Doc. LVII, n. 5-A-bis

RELAZIONE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE
(BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE)

Presentata alla Presidenza il 20 aprile 2017

(Relatore: D'INCÀ, di minoranza)

sul

DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA 2017

(Articoli 7, comma 2, lettera a), e 10 della legge 31 dicembre 2009, n. 196)

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(GENTILONI SILVERI)

Trasmesso alla Presidenza il 12 aprile 2017  

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  Onorevoli Colleghi ! – Le previsioni programmatiche per il periodo 2017-2020 contenute nel Documento in esame ci prospettano un indebitamento netto pari al 2,1 per cento del PIL per il 2017, all'1,2 nel 2018, allo 0,2 nel 2019 per raggiungere poi il pareggio nel 2020.
  Le previsioni sull'indebitamento del 2017 al 2,1 sono già comprensive della correzione richiesta dalla Commissione europea nella misura dello 0,2 per cento del PIL, tuttavia le misure correttive non sono contenute nello specifico nel presente Documento, ma solo elencate e riguardano anche interventi di aumento della pressione fiscale, quali la rimodulazione delle accise sul tabacco e la revisione dello split payment, che, come rilevato da CONFAPI in audizione, «rischia di sottrarre alle nostre aziende liquidità e IVA a credito». Dunque, la difficoltà di raggiungere gli obiettivi prefissati nel Documento di economia e finanza 2016, nonostante le ripetute richieste di flessibilità, dimostra la fragilità e ristrettezza dei margini entro i quali il Governo, anche per il triennio 2017-2020, cerca di programmare la ripresa economica.
  I consumi privati delle famiglie, in leggero rallentamento nel 2017 ( 0,8 per cento) rispetto al 2016 ( 1,2 per cento), rappresenteranno il maggior fattore di sostegno della domanda interna per la crescita del PIL, nonostante permanga un'alta propensione al risparmio, un'erosione del reddito disponibile legata all'aumento dell'IVA e la moderazione salariale.
  Le esportazioni, come fattore di crescita, subiscono una leggera flessione rispetto al 3,7 per cento previsto nel 2017, attestandosi ad una media del 3,2 per cento, leggermente inferiore al tasso dei mercati esteri di interesse dell'Italia.
  Per quanto concerne il Programma nazionale di riforma, si rileva che nel Documento in esame non sono state inserite novità rispetto alle riforme già contenute nel Documento economia e finanza 2016, nonostante l'attesa della revisione della tassazione dell'IRPEF e la pubblicizzata riduzione a regime del cuneo fiscale, necessarie per recuperare in tempi brevi i livelli occupazionali e di crescita pre-crisi.
  Anche quest'anno il Documento economia e finanza presenta quadri macroeconomici e di finanza pubblica troppo ottimistici e quindi di difficile realizzabilità. Il quadro macroeconomico e gli obiettivi di finanza pubblica per gli anni successivi prospettati dal Governo, nonché le strategie per il conseguimento di tali obiettivi, risultano essere anche quest'anno inidonei e quindi di difficile realizzabilità. Il Governo infatti anche quest'anno mostra delle stime inadeguate e quindi generatrici di incertezza.
  Benché formalmente il Consiglio dell'Ufficio parlamentare di bilancio abbia validato le previsioni tendenziali, anche quest'anno ricorda al Governo che utilizza delle stime eccessivamente ottimistiche. Lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio indica come sostanzialmente insoddisfacente il quadro complessivo della linea politica di bilancio. Concordiamo inoltre con l'Ufficio parlamentare di bilancio, che pone giustamente l'accento sulle indicazioni e le caratteristiche degli interventi espansivi su cui si basa il Documento in esame. Tali scenari rendono del tutto impossibile la disattivazione delle clausole di salvaguardia. Tutto il quadro prospettato dal Governo è attraversato da una incertezza di base sulla dimensione dell'aggiustamento necessario e delle manovre da attuare.Pag. 4
  Tale sopravvalutazione del quadro tendenziale, che poi è alla base della politica economica del Governo, non potrà far altro che generare nuova incertezza e misure inadeguate.
  Il Governo dovrebbe anche avviare un concreto piano di intervento per la tutela e la messa in sicurezza del territorio, nell'ottica della prevenzione del rischio idrogeologico e sismico, individuando risorse certe, anche attraverso una transizione «virtuosa» dalle dinamiche della legge obiettivo ad una più attenta programmazione delle opere pubbliche, privilegiando quelle che siano davvero utili per il Paese.
  Visti i preoccupanti dati sulla disoccupazione, è forte la necessità di regolare il mercato del lavoro puntando su redistribuzione e innovazione, dunque su un'idea diversa di stimolo alla domanda e non sulla mera svalutazione dei lavoratori, sempre più precari e sottopagati, e dei loro diritti. Quindi il Governo dovrebbe invertire le politiche economiche adottate sino ad oggi, basate sul principio del labour intensive, che a loro volta si fondano sulla precarizzazione dei lavoratori e la riduzione del loro salario, adottando politiche economiche capital intensive, investendo nei settori quali l'energia pulita e l'innovazione.
