Doc. XXII-bis, N. 6

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL SISTEMA DI ACCOGLIENZA E DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE, NONCHÉ SULLE CONDIZIONI DI TRATTENIMENTO DEI MIGRANTI E SULLE RISORSE PUBBLICHE IMPEGNATE

(Istituita con delibera della Camera dei deputati del 17 novembre 2014, modificata con delibera del 23 marzo 2016)

(composta dai deputati: Gelli, Presidente, Beni, Binetti, Brescia, Vicepresidente, Burtone, Carnevali, Chaouki, Colonnese, Dambruoso, Fontana, Gadda, Segretaria, Guerini, Locatelli, Lorefice, Moretto, Palazzotto, Segretario, Patriarca, Vicepresidente, Piepoli, Ravetto, Rondini, Totaro)

RELAZIONE AI SENSI DELL'ARTICOLO 2, COMMA 5, ULTIMO PERIODO DELLA DELIBERA ISTITUTIVA DELLA COMMISSIONE DI INCHIESTA 17 NOVEMBRE 2014, COME MODIFICATO DALLA DELIBERA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI 23 MARZO 2016, SULL'ATTIVITÀ SVOLTA FINO AL 31 GENNAIO 2016

(Relatore: on. Federico GELLI)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 3 maggio 2016

Comunicata alla Presidenza il 3 maggio 2016

Pag. 3

I N D I C E

PREMESSA Pag. 8
LA COMMISSIONE DI INCHIESTA » 8
la delibera istitutiva » 8
costituzione e regole di funzionamento interno » 9
collaborazioni esterne » 10
METODOLOGIA DELL'INDAGINE PARLAMENTARE » 10
costituzione di gruppi di lavoro » 10
il sistema di identificazione e prima accoglienza dei migranti, rapporti con il sistema normativo europeo » 10
profilassi e assistenza sanitaria » 11
il sistema dei centri, la ripartizione sul territorio nazionale e i servizi offerti per integrazione e lavoro » 11
la protezione dei minori stranieri non accompagnati (msna) e altre categorie vulnerabili » 12
l'affidamento dei centri, la gestione contabile e il sistema dei controlli » 12
le procedure amministrative e giurisdizionali per l'asilo » 12
i cie e il funzionamento del sistema dei rimpatri » 12
l'analisi dei costi complessivi del sistema » 13
le risultanze delle inchieste giudiziarie: i correttivi da introdurre nel sistema » 13
SINTESI DELL'ATTIVITÀ SVOLTA » 14
elenco delle audizioni » 14
elenco delle missioni » 15
gli incontri informali » 16
il materiale documentale » 16
il compendio statistico » 16
IL SISTEMA DI IDENTIFICAZIONE » 18
LA DIMENSIONE EUROPEA » 18
il regolamento Eurodac e il regolamento Dublino 3 » 18
l'Agenda europea sulla migrazione: hotspot e relocation » 19
LE PROCEDURE DI IDENTIFICAZIONE » 22
l'identità anagrafica » 22
l'intervista » 22
l'identità dattiloscopica » 23
Pag. 4
I SITI DI IDENTIFICAZIONE: GLI HOTSPOT Pag. 25
l'attuazione della roadmap » 25
l'attivazione dei primi hotspot » 27
le innovazioni procedurali » 28
la configurazione giuridica » 33
i criteri di selezione » 34
l'informativa legale » 37
l'obbligo di identificazione » 38
il rifiuto di identificarsi » 39
LA PROCEDURA DI RELOCATION IN ITALIA » 41
I TRANSITANTI » 43
IL SISTEMA DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA, LE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO E I CONTROLLI » 45
l'ambito dell'indagine » 45
l'attività istruttoria svolta fino al 31 gennaio 2016 » 45
premessa » 46
IL MODELLO ORGANIZZATIVO DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA » 48
i centri di soccorso e prima accoglienza » 49
la seconda accoglienza: lo sprar » 51
i Centri di accoglienza straordinari » 56
gli ulteriori circuiti di accoglienza » 58
governance, forme di coordinamento territoriale e distribuzione dei centri sul territorio nazionale » 59
le procedure di affidamento » 63
i servizi erogati » 66
I controlli » 70
il completamento del sistema di accoglienza » 72
I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI E GIURISDIZIONALI » 75
IL DIRITTO DI ASILO » 75
premessa: il quadro normativo di riferimento » 75
LA PROCEDURA AMMINISTRATIVA » 79
premessa » 79
la Commissione nazionale per il diritto di asilo » 80
le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale » 81
il procedimento di esame delle domande » 83
i dati sull'attività delle commissioni » 86
i costi » 88
elementi di valutazione sul procedimento amministrativo » 89
IL PROCEDIMENTO GIURISDIZIONALE » 90
il giudizio » 90
l'istruttoria » 91
il reperimento degli interpreti » 93
l'accesso al gratuito patrocinio » 93
la formazione e la specializzazione dei magistrati » 94
Pag. 5
la difformità di giudizio tra Commissioni e organi giudiziari: i dati Pag. 95
i tempi della decisione » 95
I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE ED IL SISTEMA DEI RIMPATRI » 102
I PROVVEDIMENTI DI ALLONTANAMENTO DAL TERRITORIO NAZIONALE » 102
il quadro normativo di riferimento » 102
il provvedimento di respingimento alla frontiera » 103
il cd. respingimento «differito» » 104
i provvedimenti di espulsione » 105
il sistema delle tutele » 108
I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE » 109
il quadro normativo di riferimento » 109
il ricorso al trattenimento nei cie » 112
i sopralluoghi al cie di roma e di bari » 114
IL SISTEMA DEI RIMPATRI » 118
gli accordi internazionali » 118
costi e procedure » 119
dati sui rimpatri forzati e spontanei » 119
I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI » 121
premessa » 121
il quadro normativo di riferimento » 123
IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA » 125
la governance del sistema di accoglienza » 125
le strutture di accoglienza » 127
la procedura » 130
gli irreperibili » 130
l'accertamento dell'età » 131
i sopralluoghi nei centri » 132
il quadro statistico » 132
PROFILASSI E ASSISTENZA SANITARIA » 136
l'attività istruttoria svolta fino al 31 gennaio 2016 » 136
il diritto all'assistenza sanitaria » 137
l'accesso alle cure mediche » 137
la salute mentale e psicologica dei migranti » 139
la conservazione della cartella personale » 139
L'ASSISTENZA SANITARIA ALL'INTERNO DEI CENTRI » 140
cara di mineo (ct), 25 maggio 2015 » 140
cpsa di pozzallo (rg), 27 maggio 2015 » 142
cpsa di lampedusa (ag), 22 giugno 2015 » 143
centri per minori di giarre e di mascali (ct), 3 luglio 2015 » 144
cara di sant'anna (isola capo rizzuto, kr), 13 luglio 2015 » 145
centro baobab, roma, 3 agosto 2015 » 145
cie di ponte galeria (rm), 26 ottobre 2015 » 146
cara di castelnuovo di porto (rm), 26 ottobre 2015 » 146
cie di bari palese, 10 dicembre 2015 » 147
Pag. 6
LE INCHIESTE GIUDIZIARIE » 148
premessa » 148
mafia Capitale » 149
Cara di Mineo » 149
il cas «di francia park» » 151
il cara di Aprigliano » 151
Pag. 7

