novembre 2018, perché succeda qualcosa di nuovo. È un anno in cui, malgrado le insistenze da parte italiana per ottenere una risposta e per non sganciare il percorso giudiziario dell'una e dell'altra procura, nulla succede. Per cui a novembre 2018, nel settimo incontro che ho al Cairo con i colleghi egiziani, chiediamo loro se sono arrivati a una determinazione in ordine a questa informativa di settantacinque pagine consegnata un anno prima. Pag. 231Loro riferiscono che non ritengono che ci siano indizi per indirizzare univocamente le indagini su alcuni soggetti della National Security, ma che le indagini devono andare avanti a trecentosessanta gradi, come si usa dire. Quindi all'esito di questo primo incontro, nel secondo incontro della giornata, io, come d'accordo con il procuratore Pignatone, rappresento loro che siamo costretti a questo punto, essendo passato un anno, a provvedere all'iscrizione nel registro degli indagati. Quindi un anno fa, ai primi di dicembre del 2018, la Procura di Roma provvede all'iscrizione per il reato di sequestro di persona di cinque appartenenti alla National Security.”
  Il magistrato inquirente asserirà: Ripeto quanto abbiamo già detto un anno fa: certamente il periodo più proficuo della collaborazione con le autorità egiziane, come noi abbiamo sempre dichiarato, è stato quello dell'autunno del 2016, in cui sono stati raccolti gli elementi più significativi. Dal gennaio 2017 alla fine del 2018 sono stati forniti altri elementi tra cui il verbale dell'agente Najem che oggi è oggetto di archiviazione, ma certamente la parabola della quantità di atti che ci è pervenuta è andata scemando. È evidente, almeno a me e a noi che abbiamo operato in questa indagine, che da quando sono stato l'ultima volta al Cairo, il 28 novembre 2018, occasione nella quale comunicammo ai magistrati egiziani che avremo proceduto all'iscrizione sul registro degli indagati, nessun nuovo atto è pervenuto fino a oggi dalle autorità egiziane....»(433).
  A fronte di quest'ultima palese mancanza di leale collaborazione, il 29 novembre 2018, il Presidente della Camera dei deputati Roberto Fico annunciava ufficialmente la sospensione dei rapporti con il Parlamento egiziano, approvata in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo. Con tale dichiarazione, si intendeva sospendere ogni tipo di relazione con il Parlamento egiziano in attesa di una «vera svolta nelle indagini e di un processo che sia risolutivo».
  Analoga indignazione trapela dalle dichiarazioni dell'allora Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, del 30 novembre successivo, in cui convoca formalmente alla Farnesina l'ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto in Italia, Hisham Badr. Il ministro intende «sollecitare le autorità egiziane ad agire rapidamente al fine di rispettare l'impegno, assunto ai più alti livelli politici, di fare piena giustizia sul barbaro omicidio di Giulio Regeni». Rende noto la Farnesina: «Il ministro Moavero ha sottolineato come gli esiti della riunione svoltasi nei giorni scorsi a Il Cairo tra magistrati italiani ed egiziani abbiano determinato una forte inquietudine in Italia. Preso atto delle assicurazioni Pag. 232 da parte dell'ambasciatore egiziano circa la volontà di proseguire la cooperazione giudiziaria tra le due Procure, il ministro Moavero ha espresso l'esigenza da parte italiana di vedere concreti sviluppi investigativi».
  Il ministro respinge, inoltre, le rimostranze mosse dall'Egitto al Presidente della Camera Fico in merito alla sospensione unilaterale dei rapporti parlamentari. Intanto, l'ambasciatore Badr manifesta la volontà dell'Egitto di proseguire con la cooperazione giudiziaria tra le Procure.
  Il 4 dicembre 2018, come noto, la Procura di Roma iscrive 5 soggetti nel registro delle notizie di reato, il generale Sabir Tareq, il maggiore Magdi Abdelal Sharif, il colonnello Husam Helmi con il suo stretto collaboratore Mahmoud Najem e il colonnello Ather Kamal sono gli indagati per il caso Regeni, tutti alti ufficiali del Dipartimento di Sicurezza Nazionale e dell'Ufficio investigativo del Cairo. Nei loro confronti il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone e il sostituto procuratore Sergio Colaiocco ipotizzano il reato di concorso in sequestro di persona.
  Manca, tuttavia, quella che nel codice di rito vigente è la condizione imprescindibile che rende più efficace il risultato conoscitivo cui è preordinato il sistema delle notificazioni: la dichiarazione o l'elezione di domicilio, sancita ai sensi dell'art. 161 c.p.p..
  Ben si comprende, dunque, l'importanza dell'atto in parola, che segna il primo momento nel quale l'indagato si trova a compiere una scelta binaria: disinteressarsi da subito del procedimento penale a suo carico oppure approntare un'efficace difesa attraverso la nomina di un legale di fiducia che provvederà ad esercitare, nel suo interesse, tutte le garanzie difensive previste dall'ordinamento.
  Dichiarerà il PM Colaiocco, in merito alle problematiche connesse all'elezione di domicilio: «...Il secondo punto aveva a oggetto l'elezione di domicilio da parte dei cinque indagati che come credo sia fatto noto è uno degli elementi che permette nel corso di un procedimento penale di effettuare le notifiche: in particolare, nel nostro caso, le notifiche per la proroga delle indagini preliminari, che ogni sei mesi la procura deve fare, nei procedimenti contro noti, agli indagati residenti all'estero; l'articolo 169 del codice di procedura penale prevede infatti alcune modalità per richiedere ai residenti all'estero l'elezione di domicilio. Noi abbiamo chiesto collaborazione alla procura egiziana nell'aprile del 2019 e stiamo attendendo. Il terzo punto riguardava alcuni tabulati, ma si tratta di elementi probatori residuali. Questo era l'oggetto della rogatoria. La rogatoria è del 28 aprile del 2019 e a oggi siamo in attesa della risposta...».
  Per gli aspetti di competenza, con specifico riferimento al «sostegno» per facilitare gli sviluppi dell'indicata richiesta internazionale, l'Ambasciatore Giampaolo Cantini, nel corso della sua audizione, sottolinea l'impegno profuso, avendo interloquito con il precedente Procuratore Generale Sadek, ma anche sul suo successore, sulla base delle indicazioni ricevute dalla Procura della Repubblica di Roma.
  Sul punto, ha dichiarato: «...ad esempio, circa le procedure di notifica delle iscrizioni nel registro degli indagati a cinque funzionari della National Security egiziana. Dopo la nomina del nuovo procuratore generale, Hamada al Sawi, nel settembre del 2019, ho subito chiesto di Pag. 233incontrarlo. Tale incontro ha avuto luogo il 12 ottobre 2019 e da esso sono scaturite due lettere indirizzate all'allora procuratore capo, facente funzioni, dottor Prestipino, per mio tramite, e datate rispettivamente 20 e 22 ottobre 2019. Con la seconda delle quali si invitava il nuovo procuratore capo, allorché fosse stato nominato – e fortunatamente è stato nominato, come sapete, proprio ieri – a un incontro al Cairo. Desidero sottolineare, come elemento di contesto che può essere utile per le valutazioni di questa Commissione, che il nuovo procuratore generale egiziano mi disse, nel colloquio del 12 ottobre(434), che intendeva esaminare con il suo omologo «quello che è stato fatto – inclusi gli errori che sono stati commessi – quello che rimane da fare e stabilire un'agenda di lavoro comune ed elaborare una strategia e una visione comune». A seguito di questo incontro e dei successivi contatti diretti tra le procure, si è anche realizzato un primo incontro a livello tecnico tra i due team investigativi il 14 e 15 gennaio scorso. A me sembra, nei limiti delle mie funzioni e delle mie competenze, che questa sia la prospettiva a cui si debba guardare, adesso. Il nuovo procuratore generale egiziano ha espresso la sua determinazione a dare impulso alle indagini e alla cooperazione e a pervenire a risultati conclusivi. Anche sulle varie problematiche di ordine giuridico connesse alla rogatoria della Procura della Repubblica di Roma del 30 aprile scorso, ha affermato di volerne fare esame congiunto con il suo omologo. Credo che la nomina, avvenuta ieri con l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura, del nuovo procuratore capo della Repubblica di Roma, a sua volta, apra una nuova prospettiva. Non sono certezze; è una prospettiva che va esplorata e testata fino in fondo.
  E, sulla cooperazione giudiziaria, non tace nemmeno Marco Minniti, già Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica durante il Governo Renzi che, per quattro anni, «ha mantenuto il riserbo sull'uccisione di Giulio Regeni in Egitto».
  Nel corso di un'intervista rilasciata al quotidiano «la Repubblica», nel giugno 2020(435) – l'ex Ministro dell'Interno nel Governo Gentiloni, interrompe il silenzio per chiedere alle istituzioni di rivendicare dal Cairo una «partnership esigente».
  «La cooperazione giudiziaria con l'Egitto, grazie al lavoro straordinario delle nostre polizie e della Procura di Roma, ha consentito di formulare un'ipotesi accusatoria a carico di uomini degli apparati di sicurezza egiziani che impone al Cairo una risposta»; attendendo, inoltre, «una risposta che metta la nostra Magistratura nella condizione tecnico-giuridica di esercitare la propria giurisdizione nei confronti degli indagati», come ad esempio «disponendone il processo, affinché venga data risposta a una imprescindibile domanda di verità e giustizia».
  «L'Egitto deve farci processare chi uccise Regeni» – afferma Minniti perché, «di fronte a una democrazia artificiosamente costretta, nel caso Pag. 234Regeni, all'alternativa diabolica tra scegliere i principi o gli interessi, a un'Europa inerte di fronte a un Mare Nostrum sempre meno nostro, si può e si deve rispondere in un solo modo. Con il massimo del realismo che, in politica, significa innovazione coraggiosa e pensiero lungo. L'impossibile, appunto. Che è tale solo per chi non riesce ad immaginarlo». Chiarisce inoltre: «La dico in una parola: una partnership esigente con l'Egitto. Nessuno meglio di me, credo, sa che tipo di interlocutore sia Al Sisi e quanto sia strategico nel Mediterraneo il rapporto con il Cairo. E tuttavia, il trasferimento di sistemi d'arma per 10 miliardi non è una questione tecnica. È un passaggio di estrema rilevanza politica e diplomatica perché intorno al sequestro e all'omicidio di Giulio Regeni, al dolore composto e combattivo della sua famiglia, si è coagulato quello che io chiamo lo spirito pubblico del nostro Paese. E questo spirito pubblico, dall'inizio di questa vicenda, ha imposto una rotta non negoziabile: subordinare ogni nostro passo politico-diplomatico a un passo del Cairo nella direzione della cooperazione giudiziaria. E questo non può essere lasciato cadere», ha aggiunto, «perchè lo dobbiamo non solo a una famiglia, ma all'Italia» perché «l'Italia non aspetta nulla di diverso da questo»; e sia «dall'Egitto e dal proprio Governo»(436).
  Quando Marco Minniti rilasciava questa intervista, come detto, non si era ancora giunti al comunicato congiunto del 30 novembre con la Procura di Roma, né a quello successivo del 30 dicembre, della sola parte egiziana, in cui erano state avanzate «riserve sul quadro probatorio» costituito «da prove insufficienti per sostenere l'accusa in giudizio».

8.3 L'atto finale della cooperazione giudiziaria

  Il 30 novembre 2020 ha luogo l'ultimo incontro, in videoconferenza, tra le due procure. E' l'epilogo di una serie di contatti avviati con la ripresa delle relazioni tra gli organi inquirenti italiani ed egiziani culminata con l'incontro tra i magistrati del 5 novembre precedente, in cui nuovamente, da parte italiana, dopo aver illustrato i contenuti di alcune dichiarazioni testimoniali che dimostravano l'inequivocabile coinvolgimento di alcuni appartenenti alle forze di sicurezza egiziane, era stato chiesto di voler dare seguito alla richiesta di elezione di domicilio avanzata nei loro riguardi. Dal canto loro gli inquirenti del Cairo avevano richiesto, nuovamente, elementi di informazione sulle attività di Giulio Regeni in Egitto e avevano presentato degli indizi a supporto della tesi che ad operare il sequestro potessero essere effettivamente stati gli appartenenti alla banda di presunti rapinatori rimasti uccisi nel conflitto a fuoco con le forze di sicurezza egiziane il 24 marzo 2016. Tesi che già all'epoca l'allora Procuratore generale, Nabil Sadek, aveva definito piena di punti oscuri.
  Secondo il Procuratore generale Hamada Al-Sawi, subentrato a Sadek, «la Procura generale d'Egitto ritiene che l'esecutore materiale dell'omicidio di Giulio Regeni sia ancora ignoto» e di «avere raccolto prove sufficienti nei confronti di una banda criminale accusata di furto aggravato degli effetti di Regeni che sono stati rinvenuti nell'abitazione di uno dei membri della banda criminale...». Pag. 235
  Prosegue il magistrato egiziano: «...le indagini hanno accertato che la stessa banda aveva già compiuto atti simili ai danni di cittadini stranieri, tra i quali anche un altro cittadino italiano e alcune testimonianze acquisite hanno consolidato il quadro probatorio. Inoltre il modus operandi della banda – è detto nella nota – è caratterizzato dall'utilizzo di documenti contraffatti di appartenenti alle forze dell'ordine».
  Per le suindicate ragioni, si spiega, la Procura egiziana procederà nei loro confronti con la chiusura provvisoria delle indagini, incaricando gli inquirenti competenti di intraprendere tutte le misure necessarie per giungere all'identificazione dei colpevoli dell'omicidio.
  La parte italiana, nel ribadire la trasparenza e la correttezza del comportamento di Regeni in Egitto, già definito «portatore di pace e amico dell'Egitto» dallo stesso Procuratore generale del Cairo, rappresenta che i nuovi indizi avanzati in relazione al ruolo della banda criminale «non risultano idonei a superare gli elementi oggettivi di incompatibilità acquisiti da anni di indagine, che impediscono di ricondurre il sequestro del ricercatore alla banda».
  Nel medesimo incontro, i magistrati egiziani affermano di non essere in grado di indicare i presunti responsabili dei fatti in danno del Regeni, né di avere un'ipotesi investigativa preferenziale in quanto non escludono alcuna ricostruzione.
  L'incontro quindi terminava su posizioni antitetiche, con il Procuratore della Repubblica di Roma che comunicava che il suo ufficio si avviava a concludere le indagini preliminari nei confronti dei cinque indagati appartenenti agli apparati di sicurezza, e il nuovo Procuratore generale d'Egitto che, nel prendere atto della conclusione delle indagini italiane, avanzava riserve sulla solidità del quadro probatorio che riteneva costituito da prove insufficienti pur prendendo atto e rispettando le autonome decisioni della magistratura italiana. Il reale contenuto di tale ultima formula di stile, si rivelerà appieno quando la procura egiziana invierà, direttamente ai magistrati italiani, un lungo documento nel quale afferma di non poter accettare le conclusioni della procura italiana. Al di là della natura giuridica di tale nota, ciò che emerge chiaramente è che si tratta di una difesa di ufficio basata su argomentazioni perlopiù speciose e per taluni aspetti, palesemente false, per poter rigettare in blocco la ricostruzione dei magistrati romani, come si vedrà in dettaglio più avanti.
  A fine dicembre, si assiste ad un cambiamento repentino di passo. La procura egiziana cambia tono, disconosce, anzi delegittima il lavoro dei magistrati italiani, invia una nota affidata alla piattaforma di Facebook, in cui si ritengono sostanzialmente oltraggiati dalle attività della procura italiana.
  I toni si inaspriscono fino a divenire irricevibili non solo nei confronti della vittima, della famiglia ma anche di tutte le parti istituzionali e politiche entrate in causa.
  Si legge, testualmente: «...Nel sostenere che un processo in Italia sarebbe immotivato», la Procura generale egiziana accredita la tesi che «imprecisate parti ostili a Egitto e Italia vogliano sfruttare il caso di Giulio Regeni per nuocere alle relazioni tra i due paesi. Ciò sarebbe provato dal luogo del ritrovamento del corpo e dalla scelta sia del giorno Pag. 236del sequestro sia di quello del ritrovamento del cadavere, avvenuto proprio durante una missione economica italiana al Cairo».
  Continua il comunicato: «Vista la morte degli accusati (il riferimento è alla banda composta dai cinque malviventi dediti a reati predatori ed eliminati dalla polizia egiziana nel marzo del 2016) non c'è alcuna ragione di intraprendere procedure penali circa il furto dei beni della vittima, che ha lasciato segni di ferite sul suo corpo».
  Viene ancora affermato nel comunicato: «...«Persino la denuncia nei suoi confronti era diventata di dominio pubblico ed è stata sfruttata da una persona sconosciuta e determinata a commettere il suo crimine sulla vittima, scegliendo il 25 gennaio 2016, sapendo che la 'sicurezza egiziana' era impegnata in quel momento nel garantire installazioni vitali. La vittima è stata rapita, detenuta e torturata fisicamente per apporre l'accusa al personale di sicurezza egiziano. E in concomitanza con la visita nel Paese di una delegazione economica, la vittima è stata uccisa e il suo corpo è stato gettato in un luogo vitale vicino a importanti strutture della polizia».
  Si legge ancora nella nota: «La Procura ha esaminato le accuse dall'autorità investigativa italiana a quattro ufficiali e un agente di polizia e ha finito per escludere tutto ciò che è stato loro attribuito. È emerso che tutti i sospetti presentati dall'autorità investigativa italiana sono il risultato di conclusioni errate, illogiche e inaccettabili dalle norme penali stabilite a livello internazionale».
  Per la procura egiziana, in definitiva, la magistratura italiana si è basata su «fatti e prove errati, che costituivano uno squilibrio nella percezione dei fatti».
  Nel medesimo comunicato, si torna a sottolineare che il Procuratore «ha incaricato le parti cui è affidata l'inchiesta di proseguire le ricerche per identificare i responsabili», escludendo, di conseguenza, «ciò che è stato attribuito a quattro ufficiali della Sicurezza nazionale a proposito di questo caso»; in tal modo, negando – come noto – di fornire ai colleghi italiani ogni ulteriore forma di cooperazione, quale la richiesta di elezione di domicilio degli indagati, insistentemente avanzata, tra l'altro, nell'atto rogatoriale del 2019.
  Il documento diffuso dal Cairo, quindi, attacca l'organo inquirente italiano accusandolo di non aver fatto bene il proprio lavoro, ipotizzando l'esistenza di una sorta di complotto sul caso Regeni per «nuocere alle relazioni» tra Italia ed Egitto.
  Ma la procura egiziana si spinge ancora più in là definendo il comportamento tenuto da Giulio Regeni nel corso della sua permanenza in Egitto, mentre stava svolgendo ricerche per la sua tesi, «non consono al suo ruolo di ricercatore» e per questo posto «sotto osservazione» da parte della sicurezza egiziana «senza però violare la sua libertà o la sua vita privata». «Tuttavia, il suo comportamento non è stato valutato dannoso per la sicurezza generale e, quindi, il controllo è stato interrotto».
  Il comunicato egiziano mette quindi nero su bianco le strade, agli antipodi, su cui si muovono le due procure che, evidentemente con differenti obiettivi, lavorano sul «caso Regeni». Mentre un fronte accelera per condurre a processo i presunti responsabili della morte del ricercatore italiano, l'altro, quello egiziano, si allontana sempre di più avendo protetto sotto un ombrello di silenzi, omertà, depistaggi, i Pag. 237propri enti e istituzioni statali, senza alcuna implicazione processuale, se non per furto, un reato più vicino a quelli bagatellari che a quelli in cui si infliggono sofferenze fisiche o morali fino alla soppressione della vita umana.
  «Inaccettabile», definisce tale comunicato la Farnesina che «nel ribadire di avere piena fiducia nell'operato della magistratura italiana, continuerà ad agire in tutte le sedi, inclusa l'Unione Europea, affinché la verità sul barbaro omicidio di Giulio Regeni possa finalmente emergere». Si conclude auspicando che «la Procura Generale egiziana condivida questa esigenza di verità e fornisca la necessaria collaborazione alla Procura della Repubblica di Roma». «Ancora una volta l'Egitto dimostra di non voler collaborare per fare luce sulla morte di Giulio Regeni. L'ennesima provocazione, inaccettabile, arriva oggi», è il post diffuso su Facebook dal Presidente della Camera Roberto Fico che aggiunge:«...Le motivazioni per cui la Procura egiziana non è intenzionata ad aprire un processo sul sequestro, la tortura e l'uccisione del nostro ricercatore sono vergognose. Mentire sapendo di mentire. Per questo la Camera ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano. A tutto c'è un limite».
  Anche Amnesty International ha immediatamente reagito, definendo «inaccettabile» la dichiarazione della Procura egiziana. «Dovrebbe ritenerla inaccettabile anche il Governo italiano dal quale auspichiamo una presa di posizione» – ha spiegato il portavoce in Italia, Riccardo Noury. «C'è di nuovo un palese tentativo delle autorità del Cairo di smarcarsi da ogni responsabilità, attribuendo quanto accaduto a misteriosi soggetti che avrebbero agito per contro proprio», sottolinea, «si torna sull'idea del depistaggio con un'assoluzione da ogni responsabilità». «Dopo cinque anni», fa notare il portavoce di Amnesty, «salta fuori in questa nota che Regeni era stato attenzionato, ma poi disattenzionato, nonostante il suo comportamento fosse ritenuto sospetto»(437).
  Riferendosi alle dichiarazioni della procura egiziana, in una trasmissione televisiva, i genitori hanno aggiunto:
  Le dichiarazioni fatte dalla procura egiziana (che ha definito il processo «immotivato e architettato») confermano ancora una volta l'atteggiamento arrogante, scaricando le responsabilità su persone innocenti(....) «Continuano a gettare fango...(..)confermano ancora una volta l'atteggiamento conosciuto bene negli ultimi cinque anni, dimostrano l'impunità di cui sentono di godere scaricando la responsabilità su persone innocenti. È come se avesse parlato direttamente al Sisi, è uno schiaffo non solo a noi ma all'intera Italia. E il Governo italiano è troppo remissivo e troppo debole, le sue sono parole senza azioni conseguenti».
  Nel concludere, i familiari di Giulio Regeni hanno ribadito che, a loro avviso, dovrebbe essere richiamato l'Ambasciatore italiano in Egitto: «...Chiediamo il richiamo dell'Ambasciatore in Egitto...Non un ritiro, come atto forte. Con queste persone, con questo governo non si tratta, bisogna reagire, perché diversamente i nostri figli non saranno più sicuri, perderanno fiducia e speranza».

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8.4. Analisi del memorandum egiziano del dicembre 2020

  Abbiamo fatto già cenno alle difficoltà incontrate dalla nostra magistratura e dagli organi della diplomazia nazionale a qualificare giuridicamente il documento in questione. Il primo elemento che lascia perplessi è rappresentato dalle modalità con cui il documento è giunto alla procura, ossia non tramite i canali attraverso cui transitano abitualmente le comunicazioni di giustizia in riferimento ad attività rogatoriali attive o passive, ma direttamente all'organo inquirente tramite l'ambasciatore italiano al Cairo. Sono poi stati i magistrati capitolini a condividerlo con le autorità nazionali, atto legittimato dalla circostanza che non si tratta di un documento che possa in qualsivoglia modo essere ricompreso tra quelli che, genericamente, vengono definiti atti istruttori o di indagine. Tale metodologia di trasmissione, che ne esclude l'utilizzabilità nell'ambito del procedimento, è d'altro canto coerente con il tipo di documento. Non tratta, infatti, di acquisizione di documenti o testimonianze, ovvero di relazioni di attività di indagini direttamente svolte dall'autorità egiziana, ma è una mera espressione del pensiero dei magistrati della controparte riguardo all'impianto accusatorio dei nostri inquirenti. Appare superfluo sottolineare che l'unica modalità, nell'ambito di un procedimento giurisdizionale, per confutare una tesi basata su elementi oggettivi è quella di apportare alla discussione nuovi elementi aventi almeno la medesima solidità probatoria. Né si può affermare che i magistrati egiziani non avessero i mezzi per farlo, stante che i fatti sono avvenuti nell'ambito della loro giurisdizione territoriale, ovvero il tempo per apportare tali elementi. Rammentiamo, infatti, che la Procura della Repubblica di Roma aveva condiviso gli esiti delle indagini già nel dicembre del 2018. A voler leggere tra le righe, si potrebbe affermare si tratti di una sorta di difesa d'ufficio dei propri apparati securitari, attuata attraverso un mix, non sempre ben riuscito, di affermazioni inesatte ovvero false e di ragionamenti giuridici che appaiono difficilmente condivisibili, come ci apprestiamo a dimostrare.
  Considerato che il documento, «memorandum» come viene definito, non può essere in alcun modo indirizzato ad un proficuo utilizzo nel procedimento giudiziario nazionale, dovremmo anche interrogarci sui motivi che hanno spinto gli inquirenti egiziani a redigerlo e, per esclusione, possiamo affermare che i destinatari primi siano:

   l'opinione interna egiziana(438), tanto che di esso viene realizzata una versione per il «pubblico», in lingua araba sottotitolata(439), nella forma del documentario «The story of Regeni»(440) pubblicato alcuni mesi dopo su alcune piattaforme internet di condivisione di contenuti;

   un possibile futuro forum giurisdizionale internazionale, nell'eventualità il governo italiano decida di avviare la procedura per la soluzione delle controversie prevista dalla «Convenzione internazionale contro la tortura».

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  Entriamo ora nel merito dei contenuti del documento con cui la procura egiziana(441) di fatto manda esenti da colpe gli appartenenti alle forze di sicurezza indagati dagli inquirenti romani. Esso si compone di tre parti principali: la prima è la ricostruzione delle attività di Giulio Regeni a partire dal suo arrivo in Egitto sino alla scomparsa nonché delle prime attività di indagine svolte dalle autorità egiziane dopo il rinvenimento del corpo. È qui che si fa menzione oltre che delle relazioni sociali dello studioso italiano anche delle attività di sorveglianza messe in atto dalle forze di sicurezza locali. Una seconda parte viene dedicata alla confutazione dei capisaldi delle accuse nei confronti dei quattro ufficiali egiziani indagati e della ricostruzione dei fatti così come delineata dalla Procura italiana; nella terza ed ultima, vengono individuati ulteriori argomenti, perlopiù formali, per cui le accuse italiane nei riguardi degli apparati di sicurezza egiziani andrebbero respinte.
  La lettura delle prime 25 pagine del memorandum fornisce una visione abbastanza fedele delle attività che Giulio Regeni ha svolto al Cairo, se non fosse che vengono inseriti, artatamente e sin dalle prime pagine, alcuni riferimenti volti ad attribuire allo studioso una minor trasparenza negli intenti.
  Si afferma, infatti, che egli scriveva sotto pseudonimo per quotidiani(442), avendo pubblicato anche col «Manifesto», senza porre riferimenti temporali, quando in effetti l'unico articolo che Giulio Regeni ha scritto sulla situazione in Egitto(443) verrà pubblicato sul quotidiano italiano(444) solo dopo l'ufficializzazione della sua morte. Ancora, nella pagina successiva, i magistrati egiziani nel dipingere il contesto sociale frequentato dal ricercatore, parlano di una ragazza americana, di origini ebraiche, con la quale il ricercatore avrebbe effettuato un viaggio in Israele durante il periodo di permanenza in Egitto. Affermazione che non trova riscontro in altri atti e che, se letta dalla nostra prospettiva, non aggiunge elementi significativi ma che deve tuttavia essere interpretata dalla prospettiva egiziana, laddove ancora oggi larga parte della popolazione individua in Israele un nemico storico. Proseguendo sul tema del «colore» che i procuratori arabi sembrano voler dare alla questione della ricerca, laddove parlano delle attività sul campo, ossia delle visite presso i mercati da parte, affermano che esse erano effettuate col «pretesto di raccogliere materiale per la sua tesi», ancora una volta adombrando chissà quali malevoli intenzioni da parte del ricercatore(445). Si comprende lo scopo di tali premesse nel momento in cui i magistrati vogliono dare un'interpretazione confacente alla propria tesi alle frasi che Giulio Regeni avrebbe detto ad alcuni ambulanti in occasione di una delle sue visite ai mercati, testimone colui che lo denuncerà alle autorità, il sindacalista Mohammed Said Abdallah. Il ricercatore in quell'occasione avrebbe affermato che il regime egiziano era figlio del colpo di stato del 1952 e che sarebbe, nella realtà dei fatti, un fantoccio degli USA. Affermazioni che avrebbero Pag. 240ingenerato preoccupazione nei venditori che si sarebbero rifiutati di incontrarlo successivamente(446).
  Solo dopo tale vicenda, che i procuratori egiziani collocano temporalmente intorno alla metà di dicembre, il sindacalista avrebbe denunciato l'italiano, dando così il via all'attività di monitoraggio di Giulio Regeni ad opera della National Security. I magistrati danno atto, infatti, della sequenza di contatti che Said Abdallah intrattiene con esponenti delle forze di sicurezza fino ad arrivare all'incontro con il maggiore Magdi Sharif, ufficiale della National Security ed uno dei principali indiziati per il sequestro ed anche l'unico che, allo stato degli atti, sia stato anche accusato degli atti di tortura. È lui che dispone, sempre nelle parole dei magistrati egiziani, che Abdallah registri il suo successivo incontro con Giulio, avvenuto il 7 gennaio seguente. E sarà sempre lui che il giorno successivo avrebbe lodato il sindacalista per l'impegno profuso e, nelle testimonianze rese da lui e dalla sua scala gerarchica, sarebbe giunto alla conclusione che Giulio Regeni non costituisse un pericolo per le istituzioni egiziane, informando nel senso il proprio superiore diretto, il Generale Tarik Sabir(447).
  La sequela di inesattezze riportate dagli inquirenti cairoti, tuttavia, non si esaurisce ed arriva a coinvolgere anche i diplomatici italiani. A pagina 27 del documento, si è ormai avanti nella sequenza temporale degli eventi, Giulio Regeni è scomparso, la denuncia è già stata presentata e i genitori del ricercatore stanno arrivando al Cairo. I magistrati egiziani affermano che le autorità diplomatiche italiane avrebbero chiesto al coinquilino, l'avvocato Al Sayyed e alla sua amica Noura Wahby di custodire il pc e gli effetti personali di valore al di fuori dell'appartamento. Si tratta di un'ulteriore affermazione che, oltre ad essere priva di logica, non ha riscontri in atti ed è volta verosimilmente a porre in dubbio le risultanze delle perizie svolte dai nostri organi inquirenti sul computer del ricercatore (fattore che verrà infatti richiamato nelle conclusioni del documento). In realtà è ampiamente documentato che i genitori di Giulio Regeni, giunti al Cairo la sera del 31 gennaio e recatisi presso il suo appartamento, vi troveranno il suo portatile. In ogni caso, dall'aprile 2016 la magistratura egiziana ne ha avuto a disposizione la copia forense.
  In queste pagine viene introdotto un ulteriore elemento che è affiorato più volte nel corso delle interlocuzioni tra le procure, oggetto anche di una specifica (e non molto chiara) richiesta contenuta in una delle rogatorie egiziane(448). Viene infatti menzionata una nota dell'Interpol trasmessa agli organi di polizia del Cairo, in cui si chiedono notizie su Giulio Regeni che, stando a tale documento, sarebbe divenuto irreperibile nel precedente mese di ottobre 2015, durante un viaggio in Turchia(449), periodo in cui, tra l'altro, il ricercatore era già in Egitto. Come accertato dagli inquirenti italiani si è trattato di una vera e propria montatura poiché, all'esito degli approfondimenti effettuati presso l'organo di cooperazione internazionale, non si rinveniva traccia del documento. Ci si deve interrogare sui motivi di tale macchinazione. Forse lo scopo era quello di introdurre, tramite un ragionamento Pag. 241contorto, un ulteriore e diverso sospetto nei riguardi del ricercatore, suggerendo l'esistenza di rapporti non adamantini dello studioso con uno Stato che rappresentava, almeno allora, un antagonista primario dell'Egitto nello scenario geostrategico dell'area.
  Poche righe e viene introdotto un ulteriore argomento che ha accompagnato tutta la vicenda come un basso continuo, sia nei commenti dei media ufficiali sia negli incontri riservati tra autorità di governo. È volto a sostenere l'estraneità degli ufficiali egiziani dal sequestro e dalla morte del ricercatore italiano, attribuendola a terze parti straniere. Il ragionamento trova il proprio fondamento nella sospetta contestualità tra il rinvenimento del cadavere e lo svolgimento della importante missione diplomatico – commerciale, capeggiata dal ministro italiano allo sviluppo economico pro tempore. I redattori del memorandum, anziché esporre apertamente la propria argomentazione, utilizzano una tecnica diversa, sottintendono: vi sarebbe una trama in cui la morte di Giulio Regeni è stata provocata dall'intervento di un non meglio identificato attore esterno(450), volto a sabotare i rapporti commerciali privilegiati tra i due Stati.
  Seguono, nel documento in esame, alcuni aspetti di natura procedurale, tramite i quali l'autorità giudiziaria egiziana sembra quasi volersi giustificare per la mancata o ritardata esecuzione di atti di indagine fondamentali richiesti dalla nostra magistratura. Si fa riferimento in particolare ai seguenti ulteriori accertamenti:

   ricerca di ulteriore materiale genetico sui vestiti trovati indosso alla vittima, inutile, a detta dei magistrati egiziani poiché tutto il materiale genetico rinvenuto era stato estratto dalle parti «più idonee» risultando corrispondente al suo(451);

   acquisizione del traffico delle celle telefoniche che coprivano la presunta area del sequestro e quella del rinvenimento, non possibile poiché i dati non erano più disponibili(452). Per amore di chiarezza, il traffico di cella consta in un registro cronologico dei collegamenti tra gli apparati cellulari ed il ripetitore; dal momento in cui un apparato portatile si connette alla cella, questa registra le caratteristiche del telefono e le sue attività. In considerazione dell'ampiezza delle aree coperte da detti apparati, generalmente si tratta di una mole considerevole di dati che vengono conservati dai gestori di rete per un periodo di tempo molto limitato, salvo diverse disposizioni normative. Per questo motivo tale richiesta è stata la prima che gli investigatori italiani hanno effettuato, sia tramite canale Interpol, ancora prima di giungere in Egitto, sia ad ogni riunione con gli omologhi egiziani. L'omessa acquisizione di tali informazioni in tempo utile, pertanto, assurge a livello di colpevole negligenza, non scusando né gli inquirenti né gli investigatori;

   acquisizione delle immagini della metropolitana del Cairo. Operazione che si è rivelata impossibile da effettuare integralmente poiché la richiesta da parte dei magistrati egiziani è stata effettuata dopo i 15 Pag. 242giorni canonici oltre i quali le immagini vengono sovrascritte. Appare appena il caso di rammentare che si tratta della prima richiesta effettuata dagli inquirenti italiani una volta appreso che l'ultima cella agganciata dal telefono di Giulio Regeni era quella di una stazione della metropolitana. È inoltre prassi comune degli organi investigativi dare immediatamente avvio ad ogni attività utile a preservare le fonti di prova, anche di iniziativa. Ci troviamo di fronte ad una grossolana mancanza, una sorta di negligenza paradigmatica dal punto di vista giuridico, che non può, quindi, essere invocata a scusante dagli organi di polizia né, tantomeno, dal vertice inquirente di uno Stato;

   acquisizione dei video della metropolitana: viene affermato che l'incarico di estrarre le informazioni residue dai server dell'impianto di videosorveglianza della metro non sarebbe andato alla tedesca «Kroll On Track», segnalata dallo stesso produttore dell'apparato, per il mancato raggiungimento di un accordo tra le parti e che quindi la procura egiziana avrebbe affidato il compito ad una ditta ucraina. Ciò non è rispondente al vero. Sappiamo infatti che è stato lo stesso procuratore Nabil Sadek a contattare il suo omologo italiano, quando mancava poco più di una settimana alla partenza della ditta tedesca per l'Egitto(453), affermando di aver reperito le risorse e che pertanto non c'era più bisogno che fosse il ministero della giustizia italiana a farsi carico delle spese(454). Il successivo rifiuto da parte della ditta tedesca ad operare senza l'intermediazione italiana ha fatto sì che la procura cairota fosse costretta a effettuare un'ulteriore ricerca di mercato, individuando la citata ditta ucraina. Tale aggravio di procedura ha fatto sì che la ricerca e l'estrazione dei dati avvenisse soltanto nel maggio dell'anno seguente;

   in riferimento all'episodio della presunta banda di rapinatori, è stata negata l'acquisizione del traffico di cella nei pressi delle fermate della metropolitana tra il 22.01.2016 ed il 24.01.2016 e quello delle celle riferite all'area della sparatoria nonché dell'abitazione ove sono stati rinvenuti i documenti di Giulio Regeni, sia per difficoltà tecniche, sia perché il suo soddisfacimento avrebbe toccato diritti fondamentali, violando la privacy dei cittadini egiziani(455). Al di là delle questioni tecniche, in merito alla questione della privacy si osserva che tutti i diritti sono soggetti a valutazioni di bilanciamento quando entrano in conflitto tra loro. Al diritto alla vita, considerato nel diritto internazionale un principio di diritto consuetudinario appartenente alla particolare categoria dello jus cogens, viene attribuito un livello di tutela superiore a quello alla privacy. L'argomento appare pertanto privo di fondamento se non addirittura specioso.

  Seguono dei paragrafi dedicati alla quantificazione numerica delle rogatorie inviate e ricevute e delle richieste in esse contenute che sono state soddisfatte dalle due parti. Al di là del dato numerico, peraltro impreciso, appare appena il caso di evidenziare che, tra quelle fatte Pag. 243dalla nostra autorità giudiziaria, è tuttora pendente quella riferita alla richiesta di elezione di domicilio nei confronti degli ufficiali egiziani indagati.
  Il cuore del memorandum è costituito dagli argomenti che gli inquirenti egiziani hanno inteso sostenere per confutare la ricostruzione effettuata dai magistrati italiani.
  La prima parte è volta a sostenere che la responsabilità per il sequestro e parte delle lesioni sia attribuibile alla banda criminale i cui componenti sono rimasti uccisi nel più volte citato conflitto a fuoco con gli agenti di polizia egiziani: responsabilità nel sequestro e per le lesioni: totalmente imputabile alla banda di cinque criminali(456). Dato avvalorato sia dalla testimonianza della moglie di uno dei rapinatori(457) che, in sede di interrogatorio, avrebbe dichiarato che qualche giorno prima della notizia del rinvenimento del cadavere il marito le aveva detto di aver litigato con una delle loro vittime, uno straniero, nonché dalla testimonianza del Colonnello Hindi che ha dichiarato di aver rinvenuto i documenti nell'abitazione dove avevano trovato ricovero il capobanda e la sua famiglia. Informazione che, nell'interpretazione della procura egiziana, deve essere accettata apoditticamente provenendo da un pubblico ufficiale. Tali testimonianze sarebbero sufficienti a confutare anche uno degli argomenti usati dalla procura italiana per affermare che il capobanda non poteva essere responsabile del sequestro di Giulio, avendo il suo telefonino agganciato una cella a più di cento chilometri di distanza nel giorno e nell'ora del sequestro.
  A tal riguardo si evidenzia che, se può essere vero che il telefonino non era in possesso del capobanda, come affermano gli egiziani, non vi è traccia di accertamenti da parte loro per verificare chi l'avesse in uso, passaggio logico successivo per poter confutare oggettivamente l'argomento. Soggiungono, gli stessi inquirenti, che nella perquisizione vennero rinvenute numerose schede telefoniche e che pertanto non si può escludere che il capobanda abbia usato una di tali schede quel giorno. Anche in questo caso si tratta di un'affermazione non corroborata da elementi oggettivi. L'esame dei relativi tabulati del traffico telefonico avrebbe consentito loro di ottenere un riscontro inoppugnabile.
  Nel memorandum segue la parte in cui gli inquirenti egiziani si cimentano nel compito di confutare gli elementi alla base delle singole imputazioni formulate a carico dei quattro ufficiali delle forze di sicurezza egiziane indagati dalla nostra procura:
  colonnello Ather Kamal(458): diversamente da quanto affermato dagli inquirenti italiani, non appartiene alla National Security, occupandosi di autorizzazioni al commercio e violazioni in materia edilizia. Egli, pertanto, si sarebbe limitato a compiere il proprio dovere, compilando una relazione ed accompagnando il sindacalista Said Abdallah presso gli uffici della National Security.
  In merito alla contraddizione emersa durante l'interrogatorio, sul suo coinvolgimento nella registrazione video dell'incontro tra Said Abdallah e Giulio Regeni, di cui si è ricordato solo dopo che gli sono Pag. 244stati contestati i tabulati dei contatti telefonici avuti col sindacalista, i magistrati egiziani lo giustificano, affermando essersi trattato di una mera dimenticanza, peraltro immediatamente rettificata. In quell'occasione, aggiungono, l'ufficiale si sarebbe limitato a fare da tramite con il collega della National Security che seguiva il caso.
  Riguardo ai sospetti di un suo coinvolgimento nel tentativo di depistaggio più clamoroso, ossia quello dell'attribuzione del sequestro alla banda di rapinatori ed in particolare delle circostanze in cui sono stati rinvenuti i documenti di Giulio Regeni presso l'abitazione del cognato del capobanda(459), i magistrati lo giustificano. Con entrambi avrebbe avuto rapporti risalenti nel tempo, antecedenti i fatti per i quali viene accusato, e tanto basterebbe a discolparlo, pur in assenza di alcun documento che supporti tali affermazioni; maggiore Magdi Sharif(460): la difesa d'ufficio dei magistrati egiziani nei riguardi dell'ufficiale esordisce con la constatazione della doverosità dell'attività di sorveglianza da lui disposta nei riguardi di Giulio Regeni, conseguente alla denuncia presentata nei suoi confronti. Si tratta, pertanto, di un fatto che non gli può essere contestato. I magistrati italiani, tuttavia, non contestano tale condotta all'ufficiale.
  Riguardo al fatto che avrebbe ordinato al sindacalista di tacere, durante l'interrogatorio da parte dei magistrati egiziani, sia il coinvolgimento della National Security oltreché il suo nella vicenda, sia l'episodio della registrazione dell'incontro del 7 gennaio, circostanze emerse solo in occasione del terzo degli interrogatori, sono gli stessi magistrati a preoccuparsi di giustificarlo con una motivazione giuridicamente inedita: la condotta comunque non rileverebbe poiché, alla fine, l'informazione è emersa ed è comunque entrata nel patrimonio conoscitivo dell'autorità egiziana (anche se contro la sua volontà!). Riguardo all'episodio della registrazione, inoltre, i magistrati cairoti sostengono che non è dimostrato che sia stato l'ufficiale ad equipaggiare il sindacalista con l'apparato di videoregistrazione anche se si tratta di una circostanza riferita dallo stesso sindacalista nell'interrogatorio del maggio 2016, corroborata sia dal fatto che il video era in possesso dell'ufficiale sia dall'essere intervenuto per aiutare a spegnere l'apparato di registrazione. A chiusura dell'intera questione del video e delle relative reticenze dell'ufficiale, i magistrati ipotizzano che, probabilmente, l'ufficiale non era convinto della legittimità dell'atto. A tal riguardo non si comprende perché le ragioni della sua condotta non siano state chieste direttamente all'interessato nel corso dei numerosi interrogatori cui è stato sottoposto. Si sorvola su altre due argomentazioni marginali esposte dagli inquirenti egiziani a difesa dell'ufficiale per commentare, invece, quelle inerenti ai contenuti della testimonianza del Teste Gamma, appositamente anonimizzato dalla procura italiana a tutela della sua incolumità. Il teste in parola ha dichiarato alle autorità italiane di aver accidentalmente sentito, in un ristorante di Nairobi (Kenya), una conversazione tra Sharif ed un secondo soggetto delle forze di sicurezza locali, non meglio identificato, in cui l'ufficiale si sarebbe fatto vanto del sequestro di Giulio Regeni. La Pag. 245magistratura egiziana contesta sia i contenuti sia la validità formale dell'atto poiché:

   il fatto su cui è stata raccolta la testimonianza non può essere avvenuto poiché il Ministero dell'interno egiziano ha comunicato che l'ufficiale non si sarebbe mai recato in Kenya;

   la rogatoria da loro inviata in Kenya per approfondire le circostanze del fatto non ha ricevuto risposta;

   la decisione dell'autorità giudiziaria italiana di voler mantenere celata l'identità del testimone impedisce di effettuare riscontri;

   il testimone non sarebbe stato ascoltato direttamente dagli inquirenti italiani;

   la testimonianza non è una prova ma è solo la dichiarazione di un teste.

  A voler ben vedere, quest'ultimo passaggio appare incomprensibile; la testimonianza non costituisce una prova neppure nel nostro processo poiché la prova testimoniale si forma nel contraddittorio delle parti nel corso del dibattimento dinanzi al giudice. Si aggiunge, inoltre, che il teste è stato sentito direttamente dai magistrati italiani, in Italia. Riguardo alla citata documentazione del Ministero dell'interno egiziano non si intende elaborare, in considerazione della scarsa trasparenza se non proprio della volontà di depistare le indagini dimostrata dai rappresentanti del dicastero nell'intera vicenda, a partire dal suo vertice istituzionale, sin dall'incontro col nostro ambasciatore avvenuto il 2 febbraio 2016(461).
  Le ultime due argomentazioni portate a difesa del principale indiziato del sequestro e delle torture ai danni di Giulio Regeni riguardano le sue dichiarazioni contradditorie riferite alla sua conoscenza del colonnello Ushem Helmi, altro indagato, e la natura dei suoi rapporti con Adil Rami, agente di viaggio ed amico di Noura Wahby. Nelle sue prime dichiarazioni il Sharif ha infatti negato di conoscere Helmi, col quale pure vi erano contatti telefonici. In un interrogatorio successivo, l'ufficiale afferma invece di conoscerlo. Gli inquirenti egiziani giustificano tale evidente contraddizione, affermando che Sharif avrebbe effettuato un approfondimento su Helmi successivamente al primo interrogatorio e pertanto nel seguente era conoscenza di chi fosse. Si tratta di argomentazioni che non possono essere considerate seriamente.
  Veniamo infine alla conoscenza dell'agente di viaggio Adil Rami, entrato nell'inchiesta grazie alla paziente opera di analisi del traffico dei tabulati operato dalle nostre forze di polizia. L'esame dei dati dei gestori telefonici ha infatti evidenziato come, in più occasioni, immediatamente dopo contatti telefonici tra Giulio Regeni e Noura Wahby, quest'ultima abbia chiamato Rami che, a sua volta avrebbe contattato il maggiore Sharif e viceversa. La ricorrenza degli episodi esclude Pag. 246l'elemento casuale e appare, pertanto, più che sospetta. Sharif, interrogato a riguardo, ha affermato che la sua frequentazione con l'agente di viaggio è risalente nel tempo e che tuttora si sentono abitualmente, negando invece di aver avuto mai contezza dei rapporti di conoscenza tra Rami e la Wahby, fino a quando la stessa è stata chiamata per essere interrogata dalla National Security. In quell'occasione, contattato da Rami che gli chiedeva se si dovesse preoccupare, gli avrebbe detto di tranquillizzare la sua amica. Appare tuttavia inspiegabile la citata, ripetuta, triangolazione nelle comunicazioni. A tal riguardo, inoltre, non appare soddisfacente la giustificazione individuata dai magistrati egiziani che, volendo sciogliere ogni dubbio circa i rapporti intercorrenti tra l'ufficiale e Rami, evidenziano che i contatti telefonici tra i due hanno avuto inizio il 24 settembre, quelli tra Rami e la Wahby il 1° dicembre mentre «l'ufficiale dichiara che la sorveglianza su Giulio Regeni sarebbe stata avviata a metà dicembre»(462) con ciò volendo suggerire che non vi sia collegamento alcuno tra i tre egiziani e la vicenda di Giulio. Sembra un po' poco rispetto a quanto evidenziato dagli inquirenti italiani:

   colonnello Usham Helmi(463): i magistrati egiziani affermano che gli inquirenti italiani hanno indagato l'ufficiale in ragione di due sue condotte sospette. La prima riguarda l'aver fornito indicazioni fuorvianti circa il momento di avvio delle attività di raccolta informativa su Giulio Regeni, da lui indicato come successivo alla denuncia di scomparsa quando vi sono plurime dichiarazioni che testimoniano un'insolita attività intorno al ricercatore da parte di uno dei suoi collaboratori, l'agente Mahmoud Najem, ben prima della sua scomparsa. A giustificazione di tale discrasia, i magistrati egiziani affermano che i rapporti tra l'ufficiale ed il suo collaboratore erano dovuti al fatto che uno era il superiore gerarchico dell'altro e che le attività rientravano tra i compiti di ufficio dei due appartenenti alla National Security. Sono affermazioni inconfutabili che tuttavia non spiegano perché l'ufficiale abbia mentito in sede di interrogatorio circa il momento iniziale di avvio della raccolta informativa. La seconda accusa che, secondo gli inquirenti egiziani, gli viene erroneamente rivolta nell'atto della procura capitolina è riferita all'ipotizzato collegamento tra la sua presenza alla consegna al sindacalista Abdallah dell'apparato di registrazione e il coinvolgimento nel successivo sequestro. Affermano i magistrati che presupporre tale coinvolgimento sia contrario al principio che quanto rilevato dalle autorità investigative debba essere certo e fondato. A tal proposito occorre precisare che non vige tale principio nel nostro ordinamento ove il compito degli investigatori e della magistratura inquirente è ricostruire i fatti, laddove la certezza giudiziaria circa la fondatezza della ricostruzione si raggiunge nel processo, nel contraddittorio delle parti. Gli esiti delle attività di indagine degli organi inquirenti italiani, tra l'altro, sono stati condivisi con gli omologhi egiziani sin dal 5 dicembre del 2017(464) con lo specifico intento di consentire loro di effettuare i necessari approfondimenti investigativi Pag. 247(465). Tale passaggio era necessario poiché i nostri investigatori potevano (e possono) solo chiedere che vengano eseguite attività di approfondimento investigativo ai paritetici organi egiziani, essendo privi di giurisdizione in territorio estero. Avrebbe dovuto essere cura degli egiziani, che, a partire dal vertice politico, si erano dichiarati intenzionati ad una piena cooperazione, trovare gli elementi a confutazione ovvero a riscontro della ricostruzione loro fornita. Tale attività non sembra sia mai stata effettuata in ragione di un preconcetto rigetto della ricostruzione italiana. Seppur effettuata, non è stata condivisa né emerge dal memorandum;

   generale Tarek Saber(466): la valutazione egiziana circa gli elementi che i nostri magistrati pongono alla base del coinvolgimento del generale della National Security nelle vicende che hanno interessato il ricercatore italiano riguardano l'aver ricevuto, insieme con il maggiore Sharif, la denuncia presentata dal sindacalista Said Abdallah e l'essere stato presente al momento in cui lo stesso veniva dotato dell'apparato di videoregistrazione. I magistrati evidenziano che entrambi i momenti attengono all'esercizio dei compiti connessi al suo incarico e non configurerebbero, pertanto, responsabilità nella sua condotta. Se fosse effettivamente solo questo il motivo per cui sul conto dell'ufficiale generale è stato chiesto il rinvio a giudizio, le conclusioni dell'autorità giudiziaria egiziana sarebbero condivisibili. Le condotte dell'ufficiale devono tuttavia essere contestualizzate, poiché l'ambito in cui egli opera è quello di una organizzazione, la National Security, fortemente gerarchizzata, in cui la decisione di avviare le attività di indagine sul ricercatore è partita dallo stesso generale Sabir. Le risultanze investigative e le convergenti testimonianze hanno fatto emergere la responsabilità nella direzione operativa, fino al sequestro e agli atti di tortura, del maggiore Sharif suo diretto sottoposto, che non si può credere abbia agito in autonomia, stante il mandato iniziale del proprio superiore diretto ed il coinvolgimento nelle indagini del cittadino di uno stato occidentale che, all'epoca dei fatti, era un partner strategico di assoluto rilievo. Quanto ricostruito, tra l'altro, ed in particolare la sua presenza al momento della consegna della microspia al sindacalista (attività meramente tecnica che non richiede la presenza di un ufficiale di altro rango), testimoniano l'attenzione rivolta al caso.

  Siamo nuovamente di fronte ad una difesa d'ufficio che, se vista dalla prospettiva di un inquirente, appare priva di senso logico, basata solo su sofismi e non su dati fattuali, che ben avrebbero potuto essere raccolti dall'autorità giudiziaria egiziana per sostenere le proprie argomentazioni. E' verosimile che la scelta di adottare tale strategia sia frutto dell'assenza di argomenti ulteriori.
  La terza ed ultima parte del memorandum è preceduta da un elenco di undici argomentazioni in cui gli inquirenti egiziani riassumono – a loro uso e consumo – le accuse degli inquirenti italiani al fine di confutarle, punto per punto. Molte delle argomentazioni sono già Pag. 248state precedentemente trattate, tuttavia appare appropriato riportarne una sintesi:

   1. Accusa: gli apparati di sicurezza hanno svolto indagini sul ricercatore dopo la visita al mercato con Abdallah, verso la fine di dicembre 2015 e avrebbero organizzato la registrazione del video.
   Confutazione: Giulio Regeni era sospetto per quanto diceva in pubblico, ha parlato di una offerta di denaro da parte di una organizzazione britannica (Antipode Foundation); Il ricercatore ha definito golpisti e succubi degli USA i regimi successivi al colpo di stato del 1952. Ciononostante, gli apparati di sicurezza non hanno proceduto alla perquisizione della sua abitazione né al sequestro dei suoi effetti personali. Pertanto, non vi è nessuna condotta criminosa da addebitare agli apparati di sicurezza che hanno svolto solo dei doverosi accertamenti su una denuncia.
   Appare appena il caso di ribadire che la procura italiana non ha mai contestato tale reato agli ufficiali delle forze di sicurezza egiziane. A fronte delle reticenze iniziali da parte delle forze di sicurezza egiziane, tuttavia, ha dovuto ricostruire il contesto, fino a giungere alla conclusione che il ricercatore italiano era stato sottoposto ad un'attività di sorveglianza particolarmente penetrante da parte degli apparati di sicurezza locali, attività che era stata inizialmente negata.

   2. Accusa: il maggiore Magdi Sharif ha ordinato al sindacalista Said Abdallah di non riferire della registrazione dell'incontro del 7 gennaio 2016 con Giulio Regeni nel corso dei primi due interrogatori svolti dagli inquirenti egiziani(467). Circostanza che è emersa solo quando il sindacalista è stato sentito dai magistrati alla procura generale.
   Confutazione: la Procura generale del Cairo ritiene completamente infondata l'accusa, poiché il testimone Abdallah ha, alla fine, rivelato i dettagli concernenti la registrazione.
   Riguardo all'inconsistenza di tale argomentazione si rimanda a quanto già osservato laddove si è trattato delle accuse nei riguardi del maggiore Sharif.

   3. Accusa: le dichiarazioni del testimone, il sindacalista Said Abdallah, sulla data in cui ha conosciuto la vittima non sono veritiere.
   Confutazione: la Procura generale ritiene attendibili le dichiarazioni di Abdallah, confermate dai tabulati delle telefonate, in particolare quella a Ushan Foda confermata dal medesimo. La responsabile dell'ECESR, Hoda Kamel ha affermato, in sede di interrogatorio, di aver propiziato l'incontro tra i due a novembre o dicembre e il testimone ha confermato che si sarebbero conosciuti a dicembre. Tale circostanza è confermata dal fatto che la prima telefonata tra Hoda e Abdallah è del 7.12.2015. L'indisponibilità della magistratura italiana a far accedere al pc della vittima gli inquirenti egiziani e quindi a Pag. 249verificare quanto affermato è alla base della ratio con cui loro hanno deciso di restare fedeli alle dichiarazioni del sindacalista.
   La determinazione dei magistrati italiani a indicare nella data del 13.10.2015 la prima occasione di incontro tra il sindacalista egiziano e il ricercatore italiano deriva dal rinvenimento, sul suo portatile, di un dettagliato resoconto della lunga intervista realizzata in quella data, datato per l'appunto 13 ottobre. La scelta dei magistrati egiziani di non voler contestare tale fatto ai testimoni in sede di interrogatorio appare incomprensibile.

   4. Accusa: è illogico che la presunta banda di rapinatori locali abbia rapito lo studioso italiano proprio il 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, in ragione del rafforzato presidio delle forze di sicurezza egiziane in quei giorni.
   Confutazione: le prove raccolte dalla procura egiziana fanno ritenere che a commettere il rapimento di Giulio Regeni sia stata la compagine criminale già citata. Pertanto, le conclusioni dell'autorità giudiziaria italiana sono scorrette. Anzi le indagini dimostrerebbero che chiunque abbia commesso il fatto fosse al corrente delle indagini svolte sul conto dell'italiano e che abbia commesso il rapimento proprio quel giorno per incolpare gli apparati di sicurezza. Inoltre, il presidio delle forze di sicurezza, proprio in ragione della sensibilità della giornata, era distribuito sui soli punti sensibili, lasciando sguarnito il resto della città.
   Si è già trattato diffusamente del depistaggio posto in essere da appartenenti alle forze di sicurezza egiziane volte a indirizzare tutti i sospetti sulla citata banda di malviventi locali; pertanto non verranno ripercorsi i motivi a sostegno dell'assenza di prove o anche di indizi a loro carico. Riguardo all'osservazione sul presidio delle forze di sicurezza, invece, appare opportuno riflettere. Non ci sono agli atti verbali che testimonino un approfondimento sul dislocamento delle forze di polizia quel giorno, ovvero acquisizioni documentali di ordini di servizio (o comunque siano denominate le disposizioni in materia) coi quali sono state disposte le attività di controllo della capitale, pertanto non si comprende su quali basi fattuali la procura egiziana intenda sostenere le proprie argomentazioni. A margine appare appena il caso di sottolineare come a Il Cairo, megalopoli di quasi 15 milioni di abitanti, il controllo della rete di metropolitane (che costituiscono la più celere modalità di spostamento attraverso il caotico centro urbano), acquisti un rilievo tattico non trascurabile. Il fatto che le forze di sicurezza egiziane ne fossero consapevoli è testimoniato dalla decisione di chiudere quel giorno la stazione «Sadat», affacciantesi su piazza Tahrir. Appare pertanto privo di logica, oltreché di sostanza, data la carenza di elementi oggettivi, l'argomento per cui le forze di sicurezza erano concentrate altrove consentendo alla banda di rapinatori di agire indisturbata.

   5. Accusa: la banda non ha compiuto quanto attribuitole poiché il 25 gennaio il telefono del capobanda Tarik Saad lo localizzava ad Awlad Saqr, nel governatorato di Sharqiyya, a circa cento chilometri di distanza dal Cairo;
   Confutazione: quanto sopra, pertanto, dimostra dove si trovava la scheda quel giorno, ma non necessariamente il suo utilizzatore. Pag. 250
   Si tratta di un'eccezione che sembra avere una sua logica di fondo. Si deve tuttavia riprendere alcuni argomenti già trattati in precedenza: la Procura generale egiziana, nella pienezza dei suoi poteri, avrebbe potuto disporre approfondimenti investigativi per verificare chi fosse in possesso del telefonino quel giorno, passo successivo fondamentale per poter confutare l'argomentazione della procura italiana. Invece, si limita ad effettuare un'affermazione apodittica senza sostanziarla, con un approccio disarmante, quasi fosse priva della potestà di approfondire le varie ipotesi di indagine.

   6. Accusa: le lesioni refertate nell'autopsia divergono da quanto descritto da Mabroka Ahmed Afifi (moglie del capobanda) riguardo alle lesioni che il marito le ha riferito erano state inferte allo straniero nel corso della lite.
   Confutazione: le conclusioni della procura egiziana non hanno portato ad attribuire le torture ai danni di Giulio Regeni alla banda criminale ma solo la rapina e le percosse. Pertanto, non ha senso ricercare le contraddizioni esistenti tra il referto e le citate dichiarazioni.
   A questo punto non resta che prendere atto che l'impegno a cooperare e ad approfondire la vicenda che, almeno formalmente, era all'attenzione del vertice istituzionale della Repubblica araba di Egitto, non ha portato alcun risultato. Dopo cinque anni la procura egiziana non è riuscita a fare luce sull'omicidio di un cittadino del primo dei suoi partner occidentali.

   7. Accusa: gli inquirenti italiani hanno constatato che le lesioni sul corpo di Regeni sono compatibili con quelle dettagliate in uno studio di esperti di medicina legale sul modus operandi dei servizi di sicurezza e sulle evidenze fisiche delle torture nel 2009-2010(468);
   Confutazione: tali conclusioni sono da escludere in toto poiché prive di fondamento scientifico. Lo studio contiene informazioni imprecise e non documentate e, inoltre, anche qualora se ne ammettesse la fondatezza, sarebbe accessibile a chiunque volesse far attribuire il fatto ai servizi di sicurezza egiziani.
   Riguardo all'attendibilità dello studio, ci si limita ad osservare che si tratta di un documento redatto da tre accademici, egiziani, che insegnano in due diverse università, sempre egiziane, nonché di un pubblico funzionario del ministero della giustizia, egiziano. L'argomento ulteriore, ossia che chiunque potrebbe aver simulato il modus operandi delle forze di sicurezza egiziane non può essere né confutato né, da noi, confermato. Essa, tuttavia, presenta un risvolto sorprendente, poiché sembra implicare che le forze di sicurezza egiziane utilizzino tuttora la tortura come strumento di investigazione, in contrasto con un esplicito divieto contenuto nella Costituzione(469). Nuovamente si deve sottolineare che se questa è una delle chiavi di lettura che la magistratura egiziana vuole adottare riguardo alla Pag. 251vicenda è necessario che prenda l'iniziativa per approfondirla e portare al tavolo degli elementi concreti per poterla sostenere.

   8. Accusa: ne fa oggetto la registrazione di una conversazione tra due soggetti che parlano in arabo della perquisizione presso la casa di Rasha Saad Abdulfattah, sorella di Tarik Saad (capo della presunta banda di rapinatori) e del rinvenimento dei documenti all'interno della borsa di Mabroka Ahmed Afifi, moglie del precitato. Nella registrazione i due interlocutori affermano che i documenti e gli effetti personali di Giulio, ufficialmente rinvenuti in quella occasione, in realtà fossero stati messi sul posto dal più alto in grado degli ufficiali della polizia partecipante alla perquisizione.
   Confutazione: uno degli interlocutori viene individuato dai magistrati in tale Gamal Abdulmajjed, marito di Rasha e quindi cognato del capobanda. Le dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio, durante il quale aveva confermato la versione del colonnello Mahmoud Hendi, sono difformi da quanto affermato nella conversazione. La procura egiziana ritiene che quanto registrato sia un tentativo di difesa messo in atto dalla moglie e che, pertanto, non è da non considerarsi nel procedimento di specie.
   Unica osservazione è la presa d'atto della mancanza di volontà da parte della procura cairota a voler approfondire qualunque linea investigativa che contrasti con quella che è la ricostruzione già da loro abbracciata.

   9. Accusa: quanto emerge dalla testimonianza, anonimizzata dalla procura italiana, resa dalla persona che avrebbe visto il ricercatore italiano presso il commissariato di Dokki(470) ;
   Confutazione: la magistratura italiana si è rifiutata di fornire le generalità e rendere noto il luogo di escussione del testimone e ciò getta ombre sulla ricostruzione operata. La testimonianza è infondata e contraddittoria: gli inquirenti egiziani hanno ascoltato i dipendenti della metropolitana di Dokki (che avrebbero detto che nessuno è stato fermato nella metro, per tutto il giorno). Il testimone afferma di essere stato fermato a Dokki (governatorato di Giza – città del 6 ottobre) e di essere stato poi trasferito a Lazoughly (governatorato del Cairo). Ciò non sarebbe possibile poiché la legge egiziana non consente agli ufficiali giudiziari del Cairo di operare al di fuori della propria area. L'autorità giudiziaria egiziana, inoltre, non può tenere in considerazione tale testimonianza in considerazione del fatto che non conosce l'identità del teste e soggiunge che la testimonianza coincide con una notizia pubblicata dalla Reuters e mai confermata e pertanto non si può procedere all'incriminazione sulla base di notizie giornalistiche infondate. Ad abundantiam, la metro scelta da Giulio Regeni non passerebbe per Abbasiya, ove si trova Bab El louq, vicino al commissariato di Abden, luogo di incontro indicato dal professor Gervasio.
   Riguardo alla validità processuale delle fonti di prova testimoniali si è già argomentato, mentre riguardo alla decisione della magistratura Pag. 252 italiana di mantenere celata l'identità del testimone, per la tutela della sua incolumità, è in linea con la normativa nazionale per la tutela dei testimoni di giustizia. In merito ai limiti normativi circa la giurisdizione delle forze di polizia e dei relativi vincoli, si tratta di un mero argomento formale(471). Non si comprende, infine, il rilievo relativo alla linea della metropolitana che Giulio Regeni avrebbe utilizzato per recarsi all'appuntamento con Gennaro Gervasio. Dal proprio luogo di dimora egli poteva prendere una sola linea della metropolitana, la linea 2. Una volta salito sul convoglio a El Bohoos (linea 2) avrebbe dovuto superare le fermate di Dokki, Gezira e Sadat(472) per poi scendere alla fermata di Mohamed Naguib(473), posta sulla medesima linea ed a circa 450 metri di distanza dal ristorante «Gad», luogo dell'appuntamento. Gervasio non ha mai indicato alcuna località nei pressi della stazione di polizia di Abden(474); la ricostruzione egiziana a riguardo è pertanto incomprensibile.

   10. Accusa: un testimone avrebbe visto il ricercatore italiano detenuto presso la struttura della National Security denominata «Lazoughly»(475) il 28 e il 29 gennaio 2016, alla presenza di due appartenenti alle forze di sicurezza, una delle quali di nome Sharif(476).
   Confutazione: l'autorità giudiziaria italiana ha mostrato di non comprendere cosa significhi «appartenente alla National Security«. Il rifiuto di condividere l'identità del testimone, inoltre, e la circostanza che le sedi della National Security non ricevono visite e che al contempo non è credibile che un responsabile di una struttura del genere consenta che un visitatore riesca a vedere un individuo detenuto illegalmente oltre che evidentemente sottoposto a traumi, costituiscono gli argomenti per cui l'accusa sarebbe priva di fondamento.
   Tali osservazioni delle autorità egiziane, oltre a sorvolare sulla circostanza che il teste sarebbe un appartenente alla medesima forza di sicurezza che deteneva illegalmente il ricercatore italiano, sembrano ammettere implicitamente che la stessa procura sia consapevole che le forze di sicurezza egiziane compiano arresti illegali ed atti di tortura.

   11. Accusa: l'autorità giudiziaria italiana fonda i propri sospetti nei riguardi delle forze di sicurezza egiziane considerando che:

   Giulio Regeni è stato fotografato durante una riunione sindacale;

   un agente della National Security(477)ha chiesto la copia del passaporto di Giulio;

Pag. 253

   Abdallah ha registrato il loro incontro;

   l'esame dei tabulati ha evidenziato la connessione temporale sospetta tra le telefonate intercorse tra Rami e Noura e tra Rami e Sharif;

   sempre dai tabulati è emersa la connessione tra il colonnello Kemal ed i due ufficiali coinvolti nella sparatoria contro la banda di presunti rapinatori.

  Confutazione: non vi è alcun collegamento evidente tra la foto scattata alla riunione sindacale e la registrazione effettuata da Abdallah, così come non vi è con la richiesta della copia del passaporto, trattandosi di attività legittima e doverosa, in virtù di una norma che prevede che i proprietari che affittano immobili devono comunicare alla polizia le generalità dei propri affittuari. Non vi è alcun legame criminale che lega Noura Wahby a Rami e quest'ultimo a Sharif, così come i contatti di Ather Kamal con i due ufficiali coinvolti nello scontro a fuoco rientrano nell'ambito delle attività di competenza di un ufficiale della polizia municipale. Tra l'altro, la presunta fotografia scattata a Giulio Regeni da parte di una ragazza alla citata riunione sarebbe stata scattata prima che venisse denunciato alle autorità (11 dicembre riunione sindacale, metà dicembre la data della denuncia effettuata da Abdallah Said, secondo la ricostruzione delle autorità cairote).
  Si tralasciano gli argomenti già ampiamente trattati (triangolazione dei rapporti Rami-Noura-Sharif; foto alla riunione sindacale e registrazione dell'incontro da parte del sindacalista Abdallah) per affrontare la questione della fotocopia del passaporto.
  A tal riguardo si osserva la straordinaria coincidenza che gli inquirenti egiziani sembrano suggerire: uno degli ufficiali della National Security, indagato poiché sospettato di aver condotto l'attività di raccolta informativa su Giulio Regeni era anche il superiore gerarchico dell'agente Najem (ci riferiamo al colonnello Helmi) che, per puro caso, in una città di 15 milioni di abitanti, apparteneva al novero di coloro che sono chiamati ad effettuare le verifiche sugli affittuari. A margine si osserva che appare perlomeno antieconomica una procedura che prevede che le forze di polizia effettuino verifiche «porta a porta» in una megalopoli come il Cairo, laddove vi è un obbligo di comunicazione in capo ai proprietari degli stessi(478). Se quindi l'intento degli inquirenti egiziani era quello di espungere tale episodio dall'elenco dei comportamenti sospetti, hanno in realtà fornito lo spunto per approfondire il ragionamento su tale evento e confermare i sospetti degli inquirenti italiani.
  Siamo ora giunti alle conclusioni finali dei magistrati egiziani che, sulla scorta di quanto da loro fin qui argomentato, affermano che l'autorità giudiziaria italiana ha peccato per un'errata percezione degli eventi, in contrasto col principio della presunzione di innocenza, che Pag. 254impone la presenza di prove inconfutabili per avviare una procedura giudiziaria.
  L'incompleta condivisione delle informazioni possedute dagli inquirenti italiani, inoltre, unita al mancato riscontro alle specifiche richieste avanzate dalla procura egiziana, delinea un quadro investigativo poco solido oltreché in contrasto coi meccanismi della cooperazione giudiziaria internazionale ed i fondamentali principi giuridici.
  Le indagini della Procura generale egiziana, di contro, avrebbero evidenziato che la più volte citata banda di rapinatori ha commesso il furto aggravato degli effetti della vittima, provocandogli delle lesioni ed hanno escluso ogni sospetto nei confronti degli appartenenti alle strutture di sicurezza egiziane. Ciò anche in ragione del rifiuto a rispondere alle rogatorie egiziane, a condividere in piena trasparenza le informazioni, alle testimonianze inaffidabili ed al comportamento dei genitori della vittima che ne hanno nascosto il portatile, consegnandolo all'ambasciata prima del rinvenimento del corpo del ricercatore.
  La procura egiziana, infine, giunta ormai in prossimità alla conclusione delle indagini, ha stabilito che il comportamento sconveniente ed i movimenti insoliti della vittima erano conosciuti e accessibili a tutti. La circostanza della denuncia avanzata dal sindacalista Said Abdallah nei riguardi del ricercatore deve essere stata nota ad un altro soggetto, vicino alla vittima ed allo stato non identificato, che avrebbe ordito e messo in esecuzione un piano per arrecare danno alle relazioni tra i due paesi.
  Alla luce delle considerazioni elencate e del fatto che le indagini non sono giunte ad accertare né le circostanze in cui è avvenuto il fatto né ad identificarne l'esecutore materiale, i magistrati egiziani chiedono il proscioglimento dei 4 ufficiali, chiudono le indagini e raccomandano di proseguire le ricerche e identificare i responsabili.
  Tali ultime considerazioni, apodittiche e illogiche, si commentano da sole. Non vi è una sola motivazione fattuale portata a sostegno della tesi degli inquirenti egiziani, che chiudono il documento con una ricostruzione fantasiosa degli eventi, degna di un thriller, dando inoltre mandato a sé stessi di effettuare ulteriori indagini per verificare la suggestiva ipotesi narrativa. È, di nuovo, appena il caso di osservare che non vi è un solo elemento di prova a sostegno di tale ricostruzione.
  Al termine di questa analisi del documento egiziano, anche per fare luce su quale fosse il reale scopo che le istituzioni egiziane si prefiggevano di raggiungere, è interessante osservare quali siano state le reazioni che ha suscitato nell'opinione pubblica egiziana, dove è stato diramato il 30 dicembre del 2020 agli organi di stampa nella forma di comunicato.
  La notizia del comunicato della procura viene data da quasi tutti i siti di «informazione» dove, nei fatti viene riportato il testo integrale, o una sintesi che ricalca il testo. Oltre agli elementi che sono stati divulgati in Italia, i media locali ne individuano altri cui la nostra stampa non ha dato particolare enfasi e che ci apprestiamo ad elencare:

  i viaggi di Giulio Regeni precedenti a quelli in Egitto: sono ritenuti fonte di sospetti soprattutto quello in Israele e in Turchia;

  il fatto che i genitori di Giulio Regeni abbiano preso il suo pc, consegnandolo immediatamente alle autorità diplomatiche italiane e il Pag. 255«rifiuto» dell'Italia di volerlo consegnare agli inquirenti egiziani (in realtà è stata loro fornita la copia forense. Un oggetto sottoposto a sequestro probatorio in un procedimento giurisdizionale non può essere distolto dalla catena di custodia degli inquirenti, pena l'inutilizzabilità dei dati in esso contenuti. Anche gli investigatori italiani, infatti, hanno lavorato su copie forensi);

  la richiesta egiziana, non assecondata dalla procura italiana, di poter ascoltare i testimoni chiave;

   l'atteggiamento di Regno unito e Kenya che non hanno risposto alle rogatorie egiziane. Questo è solo l'ultimo di una lunga serie di episodi, durante i quali il Cairo insiste sulla così detta «pista inglese» cercando nei fatti di spostare l'attenzione sul caso dall'Egitto al Regno unito. In questa occasione, si dice che la rogatoria egiziana chiedeva informazioni sulla natura degli stuti di Giulio Regeni e i suoi finanziamenti, oltre che sul ruolo della sua professoressa;

   il fatto che il comportamento ritenuto sospetto di Giulio Regeni è stato la causa dell'apertura di un'indagine sul suo conto. Questa però non ha evidenziato nulla di rilevante ed è stata chiusa (tale affermazione tra l'altro, trova il proprio spazio all'interno dei media egiziani per la prima volta).

