Doc. XXII, n. 4

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

d'iniziativa dei deputati
MELONI, DONZELLI, RAMPELLI, ZUCCONI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, CIRIELLI, MOLLICONE, OSNATO, DEIDDA, MONTARULI, GEMMATO, SILVESTRONI, FRASSINETTI, ROTELLI, BUCALO, CIABURRO, FIDANZA, LUCASELLI, CARETTA

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto»

Presentata il 23 marzo 2018

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  Onorevoli Colleghi ! — Con la presente proposta di inchiesta parlamentare si intende istituire una Commissione che esamini i fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto» di Firenze, tenendo presenti anche i risultati della commissione d'inchiesta regionale istituita sul medesimo oggetto, e svolga un'indagine in tutto il territorio nazionale sulle attività e sul funzionamento delle comunità e dei centri a cui vengono affidati i minori e sui criteri di scelta, valutazione e controllo delle famiglie affidatarie e del contesto in cui vivono.
  Scopo della Commissione sarà inoltre quello di individuare eventuali lacune o difetti della legislazione a livello nazionale che hanno permesso che vicende come quelle della comunità «Il Forteto» non solo accadessero, ma si prolungassero per decenni.
  Gli abusi e le violenze avvenuti all'interno della comunità «Il Forteto» – che non è una comunità di affido per minori ma una comune, ossia un luogo in cui individui diversi vivono insieme – richiedono che l'inchiesta della Commissione prevista dalla presente iniziativa si estenda sia alle comunità o centri cui vengono affidati i minori, sia soprattutto alle famiglie affidatarie, che devono essere in grado di assicurare al minore affidato il mantenimento, l'educazione, l'istruzione, le relazioni affettive e l'ambiente di cui il minore stesso ha bisogno per il corretto sviluppo della sua personalità.Pag. 2
  L'obiettivo politico che la Commissione si prefigge è in particolare quello di fornire, attraverso un accurato lavoro di inchiesta, indicazioni utili a rendere sempre più efficienti le attività di affidamento di minori sul territorio nazionale, partendo dalle criticità che sono emerse e stanno tuttora emergendo dalla vicenda del «Forteto».
  Unica e incredibile è la cecità di chi doveva garantire l'affidabilità delle famiglie residenti all'interno del «Forteto»: i giudici del tribunale per i minorenni, gli assistenti sociali, la regione e le amministrazioni locali, che in trentacinque anni hanno elargito fondi e riconoscimenti ad una realtà così negativa.
  Se infatti appare scontato porre la competenza del tribunale in posizione preminente rispetto alle attività svolte sia dai servizi sociali che dai servizi sanitari, dalle vicende in questione è emerso un rapporto di collaborazione tra i vari soggetti istituzionali sbilanciato, troppo spesso incancrenito, basato su anni e anni di collaborazione fiduciaria. La legge 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, è chiara nell'individuare il soggetto che deve disporre l'affidamento del minore: ai sensi dei commi 1 e 2 dell'articolo 4 spetta al servizio sociale del luogo in cui il minore risiede disporre l'affidamento consensualmente con i genitori; laddove non sia possibile pervenire a questo accordo, il servizio segnala il caso al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, così da ottenere quanto prima il provvedimento da parte del giudice. Quindi, il tribunale non opera la scelta delle famiglie e non ha competenza per i processi di verifica.
  In definitiva, e senza volersi sovrapporre al procedimento penale che definirà l'orribile vicenda della comunità «Il Forteto», è nelle smagliature del sistema che bisogna trovare le responsabilità.
  Presso il «Forteto» c'erano ancora dei minori collocati in affido anche dopo il secondo arresto, avvenuto il 20 dicembre 2011, di Rodolfo Fiesoli, detto il «profeta», allora settantunenne, fondatore della comune e della cooperativa agricola di Vicchio del Mugello, capo carismatico di quella comunità. I reati riscontrati sono maltrattamenti e violenza sessuale anche ai danni di un minore.