  La presente relazione viene presentata alla Presidenza della Camera in adempimento di quanto prescritto dall'articolo 2, comma 5, ultimo periodo della delibera istitutiva della Commissione di inchiesta, come integrato a seguito della deliberazione della Camera dei deputati 23 marzo 2016 (G.U. n. 76 del 1o aprile 2016) recante modifiche alla originaria deliberazione istitutiva della Commissione.
  Il documento riguarda pertanto l'attività di indagine condotta dall'organo parlamentare dalla sua costituzione, avvenuta il 26 marzo 2015, alla data del 31 gennaio 2016.
  Poiché l'arco di tempo considerato precede l'entrata in vigore della deliberazione modificativa dell'atto istitutivo originario della Commissione, nella descrizione dei suoi compiti – così come nella sua denominazione – si farà riferimento esclusivamente a quanto disposto dalla deliberazione istitutiva della Commissione nel suo contenuto originario.
  Non sarà invece presa in considerazione la modifica di quest'ultima, che ne proroga la durata fino al termine della legislatura e ne muta parzialmente la denominazione, in corrispondenza ad una più specifica e dettagliata definizione dei contorni e dei contenuti della materia oggetto dell'inchiesta parlamentare, secondo quanto suggerito dall'esperienza del primo anno di attività.

  La Commissione, nel predisporre la presente relazione, ha inteso fornire un quadro esaustivo dell'attività di indagine condotta dall'organo parlamentare fino al 31 gennaio 2016, offrendo un riscontro puntuale della metodologia di lavoro adottata, dei contenuti delle audizioni, degli esiti dei sopralluoghi, degli incontri informali svolti, dei documenti acquisiti e di ogni altro elemento informativo di cui la Commissione ha potuto avvalersi e che costituirà la base conoscitiva delle prossime relazioni periodiche ai sensi dell'articolo 2 comma 5, della deliberazione istitutiva, come modificata dalla deliberazione della Camera dei deputati 23 marzo 2016 (G.U. n. 76 del 1o aprile 2016).

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PREMESSA

LA COMMISSIONE DI INCHIESTA

La delibera istitutiva

  Con la delibera 17 novembre 2014 (Gazzetta Ufficiale n. 275 del 26 novembre 2014) la Camera dei deputati ha istituito la Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione.
  La durata originaria della Commissione era fissata in un anno, a decorrere dalla sua costituzione, avvenuta il 26 marzo 2015 con l'elezione del proprio Ufficio di presidenza. Il suddetto termine annuale operava altresì anche come scadenza per la presentazione della relazione finale.
  Per il funzionamento della Commissione era quindi stabilita la spesa massima di euro 100.000 di cui 10.000 euro per l'anno 2014 e 90.000 euro per l'anno 2015.
  Essa è composta da 21 deputati, in rappresentanza di tutti i Gruppi parlamentari.
  I compiti affidati all'organo parlamentare erano così descritti nella deliberazione originaria:
   a) accertare se nei CDA, nei CARA e nei CIE si siano verificati condotte illegali e atti lesivi dei diritti fondamentali e della dignità umana e se, in particolare, siano stati praticati trattamenti disumani o degradanti nei confronti dei migranti ivi accolti o trattenuti;
   b) accertare se nei CDA, nei CARA e nei CIE si siano verificati gravi violazioni delle regole dei centri nonché comportamenti violenti o commessi in violazione di disposizioni normative da parte delle persone ospitate;
   c) ricostruire in maniera puntuale le circostanze in cui si siano eventualmente verificati le condotte e gli atti di cui alla lettera a);
   d) indagare sui tempi e sulle modalità di accoglienza nei CDA e nei CARA e sulle modalità di trattenimento nei CIE e, in relazione a tali ultimi centri, verificare se sia data effettiva e puntuale applicazione alle disposizioni e alle garanzie a tutela degli stranieri espulsi e trattenuti previste dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, anche al fine di accertare eventuali responsabilità che possono aver determinato eventi critici in tali centri;
   e) verificare l'adeguata tenuta di registri di presenza delle persone trattenute all'interno di ciascun CIE e di quelle ospitate all'interno di ciascun CDA e di ciascun CARA, che contengano altresì informazioni precise e dettagliate sul tempo di permanenza dei soggetti trattenuti, sulle loro condizioni di salute o sulla dipendenza da sostanze psicotrope e sulla loro eventuale precedente permanenza Pag. 9in carcere o in altri CIE, CDA e CARA, nonché la trasparenza di tali informazioni e la loro adeguata messa a disposizione, in particolare nei riguardi delle autorità amministrative, di polizia e giudiziarie interessate al fenomeno dell'immigrazione regolare o irregolare;
   f) valutare l'efficacia dell'attuale sistema dei CIE sotto il profilo dell'identificazione delle persone ivi trattenute, in relazione sia alla durata massima del periodo di trattenimento all'interno dei centri, sia alla sua proporzionalità rispetto al grado di privazione della libertà personale delle persone sottoposte a detenzione amministrativa;
   g) verificare le procedure adottate per l'affidamento della gestione dei CDA, dei CARA e dei CIE ai rispettivi enti;
   h) esaminare le convenzioni stipulate con gli enti gestori dei centri e accertare eventuali responsabilità relative alla mancata offerta dei servizi ivi previsti secondo livelli adeguati e di qualità e che gli stessi non siano implicati in procedimenti penali relativamente alla gestione, anche in passato, di centri di accoglienza o di CIE;
   i) verificare l'effettivo rispetto dei criteri di gestione previsti dalle vigenti disposizioni normative e regolamentari per ciò che attiene ai servizi di orientamento nonché di tutela legale e sociale erogati nei CDA, nei CARA e nei CIE, con particolare attenzione alle prestazioni sanitarie, al rispetto della disciplina relativa al diritto d'asilo e alla tutela dei soggetti più vulnerabili;
   l) valutare l'attività delle autorità responsabili del controllo e del rispetto delle convenzioni di cui alla lettera h);
   m) valutare la sostenibilità dell'attuale sistema sotto il profilo economico e la possibilità di adottare, a parità di risorse impiegate, nuove e diverse soluzioni normative per la gestione della questione dell'immigrazione.