  La pubblicazione del testo della procura provoca, su diversi portali social aperti ai commenti, una reazione a catena. Molti i commenti lealisti e nazionalisti (commenti in senso opposto non se ne trovano, ma da considerare che il dissenso non è sopportato dal regime che controlla in maniera pregnante i social media).
  In questi commenti vengono messi in luce soprattutto alcuni aspetti:

   Giulio Regeni viene descritto come un cospiratore che voleva in qualche modo danneggiare la stabilità dell'Egitto;

   il tema della ricerca, di per sé, desta sospetto;

   i sospetti sono alimentati dai viaggi precedenti di Giulio Regeni soprattutto in Israele e Turchia;

   la testimonianza del teste keniota non avrebbe alcuna validità;

   ci sono agenzie di intelligence straniere che cospirano contro l'Egitto;

   va indagata la professoressa Abdelrahman, non è l'Egitto il colpevole del caso Regeni, questo si trova nel Regno unito (la «pista inglese»);

   bisogna chiudere il dossier quanto prima, lasciarselo alle spalle in fretta perché ha preso già più tempo del dovuto. Serve tornare ad avere una piena relazione con l'Italia il più presto possibile.

  Già il 30 dicembre sera, sulla televisione egiziana(479), si torna a parlare del tema. Il canale satellitare Sada al-Balad, con il conduttore Pag. 256Ahmed Musa, dedica parte del suo programma a questo e viene letto anche l'intero testo del comunicato della procura, 11 minuti nei quali il testo scorre sullo schermo. Musa lanciandolo lo descrive come «forte, trasparente e la prova della grande, grande cooperazione tra Italia ed Egitto come evidenziato dalla quantità di incontri bilaterali tra le procure». Si enfatizza che l'Egitto ha fatto 5 richieste all'Italia, senza ottenere risposta.
  Su Youtube c'è chi riprende il tema e ipotizza che sia stata la Turchia lo stato che ha voluto / avuto interesse a colpire le relazioni Italia-Egitto. Viene anche data enfasi alla circostanza che la procura italiana(480) abbia deciso di rendere anonimi i testimoni, deducendone che questi non siano credibili.
  L'attenzione viene poi indirizzata verso Cambridge: la professoressa Maha Abdelrahman viene descritta come colpevole, collusa, ma viene chiamata erroneamente Maha Azzam. Nei fatti vi è una confusione, che non viene chiarita, tra Abdelrahman e Azzam. Quest'ultima è a capo dell'Egyptian Revolutionary Council (un fronte transazionale anti golpe e poi anti regime)(481).
  Il 31 dicembre alcune testate, anche «Al-Shoruq»(482), riprendono il tema, con un articolo in prima pagina che gira in terza e che nei fatti è solo un riassunto del comunicato stampa che riprende quanto detto dalla procura.
  Tornando ora alle osservazioni espresse all'inizio di questo paragrafo, appare ora chiaro che i reali destinatari del documento erano gli stessi egiziani. A questo punto possiamo affermare che sia stato inviato alla procura italiana «solo per conoscenza», volendo usare un lessico caro alle burocrazie. L'obiettivo chiaro delle istituzioni coinvolte nella campagna di stampa era verosimilmente quello caro ad ogni regime: garantirsi l'appoggio della popolazione attraverso un fattore aggregante, in questo caso l'esistenza di un complotto indefinito di cui l'Egitto sarebbe vittima.

8.5. L'ultimo depistaggio: il video su Youtube e Facebook «The Story of Regeni»

  Il 27 aprile del 2021, su due canali attivati sulle piattaforme Facebook e Youtube, veniva pubblicato il video di presentazione (trailer) di un filmato intitolato «The story of Regeni» la cui versione integrale verrà divulgata poco dopo la mezzanotte del successivo 28 aprile, giorno antecedente la prevista udienza per la decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio dinanzi al GUP del Tribunale di Roma.
  Cliccando sul campo «informazioni» era possibile accedere ad una nota riassuntiva dei contenuti del filmato: «Regeni, il primo documentario che rivela cosa c'era dietro le quinte della sparizione del ricercatore italiano Giulio Regeni. Dettagli rivelati al pubblico per la prima volta. Chi mandò il giovane italiano a Il Cairo? Qual era la natura delle sue ricerche? Chi incontrò? Testimoni oculari egiziani e personalità italiane spiegano, per la prima volta, le dimensioni della morte di Regeni e i sotterfugi del crimine. Seguici.» Pag. 257
  Il filmato è a tutti gli effetti un documentario realizzato in lingua araba con sottotitoli in inglese e italiano, con parti recitate da attori che impersonano il ricercatore italiano e il professor Gennaro Gervasio, nonché l'inserimento di brani di interviste a politici italiani(483), ad un alto ufficiale in riserva delle nostre forze armate(484), ad un giornalista italiano(485) oltre che di altri soggetti egiziani che all'epoca dei fatti rivestivano incarichi istituzionali(486) o avevano conosciuto Giulio Regeni(487).
  Come fa intendere la didascalia, l'intera ricostruzione ha il fine di screditare la figura del ricercatore, suggerendo che l'attività accademica non fosse il reale scopo della sua presenza in Egitto ed implicandone il coinvolgimento in oscure e non meglio definite trame di un imprecisato governo straniero. La pubblicazione del video alla vigilia della prima udienza del procedimento penale incardinato presso il tribunale romano, e il fatto che sia stato realizzato in lingua araba (con accento egiziano), fanno comprendere come il destinatario fosse l'opinione pubblica egiziana, con il verosimile scopo di prevenire i contraccolpi interni derivanti dal possibile rinvio a giudizio, il giorno seguente, dei quattro ufficiali della National Security.
  Il video è una «rappresentazione grafica» di buona parte del memorandum della magistratura egiziana, di cui abbiamo già diffusamente trattato(488), e appare volto a rafforzare la difesa d'ufficio già promossa in quel documento, rafforzandola con gli interventi di alcuni volti pubblici italiani, appartenenti alla politica, ovvero già membri di vertice di istituzioni pubbliche italiane. A tal proposito, dalle ricostruzioni successivamente operate dalla stampa italiana, emerge che i realizzatori del filmato hanno artatamente decontestualizzato le dichiarazioni rese dai nostri connazionali intervistati(489), utilizzando le frasi a loro più convenienti per suggerire che, anche in Italia, presso soggetti investiti da un'apparente autorità, vi siano letture discordanti rispetto alla ricostruzione dei fatti operata dalla procura romana.
  Occorre sottolineare che vi è una quasi perfetta sovrapponibilità tra alcuni degli argomenti contenuti nel memorandum della procura egiziana e le tesi illustrate nel lungometraggio. Tale circostanza potrebbe sembrare sorprendente, considerato che il memorandum, in Italia, non è stato reso pubblico nella sua integrità, ma in realtà conferma che si sta assistendo ad un altro atto del copione già noto e sostenuto dalle autorità egiziane, che in patria hanno consegnato ai media nazionali l'intero documento, ampiamente commentato sia dalla stampa, sia sulle piattaforme di interazione sociale su internet.
  A dimostrazione ulteriore della strumentalità della data di pubblicazione del video rispetto al particolare momento in cui versava il procedimento penale, interviene la circostanza che i canali Youtube e Pag. 258Facebook utilizzati per la pubblicazione sono stati chiusi dopo che l'udienza era stata aggiornata a data successiva (il filmato risulta tuttavia reperibile in rete). Tale intervento, inoltre, ha reso molto complesse, dal punto di vista tecnico, le operazioni di accertamento sul lancio del video da parte degli investigatori italiani, cui è stato dato mandato dagli inquirenti di effettuare i necessari approfondimenti investigativi tesi a identificare i committenti, i realizzatori nonché i soggetti che hanno pubblicato il filmato.
  Le notizie, tuttavia, sinora emerse dalle fonti aperte, attribuiscono la regia del video a un giornalista di origini egiziane, presentatosi ora come Mahmoud Abd Hamid, ora come Khalifa Mohamed, affermando alternativamente di essere un giornalista di Al Arabiya o di Al Jazeera. Già la circostanza che un professionista, perché tale dobbiamo ritenerlo alla luce della qualità di realizzazione del video, senta la necessità di dover utilizzare un nome di fantasia (presumendo che almeno uno dei due sia quello vero) per interviste a soggetti delle istituzioni appare fortemente sospetta e conferma la riconducibilità del giornalista ad ambienti collegati ai servizi di sicurezza egiziani, che risulta altamente probabile a questa Commissione, alla luce degli approfondimenti svolti. Ulteriori sospetti in tale direzione derivano dal fatto che il soggetto abbia deciso di pagare i propri collaboratori e le relative spese di trasferta, in contanti, al fine di evitare di lasciare dietro di sé un'impronta digitale, e quindi tracciabile, delle movimentazioni bancarie connesse alla realizzazione del video.
  Su questi fatti, come accennato, è stato aperto un fascicolo è, alla data di chiusura di questa relazione tuttora pendente per cui le relative indagini, pertanto, sono in corso.
  Esaminando ora il video nella sua struttura possiamo apprezzare che nella prima parte orienta lo spettatore a ritenere che Giulio Regeni non fosse un semplice studente, basando tale affermazione soprattutto su quanto viene detto anche da connazionali. Di seguito la trascrizione dei contenuti del video, nei suoi punti salienti:

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INTERVISTATO /

VOCE NARRANTE (V.N.)

CONTENUTO DICHIARAZIONI

02:41

Fulvio Grimaldi

Giornalista Italiano

  In riferimento al periodo di formazione, i tre anni conclusivi delle scuole superiori, in cui Giulio Regeni ha frequentato il Collegio del Mondo Unito, nel New Mexico (USA):
  Parla di Kurt Hahn definendolo «ebreo tedesco», sfuggito alle persecuzioni in Germania. Egli aveva fondato, dapprima in Germania, negli anni '30, un modello di scuola basato «un po' sul tipo della gioventù nazista», che poi ha esportato in Scozia. Questa scuola ha un collegamento Pag. 259 stretto con Cambridge. «Le scuole del Mondo Unito, ce ne sono decine e decine in tutto il mondo, sono tutte uguali, sono tutte indirizzate a formare agenti dei servizi segreti, anche Giulio Regeni è andato in queste scuole».

04:35

Said Mohammed Abdallah

Sindacalista rappresentante dei venditori di strada

  Ha conosciuto Giulio Regeni attraverso l'intermediazione del centro diretto da Hoda Kamal, e si è stupito di conoscere un occidentale che parlava arabo. Dopo un paio di giorni gli ha chiesto se volesse accompagnarlo al mercato. In quella occasione ha scattato delle foto di agenti di polizia che inseguivano gli ambulanti.

06:37

Avv. Hosny El SAYED

Coinquilino di Giulio

  Contrariamente a quanto facevano gli altri stranieri Regeni sapeva già dove andare e non chiedeva indicazioni. Non ha mai portato alcun amico a casa. Usciva alle 8 del mattino rientrando alle 22-23.

08:16

v.n.

  Giulio Regeni faceva spesso domande su cosa sarebbe dovuto accadere il 25 gennaio (anniversario della rivoluzione che ha rovesciato il governo di Hosni Mubarak nel 2011).

08:30

Said Mohammed Abdallah

Sindacalista rappresentante dei venditori di strada

  Ha accompagnato Regeni a far visita ai mercati di Ahmed Helmy (Il Cairo). In quell'occasione lo studioso italiano ha chiesto agli ambulanti quale fosse stato il loro ruolo il 25.01.2011 e che comunque avrebbero dovuto averne uno il successivo 25 gennaio 2016. Per tali affermazioni compromettenti ha denunciato Regeni al vicegovernatore del Cairo.

10:46 e ss.

Gen S.A. Leonardo Tricarico

Già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana

  «Beh ce ne vuole, se si manda un ragazzo a fare una ricerca sui venditori ambulanti autonomi in Egitto e si pensa che non sia pericoloso, o non si avvertono le autorità egiziane di questo incarico che ha Pag. 260avuto il ragazzo, francamente è difficile credere a una versione di questo genere. Maha Abdelrahman, per quello che ho capito io, era sintonizzata, in maniera anche molto raffinata sul fenomeno dei Fratelli musulmani, e sarebbe interessante anche scoprire quale fosse il radicamento di Maha nella Fratellanza se soltanto a livello conoscitivo o se anche a livello operativo purtroppo non abbiamo queste informazioni, perché non si è indagato sufficientemente nei confronti dell'Università di Cambridge, della tutor e, in generale, di quelli che io definisco i mandanti di questa tragedia, però certamente delle indagini più approfondite avrebbero consentito di comprendere meglio quale sia stato il ruolo dell'Università di Cambridge

12:10

Fulvio Grimaldi

Giornalista Italiano

  «Sicuramente un ragazzo che ha questo retroterra non va in Egitto e in tanti altri paesi soltanto per motivi di studio.... Lui parte da Cambridge dove la sua tutor ha rapporti molto stretti coi fratelli musulmani e poi va in Egitto presso la American University... ha la sua base presso l'AUC»

12:41

Sen. Maurizio Gasparri

  «Io nella vicenda di Giulio Regeni mi sono sempre interrogato sul perché abbiano mandato questo ragazzo a fare una ricerca apparentemente su questioni di sindacati di commercio ambulante, di realtà che sembrano giuste, ma... mi ha sempre, mi sono sempre chiesto perché è stato mandato questo ragazzo, da chi?. ... E però la Fratellanza musulmana ha delle contiguità che dovrebbero far capire che non si fa una missione di professori che sono vicini alla Fratellanza musulmana»

13:40

v.n.

  viene citata Oxford Analytica (società britannica Pag. 261 in cui Giulio Regeni ha lavorato per un anno)

13:47

Fulvio Grimaldi

Giornalista Italiano

  «Giulio Regeni si trasferisce a Londra e lavora per una delle società di spionaggio industriale, una delle più grandi al mondo, che si chiama Oxford Analytica»

  È chiara l'idea che gli autori del filmato vogliono suggerire agli spettatori. Giulio Regeni, in virtù del suo passato di formazione, svoltosi in una realtà che asseritamente alleva agenti segreti, non poteva essere un semplice studioso.
  Proseguendo, vengono forniti altri elementi per suffragare questo sospetto:

16:30

Said Mohammed Abdallah

Sindacalista rappresentante dei venditori di strada

  Quando è andato agli uffici della National Security. gli è stato chiesto quali fossero i suoi sospetti e gli hanno chiesto di registrarlo.
  Nel corso della conversazione con Giulio, ha cercato di portarlo a parlare della rivoluzione e del 25 gennaio. Regeni, a fronte di una sua richiesta, gli ha detto che non poteva dagli dei soldi ma che li avrebbe messi in contatto con chi avrebbe potuto dare i soldi per far scendere la gente per la strada (min. 17:00)

17:02

v.n.

  Viene mostrato uno spezzone della registrazione dell'incontro in cui si vede e si sente Giulio Regeni parlare della sovvenzione in denaro.

18:02

Fulvio Grimaldi

Giornalista Italiano

  «Cosa fa Giulio Regeni quando incontra Said Abdallah, gli offre una possibilità di prendere dei soldi, lui dice che la sua fondazione, la sua impresa, di cui non dice quale sia, in Inghilterra, a Cambridge, gli ha dato 10.000 euro, che può consegnare a qualcuno in Egitto che gli proponga un “progetto”. Allora... Regeni pensa che Mohamed Abdallah sia un oppositore di Al –Sisi, è un sindacalista... che cosa potrebbe essere questo progetto se non una attività contro il governo ?...Pag. 262 un tentativo di destabilizzare, un sabotaggio.»

  C'è un intervento di un alto ufficiale delle forze di sicurezza egiziane che afferma che, all'esito degli accertamenti, per loro Giulio Regeni e le sue offerte non costituivano un rischio:

19:00

Magg. Gen. Farouk Elma Krahy (assitant minister of interior)

  Gli accertamenti hanno potuto appurare che non vi fosse un rischio per la sicurezza nazionale.

  E, tuttavia, gli autori del video continuano ad aggiungere elementi che potrebbero ingenerare il sospetto che gli atteggiamenti di Giulio Regeni non fossero trasparenti, commentando la scelta di incontrarsi con Gennaro Gervasio, il giorno della sua scomparsa, in una località prossima a piazza Tahrir, nonostante successivamente entrambi si sarebbero dovuti recare a casa di un professore che era vicino alla sua abitazione.

22:42

v.n.

  Appare strano che Giulio Regeni sia entrato in metropolitana a Dokki anziché a Behoot, che era vicino alla sua abitazione.

  Vengono introdotti alcuni degli elementi che conosciamo poiché già emersi nel noto memorandum:

  24:12

Hosny El SAYED

Coinquilino di Giulio

  I genitori di Giulio Regeni hanno portato via gli oggetti del figlio dall'appartamento (il portatile e altri oggetti personali).

  24:34

Avv. Wesam Ismail

(incarico non specificato)

  La procura egiziana ha cercato gli oggetti di Giulio Regeni. I magistrati si sono stupiti quando hanno scoperto che i genitori li avevano presi e avevano poi lasciato l'Egitto, in considerazione del fatto che potevano contenere delle prove.

  Nuovamente, ma ora in maniera più diretta, si parla di trame oscure che puntano il dito verso soggetti terzi, in ragione dell'appartenenza di Giulio Regeni a un qualche servizio di intelligence:

26:27

Gen S.A. Leonardo Tricarico

Già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana

  Ci sono molte anomalie, delle coincidenze, che fanno pensare a tutt'altro che al rapimento ed alla tortura di un ragazzo soltanto perché stava facendo Pag. 263una ricerca per l'università di Cambridge. «Ci sono dei retroscena che tali sono rimasti e che appunto sarebbe stato opportuno investigare con maggiore cura e invece non è stato fatto.» «Capisco che ci può essere un ruolo dei servizi segreti e le esigenze legate alle operazioni coperte

27:40

Fulvio Grimaldi

Giornalista Italiano

  «Se un cittadino di un paese viene fatto trovare facilmente all'aperto, ucciso e brutalmente torturato, vicino alla sede di un servizio di sicurezza di quel paese, nel momento in cui esponenti di quel paese ospite, amico, si incontrano con la presidenza dell'Egitto, vuol dire che si vuole gettare una mina tra le gambe di coloro che stanno discutendo la collaborazione e la cooperazione trai due paesi. É chiaro che durante il vertice viene fuori la notizia e il vertice viene interrotto. Ed è allora che incomincia la crisi nei rapporti tra Italia e Egitto.»

28:47

Magg. Gen. Farouk Elma Krahy (assitant minister of interior)

  Per quale motivo i servizi egiziani avrebbero dovuto lasciare il corpo di Giulio Regeni ad un chilometro da una delle loro sedi operative e su di una strada trafficata?

  Gli autori del video a questo punto indirizzano le proprie attenzioni alla credibilità dell'operato dei magistrati italiani e della stampa nazionale, quest'ultima accusata di aver polarizzato le opinioni sul caso, pur a fronte di una parte dell'opinione pubblica, anche autorevole, che ritiene l'Egitto un partner politico e commerciale rispettabile:

29:52

Avv. Wesam Ismail

  Sottolinea le differenze tra l'operato della procura italiana e quella egiziana, in quanto in Italia le indagini sono delegate alle forze di polizia. Laddove in Egitto sono effettuate direttamente dai magistrati. Tra l'altro, delle 28 richieste effettuate con rogatoria ai magistrati italiani, 11/12 sono inevase mentre delle 66 poste dai magistrati italiani Pag. 264 ben 44 sono state accolte.

32:07

Sen. Maurizio Gasparri

  «La Procura di Roma non è un luogo molto apprezzato, basti leggere il libro di Sallusti. La magistratura italiana, purtroppo, ha molte cose da chiarire, non ci sono solo misteri del Cairo, ci sono anche i misteri della Procura di Roma su cui si dovrebbe fare luce».

33:27

Amb. Ashraf Rashid, già ambasciatore in Italia

  L'Italia è una terra ove vi sono molti partiti rivali, e un caso come questo può essere sfruttato da uno di essi per mettere in imbarazzo i restanti o il governo. In Italia una gran parte della gente ritiene che sia interesse di una terza parte sfruttare il caso per danneggiare i rapporti tra Italia ed Egitto.

34:50

Sen. Maurizio Gasparri

  «Dico da uomo che è giornalista, che è stato Ministro delle comunicazioni, ho fatto anche una legge che in Italia regola le attività dei mezzi di comunicazione, che è ancora in vigore. I mezzi di comunicazione sono strani. È colpa dei mezzi di comunicazione e anche delle autorità investigative se i casi che lei dice che non vengono analizzati nelle televisioni e nei media. Vedo molte trasmissioni sul caso Regeni, ed è giusto che ci siano... forse è colpa di noi politici che dovremmo assumere iniziative parlamentari più forti in tanti casi, che sono uguali, sono uguali perché c'è una vita umana soppressa, in contesti internazionali. Il diverso trattamento dei vari casi è frutto dell'ipocrisia dei mezzi di comunicazione e dell'insufficienza dell'azione che i politici esercitano e che dovrebbero (esercitare) una maggior pressione per la ricerca della verità «

33:59

Amb. Ashraf Rashid, già ambasciatore in Italia

  Si è trattato di un incidente penoso per entrambe le Pag. 265parti, ma le relazioni bilaterali si appoggiano su fondamenta solide, sono migliorate e riusciremo a superare l'impasse.

36:16

Elisabetta TRENTA

già Ministro della Difesa

  «Le relazioni sono ancora in piedi perché noi abbiamo fiducia che l'Egitto sia un paese che rispetta i diritti umani e che stia lavorando per risolvere e identificare chi sia stato l'autore della morte di Giulio Regeni.»

37:04

Gen S.A. Leonardo Tricarico

già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana

  «Chi ha mandato Giulio Regeni a fare questa ricerca era perfettamente consapevole dei pericoli che comportava... su di questo punto non c'è stata sufficiente considerazione sia da parte dei media sia da parte delle istituzioni, a volte trascinate dai media, poi, ho letto da qualche parte, non posso citare la fonte, semplicemente perché non lo ricordo, ma che questa operazione possa essere stata finanziata da una fondazione che ha un collegamento funzionale e forse anche operativo coi Fratelli musulmani. Questa è un'altra cosa da verificare perché se così fosse c'è anche da giustificare, più di quanto non si faccia ora, la reazione di Al- Sisi. Certo questo, ancora una volta, non giustifica l'uccisione, la tortura e l'uccisione del ragazzo, però sicuramente la figura di Giulio Regeni e le sue (di Al-Sisi) reazioni troverebbero una giustificazione».

  Gli autori si rivolgono ora ad alcuni dei punti che sono trattati con maggior enfasi nel memorandum della procura egiziana, ossia le testimonianze che punterebbero il dito verso gli ufficiali dei servizi di sicurezza egiziani e quindi ribadiscono la tesi del complotto internazionale:

38:50

v.n.

  inizia la trattazione delle testimonianze anonimizzate

39:28

Magg. Gen. Farouk Elma Krahy (assitant minister of interior)

  gli assunti riferiti non corrispondono a verità

Pag. 266

39:58

Avv. Wesam Ismail

  Tra le strane cose, le conclusioni illogiche e le richieste degli inquirenti egiziani riguardo al testimone del Kenya

40:30

Magg. Gen, Farouk Elma Krahy (assitant minister of interior)

  «Un agente egiziano in Kenya? Ma di cosa stiamo parlando?»

40:39

Avv. Wesam Ismail

  La richiesta di conoscere il nome del testimone è stata rifiutata perché il governo kenyota avrebbe rifiutato di far comunicare il nome alle autorità egiziane.

41:16

Magg. Gen. Farouk Elma Krahy (assitant minister of interior)

  gli inquirenti italiani hanno omesso di chiedere a Cambridge perché e dove era stato inviato Giulio Regeni.

42:00

v.n.

  Parla della mai chiarita questione della lettera dell'Interpol del 1° febbraio 2016 in cui si fa menzione della scomparsa di Regeni in Turchia nel periodo di ottobre 2015 (ma era già in Egitto dal 9 settembre precedente!), per cui l'italiano appare che fosse solito scomparire in situazioni misteriose(rammentiamo che della lettera, che sarebbe stata asseritamente spedita dall'ufficio italiano dell'Interpol, non vi è traccia presso quell'ufficio).

42:19

Avv. Wesam Ismail

  In riferimento alla questione della rogatoria in cui si chiedono approfondimenti circa la lettera Interpol citata: la sua nazione di origine (l'Italia) neanche sapeva dove fosse un suo concittadino. (questa affermazione è poco comprensibile, anche se risentita più volte).

44:00

v.n.

  Viene introdotta la tesi del complotto volto a rovinare i rapporti bilaterali.

44:50

Amb. Ashraf Rashid, già ambasciatore in Italia

  Qualcuno starebbe cercando di sfruttare l'incidente per creare tensione tra Italia e Egitto. Da parte di molti politici e media italiani c'è consapevolezza di ciò e, nonostante questo incidente criminale, non Pag. 267dovrebbero esserci ripercussioni sulle relazioni costruite in tanti anni. L'incidente non viene preso alla leggera. Ci sono molte imprese che vogliono investire in Egitto; ENI ha grossi interessi nel campo dell'energia in Egitto.

45:50

Gen S.A. Leonardo Tricarico

Già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana

  «ENI gode di una posizione di evidente privilegio, perché se la sono conquistata con una politica corretta ed è altrettanto evidente che questa posizione di privilegio possa anche comportare qualche colpo basso, portato non si sa come o verso chi. Non sto dicendo che questa sia la causa dell'uccisione di Regeni, però quando ci sono interessi così forti c'è da aspettarsi di tutto, anche da paesi amici, anche da paesi alleati«

46:41

Fulvio Grimaldi

giornalista

  «Ci sono competitor dell'Italia che possono approfittare di questa situazione, e sono tanti nel campo del petrolio. Noi ci ricordiamo spesso in Italia quello che è successo a Enrico Mattei... che ha creato l'ENI e voleva che l'Italia si affrancasse dalle grandi compagnie petrolifere BP, SHELL, Total etc...»

  Chiude il video una carrellata di affermazioni degli esponenti italiani intervistati, volta a ribadire la necessità che le relazioni tra i due paesi si normalizzino:

47:35

Gen S.A. Leonardo Tricarico

Già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica Militare Italiana

  «L'Egitto, come altri paesi a noi vicini, ha un ruolo centrale nel determinare la nostra sicurezza e la Libia è il caso più evidente, più attuale. Ma si potrebbe parlare a lungo di come un Egitto a noi vicino che abbia una politica coerente con gli interessi dell'Italia è fuori di discussione. Purtroppo non tutti riescono a comprendere la linea di demarcazione che ci deve essere tra gli episodi singoli, per quanto tragici, e la politica estera di un paese. La Pag. 268politica estera di un paese è la sintesi degli interessi nazionali, non può essere ostaggio di un caso singolo, per quanto doloroso possa essere, le due cose devono viaggiare su canali paralleli.«

48:42

Sen. Maurizio Gasparri

  «Io credo che sia molto importante mantenere rapporti diplomatici con l'Egitto, nel campo della sicurezza, energia, economico

48:54

Elisabetta TRENTA

Già Ministro della Difesa

  «Credo che sia importante anche collaborare con l'Egitto e con altri paesi che hanno una certa forza... nel formare altri paesi che sono più deboli nella lotta contro il terrorismo, e spero che la cooperazione in tale campo si rafforzi. Il rapporto commerciale nel campo della difesa è importante, ma ci sono anche degli accordi, della formazione comune, si elaborano strategie comuni di difesa e dal punto di vista anche della sicurezza internazionale, quindi significa che sono due paesi che collaborano perché hanno una grande fiducia uno nell'altro

  Non si può negare che uno spettatore inconsapevole del filmato, realizzato in maniera professionale, visivamente accattivante e con una regia ben costruita, potrebbe effettivamente prestare fede alle tesi che vengono sostenute dalla controparte egiziana. Senonché esso è una mistificazione dei fatti orientata a dare una lettura univocamente orientata degli eventi: l'Egitto non è responsabile di quanto avvenuto allo studioso italiano, anzi l'avrebbe lasciato libero di fare la propria ricerca, nonostante la sua condotta non fosse cristallina e la sua morte è imputabile ad attori terzi, non meglio identificati, aventi lo scopo di danneggiare le relazioni tra le due nazioni, che comunque devono riprendere al più presto. Le indagini dei magistrati italiani, infine, sono viziate da errori procedurali e, alla radice, dall'inaffidabilità del sistema giudiziario.
  Un attacco a tutto campo che, se non impressiona l'utente occidentale, può trovare terreno fertile e attecchire in Egitto, dove la retorica sul nemico straniero è comunque un cavallo di battaglia della propaganda di regime.

8.6 Il rinvio a giudizio e lo stato del procedimento

  Nell'audizione del 10 dicembre 2020 presso questa Commissione, la Procura della Repubblica di Roma, rappresentata dal procuratore Pag. 269Prestipino e dal sostituto Colaiocco, ha inteso preannunciare la chiusura delle indagini preliminari iniziate a febbraio 2016 – nell'immediatezza del rinvenimento del corpo senza vita di Giulio Regeni – attraverso l'atto di notifica dell'«avviso di conclusione delle indagini», ex articolo 415-bis, secondo il «rito degli irreperibili». Tecnicamente «in doppia copia al difensore in quanto non si dispone di un indirizzo utile a cui fare le notifiche in Italia da parte degli indagati».
  I cinque anni di indagini sulla vicenda di Giulio Regeni sono infine sfociati in due diverse richieste dei magistrati capitolini indirizzate al Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma: una prima richiesta di archiviazione del procedimento nei riguardi di uno dei cinque appartenenti alla National Security, l'agente Mohamed NAJEM, per insufficienza degli elementi di prova a suo carico, ed un secondo atto, ossia la richiesta di rinvio a giudizio nei riguardi dei restanti quattro ufficiali delle forze di sicurezza egiziane, depositata il 20 gennaio 2021 rispettivamente accusati dei delitti di seguito elencati:

  Capi di imputazione nei confronti di:
  TARIQ SABIR, nato in Egitto nel 1963, Generale della Polizia presso il Dipartimento di Sicurezza Nazionale;
  ATHAR KAMEL MOHAMED IBRAHIM, nato in Egitto nel 1968, Colonnello, Direttore di ispezione preso la direzione della sicurezza di Wadi al-Jadid, già capo delle investigazioni giudiziarie del Cairo;
  UHSAM HELMI, nato in Egitto nel 1968, Colonnello in servizio presso la direzione passaporti e immigrazione, già in forza presso la Direzione di Sicurezza Nazionale (National Security)
  MAGDI IBRAHIM abdelal SHARIF, nato in Egitto il 9.07.1984, Maggiore in servizio presso la sicurezza nazionale.
  Imputati dei:
  a) Delitto di cui agli artt. 110, 605, primo e secondo comma nr. 2), 61 nr. 1), e 4) c.p. perché in concorso tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, a seguito della denuncia presentata, negli uffici della National Security, da Said Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti de il Cairo ovest, dopo avere osservato e controllato, direttamente ed indirettamente, dall'autunno del 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, dottorando italiano della Cambridge University, abusando delle loro qualità di PU egiziani, lo bloccavano all'interno della metropolitana de il Cairo e, dopo averlo condotto contro la sua volontà ed al di fuori da ogni attività istituzionale, dapprima presso il Commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazoughly, lo privavano della libertà personale per nove giorni.
  In Egitto, Il Cairo, dal 25 gennaio al 2 febbraio 2016
  Per il solo Magdi Ibrahim Abdelal Sharif
  b) Del delitto di cui agli artt. 110, 582, 583, nr. 2), 585, in relazione al 576 nr.2 ), e 61 nr. 1), 4) e 9) c.p., perché dopo aver posto in essere il delitto di cui al capo che precede, in concorso con soggetti allo stato non identificati, per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri, con crudeltà, cagionava a Giulio Regeni lesioni, che gli avrebbero impedito di attendere alle ordinarie occupazioni per oltre 40 giorni nonché comportato l'indebolimento e la perdita permanente di più organi, seviziandolo, con acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni:
  attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente, con cui gli cagionavano numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori;
  attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e/o l'uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche con cui gli cagionavano: ... omissis...
  In Egitto, il Cairo, dal 25 gennaio al 2 febbraio 2016 Pag. 270
  c) Al delitto di cui agli artt. 110, 575, 576 nr.2), 61 nr. 1), 2), 4), e 9), perché, nelle circostanze di tempo e di luogo di cui ai precedenti capi e dopo aver posto in essere i delitti di cui sopra, in concorso con soggetti allo stato non identificati, al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati, abusando dei suoi poteri di PU egiziano, con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva, esercitata sui vari distretti corporei cranico- cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Giulio Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte. Il corpo veniva, poi, rinvenuto il 3 febbraio 2016 lungo la desert road Cairo Alessandria.
  In Egitto, Il Cairo, in epoca ricompresa tra il 31 gennaio 2016 e il 2 febbraio 2016

  La discussione della richiesta di rinvio a giudizio, dal punto di vista giuridico, avrebbe potuto rappresentare un momento dirimente del procedimento, ciò in ragione della mancanza di formali atti di elezione di domicilio legale da parte degli indagati. Secondo le norme del codice di rito il giudice avrebbe dovuto verificare che vi fossero le condizioni per poter procedere «in absentia», accertando che la Procura potesse dimostrare, come poi ha fatto, che gli indagati erano effettivamente a conoscenza del proprio status e delle accuse che venivano loro mosse, indipendentemente dalla formale notifica dei rispettivi capi di imputazione.
  L'udienza, inizialmente programmata per il 29 aprile 2021, è stata aggiornata, a causa dell'indisposizione di uno dei difensori, al successivo 25 maggio, data in cui il Giudice dell'udienza preliminare si è pronunciato favorevolmente, fissando la prima udienza del processo per il 14 ottobre 2021.

  Nel corso dell'udienza del 25 maggio 2021, il GUP Pierluigi Balestrieri, accogliendo le richieste della Procura, ha rinviato a giudizio i 4 ufficiali della National Security. Nell'udienza, il GUP aveva respinto le eccezioni dei difensori poiché «l'assenza e l'irreperibilità dei quattro 007 egiziani non incide sul procedimento relativo al sequestrato e all'omicidio di Giulio Regeni». (...) Del resto i 4 (imputati ndr), ha sostenuto il sostituto procuratore Sergio Colaiocco, «hanno avuto notizia dell'esistenza del procedimento penale italiano essendo stati tutti, e più di una volta, ascoltati dalla magistratura egiziana a seguito di richiesta rogatoriale di questo ufficio».
  Per il GUP si tratta dunque di una «volontaria sottrazione dal processo», perché «la copertura mediatica capillare e straordinaria ha fatto assurgere la notizia della pendenza del processo a fatto notorio».

  In tale data, la Corte di Assise di Roma ha svolto la prima udienza del processo nei riguardi dei precitati imputati e, una volta costituitesi le parti, ha ascoltato le prolusioni del pubblico ministero, Sergio Colaiocco, degli avvocati delle parti civili e degli imputati. In particolare, ha esaminato le richieste delle difese di rigettare il decreto che dispone il giudizio, emesso dal Giudice dell'udienza preliminare, per carenza dei presupposti in relazione all'elezione di domicilio. All'esito di una lunga camera di consiglio, la Corte si è pronunciata a favore delle istanze presentate dai difensori degli imputati, annullando il decreto che disponeva il giudizio e rinviando così, di fatto, il procedimento al relativo Giudice dell'udienza preliminare. I motivi della decisione sono riconducibili all'assenza di prove che sostengano l'affermazione che i quattro ufficiali della National Security si siano volontariamente sottratti al procedimento, poiché le condotte ostruttive poste in essere sono state ricondotte solo alle istituzioni governative Pag. 271egiziane. Di conseguenza, il procedimento è ora in attesa che sia provata la volontaria sottrazione al processo ovvero la certezza della conoscenza dell'esistenza del procedimento a proprio carico da parte degli imputati. Il GUP presso il Tribunale di Roma ha fissato la prossima udienza al 10 gennaio 2022.

9. LA VICENDA DI GIULIO REGENI NELLE RELAZIONI ITALO-EGIZIANE

  I fatti oggetto dell'attenzione di questa Commissione d'inchiesta si svolgono tra il settembre del 2015 (arrivo di Giulio Regeni al Cairo) e, con riferimento alla conclusione dei lavori del presente organo parlamentare, l'ottobre del 2021. L'arco temporale di una vicenda non ancora definitivamente conclusasi sotto il profilo giudiziario, ancorché ormai definita, chiara e largamente accertata sotto il profilo storico e politico – anche attraverso le attività della Commissione stessa –, copre pertanto un periodo di cinque governi e ricade in due legislature, la XVII e la XVIII.
  Come noto, l'omicidio di Giulio Regeni ha luogo al tempo del governo presieduto da Matteo Renzi, con ministro degli Esteri Paolo Gentiloni Silveri, in carica dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016. La XVII legislatura, conclusasi il 22 marzo 2018, ha rappresentato la cornice di gran parte della vicenda e della successiva indagine giudiziaria della Procura della Repubblica di Roma che, in una parziale e claudicante collaborazione da parte della magistratura egiziana, è riuscita a definire un solido quadro probatorio e ad identificare, iscrivere nel registro delle notizie di reato («registro degli indagati») ed infine a far rinviare a giudizio alcuni appartenenti agli apparati di sicurezza egiziani per le responsabilità connesse al rapimento, alle torture e all'uccisione del ricercatore italiano. La vicenda giudiziaria naturalmente è stata parallela all'azione politica e diplomatica dei governi e del Parlamento italiani e proprio l'iscrizione nel «registro degli indagati» ed il successivo rinvio a giudizio hanno avuto luogo durante la XVIII legislatura.
  Tra gli atti istituzionalmente e diplomaticamente più significativi nel corso di questo periodo possono senz'altro ascriversi: la sospensione della visita ufficiale del ministro Guidi nell'immediatezza degli eventi; le azioni diplomatiche a sostegno delle indagini e l'invio di investigatori di ROS e SCO italiani in Egitto; il richiamo per consultazioni dell'ambasciatore d'Italia al Cairo ed il successivo riaccreditamento di un ambasciatore presso la Repubblica Araba d'Egitto nell'estate 2017; il blocco da parte del Parlamento italiano delle forniture delle parti di ricambio relative agli aerei F-16 all'Egitto (29 giugno 2016); la sostanziale non effettuazione di visite di alto livello al Cairo e la temporanea ripresa nell'estate 2018; la sospensione della diplomazia parlamentare tra Italia ed Egitto dal novembre del 2018; l'istituzione – il 30 aprile 2019 – di una Commissione monocamerale d'inchiesta presso la Camera dei deputati, che si insedia il 3 dicembre 2019.

9.1 Italia ed Egitto nel quadro geopolitico del Mediterraneo

  Prima del caso Regeni l'Egitto era, nel Mediterraneo, un partner strategico di primaria importanza per l'Italia. Il solido legame tra i due Pag. 272Paesi non si limitava ai temi economici ma interessava anche i rapporti storici costruiti nel corso degli anni con investimenti politici e di cooperazione allo sviluppo tali da intensificare, anche nell'assistenza umanitaria, le relazioni fra i due Paesi. Così ha descritto in audizione il quadro geopolitico e i rapporti tra Italia ed Egitto il Presidente del Consiglio all'epoca dei fatti, Matteo Renzi: «Il nostro Governo aveva molto scommesso su una partnership privilegiata con l'Egitto di Al-Sisi. Non era scontato questo fatto perché, come ricorderete, anche nella comunità occidentale vi erano opinioni diversificate. Ricorderete che, ad esempio, il presidente Obama – con il quale abbiamo lavorato molto bene insieme negli anni del governo – aveva svolto un importante discorso al Cairo in un altro momento della vita egiziana, con un'altra leadership in Egitto. E tuttavia, anche nelle sedi dell'Unione europea e nel rapporto con gli americani, noi avevamo cercato di valorizzare l'importanza dell'inserimento dell'Egitto nel contrasto al terrorismo internazionale, al Daesh. Siamo nel gennaio 2016, ma io sto parlando del periodo che va dal 2014 al 2016. Nel giugno 2014 c'è stata la conquista di Mosul e c'è stata una crisi fortissima della comunità internazionale davanti all'aggressione del Daesh; nel novembre 2015 c'è stata la strage del Bataclan. Questo inserimento deve essere fatto in un arco temporale nel quale la comunità occidentale vive il terrorismo internazionale come una priorità decisamente superiore rispetto a quella di oggi e, ovviamente, io dico fortunatamente. Adesso le cose, anche se con mille problemi – abbiamo visto quello che è successo a Vienna e a Nizza – comunque sono leggermente migliorate. L'Egitto allora era uno dei punti di riferimento di questa lotta contro il terrorismo internazionale. Lo dico in un altro modo. Se voi andate a rileggere i report di allora, vedrete che c'è scritto in tanti documenti, com'è ovvio che sia, che, se l'Egitto fosse crollato, ci saremmo trovati di fronte a una situazione di insostenibilità della lotta al Daesh. L'Egitto era una diga nel “racconto internazionale”, tanto è vero che nel progetto di riforme che Al-Sisi aveva messo in piedi particolare importanza era data alla questione economica. Egli aveva organizzato a Sharm el-Sheikh un importante appuntamento di presentazione di progetti del futuro dell'Egitto al quale l'Italia era invitata come uno degli ospiti principali con l'allora Presidente del Consiglio, ma al quale dopo lunga discussione aveva deciso di partecipare anche il Segretario di Stato americano John Kerry per dare il primo segnale di riavvicinamento tra gli Stati Uniti e la nuova leadership egiziana».(490)
  Dopo aver presentato preliminarmente ed a compendio l'essenza di un rapporto storico tra i due Paesi del Mediterraneo, la chiara percezione avuta dal consesso internazionale circa l'esigenza prioritaria di stabilità politica del quadrante e la responsabilità in capo all'Egitto in termini di gestione della sicurezza e contrasto al terrorismo nell'area, si può tratteggiare e meglio comprendere la natura degli sviluppi e dei mutamenti avvenuti nelle relazioni italo-egiziane a seguito della vicenda Regeni in oggetto.
  In audizione presso questa Commissione l'ambasciatrice Elisabetta Belloni, Segretaria generale del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ha fornito in sintesi l'evoluzione delle relazioni bilaterali: «a partire dalla scomparsa di Regeni è venuta meno Pag. 273la fiducia dell'Italia nei confronti di questo Paese, una fiducia che all'inizio ci induceva a ritenere che sarebbe stato possibile, proprio grazie a quell'investimento pregresso, di agire rapidamente, non necessariamente forse trovando facilmente la verità, ma certamente ci aspettavamo una collaborazione fattiva che non ci portasse ad aspettare mesi per un riscontro a una rogatoria o quant'altro. Tutto questo ha fatto sì che sono venuti meno la collaborazione in campo multilaterale, il sostegno reciproco nelle candidature nelle organizzazioni internazionali, i rapporti economici, la nostra capacità di dialogare per trovare delle azioni comuni in campo internazionale, ivi compreso sulla Libia. È inutile negarlo. Quindi, in tutto lo scacchiere del Mediterraneo. Le consultazioni che ugualmente cerchiamo di avere con le controparti non sono più così franche, così dirette come potevano essere nel passato».(491)
  La qualità globale delle relazioni fra l'Italia e l'Egitto appare oggi profondamente cambiata se si considerano gli aspetti più strettamente legati alla dialettica diplomatica internazionale, parte delle relazioni economiche e il contesto del multilateralismo internazionale. Diversamente può dirsi in relazione ai rapporti in termini di partenariato economico, militare e nel quadro dei temi di sicurezza internazionale e di stabilizzazione dell'area. In riferimento a questi ultimi elementi, anche allo stato attuale delle relazioni tra i due Paesi e sebbene siano state effettivamente intraprese azioni di concreta rimodulazione della dialettica diplomatica negli anni che seguirono i fatti oggetto d'inchiesta, le dichiarazioni alla Commissione del ministro degli Esteri in carica, Luigi Di Maio, hanno avvalorato una prospettiva di collaborazione finalizzata al contrasto della minaccia terroristica, al contrasto dei traffici illeciti e alla gestione dei flussi migratori: «affinché la nostra azione per la ricerca della verità sull'omicidio di Giulio Regeni possa essere efficace, riteniamo necessario coinvolgere costantemente al più alto livello le autorità del Cairo attraverso un confronto franco ed esigente che possa trasmettere il senso di una tenace capacità di pressione. In questo senso vorrei essere molto chiaro. Secondo me è fuorviante credere che avere un nostro ambasciatore al Cairo significhi non perseguire la verità sul caso di Giulio Regeni e, viceversa, penso sia altrettanto fuorviante pensare che il ritiro del nostro ambasciatore sia necessario per raggiungere la verità. [...]. Soltanto un partenariato lungimirante, ancorché critico, per riprendere l'espressione del presidente Conte proprio di fronte a questa Commissione, ci permetterà di dare sostanza al nostro ostinato impegno per la verità. Questo obiettivo non può prescindere da un confronto continuo e un'interlocuzione forte con l'Egitto, paese con il quale abbiamo interesse a mantenere rapporti in un quadro più generale per la gestione comune di dossier come la Libia, dove il Cairo svolge un ruolo imprescindibile, alla collaborazione nella lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, alla gestione dei flussi migratori, alla cooperazione in campo energetico. In tutti questi settori la cooperazione tra Italia e Egitto risponde a un nostro interesse nazionale, non solo sul piano della collaborazione bilaterale ma anche nell'ottica di un'auspicabile stabilizzazione del vicinato comune. È quindi necessario continuare a sviluppare con il Cairo un dialogo sulle numerose tematiche di comune interesse, ma ciò non significa in alcun modo sottovalutare la Pag. 274gravità dell'omicidio di Giulio, tanto meno pregiudicare la ricerca della verità, che resta per noi la priorità assoluta. Le relazioni con l'Egitto risentono fortemente della tragica irrisolta vicenda Regeni. La qualità e l'intensità delle relazioni con il Cairo non sono paragonabili a quelle del passato e rimangono nettamente al di sotto delle potenzialità. Le visite istituzionali e politiche, inclusi i vertici bilaterali, un tempo costanti e assidue, sono fortemente limitate. La cooperazione economica con quello che prima era tra i nostri primissimi partner commerciali nella regione è altrettanto depotenziata, come dimostra, nonostante le frequenti pressioni da parte egiziana per una sua riattivazione, il perdurante congelamento delle attività del Business Council bilaterale sospeso dal 2017».(492)
  In termini di azioni politiche, è quindi un fatto che vi sia stato un raffreddamento delle relazioni con l'Egitto che ha certamente mutato il dialogo tra i due Paesi e limitato le dimensioni complessive dell'interscambio commerciale, sulla cui dinamica hanno peraltro influito anche altri fattori (vanno considerate infatti le perduranti minacce di attentati terroristici e le più recenti conseguenze della pandemia) ed eccezion fatta per i risultati dei grandi gruppi industriali – come l'ENI che del resto gioca un ruolo da protagonista nell'economia egiziana, a partire dall'approvvigionamento energetico garantito dal giacimento di gas naturale di Zohr, e come le grandi commesse Fincantieri/Leonardo –, nondimeno restano fatti politici acclarati, al netto della sospensione ancora in essere del Business Council bilaterale: il ristabilimento di reciproche missioni diplomatiche mediante l'invio di ambasciatori accreditati e graditi (a settembre 2017 l'ambasciatore italiano Giampaolo Cantini presenta le «lettere credenziali» come capo della missione diplomatica al Cairo il 2 ottobre 2017; gli è subentrato Michele Quaroni nell'autunno 2021), il ripristino di visite governative – in particolar modo nel 2018 a parte la visita in Egitto del sottosegretario agli Affari Esteri Vincenzo Amendola in occasione del 75° anniversario della battaglia di El Alamein ed il suo incontro con il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry nell'ottobre 2017 e successivamente il più rilevante incontro al Cairo tra il ministro degli Interni Marco Minniti ed il presidente Al-Sisi del dicembre 2017 – e la ripresa a pieno regime dell'export di sistemi d'arma culminato nella vendita all'Egitto di due fregate FREMM di Fincantieri, autorizzata definitivamente dall'UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, presso il ministero degli Esteri) con licenza all'esportazione nell'agosto del 2020.

9.2 Il richiamo dal Cairo dell'ambasciatore Massari l'8 aprile 2016 ed il periodo di assenza dell'ambasciatore d'Italia al Cairo

  L'allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che aveva già mostrato risolutezza nelle fasi del ritrovamento del corpo del giovane ricercatore, ottenendo un colloquio con il suo omologo egiziano e poi concordando con la ministra Guidi l'interruzione della missione imprenditoriale nell'immediatezza degli accadimenti, concertò con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi di rivolgere alle autorità egiziane la più ferma richiesta di accertamento della verità sull'assassinio, anche attraverso il riconoscimento di un ruolo italiano nelle indagini tramite Pag. 275un pool investigativo congiunto. Il 4 febbraio 2016 il Presidente del Consiglio Renzi ed il presidente Al-Sisi condivisero telefonicamente tale esigenza e vi fu l'assenso dell'Egitto per l'invio di investigatori italiani a Il Cairo. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, attraverso il Segretario generale della Farnesina Michele Valensise, aveva intanto convocato con urgenza l'ambasciatore della Repubblica araba d'Egitto a Roma, Amr Mostafa Kamal Helmy, per esprimere lo sconcerto del Governo riguardo alla morte del ricercatore. L'Italia, nel chiedere piena chiarezza sul caso, rinnovava la richiesta alle autorità egiziane di avviare immediatamente un'indagine congiunta con la partecipazione di esperti italiani e la restituzione della salma alla famiglia in Italia. Riferirà il ministro Gentiloni in audizione: «le rogatorie e le riunioni tra gli investigatori dei due Paesi si susseguirono fino all'incontro tra le due procure svoltosi a Roma il 7 aprile. Anche il vertice tra procure non produsse, tuttavia, i risultati auspicati; anzi, non erano mancati, nelle settimane immediatamente precedenti, anche piuttosto evidenti casi di depistaggio. Tale assenza di risultati significativi mi portò, all'indomani di questo vertice romano, quello del 7 aprile 2016, a disporre il richiamo a Roma per consultazioni dell'ambasciatore Massari, ritenendo necessaria una valutazione urgente delle iniziative più opportune per rilanciare l'impegno volto ad accertare la verità sul barbaro omicidio di Regeni, come recitava il comunicato stampa della Farnesina dell'8 aprile 2016, quindi all'indomani di questo vertice tra le procure. Fu ovviamente una decisione concordata con il Presidente del Consiglio Renzi e che teneva conto del rifiuto di consegnare gli atti richiesti dalle rogatorie della Procura di Roma. Nel mese di aprile, la Procura di Roma trasmise al Cairo un'ulteriore richiesta di assistenza giudiziaria internazionale e queste richieste proseguirono, a un certo punto anche producendo qualche risultato. Nel frattempo, il 10 maggio del 2016, il Consiglio dei ministri nominò, su mia proposta, il diplomatico Giampaolo Cantini nuovo ambasciatore d'Italia in Egitto. Contestualmente il Consiglio dei ministri, sempre su proposta del Ministro degli esteri, nominò Maurizio Massari nuovo Rappresentante permanente italiano presso l'Unione europea a Bruxelles, in sostituzione di Carlo Calenda, diventato lo stesso giorno Ministro dello sviluppo economico».(493)
  Ancorché designato il 10 maggio del 2016, Cantini assumerà le funzioni di ambasciatore in Egitto solo il 14 settembre 2017, un anno e quattro mesi dopo la nomina. Nel periodo di assenza dell'ambasciatore d'Italia al Cairo, durante il quale la missione diplomatica fu retta dall'incaricato d'affari Stefano Catani con grande dedizione in un periodo complesso, l'attenzione si concentrò sulle attività investigative nel contesto dell'assistenza giudiziaria internazionale. Ricostruirà il Catani audito da questa Commissione: «la situazione nel Paese come dicevo era piuttosto complessa, un quadro di sicurezza alquanto precario con attentati che si susseguivano con una cadenza quasi settimanale anche in zone centrali e semicentrali del Cairo. L'ambasciata si trova in pieno centro, a poche centinaia di metri da piazza Tahrir [...]. Tra gli attentati terroristici più gravi, ricordo quello dell'11 dicembre di quell'anno alla cattedrale copto-ortodossa del Cairo e quello della domenica delle Palme del 2017 alle chiese copte di San Giorgio a Tanta nel delta Pag. 276del Nilo e di San Marco ad Alessandria che causarono decine di morti e centinaia di feriti. A seguito di quest'ultimo attentato fu anche proclamato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, per la prima volta dall'estate del 2013. [...] Come si ricorderà, inoltre, nel luglio dell'anno precedente si era verificato l'attentato dinamitardo al nostro consolato al Cairo che causò ingenti danni all'edificio e la morte di un cittadino egiziano. Il clima era molto teso. Ricordo che ricevemmo pochi giorni dopo la partenza dell'ambasciatore una lettera anonima che ci annunciava l'intenzione di effettuare un attentato terroristico contro l'ambasciata. Visto quanto accaduto solo pochi mesi prima al nostro consolato la cosa fu presa molto seriamente».(494)
  In questo difficile contesto il governo egiziano era impegnato nella negoziazione di un prestito da 12 miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale, che poi ottenne, ma che comportò forti tagli alla spesa pubblica, in particolare ai sussidi – quello sui carburanti, molto importante per gran parte della popolazione, fu drasticamente ridotto – e l'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto che precedentemente non c'era.(495) In questo quadro si avviò il servizio dell'incaricato Stefano Catani, da pochi giorni giunto al Cairo, che ebbe modo di affermare in audizione: «la decisione del Governo era stata di inviare all'Egitto un messaggio politico chiaro e netto di insoddisfazione, abbassando il livello di presenza diplomatica italiana al Cairo. Come è stato ricordato nelle precedenti audizioni, in quei 17 mesi di assenza dell'Ambasciatore d'Italia, l'attenzione si concentrò sulle attività investigative, nel contesto dell'assistenza giudiziaria internazionale con incontri tra organi inquirenti dei due Paesi e quattro richieste di assistenza giudiziaria internazionale vennero avanzate dalla Procura della Repubblica di Roma [...]. Per quanto riguarda più specificamente l'azione dell'ambasciata in relazione al caso di Giulio Regeni effettuai in quei mesi i passi che mi fu chiesto di svolgere, al livello che mi era consentito in quanto incaricato d'affari ad interim, quindi non politico ma di funzionari, a sostegno dell'azione e delle richieste della nostra magistratura. Al contempo, ci tengo a sottolinearlo, in ogni sede e in ogni occasione, con i miei interlocutori al Ministero degli esteri egiziano e a margine di ogni incontro, riunione o evento partecipassi, reiteravo la richiesta di verità e giustizia che veniva all'unisono da Governo, Parlamento e opinione pubblica italiana oltre che dalla famiglia di Giulio Regeni. Quotidianamente, quindi, in maniera capillare ribadivo alle personalità egiziane che avevo occasione di incontrare agli eventi cui partecipavo, esponenti del mondo politico, diplomatico, culturale o Pag. 277economico, il nostro messaggio, semplice, ma al contempo forte e senza sfumature: “Chiediamo la verità e quindi l'avvio di una seria cooperazione giudiziaria. Attenzione, dicevo ai miei interlocutori, il tempo non affievolirà la forza della nostra richiesta”. [...] In quei mesi ho sempre tenuto un profilo basso. Non ho mai dimenticato di essere un semplice incaricato d'affari ad interim. Il richiamo dell'ambasciatore è una decisione forte che ha una valenza anche simbolica molto marcata nelle relazioni tra Stati, punta anche a creare un'assenza. Tale assenza doveva essere evidente anche nella capitale egiziana».
  L'attività dell'incaricato d'affari, d'intesa con il ministero degli Esteri, ebbe modo di rivolgersi anche alla tutela dei diritti umani in modo coordinato con l'Unione europea a sostegno di persone accusate di reati d'opinione e difensori dei diritti umani come Ahmed Abdallah, presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECFR), l'ONG che si occupava di sparizioni forzate in Egitto e che forniva consulenza legale alla famiglia di Giulio Regeni.

9.3 Il ritorno dell'ambasciatore al Cairo (14 settembre 2017)

  La decisione di richiamare e trattenere per consultazioni l'ambasciatore italiano al Cairo perdurò per 17 mesi. Il 14 agosto 2017, al termine di una consultazione interna al Governo presieduto da Paolo Gentiloni, il ministro degli Esteri Angelino Alfano informava della decisione di inviare al Cairo l'ambasciatore Cantini con un comunicato-stampa della Farnesina che riportava le motivazioni e parte dei contenuti della successiva lettera d'incarico al diplomatico: «Alla luce degli sviluppi registrati nel settore della cooperazione tra gli organi inquirenti di Italia ed Egitto sull'omicidio di Giulio Regeni, di cui fa stato il comunicato congiunto emesso oggi dalla Procura della Repubblica di Roma e dalla Procura Generale de Il Cairo, il Governo italiano ha deciso di inviare l'Ambasciatore Giampaolo Cantini nella capitale egiziana, dopo che – l'8 aprile 2016 – l'allora Capo Missione Maurizio Massari venne richiamato a Roma per consultazioni. L'impegno del Governo italiano – afferma il ministro Alfano – rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando a Il Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità. In qualità di rappresentante della Repubblica italiana, l'Ambasciatore Cantini curerà gli interessi nazionali in Egitto e la nostra importante comunità in quel Paese. La nostra decisione è motivata soprattutto dal convincimento che l'ambasciatore Cantini contribuirà, tramite rapporti al più alto livello con le competenti autorità egiziane, al rafforzamento della collaborazione giudiziaria e all'intensificazione di ogni attività utile a progressi nelle attività investigative, perché nessuno spazio sia lasciato in ombra. Il fatto che l'Egitto sia un interlocutore ineludibile su questioni di primaria importanza per l'Italia, come la stabilizzazione della Libia e la lotta al terrorismo, non significa che l'Italia intenda voltare pagina nella ricerca della verità sull'omicidio di Giulio Regeni. Al contrario, consegnerò all'ambasciatore Cantini una lettera di missione che conterrà tante raccomandazioni per seguire passo l'evolversi delle indagini sul caso che ci sta a cuore. In questo senso, le iniziative di cui il nostro ambasciatore si farà carico, toccheranno tre Pag. 278aspetti: politico-diplomatico; contro l'oblio; a sostegno di azioni umanitarie. In ambito politico-diplomatico rientra la decisione di inviare a Il Cairo un esperto italiano incaricato della cooperazione giudiziaria sulla vicenda Regeni. Giulio Regeni non verrà dimenticato: contro l'oblio gli verrà intitolata l'Università italo-egiziana, nonché l'auditorium dell'Istituto Italiano di Cultura a Il Cairo; verranno organizzate cerimonie commemorative nel giorno della sua scomparsa in tutte le Sedi istituzionali italiane in Egitto. Ci stiamo inoltre attivando affinché ai Giochi del Mediterraneo di Spagna del 2018 la memoria di Giulio Regeni sia ricordata dagli atleti partecipanti. Sul piano umanitario, saranno incrementati i progetti di cooperazione allo sviluppo finanziati dall'Italia nel campo della tutela e della promozione dei diritti umani. Queste solo alcune delle iniziative e delle raccomandazioni che scriverò nella lettera di missione all'ambasciatore Cantini, perché sia ribadita la volontà di ricercare la verità sull'omicidio di Giulio Regeni, in uno spirito di cooperazione tra gli organi inquirenti dei due Paesi».
  Il 15 agosto 2017, il giorno successivo all'annuncio del ministro degli Esteri Angelino Alfano del ritorno dell'ambasciatore d'Italia al Cairo, il dibattito pubblico relativo alla vicenda Regeni in Italia e nel mondo viene occupato dal clamore suscitato da un lungo articolo di Declan Walsh(496) pubblicato da «The New York Times». Oltre alla ricostruzione dei fatti accaduti in Egitto che oggi si sono rivelati prossimi al vero, l'articolo suscitò largo interesse per quello che affermava in merito a presunte informazioni in possesso del governo italiano, ricevute dagli Stati Uniti. Nell'articolo «Why Was an Italian Graduate Student Tortured and Murdered in Egypt?», rilanciato il medesimo giorno – non integralmente – in Italia dal quotidiano «la Repubblica» con titolo «Regeni, il NYT: “Ucciso dai servizi egiziani. L'Italia ebbe le prove dagli Usa”. Palazzo Chigi smentisce», si afferma che «nelle settimane dopo la morte di Regeni, gli Stati Uniti ottennero informazioni d'intelligence esplosive dall'Egitto: le prove che la sicurezza egiziana aveva sequestrato, torturato e ucciso Regeni». Informazioni che, scrive ancora il giornalista, «su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca, gli Stati Uniti passarono al governo Renzi: ma per evitare di identificare la fonte, gli americani non condivisero l'informazione originale: non dissero quale agenzia della sicurezza egiziana credevano ci fosse dietro la morte di Regeni». Continua l'articolo: «Non era chiaro chi aveva dato l'ordine di sequestrarlo e, probabilmente, ucciderlo». Scrive ancora il giornalista che quello che gli americani sapevano per certo, e lo dissero agli italiani, era che la leadership egiziana era pienamente consapevole delle circostanze della morte di Regeni. «Non avevamo alcun dubbio – si scrive nell'articolo riportante le affermazioni dei funzionari statunitensi – che questo fosse noto ai livelli più alti» in Egitto. Tuttavia, nell'audizione presso la Commissione del 6 febbraio 2020, il sostituto procuratore Sergio Colaiocco affermerà – chiarendola – che nella vicenda «New York Times» sarebbe insorto un «equivoco». Riferisce Colaiocco: «nell'immediatezza dei fatti un soggetto di origini egiziane fa sapere alla nostra ambasciata a Washington che ha notizie sulla vicenda di Giulio. Pag. 279Questa notizia attraverso la Farnesina arriva a noi e noi disponiamo che l'ufficiale di polizia presente all'ambasciata di Washington avesse un contatto diretto con questa persona. Ovviamente la sede di Washington contatta le autorità locali, non potendo evidentemente fare un'attività all'insaputa delle stesse, e insieme all'FBI ascoltano questo ex generale egiziano, il generale Afifi, il cui nome corrisponde anche ad altri soggetti. Allo stesso nome, per semplificare le indagini, corrispondono più soggetti. Il generale Afifi, che chiede di parlare, riferisce a Washington nelle prime settimane – era il mese di febbraio, mi pare, febbraio, marzo del 2016 – riferisce che una sua fonte egiziana gli avrebbe detto – adesso perdonerete se non ricordo esattamente le parole – che erano stati gli apparati egiziani a sequestrare Giulio. Alla richiesta di maggiori particolari, perché evidentemente così è una notizia del tutto inutilizzabile per un procedimento penale, lui dice che non ritiene di dover fornire ulteriori elementi e che era tutto quello che intendeva riferire. Voi immaginate facilmente che con la rilevanza mediatica che ebbe in quei mesi e che ha tutt'ora questa vicenda molteplici erano le fonti di soggetti rivelatesi poi del tutto inattendibili o fantasiose che hanno riferito di avere circostanze utili. È stata fatta un'attività ancora una volta con grande spendita di energie e di capacità, di Polizia e Carabinieri con noi, di selezione di queste fonti per verificare la congruenza con i dati certi. Questa è una fonte sostanzialmente, un teste de relato di fonte anonima, quindi praticamente il nulla. Così questa vicenda è stata archiviata. Che cosa è successo? Successivamente questa notizia, essendo presente l'FBI all'ascolto, è entrata anche nel circuito americano, degli Stati Uniti ed è tornata come notizia passata dal governo americano al governo italiano, ma in realtà l'attività originaria era stata svolta dalle autorità italiane, dall'ambasciata a Washington. Quindi il presunto scoop di fine agosto 2017 – non a caso il presunto scoop avvenuto quando l'Italia rimanda l'ambasciatore in un momento in cui c'era molta polemica su queste vicende – in realtà è stato tutto un equivoco, perché non è che il Governo italiano non aveva riferito alla procura notizie a sua conoscenza. Era stata la procura ad avere questa notizia attraverso l'ambasciata che comunque è sempre articolazione della Farnesina e quindi del Governo. Erano tutte notizie che a noi erano note che ovviamente non erano andate sulla stampa. Dal corrispondente americano del New York Times si è creato tutto un equivoco che però non aveva nessuna sostanza e nessuna solidità».
  L'8 settembre 2017 il ministro degli Esteri Angelino Alfano firmava e consegnava la «lettera di missione» all'ambasciatore Giampaolo Cantini, sottolineando come la sua presenza al Cairo sarebbe stata, dopo un anno e mezzo di assenza, il primo passo di un'interlocuzione politica orientata alla cooperazione in tutti gli ambiti del partenariato bilaterale. Il diplomatico riceveva indicazioni specifiche relative alla vicenda Regeni. Dagli atti raccolti da questa Commissione non risulta tuttavia l'annunciato invio presso la missione diplomatica della figura di un «esperto italiano incaricato della cooperazione giudiziaria». Così ha riferito alla Commissione l'allora Presidente del Consiglio Gentiloni il 3 settembre 2020: «tra gli obiettivi a lui assegnati nella lettera di missione del ministro degli Esteri Alfano c'è anche quello di contribuire all'impegno delle istituzioni italiane a fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni facilitando, tramite più intensi contatti con le autorità egiziane, il rafforzamento della cooperazione giudiziaria. Cantini iniziò Pag. 280subito una fitta serie di incontri con i rappresentanti delle istituzioni egiziane (tra cui il procuratore generale dell'epoca, Nabil Sadek), con i competenti direttori generali del ministero degli Esteri e, il 28 settembre del 2017, con il ministro degli esteri Shoukry».
  L'ambasciatore Cantini ebbe modo di incontrare durante il suo mandato anche l'ambasciatore del Regno Unito in Egitto per sollecitare risposte alle richieste di cooperazione giudiziaria avanzate dalla Procura della Repubblica di Roma alle autorità britanniche; poi, in appositi incontri o a margine di eventi istituzionali, vide i ministri degli Esteri, della Difesa, della Giustizia, il Primo ministro Ismail, il Procuratore generale, il Presidente del Parlamento, e con tutti costoro reiterò gli auspici e le aspettative delle autorità e del Parlamento italiani per arrivare a sviluppi concreti sul caso.
  Riguardo alla decisione di richiamare a Roma per consultazioni l'ambasciatore Massari prima e ristabilire le relazioni con l'invio dell'ambasciatore Cantini poi, il presidente Gentiloni ha affermato: «si tratta di una misura rilevante che incide fortemente nelle relazioni tra Stati. Occorreva inviare all'Egitto un messaggio politico chiaro e netto abbassando il livello di presenza diplomatica italiana al Cairo. Per 17 mesi le relazioni bilaterali ad alto livello politico furono congelate; per durata si tratta di una misura senza precedenti comparabili. In questo senso, i governi Renzi e Gentiloni si fecero interpreti anche delle forti sensibilità e dello sdegno largamente diffuso in Parlamento e in vastissimi settori della nostra opinione pubblica. Questa decisione non poteva essere permanente. Ne sarebbero stati danneggiati, oltre che i rapporti bilaterali, le stesse, sia pur difficili, possibilità di ottenere risultati di verità sul caso Regeni. Per questo, quando nell'agosto del 2017 i due procuratori pro-tempore di Italia ed Egitto fecero stato in un comunicato congiunto di sviluppi significativi registrati nel settore della cooperazione giudiziaria, in particolare con la consegna di tabulati e verbali da tempo invano richiesti, ritenni, in qualità di Presidente del Consiglio dei ministri e dopo aver consultato il ministro Alfano, che fosse giunto il momento di riportare le relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto a livello di ambasciatore. La stessa decisione venne assunta dalle autorità egiziane, che contestualmente inviarono a Roma il loro nuovo ambasciatore dopo il richiamo per reciprocità del predecessore, avvenuto nel 2016». E ancora, in riferimento all'invio dell'ambasciatore italiano al Cairo: «il ritorno in sede di un ambasciatore non è il ripristino della piena normalità tra rapporti bilaterali. Ferite come queste restano aperte per la famiglia, per parte dell'opinione pubblica, per lo Stato. Certamente, non fu inteso come un ripristino di piena normalità dei rapporti né da me né dal mio Governo, e chiunque rappresenti lo Stato italiano credo abbia ben chiaro che il ripristino della pura normalità dei rapporti bilaterali non può che passare attraverso l'impegno, almeno, alla verità sulla sorte di Giulio Regeni».(497)
  Nell'audizione sulle linee programmatiche del ministro degli Esteri Alfano, tenutasi presso le Commissioni esteri di Camera e Senato convocate in seduta congiunta in data 17 gennaio del 2017, si diede contezza delle prospettive che il governo avrebbe perseguito relativamente alla vicenda Regeni che è possibile riassumere nelle parole dello Pag. 281stesso ministro a questa Commissione: «nella fase dell'assunzione delle mie funzioni al ministero degli Esteri, erano essenzialmente tre i filoni operativi da seguire: l'accesso al fascicolo di indagine da parte della famiglia Regeni e, per suo conto e interesse, da parte del loro avvocato; l'ottenimento dei filmati della metropolitana del Cairo dove Giulio Regeni era entrato la sera del 25 gennaio del 2016 e che gli inquirenti chiesero fin da subito, nel febbraio del 2016, perché pensavano di ricavarne elementi utili; l'attivazione di una forma efficiente di collaborazione delle autorità giudiziarie e accademiche britanniche. Per garantire efficacia alla nostra azione su questi tre profili, la strategia seguita dal Ministero degli esteri fu binaria. Da un lato la strategia è consistita nello svolgere ogni azione diplomatica di pressione sulle autorità egiziane utile a fare cogliere in modo immanente e mai calante la nostra attenzione sul caso [...]. Vi è stata poi un'azione diplomatica di sostegno e supporto all'azione giudiziaria italiana e alla cooperazione giudiziaria con l'autorità giudiziaria egiziana. Tale azione si è sostanziata in un costante lavoro di coordinamento delle nostre iniziative con gli uffici giudiziari della capitale affinché il messaggio inviato alla Procura generale del Cairo fosse sempre accompagnato da un analogo messaggio diplomatico attraverso i canali e gli strumenti della Farnesina».(498)
  Già prima dell'invio dell'ambasciatore Cantini al Cairo, almeno dal primo incontro del 6 marzo del 2017 a Bruxelles, il ministro Alfano ebbe più volte modo di dialogare con il suo omologo egiziano esprimendo l'indignazione dell'Italia, l'esigenza di verità e giustizia per Giulio Regeni e specificamente affrontando i temi dell'andamento e di una richiesta di una più soddisfacente cooperazione giudiziaria. Il 25 luglio si tenne a Bruxelles il Consiglio di associazione tra l'Unione europea e l'Egitto come seguito politico del succitato incontro del 6 marzo. Ricorda Angelino Alfano: «Il documento che rappresentava la posizione dell'Unione europea in occasione della settima sessione del Consiglio di associazione UE-Egitto conteneva un paragrafo in cui “l'Unione europea chiede alle autorità egiziane di fare luce sulle circostanze della morte di Giulio Regeni”. Nello stesso paragrafo l'Unione europea manifestava la propria preoccupazione riguardo alla restrizione degli spazi di libertà in Egitto per la società civile, per la pressione cui vengono sottoposte le organizzazioni che si occupano dei diritti umani e per i metodi utilizzati, che includono arresti, sorveglianza elettronica e tante altre modalità. Fu un risultato per noi politicamente significativo perché esponeva tutta l'Unione, ufficialmente e in un documento scritto, in una richiesta formale all'Egitto, che a quel punto non poteva ignorare come il caso Regeni fosse un caso europeo».
  Nella percezione dell'allora ministro Alfano relativamente agli eventi ed in special modo all'andamento della cooperazione giudiziaria, gli incontri tra le procure svoltisi dopo il richiamo dell'ambasciatore italiano «si conclusero con un segno nell'insieme positivo, anche se non esaustivo». «A maggio – sostiene Alfano – i risultati non furono soddisfacenti, ma l'incontro di agosto apparve particolarmente significativo in quanto vennero consegnati dalla Procura egiziana dei Pag. 282tabulati e dei verbali considerati concretamente utili e importanti per la ricostruzione dei fatti e per l'accertamento della verità».
  Appare chiaro pertanto che il comunicato congiunto delle due procure del 14 agosto 2017, che faceva stato del soddisfacente andamento della collaborazione giudiziaria in quell'occasione, è stato considerato un elemento sufficientemente significativo per fondare la concreta decisione – nella medesima giornata – di inviare nuovamente al Cairo l'ambasciatore d'Italia. Riferisce a riguardo il già ministro degli Esteri Alfano: «il comunicato recitava che gli ultimi sviluppi segnano un ulteriore passo in avanti nella collaborazione, conteneva una parte dal valore quasi programmatico con un tenore letterale di particolare pregnanza. Lo cito testualmente: “Entrambe le parti hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Giulio Regeni”. Il comunicato aggiungeva che “un nuovo incontro tra i due uffici si dovrebbe svolgere a settembre”. Fin dall'inizio della nostra impostazione avevamo previsto e immaginato la necessità che si arrivasse a un segnale concreto, preciso e davvero incoraggiante di collaborazione da parte delle autorità egiziane, prima di rinviare l'ambasciatore. Non ci saremmo accontentati delle parole e così facemmo, perché demmo questa interpretazione a quella che era non una generica dichiarazione di buona volontà delle autorità egiziane, ma un comunicato congiunto della Procura generale del Cairo e della Procura della Repubblica di Roma».
  Sebbene nei propositi del Governo sembra non vi fosse l'intenzione di significare il ripristino delle piene relazioni con l'Egitto al suo stato precedente, stante la persistente posizione di insoddisfazione, il ritorno al Cairo dell'ambasciatore appare oggettivamente alla stregua di una scelta diplomaticamente «premiale» e non più «sanzionatoria». Continua infatti il ministro indirizzandosi a questa Commissione: «si trattava di scegliere come coltivare ciò che ormai era più di un germoglio di una rinnovata collaborazione. L'inevitabile domanda era: “Coltiviamo di più e meglio il buon esito della collaborazione ripristinando la fisiologica rappresentanza diplomatica oppure proseguiamo su una linea di sostanziale rottura?” A questa domanda non poteva che seguirne un'altra: “Se dopo questi risultati non risolutivi e definitivi, ma soddisfacenti, secondo i nostri inquirenti, noi proseguissimo sulla linea della rottura, siamo proprio certi che la reazione dell'Egitto non sarà quella di raffreddare e rallentare la cooperazione giudiziaria?” Se la logica del ritiro fu essenzialmente – lo dico in termini tecnici – diplomaticamente sanzionatoria per la frustrazione di una collaborazione insufficiente, come rispondere a un rilancio della cooperazione giudiziaria che comincia a dare risultati? Mantenendo la sanzione o, simmetricamente rispetto alla scelta precedente, operando una scelta diplomaticamente premiale? Optammo per questa seconda ipotesi perché la ritenemmo più vantaggiosa ai fini della collaborazione dell'Egitto nell'accertamento della verità sulla tragica morte di Giulio Regeni e perché considerammo svantaggioso per la cooperazione giudiziaria mantenere quella frattura mentre le cose sembravano andare meglio. Si trattò di una scelta eminentemente politica, altamente politica. [...] l'invio dell'ambasciatore non ha rappresentato né poteva rappresentare, lo ripeto, il ripristino delle relazioni precedenti». Pag. 283
  In ordine alle azioni svolte dall'ambasciatore al Cairo con stretto riferimento alla vicenda in oggetto, certamente va fatta menzione di due risultati ottenuti in quel periodo anche grazie all'intenso lavoro della diplomazia italiana: l'acquisizione del fascicolo istruttorio da parte della famiglia Regeni e l'acquisizione dei video della metropolitana, rivelatisi tuttavia inutili all'inchiesta come si è detto. Tra il 14 e il 15 dicembre del 2017 il fascicolo viene consegnato ai legali egiziani a cui era stata riconosciuta la costituzione di parte civile e poi ai legali della famiglia, dopo meno di tre mesi dall'arrivo al Cairo dell'ambasciatore. Il 29 maggio 2018, in un'intervista al TG1, l'ambasciatore Cantini, a margine della missione al Cairo dei magistrati della Procura della Repubblica di Roma, annuncia che «le immagini recuperate sono state consegnate alla Procura di Roma e ai nostri organi investigativi e adesso dovranno essere analizzate».