  Il 23 dicembre Fiesoli fu posto agli arresti domiciliari e il 28 dicembre la procura della Repubblica di Firenze iniziò ad avanzare i primi dubbi sulle procedure di affidamento. Il 16 ottobre 2012 la procura della Repubblica dispose la chiusura delle indagini e la notifica di altri ventidue avvisi di garanzia, con l'accusa di maltrattamenti e, in due casi, di omesso controllo, ad altrettante persone all'interno del «Forteto». Inoltre, in quella stessa occasione si apprese che la procura fiorentina aveva disposto la trasmissione di parte degli atti alla procura della Repubblica di Genova, ufficio requirente competente per le indagini su ipotesi di reato a carico di magistrati del distretto di corte di appello di Firenze. Il 27 dicembre 2012, i magistrati depositarono la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di tutti i ventitré indagati. Il 17 giugno 2015 il processo di primo grado si chiuse con la condanna del «profeta» Roberto Fiesoli a diciassette anni e mezzo di reclusione per abusi sessuali e maltrattamenti; con lui furono condannati altri sedici imputati, tra cui in particolare fu disposta la reclusione di otto anni per Luigi Goffredi, sette anni per Daniela Tardani e quattro anni e mezzo per Mauro Vannucchi, Stefano Pezzati e Luigi Serpi, tutti appartenenti alla comunità e quindi alla cooperativa. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per complessivi 1.260.000 euro immediatamente esecutive in favore delle vittime. Ad alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola, a dimostrazione del fatto che non era estranea alle vicende e che quello del «Forteto» era un vero e proprio sistema. La corte di appello di Firenze, il 15 luglio 2016, ha confermato le condanne (con l'eccezione di quella del Pezzati) riducendo la misura delle pene. La sentenza è stata quasi interamente confermata nel 2017 dalla Corte di cassazione, che per alcuni imputati ha tuttavia dichiarato l'intervenuta prescrizione.Pag. 3
  Rodolfo Fiesoli e Luigi Goffredi, altro leader storico nonché fondatore della comunità «Il Forteto», avevano già avuto nel 1985 una sentenza definitiva di condanna per vari capi d'imputazione tra cui corruzione di minorenne, sottrazione consensuale di minorenne, atti di libidine violenta e usurpazione di titolo. Dalla sentenza emergeva anche l’«istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici».
  Nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo ricevette un ricorso contro l'Italia a causa dell'operato del tribunale per i minorenni di Firenze, presentato da due madri con doppia cittadinanza italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «Il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una frequenza scolastica pressoché nulla.
  Il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali per l'affidamento dei due bambini alla comunità.
  Nonostante i precedenti giudiziari e la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, esponenti – tecnici e politici – della regione Toscana, così come di numerose altre istituzioni locali e nazionali, hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti al «Forteto», elogiandone, tra l'altro, i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità.
  Inoltre, anche gli affidi sono incredibilmente proseguiti: dalla sentenza del 1985 e almeno fino al 2009 sono stati circa sessanta i minori collocati presso famiglie cosiddette «funzionali» (ossia create ad hoc per l'affido) all'interno della comunità; alcuni, addirittura, si trovano ancora adesso all'interno della struttura o comunque affidati a famiglie aderenti alla comunità, che sembra avere tutte le caratteristiche per potersi qualificare come una setta.
  La stessa commissione d'inchiesta regionale si è domandata perché la normativa regionale non sia stata in grado di scongiurare storture o errori procedurali, se vi siano meccanismi da rivedere e se, soprattutto, sia possibile adottare più efficaci mezzi di tutela per i minori che vengono dati in affido. È necessario porsi lo stesso interrogativo a livello nazionale e, per farlo, occorre istituire un'apposita Commissione parlamentare di inchiesta perché ciò che è accaduto al «Forteto» non accada mai più, ma anche e soprattutto per accertarsi che in tutto il territorio nazionale non siano in corso altre somiglianti vicende.
  Per tale motivo, alla Commissione è affidato il compito di accertare i fatti avvenuti presso il «Forteto» e in altri luoghi analoghi o simili in tutto il territorio nazionale, di individuare eventuali lacune nella legislazione nazionale che abbiano permesso il verificarsi e il protrarsi di fatti e situazioni contrari agli obiettivi perseguiti dalla stessa legislazione statale in materia di tutela e promozione dei minori, nonché di proporre possibili soluzioni per le criticità riscontrate.