Costituzione e regole di funzionamento interno

  La Commissione si è costituita il 26 marzo 2015, con l'elezione del Presidente, Gennaro Migliore, e dell'Ufficio di presidenza.
  La successiva seduta, il 9 aprile 2015, è stata dedicata all'esame e all'approvazione del Regolamento interno.
  In adempimento della funzione conferitagli dal medesimo Regolamento, l'Ufficio di presidenza ha adottato la delibera in merito al regime di divulgazione degli atti e dei documenti. Anche tale deliberazione è stata comunicata alla Commissione nella seduta del 9 aprile 2015.
  Nella seduta del 14 maggio 2015 è stata comunicata in sede plenaria la deliberazione dell'Ufficio di presidenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 4, della delibera istitutiva e dell'articolo 19, comma 4, del Regolamento interno, con cui si conferisce al personale del Nucleo speciale della Guardia di finanza presso le Commissioni parlamentari di inchiesta che cura l'archivio informatico, il compito di informatizzazione degli atti prodotti e della documentazione acquisita, secondo Pag. 10le indicazioni fornite dal Presidente, nonché alla relativa indicizzazione.

Collaborazioni esterne

  Ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della delibera istitutiva e dell'articolo 23 del Regolamento interno, su proposta del Presidente, L'Ufficio di presidenza ha quindi adottato – a più riprese – le deliberazioni necessarie per consentire alla Commissione di avvalersi di collaborazione esterne ritenute necessarie per lo svolgimento della propria funzione istituzionale.
  In particolare, la Commissione si è potuta avvalere – ottenendo le prescritte autorizzazioni da parte delle amministrazioni di appartenenza – di un consulente a tempo pieno proveniente dalla magistratura (che ha preso possesso delle funzioni a partire dal mese di novembre 2015), di un ufficiale di collegamento della Polizia di Stato (la cui collaborazione è stata autorizzata solo nel mese di luglio 2015) e di un Sostituto Commissario della Polizia di stato (già distaccata presso gli Uffici della Camera dei deputati).
  Nel corso del 2015 la Commissione ha deliberato – - ottenendo le prescritte autorizzazioni da parte degli enti datoriali, ove necessarie – di avvalersi della collaborazione di 20 consulenti a tempo parziale. Di ognuno dei consulenti nominati dall'organo parlamentare è stato vagliato con cura il relativo curriculum vitae e la specifica competenza in funzione del contributo che poteva fornire ai lavori della Commissione.
  Inoltre, nessuna collaborazione prevede oneri per la Camera e il rimborso spese per i consulenti avviene solo per coloro che non fanno base a Roma ed esclusivamente in occasioni di presenza a Roma conseguente ad un espresso invito della Commissione (secondo la determinazione assunta dall'Ufficio di presidenza e comunicata nella seduta plenaria del 21 aprile 2015).

METODOLOGIA DELL'INDAGINE PARLAMENTARE

Costituzione di gruppi di lavoro

  Per un più proficuo e tempestivo adempimento del mandato, la Commissione, sin dai mesi iniziali del suo operato, ha strutturato l'inchiesta in specifici filoni di indagine.
  L'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 16 luglio 2015, ha individuato le seguenti nove tematiche di approfondimento, ciascuna delle quali suscettibile di essere ulteriormente frazionata in segmenti di indagine più specifici, affidando compiti istruttori ad altrettanti gruppi di lavoro interno.

Sistema di identificazione e prima accoglienza dei migranti, rapporti con il sistema normativo europeo

  La prima riguarda il sistema di identificazione e prima accoglienza dei migranti, che costituisce un oggetto di strettissima attualità Pag. 11in ragione delle sue interferenze con il sistema normativo europeo definito dal Regolamento (UE) n. 604 del 2013 (cosiddetto «Dublino 3»).
  Come verrà evidenziato nel paragrafo apposito, tale argomento è stato oggetto di una sensibile evoluzione con il progressivo affermarsi dell'approccio «hotspot» e con la correlata introduzione della procedura di ricollocazione dei migranti (definita nelle decisioni n. 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015, e n. 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015), procedura che purtroppo non sembra aver raggiunto i risultati sperati.
  Inoltre, al tema dell'identificazione la Commissione parlamentare di inchiesta ha opportunamente collegato la ricognizione – anch'essa di estrema importanza e delicatezza – sulle condizioni in cui permangono nel territorio nazionale i cosiddetti «transitanti», ovvero coloro che – sottraendosi all'identificazione e non presentando domanda di protezione internazionale – non entrano nel circuito ufficiale dell'accoglienza, in virtù della loro volontà di proseguire il percorso migratorio in altri Paesi.

Profilassi e assistenza sanitaria

  La seconda tematica d'indagine concerne invece il sistema di profilassi e assistenza sanitaria, con specifico riguardo alla visita sanitaria di ingresso e alle prestazioni erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale. Obiettivo di questo segmento di indagine è quello di individuare le migliori pratiche per coniugare l'esigenza di potenziare la tutela del fondamentale diritto alla salute di coloro che sbarcano sulle nostre coste, con la necessità di adottare ogni misura opportuna per la prevenzione dei rischi, a tutela della popolazione residente.