9.4 Visite e rapporti politici bilaterali dopo il ripristino delle normali relazioni diplomatiche

  Il 18 luglio 2018 il ministro dell'Interno e Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini incontra al Cairo il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi e il ministro dell'Interno Mahmoud Tawfik. Oltre alla richiesta di fare piena luce sull'omicidio del ricercatore italiano, l'incontro ha riguardato, secondo il Viminale, «il rafforzamento delle iniziative in tema di sicurezza, contrasto all'immigrazione clandestina e al terrorismo». Salvini nell'occasione incontra anche Abbas Kamel, direttore del General Intelligence Service.
  A pochi giorni di distanza, il 5 agosto 2018, è il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi ad incontrare Abdel Fattah Al-Sisi ed il ministro degli Esteri Sameh Shoukry al Cairo. Nell'occasione l'Egitto assicura la «forte volontà» di fare luce sulla morte di Giulio Regeni; ad ogni modo nel dialogo di quei giorni restano centrali i temi della Libia. L'Egitto inoltre, attraverso il suo ministro Shoukry, sollecita la riattivazione del Business Council. Quella di Moavero Milanesi è la prima visita di un ministro degli Esteri italiano in Egitto dal 2015.
  Dopo i primi due ministri italiani, il 29 agosto 2018, a meno di un mese dalla visita del ministro degli Esteri, è Luigi di Maio ad incontrare il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, nella sua qualità di Vicepresidente del Consiglio e Ministro dello Sviluppo economico. Negli incontri si è auspicata un'importante svolta entro l'anno circa le indagini sul caso Regeni. In questa occasione il Presidente Al-Sisi pronuncia la frase: «Giulio Regeni è uno di noi». Riferirà Luigi Di Maio a questa Commissione: «il caso Regeni è stato posto con fermezza in cima all'agenda dei colloqui con i numerosi interlocutori incontrati in quei giorni. Nella mia interlocuzione con le massime cariche istituzionali egiziane, tra cui il Primo Ministro e vari Ministri, ho reiterato con determinazione le forti attese del Governo e dell'opinione pubblica italiana di giungere al più presto a una svolta per chiarire responsabilità e circostanze dell'atroce omicidio di Giulio. Il mio messaggio a tutti gli interlocutori si è concentrato sull'impellente esigenza di garantire una piena ed effettiva cooperazione nelle indagini. Ho ribadito ovviamente le medesime aspettative nel corso del colloquio che in quell'occasione ho avuto con il Presidente della Repubblica Al-Sisi. Vi ricordo [...] l'intensa Pag. 284attività del Presidente del Consiglio dei ministri fin dal suo insediamento nel giugno 2018 per sollecitare instancabilmente una più completa e tempestiva collaborazione con l'Italia da parte delle autorità egiziane al fine di far progredire le indagini. A questo scenario di iniziale e incoraggiante collaborazione ha fatto seguito una fase diversa, a cavallo tra il 2018 e il 2019, contrassegnata da eventi ampiamente descritti nelle audizioni precedenti: l'ultimo incontro di persona tra gli inquirenti italiani ed egiziani del 28 novembre 2018 al Cairo, poi l'iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura della Repubblica di Roma di cinque agenti dei servizi di sicurezza interna egiziana il 4 dicembre successivo e la mancanza di riscontri alla rogatoria del 30 aprile 2019. In conclusione, tengo a ribadire che la volontà di quel Governo, come di questo, è la ricerca della verità per Giulio. Tutte le missioni, anche nel 2018, hanno avuto e hanno come obiettivo quello di sollecitare le istituzioni in tal senso, presupposto fondamentale per la ripresa di ordinarie relazioni tra i due Paesi».(499)
  Della necessità di una maggiore collaborazione sulla vicenda Regeni si è avuto modo di parlare anche in contesti multilaterali. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a margine dei lavori dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 26 settembre 2018, ha avuto un incontro bilaterale con il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi nel quale «ho chiesto – ha spiegato Conte – che ci siano verità e giustizia per Giulio Regeni, che i colpevoli siano portati davanti a un tribunale. Ho avuto l'assicurazione, da parte di Al-Sisi, che farà di tutto e lavorerà lui stesso incessantemente per questo risultato». Sempre a New York, anche il ministro degli Esteri Moavero Milanesi ha modo di parlare, dopo l'incontro avuto un mese prima al Cairo, con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry. Quest'ultimo dopo le consuete rassicurazioni chiede pazienza all'Italia.
  L'incontro che forse più di tutti sembra essere stato interpretato dall'Egitto come risolutivo di ogni tema di attrito con l'Italia potrebbe essere quello che si svolge tra il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed il Presidente della Repubblica araba d'Egitto nell'ambito della Conferenza sulla Libia di Palermo del 13 novembre 2018, nel quale l'Egitto afferma il suo ruolo «alla base della stabilità e della sicurezza del Medio Oriente». Nell'occasione si affronta naturalmente anche il tema dell'inchiesta giudiziaria. Il presidente egiziano Al-Sisi si felicita «per l'incontro con il primo ministro italiano mettendo l'accento sugli sviluppi positivi che conoscono di recente le relazioni fra i due Paesi e l'interesse dell'Egitto di svilupparli in tutti i campi». Giuseppe Conte esprime l'interesse dell'Italia nel rafforzare la cooperazione con l'Egitto il quale «sta avendo sviluppi positivi sul piano economico, in particolare nei grandi progetti che contribuiscono al progresso economico e sociale». Il sistema mediatico e l'opinione pubblica egiziana guardano a questo evento come la chiusura del caso Regeni e di qualsiasi dissidio con l'Italia.
  Come già affrontato, a distanza di quindici giorni dalla Conferenza di Palermo, il 27 e 28 novembre 2018, in occasione del decimo incontro tra le procure, il magistrato Sergio Colaiocco al Cairo annuncia, per conto della Procura della Repubblica di Roma, di voler iscrivere cinque Pag. 285soggetti presenti nelle informative di ROS e SCO nel «registro degli indagati». L'Egitto di converso ritiene di «non poter indirizzare univocamente le indagini su alcuni soggetti della National Security». La lista dei sospettati era stata già consegnata dai magistrati italiani a quelli egiziani il 21 dicembre 2017. Alla luce della ritrosia della procura egiziana di procedere contro i soggetti sospettati della National Security, presenti nella lista condivisa dalla procura italiana ed oggetto delle indagini degli inquirenti italiani, i magistrati italiani decidono di procedere in autonomia ed il giorno seguente, il 29 novembre 2018, il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico, annuncia ufficialmente la sospensione dei rapporti con il Parlamento egiziano, a seguito di un orientamento unanime manifestatosi in seno alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari.(500) Precedentemente (16-17 settembre 2018), il Presidente della Camera Roberto Fico si era recato al Cairo per incontrare il presidente della Camera dei Rappresentanti, Ali Abdel Aal Sayyed Ahmed, e il presidente della Repubblica araba d'Egitto, Abdel Fattah Al-Sisi, esclusivamente in relazione all'istanza di sollecitare verità e giustizia per Giulio Regeni. Nella circostanza, aveva ricordato il sequestro, la tortura perpetrata da «cittadini non comuni», l'uccisione del connazionale Regeni ed espresso la difficoltà a continuare con rapporti sereni tra i due parlamenti senza sviluppi concreti, dichiarando: «Se non riusciamo a fare passi avanti seri e sostanziali in un processo che porti a una verità definitiva per prendere gli uccisori di Giulio Regeni, ma anche tutto il sistema che si muoveva dietro gli esecutori materiali, i rapporti saranno sempre complicati, tesi, poco sereni». Concludeva il presidente Fico: «Ho detto al presidente Al-Sisi che siamo ad un punto di stallo».
  Il 30 novembre 2018 il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi convoca formalmente alla Farnesina l'ambasciatore della Repubblica araba d'Egitto in Italia, Hisham Badr, e la Farnesina rende noto(501) che: «il ministro Moavero ha sottolineato come gli esiti della riunione svoltasi nei giorni scorsi a il Cairo tra magistrati italiani ed egiziani abbiano determinato una forte inquietudine in Italia. Preso atto delle assicurazioni da parte dell'ambasciatore egiziano circa la volontà di proseguire la cooperazione giudiziaria tra le due Procure, il ministro Moavero ha espresso l'esigenza da parte italiana di vedere concreti sviluppi investigativi». Il ministro Moavero ha respinto le rimostranze mosse dall'Egitto al presidente della Camera in merito alla sospensione unilaterale dei rapporti parlamentari. L'ambasciatore Badr nell'occasione Pag. 286 manifesta la volontà dell'Egitto di proseguire con la cooperazione giudiziaria tra le procure.(502)
  Sul finire di quell'anno – dopo che il 4 dicembre la Procura della Repubblica di Roma ha iscritto cinque soggetti egiziani nel «registro degli indagati», e che da fonti stampa (MENA –Middle East News Agency) si apprende che la procura egiziana respinge la decisione della procura italiana, il 20 dicembre 2018, nella riunione del Consiglio di associazione UE-Egitto, su pressione dell'Italia si inserisce nel documento finale l'invito formale alle autorità egiziane a chiarire le circostanze della morte di Giulio Regeni, si chiede di identificare e perseguire senza indugi i responsabili dell'uccisione di Regeni e del cittadino francese Éric Lang, cooperando pienamente con le autorità giudiziarie degli Stati membri interessati.
  Frattanto il 14 gennaio 2019 nasce al Cairo l'Eastern Mediterranean Gas Forum (EMGF). Il gruppo di lavoro rappresenta un veicolo di coordinamento delle politiche energetiche nel Mediterraneo orientale per Egitto, Israele, Cipro, Italia, Grecia, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Alessandra Todde, sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, vi rappresenta l'Italia.(503) Pochi giorni dopo invece – febbraio 2019 – sarà il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli ad incontrare a Roma la ministra degli Investimenti e della Cooperazione internazionale egiziana Sahar Nasr con l'intento di migliorare i rapporti economici e potenziare la collaborazione bilaterale in tema di infrastrutture ed economia marittima, con il fattivo coinvolgimento delle imprese italiane. Si affrontano i dossier dell'alta velocità dal Mar Mediterraneo al Mar Rosso e della linea 5 della metropolitana del Cairo, progetti che vedono candidati anche importanti gruppi nazionali. Toninelli ricorda come tali sviluppi debbano passare da un imprescindibile sforzo di ricerca della verità e della giustizia sul caso Regeni, rispetto al quale l'Italia si aspetta piena collaborazione dalle autorità egiziane.(504) Pag. 287
  Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte incontrerà ancora una volta il presidente Al-Sisi a margine del vertice UE-Lega Araba che si svolge in Egitto a Sharm el Sheikh il 25 febbraio 2019. Mentre il presidente Conte ribadisce l'attenzione italiana al tema della vicenda di Giulio Regeni («ferita ancora aperta») e la volontà di ottenere giustizia, il presidente Al-Sisi in conferenza stampa, separatamente e successivamente rispetto all'incontro bilaterale Italia-Egitto, fa stato della necessità per l'Europa di comprendere le differenti sensibilità su questioni quali quella dei diritti umani. Circa un mese dopo, alla quarantesima sessione del Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite si fa menzione esplicita, nell'intervento dell'UE, della necessità di avere giustizia per Giulio Regeni. Il 27 aprile 2019 il presidente Giuseppe Conte ha nuovamente occasione di affrontare il tema a Pechino incontrando il presidente Abdel Fattah Al-Sisi a margine del «Belt and Road Forum for International Cooperation». Dopo pochi giorni, il 30 aprile 2019, viene inviata la quarta rogatoria della procura italiana indirizzata alle autorità egiziane, dopo la testimonianza raccolta a Nairobi nella quale la fonte riferisce circa il racconto di funzionario dell'intelligence egiziana che avrebbe preso parte al sequestro del giovane ricercatore italiano. Mentre il 30 maggio successivo l'ambasciatore Cantini incontra al Cairo il Procuratore generale Nabil Sadek per sollecitare un rapido riscontro alla richiesta di assistenza giudiziaria del 30 aprile 2019, l'atteggiamento pubblico del governo egiziano resta immutato nel sostanziale immobilismo e viene rappresentato chiaramente dal ministro del Lavoro egiziano Mohamed Saafan alla 108ma sessione della Conferenza internazionale del lavoro – in corso a Ginevra il 17 giugno 2019 – il quale dichiara che l'assassinio di Regeni è un caso di criminalità comune. Questo è quanto emerge dal sito Al Bawaba (sito di notizie e media con sede ad Amman, in Giordania, che dal 2001 pubblica il Rapporto Mena su affari ed economia nel mondo arabo) che sintetizza le dichiarazioni fatte dal ministro. Saafan ha sottolineato che «si tratta di un omicidio ordinario che sarebbe potuto accadere in qualsiasi Stato, come gli omicidi di egiziani in Italia o quelli di qualsiasi altra persona di qualsiasi altra nazionalità».
  Il presidente Al-Sisi e il presidente Conte si incontreranno successivamente a margine del G7 in corso a Biarritz, in Francia il 25 agosto, ed ancora in quella occasione il presidente egiziano ha assicurato al premier italiano «l'impegno per scoprire le circostanze del caso e arrivare ai criminali e consegnarli alla giustizia». L'allora Presidente del Consiglio ha ribadito invece «la determinazione del governo italiano, interprete dell'opinione pubblica, a chiedere effettivi risultati dalle indagini». Dopo qualche giorno, il 23 settembre 2019 a margine dell'Assemblea dell'ONU a New York il presidente Giuseppe Conte incontra nuovamente il presidente Al-Sisi: oltre al confronto sul caso Regeni, recante le consuete manifestazioni formali di impegno egiziane, si affrontano questioni regionali ed internazionali, tra cui la situazione in Libia e Siria, il conflitto arabo-israeliano, la lotta al terrorismo e all'immigrazione irregolare. Il presidente Conte esprime l'intenzione dell'Italia di continuare a rafforzare le relazioni bilaterali e di attivare Pag. 288quadri di cooperazione congiunta a vari livelli, in particolare a livello economico e commerciale. Nell'occasione si afferma la determinazione dell'Italia a continuare a coordinarsi e consultarsi con l'Egitto sugli sviluppi regionali e sui mezzi per risolvere le crisi in Medio Oriente, alla luce degli sforzi profusi dal Cairo nella lotta al terrorismo e nel miglioramento della sicurezza e della stabilità nella regione.
  Ad ottobre, il giorno 16, la diplomazia italiana è ancora a lavoro nel tentativo di sbloccare la cooperazione giudiziaria ed il Segretario generale del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, ambasciatrice Elisabetta Belloni, incontra il suo omologo al Cairo reiterando fermamente la richiesta di riprendere la collaborazione fra le procure, di riscontrare le rogatorie e di restituire gli effetti personali di Giulio Regeni. Tale sollecitazione verrà anche posta in essere dall'ambasciatore Cantini, il quale il 12 dicembre 2019 incontra il nuovo Procuratore generale, Hamada al Sawi, e chiede un riscontro alla richiesta della Procura della Repubblica di Roma di poter disporre di un indirizzo dove effettuare le notifiche di atti ai cinque ufficiali della National Security egiziana indicati nella rogatoria del 30 aprile del 2019 e già iscritti nel registro degli indagati dall'autorità giudiziaria italiana.
  Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che aveva incontrato il 5 dicembre il ministro degli Esteri Sameh Shoukry a Roma in occasione degli incontri «MED Dialogues 2019», l'8 gennaio 2020 è al Cairo per una riunione con i suoi omologhi di Egitto, Francia, Grecia e Cipro per discutere della Libia. Tale tema, insieme al «caso Regeni», sarà principalmente oggetto del dialogo tra il presidente Conte e Al-Sisi nel vertice del 14 gennaio 2020 svoltosi al Cairo in preparazione della Conferenza di Berlino del 19 gennaio successivo. Al Cairo, il presidente Conte afferma che la ripresa dei contatti tra gli investigatori dei due Paesi è un segnale positivo e confida in nuovi contatti tra le procure. Al Sisi assicura altresì massima collaborazione da parte dell'Egitto. Riferirà l'allora Presidente del Consiglio in audizione presso questa Commissione: «in quella occasione ho anche espresso molta costernazione. Ho sollecitato una ripresa della cooperazione. In quel giorno c'erano al Cairo – pressoché contemporaneamente o venivano il giorno dopo, adesso non ricordo esattamente – non i magistrati ma gli ufficiali di polizia giudiziaria, cosa che mi venne rappresentata, ricordo a memoria, come un'occasione per preparare poi un incontro tra magistrati. Quindi non è che non ci sono stati dei segnali che potesse riprendere una più intensa cooperazione. Comunque anche in quell'occasione ho sempre ribadito, come in tutte le altre occasioni, come per l'Italia la vicenda Regeni è un vulnus, una ferita che non può essere rimarginata e che richiede quantomeno l'accertamento della verità giudiziaria, perché tutta la comunità nazionale su questo fronte non potrà mai far finta che non sia successo nulla. [...] L'Egitto nei nostri confronti ha molta attenzione per ragioni geopolitiche molto complesse, per vicende che riguardano uno scenario in cui l'Italia è al centro del Mediterraneo, è la porta dell'Unione europea. Abbiamo una tradizionale capacità in alcuni contesti di riuscire a dialogare dove altri non riescono a dialogare. Quindi questa attenzione da parte dell'Egitto nei confronti dell'Italia ho sempre cercato di volgerla, di utilizzarla per intensificare il dialogo anche in questa direzione, piuttosto che prospettando l'interruzione, cosa che è già avvenuta in Pag. 289passato. Vi dico molto francamente: a parte che con i se e con i ma non è facile ragionare e non è mia abitudine ragionare, ma se io fossi stato un'autorità di governo che entrava in gioco quando in continuità di rapporti non si erano ottenuti dei risultati, forse io stesso avrei pensato di interromperli, cosa che è stata fatta in passato; cioè, trascorrendo del tempo e non vedendo risultati concreti, penso – dico penso perché siamo nel ventaglio delle ipotesi – che anch'io avrei ragionato e invitato il Consiglio dei ministri a valutare come soluzione assolutamente spendibile, probabilmente utile a raggiungere un qualche più significativo risultato concreto, l'interruzione dei rapporti, cosa che è stata fatta. Essendomi però insediato quando in passato c'era già stata questa eventualità ed era stata sperimentata, mi sono convinto, forse sbagliando, che invece l'intensificazione del dialogo, il fatto di cogliere da parte dell'Egitto questo interesse, questa attenzione nei confronti della mia persona, ma non ovviamente come Giuseppe Conte, ma come Presidente del Consiglio e Premier italiano, ho cercato di volgere questa considerazione che mi viene sempre riservata, e continuerò a rivolgerla, per ottenere un risultato che però mi rendo conto, e l'ho detto anche nel corso dei colloqui, stenta ancora a produrre dei risultati concreti. Le potenzialità voi mi dite? Di fronte a molta considerazione che viene rappresentata, per esempio ho detto che non sarà mai possibile una visita di Stato con tutti gli onori che vorrebbero riservare al Premier italiano in Egitto, fino a quando non riusciremo a compiere significativi passi avanti in questa direzione così come non saranno possibili varie altre iniziative [...]. Sul pieno dispiegamento dei rapporti in tutta la loro potenzialità ho sempre rappresentato una qualche remora, esplicitando il fatto che, sino a quando non avremo l'accertamento della verità, non potremmo pretermettere questo aspetto e quindi lasciare che i rapporti si dispieghino nella loro piena potenzialità».(505)
  Anche il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio farà un riferimento chiaro ai contenuti della visita al Cairo del presidente Conte ed al suo incontro con l'omologo egiziano del 14 gennaio 2020: «noi con l'Egitto oggi dialoghiamo principalmente per questioni come quella della Libia e ci dialoghiamo in un momento particolare. Non voglio fare digressioni che non sono proprie dell'oggetto della nostra audizione, ma è chiaro ed evidente che l'Egitto è uno degli attori cruciali in Libia ed è uno degli attori che ha una particolare influenza su alcune aree della Libia. Quindi abbiamo necessariamente un'interlocuzione, tanto è vero che anche la presenza del Presidente del Consiglio al Cairo a gennaio è proprio legata al giro che stava facendo tra Turchia e, se non sbaglio, anche Emirati Arabi per parlare della Libia. Per il resto è chiaro ed evidente che non torneranno le relazioni allo stato precedente all'omicidio Regeni finché non avremo la verità per Giulio Regeni».(506)
  Il 7 giugno 2020 una telefonata del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Presidente Al-Sisi mette al centro i temi della stabilità regionale, con particolare riferimento alla necessità di un rapido «cessate il fuoco» e ritorno al tavolo negoziale in Libia. Pochi giorni prima, il 28 maggio, era stata trattata in Consiglio dei ministri un'informativa del ministro degli Esteri sul tema dell'autorizzazione Pag. 290all'esportazione nella trattativa relativa alla vendita di navi militari FREMM (Fregate Europee Multi Missione) da parte di Fincantieri all'Egitto. Quel Consiglio dei ministri aveva iniziato la discussione per poi aggiornarsi sul tema all'11 giugno successivo. Nella telefonata del 7 giugno Giuseppe Conte affronta l'andamento della collaborazione bilaterale, da quella industriale a quella giudiziaria con particolare riferimento al caso Regeni. Affermerà Giuseppe Conte davanti questa Commissione: «ogni mia interlocuzione con il Presidente Al-Sisi è partita da un semplice quanto inevitabile assunto e su questo sono stato sempre molto chiaro. I nostri rapporti bilaterali non potranno sviluppare appieno il loro potenziale finché non verrà fatta piena luce sul barbaro assassinio di Giulio Regeni e non ne verranno assicurati alla giustizia i colpevoli. A tal fine ho sempre ribadito con forza alle controparti egiziane la necessità come primo passo di ristabilire un'efficace cooperazione giudiziaria tra le due procure, una cooperazione che ha dato segni di una certa ripresa dopo la nomina del nuovo procuratore generale egiziano. In questo senso vanno l'impegno mio personale, del Governo e della diplomazia italiana che molto ha operato in vista di questa riattivazione. Su queste basi mi sono confrontato con il presidente egiziano anche in occasione del nostro più recente colloquio – mi riferisco alla telefonata di domenica 7 giugno scorso – esprimendo ancora una volta in modo inequivoco sin dalle prime battute la forte aspettativa mia e dell'intero Paese per progressi rapidi e concreti nelle indagini. Ho in proposito sottolineato le nostre perduranti attese in riscontro della rogatoria inviata al Cairo ormai credo più di un anno fa, così come il prosieguo dei contatti avviati tecnicamente il 14 gennaio di quest'anno. In occasione di questa conversazione, ho sollecitato il mio interlocutore a favorire un concreto segnale di rassicurazione, di collaborazione più intensa. Il Presidente Al-Sisi per parte sua ha sempre manifestato nei nostri colloqui – e quello di domenica non ha fatto eccezione – piena comprensione per le richieste italiane e disponibilità sua e delle autorità egiziane a collaborare verso il perseguimento di questo obiettivo riconosciuto essenziale per rilanciare le nostre relazioni. Anche in tale occasione non ho mancato di far presente che attendiamo ancora una dimostrazione tangibile di tale volontà ed è una circostanza questa che anche nel colloquio di domenica 7 giugno ho ribadito con fermezza. La nostra azione politico-diplomatica si fonda del resto su un presupposto che costituisce un pilastro tradizionale della nostra politica estera e cioè che il superamento anche delle questioni più gravi tra Stati e la cooperazione internazionale possano essere perseguiti con maggiore efficacia attraverso una intensificazione e non certo con l'interruzione e l'irrigidimento del dialogo, un dialogo franco all'interno di una interlocuzione costante. Sviluppare il dialogo bilaterale, intrattenere rapporti nei diversi settori del partenariato bilaterale e confrontarsi su tematiche di convergente interesse nazionale con l'Egitto non rappresentano in alcun modo una sottovalutazione della gravità del crimine commesso ai danni di Giulio Regeni, tantomeno una subordinazione a supposte ragioni di Stato dei principi fondamentali che guidano la nostra postura internazionale, quali il rispetto dei diritti umani e la difesa dei valori democratici. Mantenere un'interlocuzione diretta e costante consente al contrario di insistere su tali principi, di porli al centro dell'attenzione anche dei vertici, in questo caso delle autorità di governo, di esigerne con credibilità Pag. 291il rispetto. Confrontarsi non significa quindi giustificare o dimenticare, quanto piuttosto cercare di influire da grande Paese democratico e rilevante attore regionale quale siamo anche sugli indirizzi, sui comportamenti concreti che riassumono la posizione posta in essere dalla controparte. Del resto, alternative pure percorse in passato non sono di certo risultate incisive. Una consapevole e più che ponderata valutazione del nostro leverage sul Cairo ci conduce a ritenere che la creazione di una rete di interrelazioni e di convergenze possa rafforzare la nostra capacità di pressione sulla base di un partenariato lungimirante ancorché critico. [...] L'Egitto costituisce senza dubbio uno degli interlocutori chiave nel quadrante mediterraneo mediorientale. Il Cairo può svolgere una funzione di rilievo nell'auspicato processo di stabilizzazione della regione. Assume oggettivamente un ruolo non marginale in dossier come il conflitto in Libia, un ruolo assolutamente centrale per quanto riguarda il contrasto al terrorismo e ai traffici illeciti, come anche nella gestione dei flussi migratori, nelle operazioni in campo energetico che corrispondono ad altrettanti vitali interessi nazionali, interessi che vanno ben al di là delle finalità di mera cooperazione economica che pure costituisce un volano di sviluppo e di prosperità per entrambi i Paesi. Tutti questi temi hanno inevitabilmente fatto oggetto, dopo la discussione sul caso Regeni, anche della mia ultima conversazione con il Presidente Al-Sisi, con l'obiettivo di promuovere soluzioni politiche, le uniche che riteniamo davvero sostenibili».(507)
  Con riguardo alla collaborazione dell'Egitto va rilevato che, dopo numerose sollecitazioni ai massimi livelli, il ministro degli Esteri italiano ha indirizzato una lettera al suo omologo egiziano il 17 giugno 2020, in cui ha manifestato la necessità di un riscontro alla rogatoria inviata il 30 aprile 2019. Nel testo si chiede verità sul caso di Giulio Regeni e si sottolineano che i rapporti di amicizia che legano i due Paesi «non possono prescindere dal fare giustizia su questa tragica vicenda». Il ministro ribadisce che l'Italia non ha mai smesso di cercare la verità e di chiedere la condanna dei responsabili, considerando che «un rapido riscontro alla rogatoria, in particolare per quanto riguarda la notifica del domicilio legale dei cinque indagati dalla procura di Roma, potrebbe rappresentare un significativo passo avanti nel senso fortemente auspicato dall'Italia».
  Ad agosto del 2020, il Consiglio dei ministri avalla l'ultimo passaggio relativo alla vendita ed esportazione di navi militari FREMM (Fregate Europee Multi Missione) da parte di Fincantieri all'Egitto ed in novembre un'altra telefonata del Presidente del Consiglio al Presidente della Repubblica araba d'Egitto affronta i rapporti bilaterali economici e militari. Il presidente Conte ha posto anche il tema Regeni ed esaminato gli ultimi sviluppi della cooperazione tra le autorità giudiziarie in merito alle indagini in corso. Relativamente a questa circostanza, una nota del portavoce della presidenza egiziana sottolinea che «Al-Sisi ha elogiato le ottime relazioni tra i due paesi nei vari campi, politico, militare ed economico, così come la cooperazione per affrontare molte sfide nella regione del Mediterraneo orientale, in particolare la lotta all'ideologia estremista ed il terrorismo». La vicenda Pag. 292 di Giulio Regeni non viene neanche più menzionata da parte egiziana.
  La complessità dello stato delle relazioni italo-egiziane – e la conseguente frustrazione – è illustrata chiaramente dalle ulteriori considerazioni svolte dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in audizione presso questa Commissione: «Ripeto, non abbiamo ottenuto molto [...], ma non significa che secondo me in questo momento una diversa postura ci porti a una più intensa cooperazione. Io ho incontrato sei/sette volte [...] il presidente Al-Sisi. Il fatto di parlare di persona, guardarlo negli occhi ed esprimere nel corso di un incontro tutta la premura, la considerazione e il rammarico e quindi poter esercitare un'influenza diretta in un colloquio vis-à-vis, probabilmente è una cosa che non ha portato a risultati. Non sono stato capace. È quello che ho detto alla famiglia Regeni [...] Il Presidente del Consiglio incontra Al-Sisi vis-à-vis. Il nostro ambasciatore al Cairo non incontra il Capo dello Stato, quindi se per il momento c'è un'incapacità di raggiungere dei risultati maggiori, questa incapacità la potete imputare a me direttamente. [...] Confermo che la richiesta di una cooperazione giudiziaria è stata oggetto puntuale di costante sollecitazione, a fronte all'attività investigativa svolta dall'autorità giudiziaria italiana, perché, come è stato anche ricordato, gli elementi che abbiamo a disposizione sono da imputare alla volontà dell'autorità giudiziaria italiana e alla sua capacità investigativa. Quindi senz'altro la questione della rogatoria e quindi la possibilità di creare le premesse perché si possa procedere e si possa avviare un processo con rinvio a giudizio nel nostro ordinamento giuridico è stata oggetto di una specifica richiesta ed è un obiettivo sul quale io personalmente, ma tutto il Governo, tutta la filiera diplomatica lavoreremo. [...] Devo essere sincero. È chiaro che avendo avuto un'interlocuzione che non si è esaurita nell'arco di una sola conversazione telefonica o di un solo incontro in un vertice multilaterale internazionale vis-à-vis, ma ci sono stati vari incontri, e non avendo ancora ottenuto quello sviluppo risolutivo determinante per quanto riguarda la vicenda giudiziaria e quindi l'accertamento dei fatti, se mi spoglio un po' della veste e dell'aplomb del Presidente del Consiglio e se devo anche mettere in campo quelle che sono le mie personali sensazioni e direi anche i sentimenti, sì, c'è stato qualche momento in cui la reazione istintiva sarebbe stata anche un moto di orgoglio. Però quando si è il Presidente del Consiglio, bisogna superare la reazione e il moto orgoglioso che porterebbero all'irrigidimento e all'interruzione del confronto. Poi c'è un altro elemento che milita in direzione opposta, anche una motivazione morale. Pensateci un attimo, perché la questione è talmente anfibologica e ambivalente nei suoi risvolti. Lo dicevamo prima, nessuno ha la certezza di quale sia il comportamento più giusto per ottenere un risultato e allora c'è stato anche il superamento di questa reazione più emotiva, del moto d'orgoglio che giustamente potrebbe avere il Presidente del Consiglio di una potenza del G7 che deve ottenere una risposta immediata e concreta per sé, per la nazione e per i genitori di Regeni che non possono parlare con Al-Sisi – gli può parlare il Presidente del Consiglio. C'è tutta una comunità nazionale che non si stancherà mai di chiedere la verità e c'è anche un'autorità di Governo in tutte le sue diramazioni che continuerà a insistere ogni volta che se ne presenterà – anzi, cercherà – l'occasione per continuare a esercitare una pressione, Pag. 293confidando che allo stato è meglio un dialogo per quanto franco, per quanto anche a tratti frustrante e quindi un'interlocuzione costante, piuttosto che l'interruzione dei rapporti».
  L'attuale impasse, in cui il giusto procedimento giudiziario di uno Stato di diritto come l'Italia si trova, a causa della difficoltà di pervenire ad una semplice – quanto solo preliminare ad un giudizio penale – comunicazione da parte egiziana degli indirizzi degli indagati onde procedere alle ordinarie comunicazioni e notificazioni di rito – mostra oggi impietosamente la natura tutt'altro che dialogante, rispettosa e vocata alla giustizia, delle relazioni che l'Egitto prospetta all'Italia.
  L'intensa attività diplomatica e politica italiana, sempre volta a trasmettere concretamente le legittime e salde richieste di una tangibile collaborazione giudiziaria tra i due Paesi, è stata frustrata troppe volte, in contrasto con le più elementari norme di diritto internazionale e dei rapporti tra Stati di diritto. La palese carenza di collaborazione e plateale resistenza delle autorità egiziane a favorire l'accertamento della verità in giudizio e l'esercizio legittimo dell'azione penale rendono lo stesso governo egiziano complice dei fatti accaduti.
  Tutti gli italiani hanno quindi potuto ritrovarsi il 25 gennaio 2021, ricorrendo il quinto anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, nelle parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, rispetto a cui risalta l'assordante silenzio del suo omologo egiziano: «l'azione della Procura della Repubblica di Roma, tra molte difficoltà, ha portato a conclusione indagini che hanno individuato un quadro di gravi responsabilità, che, presto, saranno sottoposte al vaglio di un processo, per le conseguenti sanzioni ai colpevoli». Continua il Capo dello Stato: «ci attendiamo piena e adeguata risposta da parte delle autorità egiziane, sollecitate a questo fine, senza sosta, dalla nostra diplomazia». Conclude il comunicato del Quirinale: «in questo doloroso anniversario rinnovo l'auspicio di un impegno comune e convergente per giungere alla verità e assicurare alla giustizia chi si è macchiato di un crimine che ha giustamente sollecitato attenzione e solidarietà da parte dell'Unione Europea. Si tratta di un impegno responsabile, unanimemente atteso dai familiari, dalle istituzioni della Repubblica, dalla intera opinione pubblica europea».
  Lo stesso 25 gennaio 2021, su proposta italiana, il Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione Europea ha riparlato del caso Regeni. L'Alto Rappresentante dell'Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, ha dichiarato, al termine del Consiglio, che il caso di Giulio Regeni è una questione grave per l'Italia e per l'intera Unione europea che pertanto continua ad esortare l'Egitto a cooperare in pieno con le autorità italiane affinché sia fatta giustizia.
  Nell'ultima audizione svolta dalla Commissione il 30 settembre 2021, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio riferiva la posizione assunta dall'Unione europea che: «intende preservare la condizionalità dell'assistenza al Cairo e la relativa clausola standard formulata nell'articolo 26 delle convenzioni di finanziamento adesso in vigore, e per favorire un'azione maggiormente proattiva da parte europea l'Unione ha attivato un monitoraggio rafforzato e una costante azione di reporting sulle questioni maggiormente critiche in ambito di diritti umani, rivitalizzando il meccanismo di monitoraggio processuale europeo e la definizione di una lista comune di casi individuali cui fare riferimento Pag. 294nelle interlocuzioni con le autorità egiziane». Nella medesima audizione il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dava atto delle speranze del Governo italiano di vedere presto avviato il procedimento penale a carico degli ufficiali delle forze di sicurezza egiziane e faceva stato dell'incontro del ministro con il suo omologo egiziano Shoukry del 23 settembre 2021 a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, oltre che della missione al Cairo del direttore generale per gli affari politici e di sicurezza presso il ministero degli Esteri, ambasciatore Pasquale Ferrara, del 9 settembre. Il ministro ha ribadito che nessuna considerazione sul ruolo internazionale dell'Egitto farà mai venir meno l'impegno di tutto il Governo nel continuare a esigere l'accertamento della verità sulla morte di Giulio Regeni che rimarrà un riferimento imprescindibile nelle relazioni italiane con l'Egitto. Al momento non sarebbe stato riattivato nessun tipo di «foro» in cui Italia ed Egitto si consultano per implementare politiche commerciali o rapporti bilaterali politici e si ravviserebbero tra Italia ed Egitto solamente consultazioni riguardo a temi come Libia, come il processo di stabilità del Medio Oriente, e come la Diga «Gerd» (Grand Ethiopian Renaissance Dam) che rappresenta una criticità regionale tra Egitto e altri Paesi della regione.
  Resta chiaro che soprattutto le ultime fasi della cooperazione giudiziaria tra le procure sono deludenti e lo attestano anche gli importanti comunicati di cui si è detto. La diplomazia e la magistratura italiane hanno lavorato nell'ultimo anno e mezzo per raccogliere una collaborazione sui temi della domiciliazione legale degli imputati. È pacifico che non è stato possibile ottenere un risultato a causa dell'assenza di cooperazione da parte della Procura generale del Cairo e a causa di una grave volontà del governo della Repubblica Araba d'Egitto di ostacolare il naturale corso della giustizia italiana, propria degli Stati di diritto.

9.5 I rapporti commerciali bilaterali

  Nel quadro della ricostruzione delle relazioni italo-egiziane, la Commissione ha ritenuto opportuno dedicare un approfondimento alla dinamica dei rapporti commerciali tra i due Paesi nel periodo successivo alla vicenda di Giulio Regeni. In particolare, l'andamento delle relazioni economiche e commerciali rileverebbe sotto diversi aspetti, dall'esercizio della pressione diplomatica sull'Egitto all'eventuale perdita di quote di mercato a vantaggio di competitor nell'area.
  Si riporta di seguito una tabella statistica riepilogativa degli anni 2016-2021 (fonte ICE), in cui si evidenzia una sostanziale continuità dei livelli dell'interscambio bilaterale. Una lieve flessione delle esportazioni italiane (2018-2019), peraltro già ampiamente rientrata nel 2020 nonostante la pandemia, appare compensata dalla corrispondente crescita delle importazioni. Peraltro, nei primi sette mesi del corrente anno (gennaio-luglio), si registra un aumento del 62% delle esportazioni e del 12% delle importazioni rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

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  Il primo interlocutore ascoltato dalla Commissione è stata l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (ICE), il cui presidente ha illustrato l'attività svolta a favore delle piccole e medie imprese. Ciò in quanto le grandi imprese e quelle ad alta vocazione tecnologica hanno altre modalità dirette di presenza e di promozione delle loro attività all'estero.
  Sebbene l'export verso l'Egitto – la cui voce principale è costituita da macchinari e apparecchiature – a partire dal 2016 abbia registrato un calo, dovuto anche alla introduzione da parte dell'Egitto di barriere non tariffarie sui beni di consumo, va tuttavia rilevato che esso è cresciuto sensibilmente nel corso del 2020 fino a sfiorare i livelli del 2016. Nonostante la pandemia, dunque, il 2020 vede il valore dell'interscambio commerciale tra Italia ed Egitto a 4,6 miliardi di euro con un incremento del 7,8 per cento rispetto al 2019, dovuto essenzialmente all'incremento delle esportazioni.
  Per quanto riguarda invece gli investimenti diretti esteri, l'Italia nel 2019 era al quarto posto come Paese di provenienza. Sebbene buona parte dello stock di investimenti diretti provenga dal settore oil&gas, il presidente dell'ICE ha sottolineato come la presenza delle imprese italiane in Egitto sia elevata, con 1229 società censite nel giugno 2019.
  Nonostante l'Egitto, secondo quanto dichiarato dal presidente dell'ICE, non sia mai stato incluso negli elenchi dei Paesi prioritari per l'attività promozionale dell'Agenzia (Tier 1 e Tier 2), secondo le linee guida impartite dalla Cabina di regia internazionale per l'Italia, l'impressione è che l'andamento delle relazioni commerciali con il Paese non sia stato inciso in modo significativo dalle conseguenze dell'omicidio di Giulio Regeni e dunque altre considerazioni, di natura prettamente congiunturale, concorrenziale o legate alla crisi pandemica, abbiano eventualmente influito su tali dinamiche le quali, peraltro, l'Italia è sempre stata di gran lunga il primo paese europeo come Pag. 296fornitore dell'Egitto ed abbia perso qualche posizione a livello globale solo a causa dell'affermarsi progressivo di altri partner (EAU, Arabia saudita, Turchia).
  D'altra parte, anche nel settore industriale più strettamente legato alle commesse militari e agli equipaggiamenti vi è stata una significativa crescita delle attività contrattuali con l'Egitto, proprio dal 2016 a oggi. Come ha ricordato alla Commissione in audizione il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, nel solo 2020 l'Egitto ha speso 5 miliardi di dollari per la difesa, 8.9% in più rispetto all'anno precedente ed è il terzo Paese al mondo per l'importazione di sistemi d'arma per il quinquennio 2016-2020, passando dal 2,4 al 5,8% in termini di quota mondiale.
  Le relazioni commerciali, del resto, non dipendono soltanto dagli interessi immediati degli operatori economici, ma anche da programmi di investimento di lungo periodo, nel quadro di scelte politiche che li accompagnano allo scopo di rafforzare la presenza del Paese in determinate aree geopolitiche.
  Nel caso dell'Egitto, con le istanze economiche si intersecano soprattutto considerazioni di natura geopolitica e geostrategica, dovute alla posizione del Paese nel quadrante di interesse per l'Italia. Considerazioni che presiedono in particolare alla attività dei due grandi gruppi industriali ascoltati dalla Commissione, ovvero Leonardo e Fincantieri, da cui è emerso un crescente interesse della comunità imprenditoriale italiana ed egiziana a rafforzare la partnership e a espandere gli investimenti reciproci. Il settore è fortemente esposto a competitor stranieri, già presenti nell'area, mentre un rafforzamento della collaborazione potrebbe favorire la stabilizzazione del fronte sud del Mediterraneo (in primis, la Libia, ma anche la Siria) e il contenimento dei flussi migratori.
  Il caso di ENI ha caratteristiche in parte diverse, come illustrato dall'amministratore delegato del Gruppo, Claudio Descalzi. La presenza di ENI in Egitto è consolidata da 70 anni di attività, durante i quali, nonostante le numerose crisi attraversate dal Paese, l'azienda ha mantenuto la propria continuità. ENI non è un contractor, non vende prodotti, non svolge attività commerciale in senso stretto, ma partecipa e vince gare per ottenere permessi di coltivazione di campi petroliferi con assunzione a proprio carico di tutti i rischi finanziari e tecnici. Pertanto la società, come tutte quelle del settore, ha un rapporto peculiare con gli Stati, proprio in virtù delle proprie specifiche capacità tecniche ed economico-finanziarie. La scoperta del bacino di Zohr, il più grosso giacimento di gas del Mediterraneo, avvenuta proprio pochi mesi prima dell'omicidio di Giulio Regeni, ha costituito per ENI un momento importantissimo che ha attribuito all'azienda una leadership a livello esplorativo, confermata dallo sviluppo e dalla sua messa in produzione in tempi nettamente inferiori rispetto alla media.
  La peculiare posizione di ENI, sia per ragioni storiche sia per il recente successo della scoperta di Zohr – il cui gas viene venduto essenzialmente all'Egitto, consentendo al Paese un miglioramento consistente per il proprio approvvigionamento energetico – conferisce pertanto all'azienda un prestigio ed un potere contrattuale tale da consentirle di essere autonoma ed indipendente nel relazionarsi con il governo egiziano.

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9.6 Le esportazioni verso l'Egitto di sistemi d'arma e la vendita delle FREMM

  La legge n. 185 del 1990 stabilisce, in primo luogo, che i trasferimenti di materiali di armamento devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia e regolamentate dallo Stato, secondo i princìpi della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. La legislazione nazionale si integra con quella europea (in cui rileva in particolare la Posizione comune del Consiglio 2008/944/PESC dell'8 dicembre 2008, che ha sostituito e rafforzato il Codice di condotta europeo) e con le previsioni del Trattato delle Nazioni Unite sul commercio delle armi (ATT), entrato in vigore il 24 dicembre 2014 e di cui l'Italia è membro fondatore. Ne consegue la previsione di un procedimento autorizzativo molto articolato e penetrante, posto in capo all'Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento che, istituita presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, funge da autorità nazionale (UAMA). È altresì particolarmente significativa la previsione di una relazione annuale al Parlamento.
  Nell'ambito della procedura, le considerazioni di ordine politico, a cui la legge conferisce carattere prioritario, sono preliminarmente valutate dall'UAMA attraverso la consultazione delle competenti direzioni generali dello stesso Ministero degli affari esteri, sia in fase di autorizzazione alle trattative che in fase di autorizzazione alle esportazioni. Il costante monitoraggio della situazione geo-politica e strategica dei paesi e delle aree regionali interessati dalle forniture dei materiali di armamento è assicurato dai pareri del Comitato consultivo, di cui fanno parte anche i rappresentanti dei ministeri dell'Interno, della Difesa, dello Sviluppo economico, dell'Economia e finanze e dell'Ambiente, oltre che dell'Agenzia delle dogane. Sono inoltre acquisiti gli orientamenti e gli sviluppi registrati nei pertinenti fora internazionali (ONU, UE, OSCE, Intesa di Wassenaar e Arms Trade Treaty).
  La Commissione ha potuto accertare, audendo il Direttore pro-tempore dell'UAMA, Alberto Cutillo (3 marzo 2020) che «per le operazioni più significative viene investita anche l'autorità politica», ma solo in fase di autorizzazione all'esportazione. La precedente fase di autorizzazione alla trattativa è ritenuta interlocutoria anche perché non conferisce alcun titolo all'azienda richiedente.
  Alla luce dell'importanza e della delicatezza dell'interscambio militare nell'ambito delle relazioni bilaterali, soprattutto con paesi non appartenenti all'Unione europea ovvero all'Alleanza Atlantica, la Commissione ha inteso esaminare l'andamento dei flussi delle esportazioni di armamenti verso l'Egitto. Estremamente interessante è parso il fatto che nei due anni immediatamente successivi alla morte di Giulio Regeni (2016-2017) tali esportazioni si sono drasticamente ridotte a 7 milioni di euro, rispetto al dato di 37 milioni di euro del 2015, un dato che in ogni caso, già di per sé, non faceva dell'Egitto un partner di primo piano (nei quindici anni precedenti, del resto, il dato più elevato si era registrato nel 2005 con 77 milioni di euro).
  Un'inversione di tendenza inizia invece a riscontrarsi a partire dal 2018, riportando l'export a 69 milioni di euro (in massima parte per la vendita di radar di avvistamento terrestre), ma si evidenzia prepotentemente nel 2019 e nel 2020, in quanto in entrambi gli anni l'Egitto si Pag. 298colloca nettamente al primo posto dei paesi destinatari delle esportazioni italiane di sistemi d'arma, rispettivamente per l'ammontare di 871 milioni di euro (in massima parte per la vendita di elicotteri) e di 991 milioni di euro (in massima parte per la vendita delle due fregate).
  Un balzo in avanti di tale entità non poteva non essere approfondito da parte della Commissione, anche alla luce delle modalità particolari della vendita all'Egitto da parte di Fincantieri di due fregate FREMM già in uso alla Marina militare, che quindi avrebbe dovuto essere a sua volta rifusa e scontare in ogni caso un periodo di ridimensionamento della flotta disponibile. Giova peraltro rammentare che, in sede parlamentare, nel giugno 2016 era stata sospesa la fornitura all'Egitto dei pezzi di ricambio degli F-16 (cosiddetto «emendamento Regeni»), nell'intento di inviare un chiaro segnale politico, come indicato dai relatori del provvedimento.
  Con particolare riguardo all'operazione FREMM, la Commissione ha accertato che, come da prassi, l'autorizzazione alla trattativa è stata rilasciata dall'UAMA senza investirne l'autorità politica (dicembre 2019), che invece avrebbe dato il suo avallo all'autorizzazione all'esportazione, intervenuta nell'agosto 2020 dopo che lo stesso Consiglio dei ministri ne sarebbe stato interessato (giugno 2020). In tale circostanza, la Commissione ha ritenuto suo dovere acquisire direttamente dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri contezza della valenza dell'operazione in questione sotto il profilo delle relazioni italo-egiziane, manifestando la preoccupazione che potesse equivalere ad una loro piena normalizzazione, a dispetto del persistente contenzioso giudiziario relativo all'individuazione e punizione dei responsabili della morte di Giulio Regeni. Nell'audizione svoltasi, il presidente Conte ha confermato le posizioni del Governo circa l'impossibilità di sviluppare le relazioni con l'Egitto in mancanza di progressi significativi per la soluzione del caso Regeni. La Commissione ne ha preso atto.
  A corollario dell'approfondimento svolto, si osserva come – pur comprendendosi le ragioni di riservatezza che ad esempio non consentono di fare cenno delle autorizzazioni alle sole trattative in sede di relazione al Parlamento e pur considerandone il carattere meramente interlocutorio rispetto al fatto che la situazione potrebbe modificarsi nel tempo – tale fase, soprattutto in alcuni casi politicamente sensibili, non possa essere limitata ad un controllo amministrativo e debba poter contemplare un'adeguata valutazione politica che valga anche come assunzione di responsabilità. Una novella legislativa potrebbe introdurre il meccanismo più idoneo a tal fine.
  Con riferimento all'interscambio dei sistemi d'arma con l'Egitto, la Commissione ha preso in esame un ulteriore profilo relativamente all'esportazione di armi leggere potenzialmente utilizzabili a scopi repressivi, alla luce della raccomandazione di sospenderla adottata dal Consiglio UE dei ministri degli esteri del 21 agosto 2013, successivamente al colpo di Stato ed alla strage di Rabaa. È emerso in proposito che l'Italia vi si sarebbe uniformata nei primi due anni, raccordandosi con gli altri Stati membri in sede di Gruppo di lavoro dell'UE sul controllo degli armamenti convenzionali (COARM), salvo poi ritenere la stessa raccomandazione superato de facto dagli sviluppi successivi – tra cui l'elezione popolare del presidente Al-Sisi – al pari degli altri partner. Pag. 299
  La Commissione ritiene tuttavia che la questione non possa prescindere dai criteri generali comunque dettati dalla Posizione comune 2008/944/PESC, recepiti nella legislazione nazionale, anche alla luce delle sempre più critiche condizioni dei diritti umani in Egitto, come documentato a livello internazionale. «Adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di armamento» sono d'altra parte espressamente richieste dall'articolo 1, comma 5 della legge n. 185 del 1990.
  Mette conto infine di menzionare l'esposto dei genitori di Giulio Regeni, che è stato incardinato presso la Procura della Repubblica di Roma a gennaio 2020, in cui si contesta al Governo di aver contravvenuto alle norme di legge in materia di esportazione di armamenti, in quanto l'Egitto rientrerebbe tra i paesi i cui governi sarebbero responsabili di accertate gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Sempre con riferimento alla legge n. 185 del 1990, è stato altresì lamentato, in un appello rivolto al Governo da varie organizzazioni umanitarie in occasione del trentesimo anniversario della stessa legge, che l'Egitto sarebbe co-belligerante nella guerra in Yemen, nell'ambito della coalizione a guida saudita, e quindi non potrebbe importare sistemi d'arma dall'Italia.

9.7 Le relazioni bilaterali nei media egiziani

La crisi diplomatica e l'evoluzione delle relazioni tra Italia ed Egitto

  All'indomani del ritrovamento del corpo di Regeni, sulla stampa egiziana iniziano a trapelare le prime preoccupazioni circa le conseguenze di questa tragica vicenda sui diversi aspetti delle relazioni bilaterali, la cui evoluzione viene seguita da vicino soprattutto in cinque momenti:

   1) Il richiamo dell'ambasciatore Massari, l'8 aprile 2016

   2) Il passaggio del cosiddetto «emendamento Regeni», il 29 giugno 2016

   3) Il periodo in cui l'Egitto si impegna a collaborare

   4) Il ritorno dell'ambasciatore italiano al Cairo, 14 settembre 2017

   5) La sospensione, da parte della Camera dei deputati, delle relazioni parlamentari con l'Egitto.

  In tutte queste occasioni, i temi trattati dai media riguardano soprattutto i principali dossier di politica bilaterale: commercio, lotta al terrorismo, contrasto all'immigrazione clandestina, questione libica e turismo. Le preoccupazioni per il crollo del turismo italiano in Egitto sono tra le prime a emergere sulla stampa egiziana, dove vi è un costante tentativo di mettere al riparo questo settore dalle conseguenze del caso Regeni, avendo memoria di quanto accaduto con i turisti russi dopo il crollo nel Sinai di un aereo russo nel 2015 e visto che, all'apice del suo successo, il turismo è arrivato a produrre anche il 15% del PIL egiziano. Non sorprende quindi che uno dei primi a cercare una distensione con l'Italia sia il ministro del turismo Hisham Zaazou che Pag. 300attraverso la stampa («Al-Ahram», 5 marzo 2016) descrive l'uccisione di Regeni come «un atto disumano che non riflette la tolleranza tipica del carattere egiziano grazie al quale chiunque visita il Paese si sente protetto. Quello che è successo è inaccettabile per tutto il popolo egiziano.»

Il richiamo dal Cairo dell'ambasciatore Massari, l'8 aprile 2016

  Il richiamo dell'ambasciatore non è un evento che nell'immediato viene messo in particolare risalto dai media, che sembrano in parte evitare di enfatizzare l'accaduto, anche se con il passare del tempo tale mossa italiana viene costantemente criticata. Del resto, ancor prima che questa si concretizzasse, in data 5 aprile, «Al-Ahram online» dà ampio spazio alle parole con le quali il ministro degli esteri egiziano risponde a quelle pronunciate dal ministro Gentiloni davanti al parlamento italiano: «siamo pronti a reagire se non saranno adottate misure immediate e proporzionate». Dichiarazioni che fanno alzare i toni alle istituzioni del Cairo che, usando un linguaggio nazionalista, ribadiscono la sovranità egiziana sulla questione e invitano indirettamente Roma a evitare «di complicare ulteriormente la situazione.» Come spesso accade quando il regime alza la voce contro l'Italia servendosi della stampa, sulla stessa testata vengono pubblicati contributi dai toni più distensivi, in questo caso alcuni stralci di un intervento del presidente Al-Sisi che, parlando davanti a una delegazione dell'Assemblea parlamentare NATO in visita al Cairo, definisce il caso Regeni un incidente isolato, confidando nella solidità delle relazioni bilaterali.
  In concomitanza con il richiamo dell'ambasciatore Massari sono due i punti su cui fa perno la stampa per sostenere l'insoddisfazione del regime egiziano. Il primo è quello della sovranità nazionale, invocata soprattutto quando l'Italia chiede la consegna delle celle e dei tabulati telefonici. Assistenti del Procuratore generale rilasciano commenti alla stampa per difendere la scelta egiziana di non consegnare agli inquirenti italiani le conversazioni di «migliaia di cittadini egiziani innocenti e quindi da tutelare come previsto dalla Costituzione e dal diritto alla privacy». Il secondo tema evidenziato nel dibattito è quello della politicizzazione del caso Regeni. La stampa egiziana accusa in più occasioni l'Italia di voler trasformare un caso di cronaca giudiziaria in una diatriba internazionale, cosa alla quale si oppone – commentando la vicenda sul portale di «Al-Ahram» – il ministro degli esteri egiziano Shoukry. In tale contesto, vengono citate le dichiarazioni social del portavoce del ministro, secondo cui il richiamo dell'ambasciatore mette a rischio la cooperazione giudiziaria sul caso, cosa che il governo egiziano dice di voler scongiurare. Del resto, già da marzo, le autorità italiane venivano invitate dagli schermi televisivi a non sovrapporre questo caso alle questioni politiche e a pazientare perché per arrivare alla verità sarebbe servito tempo «visto che del resto non è stata ancora fatta luce sulla morte di Kennedy o di Lady D» ( «Sada al-Balad», 5/03/2016)(508).
  Il richiamo dell'ambasciatore preoccupa anche le testate economiche, come «Al-Borsa», che sollevano dubbi sulle ripercussioni che la Pag. 301crisi bilaterale potrebbe avere sul valore dell'interscambio, sulla riconversione del debito pubblico e sui progetti di finanziamento. Bilanciando il quadro, come a tranquillizzare il settore del business, la testata «Al-Mal» cita invece le dichiarazioni del presidente del Consiglio di amministrazione dell'Egyptian Italian Business Council, secondo il quale i legami economici tra i due Paesi resteranno esenti dal richiamo dell'ambasciatore. Su una linea simile si colloca «Al-Ahram» dell'11 aprile, secondo cui i legami tra Roma e Il Cairo sono così forti e gli interessi economici italiani così importanti che nel lungo periodo non potranno essere compromessi dal caso Regeni.
  Critico – anche se cautamente – della gestione del caso Regeni, «Al-Shorouq» solleva interrogativi circa il futuro degli investimenti italiani in Egitto. L'11 aprile pubblica due interessanti editoriali: nel primo si dice che dietro l'escalation italiana si nascondono i dubbi di Roma circa la serietà delle inchieste in corso al Cairo. Secondo questo articolo, il Cairo starebbe cercando di insabbiare la verità e starebbe compiendo alcuni errori nella gestione del caso. Nel secondo articolo invece –«Le ombre di Regeni» – si parla della necessità di ripristinare l'orgoglio nazionale – considerando anche la cattiva reputazione dei servizi di sicurezza ora sospettati di essere coinvolti – accendendo i riflettori su quattro questioni fino ad ora rimaste nell'ombra e su cui ora il caso Regeni ha fatto luce: il malfunzionamento del sistema di sicurezza; il peggioramento delle condizioni dei diritti umani; la repressione della società civile e l'assenza di uno Stato di diritto.
  Parte della stampa copre l'immediata missione a Roma, l'11 aprile, di una delegazione del partito degli Egiziani Liberi, guidata dal politico e imprenditore Naguib Sawiris in veste non ufficiale di pontiere tra i due Paesi, vista anche la sua ampia rete di relazioni in Italia. Incontrando il presidente della Commissione Esteri della Camera, Fabrizio Cicchitto, Sawiris ha da una parte riaffermato l'importanza strategica dei rapporti fra l'Italia e l'Egitto, dall'altra ha definito indispensabile che le autorità egiziane facciano luce sul caso Regeni. Da alcune fonti di stampa pubblicate il 13 aprile emerge l'insoddisfazione di alcuni deputati egiziani circa la gestione del caso: sarebbe stato questo il motivo che ha spinto Sawiris e i suoi a prendere contatti diretti con il parlamento italiano.

L'approvazione del cosiddetto «emendamento Regeni» il 29 giugno 2016

  La decisione di bloccare l'esportazione dei pezzi di ricambio degli F-16 viene immediatamente percepita dalla stampa egiziana con «malessere e malcontento», riportando dichiarazioni del ministro degli Esteri che, alzando i toni della discussione, si mostra deciso a monitorare come l'Italia intenda gestire le relazioni bilaterali. Il dibattito tiene banco diversi giorni, durante i quali dall'Egitto si minacciano contromisure verso l'Italia, accusata sul portale di «Al-Ahram» (7 luglio 2020) di aver preso una decisione incoerente e peraltro contraria ai suoi stessi interessi: «influenzerà negativamente la collaborazione in materia di contrasto all'immigrazione illegale nel Mediterraneo, la cooperazione sul dossier libico e altri campi in cui l'Italia ha ricevuto sostegno dall'Egitto» si scrive.
  Uno degli editoriali più duri al riguardo è quello pubblicato il 12 luglio sul «Al-Ahram Weekly»: «Che cosa vuole Roma dal Cairo? Qual Pag. 302è il reale obiettivo della sua campagna nella gestione del caso Regeni? Si aspetta forse che il governo egiziano confessi di aver ucciso il giovane ricercatore italiano? È questo quello che soddisferà il Parlamento italiano e potrà far dire ai politici di aver incassato una vittoria?» esordisce l'articolo di fondo che definisce la mossa italiana ingiustificata e controproducente, visto che il venir meno dei pezzi di ricambio – si motiva – ridurrà la capacità egiziana di combattere il terrorismo, cosa che avrà conseguenze dirette sulla sicurezza italiana. «L'Italia pensa di avere il potere di rimettere indietro le lancette del tempo, riproducendo l'invasione del Nord Africa? I politici italiani hanno capito il significato della decisione presa? Non si può fare altro che ridere leggendo gli articoli pubblicati sui principali quotidiani italiani che parlando delle condizioni delle carceri egiziane, le descrivono come ville buie e sporche usate come luoghi di tortura, dove i detenuti sono tormentati fino a quando il loro corpo non viene abbandonato lungo le strade» continua l'articolo, secondo cui è «sulla base di questi racconti di fiction scritti da giornalisti non professionali» che i parlamentari italiani prendono le loro decisioni. L'articolo – che sottolinea l'eccezionalità della cooperazione giudiziaria sul caso tra i due Paesi – invita infine a trovare in fretta un linguaggio per comunicare con Roma che sia in grado di preservare gli interessi bilaterali. Secondo l'editoriale, buona parte degli egiziani vorrebbe sapere la verità sull'omicidio Regeni, un caso – si dice – che sembra essersi allontanato dal suo obiettivo originale di portare alla luce la verità. L'obiettivo, secondo l'editoriale, sarebbe ora quello di ricattare l'Egitto, il popolo egiziano e il suo governo, rischiando quindi di isolare l'Egitto da un'ampia rete di relazioni, prima tra tutte quella con l'Italia, definita uno dei primi Paesi, dopo il 30 giugno 2013, a esprimere sostegno politico alle nuove istituzioni.
  Il passaggio, in Senato, dell'emendamento Regeni apre un ampio dibattito all'interno della Camera egiziana su come rimodulare le relazioni con Roma e il dialogo bilaterale. Per circa una settimana la stampa parla di una vera e propria revisione delle relazioni Italia-Egitto, a seguito della «escalation cercata dall'Italia», descritta addirittura come una «estorsione» da parte dell'Italia. Regista di questa manovra è il presidente della Camera Ali Abdel-Al che chiama a raccolta le Commissioni Esteri, Difesa e Diritti Umani per cercare una risposta congiunta a quello che viene descritto come il comportamento «ostile» dell'Italia nei confronti dell'Egitto. In tale ottica il presidente della Commissione Esteri, l'ex ministro Mohamed El-Orabi viene quindi mandato a Roma per spiegare i danni provocati all'Egitto dalla decisione presa. Nel corso della sua missione, l'11 luglio, El-Orabi intende recapitare un messaggio ai presidenti di Camera e Senato, nonché incontrare Fabrizio Cicchitto, in qualità di presidente della Commissione Esteri. In tale occasione, El-Orabi partecipa alla Assemblea parlamentare dell'Unione del Mediterraneo ospitata dal Senato italiano. Quando El-Orabi torna dal Cairo si apre un vivace dibattito interno sull'atteggiamento da tenere con l'Italia che può essere riassunto in due posizioni emerse sui media: da una parte ci sono quanti credono che sia necessario adottare misure di ritorsione nei confronti di Roma, dall'altra chi ritiene più costruttivo adottare una soft diplomacy. A fine luglio – secondo la ricostruzione di «Al-Ahram» – si Pag. 303arriva a una sintesi di questo dibattito, dopo un incontro, il 18 luglio, di oltre due ore sul tema. «Nessuna brusca diplomazia con l'Italia» chiarisce «Al-Ahram online», spiegando che il parlamento ha optato per la soft diplomacy, anche se l'Italia ( «Al- Ahram online», 17 luglio) è stata avvisata di continuare sulla via del dialogo con l'Egitto. Sempre in questo incontro – rivelano diverse fonti stampa – sarebbe stato deciso di proporre una serie di visite di delegazioni egiziane in diversi parlamenti europei.

Il periodo in cui l'Egitto si impegna a collaborare

  Nonostante lo stallo diplomatico, sulle testate egiziane viene dato ampio spazio ai progressivi segnali di riavvicinamento, siano essi formali o informali, istituzionali o meno, minimi o sostanziali. In questo contesto, ogni piccolo segnale di normalizzazione tende ad essere ingigantito, nella forma e nella sostanza, per essere rappresentato come il segnale di una imminente ricucitura dei rapporti. Anche se gli eventi più enfatizzati non sono quelli – nei fatti – risolutivi della crisi, essi segnalano comunque l'attività degli attori interessati a risolvere urgentemente la questione, nonché l'intenzione dei media egiziani di minimizzare la frattura, enfatizzando i segnali di normalizzazione provenienti sì dall'Italia, ma non sempre dalle istituzioni italiane in senso stretto.
  In tale contesto, il senatore Lucio Barani diventa sui media egiziani come il volto della normalizzazione delle relazioni almeno in due occasioni: nell'aprile e nell'agosto 2016, quando compare su svariati giornali e sugli schermi di un popolare talk show. In entrambe le occasioni è al fianco di Mohamed Abu al-Enein, importante imprenditore egiziano, nonché presidente dell'Egyptian European Business Council. Tra i principali finanziatori del fondo per la ripresa economica creato dal presidente Al-Sisi, Abu al-Enein è anche il proprietario dell'emittente «Sada al-Balad», la televisione che nel marzo 2016 intervista l'ingegnere che depista le indagini sulla morte di Giulio Regeni, raccontando di avere visto il ricercatore italiano litigare con uno straniero dietro il consolato italiano. Questo racconto verrà poi smentito dagli inquirenti.
  Tra il 16 e il 18 aprile 2016 «Sada al-Balad» trasmette una serie di servizi «dal cuore di Roma», girati «all'interno del Parlamento italiano» per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni(509). Insieme a Abu El-Enein, che parla un italiano fluente, si trovano i senatori Lucio Barani (presentato impropriamente come leader della maggioranza in Senato) e Francesco Amoruso. La morte di Regeni viene descritta come un atto terroristico compiuto da chi vuole minare i rapporti tra Italia ed Egitto. «Il governo e il presidente Al-Sisi sono Pag. 304estranei all'omicidio» dice Barani promuovendo «gli sforzi» della presidenza egiziana e puntando il dito contro servizi segreti deviati al soldo di qualche potenza straniera interessata ad approfittare della rottura delle relazioni economiche bilaterali. Dichiarazioni queste che vengono poi riprese anche in altre trasmissioni che insistono sull'estraneità del governo, facendo un uso strumentale delle parole di Barani, in quanto «lo dice anche un senatore italiano che il governo non è responsabile, non un cittadino qualsiasi, un senatore!» Nel corso dell'intervista viene anche giustificato – per questioni di privacy e di rispetto della Costituzione egiziana – il rifiuto di fornire milioni di tabulati telefonici alla procura italiana e si definisce un errore il ritiro dell'ambasciatore. «Consegnare milioni di intercettazioni in arabo alla magistratura italiana oltre che essere contro la vostra Costituzione non porterebbe a nessun risultato, perché noi non saremmo in grado di decifrarne una» aggiunge il senatore Barani, impegnandosi per la piena ripresa delle relazioni. «Interesse primario dell'Italia è sì avere la verità su Regeni, ma soprattutto capire che i rapporti tra Egitto e Italia non possono venire meno, costi quel che costi» conclude il senatore.
  Parte di queste interviste vengono anche riprese dalla stampa egiziana che torna a parlare del senatore Barani nell'agosto 2016, quando il politico arriva in Egitto, secondo le ricostruzioni dei media egiziani, insieme ad altri cinque imprenditori italiani per partecipare a un incontro dell'Egyptian European Business Council.
  In questa occasione «Sada al-Balad» trasmette 28 minuti della conferenza stampa a due Abu al-Enein/ Barani(510).
  Nella sua presentazione, Barani spiega che il suo viaggio ha diversi scopi, tra cui quello politico, visto che lui rappresenta le istituzioni come presidente di un importante partito di maggioranza. Ribadendo l'importanza della ricerca della verità sulla morte di Regeni, Barani definisce l'Egitto un Paese sicuro e critica l'alert della Farnesina sul turismo (che si impegna di fare cancellare) e il cosiddetto «emendamento Regeni», con cui è stata vietata l'esportazione dei pezzi di ricambio degli F16. Anche in questa occasione, il senatore Barani partecipa alla trasmissione televisiva di «Sada al-Balad»(511), ancora una volta al fianco di Abu al-Enein. Il suo intervento ripercorre in parte quanto detto durante la conferenza stampa. Questa trasmissione trova ampio spazio sulla carta stampata che ne fa un uso strumentale. Il 9 agosto, il quotidiano «Al-Wafd» titola: Il senatore italiano Barani: «il governo egiziano non è coinvolto nell'omicidio del ricercatore italiano Giulio Regeni». «Al-Ahram» riprende l'impegno preso dal senatore di fare pressioni sul Ministero degli interni e il Ministero degli Esteri, affinché venga rimosso l'alert sul turismo in Egitto.
  Sempre in questi mesi è il sito di «Al-Masry al-Youm» (poco dopo la consegna dei tabulati) ad annunciare la formazione di una commissione informale composta da diplomatici, ex ministri e ufficiali egiziani e italiani per fare progredire le relazioni bilaterali e superare la crisi creata dal caso Regeni. Secondo la testata egiziana che ne dà notizia, questa commissione, che prende il nome di comitato italo-egiziano, si incontra per la prima volta a Roma il 17 maggio 2016. A guidarla sono Pag. 305l'ex parlamentare e ministro Gian Guido Folloni, presidente di IsiameD, e Ahmed Al-Fadali. In un momento di assenza della diplomazia formale – nota la stampa egiziana – questo comitato avrebbe dato vita a una diplomazia parallela per ricucire la relazione ferita dalla morte di Regeni. Questo primo incontro porta alla firma, nell' ottobre 2016 all'interno dei locali di IsiameD, del Memorandum d'intesa per il consiglio di cooperazione Italia-Egitto(512). Tra i presenti – secondo le fonti raccolte – anche l'onorevole Mario Caruso e l'ex deputato Ugo Intini. Secondo quanto rivelato dalla stampa egiziana questo testo mira a rafforzare la cooperazione bilaterale nel campo della cultura, sport e turismo.
  Nel febbraio 2017, sarà ancora Folloni a guidare la prima delegazione italiana ufficialmente al Cairo dalla morte di Regeni, accompagnato dal deputato del gruppo parlamentare ALA Antonio Milo, come racconta Milo stesso sulla sua pagina Facebook il 27/02/2017 menzionando altri componenti della delegazione, tra cui l'AD di IsiameD Vincenzo Sassi.
  Durante la visita, che secondo il quotidiano «Al-Masry al-Youm» sarebbe servita a mostrare a diversi paesi europei l'inutilità delle misure restrittive del turismo, IsiameD ha presentato una serie di proposte a Ihab Nasr, viceministro con delega per i rapporti europei, per la creazione di una università italiana della digitalizzazione e un modello di banca digitale(513). Sulla sua pagina Facebook, l'allora deputato Milo parla di proficui giorni di lavoro, «durante i quali sono avvenuti incontri istituzionali di grande importanza, come quelli con la Banca Centrale e con i ministri egiziani dell'Istruzione, Ashraf el-Shehhi, degli Esteri, Sameh Shoukry, e dell'Energia, Mohammed Shaker».
  Nei mesi successivi, il senatore Nicola Latorre, presidente della Commissione Difesa, sarà protagonista della prima visita istituzionale italiana al Cairo dopo l'uccisione di Giulio Regeni (luglio 2017). Precedentemente, in un'intervista a «La Stampa», ampiamente richiamata dai media egiziani, l'11 maggio 2017, Latorre definisce cruciale la risoluzione del caso Regeni, ma auspica il ritorno dell'ambasciatore in Egitto e il rafforzamento della presenza diplomatica italiana lungo il Nilo, progressi che Latorre spera possano alleviare le tensioni esistenti tra i due Paesi. «Egypt today» (12 maggio 2017) evidenzia le frasi con le quali Latorre ipotizza che il persistere della rottura diplomatica potrà avere conseguenze negative non solo sul caso Regeni, ma su tanti altri dossier centrali per l'Italia. Sempre «Egypt Today» il 27 luglio 2017 riporta le dichiarazioni dei senatori Carlo Giovanardi e Luigi Compagna che parlando con il quotidiano «Il Dubbio» criticano il ritiro dell'ambasciatore, descrivendolo come una mossa che ha avuto un impatto negativo sul ruolo italiano in Libia e nell'intera regione. Enfasi particolare viene data all'appello che i due senatori fanno per chiedere urgentemente il ritorno dell'ambasciatore.