  Per rilanciare il Paese è necessario operare una drastica correzione degli indirizzi di politica economica e sociale seguiti negli ultimi anni, finalizzati non più al cieco e affannoso rincorrere di teorie neoliberali, oppressive nei confronti delle fasce più deboli della popolazione, e cercando di incasellare i dati relativi alle performance dell'Italia in sterili parametri imposti dall'alto, bensì proiettati al rinnovamento del Paese, alla realizzazione di un settore produttivo più competitivo, alla promozione di una maggiore coesione ed equità sociali, facendosi promotore di iniziative idonee ad accelerare la transizione ad un modello alternativo di sviluppo, sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico, e che ristabilisca equità e giustizia sociale ricreando, in tal modo, prospettive economiche ed occupazionali stabili, che possano portare fiducia nei cittadini e sostegno della domanda di beni e servizi nel medio-lungo termine, indispensabile per progettare una crescita economica stabile nel tempo.
  Bisogna individuare obiettivi di spesa che siano necessariamente etici e rispondenti a valutazioni di impatto sociale, pur nell'attenta considerazione delle risorse disponibili, e adottare misure di spending review per finanziare la riduzione del carico fiscale a famiglie ed imprese, evitando di tagliare servizi e agevolazioni vigenti di sostegno al reddito, per rendere effettiva la riduzione della pressione fiscale piuttosto che conseguirla fittiziamente mediante delle semplici «partite di giro».
  Bisogna promuovere in ogni sede e con ogni mezzo la rivisitazione dei trattati internazionali, in particolare il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione europea», al fine di abbandonare la deleteria politica di rigore ed assumere iniziative, anche in sede di Unione europea, per abbandonare l'uso di un indice poco rappresentativo del benessere di un Paese e dei suoi cittadini, quale il Prodotto interno lordo, e adottare, nell'ambito della programmazione economica, indici alternativi quali la coesione sociale, i salari, la sicurezza dell'impiego, l'ambiente, la salute, la sicurezza, la qualità, il costo delle abitazioni, l'educazione e quant'altro possa essere in grado di rappresentare aspetti più rilevanti del benessere dei cittadini.
  Un Governo che abbia come missione quella di far uscire il Paese dalla crisi, migliorando nel contempo le condizioni di vita dei cittadini, piuttosto che vessarli per rispettare sterili parametri, dovrebbe adottare tutte le misure di politica economica idonee ad accelerare il tasso di crescita dell'economia, derogando, sin dalla programmazione 2017-2020 in corso, alle regole di austerity del Fiscal compact, in coerenza con la volontà di porre il veto all'inserimento del medesimo nei Trattati europei e dare corso ad un periodo di politica economica espansiva, che abbia come priorità la destinazione di tutte le Pag. 5risorse disponibili agli investimenti pubblici, al sostegno dei redditi più bassi e al miglioramento delle condizioni di vita della collettività.
  È indispensabile sospendere l'applicazione del raggiungimento del pareggio di bilancio e quindi il rispetto dell'indebitamento entro il 3 per cento del PIL, fino al conseguimento di uno stato di benessere sociale, in termini di sicurezza dell'occupazione, servizi ai cittadini, forme di sostegno ai redditi più bassi, innovazione e qualità dell'ambiente, pari ai livelli più elevati della media europea.
  È necessario sostenere nelle sedi europee la politica di espansione tramite l'interpretazione estensiva dei trattati esistenti, in modo da abbandonare l'attuale interpretazione promotrice di politiche di austerità.
  Bisogna intervenire, anche nelle sedi europee, per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più sull'abbattimento accelerato dei debiti pregressi, ma concordando la riduzione progressiva del debito attraverso la crescita economica e in concomitanza con una congiuntura economica favorevole.
  Non è più procrastinabile la promozione in sede europea di iniziative per l'armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione, se vogliamo davvero un'Europa dei popoli solidale e con condivisione non solo dei benefici ma anche dei rischi.
  Il Governo in questi anni avrebbe dovuto programmare una politica mission oriented incentrata sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave, con particolare attenzione al comparto dell'energia pulita, e a considerare come vincolanti gli indicatori di Benessere Equo e Sostenibile recentemente individuati nel Documento di economia e finanza, rendendoli programmatici. Invece il Governo ha preferito adottare politiche di austerity, puntando su precarizzazione dei lavoratori e dismissione di asset produttivi tramite le cosiddette privatizzazioni. A tal proposito il Documento in esame non fornisce indicazioni dettagliate sulle partecipazioni oggetto di dismissioni, né sui potenziali introiti.
  Il tema delle privatizzazioni è al centro dell'agenda italiana da più di vent'anni, determinando una progressiva diminuzione della presenza dello Stato nella proprietà degli asset strategici e dei mezzi di produzione del Paese, ma le diverse privatizzazioni effettuate in Italia in questo lasso di tempo mostrano come l'affidarsi al mercato non è stato risolutivo per il miglioramento dei servizi ai cittadini, rivelandosi un falso mito.