Il sistema dei centri, la ripartizione sul territorio nazionale e i servizi offerti per integrazione e lavoro

  Un terzo filone di indagine si è concentrato sul sistema dei centri di accoglienza, al fine di valutare i possibili modelli organizzativi.
  In particolare, la Commissione ha inteso valutare il modello realizzato nel recente passato, caratterizzato da strutture «permanenti» di grandi dimensioni ed altre strutture temporanee di carattere straordinario in termini comparativi con modelli di accoglienza diffusa, quali si realizzano già in parte con la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e con altre forme di coinvolgimento della autonomie territoriali e delle reti di associazioni e operatori in ambito sociale.
  Questo segmento di attività implica, altresì, una valutazione dell'attuale meccanismo di riparto quantitativo dei richiedenti asilo sul territorio nazionale fissato dall'accordo stipulato nella riunione della Conferenza Unificata del 10 luglio 2014, per verificare se esso risponda ai suoi obiettivi originari di coinvolgimento delle istituzioni territoriali e di realizzazione delle migliori condizioni per fornire ai Pag. 12fruitori dell'accoglienza efficaci servizi e strumenti di integrazione sociale.

La protezione dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) e delle altre categorie vulnerabili

  Un quarto tassello dell'indagine riguarda il tema della protezione dei minori stranieri non accompagnati e delle altre categorie di soggetti vulnerabili.
  Le cronache di questo arco di tempo hanno ripetutamente portato all'attenzione dell'opinione pubblica una situazione che la Commissione sta indagando con il doveroso grado di approfondimento e sensibilità, per conoscere nel modo più dettagliato possibile la situazione in cui vengono accolti e protetti i minori stranieri non accompagnati, così come le donne incinte o vittime di tratta, le famiglie mononucleari o i soggetti affetti da malattie, che approdano nel nostro Paese tramite percorsi dolorosi ed impervi.

Affidamento dei centri, la gestione contabile e il sistema dei controlli

  Un quinto oggetto di indagine riguarda il meccanismo dei bandi di gara per l'affidamento degli appalti dei servizi di accoglienza dei migranti, in funzione di una attenta verifica dei requisiti indicati per l'accesso alla procedura, degli strumenti di gestione contabile e del sistema dei controlli, sia sul piano strettamente finanziario sia su quello – invero più difficilmente valutabile ma sicuramente decisivo in questo settore – della qualità e dell'efficacia dei servizi offerti.

Procedure amministrative e giurisdizionali per l'asilo

  Un sesto aspetto su cui si fonda l'intero sistema dell'accoglienza dei migranti riguarda poi le procedure amministrative e giurisdizionali per l'asilo. In questo ambito, la Commissione si è proposta di analizzare tempi e modalità di esame delle domande di protezione internazionale, allo scopo di individuare misure per la semplificazione e l'accrescimento dell'efficienza del lavoro delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Ma ancor più decisiva è risultata essere l'analisi delle prospettive di miglioramento dei procedimenti giurisdizionali di verifica delle decisioni assunte in prima battuta, vero nodo cruciale per le sue ricadute sui tempi di permanenza e su una fisiologica alternanza di ingressi e uscite nei centri di seconda accoglienza, con effetti sulla sostenibilità del sistema.

Il CIE e il funzionamento del sistema dei rimpatri

  Un settimo tema – invero massimamente sensibile – riguarda le misure di trattenimento dei migranti nei Centri di identificazione ed Pag. 13espulsione (CIE) e il funzionamento del sistema dei rimpatri. Pur trattandosi di strutture di piccole dimensioni (almeno nel periodo considerato nella presente relazione, essendo al riguardo note le scelte governative di futuro ampliamento) i CIE rappresentano un punto di grande criticità per il loro impatto sulle garanzie costituzionali di tutela della persona e di conformità ai principi di solidarietà del diritto internazionale su cui l'indagine parlamentare intende fare pienamente luce. Sull'altro versante, occorre individuare misure che assicurino l'effettività delle decisioni di rimpatrio che, come noto, richiedono la collaborazione di Stati di origine per i quali, senza un accordo di reingresso assunto a livello europeo e dotato di adeguate compensazioni, i margini di interesse sono chiaramente minimi.

Analisi dei costi complessivi del sistema

  Costituisce anche materia dell'inchiesta parlamentare – ed è l'ottavo filone di indagine – l'analisi dei costi complessivi del sistema. Come specificato in sede di dibattito parlamentare della proposta di istituzione di una ulteriore Commissione di inchiesta (Doc. XX2, n. 38, di iniziativa dei deputati Fedriga ed altri), rientra pienamente nella competenza di quest'organo – ed anzi ne costituisce un elemento essenziale – l'accertamento dell'uso delle risorse economiche nazionali ed internazionali impegnate, allo scopo di verificare le modalità del loro impiego e il loro efficace utilizzo, nel quadro di un'indagine ad ampio spettro sulla complessiva gestione dei centri, sull'efficienza delle strutture, sulle procedure di affidamento e sulle convenzioni stipulate con gli enti gestori, elementi decisivi per una reale valutazione delle politiche di settore e dei loro parametri finanziari.
  Di tale filone di indagine non verranno in questa sede indicate le prime risultanze istruttorie, in quanto tale tematica richiede evidentemente un raffronto con un quadro completo ed esauriente di tutti gli aspetti del sistema di accoglienza, che sarà completato solo nel prosieguo del lavoro dell'organo parlamentare.

Risultanze delle inchieste giudiziarie: i correttivi da introdurre nel sistema

  Infine, l'ultimo campo di indagine – il nono – si riferisce alle risultanze delle principali inchieste giudiziarie che hanno coinvolto il settore dell'accoglienza. Su questo campo la Commissione parlamentare di inchiesta si è mossa con uno spirito di pieno rispetto degli ambiti di pertinenza della magistratura, ma con la consapevolezza di come la documentazione giudiziaria acquisita (a partire dalla fondamentale operazione nota come «Mafia Capitale», condotta dalla Procura della Repubblica di Roma), possa far emergere chiavi di lettura utili a comprendere il passato, nonché suggerire misure correttive da introdurre nel sistema.