Pag. 306

L'arrivo del nuovo ambasciatore al Cairo il 14 settembre 2017

  L'annuncio del ritorno dell'ambasciatore italiano al Cairo trova ampio spazio sulla stampa locale, dove viene descritto come un successo della diplomazia egiziana che il governo presenta all'opinione pubblica come una vittoria senza precedenti. Tra i primi a darne notizia il popolare portale «Youm7» che definisce l'arrivo di Cantini un «nuovo strike» per l'Egitto, sottolineando che i due Paesi hanno voltato pagina, chiudendo un capitolo difficile delle loro relazioni. Su toni simili «Al-Wafd»: «Italia ed Egitto cuciono il file Regeni» e «Al-Ahkbar». Dichiarando nei fatti risolta la crisi con l'Italia, «Al-Ahram» scrive che «Il ritorno dell'ambasciatore è una prova della destrezza egiziana». In data 20 agosto, vi si parla di una vera e propria «vittoria della diplomazia egiziana» che ha gestito la crisi con capacità e saggezza in un periodo sensibile, dominato da complicanza. In un editoriale a firma di Abdul Mohsen Salama (che racconta di suoi incontri a fine luglio con alcuni rappresentanti della stampa italiana) si dice che alla fine l'Italia ha dovuto rivedere la sua posizione dopo che il Cairo ha fornito alla procura romana tutto l'aiuto necessario. L'editoriale ipotizza il ritorno del turismo italiano in Egitto e la piena normalizzazione delle relazioni. Già il 15 agosto, «Egypt Today» spiega perché l'Italia ha bisogno di avere un ambasciatore di stanza al Cairo. Secondo l'articolo, non solo la cooperazione giudiziaria sul caso Regeni potrà avvantaggiarsi della presenza fisica di un alto rappresentante dello Stato italiano al Cairo, ma tanti altri dossier beneficeranno di quello che viene descritto come il ritorno alla normalità. Dall'esplorazione del giacimento di Zohr alla Libia, dalla lotta al terrorismo al contrasto all'immigrazione illegale. Il 20 settembre, «Al-Ahram Weekly» dedica un articolo a quello che chiama «lo scambio degli ambasciatori», ovvero l'arrivo di Cantini al Cairo e quello dell'ambasciatore egiziano Badr a Roma.
  L'ambasciatore Cantini arriva al Cairo il 14 settembre 2017. Il giorno successivo, «Egypt Today» scrive un articolo sulla firma, a Roma, di una intesa tecnica in tema di flussi migratori sottoscritta per l'Italia dal direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, prefetto Massimo Bontempi, e, per l'Egitto, dal maggior generale Ahmed Adel Elamry, al vertice dell'Accademia di polizia e assistente del Ministro dell'Interno. Secondo alcuni documenti pubblicati dalla stampa italiana, questo accordo sarebbe stato firmato il 13 settembre 2017. Da quell'atto ha preso poi il via il progetto «International Training at Egyptian Police Academy» (ITEPA), un «centro di formazione internazionale» sui temi migratori per 360 funzionari di polizia e ufficiali di frontiera di ben 22 Paesi africani, insediato proprio presso l'Accademia della polizia egiziana de Il Cairo. L'inaugurazione del progetto pilota (24 mesi), finanziato per 1,8 milioni di euro dal nostro Paese (tramite il fondo ISF II, Border and Visa), è avvenuta al Cairo il 20 marzo 2018. «L'Italia ha scelto come partner l'Egitto – si legge su “Egypt Today” – perché si fida della polizia egiziana». Esattamente un mese dopo, la stessa testata pubblica una foto della ministra della Difesa, Roberta Pinotti, che riceve il nuovo ambasciatore egiziano a Roma, Hisham Badr. Al centro dell'incontro le iniziative da intraprendere per cooperare soprattutto in tema di lotta al terrorismo, contrasto all'immigrazione clandestina e Libia. Pag. 307
  Ad attirare l'attenzione dei media, dopo il ritorno dell'ambasciatore, sono le visite che compiono nell'estate 2018, nell'ordine, il Vice Presidente del Consiglio Matteo Salvini (18 luglio), il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi (5 agosto), il Vice Presidente del Consiglio Luigi Di Maio (29 agosto). Un susseguirsi di incontri che porta la stampa egiziana – più interessata a enfatizzare l'alto livello di questi incontri bilaterali piuttosto che il loro contenuto – a dichiarare definitivamente chiusa la crisi diplomatica.
  Tenendo conto delle visite già concluse e di quelle alle porte, l'11 settembre 2018 «Al-Ahram-Weekly» parla di una ripresa totale delle relazioni, alla luce anche della visita di tre giorni del Vice Presidente del Consiglio Di Maio che si è concentrata soprattutto su energia, economia, commercio e infrastrutture, lasciando – secondo la ricostruzione dei media egiziani- solo in fondo la questione Regeni.
  Sempre a settembre 2018 si svolge la visita al Cairo del Presidente della Camera dei deputati finalizzata esclusivamente alla veritù e alla giustizia per Giulio Regeni. Invece, «Al-Ahram Weekly» titola «Egypt and Italy coming closer»: l'articolo, e più in generale la copertura data alla visita del presidente Fico, pur menzionando i suoi richiami al caso Regeni, non inquadra il caso stesso come l'unico punto nell'agenda. La stampa presenta impropriamente questa visita come un viaggio in linea con quelli compiuti precedentemente dalle altre alte cariche italiane, evidenziando che questo ultimo appuntamento bilaterale rifletterebbe il veloce miglioramento delle relazioni tra Roma e il Cairo. Secondo il settimanale di «Al-Ahram», il presidente Fico si sarebbe detto d'accordo sulla ripresa dell'Egyptian Italian Business Council, cosa palesemente travisata e che infatti non si è ancora concretizzata.
  Grande enfasi infine, viene poi data alla partecipazione del presidente Al-Sisi alla Conferenza sulla Libia di Palermo (12-13 novembre 2018), non solo perché si tratta del primo viaggio in Italia del presidente dalla morte di Giulio Regeni, ma anche per il ruolo centrale giocato dal Cairo per la riuscita dell'evento.

La sospensione, da parte della Camera dei deputati, delle relazioni parlamentari con l'Egitto

  Dopo il ritiro dell'ambasciatore e l'approvazione del cosiddetto «emendamento Regeni», è la sospensione, a fine novembre 2018, delle relazioni tra la Camera dei deputati e il Parlamento egiziano il momento di maggior tensione bilaterale. La stampa egiziana parla nuovamente di una decisione unilaterale definita non in linea, anzi controproducente, con la collaborazione giudiziaria sul caso Regeni. Anche in questo caso, vengono riportate su siti e quotidiani egiziani dichiarazioni italiane contrarie alla decisione del presidente Fico. Il 4 dicembre 2018, «Egypt Today» cita un articolo di opinione pubblicato dall'«Indro» il giorno precedente e critico della decisione presa dalla Camera dei deputati. In modo impreciso, o forse strumentale, «Egypt Today “si spinge a dire che l'”Indro» invita il governo italiano a contrastare la decisione. Ancora più critico l'articolo pubblicato sempre il 4 dicembre 2018 da «Al-Ahram Weekly» che cerca di ricostruire le motivazioni che hanno fatto nuovamente «montare le tensioni sul caso Regeni». Tra le righe di un lungo pezzo, si spiega che la decisione arriva Pag. 308dopo che per due volte (nel dicembre 2017 e il 28 novembre 2018) la procura egiziana si è opposta alla richiesta italiana di inserire nella lista degli indagati alcuni alti ufficiali dei servizi di sicurezza come sospettati dell'omicidio Regeni. Pur ribadendo che il visto esclusivamente turistico di Regeni continua a destare sospetti, il settimanale cita in forma anonima un deputato, anche analista politico, secondo il quale sarebbe troppo avventato per il Cairo fare questi nomi, visto che in assenza di prove convincenti si rifiuterà di portare avanti delle indagini su personalità di alto rango. «Questa mossa è sorprendente considerata la recente serie di incontri ad alto livello tra politici egiziani e italiani durante i quali questi ultimi hanno sempre lodato la cooperazione giudiziaria sul caso Regeni», commenta un'altra fonte interna al parlamento del Cairo. Secondo la maggioranza dei deputati sentiti dal settimanale, che cita anche un comunicato sul caso della Camera egiziana del 29/11/2018, la mossa italiana sarebbe un salto prematuro a conclusioni errate, ma sarebbe una mossa politicamente isolata, dietro cui non si celerebbe nessuna intenzione italiana di escalation. L'idea condivisa – aggiunge l'articolo – è che l'Italia non sia interessata a intraprendere azioni che danneggeranno realmente la relazione con il Cairo, visti gli interessi economici in gioco. Duro anche il commento del quotidiano «Al-Ahram» secondo cui, con tale gesto, l'Italia ha messo il carro davanti ai buoi, giungendo a conclusioni affrettate.

10. IL VERSANTE INGLESE: LA MISSIONE A CAMBRIDGE

10.1 Le indagini della Procura della Repubblica di Roma e la collaborazione con le autorità britanniche

  Fin dai primi mesi di indagine gli inquirenti hanno ritenuto necessario ricostruire la vita di Giulio Regeni nel Regno unito in modo che fosse possibile comprendere il contesto in cui è maturata l'iniziativa per la ricerca in Egitto.
  A tal scopo i magistrati hanno impiegato gli ordinari strumenti giuridici (richieste di escussione di testimoni, di perquisizione e di sequestro di documenti) attivati tramite i canali della cooperazione europea in materia giudiziaria (all'epocail Regno unito era ancora parte dell'Unione Europea), senza ovviamente incontrare le difficoltà che sono invece sorte nei rapporti con le autorità egiziane.
  Si riepilogano le date delle quattro rogatorie: 28 aprile 2016, 14 settembre 2016, 18 novembre 2016, 9 ottobre 2017, senz'altro la più rilevante sotto il profilo delle acquisizioni documentali.
  Le attività dei magistrati romani sono state accompagnate da un'azione di sostegno da parte dell'esecutivo italiano, intervenuto al massimo livello istituzionale(514) nei confronti del paritetico britannico, per favorire la piena collaborazione. All'azione del vertice governativo nazionale si è affiancata quella dei nostri diplomatici nel Regno unito ed al Cairo, su istruzioni dell'allora Ministro degli Esteri, Angelino Alfano(515), che contattarono le autorità del Regno unito e i rappresentanti Pag. 309 della stessa Università di Cambridge affinché da parte britannica fosse fornito ogni possibile contributo utile alla ricerca della verità sull'omicidio di Giulio Regeni. Sull'operato della nostra diplomazia ci giunge anche la testimonianza diretta dell'ambasciatrice Elisabetta Belloni, all'epoca Segretario generale del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale(516): «... Il 3 ottobre del 2017 l'ambasciatore a Londra, Pasquale Terracciano, è intervenuto sull'allora First Secretary of State and Minister for the Cabinet Office Damian Green, con funzioni di fatto di vice Primo ministro, rappresentando l'esigenza di rinnovare gli sforzi per raggiungere il massimo possibile livello di coordinamento delle risorse delle azioni diplomatiche sul caso Regeni, favorendo un maggiore coinvolgimento dell'Università di Cambridge. Pag. 310Sempre il 3 ottobre l'ambasciata è intervenuta sulla professoressa Eilis Ferran, prorettore per le relazioni internazionali e istituzionali dell'università, prospettando l'opportunità di un dialogo più sistematico con l'autorità diplomatica italiana che facilitasse lo scambio di informazioni sul caso Regeni. Il 6 ottobre del 2017, l'ambasciatore Terracciano ha incontrato l'allora viceministro con delega al Mediterraneo e Medio Oriente Alistair Burt nonché l'allora direttrice politica del Foreign Office Karen Pierce; in entrambe le occasioni è stata auspicata un'azione di sensibilizzazione nei confronti dell'Università di Cambridge per ottenere una maggiore collaborazione dell'Ateneo sul caso Regeni. In un incontro avvenuto con la professoressa Ferran nel successivo 13 ottobre, l'ambasciatore Terracciano ha tra l'altro fatto stato dell'atteggiamento oggettivamente non collaborativo nei confronti delle autorità inquirenti italiani della professoressa Maha Abdelrahman, tutor di Giulio Regeni. Come saprete, il 20 ottobre del 2017 la Procura della Repubblica di Roma ha inviato alla competente autorità giudiziaria britannica un Ordine Europeo di Indagine emesso il 9 ottobre del 2017, nell'ambito del procedimento penale a carico di ignoti per l'uccisione di Giulio Regeni.».
  Le attività di approfondimento da parte dei magistrati si sono svolte dapprima, nel 2016, tramite rogatoria, diretta ad acquisire notizie sulle modalità con cui erano stati scelti: il tema della ricerca; il tutor in Egitto; il metodo di ricerca che verrà poi adottato da Giulio; i quesiti che il nostro studioso ha posto agli ambulanti. A queste si aggiungevano domande dirette alla supervisor dell'ateneo britannico, la professoressa Maha Abdelrahman, che purtroppo non avranno una risposta che i nostri inquirenti riterranno soddisfacente: se avesse letto il lavoro che Giulio Regeni aveva svolto; i contenuti del loro incontro al Cairo avvenuto il 7 gennaio 2016; il numero degli studenti che aveva inviato in Egitto nei 5 anni precedenti e i temi delle ricerche da loro effettuate.
  Questioni che in parte saranno riproposte nel successivo colloquio tenuto dai magistrati britannici in esecuzione dell'Ordine Europeo del gennaio 2017, alla presenza degli inquirenti italiani(517).
  Qualunque sia stato allora il livello della cooperazione della professoressa, non ha comunque inficiato la possibilità di ricostruire nel dettaglio le ragioni della presenza del giovane studioso in Egitto, apprezzare la consistenza delle capacità economiche dello stesso e delineare quegli elementi che hanno consentito di fare chiarezza sulla metodologia della ricerca da lui intrapresa.
  Terminato il primo ciclo di studi ed in attesa di accedere ad un dottorato di ricerca, Giulio Regeni aveva svolto attività lavorativa, cercando di sfruttare le competenze acquisite, dapprima presso la United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), negli uffici di Vienna e del Cairo e, successivamente, tra il 2013 ed il 2014, alle dipendenze della società «Oxford Analytica», attiva nel campo della business intelligence, quale responsabile del briefing giornaliero che la società distribuisce ai propri clienti contenente l'analisi della situazione geo-politica dell'area medio-orientale. La società, alla luce delle informazioni ottenute dagli inquirenti tramite le proprie rogatorie, Pag. 311 si occupa di «consulenza ed analisi» e supporta società pubbliche e private nella comprensione della «economia politica globale». Nell'ambito della medesima rogatoria gli inquirenti acquisivano la dichiarazione da parte loro che escludeva qualunque coinvolgimento o interesse nella ricerca svolta da Giulio Regeni in Egitto.
  Riguardo al suo tenore di vita, si può affermare che gli accertamenti e la documentazione bancaria acquisita, anche tramite la famiglia, hanno fotografato la condizione ordinaria di un giovane studente universitario, anche perché le borse di studio e le sovvenzioni accademiche, cui Giulio Regeni riusciva ad accedere grazie ai propri risultati, riuscivano a coprire le spese universitarie solo in modo parziale.
  In tale quadro complessivo in cui non mancava il sostegno familiare, l'impiego presso la citata Oxford Analytica ha sicuramente rappresentato il solo introito rilevante per lo studioso italiano.
  I magistrati hanno quindi potuto, alla fine, determinare la consistenza dei rapporti finanziari del giovane ricercatore, quantificando in complessive 14.000 sterline la sua disponibilità liquida.
  Un ruolo chiave nella ricostruzione degli eventi e dei rapporti tra il nostro ricercatore e la supervisor inglese, che verranno approfonditi in seguito, lo svolgono i documenti acquisiti dalle autorità britanniche, in esecuzione del citato Ordine Europeo, presso l'ufficio della professoressa a Cambridge. Tra questi la documentazione amministrativa e, soprattutto, copia degli scambi di e-mail, che hanno consentito di ricostruire l'approccio al tema della ricerca.
  Dal canto loro, gli inquirenti italiani(518) hanno riconosciuto il ruolo fondamentale svolto dalla magistratura del Regno unito nell'acquisizione della documentazione che, oltre ad aver consentito di ricostruire, in via oggettiva, i vari passaggi delle attività accademiche svolte da Giulio Regeni, in specie presso l'Università di Cambridge, hanno escluso la possibilità che egli, in Egitto, avesse altro obiettivo se non quello dichiarato: portare avanti la ricerca per il suo dottorato. L'esame dei conti correnti bancari ha infatti permesso di escludere che lo stesso avesse remunerazioni da soggetti o enti diversi da quelli dove aveva prestato la propria attività lavorativa – come l'UNIDO, Oxford Analytica – o da borse di studio ottenute da istituti universitari.
  Anche i riscontri effettuati presso la Fondazione Antipode con sede a Cardiff, svolti con la collaborazione sia della Thames Valley Police che della South Wales Police, non hanno fatto emergere alcun elemento, in quanto – come allora dichiarato dal responsabile della stessa fondazione, Andrew Kent, e poi da lui stesso confermato alla Commissione – non risulta alcuna richiesta di fondi da parte di Giulio Regeni e comunque nessun progetto è mai stato finanziato in Egitto.

10.2. L'Università di Cambridge(519)

  Le autorità accademiche di Cambridge hanno tenuto a ribadire alla Commissione la loro totale disponibilità a collaborare con la giustizia Pag. 312italiana, manifestata da subito e mai venuta meno. Essendo venuto a conoscenza delle interlocuzioni a livello politico per favorire tale collaborazione, il Vice-Chancellor, S. Toope, ha comunque tenuto a precisare che l'ateneo non ha ricevuto alcuna sollecitazione governativa che peraltro non sarebbe stata necessaria. Ha altresì rivendicato che l'Università è più volte intervenuta presso il Foreign Office perché esercitasse pressioni sulle autorità egiziane ed ha rilasciato ben tredici dichiarazioni pubbliche sul caso Regeni.
  La comunità accademica ha vissuto come un trauma la vicenda che ha avuto del resto eco in tutto il mondo ed è stata percepita come un attentato senza precedenti alla libertà accademica, destinato ad avere un effetto deterrente sulle ricerche sul campo all'estero di cui è stata messa in evidenza l'intrinseca vulnerabilità, nonostante le cautele adottate nel prepararle valutandone accuratamente il rischio. A detta del Vice-Chancellor, il solo precedente grave era costituito dalla detenzione di un ricercatore di Cambridge in Sud Sudan.
  Tuttavia, se è vero che, alla notizia della scomparsa, alcuni passi ufficiali furono compiuti ad esempio presso l'ambasciata inglese al Cairo e quella egiziana a Londra, non risulta che al massimo livello l'Università abbia chiesto al Foreign Office un pressante intervento sull'Egitto perché Giulio Regeni fosse ritrovato. Le autorità accademiche hanno riferito alla Commissione che sarebbe stato loro detto che la questione era di competenza italiana.
  Successivamente alla morte di Giulio Regeni, l'Università ha svolto un'indagine interna che ha accertato la correttezza di tutte le fasi procedurali del risk assessment, a partire dalla qualifica di «paese sicuro» riconosciuta dal Foreign Office. Un docente del dipartimento POLIS (G. Rangwala) è stato incaricato di vagliare tutti gli elaborati prodotti da Giulio Regeni per individuare elementi che avrebbero potuto essere stati trascurati, ma l'esito è stato negativo.
  Pur nella consapevolezza che le procedure allora vigenti erano state rispettate, l'Università ne ha promosso una revisione che ha condotto ad un profondo loro rafforzamento: 1) è stata introdotta un'istanza finale di valutazione con un'apposita commissione; 2) è stata ampliata la messa a disposizione delle informazioni anche attraverso le piattaforme digitali; 3) è ammesso il ricorso a organizzazioni indipendenti specializzate per valutazioni più complesse.
  La Pro Vice-Chancellor, E. Ferran, ha tenuto a precisare che tale revisione è stata imposta dall'accaduto ma non equivale ad una messa in discussione della procedura precedente. Anche con il nuovo sistema, la missione all'estero di Giulio Regeni sarebbe stata autorizzata de plano.
  Le autorità accademiche hanno infatti sottolineato come la disciplina, pur rigorosa, non sia volta a frenare, ma solo a regolamentare lo svolgimento delle ricerche all'estero, che sono fortemente volute dagli studenti e costituiscono un aspetto peculiare del modello-Cambridge. A domanda della Commissione, la professoressa Ferran non ha menzionato alcun caso di diniego dell'autorizzazione, anche se va osservato che molto probabilmente, nei casi dubbi, lo studente possa venire dissuaso all'interno del suo stesso dipartimento, e quindi ad un livello iniziale della procedura, dal portare avanti il progetto. Pag. 313
  A corollario di tale orientamento, la Commissione ha acquisito il dato che, anche dopo la morte di Giulio Regeni, l'Università di Cambridge non ha sospeso le ricerche in Egitto e che il numero dei suoi ricercatori in quel Paese è rimasto più o meno stazionario (circa 15-20 l'anno). È stato tuttavia accertato che il Dipartimento di scienze politiche e studi internazionali (POLIS), a cui Regeni era affiliato, non ha più inviato suoi studenti in Egitto, anche se ovviamente analoghe strutture di altri atenei britannici hanno continuato a farlo.

10.3. La supervisor, Maha Abdelrahman

  La posizione della supervisor della ricerca di dottorato di Giulio Regeni è stata più volte oggetto di discussione nei media, con riferimento a illazioni – come la sua affiliazione alla Fratellanza musulmana oppure una sua forma di consulenza prestata all'intelligence britannica anche attraverso il lavoro sul campo condotto al Cairo dallo stesso Regeni – la cui insussistenza è subito emersa evidente alla Commissione. E' superfluo sottolineare la facile strumentalità di tali illazioni. Non ha tuttavia giovato a fare chiarezza l'immediata e vivace solidarietà del mondo accademico nei suoi confronti, che è stata agevolmente interpretata in senso di difesa corporativa.
  Più complesso si è rivelato, invece, sviscerare il rapporto intercorso con la Procura della Repubblica di Roma, che ha più volte, anche in sede parlamentare, manifestato la propria insoddisfazione circa il livello della collaborazione alle indagini da parte della docente. L'incontro con la professoressa Abdelrahman, che la Commissione ha avuto a Cambridge nello scorso mese di settembre, ha consentito di acquisire nuovi elementi e di chiarire alcuni almeno dei punti controversi.
  Con riferimento alle contraddizioni ed imprecisioni che sarebbero emerse nel primo interrogatorio, subito dopo i funerali del giovane ricercatore a Fiumicello (in particolare, l'aver anticipato al 2009 il primo incontro con lo studente, poi ritardato al 2011), la docente ha fatto riferimento alle sue comprensibili condizioni di choc, alla mancanza di preavviso, alla difficoltà della traduzione, lamentando peraltro la circostanza, per lei inusuale, di ritrovare ampi stralci dello stesso interrogatorio pubblicati sulla stampa.
  Il secondo tentativo dei magistrati romani risale al 6 giugno 2016, in occasione della commemorazione a Cambridge alla presenza della famiglia. In tale circostanza, la docente spiega di aver chiesto di rispondere per iscritto per il particolare stato emotivo in cui versava quel giorno, pur non avendo in un primo momento escluso di presentarsi di persona. Ancora più vano si rivelava allora il tentativo di interrogare tre altre figure-chiave: la tutor dell'AUC, Raba El-Mahdi, l'intermediatrice tra Regeni e il sindacalista Abdallah, Hoda Kamel Hussein, e infine l'amica e collega Noura Wahby, già prospettato nella rogatoria del 28 aprile 2016, per l'assenza da Cambridge delle prime due e l'indisponibilità della terza.
  L'interrogatorio in presenza si sarebbe infine svolto nel gennaio 2018, ma gli inquirenti italiani sarebbero stati delusi dal fatto che non sarebbe stato loro consentito di porre direttamente le domande alla teste, dovendo ricorrere alla mediazione del magistrato britannico. Al Pag. 314riguardo, il legale della docente inglese ha dichiarato alla Commissione che tale sarebbe la procedura ordinaria nel Regno unito in simili casi.
  Ma indipendentemente dalle modalità in cui si è sviluppato il rapporto della supervisor con la magistratura italiana, in questa sede mette conto analizzare soprattutto le questioni più controverse che ne sono state l'oggetto e che gli inquirenti avevano posto alla docente sulla base dei materiali raccolti nel corso delle indagini ed in particolare attraverso la ricostruzione delle mail e delle chat di Giulio Regeni, senza ricevere risposte soddisfacenti.
  La prima questione riguarda la definizione del tema della ricerca ed in particolare la scelta di studiare il sindacato dei venditori ambulanti, che potrebbe essere ritenuto potenzialmente più esposto al controllo degli apparati di sicurezza, dal momento che la loro attività lavorativa si svolge sul territorio a stretto contatto con la popolazione. Risulta infatti alla magistratura italiana che il sindacato dei venditori ambulanti sarebbe stato giudicato come innovativo dalla supervisor, in quanto non approfondito in letteratura. In proposito, la professoressa Abdelrahman ha ribadito alla Commissione che il tema del sindacalismo indipendente in Egitto era al centro degli interessi di ricerca di Giulio Regeni sin dal 2012 (come dimostra il fatto che lo avesse proposto anche al professor Gilbert Achcar della School of Oriental and African Studies di Londra). Il tema sarebbe stato affinato nel corso del primo anno del dottorato, finalmente iniziato nel 2014, giungendo all'individuazione dei sindacati da focalizzare nell'ambito di un confronto tra lo studente e la supervisor, che si estendeva peraltro agli altri professori e ricercatori del Centro per gli studi sullo sviluppo, secondo un costume accademico ivi consolidato. Come confermato anche dagli altri docenti dell'Università di Cambridge sentiti dalla Commissione, la scelta dell'argomento della tesi di dottorato è considerata manifestazione della libertà accademica del ricercatore e non è pertanto oggetto di assegnazione da parte del supervisor. Il processo è anzi inverso: l'università ammette ai corsi di dottorato solo gli studenti che presentano progetti di ricerca per cui vi siano in seno al corpo docente le competenze per seguirli: un costume accademico molto diverso da quello italiano e forse non estraneo alla scelta del giovane friulano di studiare all'estero. Questo appare senz'altro il caso di Giulio Regeni, che sin dalla frequentazione del master nell'anno accademico 2011-12 aveva conosciuto Maha Abdelrahman, la quale si sarebbe poi data particolarmente da fare per fargli ottenere le risorse finanziarie necessarie alle spese universitarie, avendolo giudicato uno «studente eccezionale, brillante ed impegnato». In ogni caso, a detta della docente e dei suoi colleghi, il tema del sindacalismo indipendente ed in particolare il tema dei venditori ambulanti sarebbero stati studiati allora e continuerebbero ad esserlo oggi in Egitto.
  La seconda questione, che ha interessato in modo particolare la Procura della Repubblica di Roma, nasce dai dubbi, emersi in una corrispondenza privata, che Giulio Regeni avrebbe nutrito circa la scelta della sua tutor locale, Rabab El-Mahdi, nota per la sua opposizione al regime e soprattutto per aver appoggiato un candidato presidenziale fuoriuscito dalla Fratellanza musulmana – dubbi che lo studente avrebbe represso per non infastidire la supervisor. In proposito, dopo aver comunque tenuto a chiarire alla Commissione di essere Pag. 315una studiosa «pura» del tutto disinteressata alle attività pubbliche, a differenza di altri colleghi, la professoressa Abdelrahman ha presentato come la scelta della predetta docente presso l'American University of Cairo fosse naturale sulla base del tema della ricerca e condivisa dallo stesso Regeni, che le aveva sempre manifestato la più ampia stima verso di lei, il cui prestigio avrebbe peraltro aperto molte porte al giovane ricercatore, per cui avrebbe insomma «fatto curriculum» averla come tutor. La professoressa Abdelrahman ha comunque inteso precisare che la collega El-Mahdi seguiva all'epoca molti altri dottorandi ed altri ne ha seguiti poi e ne segue oggi, senza alcuna conseguenza. In ogni caso, non risulta che l'interazione in loco del Regeni con la sua tutor sia stata particolarmente intensa, a parte la presentazione iniziale presso il Centro per le ricerche economiche e sociali di Hoda Kamel. Né risulta che lo stesso Regeni abbia frequentato in modo particolare gli ambienti dell'AUC, come se la sua affiliazione avesse soprattutto un carattere burocratico.
  La docente di Cambridge ha poi fatto luce, nelle dichiarazioni rese alla Commissione, anche sul caso della studentessa la cui espulsione dall'Egitto, per aver ricevuto un libro sospetto da Israele, sarebbe stata motivo di preoccupazione per Giulio Regeni. In realtà, la studentessa non faceva riferimento alla professoressa El-Mahdi, ma alla stessa Abdelrahman e non sarebbe stata espulsa, ma avrebbe lasciato l'Egitto di sua iniziativa sentendosi a disagio dopo aver ricevuto quel libro, ma senza che avesse notato alcun segnale di essere stata posta sotto sorveglianza.
  Sulla terza questione, relativa alla conoscenza del bando di finanziamento della Fondazione Antipode, che secondo una corrispondenza familiare sarebbe stato suggerito al Regeni dalla sua supervisor, la docente di Cambridge, segnalando di conoscere l'omonima rivista geografica ma non avendola mai ricollegata all'esistenza di una fondazione, ha dichiarato alla Commissione di non avere un ricordo preciso, dal momento che molte e frequenti erano le indicazioni di ricerca che dava allo studente.
  La professoressa Abdelrahman ha fatto poi stato dei due incontri avuti al Cairo con Giulio Regeni, a settembre 2015 e a gennaio 2016, il primo meramente interlocutorio essendo il giovane studente appena arrivato, il secondo lusinghiero sul piano dei risultati raggiunti rispetto a cui non avrebbe però ricevuto alcuna relazione scritta, ritenendolo peraltro assolutamente prematuro. Nessuna preoccupazione sarebbe stata comunicata dallo studente alla docente in relazione alla sua sicurezza.

11. LA SITUAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN EGITTO E I SUOI RIFLESSI SU GIULIO REGENI

11.1 Il controllo delle ONG e degli attivisti per i diritti umani

  Dopo una breve apertura a seguito della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011, le organizzazioni indipendenti della società civile egiziana si trovano oggi ad affrontare l'ambiente più repressivo degli ultimi decenni. Storicamente, i governi egiziani hanno utilizzato selettivamente le restrizioni all'attività della società civile per garantire che Pag. 316la mobilitazione pubblica non oltrepassasse le linee rosse imposte dal regime al potere. L'attuale governo militare egiziano sta invece utilizzando molteplici tattiche per restringere – in modo netto – il raggio di azione della società civile che, diversamente da quanto successo in passato, non conosce con precisione le linee rosse imposte dal regime.
  Va ricordato che le organizzazioni non governative, ONG, erano già state prese di mira tra il 2011 e il 2013 con leggi, campagne e veri e propri processi che ne avevano indebolito l'attività. Il caso più eclatante e discusso fu il n. 173/2011 che, pochi mesi dopo la caduta di Hosni Mubarak, prese di mira attivisti e ONG che ricevevano finanziamenti dall'estero. Questo caso si trascinerà per anni. Nel 2013 una quarantina di imputati vengono condannati a pene varianti tra uno e cinque anni di carcere e le ONG inquisite chiuse. Dal 2014 vengono congelati i patrimoni di sette ONG e di una decina di difensori dei diritti umani e ad almeno trenta tra loro viene vietato di viaggiare all'estero. Nel 2018 però tutti gli imputati, alcuni dei quali fuoriusciti prima della condanna, vengono assolti.
  In anni così incerti e complessi da interpretare anche per il personale delle ONG, il ritorno dei militari al potere conduce a un nuovo giro di vite che si concentra soprattutto sui Fratelli musulmani e tutte le organizzazioni e i soggetti ad essi collegati o sospettati di esserlo. Tuttavia diviene presto evidente che la campagna repressiva del governo si estende ben oltre la Fratellanza musulmana e prende di mira attivisti, manifestanti, protagonisti della società civile e giornalisti, tutti attenzionati perché ritenuti potenziali minacce all'ordine pubblico e alla sicurezza nazionale.
  Questo nuovo giro di vite ha le seguenti caratteristiche:

   1) la criminalizzazione del dissenso pubblico in nome della sicurezza nazionale e dell'antiterrorismo;

   2) l'uso di riforme legali e decreti per istituzionalizzare le pratiche repressive precedentemente extragiudiziali e colmare le lacune esistenti, rafforzando così il controllo del settore della sicurezza sulla società civile;

   3) l'implementazione di azioni mirate di diffamazione nei confronti di attivisti e organizzazioni per i diritti umani.

  Ancor prima della ascesa di Al-Sisi alla presidenza della Repubblica, una nuova legge sulle manifestazioni approvata nel novembre 2013, durante il mandato del presidente ad interim Adly Mansour, concede ai servizi di sicurezza interni il potere di annullare o rinviare qualsiasi manifestazione che, secondo informazioni raccolte dalle forze di sicurezza, rischi di minacciare la sicurezza nazionale. Il linguaggio vago utilizzato dal testo di legge permette nei fatti di vietare diverse manifestazioni e raduni, a prescindere dalla reale minaccia che tali eventi pongano alla scurezza nazionale e alla tenuta stessa del regime(520).
  La morsa attorno alla società civile cresce proprio in coincidenza con le elezioni presidenziali del 2014, quando la campagna dei media Pag. 317di Stato aumenta il ritmo, con gli organi di informazione pro-Sisi che accusano varie ONG di essere colluse con la sfera del terrorismo o di lavorare per servizi di intelligence stranieri: entrambe le accuse, basate su informazioni tutte da verificare, portano i media a descrivere ONG e attivisti come traditori e/o potenziali minacce alla sicurezza nazionale.
  Inoltre, piuttosto che attendere l'approvazione di una nuova legge sulle ONG, poco dopo l'elezione di Al-Sisi viene ordinato a tutti i gruppi non governativi di registrarsi nuovamente – in 45 giorni – seguendo la legge già esistente. Questo ultimatum si rivolge soprattutto alle organizzazioni che erano già operative durante il regime di Mubarak, ma avevano evitato la registrazione formale. Secondo i funzionari governativi, tale percorso avrebbe dovuto aumentare la trasparenza dei finanziamenti – ancora una volta il vero nodo della questione – garantendo un maggior controllo soprattutto su quelli stranieri. Secondo le denunce di attivisti e ONG, dietro questa mossa si nasconde solo l'ennesimo tentativo di controllare ancora più capillarmente la loro attività, al fine anche di limitare ulteriormente il numero delle organizzazioni autorizzate ad operare.
  Questa non è l'unica mossa attraverso la quale si cerca di controllare le interazioni delle ONG con il mondo esterno. Una volta divenuto presidente, Al- Sisi si muove per istituzionalizzare ulteriori restrizioni ai finanziamenti stranieri. Nel settembre 2014, emana un emendamento all'articolo 78 del codice penale che vieta la ricezione di finanziamenti esteri per qualsiasi attività ritenuta dannosa agli interessi nazionali o compromettente per l'unità nazionale. Anche se la legge è nominalmente rivolta ai terroristi islamici, vista la vaga formulazione del testo viene poi utilizzata per colpire qualsiasi organizzazione della società civile finanziata da stranieri: in tal modo diventa sempre più complesso, se non impossibile, ricevere finanziamenti dall'estero.
  Dal 2015, le autorità egiziane avviano inoltre una nuova ondata di raid che ridona vita, nei fatti, al caso 173/2011(521) . Si tratta soprattutto di raid all'interno dei locali delle ONG superstiti, il cui personale viene sottoposto a interrogatori e si vede spesso congelati i beni e negata la possibilità di viaggiare all'estero. Nel settembre 2016, un tribunale penale congela i beni personali di cinque importanti difensori dei diritti umani e tre ONG: il Cairo Institute for Human Rights Studies, l'Egyptian Center for the Right to Education e l'Hisham Mubarak Law Center. Quattro mesi dopo, l'avvocata in lotta per i diritti delle donne, Azza Soliman, è la prima ad essere arrestata, poche settimane dopo che le autorità congelano i suoi beni e le impediscono di viaggiare all'estero. Nel febbraio del 2017 è il centro Al-Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza a essere chiuso con la forza dalla polizia egiziana.
  I travel ban – ovvero i divieti di espatrio – che vengono imposti su attivisti, dissidenti e personale di ONG diventano in fretta un nuovo strumento per soffocare il lavoro dei difensori dei diritti umani. Se in passato tali divieti di viaggio potevano essere applicati solo in base a un ordine del tribunale, ora sembrano più che altro sanzioni arbitrarie, spesso imposte senza motivi ufficialmente dichiarati, su avvocati, accademici, Pag. 318 giornalisti e attivisti. Questo accade mentre a una serie di ricercatori stranieri, soprattutto a quelli che si concentrano sulla questione dei diritti umani, e al personale delle organizzazioni internazionali viene negato l'ingresso in Egitto.
  A complicare ulteriormente il lavoro di queste organizzazioni sono quattro leggi: due contro il terrorismo approvate nel febbraio e nell'agosto del febbraio 2015, quella sulle ONG del novembre 2016 e la nuova legge sulle manifestazioni del dicembre 2016(522) . Le prime due leggi mirano a creare delle liste di entità terroristiche e di terroristi responsabili di violazione dell'ordine pubblico che vengono nei fatti definite attività terroristiche. Da segnalare al riguardo, non solo il linguaggio sempre molo vago di tali norme, ma anche l'uso strumentale del termine terrorismo, parola che diventa nei fatti una etichetta con la quale bollare tutti gli oppositori del regime, a prescindere dalla loro affiliazione a organizzazioni terroristiche o alla loro attività. La nuova legge sulle manifestazioni rende invece nei fatti sempre più complesso il legale svolgimento di raduni e proteste. Infine quella sulle ONG mira a delimitare ulteriormente l'azione di queste organizzazioni, stabilendo che possano svolgere solo attività mirate al settore dello sviluppo e del sociale – campi peraltro non ulteriormente definiti nella legge – e proibendo attività ritenute vagamente dannose. Alle ONG viene specificatamente impedito di interferire con i sindacati, interrompendo così i legami tra i gruppi non governativi e la più ampia rete di associazioni ufficialmente in difesa dei lavoratori. La nuova legge, che formalizza anche la supervisione da parte di agenzie statali di sicurezza di tutti i finanziamenti e delle attività svolte, introduce inoltre severi sanzioni, multe pesanti e pene detentive per chi non rispetta le nuove norme.
  La progressiva repressione attorno alla società civile egiziana sino ad ora descritta, insieme alle sempre più crescenti difficoltà che il settore incontra nel fare fund raising, intimorisce e intimidisce l'azione delle ONG, costrette nei fatti a rivedere le loro dimensioni, quelle dei loro progetti e la loro prospettiva. La fitta rete di relazioni internazionali tessuta in passato diventa ora sempre più pericolosa da coltivare.
  È in questo contesto che diventata progressivamente più chiuso e repressivo che va inquadrata e interpretata la nascita di una nuova ondata di esuli che dal 2014 inizia ad abbandonare l'Egitto per motivi politici, per spostarsi – anche con viaggi rocamboleschi – soprattutto in Europa, negli Stati Uniti, in Turchia e in Qatar(523). Un fenomeno ancora poco studiato, ma la cui entità e il cui peso politico sono sempre più evidenti. Se Istanbul, insieme a Doha, diventa nei fatti la capitale dell'opposizione islamista, Berlino è oggi il punto di incontro dell'opposizione più laica al regime militare. Non sorprende quindi che proprio nella capitale tedesca compaia un graffito dedicato a Giulio Regeni, firmato dall'artista egiziano El- Taneen.

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11.2 Leggi repressive e situazione dei media

  L'apparato statale egiziano ha da sempre avuto il controllo dei media, che ha storicamente esercitato attraverso diverse istituzioni e un ampio apparato di leggi che nei fatti hanno giustificato il ricorso alla censura, diffondendo nell'ambiente giornalistico la pratica dell'autocensura. I media statali, nazionalizzati nel '56 dal primo presidente dell'epoca repubblicana, Gamal Abdel Nasser, sono diventati uno strumento nelle mani del governo per reprimere ogni forma di dissenso. In un sistema che solo formalmente riconosce il principio della separazione dei poteri, una stampa simile è diventata non solo un potere aggiuntivo nelle mani dell'esecutivo, ma un ulteriore strumento repressivo. L'intero settore ha perso quindi in fretta credibilità e i media sono stati progressivamente percepiti come mero megafono del potere.
  Con l'inizio del nuovo secolo, durante l'epoca del presidente Hosni Mubarak, un parziale processo di liberalizzazione porta al superamento del monopolio statale, aprendo al settore privato che in fretta prolifera. Anche se la maggioranza di questi nuovi outlet finisce nelle mani di uomini di affari fedeli o legati a Mubarak, tale novità crea maggiori opportunità di dibattito pubblico, vedendo la nascita di diversi programmi e rubriche dedicate alla politica. Questo originale processo di politicizzazione del discorso mediatico prende forma soprattutto attorno al 2005, in concomitanza con la nascita di Kifaya, (Abbastanza) il primo vero e proprio cartello di opposizione. Parallelamente, proprio in questi anni, esplode la blogosfera che diventa cassa di risonanza delle istanze anti-regime, anticipando su internet la rivoluzione di piazza Tahrir, scoppiata il 25 gennaio del 2011, nel silenzio totale dei media statali che addossano la colpa di quanto sta accadendo a cospirazioni straniere.
  Dopo la caduta di Hosni Mubarak, l'intero settore cerca di ricollocarsi, dandosi una nuova identità, convinto di aver guadagnato una certa indipendenza dall'esecutivo, passato nel frattempo nelle mani di un consiglio militare di transizione. Se da un lato si registra un'esplosione di nuove testate e trasmissioni militanti e in linea con lo spirito rivoluzionario, dall'altro diventano presto evidenti i limiti del processo di epurazione all'interno del settore che deve in fretta fare i conti con una nuova serie di restrizioni e un forzato riallineamento al fianco dell'esercito che già nell'ottobre 2011 notifica a tutte le testate il divieto di pubblicare notizie relative alle forze militari senza previa autorizzazione. Facile quindi capire perché la gestione violenta della fase di transizione viene pubblicamente difesa dalla maggior parte delle testate. Molte, tra queste, danno spazio alle dichiarazioni del generale Abdel-Moneim Kato che addossa la responsabilità del caos della fase di transizione ad «agende di potenze straniere», legate a doppio filo all'attività di giornalisti stranieri che vengono quindi visti con crescente sospetto e in alcuni casi vengono attenzionati. Già nel giugno 2011, un cittadino israeliano viene arrestato con accuse di spionaggio. Esattamente un anno dopo, televisioni pubbliche e private diffondono un vero e proprio messaggio pubblicitario che, parlando di alto tradimento, manda in onda le immagini di stranieri, nello specifico i giornalisti stranieri, suggerendo ai telespettatori di mantenere le debite distanze. Con il titolo «una parola salva la nazione» questo video diventa il primo di una serie di filmati simili che invitano gli egiziani a non Pag. 320condividere informazioni con stranieri o a non scriverle su social network, facilmente reperibili da questi.
  È in tale ottica che va considerata l'enfasi che i media egiziani danno in un primo momento alla presunta attività giornalistica di Giulio Regeni, accusato da alcuni organi di stampa di scrivere, per lo più senza la necessaria autorizzazione, per una testata di «sinistra e militante come il manifesto», una attività che Regeni non ha mai svolto, fatta eccezione per un articolo a quattro mani pubblicato sul sito Nena News sotto pseudonimo e solo dopo la sua morte sul quotidiano romano(524)
  La sfiducia nei confronti dei media stranieri è una tendenza ben radicata tra la popolazione: solo un egiziano su cinque pensa che sia importante informarsi su fonti straniere. Il 30% pensa invece che esistano dei tabù dei quali non si può parlare pubblicamente nei bar come sui giornali e, più recentemente, sui social media. Tabù numero uno la politica, seguito dalle questioni prettamente militari e dalle violazioni dei diritti umani perpetrate da organi statali: linee rosse molte chiare fino al giorno della rivoluzione, scomparse per qualche mese e poi tornate in auge, in maniera arbitraria nel «nuovo» ambiente mediatico post rivoluzione.

La «Sisification» del sistema mediatico

  Da quando Abdel Fattah Al-Sisi prende il potere, il settore privato proliferato nell'epoca di Mubarak viene progressivamente allontanato dal mondo dei media. Alcune testate o emittenti scompaiono, altre sono nei fatti costrette a vendere a gruppi che in alcune occasioni, dopo averle acquistate, le chiudono. Imprenditori, come Naguib Sawiris, che grazie al rapporto con Mubarak erano riusciti a lanciare emittenti proprie, si trovano davanti a una spirale di declino, superata con successo invece da Mohammed Abu al-Enin, uno dei principali imprenditori egiziani. Presidente dell'Egyptian European Council, Abu el-Enin è un importante finanziatore del fondo «Lunga vita all'Egitto» voluto dal presidente Al-Sisi per risolvere i problemi economici egiziani, nonché proprietario dell'emittente «Sada al-Balad», una televisione che sostiene apertamente Al-Sisi e una delle poche emittenti private che non ha ancora venduto quote. Grazie anche al suo buon italiano, Abu al-Enin diventa un anello importante del processo di riavvicinamento tra Italia ed Egitto dopo il ritiro dell'ambasciatore Maurizio Massari. A dimostrarlo non sono solo le missioni d'affari italiane che lui accoglie in Egitto, ma anche i suoi incontri con politici italiani, anche all'interno del Parlamento.
  Dalla scomparsa di Giulio Regeni ai giorni nostri, importanti cambiamenti attraversano l'ambiente mediatico. Per riprendere il controllo dell'intero settore, Al-Sisi intraprende un processo che gli analisti chiamano la «Sisification» dei media e che prevede: 1) la chiusura dei canali religiosi, leali alla Fratellanza musulmana, che dopo il colpo di stato del 2013 torna ad essere un gruppo clandestino; 2) il blocco di programmi televisivi particolarmente influenti sull'opinione pubblica, Pag. 321ma non perfettamente in linea con l'esecutivo; 3) l'implementazione di nuove leggi; 4) il lancio di una serie di corposi investimenti nel mercato mediatico che si concretizzano con l'acquisto di quote di emittenti private o il lancio di nuove.
  Quest'ultimo è certamente l'aspetto più interessante e originale dell'intero processo perché attraverso una serie di operazioni poco trasparenti e che si concretizzano tramite la General intelligence (servizi segreti) e l'intelligence militare, la già solida economia militare egiziana mette le mani su importanti fette del settore mediatico. Nel 2016, quando a capo della General intelligence c'è Khalid Fawzi – uomo poi allontanato da Al-Sisi che nel 2018 non si sente sicuro del suo sostegno alla vigilia delle presidenziali – nasce l'Egyptian Media Group, EMG, un gruppo che porterà a termine gli investimenti sopramenzionati nel settore mediatico, divenendo il più grande conglomerato di media, prima di essere acquistato dall'Eagle Capital, un'azienda di investimenti posseduta dalla General intelligence. Attualmente l'Egyptian Media Group, nato all'epoca con fondi di dubbia provenienza, possiede le tre principali televisioni private, pacchetti di maggioranza almeno in tre giornali privati, quote importanti dell'industria di produzione cinematografica. Se a questi investimenti privati aggiungiamo le emittenti pubbliche, si può concludere che lo Stato possiede il 60% del settore televisivo. In parte più diversificato resta il mondo della stampa che, oltre ai giornali statali, primo fra tutti «Al-Ahram», comprende testate private come «Al-Masry al-Youm», «Al-Shorouq» e «Al-Dostur». Da menzionare anche le radio e le televisioni sulle quali mette le mani l'intelligence militare, attraverso Falcon Group e D Media.

Le limitazioni alla libertà di stampa e il caso Regeni

  A cambiare in questi anni è anche l'intero quadro normativo che regola il settore mediatico. Il processo di riforma invocato dalla rivoluzione, impaziente di creare un corpo indipendente in grado di scongiurare il controllo politico sui media statali, non si concilia con le esigenze di chi dal 2013 torna al potere e intende utilizzare i media come strumenti per implementare la sua agenda politica. A tale scopo, nel 2018 vengono promulgate quattro leggi:

   la legge 178/2018 che regola l'attività dell'Autorità dei Media Nazionali che si occupa di radio e televisioni statali;

   la legge 179/2018 che regola l'Autorità della Stampa Nazionale;

   la legge 180/2018 che regola stampa e media e rivede il ruolo del Consiglio supremo per il Regolamento dei media, il più potente organo di controllo che gestisce le licenze e ha l'autorità di bloccare siti o limitare la libertà di stampa;

   la legge 175/2018, la cosiddetta legge sul Cyber Crime, che permette di bloccare siti che pubblicano contenuti vagamente considerati criminali o pericolosi per la sicurezza nazionale.

  In linea con queste leggi, criticate tanto da numerosi giornalisti egiziani che dalle organizzazioni internazionali per la difesa della stampa, il presidente della Repubblica nomina i vertici del Consiglio Pag. 322supremo e delle due Autorità che a loro volta scelgono i vertici interni a stampa, radio e tv. Da ricordare che il presidente nomina anche i vertici della General intelligence (proprietaria della Eagle Company che possiede l'Egyptian Media Group) e il ministro della Difesa che a sua volta nomina il direttore dell'intelligence militare che ha una stretta relazione con il Falcon Group e D Media. Si può quindi concludere che, più o meno direttamente, il potere esecutivo ha in pugno il controllo dei media.
  Anche se la Costituzione vigente garantisce l'esistenza di una stampa libera e indipendente, vietando esplicitamente la censura, questa resta una garanzia formale, visto che nei fatti questi diritti sono spesso negati. Basta pensare che nel 2019 sono stati arrestati più di 25 giornalisti e chiusi oltre 500 siti web, tra i quali anche testate giornalistiche. Le misure censorie includono: il bando via decreto di alcune pubblicazioni, le pressioni su giornalisti ed editori da parte di organi deputati alla sicurezza, attacchi diretti e indiretti a giornalisti e loro congiunti. Da menzionare anche le pressioni sui giornalisti stranieri che denunciano minacce e attenzionamenti, mentre contro la BBC è nata una vera e propria campagna di boicottaggio guidata dallo State Information Service.
  Secondo quando riporta il Media Ownership Monitor, dal maggio 2017 le autorità avrebbero aumentato il controllo sui siti internet, arrivando a bloccare soprattutto quelli con contenuti relativi al tema della libertà di stampa ed espressione o concentrati su questioni di diritti umani: dal blog del celeberrimo attivista Alaa Abdel Fattah, attualmente in carcere, ai siti di «Al-Jazeera» (la principale televisione panaraba bandita dal Cairo) ed anche a quello di Human Rights Watch, all'Arabic Network for Human Rights Information, a Reporter Senza Frontiere, Amnesty International e «Mada Masr», unica vera e propria testata indipendente in Egitto, più volte vittima di raid della polizia e arresti del suo personale. Vengono bloccati anche siti che permettono di bypassare la censura come il browser ToR e i servizi VPN.
  Nello specifico del caso Regeni, bisogna ricordare che nel maggio 2016, la testata «Mada Masr» rivela una svista del Ministero degli Interni che invia a una lista di giornalisti la sua strategia mediatica relativa a questioni particolarmente sensibili, come appunto quella. Nel documento filtrato viene anche richiesto di imporre un divieto di pubblicazione sul caso e si parla di una proposta del ministro competente di coordinarsi con la Procura generale per osservare questo divieto fino alla fine delle indagini in corso. E' sempre in questo documento che si trova la proposta di integrare il personale del ministero dell'informazione con impiegati del ministero degli interni dedicati esclusivamente al monitoraggio delle testate online la cui frequenza di pubblicazione cresce esponenzialmente.
  Il «New York Times» e l'agenzia «Reuters» diventano i soggetti giornalistici stranieri più attenzionati e criticati per la loro copertura del caso Regeni dalla stampa egiziana che si sforza di smentire ogni loro ricostruzione in cui si parli del coinvolgimento degli apparati di sicurezza. Nell'aprile 2016, il ministro degli Interni deposita presso la polizia un formale reclamo nei confronti dell'ufficio egiziano della «Reuters», accusato di diffondere «false notizie, usando fonti anonime.» Come precisa «Al-Ahram», a scatenare l'ira del ministro Pag. 323sarebbe stato il report dell'agenzia che, citando fonti anonime interne agli apparati della sicurezza, racconta che Regeni, prima della sua morte, è stato preso in custodia dalla polizia. L'affondo del governo contro «Reuters» trova ampio spazio anche su «Al-Ahram Weekly» del 23 aprile 2016, che cita parte della conferenza stampa tenuta da Al-Sisi in occasione della visita al Cairo del presidente francese Hollande. Anche in questo caso, il presidente egiziano parla del caso Regeni come di un complotto per distruggere le istituzioni egiziane e le relazioni che il Cairo intrattiene con i vicini europei. Sempre in questa occasione, viene criticato l'articolo pubblicato dal «New York Times» secondo cui Regeni, la sera del 25 gennaio, sarebbe stato preso da agenti di polizia. Ricostruzione che il Ministero degli Interni smentisce, contestando alla testata statunitense di saltare a conclusioni false, senza aspettare la fine delle indagini. In più di una occasione, il «New York Times» – giornale accusato in diverse dirette televisive di avere pregiudizi nei confronti del Cairo e di essere fazioso e bugiardo – viene invitato a consegnare alla giustizia egiziana i testimoni, ovvero le fonti, su cui costruisce i suoi articoli sul caso Regeni. La stampa internazionale viene considerata complice dei complottisti in quanto utilizza fonti non affidabili perché «vicine ai terroristi».
  Per resistere al cosiddetto complotto, la stampa egiziana viene più volte invitata da esponenti politici, ministri o parlamentari, a tenere un atteggiamento nazionalista, difendendo quindi apertamente la posizione del governo e l'immagine del Paese all'estero, resistendo attivamente alle «cospirazioni» in atto contro lo stato e alle interferenze straniere. Quanti – a partire dalla testata indipendente «Mada Masr» – non si attengono a queste direttive vengono descritti a loro volta come cospiratori contro lo Stato per i loro contatti con giornalisti stranieri.
  I normali cittadini che nei giorni dopo la morte di Regeni vanno davanti all'ambasciata italiana a deporre un fiore, vengono invece presentati come elementi destabilizzanti per il Paese, incapaci di difendere l'orgoglio nazionale, «cadendo nel tranello della cospirazione» anti-egiziana. Mona Seif, la sorella del noto attivista in carcere Alaa Abdel Fattah, lei stessa arrestata nel giugno 2020, arriva ad essere minacciata sugli schermi televisivi – come peraltro più tardi succederà anche a Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty international – dopo essere stata la prima ad accusare il generale Khaled Shalaby di essere tra i responsabili della morte di Regeni. Il 27 marzo 2016 è la testata on line di «Al-Ahram» a dare spazio alle dichiarazioni del ministro degli interni Ghaffar che punta il dito contro quella che chiama una «ostile campagna mediatica» sul caso Regeni che solleva dubbi circa gli sforzi del ministero degli interni egiziano per la ricerca della verità. Nel mirino del ministro i giornalisti egiziani non allineati alla versione ufficiale che, secondo Ghaffar, rendono ancora più difficile il raggiungimento della verità. Toni ancora più accesi vengono usati, nell'aprile dello stesso anno, dal presidente Al-Sisi in un intervento televisivo, ripreso poi da quasi tutti i quotidiani, durante il quale il presidente parla di «cattivi» egiziani che imbarazzano il Paese a livello internazionale per le «bugie e le dichiarazioni fabbricate» che dicono su diversi dossieri, tra i quali anche il caso Regeni.
  Anche se la teoria del complotto domina il dibattito, questa non è l'unica ad emergere dall'analisi dell'ambiente mediatico, soprattutto Pag. 324dalla lettura della stampa. Da un'analisi continuativa e incrociata di diverse fonti, già nei primi mesi successi all'omicidio Regeni emergono inviti alla trasparenza, rivolti agli apparati statali. In alcuni casi, compaiono anche velate critiche alla gestione del caso e delle inchieste, se non addirittura velate accuse contro apparati, o parti di apparati, del sistema di potere, soprattutto dei servizi segreti e di sicurezza. Nel complesso, in alcuni tratti sembra emergere che dietro la cattura, le torture e infine l'uccisione di Giulio Regeni ci siano anche delle frizioni o un rimpallo di responsabilità, mai delineate nei dettagli, tra le diverse agenzie della sicurezza all'interno del Paese. In diverse occasioni inoltre, diverse testate, soprattutto cartacee, invitano le autorità a un comportamento responsabile e trasparente e quindi a punire i responsabili della morte di Regeni, anche per non infangare la credibilità e la serietà egiziana. A tale riguardo, è utile ricordare la scarsa attenzione dedicata al licenziamento, nel marzo 2016, del ministro della giustizia, Ahmed Al-Zend, ufficialmente uscito di scena per blasfemia. Anche se questa è la motivazione che viene data dalle testate main stream, fonti più indipendenti riconducono il suo repentino licenziamento a quanto da lui detto durante un'intervista alla televisione «Sada al-Balad» proprio sul caso Regeni. Utilizzando una precisa espressione dialettale attraverso la quale si evita di citare temi tabù – dando quindi per scontato che l'interlocutore sappia di che cosa si parla – Al-Zend ha infatti affermato che la relazione del medico legale sul corpo di Regeni «svela quello che tutti sappiamo».

11.3 L'aumento delle incarcerazioni e il fenomeno delle sparizioni forzate

  Il progressivo deterioramento delle condizioni dei diritti umani che si nota in Egitto a partire dall'estate del 2013 è legato anche a una crescita delle incarcerazioni, causata soprattutto dagli arresti di massa iniziati in concomitanza con il colpo di Stato. Da allora, la procura antiterrorismo incrementa in maniera significativa il proprio lavoro, passando dai 529 casi trattati nel 2013 ai circa 1740 del 2018. Nei 12 mesi dopo il colpo di Stato si contano più di 40 mila nuovi arresti, quasi tutti di persone collegate o accusate di essere collegate con la Fratellanza musulmana e, più in generale, di dissidenti politici. La legge sulle manifestazioni del novembre 2013, insieme alle successive norme che progressivamente restringono lo spazio di azione della società civile forniscono altri pretesti per gli arresti e le conseguenti detenzioni che, secondo i dati di Amnesty international, sarebbero – nel dicembre 2020 – oltre 114 mila, circa il doppio della capienza carceraria dichiarata dal governo. Una cifra difficile da verificare, ma in linea con il dato di 106 mila detenuti, registrato nel 2016 dall'Arabic Network for Human Rights Information. Un altro picco di detenzioni sommarie e di gruppo si registra nella seconda metà del 2019, dopo le manifestazioni antigovernative di settembre. Proteste in fretta sedate dalle forze dell'ordine, ma poi seguite da arresti – circa 4000 – non solo in strada, ma anche porta a porta.
  In aumento risultano anche le strutture detentive. Secondo il Tahrir Institute for Middle East Policy, negli otto anni successivi alla rivoluzione Pag. 325 del 2011 vengono costruite 19 nuove strutture carcerarie(525). Oltre all'aumento degli arresti e delle torture interne alle carceri, denunciate soprattutto dal centro «Al- Nadeem», è da notare anche un progressivo aumento della negligenza sanitaria. A causa del sovraffollamento e dell'incuria, si registra infatti una crescita di morti dentro le carceri, tra questi anche il caso eclatante dell'ex presidente islamista Mohamed Morsi, deceduto nel giugno 2017 per un infarto durante un processo in cui era accusato di spionaggio. Secondo i familiari, i suoi legali e altri difensori dei diritti dei detenuti, Morsi non ha ricevuto adeguate cure mediche durante la sua detenzione.
  Altro fenomeno di cui si registra un preoccupante trend in crescita è quello della detenzione preventiva, una tattica repressiva già utilizzata durante l'epoca di Mubarak, ma non in modo così ricorrente e per periodi tanto lunghi. Furono proprio talune riforme approvate tra il 2006 e il 2007 a limitare a un massimo di due anni il periodo di custodia cautelare. Oggi circa il 10% della popolazione carceraria egiziana è in detenzione cautelare per una durata in media tra i sei e i 18 mesi, superando però a volte anche i limiti temporali imposti per legge.
  Oltre agli abusi della custodia cautelare, a diffondersi è anche una nuova tecnica repressiva, la cosiddetta pratica delle «porte girevoli» che consiste nell'arresto immediato, attraverso accuse simili a quelle precedenti, di un detenuto appena rilasciato dopo aver scontato la pena. Infine, sempre più diffusa è anche un'altra pratica messa in atto dai pubblici ministeri e dalle autorità giudiziarie che creano le condizioni per la continuazione di parte della pena anche dopo il rilascio di un detenuto. Sempre più spesso, chi esce dal carcere continua nei fatti a scontare parte della pena, vivendo nel limbo di una sorte di libertà vigilata che prevede di trascorrere 12 ore al giorno – dalle 18 alle 6 del mattino – in una stazione di polizia. Deliberatamente pianificate, tutte queste pratiche limitano gravemente la capacità di un detenuto di condurre una vita normale e lo mettono sotto il controllo del sistema penale anche per vari anni dopo il rilascio. Secondo una serie di analisti, tali politiche, trasformando nei fatti il sistema penale egiziano in uno strumento di detenzione senza fine, stanno favorendo nelle carceri la nascita di focolai di radicalismo(526).
  Altro fenomeno repressivo di cui si registra una crescita preoccupante, peraltro direttamente legato alla tragica vicenda di Giulio Regeni, è quello delle sparizioni forzate. La Convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone vittime di sparizioni forzate stabilisce tre elementi essenziali per definire di una sparizione forzata:

   che ci sia un arresto, una detenzione, un rapimento o ogni altra forma di privazione della libertà;

   che tale condotta sia messa in atto da agenti dello Stato o da parte di persone o gruppi di persone che agiscono con l'autorizzazione, il sostegno o l'acquiescenza dello Stato;

Pag. 326

   che essa sia seguita o dal rifiuto di riconoscere la privazione della libertà o dall'occultamento della sorte riservata alla persona scomparsa e del luogo in cui questa si trova, ponendola così al di fuori della protezione della legge.

  Nel contesto egiziano, da un punto di vista storico, va osservato che, anche se le sparizioni forzate sono già state impiegate dai regimi precedenti a quello di Al-Sisi (già nell'epoca di Nasser, ad esempio, esistevano centri di detenzione non ufficiali per l'arresto di dissidenti politici), è soprattutto negli anni successivi al colpo di Stato del 2013 che si registra un significativo aumento – quantitativo e qualitativo – del fenomeno, come mostra la Figura 1, inserita nel rapporto 2018 del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate o involontarie(527).

Figura 1: Egitto, casi di sparizioni forzate per anno

  Dopo il colpo di Stato, si nota una crescita a picco dei casi di sparizione forzata che raggiungono cifre mai sfiorate prima, come registrano peraltro nel giro di pochi anni alcune ONG che iniziano a seguire, analizzare e studiare questo fenomeno più da vicino. A denunciare, a livello globale, il ricorso a questa pratica è nel 2016, la pubblicazione del primo corposo rapporto di Amnesty International dedicato proprio alle sparizioni forzate in Egitto(528). Anche se già precedentemente la stessa organizzazione aveva denunciato, tramite comunicati e azioni urgenti, il ricorso, in Egitto, a questa pratica, quello del 2016 è il primo rapporto esaustivo sul fenomeno che si basa su interviste con ex detenuti e analizza diciassette casi specifici. Secondo Pag. 327la puntuale ricostruzione di Amnesty international, l'aumento delle sparizioni forzate non avviene in un periodo casuale, ma coincide con la nomina del maggiore generale Magdy Abd al-Ghaffar a ministro dell'Interno, nel marzo 2015, da parte del presidente Al-Sisi. Prima di diventare ministro dell'Interno, Magdy Abd el-Ghaffar aveva infatti servito come funzionario di alto livello nei servizi d'indagine per la sicurezza dello stato, la polizia segreta di Mubarak nota per aver commesso frequenti e sistematiche violazioni dei diritti umani, nonché presso la National Security Agency.
  Nonostante l'attenzione che le ONG egiziane dedicano alla crescita di questo fenomeno, resta difficile quantificarne, numericamente, la portata, vista anche la difficoltà nell'identificare e documentare i singoli casi, a causa del segreto d'ufficio che li circonda e del timore di alcune famiglie di esporre involontariamente i detenuti a un pericolo maggiore, denunciandone la sparizione forzata. Nel 2016, le Nazioni Unite parlano di circa 160 casi di sparizioni forzate, mentre Amnesty international, in linea con i dati di altre ONG egiziane, ritiene che dal 2015 sono in media tre o quattro le persone che ogni giorno diventano oggetto di sparizione forzata. Tra questi anche minori.
  A essere arrestati arbitrariamente, quando non addirittura rapiti, sono soprattutto attivisti, giornalisti, oppositori del regime e dissidenti politici presi in strada, dalle loro abitazioni o dai luoghi nei quali si recano, senza alcun mandato di arresto o perquisizione, da parte di agenti statali. Durante il periodo di detenzione, questi non hanno accesso a famiglia e legali e vengono detenuti al di fuori di qualsiasi ambito giudiziario. Secondo le testimonianze dei detenuti oggetto di sparizione forzata, al Cairo uno dei centri dove è più comune essere trattenuti è proprio il centro di Lazoughly all'interno della sede del ministero degli Interni nel centro del Cairo, lo stesso dove il testimone Epsilon dice di aver visto Giulio Regeni. In altri casi, le persone trattenute vengono portate in stazioni di polizia, sotto l'autorità della National Security, come l'ufficio del «6 ottobre» nell'omonimo governatorato del Cairo, o – in caso di detenuti sospettati di coinvolgimento in attacchi alle forze armate – in strutture di detenzione dell'intelligence militare dove sono interrogati, prima di essere processati da tribunali militari. In tutti i casi, le persone trattenute non vengono incluse nel registro ufficiale dei detenuti. Alcuni di loro sono tenuti in condizioni di sparizione forzata per qualche giorno soltanto, mentre altri vi rimangono anche per diverse settimane o mesi, senza alcun contatto con i familiari o con gli avvocati, che fanno sforzi notevoli per individuare i loro parenti o clienti. Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, sono molte le famiglie che inviano telegrammi postali al ministro della Giustizia, al pubblico ministero o al ministro degli Interni, ai procuratori generali e al Consiglio nazionale per i diritti umani per segnalare l'arresto dei loro familiari e la data della sparizione. Nessuno riceve però risposta. Vani anche i tentativi di quanti si recano direttamente presso le stazioni di polizia o le carceri: gli ufficiali solitamente negano di detenere i loro familiari. Infine, Pag. 328risulta inutile rivolgersi anche agli uffici dei pubblici ministeri che tendono a insabbiare i casi(529).
  Secondo la legge egiziana, il pubblico ministero ha la responsabilità di assicurare che tutti gli arresti e gli stati di detenzione siano conformi alla legge e che i diritti dei detenuti siano garantiti, inclusa la protezione dall'essere torturati. Nella pratica però gli ex detenuti, le loro famiglie e i loro avvocati accusano i pubblici ministeri di essere complici delle violazioni dei diritti umani perpetrate dagli agenti della National Security. L'insabbiamento da parte dei procuratori delle violazioni commesse dalla NSA è l'ennesima conferma della dipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo. Da ricordare che il pubblico ministero e tutti gli altri procuratori egiziani sono approvati dal presidente della Repubblica.
  Analizzando le testimonianze di molti detenuti – anche minori – vittime di sparizioni forzate emergono una serie di torture e maltrattamenti subiti durante gli interrogatori, nei fatti colloqui inquisitori gestiti con l'uso della forza, durante i quali vengono estorte delle «confessioni» da utilizzare poi nel corso del processo a loro carico come prova contro di loro o contro altri a loro vicini. In alcuni casi, la NSA ha anche videoregistrato tali «confessioni» e le ha fatte trapelare attraverso le agenzie di stampa per mostrare al pubblico egiziano e alla comunità internazionale che le forze di sicurezza egiziane sono impegnate in quella che viene chiamata la generica e onnicomprensiva «lotta al terrorismo» e che la maggior parte dei «terroristi» sono, o sono stati, sostenitori dell'ex presidente islamista Mohamed Morsi, se non addirittura membri della Fratellanza musulmana.
  Nonostante le crescenti prove di abuso, il governo egiziano continua a negare che le sue forze commettano sparizioni forzate (termine che non è presente nella legge egiziana), torture e altre gravi violazioni dei diritti umani. Anche se l'Egitto non è parte della Convenzione internazionale sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate, la sua Costituzione vieta arresti e detenzioni senza un ordine giudiziario motivato, come del resto la tortura; il codice di procedura penale richiede che la polizia faccia comparire le persone arrestate davanti ad un pubblico ministero entro 24 ore dal loro arresto, a seguito del quale il pubblico ministero può autorizzare l'ulteriore detenzione per periodi rinnovabili di quattro, 15 e 45 giorni eccetto in casi di persone arrestate in base alla legge contro il terrorismo.
  Di fronte alle continue smentite del governo circa la crescita delle sparizioni forzate, dal 2015 gli attivisti egiziani decidono di intraprendere una serie di iniziative di denuncia di questa pratica, all'interno di più ampie campagne contro le violazioni dei diritti umani. Nella seconda metà del 2015, è la Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), quella a cui afferiscono i consulenti legali della famiglia Regeni, a lanciare la campagna «Stop alle sparizioni forzate» per mobilitare l'opinione pubblica egiziana e per attirare l'attenzione della comunità internazionale sul problema. Dall'estate 2015, questa Commissione Pag. 329 inizia a documentare in maniera sistematica le sparizioni, registrandone oltre 300 casi tra l'agosto e il novembre di quell'anno. Un lavoro certosino – che viene poi riassunto in un rapporto del 2020(530)- mal digerito dalle autorità che arrivano ad arrestare Mohamed Lofty, dirigente di Ecrf, ora nuovamente in libertà. A essere arrestata, nel maggio 2018, è anche Amal Fathi, moglie di Lofty e anche lei membro dell'Ecrf. Dopo aver pubblicato su Facebook video in cui denuncia molestie sessuali e critica la reazione blanda dello Stato, Amal Fathy viene accusata di appartenere a un gruppo terrorista che vuole rovesciare il regime e di aver pubblicato false notizie. Il suo caso preoccupa in particolar modo i membri della famiglia Regeni che mostrano immediatamente la loro apprensione – alla quale si somma quella dell'avvocato Ballerini – per la sorte dei loro difensori al Cairo, visto il prezzo da loro pagato in termini di libertà e sicurezza a causa delle loro battaglia legale nel cercare e pretendere verità per Giulio. Secondo Lofty, dietro la detenzione della moglie ci sarebbe stato un accanimento nei suoi confronti come legale della famiglia Regeni e come direttore della commissione egiziana per che si occupa del caso. Schierandosi al loro fianco, Paola Deffendi e Alessandra Ballerini lanciano e poi iniziano un digiuno a staffetta al quale aderiscono in fretta centinaia di persone che chiedono l'immediata liberazione di Fathy, avvenuta poi nel dicembre 2018.
  Oltre all'Ecrf, anche il centro «Al-Nadeem», che si occupa delle vittime delle torture, inizia ad occuparsi del tema delle sparizioni forzate; proprio nel 2016 a questa organizzazione viene consegnato un ordine di chiusura. Nel mirino delle autorità egiziane finisce infine anche l'Associazione delle famiglie degli scomparsi, fondata da Ibrahim Metwally a seguito della sparizione – nel 2013, di suo figlio. Metwally – che pur non essendo un legale dei Regeni ha seguito, sotto indicazione di Ecrf e in modo informale e indiretto il suo dossier – viene arrestato nel settembre 2017 in Egitto, proprio mentre sta per andare a Ginevra per intervenire a un incontro del gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate in seno alle Nazioni Unite. Secondo una risoluzione del Parlamento europeo del dicembre 2018 che denuncia le crescenti minacce subite dai difensori dei diritti umani, lo stesso Metwally sarebbe stato oggetto di sparizione forzata(531). Nel novembre dello stesso anno Germania, Gran Bretagna, Canada, Paesi Bassi e Italia scrivono una nota congiunta in cui esprimono «profonda preoccupazione» per la detenzione dell'avvocato per i diritti umani Ibrahim Metwally. Tale nota – percepita come una ingerenza esterna – viene pubblicamente criticata dal governo egiziano, che per bocca del viceministro degli esteri arriva a convocare gli ambasciatori di questi Paesi per esprimere una forte indignazione per un gesto che secondo le autorità egiziane «costituisce un'ingerenza evidente e inaccettabile negli affari interni egiziani».

Pag. 330

Il caso di Patrick Zaki

  Le accuse egiziane di ingerenza, rivolte soprattutto all'Italia, diventano ancora più sonore nel 2020, con il caso di Patrick Zaki, lo studente egiziano iscritto al Master Erasmus Mundus GEMMA iniziato all'Università di Bologna. Di ritorno al Cairo per motivi familiari, il 7 febbraio 2020, Patrick Zaki viene fermato in aeroporto dalle forze di sicurezza, riesce a lanciare l'allarme e poi sparisce nel nulla per circa 24 ore. Anche il suo caso inizia quindi come i tanti di sparizione forzata, ma già l'8 febbraio, dopo le denunce di legali e attivisti in Italia e in Egitto, il suo arresto viene formalizzato. Zaki era già stato un attivista presso l'ONG Egyptian initiative for personal rights (Eipr), una delle ultime organizzazioni indipendenti per i diritti umani attive in Egitto, i cui dirigenti saranno poi arrestati nel novembre 2020 e rilasciati alla vigilia del viaggio di Al-Sisi a Parigi nel dicembre successivo. Dopo un interrogatorio durante il quale Zaki subisce torture, i pubblici ministeri di Mansoura, la città della famiglia di Zaki dove lui viene portato in un primo momento, ordinano la sua detenzione preventiva che si basa su una serie di accuse tra cui diffusione di false notizie e di propaganda sovversiva, istigazione alla protesta e al terrorismo. Secondo l'avvocato che difende Zaki, Hoda Nasrallah, le accuse si basano su post Facebook che lei nega essere stati scritti da Zaki.
  Due giorni dopo l'arresto di Patrick Zaki, l'Italia, tramite la Farnesina, chiede e ottiene in ambito europeo l'inserimento del caso all'interno del meccanismo di monitoraggio processuale, uno strumento che, grazie al coordinamento della Delegazione dell'Unione europea al Cairo, permette ai funzionari delle ambasciate degli Stati membri dell'Unione di monitorare l'evoluzione del processo e presenziare alle udienze. Questo nei fatti accade nel corso delle diverse udienze durante le quali viene rinnovata la sua detenzione cautelare. Il 5 marzo – proprio nello stesso giorno in cui la Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato italiano ascolta l'ambasciatore italiano al Cairo Gianpaolo Cantini che garantisce il massimo impegno sul caso – Zaki viene trasferito nella prigione di Tora, dove la sua detenzione viene rinnovata dai 15 ai 45 giorni alla volta, un'udienza dopo l'altra.
  Grazie soprattutto all'iniziativa dell'Università di Bologna, cresce in Italia e all'estero la campagna #FreePatrickZaky che ne chiede la liberazione. Il 21 dicembre 2020, la Conferenza dei rettori delle università italiane-CRUI invia un appello, rivolto al presidente Al-Sisi, nel quale si sottolinea – a fronte del prolungamento della custodia cautelare – che le condizioni di salute del ragazzo sono notevolmente peggiorate e si chiede un atto di clemenza. L'11 gennaio 2021, il Comune di Bologna diventa il primo in Italia a concedere a Patrick Zaki la cittadinanza onoraria, cosa che poi faranno decine di altre città sul territorio nazionale. Il caso approda anche al Parlamento europeo che il 18 dicembre 2020 approva una risoluzione sulle violazioni dei diritti umani in Egitto, invitando gli Stati membri a prendere in considerazione misure restrittive mirate nei confronti di funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi nel Paese. I deputati europei chiedono nello specifico la scarcerazione immediata e incondizionata di Patrick Zaki e di diversi altri prigionieri politici, oltre che l'attuazione di una reazione diplomatica ferma, rapida e coordinata da Pag. 331parte dell'Unione(532). La stessa risoluzione deplora il tentativo delle autorità egiziane di fuorviare e ostacolare i progressi nelle indagini sul rapimento, sulle torture e sull'omicidio di Giulio Regeni, esprimendo il proprio rammarico per il continuo rifiuto delle autorità egiziane di fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessari per consentire un'indagine rapida, trasparente e imparziale sull'omicidio di Giulio Regeni, conformemente agli obblighi internazionali dell'Egitto.
  Il 14 aprile 2021, il Senato della Repubblica italiana approva una mozione con la quale impegna il governo ad intraprendere con urgenza tutte le dovute iniziative affinché a Zaki sia riconosciuta la cittadinanza italiana ai sensi del comma 2, dell'articolo 9 della citata legge n. 91 del 1992. All'esecutivo italiano viene chiesto di adoperarsi con maggiore vigore in tutte le sedi europee e internazionali perché l'Egitto provveda senza ulteriori indugi al rilascio di Patrick Zaki(533). Il 7 maggio 2021, a 15 mesi esatti dall'incarcerazione di Zaki, il ministro degli Esteri Di Maio fa presente che «tutte le iniziative sono meritorie, ma più aumenta la portata mediatica del caso e più l'Egitto reagisce irrigidendosi. Non ci illudiamo che dall'altra parte otteniamo un risultato facendo così. Dobbiamo liberare subito Patrick Zaki e farlo tornare dalla sua famiglia» dice il ministro che rilascia dichiarazioni dello stesso tenore il 23 giugno 2021. Il 16 giungo 2021, in occasione del 30esimo compleanno di Zaki, anche il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, in una telefonata con il Magnifico Rettore dell'Università di Bologna Francesco Ubertini, condivide l'iniziativa per la cittadinanza.
  Secondo la legge egiziana, i termini della detenzione cautelare di Patrick Zaki scadranno nel febbraio 2022. Già in diverse occasioni però, la detenzione cautelare è stata prolungata oltre i limiti che la legge egiziana impone. Nel maggio 2016, è stato proprio l'Eipr del quale Zaki fa parte a documentare oltre 1400 casi di detenzione cautelare prolungati dopo la scadenza dei termini(534).