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PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione parlamentare di inchiesta).

  1. Ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione è istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto», di seguito denominata «Commissione». La Commissione ha il compito di indagare sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto», avente sede nel comune di Vicchio, nella provincia di Firenze, nonché sulle pratiche di affidamento di minori nell'ambito nazionale, verificando l'applicazione delle norme e delle procedure previste per l'affidamento e la loro efficacia per la tutela dei minori affidati.
  2. Al fine di indagare sui fatti accaduti presso la comunità «Il Forteto», la Commissione esamina la gestione di essa dalla sua istituzione e procede in particolare:
   a) all'accertamento dei fatti e delle ragioni per cui le pubbliche amministrazioni e le autorità competenti, comprese quelle investite di funzioni di vigilanza, hanno continuato ad avvalersi della comunità «Il Forteto» o a sostenerne l'attività anche successivamente a procedimenti giudiziari relativi ad abusi sessuali e maltrattamenti fisici e psichici commessi in danno dei minori ospitati presso la comunità;
   b) alla verifica dell'attuale situazione della cooperativa «Il Forteto», con specifico riguardo ai rapporti tra i soci, alla condizione dei lavoratori ivi impiegati e alle relazioni con le istituzioni territoriali di riferimento.

  3. All'esito della verifica eseguita sull'applicazione delle norme e delle procedure previste per l'affidamento di minori Pag. 5e sulla loro efficacia per la tutela dei minori affidati, allo scopo di prevenire eventi analoghi a quelli accertati presso la comunità «Il Forteto», la Commissione può formulare proposte:
   a) sull'adozione di nuovi strumenti per il controllo delle comunità alloggio per i minori, esistenti nel territorio nazionale;
   b) sul potenziamento del sistema dei controlli sui soggetti responsabili dell'affidamento familiare e sull'applicazione di adeguate sanzioni a carico di essi, quando siano accertate violazioni o negligenze.

  4. La Commissione conclude i propri lavori entro diciotto mesi dalla sua costituzione e presenta alla Camera dei deputati una relazione sull'attività svolta e sui risultati dell'inchiesta. Sono ammesse relazioni di minoranza.

Art. 2.
(Composizione e costituzione della Commissione).

  1. La Commissione è composta da venti deputati, nominati dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari e in modo che sia assicurata, comunque, la presenza di almeno un rappresentante per ciascun gruppo.
  2. I componenti della Commissione e coloro che collaborano con la stessa a qualunque titolo devono attestare, con dichiarazione resa al Presidente della Camera dei deputati, di non essere né essere mai stati in alcun modo coinvolti nelle inchieste giudiziarie relative alla comunità «Il Forteto».
  3. Entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, il Presidente della Camera dei deputati convoca la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
  4. L'ufficio di presidenza è composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, eletti a scrutinio segreto tra i membri della Commissione. Per l'elezione Pag. 6del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti la Commissione; se nessuno riporta tale maggioranza, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. È eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o accede al turno di ballottaggio il più anziano di età.
  5. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente la Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi del comma 4, quarto periodo.

Art. 3.
(Poteri e limiti della Commissione).

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
  2. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  3. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.
  4. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi del comma 3 siano coperti dal segreto.
  5. Per il segreto di Stato nonché per i segreti d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti. È sempre opponibile il segreto tra difensore e parte processuale nell'ambito del mandato.Pag. 7
  6. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

Art. 4.
(Obbligo del segreto).

  1. I membri della Commissione, i funzionari, il personale di qualsiasi ordine e grado addetto alla Commissione e ogni altra persona che collabora con la stessa, o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, ovvero ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 4 e 6.
  2. La diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta coperti dal segreto o dei quali è stata vietata la divulgazione è punita ai sensi delle leggi vigenti.

Art. 5.
(Organizzazione dei lavori).

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei suoi lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
  2. Le sedute della Commissione sono pubbliche. La Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
  3. La Commissione può avvalersi dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritiene necessarie.
  4. Per l'adempimento delle sue funzioni, la Commissione fruisce di personale, Pag. 8locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati.
  5. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite annuo massimo di 50.000 euro e sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.