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SINTESI DELL'ATTIVITÀ SVOLTA

Elenco delle audizioni

  In sintesi, per dar conto dell'attività svolta fino al 30 gennaio 2016, si rappresenta che da quando è divenuta operativa, ossia dal mese di maggio 2015, la Commissione ha fin qui svolto 40 sedute e 60 audizioni (per 82 ore di lavori), cui si aggiungono 27 audizioni svolte nel corso delle missioni (per ulteriori 26 ore).
  Si riporta di seguito l'elenco della audizioni in ordine cronologico:

Nome Qualifica Data seduta
Mario Morcone Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno 7 maggio 2015;
21 luglio 2015;
3 dicembre 2015
Angelo Trovato Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo 14 maggio 2015
Daniela Di Capua Direttrice del Servizio centrale dello SPRAR 21 maggio 2015 24 novembre 2015
Alberto Barbieri
e Laura Deotti
Rappresentanti dell'associazione Medici per i diritti umani (MEDU) 25 maggio 2015
Giuseppe Pignatone Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma 17 giugno 2015
Luca Zaia Presidente della Regione Veneto 17 giugno 2015
Augusto Rollandin Presidente della Regione Valle D'Aosta 18 giugno 2015
Franco Gabrielli Prefetto di Roma 18 giugno 2015
Giuseppe Castiglione Sottosegretario di Stato, alle politiche agricole alimentari e forestali 24 giugno 2015 e 22 dicembre 2015
Stefano Principato, Leonardo Torrisi, Antonella Fabiano, Rappresentanti del Comitato provinciale di Catania della Croce Rossa Italiana e direttore sanitario CRI della Regione Sicilia 30 giugno 2015
Ignazio Marino
e Francesca Danese
Sindaco e Assessore alle politiche sociali del Comune di Roma 23 luglio 2015 e 4 agosto 15
Angelino Alfano Ministro dell'Interno 29 luglio 2015
Daniela Stradiotto Direttrice del servizio di Polizia Scientifica della Polizia di Stato 10 settembre 2015
Sergio Chiamparino Presidente della Regione Piemonte 17 settembre 2015
Maria Caprara Responsabile della struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituita presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno 22 settembre 2015 e 1o ottobre 2015
Laurens Jolles
e Riccardo Clerici
Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per il Sud Europa e Capo dell'Unità di Protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati 30 settembre 2015
Giuseppe Verzera Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltagirone 6 ottobre 2015
Domenico Manzione Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno 13 ottobre 2015
Pag. 15
Nicola Zingaretti Presidente della Regione Lazio 22 ottobre 2015
Giovanni Pinto Direttore della Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere 29 ottobre 2015
Raffaele Cantone Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (Anac) 10 novembre 2015
Stefano Di Carlo Capo missione Italia di Medici Senza Frontiere 17 novembre 2015
Don Mussie Zerai
e Vittorio Longhi
Presidente dell'Agenzia Habeshia e giornalista collaboratore del New York Times 9 dicembre 2015
Rosetta Scotto
Lavina
Direttore della direzione Centrale per le politiche dell'Immigrazione e dell'Asilo del Ministero dell'Interno 17 dicembre 2015
Francesca Cannizzo Prefetto 17 dicembre 2015
Miguel Ângelo Nunes Nicolau Coordinating Officer di Frontex 13 gennaio 2016
Alessandro Pansa Capo della Polizia, Direttore generale della Pubblica Sicurezza 20 gennaio 2016
Nicola Diomede e Mario Finocchiaro Prefetto e Questore di Agrigento 26 gennaio 2016
Maria Carmela
Librizzi
e Giuseppe Gammino
Prefetto e Questore di Ragusa 26 gennaio 2016
Leopoldo Falco
e Maurizio Agricola
Prefetto e Questore di Trapani 26 gennaio 2016

Elenco delle missioni

  Delegazioni della Commissione sono state impegnate in ben 10 missioni, in diverse zone della Sicilia, in Calabria, nel Lazio, in Campania, in Puglia e in Lombardia.
  Si riporta di seguito l'elenco delle missioni in ordine cronologico:

Data Luogo
25 - 27 maggio 2015 Catania - CARA di Mineo (CT)
Ragusa - CPSA di Pozzallo (RG)
22 - 23 giugno 2015 Lampedusa (AG) - CPSA di Contrada Imbriacola
3 luglio 2015 Giarre (CT) - Comunità per minori
13 - 14 luglio 2015 Crotone - CARA di Isola Capo Rizzuto
22 luglio 2015 Catania - incontro con delegazione LIBE (Commissione Libertà, giustizia e affari interni del Parlamento europeo)
3 agosto 2015 Roma - Centro Baobab
26 ottobre 2015 Roma - CIE di Ponte Galeria e CARA di Castelnuovo di Porto
4 dicembre 2015 Giugliano (NA) - CAS «Di Francia park» e «Onda del mare»
10 -11 dicembre 2015 Bari - CARA, CIE e CAS di Poggiorsini (BA)
29 gennaio 2016 Bergamo - Centro di accoglienza «Casa Amadei»
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Gli incontri informali

  La Commissione ha altresì svolto in sede incontri informali con delegazioni di Istituzioni straniere, per un proficuo scambio di informazioni e di esperienze, il cui elenco è riportato di seguito:

Data Delegazione
8 giugno 2015 Jean-Luc Derepas, direttore generale degli stranieri in Francia, Frédéric Joram, Vice-direttore per la lotta all'immigrazione irregolare, Serge Galloni, Commissario di Divisione, Vice-direttore vicario per gli affari internazionali transfrontalieri e la sicurezza, Direzione centrale della polizia di frontiera, Mourad Derbak, Capo divisione Europa presso l'Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi
28 luglio 2015 Ministro Aggiunto Aydan Özoğuz, Incaricata del Governo Federale per la Migrazione, i Rifugiati e l'Integrazione
9 ottobre 2015 Delegazione di membri del Parlamento norvegese
29 ottobre 2015 Michael Roth, Ministro Aggiunto per gli Affari europei al Ministero degli Affari esteri della Repubblica federale di Germania

Il materiale documentale

   È stato acquisito materiale documentale pari ad oltre 90.000 pagine, tutte informatizzate, depositate presso l'archivio della Commissione e disponibili per la consultazione secondo il rispettivo regime di riservatezza.