11.4 Il caso del cittadino francese Éric Lang

  Éric Lang, insegnante di francese in un liceo in Egitto e stabilmente residente al Cairo da circa venti anni, fu trovato cadavere il 13 settembre 2013, in circostanze misteriose, all'interno di una cella del Commissariato di polizia di Qasr el-Nil della capitale egiziana, con il corpo martoriato da colpi e segni evidenti di tortura. Pag. 332
  Il caso dell'omicidio del cittadino francese Lang è stato illustrato dall'avvocato della famiglia, Raphaël Kempf, nel corso dell'audizione del 21 settembre 2021 , che la Commissione ha ritenuto di svolgere alla luce di alcuni evidenti elementi di comparazione con la morte di Giulio Regeni, sia dal punto di vista delle responsabilità dell'Egitto, sia dal punto di vista dell'esercizio della pressione diplomatica da parte del Paese di cittadinanza della vittima.
  Il legale, introducendo la propria relazione e ringraziando la Commissione per l'interesse dimostrato al caso che ha giudicato superiore rispetto «a quello dei rappresentanti del popolo francese rispetto alla morte di un loro cittadino», ha fornito una ricostruzione dei fatti fornendo elementi pubblicati dalla stampa o emersi dall'attività processuale in Egitto, non potendo tuttavia pronunciarsi in altri dettagli che lasciano, invece, trasparire l'esistenza di un dossier tuttora coperto da segreto istruttorio.
  L'avvocato ha rievocato le circostanze che hanno condotto il professor Lang, il 6 settembre 2013, ad essere privato della libertà personale e quelle che lo hanno condotto alla morte.
  Éric Lang stava camminando per strada quando, davanti all'ambasciata degli Stati Uniti, venne fermato da un poliziotto che lo trovò in possesso di una bottiglia di alcool e di un bastone. Il docente francese non aveva con sé il passaporto e fu portato al commissariato di Qasr El-Nil per un ulteriore controllo sulla sua identità.
  Il giorno dopo venne giudicato da un magistrato della Procura del Cairo che ne chiese la libertà immediata ma quella decisione non fu applicata dalla polizia che decise di mantenerlo in stato di detenzione all'interno del Commissariato e trasferirlo in una cella con vari detenuti accusati per altri reati, dove trovò la sua morte, il 6 settembre 2013.
  La notizia della scomparsa fu appresa dalla sua famiglia soltanto 9 giorni più tardi, il 15 settembre 2013.
  L'esame autoptico effettuato nella capitale egiziana segnalò ferite sul viso, sulle mani e sulla schiena e che il decesso fosse dovuto ad una frattura delle costole e a un'emorragia celebrale, attribuendo la morte alle violenze riportate nel corso della detenzione.
  Quello, invece, esperito un mese dopo in Francia – dopo un complesso iter da parte del Ministero degli Esteri francese per il rimpatrio della salma – ha attribuito il decesso del professor Lang ad «un trauma toracico che ne aveva causato il soffocamento», cosa non rilevata dall'autopsia egiziana. I rilievi avevano evidenziato, tra l'altro, la presenza di lesioni intorno alle caviglie come se la vittima fosse stata legata ed immobilizzata da parte dei suoi aguzzini.
  Le azioni promosse, al tempo, dalla famiglia – ha spiegato il legale Raphaël Kempf – hanno riguardato la presentazione di una querela presso la Procura di Nantes (settembre 2013) e la denuncia presso la Procura generale egiziana chiedendo il coinvolgimento del Ministero dell'Interno per omicidio volontario, omissione di soccorso e abuso di autorità, dacché la vittima era stata trattenuta senza alcun titolo all'interno del commissariato (ottobre 2013).
  Le indagini si sono concentrate solo sui compagni di cella e hanno attribuito a loro le «violenze volontarie che hanno determinato la morte involontaria», quale esito di una lite scoppiata tra il Lang ed i suoi co-detenuti. Tuttavia, quanto accaduto in quel luogo di prigionia, Pag. 333non poteva essere stato ignorato da coloro che ne avevano la custodia ed avevano quindi omesso di intervenire anche perché la vittima, per quanto agonizzante, in un tempo successivo, sarebbe stata trasportata in un'altra cella dove sarebbe rimasta da sola fino alla constatazione del suo decesso l'indomani.
  Un primo procedimento, dunque, fu avviato in Egitto contro i sei prigionieri che si trovavano in cella con Éric Lang. Nessuna procedura, invece, fu avviata contro i poliziotti presenti al momento della tragedia, nonostante sia stato provato, sulla base dell'autopsia sul corpo dell'uomo, effettuata a Parigi, che la vittima fosse stata trascinata da una cella all'altra, prima di morire.
  Il processo per l'assassinio dell'insegnante francese si è concluso nel maggio 2016 al Cairo con la condanna a 7 anni di prigione dei sei compagni di cella, solo pochi mesi dopo l'omicidio di Giulio Regeni. Potrebbe non essere una coincidenza, ma il tentativo egiziano di sgombrare il campo da un caso analogo per evitare un'azione solidale di pressione diplomatica italo-francese.
  Ad aprile 2016, durante una visita di due giorni in Egitto, l'allora Presidente della Repubblica francese, François Hollande aveva infatti chiesto al presidente egiziano Al Sisi chiarimenti su entrambe le vicende, quella di Regeni e quella di Lang.
  In una conferenza-stampa televisiva congiunta, Hollande riferì di aver parlato di diritti dell'uomo e affrontato i casi più delicati: il caso di Lang e quello di Giulio Regeni.
  Sappiamo che vi sono questioni che non hanno ancora trovato risposta, dichiarò il presidente francese. Lottare contro il terrorismo presuppone fermezza ma anche uno Stato, e uno Stato di diritto. È il senso di quello che la Francia intende quando parla di diritti umani. I diritti umani non sono solo una necessità ma anche un mezzo per lottare contro il terrorismo. Al Sisi, apparso visibilmente contrariato per le domande dei giornalisti sull'argomento, dichiarò a sua volta di aver «già espresso, a più riprese, le mie condoglianze per la morte del giovane italiano Giulio Regeni e ho detto che siamo sempre pronti a trattare questo caso in piena trasparenza». Ma nel nostro Paese, aggiunse, «siamo esposti a forze malvagie che cercano con tutte le loro energie di scuotere la stabilità dell'Egitto e tentano di dare un'impressione non vera su quello che succede qui da noi». Infine, il presidente egiziano replicò duramente al richiamo di François Hollande sottolineando che «non è possibile applicare gli standard europei» sul rispetto dei diritti umani in una situazione come quella dell'Egitto perché «la regione in cui viviamo è molto turbolenta», e concluse: «Ciò che avviene in Egitto è un tentativo di spaccare le istituzioni dello Stato, istituzione dopo istituzione».
  Tuttavia, come sostenuto in Commissione dall'avvocato Kempf, tale intervento si è rivelato insufficiente perché non ha «portato le autorità egiziane a rispondere a tutte le domande che con la giustizia francese e la famiglia di Eric Lang sono state poste».
  In un'intervista rilasciata al quotidiano «La Repubblica», il 15 aprile 2016, i familiari di Lang affermavano: «...Ma almeno l'Italia sta cercando di fare luce, noi siamo stati abbandonati dal governo e dal ministero degli Esteri», sottolineando solidarietà e vicinanza alla famiglia Regeni. Pag. 334
  La famiglia di Éric Lang, rigettando la ricostruzione ufficiale fornita dalle autorità egiziane, già nel novembre 2014, si era rivolta al Tribunale di Nantes, la città dove risiede, perché venisse aperta una rogatoria internazionale per far luce su tutta la vicenda. Sulla base delle nuove prove fornite dagli avvocati Raphael Kempf e Marie Dosé, quel Tribunale ha aperto un ulteriore atto d'accusa, il 21 novembre 2014, chiedendo al giudice istruttore di indagare per «incapacità di assistere una persona in pericolo» e «interferenza arbitraria con la libertà da parte di una persona che detiene una carica pubblica», dal momento che la giustizia egiziana non aveva mai voluto aprire una vera inchiesta su ciò che era realmente accaduto nel Commissariato egiziano.
  Nel suo resoconto in audizione l'avvocato Kempf ha affermato che, allo stato, esistono, quindi, due procedimenti paralleli, uno in Egitto ed uno in Francia. Egli si sta battendo affinché la Francia vada a fare le indagini in Egitto e che ci sia una internazionale.
  Alla domanda se vi sono state iniziative da parte delle autorità francesi di sensibilizzare il caso in sede europea ed internazionale per ottenerne un supporto nell'attività che è stata fatta, il legale ha risposto negativamente, esprimendo forte rammarico. Egli ha affermato che le autorità francesi sono state sollecitate ad internazionalizzare il caso, ma sono apparse rinunciatarie. Ha aggiunto, inoltre, che «...non hanno fatto niente per facilitare l'emersione della verità. Parlo delle autorità politiche e diplomatiche francesi che non hanno cercato di fare tutto il possibile per dar modo alla verità di manifestarsi sulla morte di Eric Lang, e di questo ci rammarichiamo molto».
  A tal riguardo, ha rimarcato come la notizia dell'arresto di Lang pervenne alla famiglia da un amico che andò a fargli visita in carcere due giorni dopo l'arresto e fu questi che informò il Consolato francese in Egitto; il Consolato gli fa visita ed informa la famiglia. Dopo, non ci sono stati altri interventi dell'istituzione diplomatica né risultano altre azioni per evitare questa tragica fine.
  Da ultimo, in ordine alla mancanza di sostegno delle autorità francesi su questo caso – esprimendo un pensiero che esula dalle funzioni di legale della famiglia – l'avvocato Kempf ha attribuito ai privilegiati rapporti diplomatici e commerciali tra Francia ed Egitto la causa di tale situazione con ricadute inevitabili nelle problematiche che riguardano la violazione dei diritti umani.
  Recenti notizie di stampa hanno ulteriormente evidenziato l'intensità di tali rapporti attraverso la divulgazione di documenti riservati (Egypt Papers), da cui emerge in modo particolare la fornitura francese all'Egitto di sistemi di geo-localizzazione altamente sofisticati che gli apparati securitari avrebbero avuto a loro disposizione anche all'epoca del sequestro e dell'uccisione di Giulio Regeni.
  Nella parte conclusiva del suo intervento, l'avvocato Raphaël Kempf ha sottolineato che la famiglia non ha ricevuto alcun risarcimento per il decesso, ma questo potrebbe avvenire nei prossimi tempi per la recente introduzione di una norma che riguarda i cittadini francesi vittime di violenze in patria o all'estero. Infine, ha rappresentato come sia stata adottata la decisione che prima di agire in consessi internazionali sia più efficace passare attraverso la giustizia francese e promuovere la cooperazione giudiziaria tra i due Paesi perchè si Pag. 335possano ottenere informazioni più precise e procedere, dunque, con una inchiesta più dettagliata.

12. MOBILITAZIONE DELLA SOCIETÀ CIVILE PER LA VERITÀ E LA GIUSTIZIA

12.1 La campagna italiana. Verità e Giustizia per Giulio Regeni

  La campagna Verità e Giustizia per Giulio Regeni è nata immediatamente, già nel febbraio 2016, grazie alla sinergia tra Amnesty International e il quotidiano «La Repubblica» per non permettere che l'omicidio del giovane ricercatore finisse per essere dimenticato, per essere catalogato tra le tante «inchieste in corso» o peggio, per essere collocato nel passato da una «versione ufficiale» del governo del Cairo. Secondo i promotori della campagna, deve essere respinto qualsiasi esito distante da una verità accertata e riconosciuta in modo indipendente, da raggiungere anche col prezioso contributo delle donne e degli uomini che in Egitto provano ancora a occuparsi di diritti umani, nonostante la forte repressione cui sono sottoposti.
  Dal giorno del funerale a Fiumicello, «Verità per Giulio Regeni» è diventata la richiesta di tanti enti locali, dei principali comuni italiani, delle università e di altri luoghi di cultura che hanno esposto lo striscione giallo con lo slogan della campagna, o comunque un simbolo per chiedere a tutti l'impegno per avere la verità. Attraverso una petizione rivolta al presidente Al-Sisi(535), fiaccolate, flash mob, manifestazioni e appelli, la campagna ha coinvolto diversi settori della società civile che si è data un primo grande appuntamento, il 25 febbraio 2016, proprio davanti alla ambasciata egiziana a Roma, a Villa Ada, per un sit-in. Da allora, diversi sono stati gli appuntamenti nelle piazze, davanti ai palazzi della politica e in altri diversi luoghi di aggregazione. Le manifestazioni più partecipate sono state quelle in occasione dell'anniversario della morte di Regeni. Alle 19.41, orario della scomparsa di Giulio, in centinaia di piazze – soprattutto, ma non solo in Italia- si sono accese fiaccole per tenere accesa l'attenzione sul caso.
  La voce del cordoglio italiano è comparsa anche sulla principale testata della stampa egiziana grazie a una lettera, menzionata dal «Al-Ahram» il 24 febbraio 2016, a firma dello scrittore Roberto Pazzi in quei giorni al Cairo ospite dell'Istituto italiano di cultura – le cui opere sono state tradotte anche in arabo. Nel suo messaggio, rivolto ad Ahmed Al-Said Al-Nagar, l'uomo al vertice del board dell' «Al-Ahram Establishment», Pazzi parlava del dolore provocato in Italia dalla tragica morte di Regeni e invitava l'Egitto a trovare i colpevoli al fine di non danneggiare la storica relazione – economica, ma anche culturale – tra i due Paesi.
  Già nei primi mesi, la campagna ha raccolto l'adesione di scuole di ogni ordine e grado, università ( he in alcuni casi hanno dedicato a Regeni anche delle aule) , teatri, circoli culturali, movimenti sindacali, associazioni nazionali e internazionali, ONG, comuni, province, regioni Pag. 336e privati cittadini.(536) Alla campagna, che ha avuto testimonial a livello nazionale e internazionale, hanno poi aderito anche personaggi noti del mondo dello spettacolo e diverse testate giornalistiche con iniziative di ogni genere. Tra queste anche Radio 3 che ha deciso di dedicare a Giulio Regeni un apposito appuntamento settimanale. La Repubblica ha realizzato anche il docufilm «Nove giorni al Cairo: tortura e omicidio di Giulio Regeni» per ripercorrere, in cinque episodi, le tappe della vicenda. Nel settembre 2017, questo docufilm è stato proiettato anche al Parlamento europeo.
  Il coinvolgimento nella campagna del mondo della stampa è diventato ancora più sostanziale a partire dall'autunno 2017. Il 13 ottobre, la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) ha presentato nella sua sede a Roma, l'iniziativa della costituzione di una «scorta mediatica» per Giulio Regeni. Oltre a rappresentanti di Amnesty International Italia, Fnsi e Articolo 21, era presente anche l'avvocata Alessandra Ballerini. L'evento, ha chiamato a raccolta gli operatori dell'informazione per invitarli a tenere accesi i riflettori su tutte le iniziative finalizzate a ottenere la verità sul sequestro, sulla tortura e sull'uccisione di Giulio Regeni e a dare costanti notizie sulle violazioni dei diritti umani in Egitto. La «scorta mediatica» ha anche avuto il compito di proteggere Giulio Regeni da attacchi e offese alla sua storia, alla sua dignità, alla sua limpidezza di comportamento e d'intenti e di tutelare i suoi difensori da attacchi alla loro sicurezza e incolumità.
  La voce della campagna si è fatta particolarmente forte in occasione dell'invio dell'ambasciatore Cantini al Cairo. Il presidente di Amnesty International Italia, Antonio Marchesi, a un mese dal rientro del rappresentante italiano in Egitto, ha scritto al Presidente del Consiglio Gentiloni e al Ministro degli Esteri Alfano per chiedere quali passi avanti erano stati fatti riguardo alla collaborazione con le autorità egiziane nelle indagini. Marchesi ha ricordato che per motivare la decisione presa dal governo il 14 agosto di far tornare l'ambasciatore italiano al Cairo, poi effettivamente insediatosi 30 giorni dopo, si era fatto riferimento a «passi avanti» che la normale ripresa delle relazioni diplomatiche tra Italia ed Egitto avrebbe favorito. «Ogni 14 del mese chiederemo al governo di far sapere quali 'passi avanti' quella decisione avrà favorito»(537) .
  La campagna ha fatto luce anche su quanto accaduto, in Egitto, ai difensori dei diritti umani più o meno direttamente collegati al caso Regeni, come Ibrahim Metwally, presidente in dell'Associazione dei genitori degli scomparsi, Amal Fathy, moglie di Mohamed Lotfy, il fondatore della Commissione egiziana per i diritti e la libertà che fornisce consulenza legale alla famiglia Regeni, e Ahmed Abdallah, presidente del Consiglio di amministrazione della medesima Commissione.
  Tra le iniziative organizzate dalla società civile va ricordata anche una ciclostaffetta che, partendo dal Collegio del Mondo Unito di Duino Pag. 337e passando per Fiumicello, il 3 ottobre 2018 è arrivata a Roma per consegnare alle maggiori istituzioni nazionali una lettera della famiglia Regeni, nella quale si spiegavano i risultati raggiunti e ciò che sarebbe stato necessario fare per ottenere verità.
  Da ricordare, anche l'iniziativa dell'attore e regista Pif che nel gennaio 2020 si è recato a Cambridge per ritirare la bicicletta che Giulio Regeni vi aveva lasciato prima di partire per il Cairo. Pif l'ha riportata a Fiumicello accompagnato dai giornalisti di «Repubblica» che hanno realizzato un reportage. Nel novembre dello stesso anno, la Foreign Press Association di Londra ha assegnato al video di Alessandro Allocca su quel viaggio il premio come servizio dell'anno in lingua straniera.
  Anche i canali social hanno giocato un ruolo importante nella campagna, soprattutto all'hastag di riferimento #veritàperGiulioRegeni. Il 31 marzo 2016, dopo la prima conferenza stampa di Paola e Claudio Regeni al Senato, con il senatore Luigi Manconi, un gruppo di utenti Twitter ha deciso di iniziare un percorso comune, creando @GiulioSiamoNoi, una realtà nata da cittadini comuni e presente su diverse piattaforme per ridare dignità al nome di Giulio Regeni e sensibilizzare società civile e istituzioni a continuare la battaglia per la verità. A fine novembre 2021, erano più di 36mila i follower dell'account Twitter @GiulioSiamoNoi che dal 14 ottobre 2021, a seguito della sospensione del processo Regeni da parte della terza Corte di Assise di Rom, ha pubblicato ad oltranza i nomi degli imputati.

12.2 La mobilitazione di Cambridge e del mondo accademico

  Molto più specifica, rispetto a quella italiana, la reazione della società civile inglese, analizzata dal professor Paul Starkey in un apposito capitolo del libro Minnena, L'Egitto, L'Europa e la ricerca dopo l'assassinio di Giulio Regeni, nato a seguito di un convegno accademico organizzato, nel maggio 2018, in Sicilia, dalla Società per gli Studi sul Medio Oriente (Sesamo), con la British Society for Middle Eastern Studies (Brismes ) e l'Associazione di Studi Africani in Italia (Asai).(538) Questa pubblicazione mostra quanto la comunità accademica a livello globale, soprattutto quella afferente alle discipline studiate da Regeni, ha preso a cuore la richiesta di Verità e Giustizia.
  Mentre in Italia il dibattito ha coinvolto diversi settori della società civile, nel Regno Unito è stato soprattutto il mondo accademico ad essere sensibile al caso, oltre alle ONG da sempre impegnate per la difesa dei diritti umani. Partita da Cambridge, la campagna si è quasi interamente sviluppata tra studenti, docenti e ricercatori, le cui opinioni sono state riportate dai media che – diversamente da quanto accaduto in Italia con l'iniziativa della scorta mediatica – hanno svolto un ruolo di semplice cronaca.
  A seguito della scoperta del corpo di Regeni, i primi a sentire il bisogno di intervenire nel dibattito pubblico in corso sono stati gli universitari di Cambridge che hanno tentano di riordinare le narrazioni contradditorie emerse progressivamente in merito alla morte del Pag. 338ricercatore italiano. Anne Alexander e Maha Abdelrahman sono state le prime a scrivere una lettera aperta al presidente Abdel Fattah Al-Sisi nella quale collegavano la tragica scomparsa di Giulio Regeni alla ben più ampia campagna per la sicurezza che aveva portato a un incremento di arresti arbitrari: «Those of us who knew of Giulio's disappearance before the discovery of his body were desperately concerned for his safety because he vanished in the midst of a security campaign which has resulted in mass arbitrary arrests, a dramatic increase in reports of torture within police stations, and other cases of disappearances, according to documentation by local and international human rights organizations.».(539)
  Il messaggio partito da Cambridge ha avuto una risonanza globale nel mondo accademico di riferimento. Due giorni dopo, l'8 febbraio 2016, il quotidiano «The Guardian» ha pubblicato un altro appello, sotto forma di lettera, firmato da oltre quattromilacinquecento universitari, provenienti da diverse parti del mondo. Riprendendo in parte il testo di Alexander e Abdelrahman, la lettera piangeva la morte di Regeni – definito un ricercatore che ha arricchito la comunità accademica con la sua presenza – e portava le condoglianze alla famiglia, chiedendo alle autorità egiziane di collaborare nelle indagini al fine di condannare i responsabili dei crimini compiuti su Regeni.
  «As members of the wider academic community of which Giulio Regeni was a part, we were deeply saddened to learn of his death. Our community has been enriched by his presence. We are diminished by the loss of a young researcher whose work tackled questions that are vitally important to our understanding of contemporary Egyptian society. Our thoughts go out first of all to his family and friends at this acutely painful moment. (...) While we welcome the Egyptian authorities' statement that they will fully investigate Giulio's death, we note that according to Amnesty International, bodies reporting to the Egyptian interior and defence ministries routinely practise the same kinds of torture that Giulio Regeni suffered against hundreds of Egyptian citizens each year.(540)».
  Uno dei pochi momenti corali dedicati a Regeni nel Regno unito è stata la veglia di preghiera organizzata a Cambridge in occasione del funerale a Fiumicello. In tale occasione, più di sessanta persone si sono riunite davanti all'ambasciata italiana di Londra e, con una rosa bianca in mano, hanno ascoltato ex compagni di Giulio Regeni rendere omaggio al collega dottorando. Il gesto degli studenti è stato accompagnato da quello più formale di Susan Smith, direttrice del College di Regeni a Cambridge. Oltre a prendere contatto con la famiglia per esprimere le condoglianze, la si è rivolta l'ambasciatore britannico al Cairo per richiedere un corretto svolgimento delle indagini. Al contempo, il capo del Dipartimento di Politics and International Studies, (POLIS), il professor David Runciman ha espresso –c on un messaggio pubblicato sul sito dell'Università – il cordoglio della comunità accademica Pag. 339 direttamente al console generale egiziano a Londra, sottolineando che le autorità italiane avevano sollecitato il realizzarsi di un'indagine congiunta, con la partecipazione di esperti dall'Italia. Runciman ha chiesto inoltre di essere informato in tempo reale sull'evolversi delle indagini in corso: «We take the welfare of our students very seriously. It is hard for Giulio's family and for us to comprehend how such a talented student could meet his death in the Egyptian capital as he carried out his important academic research. We note that the Italian authorities have urged you to conduct a thorough investigation with the participation of Italian experts and we, too, call on you to conduct a thorough and complete investigation into this tragic incident.».(541)
  Quello di Runciman è il secondo dei tredici messaggi pubblici dell'università, illustrati a questa Commissione dal professor Sthephen Toope, Vice Chancellor dell'Università di Cambridge, in occasione della missione ivi svolta nel settembre 2021.
  La comunità accademica di Cambridge non è stata l'unica ad occuparsi da vicino del caso Regeni. Già il 4 febbraio 2016, i colleghi statunitensi afferenti alla Middle East Studies Association (Mesa) hanno scritto ad Al-Sisi, stabilendo immediatamente un legame tra la vicenda Regeni e tutta una serie di altre questioni legate alla repressione delle libertà accademiche in Egitto. La tragica morte di Giulio Regeni, secondo i membri dell'Associazione, non poteva considerarsi un episodio isolato, quanto piuttosto la conseguenza più recente del clima di instabilità e pericolo, alimentato dalla situazione politica egiziana e particolarmente minaccioso per chi era impegnato in attività di natura accademica.
  La morte di Giulio Regeni è stata quindi descritta come «un prodotto prevedibile dell'acuirsi dello stato di repressione contro studenti e ricercatori.»(542) Ponendo l'accento sul caso, il 10 febbraio Mesa ha pubblicato anche il documento Security Alert for Study and Researh in Egypt per richiamare l'attenzione sul numero crescente di attentati alla libertà accademica in Egitto. Il testo, proclamando un vero e proprio stato di emergenza, metteva in guardia chiunque stesse considerando la possibilità di recarsi in Egitto per motivi di studio, aprendo il dibattito sulla sicurezza della ricerca(543). Il tema della sicurezza della ricerca e dell'accademia è diventato così dirompente che anche la testata britannica «The Times Higher Education» è arrivata a discutere apertamente di come il caso Regeni fornisse gli spunti per riflettere sulla nozione stessa di liberà accademica(544). Pag. 340
  Il 6 febbraio era stata un'altra associazione di studiosi, Brismes, a pubblicare un testo dai toni simili a quello di Mesa. Sempre Brismes (associazione di cui aveva fatto parte anche Regeni) ha poi scritto, nel 2018, una seconda missiva diretta al Ministro di Stato britannico per il Medio Oriente. Nel testo veniva criticata la politica con la quale Londra voleva rafforzare la collaborazione accademica con il Cairo, ignorando il caso Regeni. Un tema che tornerà a far discutere negli anni successivi. Il governo inglese – a lungo silente – è stato inoltre accusato dal mondo accademico di non aver fatto il possibile per contribuire alla ricerca di verità e giustizia(545).
  La mobilitazione del mondo accademico inglese è convogliata in una petizione che nell'aprile 2016 ha chiesto al governo di uscire dal silenzio sul caso Regeni, facendosi anche carico di sollecitare un'indagine trasparente sulla morte del giovane ricercatore. La petizione ha raggiunto, almeno in parte, il suo obiettivo. Il 26 aprile, il Foreign Office – che non aveva preso posizione sulle indagini in corso – ha infatti risposto, descrivendo il sostegno assicurato all'Italia e mostrandosi insoddisfatto rispetto ai pochi progressi dell'inchiesta. Tale risposta è stata però ritenuta debole, in primis dall'Università di Cambridge e in seguito anche da membri dello stesso partito conservatore al governo, come ha mostrato quanto scritto dal deputato Crispin Blunt che sul suo blog ha chiesto al Foreign Office di compiere passi importanti per controbilanciare l'opinione diffusa secondo la quale il Regno unito non dava priorità ai diritti umani.(546)
  Erano giorni, quelli dell'aprile 2016, durante i quali anche l'antenna inglese di Amnesty International si chiedeva se il governo inglese stesse facendo abbastanza per ottenere verità e giustizia, organizzando insieme ad altre associazioni una manifestazione a Cambridge in memoria di Regeni. A quest'ultima ha partecipato anche il deputato laburista della città universitaria, Daniel Zeichner, uno dei pochi politici inglesi che farà il possibile per tenere alta l'attenzione sul caso, incontrando anche la famiglia Regeni e impegnandosi a lavorare per ottenere la verità. È stato infatti Zeichner, in occasione del primo anniversario della morte di Giulio Regeni, a scrivere al Segretario degli Affari Esteri, Boris Johnson, per chiedere aggiornamenti sui progressi dell'indagine. Alla sua richiesta si è poi associata l'eurodeputata locale Alex Mayer che aveva già criticato il governo inglese per la sua mancanza di solerzia.
  Nel contributo scritto inviato alla Commissione in occasione della missione a Cambridge, la ricercatrice Anen Alexander ha ricordato come un'altra delle principali strutture a sostegno della campagna nel Regno unito sia stato il suo sindacato UCU che rappresenta oltre 110 mila accademici e membri del personale accademico nelle università e in altre strutture educative. Il segretario generale di UCU e il presidente della sezione UCU di Cambridge hanno scritto all'ambasciatore egiziano a Londra per spronare le autorità egiziane alla piena collaborazione alle indagini sull'omicidio di Giulio. La sezione di Cambridge Pag. 341di Amnesty e UCU hanno organizzato con regolarità eventi commemorativi per Giulio a Cambridge ogni anno a partire dal 2017, coordinandosi con le veglie e le proteste in Italia (l'evento del 2021 si è svolto online a causa delle restrizioni per il Covid-19). Rappresentanti dell'ufficio nazionale britannico di Amnesty e la leadership nazionale di UCU hanno inoltre coordinato una protesta annuale fuori dall'ambasciata egiziana fino a quest'anno. I delegati al congresso annuale di UCU, in svariate occasioni, hanno preso parte alle attività a sostegno della campagna di Amnesty e le informazioni su di essa sono state fatte circolare tra gli iscritti al sindacato.
  Nel 2017, l'Università di Cambridge si è dovuta confrontare con le accuse –arrivate dall'Italia – di mancata collaborazione nell'indagine, accuse che l'università ha smentito, ma che hanno trovano spazio – a mezzo stampa – su diversi quotidiani italiani come «La Repubblica» che il 2 novembre ha pubblicato l'articolo Omicidio Regeni, le bugie di Cambridge sui rischi di Giulio. L'articolo ha suscitato una dura risposta, confluita, il 3 dicembre, in una lettera aperta a «The Guardian», firmata da più di trecento accademici che hanno voluto smentire le accuse rivolte a Cambridge. Secondo i firmatari, «né Cambridge né la professoressa Abdelrahman sono i responsabili della morte di Giulio. I responsabili del suo omicidio sono in Egitto, e la responsabilità di determinare la verità ricade sul regime egiziano.»(547)
  Secondo il professor Starkey, l'articolo di Repubblica ha sancito l'inizio di una nuova fase del dibattito a Cambridge e, più in generale, nel Regno unito. Da questo momento, la difesa del comportamento della professoressa Abdelrahman è stata portato avanti dal nuovo vicerettore di Cambridge, Stephen Toope che ha usato termini molto più decisi rispetto a quelli dei comunicati pubblicati precedentemente dall'università britannica. Nel corso del suo incontro con la delegazione in missione, dopo aver elencato tutte le tredici dichiarazioni pubblicate da Cambridge sul caso Regeni, il professor Toope ha riassunto così l'impegno dell'ateneo: Non vi è mai stato alcun rifiuto di cooperare, per nessun motivo, da parte dell'Università, alle richieste delle autorità britanniche e, molto più di questo, vi è stato uno spirito collaborativo perché tutti vogliamo sapere cosa sia successo e perché sia accaduto ciò in Egitto, e cercare di ottenere giustizia e trovare la verità per la famiglia. Pertanto, continuiamo a lavorare con il Foreign Office e con l'Home Office su tutti i risvolti di questo caso.
  Secondo un altro professore di Cambridge, l'egiziano Khaled Fahmy, l'ateneo avrebbe però potuto esercitare maggiore pressione, come lui stesso ha detto alla delegazione della Commissione: Mi sarebbe piaciuto vedere l'Università di Cambridge assumere un ruolo molto più incisivo e ho manifestato la mia opinione in più di un'occasione qui a Cambridge. Penso che Cambridge avrebbe dovuto fare molto di più. Penso che il vice-rettore avrebbe dovuto fare molto di più. Nello specifico, penso che il vice-rettore avrebbe dovuto incontrarsi con i suoi omologhi in Italia e in Europa per inviare all'Egitto un chiaro segnale sul fatto che questo genere di comportamento non è accettabile, non è accettabile da nessuna parte, e sul fatto che il principio della libertà accademica è in pericolo Pag. 342e non poteva essere attaccato più gravemente di quanto non sia stato in questo caso.
  In occasione del secondo anniversario della scomparsa di Regeni è stato ancora una volta l'onorevole Zeichner a tenere viva l'attenzione, mentre l'opinione pubblica inglese sembrava ormai aver perso interesse nel caso. L'unico settore che ha continuato a parlarne è stato infatti quello accademico, come ha mostrato la partecipazione, nel maggio 2018, di Brismes alle giornate di studio su Giulio Regeni, organizzate dalla Società per gli Studi sul Medio Oriente a Catania e Messina. A seguito del convegno, Brismes ha intavolato un dialogo con Universities UK, l'organizzazione delle università del Regno unito che aveva guidato una recente delegazione di atenei britannici al Cairo con lo scopo di rafforzare i legami accademici. Nel novembre 2018, è stata ancora una volta Brismes ad approfittare della nomina di un nuovo ambasciatore del Regno Unito al Cairo per risollevare la questione con il ministero degli Esteri d'Oltremanica. La risposta del Ministro di stato per il Medio Oriente ha fatto però intendere come il caso Regeni non sia per Londra una priorità.

12.3 L'altro Egitto: le critiche della stampa egiziana alla gestione del caso da parte del regime e l'empatia della società civile nei confronti di Giulio Regeni

  Nonostante il discorso nazionalista portato avanti dalla maggioranza dei media, già nell'aprile 2016 compaiono alcune valutazioni più articolate che descrivono una spaccatura all'interno dell'opinione pubblica. Avviene ad esempio sul quotidiano «Al-Masry al-Youm»(548) che il 9 aprile parla di un Paese diviso sul caso tra chi, patriotticamente, difende il suo Paese sopra ogni cosa, e chi, avendo a cuore i diritti umani, pensa che l'Egitto abbia perso credibilità internazionale dopo quanto accaduto a Giulio Regeni.
  L'articolo si spinge a parlare di dettagli appositamente celati nel corso delle indagini svolte in Egitto. Proprio questo atteggiamento – si dice – avrebbe portato al ritiro dell'ambasciatore italiano dal Cairo e rischierebbe di provocare una serie di altre reazioni a catena: dalla dichiarazione dell'Egitto come paese non sicuro, alle sanzioni economiche a livello europeo. Secondo l'articolo in questione, il presidente Al-Sisi potrebbe essere indagato dalla Corte penale internazionale. Dovrebbe quindi sacrificarsi e lasciare il governo volontariamente perché non è logico che tutto il popolo egiziano sia punito per errori compiuti dal suo regime. «Nessun egiziano – si legge nell'articolo – accetterà che tutto l'Egitto venga punito per gli errori commessi da alcuni che hanno offeso il loro paese, la loro religione e la loro umanità. Il presidente dovrebbe pagare il prezzo dell'abuso che è stato fatto alla reputazione dell'Egitto.» Nelle sue conclusioni, l'articolo lega il caso Regeni al più ampio tema della tutela dei diritti umani e della democrazia in Egitto, segno della rilevanza che la tragica vicenda di Giulio Regeni acquisisce per la comunità dei difensori dei diritti umani egiziani.
  Con tono più morbido, critiche simili si trovano, il 12 aprile 2016, su «Al-Ahram Weekly» dove il governo viene criticato per il modo in Pag. 343cui sta gestendo il caso, rischiando di rovinare le relazioni bilaterali con diversi paesi europei. A criticare la gestione del governo è in questa occasione il celebre politologo Hassan Nafaa, professore dell'Università del Cairo che nel settembre del 2019 verrà poi arrestato. Secondo il professore, l'Egitto sta dando l'impressione di nascondere qualcosa e «se continuerà su questa linea, rovinerà non solo le relazioni con l'Italia, ma anche con altri vicini europei». Questa visione si ritrova lo stesso giorno anche sul quotidiano «Al-Watan» che teme quello che chiama «l'effetto valanga del caso Regeni». I continui errori che il governo sta facendo sul caso, scrive il quotidiano, stanno ingigantendo la questione, senza risolverla, portando così al ritiro dell'ambasciatore italiano e a dichiarazioni critiche da parte del Parlamento europeo. «L'Egitto deve ammettere i suoi errori, le falle nel suo apparato di sicurezza» che sono alla base della morte di Regeni scrive il 15 agosto su «Al-Masry al-Youm», Amr al-Shobaki, ex deputato indipendente, nonché direttore di uno dei principali centri di ricerca politologica del Cairo. Nel settembre del 2016, è ancora una volta «Al-Masry al-Youm» a mettere in luce le frizioni interne al regime, questa volta in un editoriale firmato con pseudonimo. Puntando il dito contro il primo ministro, l'editoriale critica la burocrazia egiziana spesso in conflitto al suo interno, come del resto i ministeri e il complesso delle istituzioni pubbliche. Le rivalità e le sovrapposizioni interne sarebbero anche alla base dell'omicidio Regeni, si scrive.
  Su «Al-Shorouq», certamente la testata più rappresentativa della società civile tra quelle non censurate, le critiche sulla gestione della crisi sono presenti con una certa costanza, come costante è il paragone con la gestione della crisi scaturita dopo il crollo dell'aereo russo a Sharm al-Sheikh. Il 15.02.2016 viene pubblicato un editoriale intitolato «Il catastrofico scenario dell'omicidio Regeni», in cui si auspica che possa essersi trattato solo di un incidente, ma si precisa che, se quello che alcune testimonianze stanno ipotizzando – ovvero il coinvolgimento di uomini della sicurezza – fosse vero, allora bisognerebbe ammetterne la responsabilità. «Se abbiamo informazioni ora le dobbiamo dare, per evitare di pagare un prezzo troppo alto domani. Dobbiamo dire la verità» dice l'articolo. «Sottovalutazione fuori luogo» è invece il titolo dell'editoriale pubblicato il 13.03.2016 da Amr Hamzawy, accademico che poco dopo la pubblicazione di questo articolo – per una serie di questioni – decide di fuggire all'estero, nei fatti auto-esiliandosi. Secondo Hamzawy, il regime vuole nascondere la testa sotto la sabbia, rifiutandosi di accettare le critiche provenienti dall'Europa e parlando del caso Regeni come di una cospirazione contro lo Stato. Secondo Hamzawy, viste le continue violazioni dei diritti umani, gli Stati europei potrebbero arrivare a interrompere gli aiuti diretti all'Egitto. Nell'articolo si menzionano le critiche internazionali a vari livello circa le violazioni dei diritti umani in Egitto, violazioni che non giovano all'immagine dell'Egitto nel mondo e che rischiano di escluderlo da una serie di opportunità di cooperazione internazionale. Hamzawy torna a criticare il regime il 27.03.2016 in un fondo dal titolo «Sorella Coreana» nel quale l'Egitto viene paragonato alla Corea del Nord. Nel testo si dice che il regime egiziano ha sempre negato ogni crimine di cui viene accusato e non capisce che la gente è stanca delle bugie che vengono dette e che varie voci di condanna si stanno alzando Pag. 344da ogni parte del mondo occidentale e faranno dell'Egitto uno «stato-canaglia». In aggiunta si dice che l'Italia ha grandi interessi economici e commerciali che la spingono a tacere sulla uccisione di Regeni.
  Il 15.03.2016, sempre su «Al-Shorouq» viene pubblicato un altro editoriale dal titolo «Regeni, la tempesta europea» in cui si nega l'ipotesi del complotto internazionale e si afferma che questo caso sta incrinando le relazioni dell'Egitto con diversi stati europei e che questo non è colpa – come dice il regime – di una cospirazione internazionale, ma del tentativo egiziano di nascondere i propri errori «mettendo la testa sotto la sabbia.»
  Queste critiche continuano anche prima, durante e dopo l'incontro tra le due procure dell'aprile 2016. Sempre su «Al-Shorouq», il 2.04.2016 vengono pubblicati due editoriali: «Il Paese pericoloso» e «Il fantasma dello Stato fallito». In entrambi i casi si parla delle conseguenze che il caso Regeni sta avendo sull'immagine del Paese, temendo per questo ritorsioni, in realtà mai arrivate. Per evitare che queste avvengano, l'Egitto – si dice – deve collaborare e dire tutto quello che sa sul caso, anche se la verità sarà fastidiosa. «L'Italia non è pronta per una verità di facciata – si conclude – Più verranno rispettati i diritti umani in casa nostra, meno saremo criticati fuori.»
  Particolarmente sensibile alla tragica vicenda di Giulio Regeni è «Mada Masr», unica vera e propria testata online, indipendente e di opposizione che negli ultimi anni ha pagato a caro prezzo per la sua posizione apertamente di sfida nei confronti del regime. La testata – alla quale afferiscono giornalisti premiati anche in Italia e attivisti dell'epoca rivoluzionaria – è stata infatti oscurata e la redazione è stata più volte vittima di diverse retate. Il 26 febbraio 2016, sul sito viene pubblicato un articolo che racconta la cerimonia in ricordo di Regeni svoltasi all'American University del Cairo alla presenza della professoressa Rabab al-Mahdy che in questa occasione – riporta «Mada Masr» – ha definito Giulio Regeni un «cittadino dell'umanità». L'articolo riporta anche le critiche avanzate da molti studenti di quell'ateneo dopo la diramazione di un comunicato stampa da parte dell'Università in data 7 febbraio(549). Secondo «Mada Masr», la prima versione del comunicato diceva che Regeni era semplicemente morto («passing away»), senza menzionare il suo assassinio. La versione – racconta l'articolo – viene più tardi corretta, eliminando questo passaggio e aggiungendone uno più ampio dove veniva chiarito l'interessamento dell'Università subito dopo la sparizione di Regeni («AUC has been in close contact with authorities since [Regeni's] disappearance and continue to monitor the case»). L'articolo cita infine i casi di due studenti dell'AUC che, prima di Regeni, erano stati arrestati o maltrattati. Nel dicembre 2016, «Mada Masr» pubblica un altro articolo nel quale riporta il dibattito sulla sicurezza interna ai campus universitari scaturita proprio in seno all'AUC dopo la morte di Giulio Regeni, con la formazione di una commissione per la libertà accademica. Sono questi i mesi in cui AUC pubblica uno Special Issue della sua rivista dal titolo «Informants at AUC(550)» nel quale si tratta il tema della presenza degli informatori dentro l'università, sottolineando come gli Pag. 345studenti più attivi politicamente sono quelli che per primi vengono attenzionati. Nel settembre 2017, «Mada Masr» è una delle uniche testate che racconta le strade polarizzate di Manhattan che accolgono Al-Sisi in occasione dell'Assemblea generale dell'ONU: da una parte i suoi sostenitori, che intonano canti nazionalisti che lodano il ruolo dell'esercito, dall'altra attivisti ed esuli che lo accusano di essere il nuovo dittatore. In questa occasione, che diventa nei fatti una vetrina internazionale, l'opposizione egiziana in esilio utilizza il caso Regeni per rendere più forti ed evidenti le denunce di violazioni dei diritti umani in corso lungo il Nilo, proprio mentre l'Egitto dall'ottobre 2016 è entrato a far parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. «Mada Masr» continua poi a seguire da vicino l'inchiesta giudiziaria, le richieste avanzate dall'Italia al Cairo, gli incontri tra le procure, l'evoluzione del dibattito politico italiano sulla vicenda Regeni e i diversi dossier sui quali Italia ed Egitto continuano a cooperare: dalla Libia alle armi.
  Interessante anche la copertura che viene data al caso Regeni dalle televisioni gestite da egiziani esuli e quindi residenti all'estero, soprattutto in Turchia (paese fino al marzo 2020 in aperto scontro con l'Egitto, visto che Ankara ha accolto i rappresentanti della Fratellanza musulmana dopo il golpe del 2013) e nel Regno unito. Si tratta quindi di emittenti che rappresentano nei fatti il punto di vista delle diverse correnti che compongono l'opposizione al regime egiziano. Particolarmente attenta al caso è l'emittente, con base a Londra, «Al-Araby», testata nata grazie all'impegno di diverse voci influenti durante la rivoluzione del 2011 e peraltro molto attenta all'attività di questa Commissione d'inchiesta. In una serie di trasmissioni dedicate al caso Regeni, viene intervistato Maaty al-Sandoubi, giornalista egiziano che si muove tra Italia e Turchia e che punta il dito contro il regime, dicendo che tutti sanno chi ha ucciso Giulio Regeni, ma «politica e diplomazia preferiscono non dirlo». Considerando che già in passato ci sono stati ufficiali processati dalla procura egiziana, ci si chiede perché su questa questione il governo non voglia punire i responsabili. «Perché gli imputati ora sarebbero pesci grossi, uomini ai vertici dell'intelligence, soprattutto dell'intelligence militare» dice al Samdoubi. Scoperchiare questo vaso di Pandora sarebbe inoltro rischioso – si capisce nel programma – perché farebbe luce sulla pratica delle uccisioni arbitrarie e segrete che per ora resta solo una denuncia di attivisti e organizzazioni non governative o a difesa dei diritti umani. «Al-Araby» racconta più volte come Regeni sia stato trattato come un egiziano, «minnena», letteralmente «parte di noi», come si legge già all'indomani del ritrovamento del suo corpo sui cartelli di chi va davanti all'ambasciata italiana al Cairo a deporre un fiore. Il 10 febbraio 2016, «Al-Shorouq» aveva pubblicato un articolo di fondo in cui definiva Regeni, appunto, «Minnena». Un commento nascosto nelle pagine interne del giornale descriveva anche una vignetta circolata sui social dove un ufficiale di polizia – davanti a un cumulo di corpi – si chiede «dove è l'Italiano?». E' la conferma – si scrive – che il sentimento diffuso trasversalmente nel Paese è che Regeni sia solo una delle centinaia di vittime che hanno subito lo stesso destino. Il 13 febbraio un altro editoriale dice che «Giulio Regeni è uno di noi, ucciso come noi (...) con lui è stata uccisa anche la nostra rivoluzione.» Pag. 346
  Da notare come il termine «minnena» assume all'interno di questa vicenda un significato particolarmente forte, diventando quasi una parola chiave, uno slogan che circola anche sui social media e che viene infine utilizzato anche strumentalmente dall'opposizione egiziana, soprattutto quella all'estero, per denunciare la repressione interna al Paese. Non a caso «Minnena» è anche il titolo del già citato libro a cura di Casini, Melfa, Starkey: «Minnena. L'Egitto, l'Europa e la ricerca dopo l'assassinio di Giulio Regeni.».
  Giulio Regeni diventa anche un martire celebrato in alcuni murales, una delle forme artistiche più legate all'epoca rivoluzionaria. Il primo graffito che lo ritrae compare in fretta sulle pareti di via Mohammed Mahmoud (una delle arterie che conduce a piazza Tahrir che a partire dal gennaio 2011 diventa un'emblematica galleria a cielo aperto per celebrare i volti dei martiri della rivoluzione e raccontare passo dopo passo tutte le fasi della rivoluzione, fino a quando non viene cancellata). Il secondo graffito compare a Berlino, dove lo realizza l'artista El Tenen, che, presentando Giulio Regeni un martire come i tanti egiziani, realizza sul suo volto uno stencil che recita «Giulio Regeni è uno di noi ed è stato ucciso come noi.»
  È questa equazione che porta la mamma di Khaled Said – il ragazzo di Alessandria d'Egitto morto a seguito di un fermo di polizia nel giugno 2010 e diventato, suo malgrado, il precursore della rivoluzione del 2011 – a mandare un messaggio a Paola Deffendi, mamma di Giulio. «Mando le mie condoglianze alla madre del martire Regeni – dice su un video YouTube la signora Laila Marzouk – Sono con lei e sento il suo stesso dolore perché soffro ogni giorno per Khaled. Voglio ringraziarla per essere con noi e per la sua attenzione ai casi di tortura in Egitto». Dopo questo messaggio –c he non trova spazio sui media ufficiali, ma che diventa virale sulle piattaforme frequentate dall'opposizione – Giulio Regeni viene riconosciuto dalla società civile egiziana come un martire della rivoluzione, proprio come Khaled Said. Grazie alla visibilità che il caso Regeni acquisisce a livello globale, molti attivisti egiziani lo usano da volano per denunciare le violazioni di diritti umani commesse all'interno del loro Paese.

13. INIZIATIVE EUROPEE E INTERNAZIONALI

13.1 Le istituzioni europee e la diversità degli atteggiamenti degli Stati membri

  La gestione del caso Regeni da parte delle autorità europee e degli Stati membri UE può essere considerata, sin dalle prime settimane dopo il rinvenimento del cadavere, come un esempio evidente di quella insufficiente cooperazione tra istituzioni comunitarie e Stati membri che lamentano da molto tempo numerosi attori e osservatori della politica estera europea(551). In particolare, tale gestione si è rivelata prova lampante di quel differenziale che spesso si riscontra tra dichiarazioni di principio e comportamenti effettivi di numerosi governi e Pag. 347organismi europei e che causa accuse di ipocrisia nella gestione delle relazioni internazionali dell'Unione(552).
  Per meglio comprendere molte delle ambiguità riscontrate nei comportamenti degli attori europei dopo il caso Regeni, è bene analizzare la già opaca gestione dei rapporti tra l'Unione europea, Stati membri e l'Egitto negli anni immediatamente precedenti al 2016. È importante sottolineare, infatti, come già nell'agosto 2013, all'indomani del massacro di Rabaa (in cui l'Esercito e le forze di Sicurezza egiziane repressero nel sangue le manifestazioni indette dalla Fratellanza musulmana uccidendo dalle 600 alle 1000 persone)(553), il Consiglio degli Affari esteri dell'Unione europea aveva condannato l'uso sproporzionato della violenza da parte del nuovo regime ed espresso la necessità di introdurre misure volte alla tutela dei diritti umani nel Paese e alla sua transizione democratica(554). Per questo gli Stati membri concordarono di sospendere le licenze per l'esportazione verso l'Egitto di qualsiasi attrezzatura che avrebbe potuto essere utilizzata per la repressione interna, di rivalutare i titoli di esportazione di attrezzature militari e di rivedere la politica di assistenza nel campo della sicurezza verso l'Egitto. La natura non vincolante di tale dichiarazione si era però presto trasformata in lettera morta per la maggior parte dei firmatari. Secondo un report di Amnesty International pubblicato nel 2016, infatti, «Solo nel 2014, gli Stati dell'Unione europea hanno emesso 290 autorizzazioni all'esportazione di forniture militari all'Egitto, per un valore di oltre sei miliardi di euro, tra cui piccole armi, armi leggere e relative munizioni, veicoli blindati, elicotteri, armi pesanti per operazioni anti-terrorismo e tecnologia per la sorveglianza»(555). L'importanza strategica, militare, ed economica dell'Egitto, accompagnata dal timore di poter perdere quote di mercato e di influenza nel Paese in caso di effettiva applicazione della sospensione ,avevano quindi spinto buona parte degli Stati europei a proseguire i loro commerci in ambito militare con l'Egitto.
  Dopo un breve periodo di attenzione a seguito del colpo di stato del 2013, quindi, il tema dei diritti umani in Egitto sembrava essere tornato a essere considerato largamente secondario dalle istituzioni UE e dagli Stati membri, almeno fino al 2016. L'assassinio di Giulio Regeni, infatti, ripropone con forza il problema a livello mediatico, mentre l'esempio della reazione italiana sembra dover indurre i suoi alleati occidentali a mostrare solidarietà e condanna nei confronti del regime di Al-Sisi.
  Come nel 2013, sono ancora una volta le istituzioni europee a muoversi per prime. Risale infatti già all'8 marzo 2016, poche settimane dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni al Cairo, la prima risoluzione del Parlamento europeo sulla questione(556). In essa, i parlamentari europei chiedono ai governi nazionali di sospendere ogni collaborazione in tema di sicurezza con l'Egitto e di interrompere qualunque tipo di fornitura militare verso il Paese, ritenuto responsabile Pag. 348 di gravi violazioni dei diritti umani non solo verso lo studente italiano ma anche verso numerose personalità della società civile egiziana. La natura non-vincolante della risoluzione, però, ha permesso sin da subito ai maggiori Stati membri di ignorarne le raccomandazioni. È stato questo il caso sia della Francia sia della Germania, i cui governi hanno intrattenuto visite di alto livello al Cairo nelle settimane seguenti. Il Ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, si è recato al Cairo il nell'aprile 2016, dove ha affermato il «totale supporto» per l'Egitto da parte della Germania e «la totale assenza di restrizioni alle esportazioni di armi» verso il Paese(557). La visita è stata infatti propedeutica per le negoziazioni relative alla vendita di due sottomarini di produzione tedesca per le Forze Armate egiziane. Il ministro tedesco ha inoltre rimarcato come a suo parere Al-Sisi sia un «grande presidente» («impressive president»(558)). La sola menzione del caso Regeni è avvenuta durante la conferenza stampa, quando Gabriel ha affermato che «le notizie di crescenti violazioni dei diritti umani ci spaventano e ci preoccupano» e che «esse danneggiano l'immagine dell'Egitto»(559). La visita della delegazione tedesca è stata seguita il giorno dopo da un'altra, ancora di più alto livello, da parte francese. Il 18 aprile 2016, infatti, il presidente francese Francois Hollande è giunto al Cairo dove è stato accolto da Al-Sisi con tutti gli onori del cerimoniale. I due presidenti hanno avuto un lungo colloquio seguito da una conferenza stampa, durante la quale Hollande ha affrontato brevemente il tema dei diritti umani nel Paese, affermando che essi non sono un ostacolo, bensì un supporto nella lotta al terrorismo(560). Anche nel caso francese, la visita è stata propedeutica per rinsaldare i già forti legami commerciali fra i due Paesi, soprattutto nell'ambito delle commesse militari. Un contratto per la vendita di armamenti francesi all'Egitto del valore di 2,2 miliardi di dollari – in parte forniti sotto forma di prestiti agevolati da banche francesi – è stato infatti firmato dai due presidenti durante la visita.
  Quasi in contemporanea con le due visite in Egitto di alto livello di Francia e Germania, è arrivata anche la presa di posizione ufficiale del Regno unito, all'epoca ancora parte dell'UE e paese dell'università in cui Regeni stava compiendo i suoi studi. La dichiarazione seguiva due mesi di imbarazzante silenzio che aveva portato alla pubblicazione di una petizione firmata da migliaia di persone provenienti soprattutto dal mondo accademico(561).
  Infine, da segnalare l'altrettanto timida reazione del principale alleato non-europeo dell'Italia, gli Stati Uniti. L'allora Segretario di Stato John Kerry, infatti, ha sollevato la questione dei diritti umani e del caso Regeni a inizio aprile 2016 con il ministro degli esteri egiziano, Pag. 349durante una visita di quest'ultimo a Washington(562). La questione non è però comparsa tra i temi trattati, almeno ufficialmente, durante la visita compiuta dallo stesso Kerry al Cairo il 23 aprile seguente, pochi giorni dopo le due visite francese e tedesca(563).
  È bene sottolineare, infine, che, al di là delle dichiarazioni fatte dai rappresentanti degli Stati membri UE, la presenza stessa al Cairo di due delegazioni di alto livello inviate dalle due principali potenze europee a poche settimane dal ritrovamento del cadavere di Regeni ha indubbiamente costituito un forte segnale per il governo egiziano e per quello italiano rispetto allo scarso appoggio su cui poter contare tra gli alleati europei nei tentativi di fare pressione sul Cairo.
  Giova in ogni caso riepilogare le posizioni assunte dal Consiglio UE dal 2016 al 2021.
  In occasione della riunione del Consiglio Affari esteri dell'UE del 18 aprile 2016, il Ministro degli Esteri italiano pro tempore, Paolo Gentiloni è intervenuto per fare il punto sul caso Regeni, in considerazione dell'interesse e della vicinanza che molti Paesi membri hanno manifestato sulla vicenda, delle gravi situazioni di mancato rispetto dei diritti fondamentali che coinvolgono altri cittadini europei in Egitto e delle preoccupanti, recenti, affermazioni pubbliche con le quali il Presidente Al-Sisi avrebbe accennato ad una sorta di «eccezione egiziana» all'applicazione del sistema di valori europei in materia di diritti umani.
  Il ministro Gentiloni ha sottolineato come la disponibilità italiana a contribuire alle indagini delle forze dell'ordine egiziane e la ricerca di una reale collaborazione non abbiano prodotto i risultati attesi, come dimostrato dal rifiuto del Cairo di fornire quanto richiesto e dalla continua divulgazione di ricostruzioni «fantasiose». Ha quindi ricordato il richiamo dell'ambasciatore. Massari e l'intenzione di mantenere un atteggiamento di critica molto ferma nei confronti del governo egiziano.
  Non vi è stato dibattito sul punto, ma l'Alta Rappresentante Federica Mogherini ha ricordato di aver sollevato il tema in bilaterale con il Ministro degli affari esteri egiziano Sameh Hassan Shoukry e ribadito che la UE è pronta a sostenere l'Italia nella ricerca della verità. L'Alta Rappresentante Federica Mogherini ha chiuso il dibattito con un generico riferimento alla richiesta di alcuni Paesi di calendarizzare una discussione sui rapporti con l'Egitto a livello di Consiglio Affari esteri dell'UE, ma senza indicare date.
  Il Consiglio dell'UE, in occasione della ottava sessione del Consiglio di associazione UE-Egitto svoltasi a Bruxelles il 20 dicembre 2018, ha approvato una dichiarazione relativa alla posizione dell'UE nella quale, in particolare per quanto riguarda le attività di repressione della società civile condotte in Egitto e il caso di Giulio Regeni, si indica che:

   l'UE continua a essere preoccupata per la continua limitazione dello spazio della società civile in Egitto e per la pressione esercitata sulle organizzazioni e sui difensori dei diritti umani anche tramite arresti, congelamenti di beni, divieti di viaggio, sorveglianza elettronica Pag. 350e convocazioni in tribunale. Gli attori della società civile apportano un contributo fondamentale allo sviluppo sociale ed economico sostenibile, al processo di consolidamento democratico e alla promozione dei diritti umani, concorrendo così a creare stabilità e sicurezza durature. La società civile deve poter operare in un contesto propizio;

   l'UE rinnova l'invito, rivolto alle autorità egiziane, a fare luce senza ulteriori indugi sulle circostanze della morte del cittadino italiano Giulio Regeni e del cittadino francese Eric Lang e a identificare e perseguire chi si è reso responsabile di tali reati esecrabili, cooperando pienamente su tali casi con le autorità degli Stati membri interessati.

  Analogo invito era stato rivolta alle autorità egiziane in occasione della dichiarazione relativa alla posizione dell'UE in occasione della settima sessione del Consiglio di associazione UE- Egitto del 25 luglio 2017.
  Nell'ambito dell'ottava sessione del Consiglio di associazione UE-Egitto sono state esaminate lo stato delle relazioni bilaterali tra l'UE e l'Egitto e si è fatto il punto dei progressi compiuti nell'attuazione delle priorità del partenariato UE-Egitto per il periodo 2017-2020 approvate in occasione della settima sessione del Consiglio di associazione UE-Egitto del 25 luglio 2017.
  Tali priorità si articolano in: iniziative per promuovere lo sviluppo economico e sociale dell'Egitto; iniziative nell'ambito della cooperazione nella politica estera, con particolare riferimento alla stabilizzazione del vicinato e la cooperazione nella gestione delle crisi e dell'assistenza umanitaria; iniziative per rafforzare la stabilita, la democrazia, il rispetto dei diritti fondamentali e lo stato di diritto la sicurezza, la lotta al terrorismo e la gestione dei flussi migratori.
  Il Consiglio di associazione del 20 dicembre 2018 ha discusso, in particolare, della modernizzazione dell'economia egiziana e delle riforme economiche in corso. Si è, inoltre concentrato inoltre sul commercio e sullo sviluppo sociale, sulla sicurezza energetica, sull'ambiente e sui cambiamenti climatici. Il Consiglio ha anche discusso di come rafforzare la stabilità e la sicurezza, attraverso uno Stato moderno e democratico e la promozione dei diritti umani. Infine, il Consiglio di associazione si è occupato di lotta al terrorismo e sicurezza, nonché di questioni relative alla migrazione.
  In occasione della riunione del Consiglio affari esteri dell'UE del 25 gennaio 2021 – coincidente con il quinto anniversario del sequestro di Giulio Regeni – il Consiglio ha espresso solidarietà all'Italia e ha invitato l'Egitto a garantire la piena cooperazione con le autorità italiane sul caso Regeni al fine di svolgere un processo equo ed equilibrato.

13.2 Risoluzioni del Parlamento europeo e reazioni egiziane

  A partire dal marzo del 2016, il Parlamento europeo mette nero su bianco la sua posizione sul caso Regeni in diverse risoluzioni. La prima si concentra in particolare sul caso in questione, mentre le altre lo nominano all'interno di risoluzioni più ampie sull'Egitto e sulle condizioni dei diritti umani all'interno del Paese, enunciando gli sviluppi Pag. 351dell'inchiesta portata avanti dalla Procura della Repubblica di Roma e criticando l'atteggiamento egiziano. In più occasioni, il Parlamento europeo invita poi gli Stati membri a rispettare le decisioni prese in ambito europeo (ad esempio quelle sulle licenze all'export di armi) che nei fatti continuano ad essere disattese da più Stati membri.
  La prima risoluzione che ha per oggetto il caso Regeni è quella del 10 marzo 2016 che, nominando Giulio Regeni già nel suo titolo, definisce quella del ricercatore italiano l'ultima sparizione forzata in un lungo elenco di sparizioni avvenute impunemente in Egitto a partire dal luglio 2013(564). La risoluzione sottolinea con grande preoccupazione che il caso di Giulio Regeni non è un evento isolato, ma si colloca in un contesto di torture, morti in carcere e sparizioni forzate avvenute in tutto l'Egitto negli ultimi anni, in chiara violazione dell'articolo 2 dell'Accordo di associazione UE-Egitto, in base al quale le relazioni tra l'Unione e l'Egitto devono fondarsi sul rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali quali definiti nella Dichiarazione universale dei diritti umani. La risoluzione invita pertanto il Servizio europeo per l'azione esterna e gli Stati membri a sollevare con le autorità egiziane la questione delle sparizioni forzate e del ricorso alla tortura quale prassi abituale, nonché a esercitare pressioni affinché si proceda a una riforma efficace dell'apparato della sicurezza e del sistema giudiziario egiziano. La risoluzione esorta inoltre le autorità del Cairo a fornire alle autorità italiane tutte le informazioni e tutti i documenti necessari per consentire lo svolgimento di indagini congiunte rapide, trasparenti e imparziali sul caso Regeni. Infine, il testo invita gli Stati membri ad attenersi pienamente alle conclusioni del Consiglio affari esteri dell'agosto 2013 in materia di esportazione di tecnologie e attrezzature militari e cooperazione nel settore della sicurezza. Con tale testo, adottato una settimana dopo la strage di Rabaa al-Adawya nel corso della riunione straordinaria del 21 agosto 2013, i ministri degli esteri dell'Unione decidevano la sospensione, da parte degli Stati, delle licenze di esportazione – in Egitto – di materiali utilizzati per la repressione interna nonché il riesame delle licenze di esportazione oggetto della Posizione comune UE 2008/944/PESC. Il testo incaricava inoltre l' Alto rappresentante per la politica estera a riconsiderare l'assistenza UE nel quadro della Politica europea di vicinato e l'accordo di associazione sulla base dell'adesione dell'Egitto ai principi che ne sono a fondamento, restando inteso che l'assistenza alle fasce più vulnerabili della popolazione e alla società civile sarà mantenuta. Tali conclusioni, adottate in un momento caldo come quello post-golpe dell'estate del 2013, sono state in buona parte ignorate o aggirate dagli Stati membri, come nei fatti dimostra il richiamo contenuto nella prima risoluzione del Parlamento europeo sul caso Regeni che include anche un invito a definire, in stretta consultazione con il Parlamento europeo, una tabella di marcia recante le misure concrete che le autorità egiziane dovranno adottare per migliorare in maniera significativa la situazione dei diritti umani e conseguire una riforma globale del sistema giudiziario, prima di poter prendere in considerazione un riesame delle conclusioni del Consiglio affari esteri Pag. 352dell'agosto 2013. Da ricordare che le conclusioni raggiunte nel 2013 sono state poi ribadite dal Consiglio affari esteri del febbraio 2014 e poi confermate dall'Alto Rappresentante in una risposta scritta datata 27 ottobre 2015, dove si legge che tali conclusioni costituiscono un impegno politico contro qualsiasi sostegno militare all'Egitto.
  Questa, come del resto tutte le risoluzioni del Parlamento europeo sull'Egitto, viene considerata dal governo egiziano ingerenze esterne e, come avviene tradizionalmente in questi casi, diventano spesso oggetto di discussione della stampa locale che tende a descriverle come fuorvianti e faziose. Nel 2016, lo scontro Cairo-Bruxelles è in parte anticipato da un articolo di «Al-Shorouq» che il 14 febbraio scrive che l'omicidio Regeni rischia di rovinare le relazioni tra Egitto ed Europa, vista anche la numerosa comunità di ricercatori europei presenti al Cairo. Su «Al-Shorouq», all'indomani della risoluzione, compare un'intera pagina, con un richiamo già in prima, citando direttamente il caso Regeni. Oltre a riassumere il contenuto della risoluzione, l'articolo riporta che le autorità egiziane criticano a gran voce il testo del Parlamento europeo perché – si dice in dichiarazioni che trovano ampio spazio sui media – basata su fonti false e su concetti promossi dalla Fratellanza musulmana. Utilizzando strumentalmente un'intervista a un analista italiano che definisce la risoluzione solo simbolica, si ipotizza che l'Unione europea non andrà realmente contro l'Egitto perché il Cairo è un pilastro della lotta al terrorismo. Il tema continua ad essere discusso a lungo sulle pagine dei giornali, dove a dominare sono le critiche nei confronti della «ingerenza straniera», ma il 26 marzo 2016, a pag.6 di «Al-Shorouq», compare un editoriale dal titolo: «Un messaggio dell'Occidente al Cairo: la pazienza ha un limite» che presenta invece un punto di vista differente. Secondo l'articolo, il bisogno di stabilità dell'Unione non farà chiudere gli occhi agli europei sulle violazioni sistematiche dei diritti umani.
  La seconda risoluzione che menziona il caso Regeni è quella dell'8 febbraio 2018, adottata a Strasburgo sulle esecuzioni in Egitto. Il testo che condanna fermamente il ricorso alla pena capitale e chiede la sospensione di ogni imminente esecuzione in Egitto ricorda ancora una volta il proprio sdegno per la tortura e l'uccisione di Giulio Regeni e denuncia l'assenza di progressi nell'inchiesta, sottolineando che il Parlamento europeo continuerà a sollecitare le autorità europee ad impegnarsi con le loro controparti egiziane finché non verrà stabilita la verità su questo caso e fino a quando i responsabili non ne risponderanno(565).
  Altra risoluzione che menziona il caso Regeni è quella del 13 dicembre 2018 che si concentra sulla situazione dei difensori dei diritti umani in Egitto. Considerate anche le sparizioni e incarcerazioni dell'avvocato per i diritti umani, Ezzat Ghoneim, membro della Commissione egiziana per i diritti e le libertà che assiste i Regeni, e di Ibrahim Metwally, il Parlamento europeo condanna fermamente le continue restrizioni imposte ai diritti democratici fondamentali, in particolare alla libertà di espressione, sia online che offline, alla libertà di associazione e riunione, al pluralismo politico e allo Stato di diritto Pag. 353in Egitto. La risoluzione chiede che si ponga fine a tutti gli atti di violenza, istigazione, incitamento all'odio, vessazione, intimidazione, alle sparizioni forzate o alla censura nei confronti di difensori dei diritti umani, avvocati, manifestanti, giornalisti, blogger, sindacalisti, studenti, attivisti impegnati a favore dei diritti delle donne, persone LGBTI, organizzazioni della società civile, oppositori politici e minoranze da parte delle autorità statali, delle forze e dei servizi di sicurezza e di altri gruppi in Egitto. Sul caso Regeni, la risoluzione acquisisce che l'Egitto ha nuovamente respinto la richiesta della procura italiana di identificare gli agenti coinvolti nella scomparsa e nella morte di Giulio Regeni e sottolinea che continuerà a sollecitare le autorità europee a impegnarsi con le loro controparti egiziane finché non verrà stabilita la verità su questo caso e i responsabili non saranno chiamati a risponderne.
  Il caso Regeni viene anche menzionato nella risoluzione del 27 marzo 2019 sulle prospettive, successivamente alle primavere arabe, in Nord Africa e Medio Oriente. Il testo deplora che in alcuni casi la cooperazione investigativa e giudiziaria bilaterale sui casi di detenzione, violenza o morti di cittadini dell'UE sia stata inadeguata, come avvenuto proprio per Giulio Regeni, e ritiene quindi essenziale collegare l'ulteriore collaborazione in altri settori a miglioramenti sostanziali in tale ambito.(566)
  Sette mesi dopo, il 24 ottobre 2019, un'altra risoluzione del Parlamento europeo deplora la mancanza di un'indagine credibile sul rapimento, la tortura e l'assassinio di Regeni e, in una più ampia risoluzione sull'Egitto, ribadisce l'invito alle autorità del Cairo a fare luce sulle circostanze relative alla sua morte, insieme a quella di Eric Lang, e a chiamare i responsabili a risponderne, in piena collaborazione con le autorità degli Stati membri interessati da questi casi. Tale testo arriva circa un mese dopo le timide proteste antigovernative svoltesi in alcune città egiziane e silenziate – denuncia tale risoluzione- con circa 4300 arresti arbitrari. La risoluzione chiede il rilascio immediato e incondizionato – tra gli altri – di Ezzat Ghoneim, e Ibrahim Metwally e ribadisce il suo appello agli Stati membri dell'UE affinché diano seguito alle conclusioni del 21 agosto 2013 sulla sospensione delle licenze di esportazione verso l'Egitto di attrezzature che potrebbero essere usate a fini di repressione interna e condanna il persistente mancato rispetto di tali impegni. In tale occasione, il testo invita anche a sospendere le esportazioni verso l'Egitto di tecnologie di sorveglianza e altre attrezzature di sicurezza in grado di facilitare gli attacchi contro i difensori dei diritti umani e gli attivisti della società civile, anche nei social media(567).
  Puntualmente, il 26 ottobre 2019 su diversi organi di stampa egiziana trovano ampio spazio le condanne pubblicamente avanzate dalla Camera dei deputati egiziana verso la nuova risoluzione del Parlamento europeo sulla questione dei diritti umani, una risoluzione che viene definita vergognosa, perché basata su false dichiarazioni. Pag. 354Anche in questa occasione si parla di interferenze straniere nelle questioni nazionali.
  Particolarmente forte infine, la risoluzione del 18 dicembre 2020 sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, un testo che nasce sull'onda dell'arresto dei dirigenti dell'Egyptian Initiative for Personal Rights, una delle poche ONG superstiti in Egitto con cui collaborava Patrick Zaki prima del suo arresto. La risoluzione denuncia il continuo deterioramento dei diritti umani nel Paese e la costante brutale repressione di qualsiasi forma di dissenso. Il testo, che deplora la detenzione cautelare di Patrick Zaki, riassume anche i risultati delle indagini della procura italiana sul caso Regeni, parlando di prove inequivocabili del coinvolgimento di quattro agenti delle forze di sicurezza dello Stato egiziano nel rapimento e nel ferimento aggravati e nell'omicidio di Regeni. La risoluzione denuncia nuovamente l'atteggiamento delle autorità egiziane che continuano costantemente – lamenta il Parlamento europeo – a ostacolare i progressi nelle indagini e nella ricerca della verità sul rapimento, la tortura e l'uccisione di Giulio Regeni e sulla morte dell'insegnante francese Eric Lang. Con questa risoluzione, il Parlamento europeo chiede all'UE e ai singoli Stati membri di esortare le autorità egiziane a collaborare pienamente con le autorità giudiziarie italiane, ponendo fine al loro rifiuto di inviare gli indirizzi di residenza, come richiesto dalla legge italiana, dei quattro indagati segnalati dai pubblici ministeri di Roma, al termine dell'indagine, affinché possano essere formalmente incriminati e nell'ambito di un processo equo in Italia. Inoltre, il testo ammonisce le autorità egiziane rispetto ad eventuali ritorsioni nei confronti dei testimoni o del personale della Commissione egiziana per i diritti e le libertà che assiste la famiglia Regeni e dei suoi legali. Il testo esprime infine un forte sostegno politico e umano alla famiglia di Giulio Regeni per la sua costante e dignitosa ricerca della verità, pur ricordando che la ricerca della verità sul rapimento, sulle torture e sull'omicidio di un cittadino europeo non spetta soltanto alla famiglia, ma è dovere imperativo delle istituzioni nazionali e dell'UE che richiede l'adozione di tutte le necessarie azioni diplomatiche(568). Questa risoluzione risulta particolarmente forte perché, oltre a menzionare la necessità di un riesame dei rapporti UE-Egitto e a considerare la possibilità di ricorrere al nuovo regime globale di sanzioni in materia di diritti umani (il cosiddetto Magnitsky Act dell'UE) rinnova l'invito all'Alto Rappresentante e agli Stati membri a prendere in considerazione misure restrittive mirate nei confronti di funzionari egiziani di alto livello responsabili delle violazioni più gravi nel Paese.
  Anche in questa occasione, tempestivamente, i media egiziani riportano le reazioni del Parlamento del Cairo, stizzito dall'atteggiamento del Parlamento europeo. A trovare spazio, nelle testate in lingua araba come nei portali in lingua inglese, è soprattutto la dichiarazione del presidente della Camera dei deputati, Ali Abdu Aal(569)secondo il Pag. 355quale l'Unione europea così facendo interferisce negli affari interni di un Paese sovrano e non rispetta la separazione tra i poteri nello Stato, principio alla base delle stesse costituzioni europee. Inoltre, si ribadisce che l'Europa non si rende conto del ruolo che l'Egitto sta svolgendo per la stabilità del Mediterraneo, contro il pericolo terroristico e contro il traffico di esseri umani. Il comunicato della Camera dei deputati egiziana(570) contesta la risoluzione perché strumentalizza politicamente la questione dei diritti umani e si basa peraltro su dati forniti da fonti faziose, essendo infine contraria al partenariato Egitto-UE. La stampa egiziana riporta anche il comunicato del presidente del Senato, Abdel Wahab Abdel Razek, secondo il quale tutte le persone attualmente in carcere e menzionate dalla risoluzione che ne richiede il rilascio sono accusati di tradimento e in quanto imputati sono trattati come tutti gli altri imputati. Il comunicato divulgato dal Senato si spinge a dire che la risoluzione del Parlamento europeo si basa su fonti «demoniache» – espressione che alcuni organi di stampa utilizzano per definire gli egiziani esuli che intrattengono (o sono sospettati di intrattenere) relazioni con parlamentari europei – e che l'Egitto non tollererà che le organizzazioni non governative diventino una copertura per commettere crimini all'interno del Paese. Da menzionare resta tuttavia la voce fuori dal coro di Mohamed Anwar Sadat, presidente del Partito dello sviluppo, ex deputato e componente della Commissione diritti umani, espulso dal Parlamento nel 2017. Menzionato soprattutto dalla stampa panaraba, che ricorda anche la sua parentela con l'ex presidente Sadat, invita a reagire diversamente alla risoluzione, suggerisce di non attaccarla, ma di confutarla punto per punto, auspicando la visita di rappresentati delle istituzioni UE al Cairo e creando una commissione mista (giornalisti/umanitari/politici) per andare a verificare in carcere le condizioni di tutte le persone menzionate dalla risoluzione(571).