  Come abbiamo già ricordato in una nostra recente risoluzione, per far sì che sia accettabile la scelta di privatizzare le imprese pubbliche, questa deve creare dei benefici collettivi e di interesse generale superiori ai costi sociali e di perdita di competitività del Paese che tale scelta produce. Questo Governo e i precedenti hanno ottenuto l'effetto opposto.
  In merito alla strategia di dismettere asset produttivi pubblici per procurarsi una fonte di entrata ad hoc da destinare alla riduzione del debito pubblico, appare quantomeno pleonastico agli occhi del gruppo MoVimento 5 Stelle dover osservare come il privarsi di un mezzo produttivo per ripagare un debito, o meglio una minima parte di un debito, altro non sia che un privare le generazioni future di strumenti per poter ripagare la restante parte di debito. Strategia quantomeno bizzarra e sicuramente fallimentare.
  Appare inoltre sconcertante come un Paese, che ha fondato la propria esistenza sulla «solidarietà economica e sociale» (articolo 2 della Costituzione italiana) possa appiattirsi a tal punto su un sistema «concorrenziale», abbandonando i suddetti nobili principi di solidarietà.
  La soluzione di adottare la strategia della privatizzazione per risolvere le inefficienze gestionali delle imprese pubbliche nasce da una serie di errate convinzioni e scarsa conoscenza delle materie economiche. Infatti il preconcetto che l'inefficienza gestionale delle imprese pubbliche sia da imputare a chi detiene la proprietà dell'impresa e quindi che la privatizzazione sia la soluzione per creare efficienza nasce Pag. 6dal riferimento al «piccolo imprenditore privato», che in una mal interpretata visione neoclassica riesce a massimizzare la produttività grazie al controllo diretto. Il mito crolla quando si osserva il fatto che le grandi organizzazioni pubbliche, avendo una separazione tra proprietà e gestione, come le organizzazioni private, hanno a disposizione gli stessi strumenti di pianificazione e controllo di queste ultime. In più tali tesi si fondano sull'errata convinzione che «mercato» sia sinonimo di «concorrenza perfetta» (che tra le altre cose è una situazione puramente astratta), dimenticando che il mercato è condizionato da fenomeni, come il lock-in, imprescindibilmente legati alle condizioni di partenza, che generano situazioni diverse in casi e tempi diversi, tutto questo peggiorato da un'altissima asimmetria di informazione che disintegra totalmente qualsiasi «sovranità del consumatore».
  Le azioni del Governo in carica e dei suoi predecessori, nonché le varie privatizzazioni, hanno dimostrato che sia il Governo che gli imprenditori che si sono sostituiti allo Stato hanno perseguito interessi di breve periodo, puntando più sul profitto immediato, riducendo l'offerta, piuttosto che sull'innovazione del servizio stesso. Il tutto è alquanto ovvio in quanto si sono ritrovati a operare in regimi di oligopolio o di monopolio naturale, quindi non sono stati sottoposti ad alcuna spinta all'innovazione e al miglioramento del servizio. Ad esempio possiamo citare il ritardo tecnologico provocato dalla mancanza di investimenti nel comparto della telefonia, dopo la privatizzazione. Tale ritardo tecnologico ha generato la piaga del digital divide, che insiste sul territorio nazionale e che provoca ulteriori rallentamenti in altri ambiti quali quello culturale, imprenditoriale e innovativo.
  In conclusione, il Governo attuale e i precedenti, sia negli anni precedenti la crisi che dal 2008 ad oggi, hanno perso l'occasione di mettere in campo misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, al pari di quelle già adottate dagli altri Paesi europei, quali il reddito di cittadinanza da noi più volte invocato, e hanno anche perso l'occasione per uscire dalla crisi mettendo in campo politiche mission oriented finalizzate all'innovazione in settori strategici, creatori di nuovi mercati, quali a mero titolo di esempio il settore della green economy. Hanno quindi perso in tutti questi anni l'occasione per migliorare il benessere dei cittadini italiani.
  Oramai siamo in affanno con i conti, con un debito sovrano che è cresciuto negli ultimi 10 anni. Non ha senso perseverare nell'errata convinzione di migliorare il benessere dei conti e del Paese utilizzando gli impegni del Fiscal compact, che i Governi, sia di centro-destra che di centro-sinistra, hanno sottoscritto. Non siamo in grado di sostenere la competitività con i Paesi europei più forti, quali la Germania, che hanno anticipato le riforme strutturali in tempi precedenti la crisi, e il continuare manovre di contrazione della nostra capacità produttiva, tramite una carenza di spesa in investimenti, soprattutto in innovazione, porterà solo ad acuire tale situazione. Il tempo rimasto è esiguo e si avvicina il 2018, anno in cui è prevista la riduzione da parte della BCE del quantitative easing e che, in mancanza di un rilancio serio della nostra economia, ci troverà impreparati, con il rischio di far crollare definitamente la credibilità del nostro Paese. Siamo ancora oggi nelle mani di una maggioranza che ci ha condotto in una situazione difficile e precaria. Auspichiamo che il Governo della prossima legislatura si discosti totalmente dal dilettantismo e dalla scelleratezza a cui siamo da anni abituati.

Federico D'INCÀ,
Relatore di minoranza.