Il compendio statistico

  Un ulteriore campo di analisi ha riguardato l'acquisizione dei dati e delle evidenze statistiche, che in un fenomeno come quello migratorio si rivela essenziale ma, al contempo, sempre più complesso, date le difficoltà di rilevazione e di analisi.
  In questo senso sono numerosi i soggetti detentori delle informazioni a cui la Commissione si rivolge nell'ambizione di assumere un quadro statistico il più possibile completo.
  L'obiettivo che la Commissione si è dato è quello di realizzare nel medio periodo un compendio statistico affidabile e costantemente aggiornato sui temi di sua competenza, al fine di poterli diffondere – ovviamente per la parte non soggetta a riservatezza – nel modo più ampio.
  Sin da subito è stata individuata la necessità di disporre di informazioni aggiornate per una migliore analisi e conoscenza delle dinamiche del fenomeno in parola. In tale prospettiva la Commissione ha individuato, in prima analisi, gli Uffici dell'apparato statale interessati, per la parte di rispettiva competenza, alla gestione dei dati raffiguranti il sistema di accoglienza.
  Sono state quindi formulate specifiche richieste alle seguenti strutture del Ministero dell'Interno: Dipartimento delle libertà civili e l'immigrazione, Commissione nazionale per il diritto di asilo; Dipartimento Pag. 17della Pubblica sicurezza; Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia di frontiera, nonché al Servizio centrale dello SPRAR, gestito in convenzione con l'ANCI.
  Ulteriori elementi statistici sono altresì acquisiti dai report statistici pubblicati a cura della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione -Divisione II, incardinata presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.
  Pur formulate le specifiche richieste nel corso del periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015/gennaio 2016), non sono invece ancora stati acquisiti alcuni dati richiesti al Ministero della giustizia.
  In relazione a tale attività di raccolta dati è stato messo a disposizione dei commissari un report statistico, con cadenza periodica, che sicuramente consente di avere una raffigurazione molto ampia per quanto riguarda:
   • i dati gli sbarchi;
   • i dati sull'accoglienza e trattenimento, con particolare riguardo alle presenze nelle diverse tipologie di centri di accoglienza;
   • i dati sulle domande di protezione internazionale e l'attività delle commissioni territoriali;
   • i dati su rimpatri, riammissioni e fotosegnalamenti.

  Il Governo è stato ripetutamente sollecitato dalla Commissione perché si attivasse per rendere totalmente disponibili i dati di cui sopra, ma ad oggi la Commissione non può che prendere atto delle difficoltà di disporre di un quadro statistico che abbia un livello di completezza e di aggiornamento tale da poter essere utilizzato come strumento autonomo di analisi.
  Si è infatti rilevato come le diverse banche dati da cui l'organo parlamentare attinge informazioni rispondono a finalità proprie e non convergenti le une con le altre. Pertanto, non sempre fanno riferimento a parametri e criteri omogenei – e dunque comparabili –, gli aggiornamenti hanno spesso una tempistica non allineata, i formati elettronici con cui vengono trasmessi spesso non sono di facile lettura e immediata comprensibilità e, in ultima analisi, le stesse Amministrazioni non sono sempre puntuali nel loro invio.
  Al riguardo, la Commissione ritiene che nel prosieguo dei lavori debba essere considerata come opzione valida l'assunzione di una propria iniziativa volta ad indurre le Amministrazioni depositarie dei dati a condividerli tra loro e con l'organo parlamentare, nonché – ove non vi siano esigenze di riservatezza – a diffonderli pubblicamente. Potrebbe altresì essere strumento utile di programmazione e analisi del sistema di accoglienza la creazione di una unica e condivisa banca dati, cui sia consentito di accedere affinché ciascun attore istituzionale, nei limiti delle proprie competenze, possa attingere le informazioni, aggiornandole in tempo reale (arrivo, procedure di identificazione, procedura di esame della domanda di protezione internazionale, documenti, movimenti sul territorio nazionale, etc.).

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IL SISTEMA DI IDENTIFICAZIONE

LA DIMENSIONE EUROPEA

Regolamento Eurodac e regolamento Dublino III

  La delibera istitutiva della Commissione di inchiesta affida all'organo parlamentare l'indagine sul sistema italiano di identificazione dei migranti, che ha costituito uno dei principali filoni su cui si è concentrata l'attività della Commissione parlamentare.
  Per un inquadramento della problematica relativa all'identificazione non appare possibile prescindere dal contesto normativo europeo, che si fonda principalmente sul regolamento (UE) n. 603 del 2013 (c.d. Regolamento Eurodac) e sul regolamento (UE) n. 604 del 2013 (c.d. Regolamento Dublino III).
  L'incidenza della normativa europea sul sistema di accoglienza in Italia si coglie – principalmente – ma non esclusivamente – nell'applicazione della regola per cui un solo Stato membro è competente per l'esame di una domanda di asilo. E, segnatamente, se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è in linea di principio competente per l'esame della sua domanda di asilo, salvo quanto diversamente previsto, secondo la gerarchia dei criteri per la determinazione dello Stato competente.
  Il primo regolamento citato stabilisce il principio per cui il cittadino straniero fermato mentre tenta l'ingresso o che arriva irregolarmente in Europa deve essere sempre sottoposto a rilievi fotodattiloscopici, che consistono nel rilevare le impronte delle dita e dei palmi delle mani con un'apposita apparecchiatura informatica e nello scattare due fotografie del volto, in posizione frontale e di profilo.
  Analoga procedura deve essere adottata anche per coloro che formalizzano una richiesta di protezione internazionale, in quanto lo Stato membro è tenuto a procedere «tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di ogni richiedente protezione internazionale di età non inferiore a 14 anni, non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale» (Regolamento n. 603 del 2013, articolo 9, comma 1).
  In altre parole, le impronte del richiedente asilo – sia egli entrato irregolarmente sul suolo italiano ovvero in modo regolare – dovranno necessariamente essere caricate anche nella banca dati Eurodac, accessibile da tutti gli Stati aderenti all'accordo di libera circolazione e in grado di recuperare tutti gli inserimenti nel sistema, restituendo così i movimenti del soggetto nell'area Schengen.
  Il regolamento (UE) n. 604 del 2013 («Dublino III») implementa un principio introdotto dapprima con il regolamento 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che sostituì la Convenzione di Dublino del 1990. Esso stabilisce, all'articolo 13 che «Quando è accertato .... che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima Pag. 19o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l'esame della domanda di protezione internazionale. Detta responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera».
  In estrema sintesi, dunque, il fotosegnalamento del migrante non rappresenta soltanto uno strumento per acquisire elementi di identificazione della persona fisica, ma produce l'effetto di radicare in un solo Stato membro – in linea di principio il Paese di primo approdo, salvo limitate ma significative eccezioni – la competenza per l'esame di una eventuale domanda di asilo. In altre parole, lo Stato membro in questione deve prendersi carico del richiedente, sia acquisendone l'identità sia trattando la sua eventuale domanda di protezione internazionale.
  La ratio della citata disciplina consiste, da un lato, nell'evitare che i richiedenti asilo siano inviati da un Paese all'altro e, dall'altro lato, nel prevenire l'abuso del sistema con la presentazione di domande di asilo multiple da parte di una sola persona.
  Come significativamente affermato dal procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, Giovanni Salvi, nella sua audizione svolta a Catania il 26 maggio 2015 «L'identificazione è prevista dalla legge ed è obbligatoria. È un'assoluta condizione per la possibilità del riconoscimento dello status. Senza un'identificazione certa non è possibile procedere al riconoscimento dello status di rifugiato. Noi non possiamo respingere le persone che rifiutano di farsi identificare. (..) Tuttavia, non possiamo nemmeno accettare che non vengano identificate. Coloro che spingono per la non identificazione non fanno un buon servizio ai migranti.
  I migranti devono essere identificati. È il loro primo dovere, nel momento in cui entrano nel nostro Paese, si pone il gravissimo problema costituito dagli accordi di Dublino,(...) che spingono il migrante a non farsi identificare».
Invero, una porzione di migranti – principalmente siriani ed eritrei – per proseguire il percorso migratorio e raggiungere il paese europeo dove si immagina di potersi stabilire, presumibilmente in ragione di rapporti parentali o dei contatti con la propria comunità etnica, tende a sottrarsi all'obbligo di identificazione.
  In questo senso, si richiama l'audizione, svolta il 20 gennaio 2016, del Capo della Polizia Alessandro Pansa, che, nell'illustrare i dati sul fotosegnalamento ha evidenziato «Il dato che abbiamo raggiunto, cioè la media annua dell'83,9, è frutto di un progressivo miglioramento della capacità di gestione del flusso di migranti, ma è legato anche alla diminuzione delle poche migliaia di soggetti che non volevano chiedere asilo in Italia – essenzialmente siriani ed eritrei – che si opponevano al fotosegnalamento, rientrando, appunto, nei non fotosegnalati».