13.3 L'implementazione del Magnitsky Act

  In occasione della giornata globale dei diritti umani, il 7 dicembre 2020, il Consiglio UE ha approvato il «Regolamento 2020/1998 relativo a misure restrittive contro gravi violazioni e abusi dei diritti umani», meglio noto come «Magnitsky Act globale». Esso si ispira, in buona parte imitandolo, all'omonimo strumento legislativo approvato dal Congresso statunitense nel 2012 durante la presidenza di Barack Obama, quando tale atto viene scritto e implementato in reazione alla morte del whistleblower Sergei Magnitsky, deceduto in una prigione russa a seguito delle rivelazioni di una complessa truffa fiscale. La sua uccisione mirava a salvaguardare una vera e propria associazione a delinquere che coinvolgeva membri dei servizi di sicurezza, delle istituzioni, della mafia russa e del sistema bancario.
  Dal 2012, negli Stati Uniti questa legge autorizza il governo a perseguire i responsabili delle violazioni dei diritti umani, sequestrandone i beni e bandendoli dal rilascio dei visti d'ingresso nel Paese. Nel 2016, il suo mandato viene poi ampliato, con il Global Magnitsky Pag. 356Human Rights Accountability Act, al fine di sanzionare dall'esterno i responsabili di gravi atti di corruzione e di altri abusi, compiuti in qualsiasi Paese(572).
  L'approvazione, nel 2020, a livello europeo, del Magnitsky Act può essere interpretata come il culmine di un lungo percorso politico e istituzionale che ha visto, a partire dagli anni '90, una transizione verso l'utilizzo di regimi sanzionatori sempre più mirati su singoli individui e specifiche entità, colpevoli di alimentare conflitti armati o complici di violazioni umanitarie gravi. Le misure restrittive classiche, che colpiscono un intero paese e un intero popolo, non sono in grado di intaccare sistemi oligarchici caratterizzati da commistioni tra crimine, istituzioni politiche e di sicurezza ed economia, ma possono invece farlo strumenti, come il Magnitsky Act, che colpiscono in modo chirurgico sanzionando i decisori politici, formali o informali che siano, e gli esecutori materiali.
  Nei fatti, con l'approvazione da parte del Consiglio di questo regolamento, si prevede «il congelamento di fondi e risorse economiche e il divieto di mettere fondi e risorse economiche a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi responsabili o sostenitori di gravi violazioni o abusi dei diritti umani, o comunque coinvolti in tali atti», precludendo effettivamente l'accesso al sistema finanziario europeo delle persone o entità che da esso vengono sanzionate.
  Vista anche la coincidenza il 25 gennaio 2021 tra la data del primo Consiglio UE dei ministri degli esteri successivo all'emanazione di questo regolamento e il quinto anniversario della morte di Giulio Regeni, a fine 2020 alcuni analisti, politici e difensori dei diritti umani hanno ipotizzato un battesimo per questo regolamento, ovvero la richiesta da parte del governo italiano di applicarlo nei confronti di un certo numero di attori egiziani coinvolti nel caso Regeni(573).
  Su richiesta dell'Italia, il Consiglio viene effettivamente informato dell'indagine sull'omicidio Regeni e nel resoconto del briefing preparatorio, tenutosi il 22 gennaio, viene anche indicato che i ministri avranno l'opportunità di discutere un ulteriore impegno con l'Egitto, anche su questioni di diritti umani(574). Pur senza riferimenti diretti al Magnitsky Act, la vicenda del ricercatore italiano viene però sollevata, in sede di illustrazione delle conclusioni del Consiglio, dall'Alto Rappresentate per la politica estera europea, Joseph Borrell, che chiede nuovamente all'Egitto di cooperare pienamente con le autorità italiane affinché i responsabili della sparizione, delle torture e della morte del ricercatore italiano rendano contro del proprio operato e sia fatta giustizia.
  Il Magnitsky Act viene applicato dall'UE per la prima volta nel febbraio 2021 sul caso di Sergey Navalny, l'oppositore del Cremlino Pag. 357scampato l'estate precedente a un tentativo di avvelenamento e poi arrestato a Mosca, dove viene condannato a oltre due anni di carcere. Durante la riunione dei ministri degli esteri europei tenutasi a Bruxelles il 22 febbraio, l'Alto Rappresentante Borrell, sulla base del nuovo regolamento, annuncia sanzioni contro quattro funzionari del Cremlino responsabili dell'arresto di Navalny.
  L'idea di poter implementare il Magnitsky Act nei confronti dell'Egitto non viene seguita neanche nel marzo del 2021, quando il Consiglio europeo decide di revocare il quadro UE delle sanzioni nei confronti delle persone identificate quali responsabili di distrazione di fondi pubblici egiziani e, a tal fine, di revocare le misure restrittive attualmente in vigore nei confronti di nove egiziani. Le misure restrittive, inizialmente adottate nel 2011, miravano in particolare ad assistere le autorità egiziane nel recupero di beni pubblici distratti(575).
  Ciononostante, un futuro ricorso a questo regolamento nei confronti dell'Egitto per il caso Regeni sarebbe comunque valutabile e potrebbe essere un'occasione per lanciare un segnale europeo di fermezza al Cairo, adottando – dopo una solidarietà rimasta nella maggior parte delle occasioni solo retorica – un'iniziativa corale, visibile e concreta. L'invocazione del Magnitsky Act, inoltre, risponderebbe non solo alla richiesta di verità sul caso Regeni, ma anche agli interessi dell'Unione. Per anni, i regimi autoritari del Nord Africa sono stati perceiti come la garanzia della stabilità regionale, baluardo contro il terrorismo e l'immigrazione clandestina. Ma la stagione delle rivoluzioni arabe ha dimostrato che tali regimi si fondano su una stabilità ad excludendum insostenibile nel lungo periodo, portando nei fatti in sé un seme di instabilità destinato, prima o poi, a erompere in instabilità ben più pericolose.

13.4 Interventi sull'Egitto del Consiglio ONU per i diritti umani

  Dalla salita al potere di Abdel Fattah Al-Sisi ad oggi, si registrano solo due interventi ufficiali sull'Egitto da parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nonostante le forti pressioni in tal senso arrivate soprattutto da organizzazioni della società civile egiziana e internazionale. Il primo risale al 7 marzo 2014, quando, per la prima volta, il Consiglio sottolineò il deterioramento dello stato dei diritti umani nel Paese avvenuto dopo il colpo di stato del 2013. La dichiarazione, firmata da 27 stati, si soffermava in particolare sull'uso eccessivo della forza nei confronti dei manifestanti, con particolare attenzione ai gravi episodi di repressione avvenuti l'anno prima culminati con il massacro di Rabaa, che secondo varie fonti aveva portato all'uccisione di diverse centinaia di persone (dalle 600 alle 1000 vittime) .
  Per il secondo intervento ufficiale del Consiglio nei confronti dell'Egitto sarà invece necessario attendere fino all'11 marzo 2021, quando 31 paesi hanno firmato una seconda dichiarazione congiunta, questa volta soffermandosi su numerosi aspetti relativi al deterioramento dello stato dei diritti umani in Egitto , anche a seguito del ruolo Pag. 358giocato dall'Italia. In particolare, la recente dichiarazione sottolinea il significativo deterioramento nel campo della privazione della libertà di espressione e di stampa, l'uso eccessivo dello strumento della detenzione preventiva, fino ad arrivare al tema più generale della repressione della società civile e dell'uso di leggi formalmente concepite contro il terrorismo per perseguire gli oppositori non violenti.

14. GLI STRUMENTI DEL DIRITTO INTERNAZIONALE: LA CONVENZIONE ONU CONTRO LA TORTURA

  La Commissione ha dedicato due sedute specifiche all'approfondimento del quadro giuridico rilevante secondo l'ordinamento internazionale e delle conseguenti possibili azioni che il Governo potrebbe intraprendere per fare valere la responsabilità internazionale dell'Egitto sulla vicenda che ha colpito Giulio Regeni e la sua famiglia.
  Dal punto di vista delle norme applicabili, si distinguono quelle provenienti da fonti consuetudinarie e quelle da fonti pattizie.
  Tra le prime, figurano in particolare le norme consuetudinarie sulla protezione degli stranieri, che impongono allo Stato territoriale numerosi obblighi per proteggere gli stranieri presenti nel proprio territorio da offese alla persona. Altre norma consuetudinaria rilevante è quella che protegge il diritto alla vita delle persone, che vieta allo Stato territoriale tutti i comportamenti che si risolvono in una privazione arbitraria della vita di ogni cittadino o straniero presente nel proprio territorio. Si tratta di una norma fondamentale del diritto internazionale con carattere di ius cogens assolutamente inderogabile e gerarchicamente superiore alle altre norme. La sua violazione comporta una responsabilità dello Stato territoriale verso tutti gli Stati e non solo di quello cui appartiene la persona privata della vita.
  Altra importante norma consuetudinaria è quella sul divieto di tortura e di trattamenti o pene inumani o degradanti. Essa vieta allo Stato territoriale tutti i comportamenti giuridicamente definiti come tortura o come trattamenti o pene inumani o degradanti, contro ogni cittadino o straniero presente nel proprio territorio. Come la precedente, si tratta di una norma di ius cogens che stabilisce obblighi erga omnes. La sua violazione comporta dunque una responsabilità dello Stato territoriale verso tutti gli altri Stati. Il divieto di tortura e di trattamenti o pene inumani o degradanti costituisce un obbligo assoluto, non sottoposto a limiti o restrizioni, e inderogabile in situazioni di guerra o di emergenza nazionale. La tortura è dunque considerata dal diritto internazionale un illecito gravissimo, la violazione di una norma e di un valore ritenuti di importanza fondamentale dalla intera comunità internazionale.
  Di origine pattizia sono invece le norme contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (di seguito CAT) che obbliga gli Stati parte a impedire e a punire la tortura.
  La Convenzione è stata adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 10 dicembre 1984 ed è stata ratificata sia dall'Italia (nel 1989) sia dall'Egitto (nel 1986). Si tratta di un trattato internazionale, fonte di norme particolari. Rispetto alle altre fonti internazionali di origine consuetudinaria, contiene norme scritte e dal tenore molto più preciso, Pag. 359pertanto ne è più facile constatarne la eventuale violazione. Inoltre la Convenzione del 1984 contiene anche obblighi ulteriori rispetto a quelli previsti dalle suddette norme consuetudinarie, sebbene abbia un oggetto più limitato rispetto alle citate fonti non pattizie, riguardando solo la tortura e le pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti e non le privazioni arbitrarie del diritto alla vita. Date tali caratteristiche, la Convenzione ONU è stata dagli studiosi considerata come il testo normativo di riferimento cui il Governo potrebbe fare ricorso per affermare la responsabilità internazionale dell'Egitto sulla vicenda. Va rilevato che la responsabilità internazionale potrebbe essere invocata da qualunque Stato parte della Convenzione, e non solo dallo Stato direttamente interessato, come in effetti avvenuto in altre circostanze.
  Occorre dunque verificare quali obblighi fossero e tuttora siano a carico dell'Egitto in relazione alla vicenda Regeni e se siano stati violati, per poterne affermare la responsabilità e poter attivare i rimedi che il diritto internazionale pone a tutela degli Stati.
  Fondamentale è l'obbligo negativo di non torturare e di non uccidere arbitrariamente una persona: un obbligo che si impone a tutti gli organi dello Stato egiziano, a prescindere dal fatto che abbiano agito nell'esercizio delle proprie funzioni ufficiali ovvero non rispettando gli ordini o al di fuori delle loro funzioni. Lo Stato egiziano è direttamente responsabile per il comportamento di tutti i suoi organi. Quattro appartenenti alle forze di sicurezza egiziane sono stati recentemente rinviati a giudizio, sebbene l'ordinanza della Corte di Assise di Roma abbia dichiarato la nullità della declaratoria di assenza e del conseguente decreto che dispone il giudizio emesso, nel maggio del 2021, dal GUP del Tribunale di Roma nei confronti dei 4 imputati (dato che può rilevare per un altro profilo di obblighi, come si vedrà). Si tratta di organi dello Stato egiziano e un'eventuale azione del governo italiano potrebbe essere avanzata contro l'Egitto con l'accusa di aver violato direttamente l'obbligo di non torturare e non uccidere arbitrariamente.
  Qualora non si riesca a dimostrare la responsabilità degli agenti della National Security o di altre forze di sicurezza egiziane, se la tortura e l'omicidio fossero stati commessi da privati non significa che l'Egitto non sia responsabile, perché lo Stato egiziano, tramite le proprie strutture competenti, doveva assumere tutte le misure richieste dalle circostanze per prevenire tali violazioni. Lo Stato egiziano avrebbe dovuto attivarsi se sapeva, o anche se solo avrebbe dovuto sapere, viste le circostanze, che vi fosse un pericolo che venissero commessi questi abusi nei confronti di Regeni. Tali obblighi trovano il loro fondamento non solo in norme consuetudinarie, ma anche nell'articolo 2, paragrafo 1, della CAT che prevede espressamente che ogni Stato parte debba prendere provvedimenti efficaci per prevenire e impedire atti di tortura nel proprio territorio. Tutte le circostanze fanno propendere verso l'ipotesi che le autorità egiziane fossero in grado di prevenire i crimini commessi contro Giulio, qualora non vi fossero coinvolte direttamente le stesse forze di sicurezza. In questo caso un'azione del governo italiano contro l'Egitto dovrebbe contenere l'accusa di violazione degli obblighi di prevenzione.
  Le norme internazionali individuano altresì gli obblighi di indagare sulla tortura e sull'uccisione arbitraria. In particolare, lo Stato territoriale – quindi l'Egitto – deve indagare in maniera rapida ed efficace Pag. 360quando si verifica un caso di tortura o di privazione arbitraria della vita nel proprio territorio, cercando di identificare e catturare i colpevoli e quindi sottoporli a processo e condannarli.
  Secondo la prassi e la giurisprudenza internazionale, lo Stato deve condurre indagini effettive e adeguate con organi indipendenti e imparziali, senza atteggiamenti di inerzia o di acquiescenza da parte delle autorità inquirenti, e le attività istruttorie devono essere rapide e approfondite. L'obbligo di investigazione è dunque molto preciso ed è stabilito espressamente anche dalla CAT. L'articolo 12 recita che:
  «Ogni Stato Parte provvede affinché le autorità competenti procedano immediatamente a un'inchiesta imparziale, quando vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione».
  Alla luce di queste norme e sulla base delle risultanze degli accertamenti svolti dalla Commissione, è palese la violazione da parte dell'Egitto del proprio obbligo di investigare in maniera adeguata sui fatti della tortura e dell'omicidio di Regeni.
  Sulla base delle audizioni della Procura della Repubblica di Roma e delle analisi svolte dalla Commissione sulla documentazione pervenuta, si può affermare come vi siano state numerose carenze nelle indagini da parte delle autorità egiziane, come ad esempio i molteplici comportamenti ostruttivi, i tentativi di depistaggio e la vicenda non chiarita dei gap nei video della metropolitana del Cairo proprio nei momenti decisivi. Un'eventuale azione del governo italiano contro l'Egitto sulla base della violazione degli obblighi nella conduzione delle indagini avrebbe dunque un fondamento molto solido.
  Ultimo obbligo di grande rilievo nella vicenda – per certi versi corollario di quello precedente – e anch'esso contenuto nella CAT (articolo 9), impone agli Stati di prestare la più ampia cooperazione e assistenza giudiziaria, compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova dei quali dispongono. L'articolo 9, comma 1, della Convenzione del 1984 stabilisce molto chiaramente che: «Gli Stati parte s'accordano l'assistenza giudiziaria più vasta possibile in qualsiasi procedimento penale relativo ai reati previsti nell'articolo 4 – ovvero la tortura – compresa la comunicazione di tutti gli elementi di prova disponibili e necessari ai fini del procedimento». L'importanza di questo articolo si lega alla assenza di un trattato bilaterale di cooperazione giudiziaria tra Italia ed Egitto, la cui esistenza, da un punto di vista meramente pragmatico, avrebbe indubbiamente facilitato i rapporti e snellito le procedure. È indubbio tuttavia che la cooperazione possa essere pretesa da parte italiana anche grazie soltanto alla prescrizione di cui al citato articolo 9.
  Alla luce degli ultimi episodi accaduti, un'eventuale azione del Governo poggerebbe su salde basi giuridiche. Vi si aggiunge la nota diffusa dalla Procura generale del Cairo su Facebook del 30 dicembre 2020 che nega di fornire ai colleghi italiani ogni ulteriore forma di cooperazione, quale la richiesta di elezione di domicilio degli indagati, insistentemente avanzata, tra l'altro, in via rogatoriale. Ciò ha determinato, come accennato, la nullità della declaratoria di assenza e del conseguente decreto che dispose il giudizio emesso, nel maggio del 2021, dal GUP del Tribunale di Roma nei confronti dei quattro Pag. 361imputati. Anche in questo caso la violazione dell'obbligo di cooperazione giudiziaria da parte delle autorità egiziane risulta acclarata.
  Valutati i comportamenti commissivi e omissivi da parte dello Stato egiziano a fondamento della sua responsabilità internazionale, la Commissione ritiene che sulla base delle considerazioni suesposte si possa affermare come l'Egitto abbia commesso un illecito internazionale nei confronti dell'Italia e anche, almeno per alcuni obblighi, nei confronti di altri Stati. Come già accennato, infatti, anche altri Stati potrebbero intervenire per l'adempimento degli obblighi internazionali da parte dell'Egitto.
  Circa gli strumenti utilizzabili dallo Stato italiano per fare valere la responsabilità internazionale dello Stato egiziano relativamente alla vicenda della tortura e dell'uccisione di Giulio Regeni, non sembra che finora il Governo abbia inteso fare ricorso alla cosiddetta protezione diplomatica, che si attiva quando lo Stato d'origine si impegna a proteggere i propri cittadini nell'ipotesi in cui, in seguito a una violazione del diritto internazionale, hanno subito un danno da parte del Paese ospitante. In tal caso, lo Stato d'origine agisce a proprio nome, in quanto si considera parte lesa. L'Italia finora non ha fatto richiesta di scuse ufficiali, di una riparazione, di istituire commissioni internazionali di inchiesta o di conciliazione, né ha mai invocato formalmente la responsabilità dell'Egitto.
  Sono comprensibili le ragioni che hanno mosso il governo a non intraprendere tali strade, con particolare riferimento alla opportunità di non intralciare la pur faticosa cooperazione giudiziaria tra le due procure e compromettendo l'incardinarsi del successivo procedimento giudiziario. Alla luce degli avvenimenti occorsi negli ultimi mesi, tuttavia, sembra prioritario un mutamento di indirizzo al riguardo al fine di considerare l'opportunità di avvalersi degli strumenti che il diritto internazionale mette a disposizione come strada ulteriore, alternativa o aggiuntiva, diretta al fine della ricerca della verità e della giustizia sul tragico evento.
  Il passo iniziale, fondamentale, è costituito dall'apertura formale, ufficiale di una controversia internazionale con l'Egitto proprio in relazione all'applicazione della Convenzione ONU contro la tortura del 1984 – e dunque in riferimento alla violazione degli obblighi in essa previsti – in base all'articolo 30 della Convenzione medesima, la quale, come si diceva all'inizio, pur avendo un ambito oggettivo più ristretto rispetto alle consuetudini internazionali rilevanti sul caso, contiene disposizioni molto precise e definite, anche relativamente alla procedura da seguire. In tal modo l'Italia verrebbe a precostituire le condizioni di un eventuale giudizio futuro della Corte internazionale di giustizia. La Convenzione, infatti, è il trattato più facilmente utilizzabile in questo caso, perché disciplina controversie aventi ad oggetto casi di tortura.
  A tal proposito, occorre sgombrare il campo da possibili incertezze sollevate circa l'esistenza di un possibile ostacolo al ricorso alle procedure previste dalle disposizioni contenute nella CAT, consistente nel mancato riconoscimento da parte dell'Egitto della giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, tranne che per le controversie relative al canale di Suez, secondo la dichiarazione facoltativa di accettazione resa da quel Paese nel 1957, ai sensi dell'articolo 36, § 2, Pag. 362dello Statuto della CIG. Come chiarito da alcuni docenti di diritto internazionale già auditi dalla Commissione, la giurisdizione della Corte internazionale di giustizia, oltre che sulle dichiarazioni rese dagli Stati ai sensi dell'articolo 36, § 2, dello Statuto della CIG si fonda altresì, ai sensi dell'articolo 36, §, 1 del medesimo Statuto, su clausole compromissorie contenute in trattati a cui gli Stati hanno aderito e rispetto alle quali non hanno apposto riserve, come nel caso dell'articolo 30 CAT, su cui né Italia né Egitto hanno opposto riserva alcuna. Si tratta dunque di due titoli giurisdizionali differenti e alternativi, entrambi previsti dallo Statuto della Corte.
  Occorre dunque che sia innanzitutto instaurata una controversia tra i due Paesi, il che non significa un mero conflitto di interessi o mere dichiarazioni anche espresse in consessi internazionali, ma una chiara manifestazione di volontà con la quale una Parte sostiene una propria presa di posizione riguardo a una questione sulla quale intende fare prevalere le proprie ragioni in quanto basate su specifiche basi giuridiche. In sostanza, occorre aprire una controversia nella quale l'Italia sostenga la violazione da parte dell'Egitto degli obblighi internazionali fondati sulla Convenzione del 1984. È la stessa giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia a richiedere che vi sia una controversia in senso stretto, con l'affermazione di puntuali pretese, seguite da eventuali contestazioni dell'altra Parte. E' evidente che allo stato attuale una delle violazioni più eclatanti degli obblighi di cooperazione da parte egiziana consiste nella persistente mancata elezione di domicilio degli indagati dalla Procura di Roma.
  Non ci si intende dilungare in questa sede sulle norme che disciplinano la procedura e le diverse fasi previste dalla Convenzione prima di pervenire a un eventuale giudizio della Corte. Si fa solo rilevare che prima dell'eventuale intervento della Corte vi sono fasi intermedie che potrebbero comunque pervenire a risultati significativi. È infatti prevista una fase di negoziazioni tra le Parti che potrebbe sfociare, come rilevato dagli studiosi interpellati, anche nella istituzione di una Commissione internazionale di inchiesta ad hoc ovvero a una Commissione di conciliazione. Nel caso i negoziati tra i due Paesi dovessero dare un esito negativo, si potrebbe esperire il tentativo di instaurare una procedura arbitrale, deferendo così la controversia a un collegio di arbitri scelti dalle Parti, la cui pronuncia avrebbe efficacia vincolante. Solo una volta meno tale possibilità si avrebbe l'intervento della Corte internazionale di giustizia, per la cui attivazione è sufficiente la volontà unilaterale di una delle Parti.
  Si ricordano alcuni precedenti di controversie in applicazione della Convenzione contro la tortura. In particolare, la sentenza del 20 luglio 2012 con cui la Corte, accogliendo il ricorso del Belgio, ha accertato la responsabilità internazionale del Senegal per aver violato gli articoli 6.2 (obbligo di attivare un'inchiesta preliminare) e 7.1 (obbligo di sottoporre il caso di fronte alle autorità giudiziarie) della Convenzione e la nota diplomatica che il 18 settembre 2020, il Ministro degli Esteri olandese ha inviato al governo siriano informandolo che i Paesi Bassi intendono invocare la responsabilità internazionale della Siria per violazione della Convenzione. Pag. 363
  In quest'ultimo caso si tratta di un'azione particolarmente significativa da parte olandese, in quanto prescinde da un caso singolo di un proprio cittadino su cui il Paese intenda chiedere giustizia.
  La vicenda di Giulio Regeni costituisce un caso emblematico, di un cittadino italiano e studente di un'università britannica torturato e ucciso all'estero. Il ricorso alle procedure previste dalla Convenzione contro la tortura potrebbe dare una significativa eco internazionale alla vicenda ed esalterebbe il ruolo della comunità internazionale nel presidio della tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.
  Non bisogna dimenticare infatti che la Convenzione contro la tortura del 1984 è un trattato internazionale nel quale gli Stati firmatari non difendono soltanto interessi propri, ma anche interessi collettivi, di tutti gli Stati parte e il singolo Stato che agisce fa sì che chi ha commesso atti di tortura non resti impunito, con un'azione che interessa l'intera comunità internazionale.
  Ciò è tanto vero in quanto all'azione dell'Italia contro l'Egitto per violazione degli obblighi internazionali previsti dalle consuetudini e dalle clausole della CAT si potrebbero unire altri Paesi, che, insieme, potrebbero esercitare una pressione internazionale vieppiù intensa, efficace e univocamente diretta a fare valere i principi fondamentali della convivenza civile e democratica e della dignità dell'uomo e a raggiungere l'obbiettivo della verità e della giustizia sull'omicidio di Giulio Regeni che in Egitto si persiste a ostacolare e a contrastare.

15. LA SICUREZZA DEI RICERCATORI ITALIANI ALL'ESTERO

  La delibera istitutiva del 30 aprile 2019 stabilisce come una delle finalità dei compiti della Commissione sia quella di «incrementare i livelli di protezione delle persone impegnate in progetti di studio e di ricerca all'estero, in funzione di prevenzione dei rischi per la loro sicurezza e incolumità».
  La Commissione ha dunque proceduto ad approfondire i diversi aspetti connessi a tale problematica attraverso un ciclo di audizioni che ha visto coinvolti i principali attori sul campo.
  È indubbio che il mondo della ricerca, italiana ed europea, soprattutto verso Paesi particolarmente delicati sotto il profilo geo-politico, abbia conosciuto un «prima» e un «dopo» Giulio Regeni. Come peraltro rilevato dal professor Sclip, nell'ambito dell'audizione del Rettore e di docenti dell'Università di Trieste – che sul tema della sicurezza della ricerca ha istituito un apposito gruppo di studio e svolto uno specifico convegno – mentre fino alla fine degli anni novanta del secolo scorso, l'attività di ricerca godeva di una sorta di immunità, derivante dall'essere i ricercatori percepiti come soggetti neutrali e con un ruolo al di sopra delle parti, oggi lo scenario è profondamente mutato tanto che le autorità di alcuni paesi considerano le università e i centri di ricerca un obiettivo di indagine permanente, così da tenere i ricercatori sotto sorveglianza fin dal loro ingresso e da considerarli non tanto interessati allo studio e all'approfondimento culturale quanto alla caccia di informazioni da divulgare e rendere oggetto di pubblicazione.

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15.1 Rilievi critici

  Di fronte a tale mutamento di scenario, è indubbio che da parte dei soggetti a vario titolo responsabili, come ammesso da diversi interlocutori, vi sia stata una generale sottovalutazione e impreparazione rispetto alla necessità di svolgere le operazioni di valutazione e gestione del rischio, soprattutto in riferimento alle indagini di tipo sociologico ed economico, come quelle condotte in Egitto da Giulio Regeni.
  Dopo la vicenda Regeni, le riflessioni sul tema dell'incremento dei livelli della sicurezza dei ricercatori all'estero e degli strumenti idonei a prevenire e ridurre i rischi nello svolgimento delle attività accademich, hanno conosciuto un maggiore impulso sia da parte delle istituzioni pubbliche variamente coinvolte (Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e CRUI) sia da parte di singole istituzioni universitarie, centri di ricerca, associazioni di dottorandi e ricercatori.
  Una ulteriore questione critica particolarmente significativa, messa in luce dal professor Roberto Di Lenarda, Rettore della Università di Trieste, è costituita dal fatto che, allo stato, non si ha contezza del numero preciso dei ricercatori e degli studenti che si recano all'estero. Appare evidente come già da questo dato sia estremamente difficile impostare una credibile ed efficiente organizzazione e gestione di politiche sulla sicurezza nel settore in questione. Con ciò non si vuole sostenere che si tratti di un problema di facile soluzione, anche perché il panorama delle attività di ricerca è molto variegato, sia in termini di consistenza del flusso all'estero (per il programma Erasmus si stimano circa 50.000 studenti l'anno) sia in termini di varietà di durata della permanenza. Secondo il Rettore Di Lenarda, infatti, pressoché tutti i ricercatori italiani svolgono brevi periodi fuori dai confini nazionali, mentre coloro che permangono per almeno un mese all'estero sono il 5-10 per cento del totale.
  La complessità del problema non può ovviamente costituire un alibi per non approntarne le soluzioni, secondo alcune linee direttrici che saranno di seguito illustrate.
  Come messo in risalto nel corso delle audizioni, in Italia manca altresì un quadro normativo di riferimento che stabilisca ruoli e responsabilità dei soggetti coinvolti nella predisposizione e nell'attuazione dei programmi di ricerca all'estero (supervisor, tutor, istituzione universitaria o centro di ricerca di origine e di destinazione e lo stesso ricercatore), individui il concetto di rischio e le sue declinazioni, fissi le procedure per prevenire le situazioni di potenziale pericolo, le cautele da osservare, i soggetti da contattare e le modalità da seguire nel caso del verificarsi di una situazione che metta a repentaglio la vita, l'integrità, la libertà o la salute dei ricercatori.
  Inoltre, qualsiasi soluzione deve comportare un necessario equilibrio tra due esigenze contrapposte. Come è stato ripetutamente sottolineato, lo stesso concetto di «Università» si fonda sulla libertà della ricerca e solo dalla contaminazione dei saperi e delle conoscenze si può pensare di fare vera crescita culturale (Rettore Di Lenarda). Le università insistono peraltro da molti anni sulla esigenza dell'internazionalizzazione della ricerca a partire dall'ultimo step formativo post- laurea, ovvero il dottorato. In taluni casi si tratta di un vero e proprio obbligo giuridico imposto dagli atti che disciplinano il dottorato o i Pag. 365contratti di post-doc (Luca Dell'Atti di ADI). D'altra parte, il ricercatore all'estero deve sapere di potere operare in sicurezza, avere contezza delle realtà in cui andrà a trovarsi, conoscere gli strumenti da utilizzare e le modalità di comportamento da adottare.
  Ogni soluzione pertanto dovrà passare per un contemperamento di tali esigenze in modo che solamente una solida cornice di sicurezza, con gli strumenti e le modalità che verranno in seguito prospetattati, saranno in grado di garantire al ricercatore all'estero una ragionevole libertà di movimento nell'esercizio della propria attività.
  È tuttavia necessaria la piena conoscenza degli elementi essenziali da parte di coloro che si recano in zone qualificate come a rischio.
  Occorre peraltro ricordare che, nonostante tutte le cautele che si possano adottare, si è rilevato come il «rischio zero» non esista e che il vero fattore dirimente sia costituito dal fatto che il paese in cui si fa ricerca abbia stabilito o meno di colpire proprio la libertà di svolgerla, fenomeno che negli ultimi anni sta conoscendo un preoccupante incremento, testimoniato da numerosi casi di intolleranze ed espulsioni di studenti e ricercatori. Come efficacemente evidenziato dal vicepresidente della Società italiana del dottorato di ricerca, Claudio Costantino, infatti, la sicurezza dei ricercatori a livello internazionale è soggetta alle condizioni economiche, politiche, sociali e culturali, inclusi i valori prevalenti nei paesi ospitanti, nonché dal livello di protezione che l'ordinamento di appartenenza attribuisce allo studente o al ricercatore, e dunque qualsiasi azione, misura o protocollo siano adottati dovrà tenere necessariamente conto di questi aspetti.

15.2 Situazione attuale

  La protezione degli italiani all'estero è una delle peculiari funzioni istituzionali demandate al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, l'organo dello Stato che costituisce il perno attorno al quale predisporre una adeguata pianificazione di strumenti e cautele dirette all'incremento dei livelli di protezione delle persone impegnate in progetti di studio e ricerca all'estero.
  Le strutture del ministero negli ultimi anni hanno profuso vari sforzi in tale direzione attraverso, in primo luogo, l'affinamento dei contenuti dei portali, gestiti dall'Unità di crisi della Farnesina, «Viaggiaresicuri» e «Dovesiamonelmondo».
  Il primo contiene più di 220 schede dedicate a paesi, territori, regioni nel mondo. Ciascuna scheda consente di reperire informazioni di carattere generale, sulla mobilità e sui trasporti del Paese o della regione amministrativa in questione, e informazioni di carattere sanitario, particolarmente dettagliate nell'ultimo periodo a causa della pandemia da COVID-19, spesso oggetto di specifici e frequenti aggiornamenti. La sezione della scheda-paese, dedicata alla sicurezza, fornisce indicazioni in merito al possibile livello di allerta permanente che caratterizza il paese ovvero sui motivi per i quali si ritiene che lo stesso sia caratterizzato da determinati livelli di rischio, tenuto conto della stabilità politica ed economico-finanziaria, della sicurezza interna, della qualità delle comunicazioni, del terrorismo, di catastrofi ambientali e di altri profili di rischio. A parte ciò, pur in presenza di un quadro di sostanziale stabilità, vengono comunque indicate aree di particolare Pag. 366cautela, geograficamente delimitate, che presentano rischi specifici sotto il profilo della sicurezza e della salute, verso cui si può arrivare a sconsigliare lo spostamento. Si forniscono inoltre consigli pratici, avvertenze, comportamenti raccomandati o da evitare.
  In tutte le schede-paese viene opportunamente riportato, come prima tra le avvertenze, il consiglio di registrare i dati del proprio viaggio sul sito «Dovesiamonelmondo», l'altro portale gestito dall'Unità di crisi della Farnesina attraverso cui i cittadini italiani possono condividere con il ministero tutte le informazioni relative allo spostamento in programma o in corso che vengono custodite nel rispetto della normativa in tema di privacy dei dati personali. Il portale distingue le tipologie di viaggio oggetto di registrazione – turismo, lavoro e affari, sport, attività giornalistica, attività umanitaria e di cooperazione, scuola, università e ricerca – tipologie utilizzate al solo scopo di facilitare l'attività del ministero, ove ciò si renda necessario. In particolare, la Farnesina può inviare comunicazioni di sicurezza via SMS o e-mail per segnalare allerte specifiche, come manifestazioni, proteste, fenomeni naturali, cicloni, tempeste, incendi e così via. In caso di crisi, i dati condivisi consentono quindi di facilitare il rintraccio dei connazionali in una determinata zona o comunque nel paese e di stabilire più rapidamente un contatto con eventuali familiari in Italia. Le informazioni, tra cui l'indicazione di un contatto di emergenza, sono proprio quelle che possono essere inserite da chi usufruisce del portale «Dovesiamonelmondo» nel momento in cui si registra per un viaggio.
  Una modalità interattiva di verifica dell'incolumità dei connazionali è ultimamente possibile mediante il download di una specifica applicazione gratuita dove sono incorporate tutte le funzionalità presenti nei suindicati portali e che è diretta principalmente a verificare, mediante la ricezione in tempo reale di un messaggio di controllo, al fine di verificare che il connazionale che si trovi potenzialmente in situazioni di pericolo sia incolume.
  L'utilizzo degli strumenti illustrati, periodicamente aggiornati e perfezionati, è tuttavia rimesso alla volontà del singolo, il quale, per i motivi più vari, potrebbe omettere di procedere alla registrazione dei propri dati e comunicare alle autorità diplomatiche e consolari la propria presenza all'estero, soprattutto in paesi particolarmente a rischio.
  Sempre sul principio della adesione volontaria sono altresì calibrate le convenzioni stipulate tra il Ministero degli Esteri e talune università italiane dirette alla integrazione tra i sistemi informatici del portale «Dovesiamonelmondo» e dei singoli atenei. In tal modo, i dati sulle trasferte del personale e dei ricercatori presenti nei sistemi informatici delle università convenzionate verrebbero automaticamente riversati nel database del portale «Dovesiamonelmondo». Finora, secondo quanto dichiarato in audizione dal competente direttore generale, sono state stipulate convenzioni con le Università Bocconi, LUISS, Cattolica di Milano e Alma Mater studiorum di Bologna.

15.3 Proposte

  Per colmare la fondamentale lacuna di cui si accennava all'inizio, ovvero la mancata consapevolezza sul numero preciso di studenti e Pag. 367ricercatori italiani che si recano all'estero, la soluzione potrebbe risiedere in un intervento normativo a livello nazionale che fissi l'obbligatorietà dell'iscrizione al portale della Farnesina, nel quadro di convenzioni stipulate a livello centrale tra il ministero degli Esteri – che dovrà di conseguenza individuare o costituire una propria unità organizzativa dedicata al tema – e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, allo scopo di creare un database nazionale che raccolga le informazioni indicate, nonché, come anche auspicato dal Rettore Di Lenarda, recuperi le esperienze che i ricercatori riportano come insegnamento dalla loro attività all'estero. L'intervento normativo appare necessario anche al fine di disciplinare i profili inerenti alla conservazione dei dati personali.
  Le disposizioni normative dovrebbero altresì contenere previsioni di carattere generale in materia di sicurezza della ricerca all'estero con particolare riferimento alla definizione di rischio geo-politico(576), in ragione dell'area di destinazione e della tipologia di ricerca svolta dal singolo dottorando, nonché sulla casistiche dei rischi ulteriori (sinteticamente indicati in health, travel, safety), individuando i soggetti cui vengono demandate le relative valutazioni.
  Apposite disposizioni dovrebbero poi prevedere la necessità di una specifica preparazione da parte del personale docente e degli studenti universitari sugli argomenti della sicurezza all'estero, mediante la frequenza di appositi corsi o seminari sulle procedure da seguire in relazione alle varie evenienze, sul contesto socio-politico, economico e culturale del paese in cui andranno a operare, sull'effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali da parte del paese di destinazione, sui comportamenti da tenere in relazione a specifiche situazioni di pericolo (risk reduction in insecure contexts), sulle cautele da osservare e sulla conoscenza della normativa dei paesi ospitanti rilevante in riferimento alle tematiche di ricerca trattate(577), sui processi da porre in essere e sui soggetti da contattare per uscire da eventuali situazioni critiche. Tale formazione verrebbe ad affiancarsi a quella obbligatoria già prevista dal decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  L'intervento normativo dovrebbe contribuire a fare chiarezza su ruoli, competenze e responsabilità dei soggetti coinvolti a vario titolo nelle diverse fasi della procedura che porta il ricercatore a svolgere un Pag. 368periodo di studio all'estero. Inoltre, come è stato sottolineato in diverse audizioni, occorre introdurre l'obbligo, a carico di chi si rechi all'estero per periodi prolungati, di iscrizione su un registro conservato presso le ambasciate e i consolati italiani, ad integrazione dell'obbligo d'iscrizione all'AIRE ove ne ricorrano i requisiti.
  In tal modo si verrebbe a delineare un preciso quadro di riferimento entro il quale realizzare i programmi di ricerca all'estero da parte delle Università e dei dottorandi e rendere altresì possibile l'adozione di interventi in situazioni di pericolo in un quadro di certezza operativa e si porrebbe rimedio alla situazione evidenziata dalla Società italiana del diritto di ricerca secondo cui attualmente la responsabilità pratica primaria per la sicurezza e l'assistenza degli studenti verrebbe devoluta dall'amministrazione statale alle istituzioni accademiche e, tramite esse, ai medesimi ricercatori, i quali avrebbero in ultimo il compito e il dovere morale di autodeterminarsi e di prevenire la possibile insorgenza di rischi per la loro incolumità. Il quadro così delineato rafforzerebbe la posizione delle strutture del Ministero degli Esteri, che verrebbe dunque, attraverso strutture appositamente dedicate e mediante il meccanismo della stipula delle convenzioni, a costituire il fulcro dell'intero sistema.
  I protocolli convenzionali stipulati dagli organi competenti con la CRUI e con gli altri istituti universitari che non vi aderiscono dovranno contenere disposizioni di dettaglio, linee-guida per la sicurezza all'estero sulle misure concrete da adottarsi prima di intraprendere la propria esperienza al di fuori dei confini nazionali, durante la missione e in casi di emergenza o pericolo.
  Oltre che attraverso il meccanismo convenzionale a livello centrale, i singoli atenei, a ulteriore salvaguardia della loro autonomia, in riferimento alle specificità dei corsi di studio e dei programmi di ricerca, potrebbero stipulare appositi protocolli aggiuntivi con le strutture ministeriali competenti.
  La tutela dei ricercatori e degli studenti all'estero non può d'altra parte prescindere dall'aspetto internazionale, ovvero dagli accordi e dalle convenzioni che vengono stipulati tra università estere e quelle del nostro paese nell'ambito dei programmi di mobilità. È stato rilevato, in particolar modo nel corso dell'audizione dei rappresentanti della Società per gli studi sul Medio Oriente (SeSaMo), quanto sia fondamentale che tali accordi pongano al centro la tutela della incolumità di studenti e ricercatori e della libertà di ricerca, su cui il concetto stesso di università si fonda. Al riguardo, due interessanti proposte sono emerse nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione e che convergerebbero verso il medesimo risultato. Da un lato, il Rettore Di Lenarda ha proposto la costituzione di un gruppo di lavoro nazionale aperto al confronto a livello internazionale diretto a coordinare e a supportare il lavoro delle università e degli enti di ricerca sul tema della sicurezza all'estero. L'altra proposta, integrabile con la precedente, è avanzata dal Rettore dell'Università di Brescia, Maurizio Tira, delegato della CRUI per gli affari internazionali, il quale, nel citare la Magna Charta Universitatum Europaeum – documento che sancisce i principi irrinunciabili di libertà, conoscenza, ricerca e insegnamento su cui si basa il concetto di mobilità e scambio internazionale libero per studenti, ricercatori e docenti universitari, sottoscritto da centinaia di Pag. 369università in tutto il mondo – suggerisce di conferire a tutti gli studenti universitari fino al dottorato una sorta di status che attribuisca loro una particolare cura e protezione, quantomeno nell'ambito delle università che hanno sottoscritto la Charta.
  Sempre sul versante dei rapporti internazionali, un'altra questione è stata posta da alcuni docenti, e, per quanto riguarda in particolare i paesi del Medio Oriente, dai rappresentanti di SeSaMo. In sostanza, la situazione dei ricercatori italiani sarebbe più difficile rispetto a quella di altri colleghi occidentali, nel senso che, nella maggioranza dei casi, essi sono obbligati ad appoggiarsi a strutture accademiche straniere che hanno lunga esperienza e presenza nel paese in cui si recano a svolgere le proprie attività di ricerca ma spesso si devono costruire da soli la rete di contatti e protezione che potrebbe eventualmente garantirli in caso di difficoltà(578). In particolare, la professoressa Daniela Melfa di SeSaMo ha messo in rilievo che «promuovere centri di ricerca italiani in Medio Oriente e in Africa del Nord offrirebbe a giovani studiosi dei punti di riferimento e di aggregazione (...) Costituirebbero un punto di ancoraggio, luoghi dove confrontarsi e apprendere a muoversi in contesti ostici e complessi. Per di più, naturalmente, centri di ricerca di questo tipo contribuirebbero ad accrescere, a trasferire e a far circolare delle conoscenze più approfondite su questi Paesi».
  In un'auspicabilmente prossima riforma degli istituti italiani di cultura, sarebbe pertanto raccomandabile anche il perseguimento di tali finalità, facendo di tali articolazioni periferiche del Ministero degli Esteri poli di attrazione dei nostri studenti e ricercatori all'estero, nell'ottica di un più intenso scambio culturale e di più elevati livelli di sicurezza.

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PARTE TERZA

CRONOLOGIA RAGIONATA DEI FATTI

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ALLEGATO

TABELLA DELLE AUDIZIONI

SVOLTE DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE D'INCHIESTA
SULLA MORTE DI GIULIO REGENI

ANNO

N. SEDUTA

DATA

ORDINE DEL GIORNO

2
0
1
9

  1.

17.12.19

Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta e del Sostituto Procuratore Sergio Colaiocco

2
0
2
0

  2.

  4.02.2020

  Audizione di Claudio Regeni e Paola Deffendi, genitori di Giulio Regeni, e dell'avv. Alessandra Ballerini

  3.

  6.02.2020

  Seguito audizione Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta e Sostituto Procuratore Sergio Colaiocco

  4.

  18.02.2020

  Audizione della Segretaria Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Elisabetta Belloni

  5.

  27.02.2020

  Audizione del Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, già Ambasciatore d'Italia al Cairo dal 2013 al 2016, Maurizio Massari

  6.

  3.03.2020

  Audizione del Direttore dell'Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento), Min. plen. Alberto Cutillo

  7.

  5.03.2020

  Audizione dell' Ambasciatore d'Italia al Cairo, Giampaolo Cantini

  8.

  6.05.2020

  Audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia

  9.

  13.05.2020

  Audizione di rappresentanti di SeSaMo

  10.

  19.05.2020

  Audizione di Martina Buscemi e Federica Violi, esperte di diritto internazionale

  11.

  18.06.2020

  Audizione del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

  12.

  25.06.2020

  Audizione di rappresentanti dell'Università degli Studi di Trieste

  13.

  16.07.2020

  Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio

  14.

  22.07.2020

  Audizione del professore Enzo Moavero Milanesi, già Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Governo Conte I)

  15.

  23.07.2020

  Audizione dell'avvocato Angelino Alfano, già Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Governo Gentiloni)

  16.

  28.07.2020

  Audizione del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini

  17.

  3.09.2020

  Audizione dell'onorevole Paolo Gentiloni, già Presidente del Consiglio dei Ministri

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  2
  0
  2
  0

  18.

  30.09.2020

  Audizione del presidente dell'ICE-Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, Carlo Ferro

  19.

  14.10.2020

  Audizione del professor Maurizio Tira, delegato della Conferenza dei Rettori delle università italiane (CRUI) per gli affari internazionali

  20.

  28.10.2020

  Audizione di rappresentanti dell'Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia e di rappresentanti della Società italiana del Dottorato di ricerca

  21.

  11.11.2020

  Audizione del Consigliere di ambasciata, Stefano Catani, già Incaricato d'affari al Cairo

  22.

  24.11.2020

  Audizione del Sen. Matteo Renzi, già Presidente del Consiglio dei ministri

  23.

  1.12.2020

  Audizione di Riccardo Pisillo Mazzeschi e Sergio Marchisio, docenti di diritto internazionale

  24.

  10.12.2020

  Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta, e del Sostituto Procuratore Sergio Colaiocco

2
0
2
1

  25.

  20.01.2021

  Audizione di Davide Bonvicini, già Primo Segretario presso l'Ambasciata d'Italia al Cairo

  26.

  10.02.2021

  Audizione di Federica Guidi, già Ministra dello Sviluppo economico

  27.

  24.02.2021

  Audizione dell'Amb. Michele Valensise, già Segretario generale del Ministero degli affari esteri

  28.

  17.03.2021

  Audizione del Min. Plen. Mario Cospito, già Consigliere diplomatico presso il Ministero per lo sviluppo economico

  29.

  23.04.2021

  Audizione del Direttore dell'Agenzia Informazioni per la Sicurezza Esterna (AISE), generale Giovanni Caravelli

  30.

  30.04.2021

  Audizione di Alberto Manenti, già Direttore dell'Agenzia Informazioni per la Sicurezza Esterna (AISE)

  31.

  14.05.2021

  Audizione di Marco Minniti, già Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica (Governo Renzi)

  32.

  26.05.2021

  Audizione dell'ambasciatore Giampiero Massolo, già Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Presidente di Fincantieri S.p.A

  33.

  9.06.2021

  Audizione del generale Luciano Carta, già Direttore dell'Agenzia Informazioni per la Sicurezza Esterna (AISE), Presidente di Leonardo SpA

  34.

  23.06.2021

  Audizione del dott. Alessandro Gallo, Vice Questore della Polizia di Stato

  35.

  30.06.2021

  Audizione del dott. Loreto Biscardi, Tenente Colonnello dell'Arma dei Carabinieri

  36.

  8.07.2021

  Audizione del Maggiore dell'Arma dei Carabinieri, Daniela Tricca, Comandante della Sezione Elettronica del Reparto Tecnologie Informatiche

  37.

  14.07.2021

  Audizione dell'Amministratore Delegato di ENI S.p.A., Claudio Descalzi

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  2
  0
  2
  1

  38.

  21.07.2021

  Audizione del Min. plen. Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli Italiani all'Estero e le Politiche Migratorie del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

  39.

  27.07.2021

  Audizione di un dipendente del Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica

  40.

  28.07.2021

  Audizione del Vice Questore della Polizia di Stato, Fabrizio Malavasi

  41.

  3.08.2021

  Audizione del dott. Francesco De Lellis

  42.

  4.08.2021

  Audizione del prof. Gennaro Gervasio

  43.

  21.09.2021

  Audizione dell'Avv. Raphaël Kempf, legale della famiglia Lang

  44.

  21.09.2021

  Audizione del dott. Giuseppe Pignatone, già procuratore della Repubblica di Roma

  45.

  30.09.2021

  Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio

  (1) I Collegi del Mondo Unito (UWC) nascono ufficialmente con l'apertura dell'Atlantic College nel sud del Galles nel 1962, con la visione di riunire i giovani che vivevano le tensioni politiche della «guerra fredda», offrendo un'esperienza educativa basata su apprendimento condiviso, collaborazione e comprensione, in modo da ispirare gli studenti ad essere campioni di pace. I Collegi del Mondo Unito accolgono studenti provenienti da una gamma volutamente diversificata di background ed esperienze. Saldamente radicate nelle teorie dell'educatore tedesco Kurt Hahn, le istituzioni educative UWC sono nate come college residenziali internazionali frequentati da studenti tra i 16 e i 19 anni, ossia negli ultimi due anni di scuola superiore. Attualmente ci sono 18 istituzioni educative UWC in tutto il mondo. In queste scuole internazionali la diversità si concretizza nella coesistenza di differenze di background socio-economico, cultura, razza, religione e nazionalità degli studenti. Tra le finalità del movimento UWC vi è l'azione sociale positiva per costruire un mondo più giusto ed equo. Nell'ottica del movimento UWC i valori trasmessi agli studenti vanno ben oltre le fasi d'istruzione nei college ed ispireranno i ragazzi per il resto della loro vita adulta in maniera che possano essere agenti di cambiamento positivo. I valori del movimento vengono esplicitati in: comprensione internazionale ed interculturale; celebrazione della differenza; responsabilità personale ed integrità; mutua responsabilità e rispetto; compassione e servizio; rispetto per l'ambiente; senso di idealismo; sfida personale; azione ed esempio personale. Nei Collegi del Mondo Unito si consegue il Diploma di Baccellierato Internazionale (IB) e viene anche enfatizzata l'importanza dell'apprendimento esperienziale, del servizio di comunità e delle attività all'aria aperta. Cfr. https://www.uwc.org/

  (2) Yasir Suleiman è un accademico palestinese, professore di Studi Arabi Moderni presso l'Università di Cambridge, già presidente del Doha Institute for Graduate Studies e direttore del Prince Alwaleed Center of Islamic Studies a Cambridge. Membro del King's College a Cambridge e della Royal Society of Edinburgh. Detiene l'Ordine dell'Impero britannico con il grado di comandante per i suoi servizi di ricerca.

  (3) Cfr. i termini espressi dallo stesso Regeni nella sua domanda di ammissione al Master of Philosophy in Development Studies di Cambridge: «Inoltre, sono in debito con il programma “Students as Scholars” dell'Università di Leeds che mi ha permesso di interagire con ricercatori in visita, come il professor Yasir Suleiman di Cambridge. Opportunità come questa mi hanno spinto a esaminare il ruolo che i paesi industrializzati dovrebbero assumere nei confronti di quelli in via di sviluppo. Questo programma ha anche attirato la mia attenzione verso il vasto focus interdisciplinare dello sviluppo che va dall'economia all'antropologia, dalle politiche pubbliche alla geografia» (Doc. 10.008, p. 118).

  (4) A dimostrazione delle risalenti tematiche di interesse accademico di Giulio Regeni si noti che lo studente ha presentato al tempo domanda al programma di Global Migration nel dipartimento di Geografia dell'UCL e al programma di Migration Mobility Development nel dipartimento di Development Studies della SOAS..

  (5) D'interesse è la descrizione di Regeni dell'unicità e dell'utilità dell'MPhil in Development Studies a Cambridge: «l'approccio interdisciplinare agli studi sullo sviluppo mi consentirebbe di concentrarmi su moduli specifici come l'economia dello sviluppo, la politica del Medio Oriente e la società, la cultura e lo sviluppo umano. Questi elementi, combinati con gli altri corsi disponibili, mi fornirebbero la cornice teorica necessaria per comprendere le questioni di sviluppo che interessano le società mediorientali e, in particolare, i movimenti migratori interni dei loro popoli. Questi sono precisamente il tipo di basi accademiche di cui avrò bisogno per raggiungere i miei obiettivi futuri, come professionista e forse come ricercatore sul campo.».

  (6) Il professor Ha-Joon Chang, sudcoreano, è attualmente il Direttore del Centro di Studi sullo Sviluppo; insegna Economia politica dello sviluppo nella Facoltà di Economia. Già supervisor di Regeni durante il MPhil in quanto coordinatore dei programmi del MPhil. I principali interessi di ricerca del dottor Chang includono le teorie dell'intervento statale; economia istituzionale; politica industriale; privatizzazione; politica commerciale; progresso tecnologico; globalizzazione; le economie dell'Asia orientale; lo sviluppo economico in prospettiva storica.

  (7) I risultati ottenuti durante gli studi del Master nell'anno accademico 2011-2012 hanno permesso a Regeni di ottenere una borsa di studio dedicata a «Pietro Blaserna», finanziata dal Comune di Fiumicello e finalizzata a favorire la carriera scolastica degli studenti universitari fiumicellesi ritenuti più meritevoli.

  (8) Di grande apprezzamento sono le parole spese relativamente a Giulio Regeni dalla sua responsabile, l'Industrial Officer at the Field Office, dell'UNIDO al Cairo Alaa Fahmy in una lettera di referenze firmata in data 12 giugno 2013 in occasione della domanda per la borsa di studio Gates a copertura dei costi del dottorato (Doc. 10.008, p. 151).

  (9) Le motivazioni della commissione esaminatrice al premio dell'elaborato presentato nel 2012 restituiscono l'ambito di lavoro e l'approccio di Regeni: GIULIO REGENI di Fiumicello (UD), MPHIL in Development Studies, Università di Cambridge. Dalla decolonizzazione alle «rivolte arabe», l'autore ricostruisce il percorso dei popoli nordafricani, nello specifico quello tunisino ed egiziano, verso la conquista dei diritti civili e del benessere socioeconomico. Per costruire un nuovo patto sociale che garantisca la stabilità della regione, viene proposto un intervento dell'UE che abbandoni le spinte neoliberiste e favorisca una crescita armonica delle economie arabe. Ampia bibliografia. Sintesi e videopresentazione in inglese. Cfr. Concorso IRSE Europa Giovani 2012, Edizioni Concordia Sette, Quaderni 71.

  (10) Doc. 10.008, p. 1926.

  (11) Cfr. mail del 21 marzo 2014 di Regeni a Maha Abdelrahman e mail della docente a Monica Eberle con allegata lettera di referenze del 4 aprile 2014. Ivi, 1837-1839; 2588; 2589.

  (12) Il 3 agosto del 2013 Regeni comunica alla professoressa Abdelrahman di essere riuscito a trovare un lavoro presso un'azienda di consulenza basata ad Oxford denominata Oxford Analytica e le chiede se può dare il suo contatto in quanto l'azienda chiede un referente dell'università presso cui ha conseguito la laurea magistrale. Il 7 agosto 2013 Kerry Warner (assistente nelle Risorse Umane per Oxford Analytica) scrive una mail a Maha Abdelrahman, spiegando che l'azienda ha offerto un impiego al giovane come Production Researcher e, avendo Giulio Regeni comunicato il contatto della professoressa, le chiede di poter fornire le referenze di Regeni compilando uno schema allegato alla mail. Il 10 agosto 2013 Abdelrahman risponde a Warner raccomandando Regeni per quell'incarico e allegando il modulo di referenze compilato richiesto dal medesimo qualche giorno prima. Cfr. Doc. 10.008, p. 2608.

  (13) La popolazione totale in Egitto era passata da 35 milioni nel 1971 a 84 nel 2011. Quella tunisina era passata da 5 a 10,5 milioni. Quella siriana da 6,5 a 21 milioni, mentre la popolazione yemenita da 6 a circa 24 milioni (dati Banca Mondiale).

  (14) Cfr. mail del 12 e 13 settembre 2012, 10 dicembre 2012, del 20 e del 21 dicembre 2012 tra Giulio Regeni e Maha Abdelrahman riguardo alle lettere di referenze, richieste dallo studente ed inviate dalla professoressa, per presentare domanda presso i citati istituti e tra il professor Gilbert Achcar della SOAS e la professoressa Abdelrahman di Cambridge. Si noti anche l'invio delle referenze presso gli Atenei. Documento 10.008, pp. 2592; 1883; 2624; 2625; 1790; 2558; 2559; 2528; 2527.

  (15) Il 12 giugno 2014 Nathalie Henry (addetta all'amministrazione del PhD del Centre of Development Studies a Cambridge) scrive a Regeni confermandogli che gli è stata accordata una borsa di studio di circa diciottomila sterline in totale per il suo dottorato e che dovranno procedere all'aggiornamento della sua posizione contributiva universitaria. Il giorno seguente Regeni riceve un'altra comunicazione formale del conferimento della borsa di studio per il dottorato in Development Studies dal Centre of Development Studies dell'Università di Cambridge. La borsa avrebbe coperto tutto il periodo di dottorato dal 1° ottobre 2014 per un triennio.. Cfr. Documento 10.008, pp. 2602; 2605; 183-186.

  (16) Anche nella lettera di referenze firmata il 12 aprile 2013 dalla professoressa Abdelrahman per la borsa di dottorato a Cambridge di Giulio Regeni (presentata dal medesimo il 4 dicembre 2013), che sarebbe iniziato nel 2014, si fa menzione della possibilità, poi non concretizzatasi, del dottorato di Giulio Regeni a partire dal 2012. Cfr. Lettera di referenze scritta da Maha Abdelrahman, ivi, p. 147.

  (17) Cfr. le mail del 12 ottobre 2011. Documento 10.008, pp. 1802

  (18) Cfr. mail del 14 novembre 2011 di Regeni ad Abdelrahman. Documento 10.008, p. 1843. Nelle successive mail di risposta del giorno 14 medesimo e del giorno 28 novembre la docente indicherà delle letture da fare. Ivi, pp. 1843; 1877.

  (19) Cfr. mail già citata del 24 novembre 2011. Ivi, p. 1867.

  (20) Cfr. ad esempio mail del 26 e 29 febbraio 2012 nella quale Regeni invia ad Abdelrahman un articolo dell'Economist sulla «rivoluzione» e commenta come interessante notare in che modo continuino ad evitare un approccio legato all'economia politica ed equiparino il governo di Mubarak a quello di Nasser. La docente a sua volta commenta l'analisi. Ivi, p. 1965.

  (21) Cfr. mail del 23 luglio 2012 e mail del 28 luglio 2012. Ivi, pp. 1732; 1733; 1783

  (22) Gilbert Achcar (1951) è un accademico, politologo e scrittore socialista francese, di origini libanesi, nato in Senegal. È professore di Studi sullo Sviluppo e Relazioni Internazionali presso la Scuola di Studi Orientali e Africani (SOAS) dell'Università di Londra. I suoi interessi di ricerca riguardano il Medio Oriente e il Nord Africa, la politica estera degli Stati Uniti, la globalizzazione, l'Islam e il fondamentalismo islamico. Achcar è cresciuto in Libano dove ha conseguito la laurea in filosofia e scienze sociali presso l'Università libanese. Si è stabilito in Francia nel 1983 e ha completato il dottorato in storia sociale e relazioni internazionali presso l'Università di Parigi VIII, dove, nel 1991, ha iniziato ad insegnare scienze politiche, sociologia e relazioni internazionali. Nel 2003 ha svolto ricerca presso il Marc Bloch Center di Berlino fino a quando ha assunto la cattedra presso SOAS. Oggi è professore nel Dipartimento di studi sullo sviluppo e si occupa anche di ricerca sul «Lavoro, movimenti e sviluppo», «Neoliberismo, globalizzazione e Stati» oltre ad essere membro del London Middle East Institute (LMEI).

  (23) Cfr. mail del 12 e 13 settembre 2012 tra G. Achcar e M. Abdelrahman. Ivi, p. 2592.

  (24) Cfr. mail del 13 settembre tra G. Regeni e M. Abdelrahman. Ivi, p. 1814.

  (25) Cfr. mail di Abdelrahman a Regeni del 14 settembre 2012. Ivi, p. 1814.

  (26) Cfr. Ivi, pp. 1882-1883.

  (27) Cfr. mail di Abdelrahman a Regeni del 15 ottobre 2012. Ivi, p. 1882.

  (28) Ivi, p. 1765-1770.

  (29) Cfr. mail di Maha Abdelrahman a Giulio Regeni, Ivi, p. 1931.

  (30) Il 3 agosto 2013 Regeni comunica ad Abdelrahman di essere riuscito a trovare un lavoro presso un'azienda di consulenza basata ad Oxford denominata Oxford Analytica e le chiede se può dare il suo contatto in quanto l'azienda chiede un referente dell'università presso cui ha conseguito la laurea magistrale. Cfr. ivi, p. 1686.
  Il 7 agosto del 2013 Kerry Warner, assistente delle Risorse Umane di Oxford Analytica, scrive ad Abdelrahman spiegando che l'azienda ha offerto un impiego come Production Researcher a Regeni e, avendo Giulio Regeni comunicato il contatto della professoressa, le chiede di poter fornire le referenze di Regeni compilando lo schema allegato alla mail. Tre giorni dopo la professoressa risponde a Warner raccomandando Regeni per quell'incarico ed allegando il modulo di referenze compilato richiesto qualche giorno prima. Cfr. ivi, p. 2608.

  (31) Cfr. mail del 8 ottobre 2013 di Abdelrahman a Regeni, Ivi, p. 1704.

  (32) Cfr. mail del 3 giugno 2014. Regeni scrive ad Abdelrahman che sta valutando la possiiblità di svolgere il suo dottorato a Cambridge dall'ottobre 2014. Vorrebbe iniziare dopo l'estate ma vi sono alcuni elementi che vorrebbe affrontare con la professoressa. Nella fattispecie è interessato a capire come si strutturerà il suo dottorato nei successivi tre anni; l'ammontare del tempo che dovrebbe impiegare a Cambridge, piuttosto che altrove come ad esempio in Egitto; l'auspicabilità di accedere a fondi addizionali durante il corso dei tre anni di dottorato attraverso l'insegnamento, lavorando come assistente di ricerca oppure ottenendo delle borse di studio. Ivi, p. 1947.

  (33) Il tema della ricerca dei finanziamenti con borse di studio complementari resterà tuttavia sempre aperto per Giulio Regeni e rappresenterà una costante anche dopo l'attribuzione della borsa per il dottorato. Si noti l'intento di partecipare al bando del Cambridge Political Economy Society Trust (CPEST) per reperire ulteriori finanziamenti manifestato con mail il 10 dicembre 2014. La piccola borsa venne poi effettivamente assegnata a Regeni e ne abbiamo contezza anche dalla mail di ringraziamento del 29 gennaio 2015 alla professoressa Abdelrahman che aveva, come di consueto, referenziato il giovane ricercatore. Altresì è d'uopo considerare la richiesta di fondi per la ricerca al CBRL – «Council for British Research in the Levant» – di cui Regeni è membro dal 2014; quella al programma «Trajectories of Change» [finanziato dalla fondazione tedesca Zeit istituita in onore di Ebelin e Gerd Bucerius (avvocato, già editore del settimanale Die Zeit e politico) che promuove le scienze umane e sociali con il programma che affronta i processi di trasformazione storici e attuali nel vicinato europeo]; quella presentata alla BRISMES – «British Society for Middle Eastern Studies» – di cui Regeni è membro dal 2014; e quella al «Nigeria Travel Fund» –istituito all'interno del Centre of African Studies dell'Università di Cambridge (Doc. 10.008, pp. 1775; 1847-1855; 1886; 1834-1836; 1935; 1954; 1966; 2598-2600; 2573-2574; 2580-2585).

  (34) «In the future, I want to contribute proactively to the economic strategies promoted by international organizations, with the aim of assisting the arab world in finding a sustainable path to economic and political development. Undertaking my PhD in Development Studies at Cambridge on the emergence of independent trade unionism in Egypt would enable me to refine my skills as a problem solver at a time of unprecendented transformation in the Arab region». Cfr. Doc. 10.008, p. 140.

  (35) Quella che appare come un'ambizione prospettica e professionale a lungo termine di Regeni: divenire un professionista della cooperazione internazionale istituzionale, si combinava per lui con un'altra prospettiva in nuce che si andava sviluppando in quegli anni che era proprio la prospettiva professionale in ambito accademico. Prova ne sono diverse mail con le quali Giulio Regeni si propone come supervisor nei corsi di laurea di «primo livello» e prende contatti, su suggerimento della professoressa Abdelrahman, con il professor Glen Rangwala (Doc. 10.008, pp. 364-370; 1643; 1674-1676; 1699; 1760).

  (36) Cfr. Domanda di ammissione al dottorato di Cambridge (Doc. 10.008, p. 137).

  (37) Cfr. Ivi, p. 139. Significativamente scrive Regeni: «Joining the PhD Programme in Development Studies at the University of Cambridge would give me the opportunity to further specialise in the development trajectories of the Arab world and to become a development practioner in the region».

  (38) Ibidem.

  (39) La professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman è attualmente Reader in Sociologia e Politica dello Sviluppo ed anche docente di Politica del Medio Oriente e responsabile della didattica universitaria nel Dipartimento di Politica e Studi Internazionali (POLIS) dell'Università di Cambridge. La docente ha completato i suoi studi di laurea in Egitto presso l'American University in Cairo (AUC) ed il suo dottorato di ricerca presso l'International Institute of Social Studies (ISS) dell'Erasmus University di Rotterdam, Paesi Bassi. Ha svolto consulenze per organizzazioni internazionali di sviluppo come UNICEF, OXFAM Novib e DANIDA. È membro dei comitati editoriali di Cairo Papers in Social Science – (CPSS) una pubblicazione online trimestrale dei dipartimenti di scienze sociali dell'AUC con collaborazioni esterne – e di Development and Change – una delle principali riviste internazionali nel campo degli studi sullo sviluppo e del cambiamento sociale pubblicata dall'International Institute of Social Studies. Gli interessi di ricerca della docente riguardano l'area delle relazioni stato/società civile in Medio Oriente nel quadro dell'economia politica. Le sue ricerche passate si sono concentrate sulla società civile come terreno di scontro sia teorico che politico in cui diversi attori statali e non statali competono per la creazione di progetti egemonici e contro-egemonici. In particolare il suo lavoro ha esaminato la società civile in Egitto e come le politiche delle ONG abbiano creato un microcosmo di politiche in Egitto dominato dall'interazione di vari attori: regimi autoritari, benefattori internazionali e istituzioni finanziarie che promuovono politiche neoliberiste, forze sociali cooptate e nuovi gruppi nascenti che articolano visioni più democratiche della società. Dalla fine degli anni '90 ha svolto ricerca sul campo relativamente alle nuove reti di attivismo e sulla crescente cultura di resistenza in Egitto a politiche neoliberiste aggressive. La sua analisi ha affrontato le teorie della rivoluzione e dei nuovi movimenti sociali. Il suo principale contributo, tuttavia, è stato quello di mettere in discussione la rilevanza di alcuni approcci teorici tradizionali approfondendo più recenti forme di resistenza e processi rivoluzionari in Egitto e nel resto del mondo. Ha pubblicato articoli su proteste e attivismo in cui esamina le tattiche e le strategie di nuovi gruppi e movimenti. I temi principali indagati da Maha Abdelrahman includono i collegamenti tra gruppi di opposizione interni e movimenti di protesta globali, il cambiamento della politica della sinistra e la rilevanza delle tattiche impiegate dai nuovi movimenti sociali del ventesimo secolo per cambiare la politica globale e nazionale. La sua principale pubblicazione recente è Egypt's Long Revolution: Protest Movements and Uprisings (Routledge, 2014), che è il culmine di una ricerca sui temi testé menzionati condotta nell'ultimo decennio. Il contributo principale del libro è un nuovo quadro di analisi critica sui nuovi movimenti sociali, specialmente durante le fasi in cui passano dal ruolo di movimento di opposizione sotto il dominio autoritario a quello di attore rivoluzionario durante i periodi di grande trasformazione. Questo riporta in scena i temi dell'organizzazione politica, il ruolo dell'ideologia e l'intersezione delle lotte politiche ed economiche durante i processi rivoluzionari e i momenti di trasformazione globale. Più recentemente la sua ricerca si concentra sul ruolo ausiliario dello stato di polizia nel quadro di crescenti «strategie di espropriazione» sia a livello globale che nel contesto dell'Egitto e del Medio Oriente. In ultimo si è interessata ad esaminare le forme emergenti di lavoro precario con l'obiettivo di sfidare la tradizionale visione dei settori formali ed informali dell'economia. È in quest'ultimo interesse di studio che trovava coerenza accademica il lavoro di ricerca di Giulio Regeni con quello della docente.

  (40) Fondata nel 1919, l'AUC è una delle principali istituzioni di istruzione superiore di lingua inglese, accreditata dagli Stati Uniti d'America e centro della vita intellettuale, sociale e culturale del mondo arabo. L'AUC opera nell'ambito di un protocollo del 1975 con il governo egiziano, che a sua volta si basa su un accordo di relazioni culturali del 1962 tra il governo egiziano e quello statunitense. L'Università offre 40 programmi universitari, 52 master e due dottorati di ricerca. Accreditata negli Stati Uniti e in Egitto, l'Università americana del Cairo è un'istituzione indipendente e sostiene i principi della libertà accademica di eccellenza. La vision dell'AUC è: «quella di essere un'università di livello mondiale riconosciuta a livello internazionale per la sua leadership e l'eccellenza nell'insegnamento, nella ricerca, nell'espressione creativa e nel servizio. Costruire sui punti di forza esistenti per diventare la principale università del Medio Oriente e la destinazione scelta per studenti e docenti di tutto il mondo che cercano un'esposizione culturale approfondita, combinata con programmi accademici eccezionali, ricerca all'avanguardia e una comunità di studiosi eticamente impegnata e diversificata». Cfr. https://www.aucegypt.edu/about/about-auc

  (41) Cfr. le due mail tra Abdelrahman e Sabea del 23 aprile 2015 (Doc. 10.008, pp. 1972).

  (42) Cfr. le due mail tra Abdelrahman e Regeni del 24 aprile 2015 (Ivi, pp. 1678; 1680; 1681).