L'Agenda europea sulla migrazione: Hotspot e relocation

  Il combinato disposto delle regole europee volte alla responsabilizzazione dei Paesi di frontiera – tra cui principalmente l'Italia, la Pag. 20Grecia e l'Ungheria – ha reso la pratica dell'identificazione dei migranti un tema caldo e perfino di scontro tra le Autorità nazionali e le Istituzioni europee, di cui è opportuno richiamare sinteticamente i passaggi avvenuti nel periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015 / gennaio 2016).
  L'Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, che sancisce un approccio globale per migliorare la gestione della migrazione in tutti i suoi aspetti, prefigura, in primo luogo, l'istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (hotspot).
  Tale metodo prevede che l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo – EASO, l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri – Frontex e l'Ufficio di Polizia europeo – Europol lavorino sul campo in prima linea con gli Stati membri per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo.
  In secondo luogo – come strategia di medio e lungo periodo – nell'Agenda si prevede di attuare un sistema europeo comune di asilo, promuovendo fra l'altro su base sistematica l'identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, contrastando le domande di asilo radicalmente infondate, ed infine valutando ed eventualmente riesaminando il Regolamento Dublino III nel 2016.
  Nel medesimo documento si prevede altresì l'attuazione di un innovativo programma di riallocazione e reinsediamento dei richiedenti asilo, che costituisce uno dei fondamentali tasselli di cui si compone il mosaico delle misure europee sul tema delle migrazioni.
  Solo pochi giorni dopo aver presentato la citata Agenda europea sulla migrazione la Commissione europea, il 27 maggio 2015, ha indicato un primo pacchetto di misure attuative, in cui figura il meccanismo di ricollocazione e di reinsediamento dei richiedenti asilo, poi implementato il 9 settembre 2015 con un secondo pacchetto di misure attuative, anche in questo caso comprendenti un ulteriore piano di ricollocazione di richiedenti asilo da Grecia, Italia e Ungheria.
  A sancire il complesso e tortuoso iter deliberativo sono quindi intervenute le decisioni del Consiglio europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015.
  Il combinato disposto delle citate decisioni consente la ricollocazione negli altri Stati membri prima di 40.000 migranti (di cui 24.000 dall'Italia e 16.000 dalla Grecia) e, successivamente, di ulteriori 120.000 persone (di cui 15.600 dall'Italia e 50.400 dalla Grecia), mentre per le restanti 54.000 persone, essendo stata esclusa dal novero degli Stati membri beneficiari della ricollocazione l'Ungheria in quanto contraria al meccanismo, è previsto che esse siano soggette al ricollocamento, in un momento successivo (il comunicato ufficiale del Consiglio fissa la decorrenza di un anno), dall'Italia e dalla Grecia oppure da altri Stati membri che si trovino ad affrontare situazioni di crisi per i propri sistemi di asilo e di accoglienza.
  La chiave di distribuzione adoperata per entrambe le decisioni si fonda su criteri obiettivi: la popolazione complessiva (40%), il PIL Pag. 21(40%), la media delle domande di asilo presentate spontaneamente e il numero di rifugiati reinsediati per milione di abitanti (10%), il tasso di disoccupazione (10%).
  In circostanze eccezionali, uno Stato membro può notificare al Consiglio e alla Commissione la propria incapacità temporanea a partecipare al processo di ricollocazione fino al 30% dei richiedenti a esso assegnati.
  Gli Stati membri conservano il diritto di rifiutare la ricollocazione del richiedente solo qualora sussistano fondati motivi per ritenere che la persona in questione costituisca un pericolo per la sicurezza nazionale o l'ordine pubblico, ovvero in presenza di seri motivi per applicare le disposizioni in materia di esclusione stabilite agli articoli 12 e 17 della direttiva 2011/95/UE (articolo 5 della decisione del Consiglio n. 1601 del 22 settembre 2015).
  L'applicazione della misura riguarda richiedenti asilo in evidente necessità di protezione internazionale, appartenenti a quelle nazionalità che hanno ottenuto un tasso di riconoscimento di protezione internazionale pari o superiore al 75% (dati EUROSTAT), includendo allo stato solo i cittadini siriani, eritrei ed iracheni.
  Secondo la decisione, i richiedenti possono essere proposti per la ricollocazione solo previo il rilevamento delle impronte digitali e la loro trasmissione al sistema centrale di Eurodac, in applicazione degli obblighi di cui all'articolo 9 del regolamento (UE) n. 603/2013.
  È inoltre previsto che, nell'attuare la decisione, gli Stati membri considerino in primo luogo l'interesse superiore del minore. Inoltre gli Stati membri devono provvedere affinché i familiari che rientrano nell'ambito di applicazione della presente decisione siano ricollocati nel territorio dello stesso Stato membro.
  Nel quadro del meccanismo di ricollocazione, l'Italia e la Grecia ricevono finanziamenti tramite i programmi nazionali del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (FAMI) a sostegno dei loro sforzi in materia (un importo forfettario supplementare di 500 euro per ciascuna persona ricollocata). L'assistenza finanziaria è fornita anche agli Stati membri di ricollocazione, che riceveranno un importo forfettario di 6.000 euro per persona ricollocata. In totale, per la ricollocazione di 160.000 persone sono stati stanziati 1.040 milioni di euro.
  Vale la pena di evidenziare fin d'ora che la connessione tra le procedure di ricollocamento e di identificazione dei migranti è formalizzata negli atti giuridici delle Istituzioni europee: si vedano ad esempio le conclusioni della Presidenza del Consiglio Giustizia e Affari Interni (GAI) dell'UE del 14 settembre 2015 in cui, parallelamente all'entrata in vigore della decisione sulla prima ricollocazione di 40 mila persone, si precisa che il Consiglio considera cruciale che in Italia e in Grecia, entro il 16 settembre, diventino immediatamente operativi efficaci meccanismi per garantire l'identificazione, la registrazione e il rilevamento delle impronte digitali dei migranti, per identificare le persone bisognose di protezione internazionale e sostenerne la ricollocazione, per identificare i migranti irregolari che devono essere rimpatriati e per prevenire che i soggetti interessati si muovano verso altri Stati membri.