  (43) Rabab El Mahdi, dopo essersi laureata presso l'American University in Cairo, ha conseguito il dottorato di ricerca presso la McGill University di Montreal con una tesi sull'impatto della ricostruzione economica neoliberista sui modelli in cambiamento delle relazioni tra Stato e società civile in Egitto e Bolivia. Il suo campo di specializzazione è l'economia politica comparata e lo sviluppo, con particolare attenzione all'America Latina e al Medio Oriente. Gli interessi di ricerca di El Mahdi coprono le aree delle relazioni stato-società civile, i movimenti sociali e la resistenza, nonché l'economia delle politiche sociali. Prima di entrare a far parte dell'AUC, ha lavorato per diverse organizzazioni di sviluppo, comprese ONG e agenzie delle Nazioni Unite. In passato ha insegnato alla Yale University e ha ricevuto numerose borse di studio presso la Columbia University, l'Università di Chicago, e il Rockefeller Bellagio Center Residency. Attualmente guida il progetto di ricerca dell'AUC su Alternative Policy Solutions (APS). Fa parte dei consigli di amministrazione di numerose organizzazioni della società civile e professionali, tra cui l'Arab Political Science Network (APSN). Gli interessi di ricerca di El-Mahdi orbitano intorno ai temi dell'economia politica comparata dell'America Latina e del Medio Oriente (relazioni Stato-società civile); dei movimenti sociali e di resistenza; dei movimenti delle donne; delle transizioni democratiche. È un'attivista di gruppi d'opposizione della sinistra egiziana. È stata consigliere politico del candidato presidenziale Abdel Moneim Aboul Fotouh alle prime elezioni presidenziali competitive del 2012. El-Mahdi è spesso commentatrice per testate come AJE, BBC, CNN, ABC e scrive articoli per giornali egiziani e internazionali.

  (44) Cfr. intervista a Rabab El-Mahdi per il think tank progressista Century Foundation. https://tcf.org/content/report/secular-islamist-teamwork-questions-rabab-el-mahdi/?agreed=1

  (45) Abdel Moneim Aboul Fotouh è stato affiliato alla Fratellanza musulmana dall'inizio degli anni '70, è stato membro del Guidance Bureau della Fratellanza dal 1987 al 2009. Incarcerato per cinque anni, dal 1996 al 2001 in quanto membro della Fratellanza in opposizione a Mubarak. Nel 2011 ha formalmente lasciato i Fratelli musulmani per candidarsi alla presidenza in vista delle elezioni presidenziali del 2012. Cfr. https://www.theguardian.com/world/middle-east-live/2012/may/10/egypt-presidential-election-debate. Attualmente è il segretario generale dell'Unione medica araba. È stato arrestato il 14 febbraio 2018. L'arresto di Aboul Fotouh è occorso pochi giorni dopo che un avvocato egiziano ha presentato una denuncia a seguito di una apparizione televisiva in un programma di Al Jazeera da Londra. Nella sua denuncia, l'avvocato Samir Sabry ha accusato Aboul Fotouh di «diffondere notizie false» e di umiliare il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi. Cfr. https://www.aljazeera.com/news/2018/02/16/egypts-opposition-condemns-detention-of-aboul-fotouh.

  (46) Cfr. l'articolo di David D. Kirkpatrick «Top Challenger in Egypt Vote Is an Islamist, and Moderate» del 12 marzo 2012. https://www.nytimes.com/2012/03/14/world/middleeast/top-challenger-in-egypt-vote-is-an-islamist-and-moderate.html

  (47) Cfr. The Muslim Brotherhood's Generational Gap: Politics in the Post-Revolutionary Era, Doha Samir, in AlMuntaqa, Vol. 1, No. 2 (August 2018), pp. 32-52, Arab Center for Research & Policy Studies.

  (48) Cfr. Heba Saleh, Egypt's liberals turn to Islamist doctor, «Financial Times» del 22 marzo 2012, https://www.ft.com/content/ed5b3800-7355-11e1-9014-00144feab49a

  (49) Cfr. Doha Samir, op. cit.

  (50) Cfr. l'articolo di David D. Kirkpatrick «Top Challenger in Egypt Vote Is an Islamist, and Moderate» del 12 marzo 2012. https://www.nytimes.com/2012/03/14/world/middleeast/top-challenger-in-egypt-vote-is-an-islamist-and-moderate.html

  (51) Mokhtar Nuh, Rabab El-Mahdi e Abdel Moneim Abul Fotouh hanno fondato un partito moderato tentando di bilanciare il progressismo economico con una posizione sociale islamico-moderata. Il partito Egitto Forte è stato pubblicizzato come un ponte sulla spaccatura politica dell'Egitto, fornendo una terza opzione agli elettori. Il 13 settembre 2015 una sentenza del tribunale ha costretto la Commissione per gli Affari dei Partiti Politici a riconsiderare la costituzionalità di 11 partiti, incluso «Egitto Forte», sulla base dei loro legami religiosi. «Egitto Forte» ha sostenuto la richiesta di estromissione di Morsi, ma ha contestato il coinvolgimento dei militari nel trasferimento di potere, riferendosi ad essa come un colpo di stato. Il partito si è opposto al referendum costituzionale nel 2014 (come aveva fatto nel 2012) e ha chiesto il boicottaggio delle elezioni presidenziali del 2014. Il partito ha respinto l'idea che l'Egitto accettasse prestiti internazionali, sollecitando i temi di un migliore sfruttamento delle risorse energetiche nazionali. Pur riconoscendo la necessità di uno sviluppo dell'impresa privata, il partito si è mosso su posizioni vagamente rivoluzionarie di giustizia sociale. Questo è evidenziato nel suo sostegno ad un moderato interventismo statale (ad esempio nell'istituzione di tetti e di minimi salariali). In politica estera hanno dichiarato opposizione agli accordi di Camp David, il loro sostegno e riconoscimento per Hamas in Palestina e la loro convinzione nell'impossibilità della pace con Israele mentre persistono gli insediamenti e il blocco di Gaza. A livello nazionale, il partito «Egitto Forte» è stato apertamente critico nei confronti di Sisi – come presidente e relativamente alla società-Stato che ha generato – mantenendo ferma la sua decisione di boicottare anche le elezioni parlamentari del febbraio 2015 a causa della mancanza di trasparenza. Cfr. The Tahrir Institute for Middle East Policy (TIMEP), Parliamentary Elections Monitor, Strong Egypt Party (Misr al-Qawia). https://timep.org/parliamentary-elections-monitor/strong-egypt-party/

  (52) Eloquente è lo svolgimento degli eventi di luglio 2013 (soprattutto dal giorno 26 con le proteste di piazza diffuse in tutto il Cairo e con la chiamata a raccolta attorno alla statua del famoso scrittore Naguib Mahfouz). In seguito al colpo di stato militare contro il presidente Morsi avvenuto meno di un mese prima – il 30 giugno –, i membri del partito «Egitto Forte» hanno partecipato al movimento della «Terza Piazza», creato da attivisti islamici liberali, di sinistra e moderati che rifiutavano sia la Fratellanza Musulmana che il governo militare. Quando il ministro della Difesa e vice primo ministro Abdel Fattah al Sisi ha invitato gli egiziani «fedeli» a scendere in piazza per sostenere la sua autorità e dargli il mandato di affrontare quello che ha definito «terrorismo», decine di migliaia di egiziani si sono radunati nelle principali piazze del paese, esprimendo la loro solidarietà al capo dell'esercito ritenendo che agisse per salvare l'Egitto dal flagello della guerra civile. Nel contempo, nel sobborgo orientale di Nasr City, al Cairo, migliaia di sostenitori islamisti del deposto presidente Mohamed Morsi hanno continuato i loro sit-in fuori da una moschea, chiedendo il ripristino di Morsi e denunciando quello che descrivevano come un «colpo di stato militare contro la legittimità». Nel Paese profondamente polarizzato tra i due opposti schieramenti rivali, in mezzo al conflitto e alla divisione, è emerso un terzo gruppo, i cui membri speravano di riunire gli egiziani dietro la causa comune di «un Egitto libero, democratico e civile». Composto da circa 400 liberali, di sinistra e islamisti moderati, il cosiddetto movimento della «Terza Piazza» si è opposto sia ai militari che ai Fratelli musulmani e ha cercato di promuovere una via di mezzo, ricordando agli egiziani di continuare a lavorare per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione del gennaio 2011. Il movimento di opposizione ha adottato il motto «Abbasso tutti coloro che ci hanno tradito: i Fratelli Musulmani, l'esercito e i lealisti del regime di Mubarak«. Il movimento Tamàrrud che aveva organizzato le proteste di massa del 30 giugno per chiedere la cacciata di Morsi (e che poi ha sostenuto il governo ad interim che lo ha sostituito) ha accusato la Terza Piazza di essere «controproducente e divisiva». Cfr. Shahira Amin, «Third Square movement hopes to unite Egyptians» del 2 agosto 2013. http://www.indexoncensorship.org/2013/08/third-square-movement-hopes-to-unite-egyptians.

  (53) «... Ieri se semo trovai per decider la struttura del mio report de fine anno e anche per discuter del nome del supervisor in Egitto... Ela me ga proposto Rabab El Mahdi che xe una politologa egiziana conosuda anche perché la xe una grande attivista... Mi go fatto il codardo e ghe go ditto che iero un po' preoccupà del fatto che la ga molta visibilità in Egitto e no volesi esser tanto in primo piano... E la xe rimasta mal... La mega ditto: finirà che dovremo metterte con qualchidun che fa parte del Governo... Dopo sono tornà nel suo ufficio e ghe go ditto che me andava ben el suo nome ma no la sembrava troppo convinta...(interlocutore) La tua preoccupazion era de finir con una supervisor troppo conossuda? (Regeni) Sì, perché go sentì de storie poco piacevoli...la mia secondo anno no la pol più tornar in Egitto legalmente...una mula del secondo anno che lavora con la mia supervisor e che iera giù in Egitto per far la sua ricerca» (Doc. 02_01, p. 164-166).

  (54) Si noti ad esempio la mail di Giulio Regeni ad Abdelrahman del 15 ottobre 2012, scritta quando il suo dottorato ancora non era neanche iniziato, in cui il ragazzo scrive chiedendo suggerimenti sul metodo da applicare alla ricerca e manifesta, compatibilmente con la sua conoscenza delle dinamiche egiziane, preoccupazione del fatto che a causa della rivoluzione in corso potrebbe essere difficile raccogliere dati utili allo studio, non volendo metterlo a repentaglio (Doc. 10.008, pp. 1882-1883).

  (55) L'11 giugno Regeni scrive alla professoressa complimentandosi per la sua promozione a «Reader» a Cambridge. Le dice che sta presentando domanda come ricercatore in visita all'AUC e la informa del fatto che necessiterà di vari documenti: un curriculum aggiornato, una lettera di introduzione da parte dell'ateneo, la proposta di ricerca ed una dichiarazione circa i fondi a sua disposizione come candidato all'affiliazione. Le allega le bozze dei documenti e le chiede di verificare la proposta di ricerca, le due lettere preparate dall'ateneo ed il suo CV (Ivi, p. 1734).

  (56) Il 17 giugno Regeni scrive alla professoressa chiedendole se gli suggerirebbe di contattare già Rabab El Mahdi e due giorni dopo riceverà una risposta dalla docente che suggerisce a Regeni di enfatizzare che lei (Maha Abdelrahman) è la sua supervisor e che è stata Assistant Professor presso il SAPE (Department of Sociology, Anthropology, Psychology and Egyptology) dell'AUC dal 2002 al 2007, nel caso in cui dovesse preparare anche una lettera di presentazione presso l'Ateneo del Cairo per spiegare brevemente il perché stia avanzando domanda all'AUC (Ivi, p. 1700).

  (57) Cfr. il 30 giugno Beverly Barlow, addetto amministrativo al registro degli studenti dell'Università di Cambridge, scrive ad Abdelrahman in merito all'accettazione della proposta di lavoro di ricerca all'estero di Regeni (Ivi, pp. 2586; 216-219).

  (58) Cfr. Lettera del 21 luglio 2015 della Finance Division di Cambridge (Ivi, p. 224).

  (59) Cfr. le due mail del 14 settembre 2015 tra Giulio Regeni e Rabab El Mahdi (Doc. 10.008, p. 419)

  (60) Ivi, pp. 423-424.

  (61) Nella serie di interazioni tra Regeni e l'AUC tra il 17 settembre ed il 21 settembre 2015 risulta chiaro, esplicito e condiviso l'arco temporale della presenza di Regeni al Cairo presso l'AUC in quanto il ricercatore affronta con la segreteria anche il tema della retta semestrale di 500 dollari e chiede di essere dispensato dall'onere di pagare un ulteriore intero semestre per la sua presenza sino al mese di marzo 2016, la quale andrebbe di poco oltre al termine formale di gennaio del semestre invernale. Lo scambio di mail si conclude con l'accordo raggiunto fra Regeni e l'amministrazione affinché paghi il semestre invernale e l'affiliazione sino al mese di gennaio (Ivi, pp. 426-430).

  (62) La professoressa Barsoum da gennaio 2014 a giugno 2018 è stata direttrice del Master of Public Policy e tra le sue docenze risultano anche «Genere nelle politiche pubbliche»; «Riforma dei Servizi Sociali»; Elementi di politica pubblica e amministrazione; «Fondamenti e Applicazioni per le politiche sociali e ambientali».

  (63) Nel novembre 2015 Regeni invia a Noura Wahby l'allegato «Barsoum Reviews Africa education review» con la checklist richiesta da Ghada Barsoum. I due ricercatori scambiano diverse revisioni dei documenti relativi al lavoro della docente e vi lavorano insieme. Cfr. mail del 19, 22 e 24 novembre 2015 tra Giulio Regeni e Noura Wahby (Doc. 10.008, pp. 1426; 1554-1558; 1594; 1541; 1602).

  (64) Cit. Daniela Melfa, già Presidente della Società per gli Studi sul Medio Oriente (SeSaMO) in audizione il 13 maggio 2020.

  (65) «Ebbene, pur condividendo la necessità di adottare accorgimenti per non mettere a repentaglio la propria vita, riteniamo che la ricerca sul campo non debba arrestarsi di fronte alle situazioni di crisi. Non mancano esempi illustri in questo senso. Il politologo francese Olivier Roy ha effettuato una ricerca sul campo in Afghanistan durante l'invasione sovietica nel 1979. Pierre Bourdieu, sociologo francese, non è da meno: fece una ricerca in Algeria durante la guerra di liberazione dal 1954 al 1962, lasciandoci peraltro dei preziosissimi scatti fotografici. Alcuni ricercatori francesi residenti in Algeria negli anni settanta, all'epoca di “Boumedienne”, raccontano che beneficiavano di una sorta di immunità o protezione. Anche gli studiosi italiani per decenni sono andati a fare ricerche nella Siria di Hafiz al-Asad o nell'Iraq di Saddam Hussein, regimi brutali dove però non si sono riscontrati casi come quello di Giulio Regeni . Oggi, a giudicare dal numero dei cosiddetti prigionieri scientifici, questa zona franca non è più riconosciuta in Medio Oriente. A essere cambiata non è la ricerca, ma probabilmente la posizione dell'Italia nello scacchiere mediterraneo e in particolare nei rapporti bilaterali con l'Egitto. La risposta dei ricercatori al caos e alla violenza mediorientale dovrebbe essere quella di restare a casa? Noi non lo crediamo. Crediamo che il lavoro sul campo rimanga essenziale per vari motivi. Permettetemi di citare solo alcune delle ragioni. Il lavoro sul campo permette di sfuggire all'osservazione della realtà dall'esterno, dall'alto, in una posizione di presunta superiorità o di eccessiva distanza. Esso è altresì essenziale per vagliare le ipotesi alla luce dei fatti e non alla luce di idee precostituite» (Ivi).

  (66) Cit. Elisabetta Brighi dell'Università di Westminster in audizione il 13 maggio 2020.

  (67) Ivi.

  (68) «Nel 2016 c'erano decine di ricercatori in Europa e negli Stati Uniti che svolgevano questo tipo di ricerca; oggi queste ricerche non si fanno più. L'assassinio di Giulio Regeni ha assestato un colpo di portata storica alla libertà di ricerca. Il messaggio è arrivato chiaro alle università di tutto il mondo. C'è un numero crescente di ricercatori che viene bloccato all'arrivo al Cairo ed è costretto a tornare indietro». Cit. Lorenzo Casini, dell'Università di Messina, in audizione il 13 maggio 2020.

  (69) Cfr. mail del 13 settembre tra G. Regeni e M. Abdelrahman (Doc. 10.008, p. 1814).

  (70) Cfr.https://www.jadaliyya.com/Details/27807/Ordering-the-Disorderly-Street-Vendors-and-the-Developmentalist-State. Il sito Jadaliyya.com è per altro diverse volte citato come fonte di notizie e di articoli nelle conversazioni tra Abdelrahman, Regeni e Noura Wahby. Jadaliyya («dialettica») è una pubblicazione on line gratuita fondata nel 2010. Presenta contenuti in lingua inglese, araba, francese e spagnola sul Medio Oriente di accademici, giornalisti, attivisti e artisti ed è prodotta dall'editore Arab Studies Institute (ASI). Tutti i co-editori di Jadaliyya sono volontari ed il magazine non accetta pubblicità.

  (71) La docente affronta il tema delle rivolte contro Mubarak dalla prospettiva della strada e dei venditori ambulanti che si sono riversati in piazza Tahrir. Questi hanno creato una fiorente economia locale che ha anche rifornito i milioni di manifestanti che sono scesi in piazza con snack e bevande a prezzi accessibili. Poi sono arrivati i venditori ambulanti di ogni tipo di genere. L'articolo della Abdelrahman affronta il tema degli indici economici generali come il PIL, dei rapporti di produzione e del mancato gettito. L'articolo pone in evidenza le campagne di sgombro post Mubarak e il tema dell'occupazione degli spazi pubblici e dell'economia informale, sempre in dialettica con una pianificazione nazionale nei Paesi in via di sviluppo e con il tema della strutturazione in senso formale. Nell'articolo si lascia spazio anche alle considerazioni relative alla sindacalizzazione dei venditori ambulanti «ansiosi di unirsi ai sindacati, non ultimo per organizzarsi collettivamente contro le molestie statali, la corruzione della polizia e il racket della protezione». Abdelrahman evidenzia il tentativo di contenimento e ordinamento dei venditori ambulanti attraverso le rimozioni dal cuore delle città e le ricollocazioni ai margini urbani nella speranza di renderli invisibili. La professoressa conclude affermando che «lo stato modernizzante, (ancora?) sviluppista in Egitto, e altrove, ha cercato di inserire la realtà sociale in un quadro immaginato, che ha sistematicamente escluso ed emarginato i suoi cittadini. Non ha funzionato in passato e non funzionerà nemmeno adesso».

  (72) Doc. 10.08, p. 2568.

  (73) Il Consiglio Arabo per le scienze sociali (ACSS) è dal 2013 membro dell'International Science Council. Ha sede a Beirut, in Libano, nasce ufficialmente nel 2008 ed è un'organizzazione regionale, indipendente e senza scopo di lucro dedicata al rafforzamento della ricerca nelle scienze sociali e della produzione di conoscenza nel mondo arabo. Sostiene ricercatori e istituzioni accademiche di ricerca. L'ACSS mira a rafforzare il ruolo delle scienze sociali nella vita pubblica araba e a informare sulla politica pubblica nella regione (https://www.jadaliyya.com/Details/27907/Call-for-Papers-The-Arab-Council-for-the-Social-Sciences`-Inaugural-Conference-19-20-March,-Beirut).

  (74) Nel 2014 effettivamente l'Arab Council for Social Sciences ha pubblicato un bando in preparazione della seconda conferenza dal titolo «Questioning Social Inequality and Difference in the Arab Region» che si è tenuta dal 13 al 15 marzo 2015 a Beirut. Alla conferenza ha effettivamente partecipato Maha Abdelrahman nel panel dei relatori principali e, come anticipato, vi ha preso parte anche la professoressa Hanah Sabea dell'AUC alla quale dopo circa un mese, il 23 aprile 2015, la supervisor di Regeni chiederà informazioni riguardo alla possibilità di affiliare ricercatori in visita all'AUC. Cfr. Estratto e programma della conferenza in http://www.theacss.org/uploads/cke_documents/ACSS-Second-Conference-Abstracts.pdf, in http://www.theacss.org/pages/second-conference.

  (75) Joel Beinin è professore emerito alla Stanford University. Dal 2006 al 2008 è stato Direttore degli Studi sul Medio Oriente e Professore di Storia all'Università Americana del Cairo. Nel 2002 è stato presidente della Middle East Studies Association of North America. La ricerca e gli scritti di Beinin si concentrano sulla storia sociale e culturale e sull'economia politica dell'Egitto, della Palestina e di Israele moderni e sulla politica degli Stati Uniti in Medio Oriente. Cfr. https://history.stanford.edu/people/joel-beinin.

  (76) Nell'occasione la professoressa Abdelrahman scrive a Regeni indicando come oggetto la burocrazia egiziana e suggerendo di inviare i contenuti anche a Noura (non avendo – afferma – il suo indirizzo di Cambridge). Allega un link sull'argomento dal sito Jadaliyya.com. Lo stesso giorno Regeni inoltra a Noura Wahby l'articolo ricevuto (Doc. 10.008, pp. 1789; 1893; 1897).

  (77) Cfr. mail di Regeni ad Abdelrahman del 6 febbraio 2015. Ivi, p. 1923.

  (78) Giulio Regeni, Research proposal (Doc. 10.08, pp. 1737-1740).

  (79) Ricercatrice di Cambridge in Egitto all'epoca dei fatti, supervisionata da Abdelrahman. Svolgeva ricerca sui «dottori di piazza Tahrir», i medici oggetto di violenza durante le rivolte egiziane. Cfr. mail del 11 ottobre 2015 (Ivi, p. 1264).

  (80) Ricercatore di Cambridge in Egitto all'epoca dei fatti, attuale direttore degli studi di sociologia al St. Catherine's College e lettore presso la facoltà di scienze politiche di Cambridge (Ivi, pp. 1269-1272).

  (81) Doc. 10.08, p. 1947.

  (82) Laureato all'Università degli Studi di Napoli «L'Orientale», è attualmente docente di Storia e Politica del Medio Oriente e del Nord Africa presso l'Università degli Studi Roma Tre. In precedenza ha insegnato Middle East Politics alla British University in Egypt (BUE) al Cairo (2011-16) ed è stato direttore del Centro per gli studi sul Medio Oriente e sul Nord Africa presso la Macquarie University di Sydney (Australia) dal 2009 al 2011. I suoi interessi di ricerca includono: laicità e marxismo nel mondo arabo, il ruolo politico degli intellettuali arabi, la politica dei media arabi, l'attivismo civico e i movimenti sociali e di protesta nel mondo arabo, storia e politica del mondo arabo postcoloniale (con particolare attenzione a Egitto, Marocco e Palestina), storia e politica dell'Islam in Europa.

  (83) Audizione del sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Sergio Colaiocco, in data 17 dicembre 2019.

  (84) Doc. 10.06, p. 148.

  (85) A titolo di esempio e ad evidenza di un rapporto assiduo si riportano anche le circostanze del 15 e del 17 gennaio 2016. Nella prima Regeni ha festeggiato il suo compleanno con Noura Wahby, Gennaro Gervasio e Francesco De Lellis al caffè Takeba nel centro de Il Cairo. Nella seconda occasione Regeni si è recato al cinema a vedere un film sperimentale sugli operai delle fabbriche di Helwan intitolato «Out on the street» con il professor Gervasio, Francesco De Lellis ed altri amici (Doc. 14.01, pp. 65-68).

  (86) In corso di stesura l'articolo di Gervasio e Regeni «Resistance, Co-optation and Repression. Independent Workers in Egypt's Unfinished Revolution» (Doc. 10.02, p. 798). Cfr. inoltre lo scambio mail tra Gervasio ed Abdelrahman del 15 aprile 2016 (Doc. 10.008, pp. 2548-2549).

  (87) Il 17 dicembre 2015 Regeni incontra Gennaro Gervasio per parlargli dei risultati della sua ricerca ed il 13 gennaio 2016 Giulio Regeni si reca in serata a casa del professor Gervasio per aiutarlo nella correzione di alcune tesine universitarie (Doc. 14.01, pp. 65-68).

  (88) Ivi, p. 14.

  (89) La riunione a cui parteciparono circa centocinquanta sindacalisti e leader dei lavoratori era stata indetta dopo l'emanazione di una circolare del Governo che voleva limitare i diritti dei sindacati indipendenti sui luoghi di lavoro. L'incontro si svolse nella sede di via Al Qasr Al Aini n. 88 al Cairo. Cfr. l'articolo «L'Egitto degli scioperi cerca l'unità sindacale» di Giulio Regeni e Francesco De Lellis pubblicato su Nena News (Agenzia Stampa Vicino Oriente) sotto lo pseudonimo di Antonio Drius il 14 gennaio 2016. https://nena-news.it/legitto-degli-scioperi-cerca-lunita-sindacale.

  (90) Doc. 10.06, pp. 112-113.

  (91) Doc. 03_01, p. 6.

  (92) Cfr. mail di Noura Wahby ad Abdelrahman e El Mahdi del 28 gennaio 2016 (ore 21.18 di Londra), Doc. 10.08, p. 2296.

  (93) Mohamed Abdallah Said: portavoce del sindacato degli ambulanti dal 2014, anno di costituzione dell'associazione. Diplomato all'istituto tecnico di Commercio ha poi svolto studi in ambito alberghiero. Dopo la leva militare ha svolto attività di ambulante in zona Ramses sino al 1998, anno in cui ha iniziato a lavorare al giornale Al-Nabà come direttore della distribuzione dell'Alto Egitto. Ha successivamente intrapreso gli studi presso la facoltà di Comunicazione all'Università del Cairo, senza tuttavia terminarli. Nel 2006 ha lasciato il giornale Al-Nabà e nel 2008 ha ripreso l'attività di ambulante nel campo dell'abbigliamento in zona piazza Ramses. Nel 2011 apre un piccolo locale sul ponte di Ahmad Helmi e nel 2012 si avvicina al tema del sindacato dei venditori ambulanti in via di costituzione, divenendone nel 2014 portavoce. Cfr. Verbale di interrogatorio di Mohamed Abdallah del 10 maggio 2016 innanzi al procuratore Elyas Imam (Doc. 09_01, pp. 186-188).

  (94) Il sindacalista parla di sé e della storia del sindacato da lui rappresentato, oltre che nell'intervista resa a Giulio Regeni anche nelle deposizioni davanti all'autorità giudiziaria egiziana dell'11 aprile e del 10 maggio 2016 (Ivi, pp. 171 e ss).

  (95) Doc. 03_01, pp. 5- 6. E ancora cfr. verbale di interrogatorio di Mohamed Abdallah del 10 maggio 2016 (Doc. 09_01, pp. 193-195).

  (96) Funzionario della National Security egiziana, indagato nell'ambito del procedimento nr. 47807/20 RG PM della Procura della Repubblica di Roma, a carico dei responsabili del sequestro, tortura e morte di Giulio Regeni .

  (97) Gli inquirenti italiani ritengono che sia in questo arco di tempo che Regeni viene posto sotto osservazione dai servizi di sicurezza egiziani. Il cambio di atteggiamento di Abdallah Said tra il 20 ottobre e fine novembre, con molta probabilità, è riconducibile proprio all'attenzione che si crea nei riguardi del ricercatore e all'esigenza di generare occasioni di indagine sul suo conto in territorio egiziano (audizione del 17 dicembre 2019).

  (98) Doc. 10.02, p. 693.

  (99) Doc. 02.01, p. 270.

  (100) Doc. 02_01, p. 261.

  (101) Doc. 03_01, pp. 5; 22.

  (102) Cfr. il verbale di Magdi Ibrahim Abdelal Sharif del 19 maggio 2016 innanzi al sostituto procuratore Islam Mohammed (Doc. 09_01, p. 51; 57).

  (103) Doc. 02_01, p. 267.

  (104) Doc. 03_01, pp. 6-7.

  (105) Abdallah Said chiama Giulio Regeni alle ore 21:07. Quest'ultimo raggiunge il sindacalista in un caffè in zona Ahmed Helmi dopo 7 minuti. L'incontro dura 73 minuti circa e termina alle ore 22:26. Sul finire della registrazione, rimasta attivata, alle ore 22:32 il sindacalista Said chiama il colonnello Mather Kamal richiedendo istruzioni sul come disattivare la registrazione. Dopo altri 13 minuti dalla prima telefonata ne seguirà una seconda alla medesima utenza telefonica riconducibile al colonnello Kamal. Il sindacalista riceverà successivamente due telefonate (alle ore 22:52 e 23:27) da utenze fisse della National Security. Emerge altresì dalle dichiarazioni di Abdallah Said che il maggiore Sharif intendeva continuare a tenere sotto controllo Regeni per capire cosa avrebbe fatto i giorni 25 e 28 gennaio. Tra il 10 gennaio ed il 21 del medesimo mese ci saranno tredici contatti telefonici tra il sindacalista ed il maggiore Sharif. Cfr. l'audizione degli inquirenti italiani del 17 dicembre 2019.

  (106) Doc. 10.02, pp. 744-773.

  (107) Ivi, pp. 754-755; ed ancora Doc. 02_01, pp. 266-279.

  (108) Regeni scrive una mail a Hoda Kamel Hussein il 28 ottobre 2015 per dare seguito ad una loro conversazione avuta il giorno precedente e per spiegare meglio che è suo interesse mettersi in contatto con gli ambulanti, per comprendere la loro vita quotidiana. Hoda Kamel si attiva ed inizia uno scambio di mail relativo all'organizzazione di un incontro già per il giorno seguente nel distretto di Roxy. Regeni nel corso della giornata invia ad Hoda Kamel il testo di alcune domande che intende porre ai venditori ambulanti. Nella medesima sera Regeni scrive una mail a Noura Wahby allegando il questionario (Doc. 10.03, p. 745-747).

  (109) Durante la visita Rabie introdurrà Regeni ad altri ambulanti tra cui tali «Fathi» e «Gamal» (Doc. 02_01, pp. 271-272). Il 29 ottobre 2015 Noura Wahby invia una mail a Giulio Regeni contenente la traduzione in arabo delle domande ricevute il giorno precedente via mail dal ricercatore. Wahby suggerisce a Regeni di chiedere nelle sue interviste se l'ambulante che incontra sia del Cairo o di un altro governatorato e l'eventuale ragione del trasferimento al Cairo, oltre alle sue aspettative come ambulante (Doc. 10.03, p. 747).

  (110) Doc- 14.01, p. 72.

  (111) Doc. 02_01, p. 266.

  (112) Doc. 02_01, pp. 235-237; 269; 273-278; 279. Il 13 novembre 2015 Regeni scrive di aver avuto un piccolo «scontro» con Fathy e Rabie in merito al fatto che egli fosse o meno un dottore presso l'AUC (Università Americana del Cairo). Il 18 novembre 2015 Regeni incontra gli ambulanti e regala un libro («La fattoria degli animali» di Orwell) a Rabie Mohamed Fadhl. Regeni si chiede anche nell'occasione, come emerge dai suoi appunti relativi alla giornata, se Rabie abbia intenzione di promuovere il caso della sindacalizzazione dei venditori ambulanti presso i circoli egiziani più colti o piuttosto di promuovere se stesso. Il 21 novembre 2015 Regeni partecipa al workshop «Etnografo per una settimana» organizzato da Dina Makram Ebeid all'Istituto di arti libere e scienza del Cairo; poi si reca nel mercato di Masr al Gadida dall'ambulante Rabie. Il 26 novembre 2015, il ricercatore incontra gli ambulanti presso il mercato di Masr al Gadida e annota di sentirsi «per la prima volta accettato dal gruppo» e di aver affrontato discorsi relativi alla Fratellanza Musulmana e al socialismo di Lenin come d'ispirazione per Qutb [scrittore politico egiziano (1906-1966)]. Il 1° dicembre 2015 annota nei suoi appunti di ricerca di sentirsi sorpreso del fatto che il sindacalista Rabie Mohamed Fadhl avesse tenuto conto dei giorni che erano passati dall'ultimo incontro presso il mercato e scrive: «ho avuto la sensazione che ci vorrà un po' di tempo per rompere di nuovo il ghiaccio, ho la sensazione che mi considerassero di nuovo come un esterno. Ci vuole così poco a cambiare i fatti...». Poi aggiunge: «voglio fare il tiramisù per loro. Forse dopo la conferenza AMEPPA tutto questo finirà».

  (113) Il 30 ottobre 2015 Regeni incontra Kamal Abbas, leader del «Center for Trade Union and Workers Services» (CTUWS), organizzazione nata nel 1990 come centro servizi per i lavoratori. L' 11 novembre 2015 Regeni intervista Khaled Ali, avvocato dei lavoratori e Wael Gamal, scrittore ed economista. Il 17 novembre 2015 Regeni intervista Mustafa Bassiouny, analista delle politiche sociali e del lavoro. L'8 dicembre viene intervistato Talal Shukr del «CTUWS». Il giorno seguente Regeni intervista Hoda Kamel in qualità di responsabile dell'archivio in materia di lavoro e diritto sindacale dell'organizzazione «ECESR» (Egyptian Center for Economic and Social Rights). Cfr. Doc. 02_01.

  (114) https://antipodeonline.org/

  (115) Gli Antipode Foundation Scholar-Activist Project Awards sono destinati a sostenere le collaborazioni tra accademici, non accademici e attivisti (ONG, gruppi di riflessione, movimenti sociali o organizzazioni di base della comunità) che approfondiscono analisi su temi di sviluppo per una società nuova e migliore. Sono finalizzati a promuovere programmi di ricerca-azione, partecipazione e impegno, cooperazione e co-indagine e forme di ricerca geografica incentrate sull'azione pubblica. La fondazione intende finanziare il lavoro che porta allo scambio di idee attraverso e oltre i confini dell'accademia e costruisce relazioni significative e partnership produttive. I progetti possono assumere molte forme tra cui: ricerca collaborativa con gruppi artistici, comunitari, culturali, di base o di movimento sociale; la produzione di materiali didattici e altre iniziative pedagogiche innovative; e la promozione di collegamenti tra università e istituzioni/organizzazioni esterne all'accademia. I progetti finanziati possono avere natura eclettica e possono coinvolgere piccoli o grandi gruppi di persone ed avere un focus scalabile dal locale fino al globale. La fondazione incoraggia iniziative avventurose, che esplorano e vanno oltre i confini della pratica accademica consolidata, e privilegia esplicitamente le iniziative di gruppi, regioni, paesi e istituzioni storicamente sottorappresentati nei processi decisionali. Cfr. https://antipodeonline.org/scholar-activist-project-awards/

  (116) Doc. 14.01, pp. 61; 75.

  (117) Nella deposizione dell'11.04.2016 Said Abdallah afferma di rappresentare circa 3.000 venditori operanti nei mercati di Ramses e del centro città.

  (118) Doc. 02_01, p. 336.

  (119) Doc. 02_01, p. 267.

  (120) Cfr. Trascrizione integrale del video dell'incontro con Abdallah Said del 7 gennaio 2016 (Doc. 09_01, pp. 226-251). Confronta altresì l'informativa congiunta di ROS e SCO (Doc. 10.03, pp. 1430-1432).

  (121) Ivi, pp. 1422-1432.

  (122) Doc. 14.01, p. 76.

  (123) Il 19 settembre del 2015 la docente Abdelrahman scrive a Regeni comunicandogli di essere al Cairo sino al 2 ottobre successivo e chiedendogli la disponibilità di un incontro. Il giorno seguente la docente propone un incontro a Beanos Zamalek per il mercoledì successivo alle ore 11.00. Dopo varie mail scambiate anche con Wahby nei giorni successivi, il 25 settembre la docente e Wahby si accordano per vedersi la domenica 27 settembre alle 18.30 per poi cenare anche con Regeni al ristorante Sequoia a Zamalek (Doc. 10.008, pp. 1634; 1636; 2578-2579).

  (124) Doc. 10.008, pp. 1810-1811.

  (125) Doc. 10.008, p. 1709-1712.

  (126) Il 4 novembre 2015 Regeni riceve una lettera datata 2 novembre da AMEPPA (Association for Middle Eastern Public Policy and Administration) con la quale gli viene comunicato che il suo elaborato «A tale of Everyday Resistance: Street Vendors and the Contestation of Urban Space in Cairo» è stato accettato per la «Quarta Conferenza Globale sulle Politiche Pubbliche e l'Amministrazione nel Medio Oriente» (Doc. 10.008, p. 1465; 1467).

  (127) Il 10 ottobre 2015 Wahby scrive a Regeni e Rowell per organizzare i materiali della partecipazione al convegno di AMEPPA (del successivo dicembre 2015) nel quale si trovano tutti e tre nel panel dei relatori di una sessione (Doc. 10.008, p. 1256). Il 23 ottobre 2015 Regeni scrive a Noura Wahby condividendo con lei un'idea di abstract per il convegno AMEPPA al quale avrebbero partecipato. Condivide alcuni temi chiave come: le richieste dei venditori ambulanti con le quali tentano di sviluppare alternative alle politiche statali; come queste richieste sono articolate in termini di spazio e stratificazione sociale; se queste richieste rappresentano una opportunità di inclusione degli emarginati; come risponde lo Stato (ivi, p. 1303).

  (128) L'intervento di Anna Rowell aveva come titolo: «Liminal informality-The Critical Intersection between Top Down/Bottom Up Urbanism in Mokattam, Cairo». Noura Wahby ha presentato un elaborato dal titolo: «Understanding Community Self-Help and Implications for Urban Infrastructure Policies» (Ivi, 1472-1474).

  (129) Ivi, p. 23.

  (130) La docente invia il link al testo «The Ethnos in the Polis: Political Ethnography as a Mode of Inquiry» (di Baiocchi e Connor, 2008, https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1751-9020.2007.00053.x) e a delle letture dal link https://noppa.aalto.fi/noppa/kurssi/tu-22.z riconducibile alla «Aalto University», istituzione accademica di Helsinki.

  (131) Il 19 novembre 2015 Regeni scrive ad Abdelrahman perché intende partecipare ad un workshop organizzato dall'APSA (American Political Science Association), la cui scadenza è prevista il 20 dicembre, e gradirebbe ricevere delle lettere di referenze (Ivi, p. 64). Il 26 dicembre 2015 Regeni reitera la richiesta del 19 novembre. Cfr. Ivi, p. 65. La docente risponde nella stessa giornata alla mail di Regeni (Ivi, p. 69) dicendo che lei si trova a Il Cairo sino al 10 gennaio e chiede a Regeni se lui sia in città [Regeni in quel momento è in Italia dal 20 dicembre ed il giorno 26 dicembre lascia l'Italia per le vacanze di fine anno e va a Kiev, Ucraina, dalla fidanzata prima di tornare a casa in Italia]. Il 28 dicembre 2015 Regeni risponde di essere in vacanza e che tornerà il 4 gennaio in Egitto, rendendosi disponibile per un incontro (Ivi, p. 67). Il 31 dicembre 2015 Abdelrahman scrive a Regeni proponendo un incontro per il 6 gennaio 2016 a Beanos Zamalek la mattina alle 11, Regeni confermerà il primo gennaio la disponibilità per il 6 gennaio (Ivi, p. 73; 71). Da documentazione acquisita dalla Commissione d'Inchiesta l'incontro risulterebbe esserci poi effettivamente stato la mattina del 7 gennaio 2016 (Doc. 14.01, pp. 61-63). Il 4 gennaio 2016 Regeni riceve una mail dall'APSA che gli ricorda la necessità di completare l'iscrizione entro il 5 gennaio con la lettera di referenze della professoressa Abdelrahman, che non risulta ancora pervenuta in segreteria, per partecipare al workshop MENA. La professoressa invia in serata la lettera di referenza per Giulio (Ivi, p. 2612).

  (132) Regeni si riferisce all'articolo scritto con De Lellis relativamente alla riunione sindacale dell'11 dicembre tenutasi presso il CTUWS e già condiviso con Wahby il 25 dicembre 2015 ed il 9 gennaio per le revisioni linguistiche (Ivi, p. 77).

  (133) Doc. 10.3, pag. 3176.

  (134) Doc. 10.05, pag. 60.

  (135) Doc. 10.05, pag. 91.

  (136) ONG con sede al Cairo che si propone: «advances and supports the needs of workers in a democratic manner, provide direct support and services to the workers and fill the void created by the “official” trade union organization» http://www.ctuws.com/en/content/about-ctuws

  (137) La riunione aveva lo scopo di discutere la decisone del governo di rafforzare il sindacato ufficiale ETUF (unica formazione ammessa fino al 2008), con il fine esplicito di contrastare il ruolo dei sindacati indipendenti e marginalizzarli tra i lavoratori.

  (138) Egyptian Trade Union Federation.

  (139) Si riporta l'articolo dal titolo «l lavoratori egiziani tra ETUF e sindacati indipendenti», in cui si descrive, quattro anni dopo quella circostanza, la cronistoria della Federazione egiziana dei sindacati indipendenti, che univa quattro sindacati fino a quel momento autonomi, nata nel 2011 per sfidare il monopolio di Stato:
  «All'interno delle società moderne e del terzo settore, un ruolo fondamentale è ricoperto dai sindacati, strumento di rappresentanza e di difesa per milioni di lavoratori. Come qualsiasi organizzazione non direttamente affiliata allo Stato, in molte aree del mondo i sindacati subiscono la repressione di regimi autoritari. In Egitto, ad esempio, la situazione appare critica. Di fatto, in un Paese in cui la parola «sindacalismo» riporta alla mente scenari poco chiari come la morte di Giulio Regeni, una delle costanti che hanno accomunato i vari regimi al potere è stata il diretto controllo esercitato sui sindacati (..) Il monopolio dell'ETUF finì nel 2011 con la caduta del regime di Mubarak in seguito alla Primavera Araba egiziana. (...) Sull'onda dell'indignazione, nel 2011, milioni di egiziani scesero in piazza chiedendo il diritto all'autorganizzazione. In quel momento si aprì una breve parentesi libertina per il sindacalismo egiziano, parentesi che sarebbe stata chiusa dalle aggressive politiche di Al-Sisi. Tra i tanti fattori che hanno contribuito alla nascita dei moti rivoluzionari egiziani, la situazione sindacale e dei lavoratori in generale risultano tra i più importanti. Il 30 aprile 2011, durante uno dei tanti sit-in di protesta in Piazza Tahir, da un comitato indipendente nacque l'EFITU (Egyptian Federation Indipendent Trade Union). La nascita del primo sindacato indipendente d'Egitto riscosse un enorme successo, evolvendosi fin da subito in una sigla di caratura nazionale. Infatti, le classi lavoratrici non rappresentate dall'ETUF (associabile principalmente ai lavoratori statali) in poco tempo si convertirono all'interno della nuova sigla con quasi 2 milioni di iscritti. La nuova organizzazione guidò per i mesi successivi gran parte degli scioperi e delle proteste dei lavoratori. Nel 2015, l'ONG egiziana Democracy Matter ha rilevato come la nascita dell'EFITU abbia coinciso con un aumento delle dimostrazioni dei lavoratori su tutto il territorio nazionale. Dal 2011 al 2013, le manifestazioni organizzate dalla nuova sigla sindacale si sono contate a centinaia, con un picco nel 2013 con 751 azioni. Inoltre, si può affermare che il 2013 ha rappresentato un anno di svolta per i sindacati egiziani sotto diversi aspetti. Da un lato, il colpo di stato militare di Sisi ha preannunciato l'ennesima dura repressione nei confronti dei sindacati indipendenti, in quanto nel disegno politico dell'attuale Presidente l'ETUF sarebbe tornato a svolgere la sua tipica funzione di strumento di propaganda. Dall'altro lato, il 2013 ha visto la nascita della terza organizzazione sindacale egiziana: l'Egyptian Democratic Labour Congress. (...) Al momento, quindi, i sindacati egiziani sono tre. Mentre l'ETUF gode dell'appoggio statale e dell'esercito, le sigle indipendenti EFITU e EDLC godono del riconoscimento internazionale dell'International Labour Organization (ILO). (...) Per diversi anni i tre sindacati hanno visto un constante cambiamento di fronte da parte dei propri iscritti, accompagnato da violenze e intimidazioni. Complice del caotico scenario è stato il vuoto legislativo in materia. La situazione, infatti, è divenuta più chiara solo nel 2017, con l'approvazione da parte del Parlamento egiziano di una legge a riguardo. Nel dicembre 2017, il Parlamento egiziano ha approvato il pacchetto di leggi che da quel momento in poi avrebbe regolato il mondo dei sindacati. Fortemente voluto da Al-Sisi, organizzazioni egiziane e internazionali come ILO ne hanno però ripetutamente criticato il contenuto, in quanto ripetizione della legge precedente: infatti, come facile aspettarsi, la nuova legge favorisce l'ETUF e danneggia le sigle indipendenti.(...) Infine, è da notare anche come la legge vada a favorire l'ETUF, impedendo legalmente a EFITU e EDLC di andare a raccogliere al proprio interno organizzazioni rappresentanti settori tipicamente affiancati al sindacato di Stato. http://legal-agenda.com/en/article.php?id=4092. Tratto da https://lospiegone.com/2019/01/04, consultato il 3 giugno 2021.

  (140) Doc. 10.02.239.

  (141) Doc. 10.02, pag.1121.

  (142) Successivamente identificato per l'Agente Mahmoud Najem – diretto collaboratore del Colonnello Husam Helmi – soggetto cui è ascrivibile un sospetto traffico telefonico con il coinquilino El Sayyad.

  (143) Doc. 10.05, pag.284.

  (144) Doc. 10.05, pag.414.

  (145) Doc. 10.02 pag.693

  (146) Audizione del 9 dicembre 2020.

  (147) Dal sommario all'articolo: «Il 2015 ha visto una nuova ondata di scioperi in tutto il paese. A dicembre arriva la risposta dei sindacati indipendenti che in una conferenza nazionale puntano all'unità per contrastare il neoliberismo del Cairo».

  (148) Acronimo di «Near East News Agency» – Agenzia Stampa Vicino Oriente – è un'agenzia specializzata sul «vicino oriente» considerata dagli addetti ai lavori la più informata su quello scacchiere, in lingua italiana.

  (149) https://nena-news.it/legitto-degli-scioperi-cerca-lunita-sindacale/

  (150) La pubblicazione dell'articolo da parte del «Manifesto» (postuma rispetto al rinvenimento del cadavere di Giulio Regeni), potrebbe non essere stata estranea all'esigenza di far lasciare immediatamente il Cairo da parte di Gennaro Gervasio, considerando che sarebbe stato facilmente sospettato dalla polizia egiziana di essere lui il coautore dell'articolo, in quanto ben più noto agli investigatori del De Lellis.

  (151) Audizione di Francesco De Lellis del 3.08.2021.

  (152) Doc. 01 pag. 693.

  (153) De Lellis dirà al redattore: «...ho già altre cose che mi stanno portando ad attirare attenzioni indesiderate preferisco risparmiarmi anche questa. Doc. 10.05, pag. 47.

  (154) Doc. 01 pag. 637

  (155) Doc. 10.05, pag. 47

  (156) Robert Springborg, Egypt (Polity Press, 2017).

  (157) Douglass C. North, Limited access orders in the developing world: A new approach to the problems of development, vol. 4359 (World Bank Publications, 2007).

  (158) Lisa Anderson, «Demystifying the Arab spring: parsing the differences between Tunisia, Egypt, and Libya», Foreign Aff. 90 (2011): 2.

  (159) Neil Ketchley, Egypt in a Time of Revolution (Cambridge University Press, 2017).

  (160) Hussein Walaa, «Egypt's Tamarod outlives its purpose», Al-Monitor, 5 agosto 2015.

  (161) Daniela Pioppi, «Playing with fire. The Muslim brotherhood and the Egyptian leviathan», The International Spectator 48, n. 4 (2013): 51–68.

  (162) Ketchley, Egypt in a Time of Revolution.

  (163) Walaa, «Egypt's Tamarod outlives its purpose».

  (164) Gilbert Achcar, The people want: A radical exploration of the Arab uprising (Univ of California Press, 2013).

  (165) Heather Brown, Emily Guskin, e Amy Mitchell, «The Role of Social Media in the Arab Uprisings», Pew Research Center, 2012.

  (166) Reuters, «Egypt names six provincial governors, mostly ex-generals», Reuters, s.d.

  (167) Yezid Sayigh, «Owners of the republic: an anatomy of Egypt's military economy», 2019.

  (168) North, Limited access orders in the developing world: A new approach to the problems of development.

  (169) Azzurra Meringolo, «From Morsi to Al-Sisi: Foreign Policy at the Service of Domestic Policy», Insight Egypt 3 (2015).

  (170) Eugenio Dacrema, «New emerging balances in the post-Arab Spring: the Muslim Brotherhood and the Gulf monarchies», ISPI Analysis 155 (2013): 1–3.

  (171) Patrick Werr, «UAE offers Egypt $3 billion support, Saudis $5 billion», Reuters, 7 settembre 2013.

  (172) Human Rights Watch, «All According to Plan: The Rab'a Massacre and Mass Killings of Protesters in Egypt», Human Rights Watch, 8 dicembre 2014.

  (173) Dacrema, «New emerging balances in the post-Arab Spring: the Muslim Brotherhood and the Gulf monarchies».

  (174) Reuters, «Gulf states approve $5 billion aid to Morocco, Jordan», Reuters, 20 dicembre 2011.

  (175) Engin Yüksel, «Turkey's love-in with Qatar: A marriage of convenience», Clingendael, 2021.

  (176) William Lafi Youmans, «An unwilling client: how Hosni Mubarak's Egypt defied the Bush administration's 'freedom agenda'», Cambridge Review of International Affairs 29, n. 4 (2016): 1209–32.

  (177) Springborg, Egypt.

  (178) Sayigh, «Owners of the republic: an anatomy of Egypt's military economy».

  (179) Springborg, Egypt.

  (180) Ivi.

  (181) Sayigh, «Owners of the republic: an anatomy of Egypt's military economy».

  (182) Gilles Kepel, Jihad: The trail of political Islam, Harvard University Press, 2002.

  (183) Mamoun Fandy, «Egypt's Islamic Group: regional revenge?», Middle East Journal 48, n. 4 (1994).

  (184) Giuseppe Dentice, «The Battle for Sinai: The Inside Story of Egypt's Political Violence», Al Jazeera Centre of Studies, s.d.

  (185) Sul «Corriere della Sera» il docente viene presentato con il solo nome «Amr», per evitare conseguenze.

  (186) Camillo Arcuri, Giulio Regeni. Ricatto di Stato di Camillo Arcuri (2020), Castelvecchi, 2020, pag. 41.

  (187) Nei confronti di Mahmoud Najem, agente in servizio presso la National Security – Direzione della Sicurezza Nazionale del Governatorato di Giza, per i reati di cui agli artt. 110, 605, 1° e 2° comma b. 2, 61 n.1 e 4 c.p., commessi in Egitto, al Cairo tra il 25 gennaio e il 2 febbraio 2016.

  (188) Doc. 11.227, p. 349.

  (189) Doc. 11.227, p. 349.

  (190) Le elezioni generali in Kenya del 2017 si svolsero l'8 agosto per rinnovare i due rami del Parlamento ed eleggere il Presidente.

  (191) Costituito da intercettazioni telefoniche. «...Un giorno avevano sentito dalle intercettazioni che Regeni doveva andare a una festa in zona Tahrir e, prima che raggiungesse il ristorante a piazza Tahrir, loro lo avevano fermato...»

  (192) Avrebbe inviato una mail alla sede del quotidiano «La Repubblica» su quanto sentito all'Ambasciata italiana di Addis Abeba. La questione lo aveva colpito perché gli rammentava della morte della moglie, uccisa in situazioni analoghe e si sarebbe convinto a inviare la mail dopo aver incontrato un prete italiano di nome Giulio, che gli avrebbe detto che il Regeni era stato barbaramente ucciso.

  (193) Doc. 10.05_552.

  (194) Si tratta della quarta rogatoria della Procura italiana indirizzata alle autorità egiziane, dopo la testimonianza raccolta a Nairobi nella quale la fonte riferisce circa il racconto di funzionario dell'intelligence egiziana che avrebbe preso parte al sequestro del giovane ricercatore italiano.

  (195) Richiesta Archiviazione.

  (196) Sit di De Lellis Francesco redatto l'11 febbraio 2016 presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma.

  (197) Doc. 10.02.420.

  (198) Doc. 10.6.112, Doc. 10.05.414.

  (199) Doc. 10.6.148.

  (200) Doc. 10.05.07 e Doc. 10.2.1203.

  (201) Poi ripresa dal settimanale «L'Espresso».

  (202) https://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/omicidio-giulio-regeni-capo-sindacato-ambulanti_n_13877916.html

  (203) Audizione del 17 dicembre 2019.

  (204) Secondo una fonte citata da Reuters. Pubblicata su: https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/04/giulio-regeni-reuters-il-capo-del-sindacato-degli-ambulanti-un-informatore-dei-servizi/2956685/. Consultato il 19 maggio 2021.

  (205) Audizione del 10 dicembre 2020.

  (206) Verbale delle dichiarazioni rese in data 10.5.2016.

  (207) Nelle dichiarazioni rese il 4 giugno 2017, costui sostiene di occuparsi della supervisione delle attività di monitoraggio dei sindacati operai, delle ONG politiche e le organizzazioni che operano illegalmente territorio egiziano.

  (208) «...Le difficoltà sono aumentate anche perché tra i nostri Paesi (Italia ed Egitto) non ci sono convenzioni internazionali, non ci sono accordi e quindi tutto il rapporto di collaborazione indispensabile per acquisire gli elementi di prova necessari a sostenere la nostra iniziativa giudiziaria è un unicum, perché è stato piano piano, con enormi difficoltà, costruito in relazione a questo specifico caso. Quindi è un rapporto non di tipo generale ma specifico, mirato...» (audizione del PM Colaiocco il 6 febbraio 2020).

  (209) Cfr. Informativa congiunta del ROS e SCO datata 9 maggio 2018.

  (210) Dato aggiornato al luglio 2021 dall'Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza Internazionale dell'Università Luiss di Milano.

  (211) Il 7 febbraio 2020 è stato arrestato all'aeroporto del Cairo dalle autorità egiziane proveniente dall'Italia.

  (212) E, sempre a quella generazione cosmopolita e veloce, apparteneva Sara Hijazi, attivista omosessuale, detenuta e torturata per un anno nel carcere di Tora, a sud del Cairo. Rifugiata in Canada, si è tolta la vita nel giugno 2020, lasciando queste ultime parole: «Ai miei amici: l'esperienza è stata dura e io ero troppo debole per lottare. Perdonatemi. Al mondo: sei stato davvero crudele, ma io ti perdono».

  (213) Nelle 101 pagine del rapporto «Security Forces Dealt with Them': Suspicious Killings and Extrajudicial Executions by Egyptian Security Forces» si legge che, «al momento della loro morte nelle cosiddette sparatorie, i presunti militanti armati non rappresentavano un pericolo imminente per le forze di sicurezza né per altre persone, e in molti casi erano già in stato di arresto...». Tratto da: https://www.hrw.org/it/news/2021/09/07/379689.

  (214) Alle 23.30 Gervasio chiama l'ambasciatore Massari per riferire circa l'impossibilità di presentare la denuncia e ne chiede il supporto. Quindi, nel corso della notte, tra il 26 e 27 gennaio, su istruzioni dell'Ambasciatore d'Italia al Cairo, un funzionario dell'Ambasciata, il dott. Davide Bonvicini, si recò presso il Commissariato di polizia del quartiere Dokki per sporgere formale denuncia di scomparsa.

  (215) Richiesta di Archiviazione del 9 dicembre 2020.

  (216) Ivi.

  (217) Doc. 10.03. Annotazione del 3 ottobre 2016, relativa alle attività condotte sui dati di traffico telefonico consegnati dagli inquirenti egiziani.

  (218) Doc. 10.06.2018

  (219) Doc. 010_012

  (220) Come ricostruito dalle attività tecniche condotte, il 17 dicembre Giulio Regeni incontra il professor Gervasio per parlargli dei risultati della sua ricerca. Quello stesso giorno, il maggiore Sharif e l'agente turistico Rami si sentono per ben tre volte a distanza di poche ore.
  Il giorno successivo, il 18 dicembre, il maggiore Sharif chiede al sindacalista Abdallah di accertare la fonte del finanziamento di 10.000 sterline proveniente dal Regno unito; di conseguenza il sindacalista Abdallah chiede a Giulio Regeni di fargli avere copia del bando di concorso della Fondazione inglese Antipode che offre tale finanziamento. Il 20 dicembre Sharif incarica l'agente Ibrahim Najem di andare a ritirare dal sindacalista Abdallah i documenti sul finanziamento che Giulio Regeni aveva consegnato al sindacalista Abdallah pochi giorni prima. Regeni rientra in Italia.

  (221) Annotazione del 19 febbraio 2016, redatta da personale del ROS e dello SCO, presso gli uffici dell'Ambasciata italiana al Cairo.

  (222) È stato accertato che l'area di responsabilità di Maabad coprisse anche il domicilio di Regeni, «Share Yanboo n. 8, Il Cairo», come dallo stesso dichiarato nel verbale del 22.05.2016 in cui declinava i dati anagrafici completi della vittima.

  (223) Doc. 09.01.274.

  (224) In tal senso ricorrono le dichiarazioni rese dall'ambasciatore Massari, il quale, nell'audizione del 27 febbraio 2020, nel riepilogare quella stessa giornata del 3 febbraio 2016, afferma: «... Come sapete, il 3 febbraio 2016, il corpo senza vita di Giulio Regeni venne ritrovato nelle prime ore della mattina alla periferia del Cairo, lungo la strada che conduce ad Alessandria, ma non ne avemmo immediata notizia da parte dell'autorità egiziane. Fu soltanto la sera di quel giorno, poco prima delle 20, durante lo svolgimento di un ricevimento in residenza in onore del ministro Guidi e della delegazione di imprenditori, che l'assistant minister per gli affari europei del Ministero degli esteri, l'ambasciatore ZAKI, mi informò ufficiosamente del ritrovamento, poche ore prima, in una zona della periferia del Cairo, di un corpo di un giovane che sarebbe stato corrispondente a quello di Giulio Regeni . Poco dopo mi giunse notizia sul mio cellulare, dalla mia fonte egiziana non istituzionale dell'American University of Cairo, che mi informava che era stato effettivamente ritrovato il corpo di Giulio Regeni . Suggerii quindi al ministro Guidi, che ancora non era giunta in residenza, che, prima di recarsi al ricevimento, che era appena iniziato, di richiedere immediatamente alle autorità egiziane conferma ufficiale della morte di Giulio Regeni e spiegazioni delle circostanze del suo decesso, considerando che soltanto poche ore prima il nostro ministro aveva ricevuto rassicurazioni dal presidente stesso. Cercai invano di ottenere a nome del Governo italiano, e del ministro Guidi, tali conferme e spiegazioni da parte delle autorità egiziane. Ricordo che mi rivolsi immediatamente e con insistenza, oltre che al rappresentante del ministero degli esteri egiziano presente al ricevimento, anche telefonicamente agli altri interlocutori istituzionali egiziani, inclusi gli uffici del presidente.
  Non avendo avuto risposta, riscontro a questa richiesta di ufficializzazione della morte del nostro connazionale e delle spiegazioni sulle circostanze del suo decesso, a quel punto suggerii al ministro Guidi di considerare di annullare il ricevimento e interrompere la visita. Ritenevo che continuare un evento sociale e una missione di business, quando un cittadino italiano era stato appena ritrovato morto in circostanze misteriose, con le autorità egiziane che, con ambiguità e imbarazzo, rifiutavano persino di ufficializzare la notizia, dopo otto giorni di nostra insistente ricerca di informazioni sulla sua sparizione, ritenevo fosse assolutamente incompatibile in primo luogo con il rispetto nei riguardi della vita di Giulio Regeni e della sua famiglia, che si trovava in quel momento al Cairo..»

  (225) Doc. 010_012_55.

  (226) Doc. 010_012_153.

  (227) Doc. 010_05_447.

  (228) Doc. 10.3.1531.

  (229) Doc. 10.05, pag.455.

  (230) Cfr. f.n. 195/1-228 del 14.2.2017.

  (231) Doc. 09.01.250.

  (232) Ivi.

  (233) Doc. 09.01.250.

  (234) Doc. 10.05, pag.414.

  (235) Doc. 16.02.

  (236) Doc. 14.01, pp. 83-84.

  (237) Hassanein Kishk professore di sociologia, esperto di movimenti popolari rurali e collaboratore presso il Centro nazionale per la ricerca sociologica e criminologica, in contatto con Gennaro Gervasio sin dal periodo di tesi di dottorato di quest'ultimo tra il 2000 ed il 2003, avente per oggetto il movimento marxista in Egitto tra gli anni Sessanta e Settanta, nel periodo di Sadat.

  (238) Giulio Regeni aveva conosciuto Amr Assad – economista ed organizzatore culturale con cui Giulio Regenistrinse una amicizia, secondo la ricostruzione di Gennaro Gervasio – proprio in casa del professor Kishk.

  (239) Doc. 14.01, p. 84.

  (240) Audizione del 10 dicembre 2020.

  (241) Attivista di sinistra e avvocato per i diritti umani. A lui si rivolgevano spesso familiari e amici degli attivisti egiziani per ottenere un supporto nei casi simili a quello di Giulio Regeni. Tra maggio e giugno del 2016 Malek Adly è stato incriminato e detenuto per «incitamento alla protesta», «diffusione di false notizie», «minaccia alla stabilità e all'unità nazionale» in connessione con le proteste popolari avvenute per la cessione dell'Egitto delle isole Tiran e Sanafir all'Arabia Saudita.

  (242) «Si può ragionevolmente concludere che il comportamento di generale prudenza e cautela osservato da Regeni Giulio Regeni nella sua attività di studio e nei rapporti interpersonali ha costituito una naturale forma di autotutela per operare in ambienti ritenuti ostili al regime, come ad esempio i movimenti sindacali. L'attività di analisi non ha, comunque, portato alla luce segnali di particolari preoccupazioni o turbamenti in animo al connazionale, legati ad accadimenti o ad incontri intrattenuti durante il suo soggiorno al Cairo». (Doc. 10.02, p. 459).

  (243) Doc. 01_01, p. 702.

  (244) Doc. 10.06, p. 113.

  (245) Doc. 02_01, p. 379.

  (246) Doc. 01_01, p. 675.

  (247) I dati storici indicano al Cairo una temperatura tra 8° e 12° C° per il 25 gennaio 2016.

  (248) Doc. 10.02, p. 690.

  (249) Scrivono i pubblici ministeri: «La decisione finale di uscire viene presa da Giulio Regeni alle 19.38, quando il professor Gervasio conferma l'appuntamento. Pertanto è una decisione improvvisa, non programmata. Sul piano logico, delle due l'una: o deve dedursi che l'apprensione di Regeni da parte della National Security è casuale e occasionale e del tutto svincolata da attività di osservazione e controllo posta in essere sino a pochi giorni prima, la qual cosa appare del tutto improbabile e irragionevole, o deve evincersi che Regeni era monitorato attraverso attività tecniche o fisicamente pedinato. Quest'ultima circostanza sarà confermata dal testimone Gamma che ascolterà dalla voce del maggiore Sharif il fatto che Regeni era stato intercettato e che tramite tale mezzo la National Security aveva saputo che aveva intenzione di recarsi dalle parti di Piazza Tahrir» (Doc. 14.01, p. 84).

  (250) Audizione del 17 dicembre 2019.

  (251) Audizione del 6 febbraio 2020.

  (252) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (253) Audizione del 20 gennaio 2021.

  (254) Il connazionale è stato detenuto in una cella della stazione di polizia del quartiere di Abdeen. L'evento venne risolto dalle autorità diplomatiche e consolari italiane che riuscirono a farlo rilasciare – ha attestato poi lo stesso giornalista su fonti di stampa italiane – «evitando il clamore e mantenendo un profilo basso che si è rilevato davvero molto efficace». Almeno altri due casi di fermo ed espulsione da parte della polizia erano noti a Gennaro Gervasio: quello di un altro giornalista, avvenuto nell'autunno del 2001, e quello di un altro connazionale, arrestato nel giugno 2015 e poi espulso dopo una detenzione di più di due settimane.

  (255) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (256) Nella mail la ricercatrice riferisce che Regeni aveva un appuntamento con Gervasio alle 20.00 a Babellouk, ma non è mai giunto. Aggiunge che il cellulare di Regeni risulta spento e il coinquilino (El Sayyad ndr) afferma che Regeni non era rientrato in stanza. In quella mail Wahby racconta che Giulio Regenivive molto vicino alla metro di Bethoos nel quartiere di Dokki e suppone che l'abbia utilizzata per scendere a Mohamed Naguib e che a quel punto non si sa cosa sia accaduto. Presumibilmente, secondo Wahby, Regeni è uscito a Babellouk ed è stato fermato.
  Noura Wahby continua la lunga mail raccontando che Gervasio è in contatto con l'ambasciatore che sin dal giorno precedente ha effettuato tutte le chiamate ed è stato informato dalla «sicurezza centrale» (letteralmente così scrive Wahby in arabo: amn markazy ndr) che nessuno è stato arrestato (Noura scrive «portato dentro»). Wahby afferma che «loro» (i diplomatici italiani ndr) sono anche in contatto con la «sicurezza dello stato» (con l'intelligence. Wahby scrive letteralmente amn eldawla). La ricercatrice afferma di aver effettuato diverse telefonate e di aver chiesto ad un amico di cercare nelle stazioni di polizia del centro – Abdeen, Azbakeya e Asr elnil – al quale hanno detto che nessuno era trattenuto lì. Wahby riferisce di aver contattato tutti gli ospedali del centro e di Dokki ma che non era lì e comunica che intende riprovare ancora. Aggiunge che Gervasio chiederà alla dottoressa Rabab dell'AUC di interessarsi, nel caso l'università possa fare qualcosa e che inoltre egli è in contatto con «il centro egiziano» (elmarkaz elmasri scrive Wahby. Ndr). Afferma poi di aver chiesto ad alcuni amici di contattare Mona Seif [Mona Seif è tra le più famose attiviste per i diritti umani dell'Egitto post Mubarak. Il fratello Alaa Abd El-Fattah è stato più volte incarcerato come leader del movimento di piazza Tahrir e ha subìto l'ultima condanna a 5 anni di reclusione nel 2015] per chiedere con discrezione se qualcuno sia stato preso e riferisce di voler chiedere a persone che hanno contatti nell'intelligence. Noura prosegue nella mail dicendo che Gervasio e il compagno di stanza di Regeni presenteranno una denuncia alla polizia alle 20.00, quando saranno trascorse 24 ore dalla scomparsa. Nella mail la ricercatrice fa anche riferimento alla diplomazia italiana scrivendo che «l'ambasciatore è molto attivo ma ha detto che l'unico problema è che se si tratta di polizia militare l'ambasciata non sarebbe stata informata che 2-3 giorni dopo, quand'anche glielo dicessero.» Whaby continua dicendo che non hanno diffuso la notizia sui social media o detto nulla agli attivisti in modo tale da consentire all'Ambasciata di fare del loro meglio e che poi si vedrà cosa accadrà. «Tuttavia – afferma la ricercatrice – pensiamo che dovremmo dirlo alla sua famiglia entro il pomeriggio, anche se avremmo voluto aspettare in modo che almeno sappiamo dove si trova, ma stiamo pensando che forse dovremmo dirglielo in tutti i casi». Noura Wahby in conclusione lascia i suoi due recapiti telefonici (l'utenza egiziana e quella britannica) e si rammarica per aver preoccupato la professoressa senza informazioni concrete ma scrive di aver ritenuto di doverla informare (Doc. 10.08, p. 2114).

  (257) Doc. 10.08, p. 2008.

  (258) Già Direttore del Cambridge Centre of Development Studies all'epoca dei fatti, oggi è Direttore del programma di leadership per CEO di imprese cinesi del medesimo ateneo.

  (259) Già course Director PhD and MPhil programme del Centre of Development Studies di Cambridge.

  (260) Doc. 10.08, p. 2058.

  (261) Doc. 10.08, p. 2057.

  (262) Gennaro Gervasio nella mail afferma di aver parlato con poche persone, e in particolar modo con l'ambasciatore italiano ma che ancora non si sa dove sia Regeni. Il professore scrive di aver parlato – come aveva preannunciato a Noura Wahby – anche con Malek Adly (un avvocato che si occupa di sparizioni forzate e scomparse. Ndr) che avrebbe seguito la cosa e inviato qualcuno al distretto di Abdeen. Riferisce ancora che l'ambasciata insiste affinché lui o qualcun altro vadano a presentare la denuncia di scomparsa in modo tale che possano ufficialmente richiedere un'indagine alle autorità egiziane. Gervasio continua nella mail dicendosi preoccupato di dover andare a fare denuncia e che lui e Noura non hanno ancora parlato con la famiglia di Regeni (Doc. 10.08, p. 2046).

  (263) Doc. 10.08, p. 2082.

  (264) Doc. 10.08, p. 2053.

  (265) Doc. 10.08, p. 2057.

  (266) Doc. 10.08, p. 2005.

  (267) Doc. 10.08, p. 2039.

  (268) Docente e ricercatrice presso l'Università di Cambridge, direttrice del programma Digital Humanities Network presso l'ateneo (Center for Research in the Arts Social Sciences and Humanities (CRASSH), University of Cambridge. La ricerca di Anne Alexander si concentra sulla leadership, l'azione collettiva e i movimenti sociali in Medio Oriente. Ha un interesse particolare per l'Egitto, l'Iraq e la Siria dopo il 1945 e per i movimenti sindacali nella regione. Le sue ricerche includono il movimento operaio in Egitto, l'etica dei big data, l'attivismo attraverso i media in Medio Oriente e l'economia politica della comunicazione digitale. Attualmente lavora ad un progetto di ricerca con Sameh Naguib che esplora come gli attivisti egiziani che si oppongono al regime militare contestano l'ideologia della contro-rivoluzione negli spazi mediatici transnazionali. È autrice di una biografia di Gamal Abdel-Nasser (2005). Alexander fin dal 209 è in contatto con Maha Azzam, presidente dell'Egyptian Revolutionary Council [una piattaforma che rappresenta diverse correnti politiche e invita tutti gli egiziani, a prescindere dalle loro opinioni politiche, a lavorare insieme per porre fine al regime militare e a lavorare per stabilire uno stato democratico e civile che sostenga lo stato di diritto e rispetti i diritti umani]. Il 4 novembre 2015, poco più di due mesi prima della sparizione di Regeni, la Alexander aveva tenuto un comizio a Londra contro Al-Sisi, boicottandone l'imminente arrivo nella capitale inglese, col definirlo «un assassino e dittatore pazzo». Le bandiere gialle con mano nera alzata visibili nel video pubblico della manifestazione ricordano il «massacro di Rabaa», la strage perpetrata dal governo militare egiziano contro i manifestanti assiepati nella piazza omonima al Cairo nell'agosto 2013.

  (269) Doc..

  (270) Doc. 10.08, p. 2001. Il 27 gennaio 2016 (5.52 orario di Londra) Peter Nolan (direttore del Centro di Studi sullo Sviluppo in quel momento in Cina ndr) scrive ad Abdelrahman chiedendole di suggerirgli le parole più adatte da scrivere al vice president dell'AUC. La mattina stessa, alle 9.47 (orario di Londra) la docente risponde inviando una bozza. La mail ha per oggetto «scomparsa di Giulio Regeni». Nel testo, oltre le presentazioni di prammatica, si esprime preoccupazione per il loro ricercatore affiliato «in visita» presso l'AUC nel dipartimento di Scienze Politiche da settembre 2015. Si afferma che la tutor sul campo, la dottoressa Rabab El-Mahdi, e gli amici del ragazzo al Cairo hanno informato l'università di Cambridge e che Giulio Regenirisulta scomparso da lunedì. Si esprime inquietudine e ansia per queste notizie e si chiede di essere aggiornati circa le ricerche e i dettagli del caso. La bozza si chiude con le espressioni della massima urgenza della questione anche per il fatto che presto l'Università di Cambridge necessiterà di fornire informazioni ai colleghi di Giulio, alla famiglia e alle pertinenti autorità britanniche (Doc. 10.08, p. 2010).

  (271) Doc. 10.08, p. 2124. Alle 13.35 (orario del Cairo. 11.35 orario di Londra) il generale Ebeid scrive a MacDougall e a Nolan affermando che sino a quel momento stanno facendo del loro meglio per trovare la posizione di Regeni. Aggiunge: «la National Security fa del suo meglio per trovarlo e stanno persino cercando anche negli ospedali. Ho saputo dalla dottoressa Rabab che l'ambasciata italiana ha presentato denuncia presso la stazione di polizia di Dokki. Spero stia bene e che non sia accaduto nulla di male, sono ancora in contatto con le autorità egiziane e non risparmieremo alcuno sforzo sino a trovarlo»(ivi).

  (272) Doc. 10.08, p. 2009. Nella mail la docente aggiorna il Capo del Dipartimento del fatto che l'ambasciata italiana e l'Università Americana del Cairo, nella quale il ricercatore era affiliato temporaneamente, hanno preso la guida delle ricerche per la sua sparizione e hanno contattato i servizi di sicurezza, le stazioni di polizia, gli ospedali etc.

  (273) La mail del generale Ebeid a Nolan viene inoltrata da questi ad Abdelrahman; dalla docente inoltrata a sua volta a Wahby, Gervasio ed El Mahdi la mattina del 28 gennaio tra le 08.11 e le 11.01. Tenendo conto dei fusi orari da cui scrivono i diversi interlocutori è possibile collocare l'invio della mail di Ebeid alla sera del 27 gennaio (Doc. 10.08, p. 2040; 2035).

  (274) Doc. 10.08, p. 2266.

  (275) Doc, 10.08, p. 2045.

  (276) Doc. 10.08, p. 2050.

  (277) Doc. 10.08, p. 2097.

  (278) Alle 06.41 (ora di Londra) del primo febbraio, Matthew Fright scrive ad Abdelrahman che la notizia è sui giornali italiani ed è stata richiamata in Facebook (Doc. 10.08, p. 2391).

  (279) Lord John Eatwell, Baron Eatwell, MA (Cantab), PhD (Harvard). È stato preside del Queens' College a Cambridge dal 1997 al 2020. Economista con una laurea presso il Queens' e un dottorato di ricerca ad Harvard, Lord Eatwell ha insegnato presso la Facoltà di Economia ed è Professore Emerito di politica finanziaria presso la Judge Business School. È stato capo consigliere economico di Neil Kinnock, l'allora leader del partito laburista, dal 1985 al 1992. È membro laburista della Camera dei Lord come Barone Eatwell dal 1992. Nel 2010, è stato nominato portavoce dell'opposizione laburista per il Tesoro alla Camera dei Lord dall'ex leader Ed Miliband. A partire dal 27 marzo 2014, siede come non affiliato alla Camera dei Lord.

  (280) Doc. 10.08, p. 2216.

  (281) Matthew Fright nella mail scrive a Lord Eatwell informandolo dell'accaduto e ricordandogli di quando ha incontrato il suo amico Giulio ad un evento musicale. Gli ricorda che all'epoca Giulio Regeni stava lavorando con il professor Ajit Singh e che è nel Girton College e nel suo dipartimento. Lord Eatwell risponde alle 12.18 che non crede che il Foreign Office sarebbe di molto aiuto. Secondo il Barone questi passerebbero semplicemente la questione agli italiani. Comunque, continua Eatwell, «varrebbe la pena di chiedere al parlamentare di Cambridge di sollevare la questione con l'ambasciata egiziana». Fright inoltra subito la risposta ad Abdelrahman ritenendola non di grandissimo aiuto ma considerando il suggerimento una strada da percorrere. Abdelrahman a sua volta risponde che c'era da aspettarselo e che forse Fright dovrebbe fermarsi a questo punto. Conclude affermando che gli inglesi passeranno tutto agli italiani in quanto Regeni è un cittadino italiano (Doc. 10.08, pp. 2214-2215).

  (282) Doc. 10.08, p. 2060.

  (283) Frances Gandy (il College Tutor di Giulio Regeni) scrive (19.03 ora di Londra) a Nathalie Henry (PhD administrator) e ad Abdelrahman dicendosi preoccupata per quello che ha appreso e riferisce di aver aiutato Giulio Regeninel reperire i fondi del viaggio di ricerca. Riferisce che anche la direttrice del Girton College (a Susan J. Smith) e il Senior Tutor di Regeni sono stati informati e che hanno chiesto a Tim Holt (dell'ufficio universitario della comunicazione) di coordinare una eventuale dichiarazione formale che potrebbe essere richiesta mentre sono in attesa di notizie (Doc. 10.08, p. 2219).

  (284) Alle 20.03 (ora di Londra) Abdelrahman scrive a El Mahdi e a Wahby chiedendo loro, dal momento che devono fare il lavoro dei detective, se non sia il caso di investigare anche attraverso gli ambulanti con i quali Giulio Regeni è entrato in contatto. Afferma che questi potrebbero essere a conoscenza di qualche minaccia o di gruppi rivali che potrebbero aver voluto attaccare Giulio. La professoressa aggiunge che Hoda Kamal è stata la persona che ha introdotto Giulio Regeni a questo gruppo di ambulanti. Conclude affermando che è consapevole del fatto che questo è estremamente inverosimile ma che sta provando a setacciare tutti i possibili scenari (Doc.10.08, p. 2104).
  Alle 21.18 (ora di Londra) Noura Wahby scrive a Maha Abdelrahman e a Rabab El Mahdi in risposta alla mail delle 20.03 ora di Londra. Dopo aver affrontato il tema del post che hanno intenzione di preparare, Relativamente ai venditori ambulanti, afferma che da quando Giulio Regeni è tornato dalle vacanze di Natale non ha incontrato gli ambulanti eccetto forse una o due volte, dal momento che aveva iniziato a concentrarsi sugli esattori fiscali. Giulio Regeni – afferma Noura – «ebbe un incontro alla sede centrale del sindacato degli esattori fiscali, da quello che so». Aggiunge Noura che se le professoresse hanno il numero di Hoda (Kamel) lei potrebbe chiamarla, «tuttavia alcuni amici pensano che sarò indagata poiché la sua (di Giulio Regeni) linea telefonica è a mio nome, quindi le mie telefonate non sono particolarmente sicure». Afferma Wahby: «(Giulio Regeni) ha avuto un incontro con Hoda e l'assistente (uno studente di dottorato con Asef Bayat se ricordo) al Centro riguardo ai finanziamenti che voleva portare di nuovo, e hanno sottolineato che possono presentare domanda solo se sarà per scopi di ricerca e nient'altro. Questo era prima del 15, per quanto mi ricordo. Il capo del sindacato dei venditori però stava spingendo per richiedere i soldi per avere la sua parte, ma la cosa non era seria per quanto ne so e in ogni caso non poteva farlo senza il Centro. Questo è Mohammed Abdallah. Anche in questo caso le conversazioni erano prima del 15. Il 15 era il suo compleanno (di Giulio Regeni) e siamo usciti tutta la sera e lui ha parlato di tutto questo con me, quindi queste sono le sue attività precedenti da quando è tornato (è tornato il 4, l'ho preso io).» Continua Wahby: «La persona con cui ha avuto a che fare a Heliopolis è Rabie (capo dei venditori lì). Non si occupava di altri gruppi di venditori, solo del gruppo di Heliopolis. [...] È andato con Mohamed Abdallah una volta a Giza (credo Ramsis) per incontrare i venditori che sono stati spostati, ma non è andato lì tranne che una volta per quanto ne so». «Ha incontrato qualcuno chiamato “qualcosa Borai” di recente nel suo ufficio. Ho preso il biglietto da visita dalla sua stanza. Ho lasciato con discrezione le carte in macchina, le esaminerò domani, ma non ci sono dettagli. Ha incontrato anche Mostafa Bassiouny di recente. Inoltre, solo perché lo sappiate, non ho menzionato nulla circa i venditori o le ricerche effettive alla polizia o al consolato quando mi hanno chiamato. Il titolo della sua ricerca come diciamo noi, e come lo sa il suo coinquilino, è Economia egiziana e Politiche industriali. Ma Gennaro ha detto tutto all'ambasciatore per quanto ne so. Ho anche detto al consolato che era in contatto con una ONG del Centro, ma non ho specificato il nome». Whaby afferma poi di essere stata aggiornata da Gervasio riguardo ai suoi contatti intrattenuti a Roma e afferma: «sembra che la questione abbia raggiunto gli alti livelli e il ministro degli Esteri». Aggiunge che hanno richiesto altre 24 ore prima di qualsiasi tipo di mobilitazione e diffusione mediatica. Afferma di aver detto a Gervasio di contattare El Mahdi per informarla. Conclude la lunga mail dicendo che ha messo in contatto i genitori di Giulio Regeni con Gervasio e che lui ci ha parlato la scorsa notte e in giornata. Segnala di essere in contatto con il papà di Giulio Regeni tramite Whatsapp e che vorrebbero arrivare al Cairo il giorno seguente. Noura in chiusura scrive che se verranno i genitori li condurrà nella stanza di Giulio Regeni a prendere tutto da lì e ancora: «la polizia non ha perquisito l'appartamento secondo quanto mi ha detto il suo coinquilino. Non aveva proprio niente lì dentro» (Doc. 10.08, pp. 2296-2297).

  (285) Doc. 10.08, p. 2301.

  (286) Doc. 10.08, p. 2308. Heba M. Khalil è dottore di ricerca presso l'Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. Ha conseguito un LLM in Public International Law presso l'Università di York e un BA in Scienze Politiche e Storia presso l'Università Americana del Cairo. Ha lavorato come ricercatrice senior e poi come vicedirettore del Centro egiziano per i diritti economici e sociali (ECESR) tra il 2011-15. Cfr. mail di Rabab El Mahdi a Noura Wahby (con Abdelrahman in copia carbone) del 28 gennaio 2016 (22.24 ora di Londra), in ,

  (287) Alle 20.26 (ora di Londra) Abdelrahman risponde ad una mail di Lori Allen della SOAS che le aveva scritto in merito ad un seminario a Beirut e altri motivi. Nella risposta Abdelrahman la aggiorna che sta vivendo un incubo perché un suo dottorando italiano che sta svolgendo lavoro di ricerca al Cairo è scomparso dal giorno 25 gennaio, che la National Security (che chiama Amn Eldawla) nega di averlo e che non ci sono tracce del ragazzo da nessuna parte (Doc. 10.08, p. 2235).

  (288) Doc. 10.08, p. 1662.

  (289) Doc. 10.08, p. 2110.

  (290) Doc. 10.08, p. 1662.

  (291) Audizione del 18 febbraio 2020.

  (292) «È chiaro che oggi lo stato di allerta nei confronti di una sparizione in Egitto è molto maggiore; è inevitabile, è umano. Se mi dovesse arrivare sul tavolo una segnalazione, anche di qualcuno che si perdesse nel deserto, è evidente che umanamente c'è molta più attenzione; poi c'è un precedente di fronte al quale non possiamo non prendere atto della gravità di quello che può succedere. Questo, però, conferma la validità del protocollo. Quando dico che bisogna esaminare le cause e il contesto, il contesto ci induce a essere molto più attenti; quindi è cambiata, sì; direi che è cambiata». (Ivi).

  (293) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (294) Doc. 10.08, p. 2114.

  (295) Doc. 10.08, p. 2046.

  (296) Doc. 10.08, p. 2162.

  (297) Doc. 10.08, p. 2167.

  (298) Tra gli esempi già riportati e infra, merita un richiamo la mail di Noura Wahby del 27 gennaio (19.24 ora di Londra) ad Abdelrahman. La ricercatrice, rispondendo ad una mail della docente nella quale le viene chiesto se Giulio Regeni utilizzi altri indirizzi mail oltre a quello di Cambridge perché l'assicurazione necessita di saperlo per le loro indagini, riferisce il fatto che l'assicurazione di Cambridge e Gervasio l'hanno chiamata. Lei ha dato tutti i dettagli che conosceva relativi al giorno della scomparsa e alle azioni intraprese sino a quel momento. Wahby sostiene altresì nella mail di aver sollecitato di interessare anche l'ambasciatore britannico al Cairo «perché una maggiore pressione da parte delle ambasciate straniere sarebbe buona». Il consolato ha rintracciato i genitori di Giulio Regeni e loro le hanno inviato un messaggio tramite Facebook e ora sono in contatto tramite Whatsapp. Noura ha informato i genitori di Giulio Regeni delle azioni svolte e del fatto che anche la professoressa era a conoscenza dell'accaduto. Wahby invia i contatti telefonici e mail di Claudio Regeni alla professoressa. La ricercatrice racconta che anche il consolato le ha chiesto informazioni. In finale riporta che è stata nella stanza di Giulio Regeni e ha verificato che Giulio Regeni ha con sé il suo passaporto in quanto non lo ha trovato nella stanza. Wahby scrive di aver controllato libri e carte per essere sicura fossero a posto ma ha lasciato il computer portatile che afferma avere una chiave di sicurezza. Continua Wahby: «Ho anche lasciato un hard disk e una piccola borsa con i soldi e le carte personali, dal momento che non sono sicura se avrei dovuto prenderli o meno, specialmente se la polizia li cercherà e il coinquilino ha detto che in tutti i casi non sono venuti a cercare. E non era a suo agio con me che prendevo qualcosa. Il coinquilino è andato a dare le foto alla polizia e dovrebbe aggiornarmi con i dettagli se viene fuori qualcos'altro» (Doc. 10.08, p. 2184).

  (299) «In quei giorni, ci muoviamo comunque sempre con Noura. Poi, la nostra Procura riesce a svelare delle cose su Noura. Noura era con noi in ambasciata, Noura ci portava in giro, noi siamo andati a casa della zia di Noura... Quindi, lei sapeva, passo dopo passo, tutto quello che avveniva. Ve lo diciamo così, senza interpretazione, ma ci sembra abbastanza una suggestione interessante» (Paola Deffendi in audizione il 4 febbraio 2020).

  (300) Così Paola Deffendi ricostruisce quelle giornate e i contatti intrattenuti al Cairo con i conoscenti di Giulio: «noi siamo a casa di Giulio fino al 4, quando viene la console; andiamo prima in ambasciata: voi dovete pensare che nei giorni precedenti al 3, quindi dal 31 al 3, noi stiamo in casa di Giulio, dove c'è il coinquilino Mohamed Sayed, che poi, come avete sentito dal procuratore Colaiocco, comunque, in qualche modo, è implicato nel discorso della «ragnatela». Noi siamo lì, in quella casa, con lui. Anzi, andando via, addirittura gli lascio dei biscotti che non avevo potuto lasciare a Giulio, pensando a lui come alla persona che in realtà non è; quando va via l'ambasciatore, noi chiamiamo Noura, che arriva con sua sorella, con la quale eravamo stati a cena prima di rientrare nella casa. Lui rientra facendo quasi finta di non sapere niente; ci prepara un tè e ci abbraccia anche: scusate, questi sono particolari non da poco perché, per noi che viviamo in questa società democratica, pensare che poi eravamo anche noi dentro... Come hanno – scusate – fregato noi, hanno probabilmente fregato Giulio (Ivi).

  (301) Doc. 10.08, pp. 2378-2379. Nella mail inoltre si invia un link ad un articolo del giorno precedente riguardante dozzine di arresti di egiziani e stranieri a Giza all'interno di una campagna securitaria contro fuggitivi e trasgressori di norme sul soggiorno e sugli affitti. Nell'articolo (http://english.ahrarn.org.eglNewsContent/ 11641186160/Egypt/Politics-/Dozens-of-Egyptian,-foreign-fugitives-and-violator.aspx) anche 19 stranieri risultano essere stati arrestati a causa della scadenza del «permesso di soggiorno». Si cita il fatto che la campagna sia giunta dopo raids simili svolti dalle forze di sicurezza negli appartamenti del centro del Cairo giorni prima del quinto anniversario della rivoluzione del 2011. Wahby scrive che questo non dovrebbe riguardare Giulio Regeni dal momento che egli avrebbe un nuovo permesso valido dal 4 gennaio. Aggiunge che Giulio Regeni ha superato il limite del permesso da settembre a dicembre ma ha pagato la sanzione in aeroporto al momento di lasciare il Paese (per le vacanze di Natale) senza problemi come hanno fatto altri amici che hanno lasciato il paese e semplicemente sono rientrati.

  (302) Doc. 10.08, p. 2118.

  (303) Doc. 10.08, p. 2375.

  (304) Doc. 10.08, p. 2378.

  (305) «L'Ambasciata d'Italia al Cairo e la Farnesina stanno seguendo con la massima attenzione e preoccupazione la vicenda di Giulio Regeni, studente italiano di 28 anni sparito misteriosamente la sera del 25 gennaio nel centro della capitale egiziana. Il Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni ha avuto poco fa un colloquio telefonico con il suo omologo egiziano Sameh Shoukry, al quale ha richiesto con decisione il massimo impegno per rintracciare il connazionale e per fornire ogni possibile informazione sulle sue condizioni. L'Ambasciata al Cairo, sin dalle prime ore dalla sparizione, ha subito attivato canali di comunicazione diretta e una stretta attività di coordinamento con tutte le competenti Autorità egiziane, ed è in attesa di ricevere elementi sulla dinamica della sparizione. Ambasciata e Farnesina sono anche in stretto contatto con i genitori di Giulio» («Egitto: vicenda del connazionale Giulio Regeni» del 31 gennaio 2016. https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2016/01/vicenda-del-connazionale-giulio.html).

  (306) Doc. 10.08, p. 2190 e 2117.

  (307) Doc. 10.08, p. 2025.

  (308) Doc. 10.08, p. 2174.

  (309) In conclusione della mail Noura Wahby afferma di essere in contatto con il padre di Giulio Regeni attraverso Whatsapp e che questi le ha detto di essere in attesa di una telefonata del consolato che lo avrebbe informato di un incontro con il ministero degli Interni che avrebbe avuto luogo quel giorno (Doc. 10.08, p. 2239).

  (310) Doc. 10.08, p. 2317.

  (311) Doc. 10.08, p. 2040.

  (312) Doc. 10.08, p. 2259.

  (313) Nella mail Wahby afferma anche che farà preparare una versione a colori con una foto reale non appena le docenti le confermeranno che concordano con il testo (Doc. 10.08, p. 2221).

  (314) Ivi, p. 2321.

  (315) Paul Holland (Communications Officer) condivide, su indicazione di Tim Holt (Capo della comunicazione), con Susan Smith (direttrice del Girton College), Deborah Lowther (Girton College) e Maha Abdelrahman l'ipotesi della dichiarazione circa la situazione di Giulio Regeni e chiede se desiderino aggiungere altro. La dichiarazione afferma: «I nostri pensieri sono con Giulio Regeni e la sua famiglia. Siamo in stretto contatto con le autorità italiane ed egiziane man mano che la ricerca procede» (Doc. 10.08, p. 2218).

  (316) Ivi, p. 2068.

  (317) Ivi, p. 2230.

  (318) Doc. 10.08, p. 2232.

  (319) Ivi, p. 2102.

  (320) Ivi, p. 2111.

  (321) Audizione del 4 febbraio 2020.

  (322) Ivi.

  (323) Doc. 10.08, p. 2398.

  (324) Doc. 10.08, p. 2396.

  (325) Doc. 10.08, pp. 2160-2161.

  (326) Doc. 10.08, p. 2398.

  (327) Doc. 10.08, pp. 2160.

  (328) Ivi, p. 2403.

  (329) Doc. 10.08, pp. 2165.

  (330) Doc. 10.08, p. 2409.

  (331) Ivi, p. 2415.

  (332) Ivi, p. 2212.

  (333) Doc. 10.08, p. 2470.

  (334) La bozza della medesima mail è stata inviata dalla Abdelrahman il 31 gennaio alle 19.05 (ora di Londra) alla direzione del Dipartimento (Doc. 10.08, p. 1660).

  (335) Così riferisce nell'audizione di giovedì 3 settembre 2020.

  (336) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (337) «Dal 31 ci mettiamo in moto, noi vertici del Governo, non voglio utilizzare una parola brutta. Il 31, appena lo sappiamo, non è che chiediamo un appuntamento per Massari che ci va il 2, il 31 noi ci attacchiamo al telefono. Quando capiamo che è una cosa che rischia di essere drammatica e seria, immediatamente ci muoviamo, tanto è vero che accade qualcosa in Egitto, ma non posso sapere cosa. [...] Noi il 31 lo sappiamo e lo stesso giorno Al-Sisi è informato» (audizione del 24 novembre 2020).

  (338) Ivi.

  (339) Nella mail in cui Gervasio aggiorna El Mahdi e Abdelrahman circa la sua telefonata con l'amico senatore, il professore italiano riferisce che il parlamentare gli ha chiesto di attendere almeno sino alla sera del giorno successivo prima di cambiare strategia di comunicazione (Doc. 10.08, p. 2276). Abdelrahman in risposta (18.52 ora di Londra) conferma che attenderanno con il diffondere la notizia ai media e chiede di riferirlo a Noura (Ivi, p. 2083).

  (340) Il 28 gennaio (10.58 ora di Londra) Gervasio scrive ad Abdelrahman ed El Mahdi aggiornandole del fatto che i genitori di Giulio Regeni l'hanno appena chiamato. Nella mail Gervasio riferisce di aver sentito il suo amico parlamentare, vicepresidente della Commissione Affari esteri del Senato e tra le altre cose si chiede se siano stati controllati gli apparati di videoregistrazione delle stazioni di Buhuth e di Naguib (Doc. 10.08, p. 2317).

  (341) Audizione del 20 gennaio 2021.

  (342) Nella mail del 27 gennaio 2016 (12.13 orario di Londra) la professoressa Abdelrahman scrive al professor Chang – in quel momento in Colombia – (con in copia Nolan, Fennel, Willis del Centro Studi) aggiornando tutti del fatto che la denuncia di scomparsa è stata formalmente presentata e che lei ha dovuto informare il Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali – POLIS. Abdelrahman riferisce che Helen Williams ha preso contatti con l'assicurazione dell'università che copriva le attività di ricerca sul campo di Regeni perché seguano il caso (Doc. 10.08, p. 2016).

  (343) Audizione del 20 gennaio 2021.

  (344) Audizione del 18 febbraio 2020, p. 8.

  (345) Audizione del 27 febbraio 2020, pp. 8-9.

  (346) Abdelrahman scrive ad Anne Alexander condividendo la bozza di un testo di una dichiarazione di forte preoccupazione per Giulio Regeni relativamente alla sua scomparsa e chiedendole cosa crede che occorra fare. Nel testo vi sono tutti i dettagli di nome, nazionalità e attività di ricercatore di Cambridge e si afferma: «secondo il ministero degli esteri italiano le autorità egiziane continuano a negare il suo arresto. La posizione di Giulio Regeni resta sconosciuta». Il testo continua con la descrizione del fatto che il giorno della scomparsa cadeva nell'anniversario della rivoluzione e che, in preparazione all'anniversario, si è vista una crescente ondata di arresti e perquisizioni, tanto che i media parlano di circa 150 arresti in quella giornata in tutto il Paese e che le organizzazioni internazionali umanitarie hanno riportato 58 casi di scomparsa forzata nel dicembre 2015 (Doc. 10.08, p. 2226). Il giorno seguente alle 8.22 (ora di Londra) Anne Alexander risponde ad Abdelrahman facendo delle modifiche alla dichiarazione e aggiungendo nella parte finale del testo la spiegazione della loro mobilitazione: «Come colleghi di Giulio Regeni siamo estremamente preoccupati per la sua sicurezza. Stiamo facendo circolare questo messaggio e la locandina on line qui sotto nel tentativo di aumentare il profilo pubblico del caso e di mantenere pressione sulle autorità egiziane per indagare sulla sua scomparsa e localizzare Giulio» (Doc. 10.08, p. 2488) .

  (347) Doc. 10.08, pp. 2290, 2249, 2243, 2485.

  (348) Audizione del 17 marzo 2021.

  (349) Audizione del 10 febbraio 2021.

  (350) Anche l'ambasciatore Massari ricostruisce quel momento particolarmente attivo delle relazioni italo-egiziane e, ricordando gli eventi del 3 febbraio 2016, riferisce: «l'allora Ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, si trovava in missione al Cairo, alla testa di una delegazione imprenditoriale di alto livello e plurisettoriale: partecipavano infatti rappresentanti di aziende attive nei settori dell'automotive, farmaceutico, energia, agroalimentare e costruzioni. Si trattava di una delle numerose visite governative che avevamo organizzato sino a quel momento, e che si inserivano in un partenariato economico e commerciale bilaterale molto intenso tra Italia ed Egitto. Infatti, la visita del ministro Guidi sarebbe stata propedeutica all'organizzazione di un vertice bilaterale Italia-Egitto, che avrebbe dovuto tenersi a marzo del 2016, vertice che poi naturalmente, alla luce degli sviluppi, non ebbe luogo. Il ministro Guidi portò il caso all'attenzione del presidente Al-Sisi, durante un colloquio privato, prima dell'incontro istituzionale con la delegazione italiana. Il presidente egiziano ascoltò e garantì al ministro Guidi che si sarebbe occupato personalmente del caso. Ricordo anche che dopo la riunione plenaria con la delegazione, il presidente Sisi volle nuovamente rassicurare il ministro Guidi circa il suo impegno personale sul caso di Giulio. Tale colloquio aveva rappresentato un ultimo tassello dell'azione a tutto campo effettuata in quei giorni, durante innumerevoli contatti e incontri a vari livelli con le autorità egiziane» (audizione del 27 febbraio 2020).

  (351) Audizione del 10 febbraio 2021.

  (352) Audizione del 27 febbraio 2020, p. 10.

  (353) Audizione del 20 gennaio 2021.

  (354) Audizione del 10 febbraio 2021.

  (355) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (356) Audizione del 10 febbraio 2021.

  (357) Riferirà Federica Guidi: «chiesi all'ambasciatore Massari: «Abbiamo la certezza che si tratti di Giulio Regeni?». Lui mi disse: «Ufficialmente no, non ho questa certezza», perché le autorità egiziane non ci avevano confermato che fosse il corpo di Giulio. Quindi, lui disse: «Noi dovremo dire agli imprenditori italiani che, stante questa notizia che ci è stata data, anche in mancanza di una conferma della sua ufficialità, è opportuno non fare un ricevimento in Ambasciata e iniziamo a considerare la sospensione della visita di Stato». Dopo ho incontrato singolarmente alcuni degli imprenditori, perché è chiaro che abbiamo dovuto dire cosa fosse successo e abbiamo detto proprio quello che era successo, ovvero che avevamo ricevuto questa telefonata, che c'era stato il ritrovamento di un corpo, che temevamo che quel corpo potesse essere il corpo di Giulio Regeni, ma anche che non avevamo certezze ufficiali da parte dalle autorità egiziane. (Ivi).

  (358) Ricorderà Claudio Regeni: «verso sera riceviamo la telefonata che ci avverte della visita a casa di Giulio, dove noi ci trovavamo, da parte del ministro Guidi, assieme all'ambasciatore Massari. Questa prima telefonata ci coglie di sorpresa; non sapevano bene come interpretarla, se come una notizia buona, positiva, per cui il ministro, insieme all'ambasciatore Massari, ci volevano fare una sorpresa portandoci Giulio Regenia casa ritrovato sano e salvo... Se le notizie erano negative, in quel caso sapevamo già. Invece, dopo poco, ci arriva una seconda telefonata da parte dell'ambasciatore Massari, il quale ci avverte che sarebbero arrivati con qualche minuto di ritardo e che non stavano portando buone notizie. Questa è stata la comunicazione che ci ha informati, purtroppo, della tragedia, di quanto era successo a Giulio. Questo, il 3 febbraio. Il 4 febbraio veniamo accompagnati e siamo ospitati, anche per motivi di sicurezza, presso l'ambasciata italiana al Cairo. Incontriamo in quell'occasione l'ambasciatore Massari, il suo assistente Davide Bonvicini, la console Tognonato e l'amica di Giulio RegeniNoura. Nei giorni successivi ci sarà la cerimonia di benedizione di Giulio Regenipresso l'ospedale italiano del Cairo» (audizione del 4 febbraio 2020).

  (359) «Sull'auto con cui rientrammo brevemente in Ambasciata e poi in albergo, iniziò un fitto scambio di telefonate con Roma, sia dell'ambasciatore, sia della ministra. Era soprattutto in discussione la necessità di interrompere la missione sulla quale la ministra chiese anche il mio parere. Le risposi che era la soluzione più giusta, in segno di rispetto al povero Giulio Regeni e al dolore dei suoi familiari. Come sapete, la missione venne poi effettivamente interrotta» (audizione del 17 marzo 2021).

  (360) Ivi.

  (361) Doc. 10.08, p. 2502.

  (362) Ivi, p. 2508.

  (363) Ivi, p. 2234. Identica la comunicazione di Abdelrahman delle 22.12 (ora di Londra) indirizzata ad Anne Alexander; come pure quella delle 23.01 (ora di Londra) indirizzata a Susan Smith, Paul Holland, Frances Gandy, A. M. Fulton (Ivi, pp. 2263; 2280). Di maggiore determinatezza, perché si afferma un «annuncio» (probabilmente il riferimento è alle comunicazioni informalmente diffuse in ambasciata d'Italia a seguito dell'accertamento presso l'obitorio svolto dall'ambasciatore Massari che è quasi contestuale), è la mail di Abdelrahman a David Runciman delle 23.29 (ora di Londra): «In attesa di conferme ufficiali ma l'ambasciata italiana al Cairo ha annunciato che il corpo di Giulio Regeniè stato rinvenuto questa sera» (Ivi, p. 2300).

  (364) Audizione del 27 febbraio 2020.

  (365) Doc. 05.01 pag. 8.

  (366) Nel senso che sono contrarie alla convenzione ONU contro la tortura, cui l'Egitto aderisce, ma anche alla stessa Costituzione egiziana che ne proibisce l'uso.

  (367) Cfr. art. 6, 1 comma, c.p.: Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.

  (368) Cfr. art. 6, 2 comma, c.p.: Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione o l'omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l'evento che è la conseguenza dell'azione od omissione.

  (369) Cfr. art. 10 c.p. «Delitto comune dello straniero all'estero»: Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del Ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa... omissis.

  (370) E' punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati: 1-4 ... omissis; 5. ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana

  (371) Cfr. audizione del 01.12.2020 dei professori Riccardo Pisillo Mazzeschi e Sergio Marchisio, ordinari di diritto internazionale rispettivamente presso l'Università di Siena e l'Università «La Sapienza» di Roma.

  (372) Approvata dall'Assemblea generale dell'ONU il 10 dicembre 1984, è entrata in vigore il 26 giugno 1987.

  (373) Dal testo della Convenzione: «il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate».

  (374) Art. 3 l. 489/1988.

  (375) La Convenzione imponeva di introdurre nell'ordinamento nazionale il delitto di tortura, cui l'Italia ha adempiuto nel 2017. E' però bene osservare che la legge di ratifica del 1988 ha introdotto con l'art. 3 una norma di immediata portata precettiva: una giurisdizione universale speciale, senza la necessità della presenza dello straniero sul nostro territorio (in deroga alla disciplina dell'art 10 c.p. per il delitto dello straniero commesso all'estero), nel caso in cui lo straniero commetta all'estero ed ai danni di un cittadino italiano un fatto costituente reato per il nostro ordinamento che sia qualificato come atto di tortura dalla Convenzione. In merito alla mancata introduzione del reato di tortura, contestato dalle Nazioni Unite (tra gli altri CCPR/C/ITA/CO/5/ADD.1 del 2007), i governi italiani hanno sempre evidenziato che il codice penale conteneva già una serie di fattispecie incriminatrici degli atti di tortura, come definiti dalla Convenzione (percosse (art. 581 c.p.); lesioni (artt. 582-583 c.p.); sequestro di persona (art. 605 c.p.); arresto illegale (art. 606 c.p.); indebita limitazione della libertà personale (art. 607); abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 c.p.); violenza privata (art. 610 c.p); minaccia (art. 612 c.p.); stato di incapacità procurato mediante violenza (art. 613 c.p.), con la previsione di forme aggravate da «l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio» (art. 619 c.p.). Tale interpretazione è stata confermata dal tenore letterale dell'art. 3 il quale, nel riferirsi ad un atto qualificato come tortura, presuppone l'esistenza nel nostro ordinamento di tali fatti di reato. Doc. 10.05 Sintesi delle motivazioni contenute alle pagg. 6,7.

  (376) Art. 10 c.1 codice di procedura penale: «Competenza per reati commessi all'estero».

  (377) Iscritta a RGNR mod.41 «ignoti» il 4 febbraio 2016.

  (378) Audizione del 03.09.2020 dell'allora Ministro degli affari esteri, Paolo Gentiloni.

  (379) La sera del loro arrivo, alle 20.30, gli investigatori partecipano alla riunione informativa che è presieduta dallo stesso ambasciatore.

  (380) Si tratta di dati tecnici abitualmente utilizzati per ricostruire il contesto in cui sono avvenuti fatti gravi: tabulati telefonici della vittima, il cd. traffico di cella ossia il registro degli apparati cellulari che si sono connessi ad una determinata cella telefonica in un dato intervallo temporale e delle relative operazioni da essi effettuate, i profili genetici rilevati sugli indumenti e sul corpo di Giulio. Richieste che verranno incluse anche nella prima delle rogatorie della procura italiana, del successivo 10.02.

  (381) Documenti trasmessi dalla procura egiziana a parziale esito della richiesta di assistenza rogatoriale dell'AG italiana del 10.02.16 (Doc. 05.01 pag. 5).

  (382) Poi, incredibilmente, ribadita dalla Procura generale nel 2020, nonostante l'iniziale accantonamento e l'avvio di un procedimento penale per omicidio da parte della procura cairota nei confronti dei due ufficiali della polizia protagonisti della sparatoria: Colonnello Alaà Eddin Roshdi Bashandi Bilal e Colonnello Hani Mahfouz (Doc. 05.01 pagg 158, 227 e 239).

  (383) «L'ufficio sul punto, immediatamente, forniva documenti e supporto evidenziando, comunque, come nel caso in esame si trattava di un maggiorenne che si era allontanato dal territorio italiano e che non vi era alcun elemento per ritenere che si trattasse di un omicidio.» (Doc. 10.05, pag. 12).

  (384) Le indagini della polizia giudiziaria nazionale si caratterizzano per un elevato livello di tecnicità, in ragione della natura del processo penale italiano che è, in estrema sintesi, un confronto ad armi sostanzialmente pari tra le tesi dell'accusa e della difesa. In tale scenario le indagini di natura tecnica permettono di puntellare la narrazione che ricostruisce le indagini su basi solide e oggettive, difficilmente contestabili. Per tali motivazioni il traffico di cella, ossia il registro degli apparati cellulari che si sono connessi ad una determinata cella telefonica in un dato intervallo temporale e delle relative operazioni da essi effettuate, costituiscono un elemento di assoluto rilievo investigativo, cristallizzando con una ragionevole certezza gli apparati che erano presenti nel raggio di azione del ripetitore telefonico nel momento di interesse. A margine appare necessario evidenziare che il traffico delle celle richieste non è mai stato consegnato.

  (385) Doc. 10.05, pag. 13.

  (386) Ivi.

  (387) Doc. 10.05, pag. 26.

  (388) Doc. 10.05, pag. 22.

  (389) Doc. 10.05, pag. 32.

  (390) Le operazioni dureranno due settimane, dal 15.05 al 29.05 del 2018. Il tecnico che effettuerà materialmente l'operazione di estrapolazione dei dati dal sistema sarà un ucraino.

  (391) Audizione del 10.12.2020.

  (392) Audizione del del 17.12.2019.

  (393) Audizione del maggiore Daniela Tricca, del Reparto carabinieri investigazioni scientifiche di Roma, dell'8.07.2021.

  (394) Doc. 10.05, pag. 50.

  (395) Ivi.

  (396) All'esito degli incontri del 6-7 dicembre 2016, il Procuratore generale d'Egitto Nabil Sadek affermerà pubblicamente che Giulio Regeni era «portatore di pace ed amico dell'Egitto» (Audizione del 17.12.2019).

  (397) Doc. 10.05, pag. 46.

  (398) Ivi e Doc. 01 pag. 185, esito della perizia medico legale sull'umor vitreo.

  (399) Ivi, pag. 86 e doc. 01 pag. 178.

  (400) Ipotesi ventilata da un ufficiale della polizia egiziana, intervistato il giorno dopo il rinvenimento del corpo di Giulio Regeni da una delle emittenti nazionali egiziane.

  (401) C. Arcuri, Giulio Regeni. Ricatto di Stato, Ediz. Castelvecchi, 2020, pag. 9.

  (402) Ivi.

  (403) Articolo dell'11.2.2016, tratto da: https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/La-morte-di-Giulio-Regeni-Attivista-su-Facebook-investigatore-egiziano-condannato-per-torture-77e473f4-a536-42bd-ae70-ab2f6a00788f.html

  (404) https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/03/04/news/caso-regeni-in-egitto-tre-anni-fa-c-e-stato-un-omicidio-fotocopia-subito-insabbiato-1.252636/. Consultato il 9 settembre 2021.

  (405) Luogo individuato dalle coordinate geografiche latitudine 30° 1'24.83«N e longitudine 31° 4'48.24». È inserito in un'area a ridosso di due grandi vie di comunicazione, in zona desertica, alla confluenza tra le Alexandria Desert Road e la Sahara El Ahram Road. Il 10 febbraio 2016, in occasione del terzo incontro con la polizia egiziana, il team investigativo partecipò ad un sopralluogo nell'area del rinvenimento del corpo del connazionale.

  (406) Cfr. Doc. 10.03.1332 e 09.01.211.

  (407) Nei confronti di Mahmoud Najem, agente in servizio presso la National Security – Direzione della Sicurezza Nazionale del Governatorato di Giza, per i reati di cui agli artt. 110, 605, 1° e 2° comma b. 2, 61 n.1 e 4 c.p., commessi in Egitto, Il Cairo tra il 25 gennaio ed il 2 febbraio 2016.

  (408) Doc. 06.01.89 del 15 marzo 2016.

  (409) Doc. 10.012.

  (410) https://www.ilgiornaleditalia.it/news/cronaca/138645/omicidio-regeni-un-testimone-007-inscenarono-una-rapina-per-nascondere-il-delitto.html

  (411) Richiesta di Archiviazione del 9 dicembre 2020.

  (412) Doc. 010_06_780.

  (413) Ivi.

  (414) Tanto la Commissione ha ricavato dalla documentazione ricevuta in ordine alla «Riunione del 24 marzo 2016, ore 23.00 circa, presso l'ufficio della National Security relativa agli ultimi sviluppo del caso Regeni».

  (415) Emerge dalle dichiarazioni della madre del giovane conducente che il microbus usato dal figlio è stato fermo dall'11.02.2016 al 05.03.2016, mentre è stata attribuita alla banda la truffa perpetrata in pregiudizio del Castradori, con analogo pulmino bianco, il 15 febbraio 2016.

  (416) Doc. 016_02.

  (417) Si tratta dei: Gen. Tariq Sabir, Col. Uhsam Helmi, Magg. Magdi Sharif, Magg. Mustafa Maabad, agente Mahmoud Najem, Col. Athar Kamel, Col Mahmud Hendy, Col. Mahfuz Ahmed, Col. Bashandi Bilal, Hosam Foda.

  (418) Doc. 10.05, pagg. 42-43.

  (419) In quelle stesse ore, la salma di Giulio Regeni arriva in Italia e viene trasportata al Policlinico «Umberto I». I genitori accompagnano la salma in Italia e vengono ascoltati per la prima volta dal sostituto procuratore Colaiocco a Roma, al Policlinico. Ad accogliere i genitori di Giulio Regeni in aeroporto c'è il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. I Regeni incontrano a Fiumicino l'ambasciatore della Repubblica araba d'Egitto in Italia, Amr Mostafa Kamal Helmy, il quale conferma la massima disponibilità dell'Egitto nella ricerca dei colpevoli. La salma viene trasportata all'obitorio del Policlinico «Umberto I» dell'Università «La Sapienza» dove nella stessa giornata si procede al riconoscimento da parte della famiglia. Al Cairo, invece, Gennaro Gervasio viene ascoltato dalla Procura di Giza.

  (420) SysDev Laboratories, con sede in 8V Druzhby Narodiv Blvd, Kyiv (Ukraine), è un'azienda tecnologica focalizzata sulla fornitura di software e servizi professionali all'avanguardia nel campo del recupero dati, dell'accesso ai dati, dell'analisi dei dati e della medicina legale digitale.

  (421) Con sede in Germania, Hanns Klemm Str. 5 Bobligen. La società effettua il recupero dati da hard disk interni ed esterni di qualsiasi marca, modello o con qualsiasi sistema operativo.

  (422) A margine del quinto incontro con la Procura Generale d'Egitto, che si svolgeva a Roma nei giorni 6 e 7 dicembre 2016.

  (423) Doc. 10.02.1170 e ss.

  (424) Doc. 10.03.606.

  (425) Il Procuratore Sadek rappresentava poi che, al termine dell'attività dei tecnici, una copia di quanto recuperato sarebbe stata consegnata alla Procura di Roma. Al termine dell'incontro, il Procuratore Sadek ribadiva il suo impegno a proseguire la collaborazione con i magistrati italiani «sino a quando non saranno individuati i responsabili dei tragici fatti di cui è stato vittima Giulio Regeni».

  (426) Doc. 10.5.39.

  (427) Nel comunicato congiunto dalla Procura generale della Repubblica Araba d'Egitto e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma del 29 maggio 2018, in merito all'incontro del 15 maggio (ottavo incontro tra Procure) e poi del 28 e 29 maggio 2018 (nono incontro tra procure), svoltisi al Cairo, si esprime ringraziamento e gratitudine per gli sforzi della procura egiziana dell'ultimo anno tesi al recupero delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza della metropolitana e della presenza di tecnici italiani durante l'operazione di recupero effettuata nelle due settimane precedenti al Cairo da parte di una specializzata società straniera, innanzi agli omologhi esperti egiziani. (Doc. 10.04, pag. 774). Tale comunicato era stato preceduto da una telefonatadell'8 maggio 2018 tra i due procuratori nel corso della quale la parte egiziana invitava la controparte ad inviare una delegazione per presenziare all'operazione del recupero delle registrazioni in argomento.

  (428) I tecnici italiani non sono mai entrati in possesso dei reperti perché rimasti a disposizione della Procura egiziana, supportata dal tecnico ucraino da essa nominato.

  (429) UFS Recovery, che fornisce soluzioni software complete per il ripristino e l'accesso ai dati da vari archivi. Sistema utilizzata dalla citata società ucraina, Sysdev Laboratorie.

  (430) Specifica, l'Ufficiale, che da quel momento in poi tutte le registrazioni contengono data e ora mentre, prima, soltanto le informazioni della camera e, precisando, che i dati cancellati prima del 6 febbraio riportavano la data del 1° gennaio 1970, chiara impostazione di default; mentre in quelli successivi portano la data corretta. In definitiva. Se solo i nostri tecnici avessero avuto accesso ai file di log dell'apparato di videosorveglianza, sicuramente si sarebbero potuto riscontrare queste attività.

  (431) Questi costituiscono i due intervalli temporali più grandi in cui si registra il blackout. «Poi c'erano altre interruzioni che si presentavano ogni tanto (...) Questi erano degli intervalli in cui statisticamente si vede se c'erano delle anomalie nella distribuzione dei frammenti».

  (432) Doc. 10.05, pagg. 65-68.

  (433) Nel corso del decimo incontro tra le procure, al Cairo, svoltosi dal 27 al 28 novembre 2018, il PM Colaiocco annuncia di voler iscrivere alcuni dei nove soggetti presenti nelle informative di ROS e SCO del dicembre 2017, nel registro delle notizie di reato in quanto «costituisce un passaggio obbligato per il nostro ordinamento processuale, step che la legislazione locale non contempla». L'Egitto ritiene di «non poter indirizzare univocamente le indagini su alcuni soggetti della National Security». Dal proprio canto, la reazione egiziana non tarda a venire e rilancia richiedendo ai magistrati italiani, quale era il fine del viaggio di Regeni in Egitto e quali ragioni lo avevano spinto a prendere un visto turistico in luogo di un visto per ragioni di studio; perché Noura Wahby successivamente ai fatti avvenuti ai danni di Regeni non avrebbe più fatto rientro in Egitto e se le posizioni politiche di Regeni fossero state in contrapposizione al governo in carica in Egitto. Il vice procuratore egiziano Soliman spiega che, da parte egiziana, gli elementi raccolti nell'informativa italiana non erano utili, secondo i parametri probatori egiziani, ad accusare nessuno dei soggetti indicati dalla procura italiana.

  (434) Nell'occasione, Al Sawi informa dell'istituzione di un team investigativo direttamente dipendente dal suo ufficio dedicato al caso Regeni, esprimendo l'auspicio che possano presto svolgersi incontri tecnici con gli investigatori italiani. Il diplomatico, da parte sua, nell'esprimere l'auspicio che i contatti fra la Procura di Roma e l'omologa egiziana, possano riprendere rapidamente, reitera la richiesta, già più volte formulata all'ex procuratore Sadek, di ottenere la restituzione degli effetti personali di Giulio Regeni .

  (435) La Procura cairota dichiara apertamente che «sostenere un processo in Italia sarebbe immotivato».

  (436) https://www.huffingtonpost.it/entry/marco-minniti-legitto-deve-farci-processare-chi-uccise-giulio-regeni_it_5ee72878c5b68c4e2c1bd580 Consultato il 24 agosto 2021

  (437) Consultati articoli tratti da fonti aperte, tra cui: https://www.corriere.it/esteri/20_dicembre_30/regeni-procura-egiziana-teoria-complotto-l-omicidio-architettato-screditare-rapporti-egitto-ed-italia-9eb7c0a0-4ab6-11eb-bb9d-71fd23fa6a98.shtml

  (438) A tal riguardo è utile osservare le reazioni che il documento ha provocato in Egitto.

  (439) In italiano e inglese.

  (440) Di cui tratteremo in maniera più ampia nel successivo paragrafo.

  (441) Tradotto, consta di poco più di 90 pagine complessive.

  (442) Doc. 16.02, pag. 7.

  (443) Si fa qui riferimento all'articolo scritto a quattro mani con Francesco De Lellis e pubblicato sul sito di informazioni Nena-news.

  (444) La data di pubblicazione è il 5.02.2016, due giorni dopo il rinvenimento del corpo privo di vita del ricercatore.

  (445) Doc. 16.02, pag. 10.

  (446) Doc. 16.02, pagg. 17-18.

  (447) Doc. 16.02, pagg. 21-22.

  (448) Doc. 06.06 pagg.101.

  (449) Doc. 16.02, pag.28.

  (450) Che, è appena il caso di osservare, non è stato individuato dagli inquirenti egiziani, pur in presenza di rilevantissimi interessi da parte loro, essendo l'Italia, a quell'epoca, il primo partner commerciale dell'Egitto tra i paesi occidentali.

  (451) Doc. 16.02, pag. 34.

  (452) Doc. 16.02, pag. 37.

  (453) La telefonata è avvenuta l'8 febbraio 2017, i tecnici si sarebbero dovuti imbarcare il successivo giorno 17 (Doc. 10.05, pag. 26).

  (454) Circa 100.000 euro, come da audizione della Procura della Repubblica di Roma del 17.12.2019.

  (455) Doc, 16.02, pag. 51.

  (456) Doc. 16.02, pag. 54.

  (457) Si tratta della testimonianza di Mabroka Ahmed Afifi moglie del capobanda, tratta anch'ella in arresto a seguito della perquisizione domiciliare in cui sarebbero stati rinvenuti i documenti di Giulio Regeni (Doc. 05.01 pag. 261).

  (458) Doc. 16.02, pagg. 59-60.

  (459) Sospetto supportato dai frequenti contatti telefonici con due degli ufficiali che stavano effettuando la perquisizione.

  (460) Doc. 16.02, pagg. 61-68.

  (461) Incontro cui il ministro dell'Interno pro tempore Magdi Abdel Ghaffar si è a lungo negato, nonostante la pressione esercitata dall'ambasciatore, e che è stato infine fissato solo grazie all'intervento diretto del ministro degli esteri italiano con il proprio omologo egiziano (Audizione dell'Amb. Massari del 27.02.2020).

  (462) Doc. 16.02, pag. 68.

  (463) Ivi, pagg. 69-71.

  (464) Audizione della Procura della Repubblica di Roma del 17.12.2021.

  (465) Seppur all'epoca fossero ancora privi dei precisi e concordanti riscontri forniti dalle successive testimonianze.

  (466) Doc. 16.02, pag. 72.

  (467) Bisogna ricordare che Said Abdallah riferirà circa il coinvolgimento della National Security e delle istruzioni ricevute dal maggiore Magdi Sharif solo nel terzo dei suoi interrogatori, quello dinanzi ai magistrati della Procura di Giza, e solo dopo aver ripetutamente tentato di contattare l'ufficiale per chiedere istruzioni e non aver mai ricevuto risposta. Lasciato solo, il sindacalista ha infine, fornito le informazioni che hanno consentito di meglio delineare il ruolo della National Security nella vicenda (Doc. 09.01 pagg. 186 e ss).

  (468) Retrospective study of positive physical torture cases in Cairo (2009 & 2010) di Sherein Salah Ghaleb e altri, anno 2014. Pubblicato, tra gli altri anche su pubmed.gov, portale del National Institute of Health britannico. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/24794849/.

  (469) Art. 52 della Costituzione egiziana: «All forms of torture are a crime with no statute of limitations.» – tradotto: «Tutte le forme di tortura costituiscono un crimine imprescrittibile.» tratto da https://constituteproject.org.

  (470) in quell'occasione il teste avrebbe sentito Giulio Regenirichiedere l'assistenza legale e quella della propria rappresentanza diplomatica ed avrebbe assistito al successivo trasferimento presso la struttura della National security di Lazoughly accompagnato da 4 agenti uno dei quali era a conoscenza del fatto che Giulio Regeniparlasse l'arabo, con ciò confermando che era sottoposto all'attenzione degli apparati di sicurezza egiziani. Doc. 16.02, pagg. 84 e 85.

  (471) A riguardo è illuminante l'ultimo «Universal periodic review» dell'UNHRC (United Nations Human Rights Council) dedicato all'Egitto che, tra le raccomandazioni, indica più volte la necessità che venga posta fine alla pratica della tortura, nonostante la costituzione egiziana la proibisca in maniera inequivocabile.

  (472) Fermata chiusa quel giorno poiché in corrispondenza di piazza Tahrir, epicentro della rivoluzione del 2011.

  (473) Lo stesso Gennaro Gervasio nella propria testimonianza dinanzi all'autorità giudiziaria cairota specifica che Giulio Regen sarebbe dovuto scendere a «Mohamed Naguib» e da lì proseguire a piedi fino al ristorante GAD (Doc. 05.01, pag. 61).

  (474) Probabilmente gli inquirenti egiziani fanno riferimento all'Abdin Police Department, che l'applicazione google maps indica a più di un chilometro di distanza dal luogo dell'incontro e che non è citato nelle testimonianze del professor Gervasio.

  (475) Prende il proprio nome dalla via del Cairo in cui è situata.

  (476) Che ha così confermato agli inquirenti italiani il coinvolgimento del maggiore Magdi Sherif.

  (477) Mohamed Najem, la cui posizione nel procedimento è stata archiviata.

  (478) Una previsione non dissimile è presente anche nel nostro ordinamento con la cd. «comunicazione di cessione di fabbricato» prevista inizialmente dal D.L. 59/78, oggi vigente solo per i contratti di godimento di immobili non sottoposti ad obbligo di registrazione, che poneva un obbligo di comunicazione in capo ai proprietari degli immobili.

  (479) I link alle trasmissioni cui si fa riferimento nel testo, reperibili sulla piattaforma di youtube: https://www.youtube.com/watch?v=qhIA5cw_TTI, in cui viene data lettura di tutta la nota della procura; https://www.youtube.com/watch?v=yUh6HdZLyw0; https://www.youtube.com/watch?v=yUh6HdZLyw0.

  (480) link: www.youtube.com/watch?v=gIqGmHy8KX0; https://arabi21.com/story/1063230.

  (481) https://forafreeegypt.blogspot.com/2014/08/the-egyptian-revolutionary-council.html).

  (482) Quotidiano egiziano la cui versione on-line è tra le più lette in Egitto.

  (483) Sen. Maurizio Gasparri e la già Ministra della difesa italiano Elisabetta Trenta.

  (484) Generale di squadra aerea Leonardo Tricarico, già Capo di stato maggiore dell'Aeronautica militare italiana.

  (485) Fulvio Grimaldi.

  (486) Gen. Farouk Elmakray, già assistente del Ministro dell'Interno, Ashraf Rashid già ambasciatore della Repubblica di Egitto in Italia, Wesam Ismail, avvocato.

  (487) Mohamed Abdallah Said, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti; Hosny Elsayed, portiere del palazzo ove dimorava Giulio Regeni .

  (488) V. supra paragrafo 8.4.

  (489) Con l'eccezione del giornalista Italiano Fulvio Grimaldi, che sembra esprimere una posizione di pieno appoggio all'Egitto.

  (490) Audizione del 24 novembre 2020.

  (491) Audizione del 18 febbraio 2020, p. 34.

  (492) Audizione del 16 luglio 2020.

  (493) Audizione del 3 settembre 2020.

  (494) Audizione dell'11 novembre 2020.

  (495) L'inflazione in conseguenza di ciò crebbe rapidamente fino a raggiungere il 30 per cento nei primi mesi del 2017 e vi furono pesanti ripercussioni sul tenore di vita di larghe fasce della popolazione, sicuramente le meno abbienti, ma fu colpita anche la classe media. In aggiunta le entrate derivanti dal settore turistico, una delle principali fonti di reddito per il Paese, avevano fatto registrare un pesante calo. Si pensi che nel 2010 i turisti italiani avevano superato il milione di presenze, mentre in tutto il 2016 il flusso di turisti del nostro Paese non arrivò a superare quota 57.000: praticamente un crollo del 95 per cento rispetto ai massimi di qualche anno prima. In tale contesto, sempre nel mese di aprile del 2016, il giorno 15 e poi il giorno 25, migliaia di persone scesero in strada al Cairo per manifestare contro la decisione del Governo di cedere all'Arabia Saudita le isole di Tiran e Sanafir, situate all'imbocco del golfo di Aqaba. Si trattò delle maggiori proteste dall'estate del 2013, e mai più superate in intensità da allora, con migliaia di manifestanti e molti arresti (Ivi).

  (496) Dopo un'iniziale disponibilità, Declan Walsh non ha ritenuto di accogliere l'invito ad essere audito dalla Commissione, comunicando di aver ricevuto un parere negativo dall'ufficio legale del suo giornale.

  (497) Ivi.

  (498) Audizione del 23 luglio 2020.

  (499) Audizione del 16 luglio 2020.

  (500) Il medesimo giorno il ministero degli Esteri italiano pubblica un comunicato: «Per il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Enzo Moavero Milanesi, la ricerca della verità sulla barbara uccisione di Giulio Regeni resta prioritaria nel quadro dei rapporti dell'Italia con l'Egitto, nella consapevolezza della forte richiesta di giustizia che proviene dai familiari del giovane ricercatore, dalle Istituzioni e dai cittadini italiani. La Farnesina farà i passi necessari per richiamare le Autorità egiziane a rinnovare con determinazione l'impegno, più volte espresso, anche al massimo livello, di raggiungere risultati concreti e significativi, che consentano di fare pienamente giustizia. https://ambilcairo.esteri.it/ambasciata_ilcairo/it/ambasciata/news/dall-ambasciata/2018/11/comunicato-del-ministro-degli-affari.html

  (501) Nota del 30 novembre 2018: «Il Ministro Moavero ha convocato alla Farnesina l'Ambasciatore egiziano» https://www.esteri.it/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2018/11/il-ministro-moavero-ha-convocato-alla-farnesina-l-ambasciatore-egiziano/

  (502) https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Regeni-Fico-interrompe-le-relazioni-con-Il-Cairo-parlamento-Egitto-replica-scelta-ingiustificata-6add7cf3-db01-421a-9e79-c09c993af3ad.html

  (503) La nascita del Forum rappresenta un primo passo verso la volontà di avviare una cooperazione nel settore energetico tra i Paesi firmatari, situati, ad eccezione dell'Italia, nel bacino orientale del Mar Mediterraneo. Questa regione ricopre un ruolo centrale nel settore energetico. In particolare, grazie alla presenza (già accertata o stimata) di giacimenti di idrocarburi e di Gas Naturale Liquefatto (GNL), Cipro, Siria, Libano, Israele, Egitto e Turchia sono divenuti potenzialmente importanti esportatori di risorse energetiche, ritagliandosi altresì finestre di autonomia grazie alla capacità di provvedere, totalmente o in parte, al soddisfacimento della domanda interna. Il 16 gennaio 2020 L'East Mediterranean Gas forum (EMGF or EGF) diventa un'organizzazione internazionale dopo la firma dell'accordo quadro avvenuta al Cairo, sede dell'Organizzazione, e l'Italia è uno dei paesi fondatori. L'iniziativa è tesa a sfruttare gli impianti di rigassificazione sulla costa egiziana come snodo per il commercio di energia verso l'Europa e non solo, annovera fra i suoi membri l'Egitto, l'Italia, Israele, la Grecia, Cipro, l'Autorità nazionale palestinese e la Giordania. Il forum esclude la Turchia e crea una via alternativa al Turk Stream, il gasdotto russo-turco erede del South Stream che doveva arrivare in Italia. La Francia, da parte sua, ha inoltrato una richiesta ufficiale per aderire all'Emgf. «L'Italia è orgogliosa di far parte dell'East Mediterranean Gas Forum, un progetto che può accelerare la stabilizzazione e la condivisione delle competenze del gas nella regione», ha detto Alessandra Todde, sottosegretario di Stato allo Sviluppo economico, presente all'evento a nome del governo italiano.

  (504) https://www.affaritaliani.it/notiziario/italiaegitto_mit_incontro_toninelli_con_nasr_focus_su_infrastrutture-94815.html?refresh_cens; https://www.sis.gov.eg/Story/137650/Egypt,-Italy-discuss-pumping-new-investments-in-infrastructure,-transport?lang=en-us

  (505) Audizione del 18 giugno 2020.

  (506) Audizione del 16 luglio 2020.

  (507) Audizione del 18 giugno 2020.

  (508) https://www.youtube.com/watch?v=FfyMlunnhS8

  (509) I video sono qui disponibili: in arabo/italiano (come andati in onda)
  https://www.youtube.com/
  watch?time_continue=13&v=cqF8ffOJ3Ko&feature=emb_logo
  https://www.youtube.com/watch?v=p9KRHxhbOlE&feature=emb_logo
  https://www.youtube.com/watch?v=yNowg1wBdV4&feature=emb_logo
  il video lancio della trasmissione interamente in arabo
  https://www.youtube.com/watch?v=hN4G9abJuNk
  un estratto totalmente in italiano pubblicato su Il Fatto Quotidiano
  https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04/20/caso-regeni-il-verdiniano-barani-depistaggio-Al-Sisi-estraneo-lo-dimostra-il-ritrovamento-del-cadavere/510400/

  (510) https://www.youtube.com/watch?v=o68sRRonXhM

  (511) https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08/11/regeni-barani-recidivo-ai-media-egiziani-il-governo-Al-Sisi-e-vittima-del-caso/2970151/

  (512) Questa notizia passa praticamente inosservata dai media italiani. Questo il solo richiamo trovato https://www.controluce.it/notizie/mediterraneo-importante-consiglio-cooperazione-italia-egitto-sia-operativo-non-solo-consultivo/

  (513) https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2017/02/19/egitto-isiamed-sviluppo-con-il-modello-digitale-italiano_018da9a3-eac7-417c-9102-6f990bf93d58.html

  (514) Audizione in data 24.11.2020 del Sen. Matteo Renzi.

  (515) Nell'audizione del 23.07.2021 il già Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Angelino Alfano, riferiva: «Come aveva già fatto il governo precedente e il mio predecessore alla Farnesina, onorevole Paolo Gentiloni, poi divenuto Presidente del Consiglio dei Ministri, la linea fu quella di sostenere con i passi politico-diplomatici necessari e possibili il lavoro della Procura della Repubblica di Roma. Abbiamo sviluppato questa strategia a due livelli, binaria, non solo nei confronti dell'Egitto, ma anche, come dirò appresso, nei confronti del Regno Unito.» Ed ancora, nella medesima occasione: Già poco dopo la nostra decisione di rinviare l'ambasciatore e prima della sua assunzione, il 24 di agosto, apprezzammo che nel corso di una visita al Cairo il Ministro britannico per lo sviluppo internazionale avesse sensibilizzato gli egiziani alla collaborazione con le autorità giudiziarie e gli organi investigativi italiani sul caso Regeni. Il 14 settembre del 2017, a Londra, ebbi una buona occasione per parlare sia con il collega britannico sia con quello egiziano. Si trattava della Riunione ministeriale sulla Libia in formato 3 3, organizzata dal Ministro degli esteri del Regno Unito, Boris Johnson. Furono solamente sei, dunque, i Paesi del mondo invitati e tra questi gli Stati Uniti. Dico questo per ribadire il ruolo egiziano sia nella sostanza sia nella percezione globale riguardo alla Libia, con ciò che ne consegue in termini di relazioni internazionali e di potere di interlocuzione con le grandi potenze. Incontrando l'allora collega britannico Boris Johnson, ribadii con forza la condizione di Giulio Regeni in quanto ricercatore di un'università britannica e quanto questo suo essere al Cairo per lavorare a una ricerca ispirata da una loro istituzione accademica fosse sottovalutato. Mi lamentai molto della scarsa collaborazione dell'Università di Cambridge con le autorità inquirenti e chiesi un maggiore coinvolgimento del Regno Unito dal punto di vista diplomatico. Sollecitai iniziative diplomatiche congiunte tra Italia e Regno Unito per favorire l'accertamento della verità sulla morte di un giovane che era cittadino italiano, ma ricercatore dell'Università di Cambridge. Johnson mi sembrò sinceramente turbato e diede immediate istruzioni al suo direttore politico, che era presente all'incontro, di dare a sua volta istruzioni all'ambasciatore britannico al Cairo e di approfondire la questione con l'Università di Cambridge, anche perché a lui risultava che la questione fosse superata. Quale seguito immediato di tutto questo, l'ambasciatore Cantini avviò contatti con l'ambasciatore del Regno unito al Cairo per coordinare una collaborazione in loco incontrandolo due volte in pochi giorni, il primo e il 18 ottobre del 2017, svolgendo un'azione coordinata con la Procura di Roma per stimolare la collaborazione dell'Università di Cambridge.... Di questo, o almeno della parte che si è verificata prima della seduta d'Aula, ho avuto modo, il 4 ottobre 2017, di rendere edotto il Parlamento, che, tramite un'interrogazione dell'onorevole Quartapelle, mi chiedeva di sapere quali fossero i progressi nella ricerca della verità dopo tre settimane dall'assunzione delle funzioni dell'ambasciatore Cantini al Cairo. Immediatamente dopo, nel rapporto con il Regno unito si poterono osservare sviluppi. Il 2 novembre la Procura di Roma trasmise all'organismo preposto nel Regno unito una nuova rogatoria contenente i cinque punti su cui era massimo l'interesse investigativo. L'Università di Cambridge fece sapere di essere pronta a collaborare. Il 6 dicembre, mentre mi trovavo a Bruxelles per un vertice della NATO, venni avvisato che i britannici avrebbero predisposto una nota con la quale avrebbero annunciato che il giudice britannico accettava l'ordine di investigazione europeo che era stato emesso dal procuratore italiano e quindi dava il permesso di intervistare la tutor di Regeni e di condurre ricerche nei suoi archivi («intervistare» sta per «interrogare»). Il 7 dicembre i giornali inglesi danno spazio a questa notizia, riportando anche la mia dichiarazione di soddisfazione per l'avanzamento della cooperazione. L'11 gennaio 2018, a Cambridge, si svolsero una serie di attività di indagine a opera della magistratura italiana, come voi avrete avuto modo di accertare. Il 25 gennaio il Procuratore della Repubblica di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, nella lettera al Corriere della Sera e alla Repubblica affermò che gli accertamenti nel Regno Unito sono stati «resi possibili dall'efficace collaborazione delle autorità d'oltremanica.»

  (516) Audizione svoltasi il 18 febbraio 2020.

  (517) Che non poterono, tuttavia, porre domande dirette alla professoressa, in ragione delle specifiche procedure previste dall'ordinamento giuridico di quel paese.

  (518) Nella richiesta di archiviazione delle indagini nei riguardi dell'agente Mahmoud NAJEM.

  (519) Le dichiarazioni ricevute da parte delle autorita accademiche e dei docenti dell'Università di Cambridge – su cui è basato il presente paragrafo ed il successivo – sono state pubblicate negli atti parlamentari, nell'ambito della relazione sulla missione ivi svolta da una delegazione della Commissione (27-28 settembre 2021).

  (520) «Instituzionalized repression in Egypt» in Civil Society under assault, Saskia Brechenmacher, pag. 37-64, Carnegie Endowment for international peace, 2017

  (521) «Case No. 173: The State of Egypt's NGOs,» Elissa Miller e Margaret Suter, Atlantic Council, Marzo 2016, http://www.atlanticcouncil.org/blogs/menasource/case-no-173-the-state-of-egypt-s-ngos;

  (522) «Legislating authoritarianism: Egypt's New Era of Repression», Amr Hamzawy, Carnegie Endowment for international peace, marzo 2017 http://carnegieendowment.org/2017/03/16/legislating-authoritarianism-egypt-s-new-era-of-repression-pub-68285

  (523) «Egypt's political exiles: going anywhere but home» Michelle Dunne e Amr Hamzawy, marzo 2019, Carnegie Endowment for international peace https://carnegieendowment.org/2019/03/29/egypt-s-political-exiles-going-anywhere-but-home-pub-78728

  (524) «il manifesto», in data 06/02/2016 chiarisce in parte la vicenda attraverso l'Editoriale «http://ilmanifesto.it/cinque-chiarimenti-doverosi/»).

  (525) «Detention condition in Egypt», Tahrir Institute for Middle East Policy, agosto 2019 https://timep.org/reports-briefings/timep-brief-detention-conditions-in-egypt/

  (526) «Egypt behind bars», Maged Mandour, Carnegie Endowment for international Peace, febbraio 2020 , https://carnegieendowment.org/sada/81045

  (527) «Report of the Working Group on Enforced or Involuntary Disappearances» United Nations General Assembly, 2018,
  https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G18/236/81/PDF/G1823681.pdf?OpenElement

  (528) «Egypt, officially you do not exist, Disappeared and tortured in the name of counter terrorism» Amnesty International, 2016, https://www.amnesty.org/download/Documents/MDE1243682016ENGLISH.pdf

  (529) Nei pochi casi documentati in cui i pubblici ministeri si sono rifiutati di autorizzare la detenzione, ordinando il rilascio di un detenuto, questo è stato sottoposto a un rinnovato periodo di sparizione forzata, prima di essere stato portato davanti a un altro pubblico ministero per affrontare nuove accuse in un nuovo caso penale, sulla base di un'altra «confessione» estorta con la tortura.

  (530) «Continuos violations and absent justice. Forced disapperance, a five year report» , Commissione egiziana per i diritti e le libertà, 2020, https://www.ec-rf.net/3509/

  (531) «Risoluzione del Parlamento europeo del 13 dicembre 2018 sull'Egitto, in particolare sulla situazione dei difensori dei diritti umani» 13 dicembre 2018, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0526_IT.html.

  (532) Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2020 sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, segnatamente il caso degli attivisti dell'organizzazione Egyptian Initiative for Personal Rights, 18 dicembre 2020, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-12-18_IT.html

  (533) Cfr, Resoconto stenografico della seduta della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica italiana, 14 aprile 2021. http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Resaula/0/1213326/index.html?part=doc_dc-ressten_rs-gentit_ddm100329e100338cciapzeipsl La mozione sulla cittadinanza approvata è qui consultabile

  (534) «The New Emergency Law: Endless Pretrial Detention as Political Punishment At least 1,464 people in Four Governorates Held in Pretrial Detention Longer than the Two Year Legal Limit» Press release, Egiptian Initiative for personal rights, maggio 2016
  FacebookTwitterWhatsApp https://eipr.org/en/press/2016/05/replacement-emergency-law-pretrial-detention-political-punishment

  (535) Il testo della petizione è reperibile sul sito di Amnesty International Italia https://www.amnesty.it/appelli/corri-con-giulio/

  (536) Una lista aggiornata delle adesioni alla campagna è disponibile sul sito di Amnesty International Italia https://www.amnesty.it/campagne/verita-giulio-regeni/

  (537) Il testo della lettera del presidente Marchesi a Gentiloni e Alfano è disponibile sul sito di Amnesty International Italia, https://www.amnesty.it/giulio-regeni-quali-passi-avanti-verso-la-verita-ritorno-al-cairo-dellambasciatore/

  (538) Paul Starkey, «Le reazioni britanniche al caso Regeni», in Minnena. L'Egitto, L'Europa e la ricerca dopo l'assassinio di Giulio Regeni, Mesogea 2020, pag. 167 – 202

  (539) Ellie Olcott, Two Cambridge academics write an open letter to Egyptian President after the death of Giulio Regeni, The Tab 5 febbraio 2016, https://thetab.com/uk/cambridge/2016/02/05/two-cambridge-academics-write-an-open-letter-to-egyptian-president-after-the-death-of-guilio-regeni-67982

  (540) Il testo integrale della lettera è qui reperibile https://www.theguardian.com/world/2016/feb/08/egypt-must-look-into-all-reports-of-torture-not-just-the-death-of-giulio-regeni

  (541) Estratto del messaggio inviato dal Professor Runciman al console egiziano di Cambridge. Una lista delle dichiarazioni rilasciate a partire dal 6 febbraio 2016 è accessibile sul sito dell'Università di Cambridge. https://www.cam.ac.uk/notices/news/statements-from-the-university-of-cambridge-about-the-death-of-giulio-regeni.

  (542) Middle East Studies Association, Torture and Murder of Italian student Giulio Regeni, 4 febbraio 2016. https://mesana.org/advocacy/committee-on-academic-freedom/-/-/egypt/Giulio Regeni

  (543) Middle East Studies Association, Security Alert for Study and Researh in Egypt,10 febbraio 2016, https://mesana.org/advocacy/letters-from-the-board/2016/02/10/security-alert-for-study-and-research-in-egypt

  (544) Neil Pyper, Why the UK government should care about Giulio Regeni, Times of Higher Education , 15 febbraio 2016 https://www.timeshighereducation.com/blog/why-uk-government-should-care-about-giulio-regeni

  (545) Brismes, BRISMES letters on the death of Giulio Regeni and government response, file:///Users/riccardopanciroli/Downloads/BRISMES_Regeni_2016-2018.pdf

  (546) Crispin Blunt, The Foreign Office Needs to Raise the Profile of Human Rights, Says Foreign Affairs Committee, Huffington Post, 5 aprile 2016
  https://www.huffingtonpost.co.uk/crispin-blunt/human-rights_b_9614808.html

  (547) Giulio Regeni 's supervisor must not be blamed for his murder, «The Guardian», 3 dicembre 2017, https://www.theguardian.com/world/2017/dec/03/giulio-regeni-murder-egypt-maha-abdelrahman

  (548) https://www.almasryalyoum.com/news/details/926118

  (549) Qui il testo del comunicato https://www.aucegypt.edu/media/media-releases/auc-statement-giulio-regeni

  (550) https://issuu.com/auctimes/docs/auc_times_sp3_issuu

  (551) Vedere per esempio https://foreignpolicy.com/2020/11/01/european-union-break-apart-disaggregate/

  (552) Vedere per esempio https://www.swp-berlin.org/en/publication/five-years-after-the-murder-of-giulio-regeni-europes-dangerous-egypt-policy

  (553) https://www.hrw.org/news/2014/08/12/egypt-raba-killings-likely-crimes-against-humanity

  (554) https://www.dw.com/en/eu-stops-weapons-exports-to-egypt/a-17038063

  (555) https://www.amnesty.org/en/latest/press-release/2016/05/eu-halt-arms-transfers-to-egypt-to-stop-fuelling-killings-and-torture/

  (556) https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2016-0084_EN.html

  (557) https://www.aljazeera.com/news/2016/4/25/giulio-regeni-why-europe-is-bowing-to-sisi

  (558) https://www.news24.com/News24/german-minister-raises-rights-concerns-in-cairo-20160418

  (559) https://www.ansa.it/english/news/general_news/2016/04/18/germanys-gabriel-says-cases-like-regeni_d37b120a-f713-422e-bdbc-d1093de9e614.html

  (560) https://www.aljazeera.com/news/2016/4/25/giulio-regeni-why-europe-is-bowing-to-sisi

  (561) https://www.theguardian.com/politics/2016/apr/12/uk-foreign-office-pressure-egypt-giulio-regeni-murder

  (562) https://www.lastampa.it/esteri/la-stampa-in-english/2017/08/21/news/regeni-the-us-the-order-to-hit-him-came-from-above-1.34438932

  (563) https://www.aljazeera.com/news/2016/4/25/giulio-regeni-why-europe-is-bowing-to-sisi

  (564) Risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2016 sull'Egitto, in particolare il caso di Giulio Regeni, 10 marzo 2016, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2016-0084_IT.html

  (565) Risoluzione del Parlamento europeo dell'8 febbraio 2018 sulle esecuzioni in Egitto, 8 febbraio 2018, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0035_IT.html

  (566) Risoluzione del Parlamento europeo del 27 marzo 2019 sulla situazione dopo la primavera araba: prospettive future per il Medio Oriente e il Nord Africa, 27 marzo 2019, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2019-0318_IT.html

  (567) Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2019 sull'Egitto, 24 ottobre 2019, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0043_IT.html

  (568) Risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2020 sul deterioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, segnatamente il caso degli attivisti dell'organizzazione Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR), 18 dicembre 2020, https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2020-0384_IT.html

  (569) Ehttp://english.ahram.org.eg/NewsContent/1/64/397144/Egypt/Politics-/Egypts-House-of-Representatives-lambasts-European-.aspx

  (570) https://egyptindependent.com/egypt-slams-european-parliament-over-human-rights-resolution/

  (571) Al-Quds al Arabi, 21 dicembre 2020

  (572) «Magnitsky Act: protezione internazionale sui diritti umani»,Michele Valente, Affari internazionali, agosto 2019, https://www.affarinternazionali.it/2019/08/magnitsky-act-diritti-umani/

  (573) Cfr. Dopo la solidarietà, i fatti: applicare il Magnitsky Act per il caso Regeni Michelangelo Freyrie, Policy Brief, MondoDem, dicembre 2020, file:///C:/Users/p600588/Downloads/Applicare-il-Magnitsky-Act-per-il-caso-Regeni-2.pdf

  (574) Foreign Affairs Council, Background Brief, 22 gennaio 2021,
  https://www.consilium.europa.eu/media/48047/background-brief_fac_25-jan_final_en.pdf

  (575) «Egitto: l'UE revoca il quadro delle sanzioni e cancella dall'elenco 9 persone» Consiglio dell'Unione Europea, 12 marzo 2021, https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2021/03/12/egypt-eu-revokes-sanctions-framework-and-delists-9-people/

  (576) Al riguardo la prof.ssa Roberta Nunin, docente di diritto del lavoro, nel suo saggio «Attività di ricerca e rischio geopolitico: prime considerazioni in tema di profili giuridici della valutazione e delle responsabilità», sottolinea, a proposito di una compiuta definizione del termine «rischio geo-politico» che: «Guardando in concreto alla definizione di “rischio geopolitico” in letteratura si evidenzia l'assenza di un indirizzo univoco essendo detto rischio tradizionalmente individuato nella possibilità che la politica estera di un certo paese influenzi o perturbi le dinamiche politiche e/o sociali interne di un altro paese (o, più ampiamente, di una certa area geografica), senza però trascurare la circostanza che oggi tale espressione viene anche variamente e sempre più diffusamente utilizzata per evidenziare i possibili rischi derivanti da situazioni più o meno conclamate e riconosciute di instabilità politica interne a un determinato contesto nazionale e/o geografico – spesso legate, per limitarci ad alcuni esempi, alla presenza dei c.d. conflitti “a bassa intensità”, o alla ricorrenza di gravi attacchi terroristici, o a cambi di regime segnati da episodi di violenza più o meno diffusa – e tali da minarne almeno in parte la sicurezza».

  (577) La Sidri (Società italiana del diritto di ricerca) distingue due tipologie di ricerca: analisi di fonti primarie e secondarie e ricerca partecipativa o «dal basso» (indagini sul campo, osservazione partecipata) indicando per quest'ultima possibilità di incorrere in rischi di vari livelli.

  (578) Maurizio Scaini, La sicurezza sul lavoro nei Paesi a rischio geopolitico in: «Sicurezza accessibile», Edizioni Università di Trieste, 2017.