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LE PROCEDURE DI IDENTIFICAZIONE

L'identità anagrafica

  La Commissione ha approfondito le procedure di identificazione adottate dalle Autorità italiane.
  Prima di analizzare le prassi operative che caratterizzano le operazioni di fotosegnalamento e d'identificazione degli stranieri che entrano irregolarmente nel nostro Paese, appare doverosa una precisazione concettuale.
  L'acquisizione degli elementi descrittivi, fotografici, antropometrici e delle impronte digitali di un soggetto (« fotosegnalamento») comporta l'attribuzione di un'identità dattiloscopica, che può non coincidere con quella anagrafica.
  Per giungere a quest'ultimo tipo di identità bisogna necessariamente svolgere una ulteriore e più dispendiosa attività che impone – anche sulla base di accordi bilaterali – la collaborazione delle autorità consolari del Paese di origine dello straniero.
  Al riguardo, come evidenziato dal prefetto Pinto, direttore della Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, nel corso della sua audizione il 29 ottobre 2015, l'aumento tra gli sbarcati di nuove etnie – ivoriani, senegalesi e gambiani – ha imposto la necessità di implementare le politiche degli accordi bilaterali finalizzati sia alla identificazione che ai rimpatri.
  Per giungere all'identificazione degli stranieri, che hanno subìto un periodo di detenzione, ulteriori procedure sono state messe a punto attraverso accordi con l'Amministrazione penitenziaria, che prevedono, ad esempio l'analisi della corrispondenza, dei colloqui, ecc., nonché la verifica di eventuali impronte nel Sistema Informativo Visti.

L'intervista

  L’iter identificativo parte dall'acquisizione delle generalità dello straniero nel corso di una breve intervista individuale, con l'assistenza di un mediatore linguistico-culturale.
  Si parla di pre-identificazione, per indicare la compilazione del foglio notizie e lo scatto di una foto istantanea.
  Nelle more della formale istituzione di tutti gli hotspot previsti, la Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere (circolare n. 30918 del 17 settembre 2015) ha introdotto la prassi della pre-identificazione e della compilazione del c.d. foglio notizie, nel quale, con l'ausilio di mediatori culturali, vengono annotate le generalità, la nazionalità e il motivo di ingresso in Italia del migrante.
  Sulla base degli esiti delle menzionate attività/interviste di pre-identificazione, le persone potrebbero essere ulteriormente intervistate da funzionari di polizia investigativa con il supporto di funzionari Frontex ed Europol al fine di acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence (peraltro siffatte interviste, in quanto suscettibili di fornire preziose informazioni, possono aver luogo anche Pag. 23prima dell'arrivo nelle aree hotspot, ad es. quando i migranti si trovano ancora sui mezzi di salvataggio oppure non appena arrivano nel porto di sbarco).
  Questa fase costituisce anche un importante momento per rappresentare condizioni personali di vulnerabilità, anche laddove non immediatamente evidenti (gravidanza, minore età, patologie particolari, eccetera) o l'eventuale bisogno di protezione.
  Nel citato testo governativo si precisa anche che «il mediatore linguistico – culturale avrà il compito di far comprendere appieno al cittadino straniero le gravi conseguenze che possono derivare da dichiarazioni false o mendaci o dall'eventuale rifiuto di sottoporsi al fotosegnalamento. In ogni caso, le generalità dichiarate devono essere sempre confermate durante il fotosegnalamento».

L'identità dattiloscopica

  Il fotosegnalamento, quindi, costituisce un mero segmento della più ampia procedura di identificazione (anagrafica), in quanto mira principalmente all'attribuzione di un'identità dattiloscopica.
  Tale identità, tenuto conto del quadro normativo europeo, rappresenta il caposaldo del sistema di controllo dei flussi migratori.
  Secondo quanto riferito dal rappresentante di Frontex nel corso dell'audizione del 13 gennaio 2016 «il 99 per cento dei migranti che arriva non è in possesso di documenti di viaggio o documenti di identificazione, quindi il compito da svolgere è enorme. Questo consiste nel presumere quale sia il Paese d'origine della persona affinché si possa stabilire la nazionalità del migrante. I nomi si possono cambiare facilmente, tutte le dichiarazioni rilasciate da un migrante mentre si presenta all’hotspot non possono essere verificate, ad eccezione della raccolta delle impronte digitali in fase di registrazione. Le impronte digitali sono l'unico strumento che le forze di polizia hanno per fare controlli incrociati sull'identità della persona e verificare se esistono informazioni su di lei in Europa o anche in un Paese terzo, qualora si sia in grado di contattare Interpol per controllare. Tutte le altre fonti di identificazione sono discutibili, tutte le dichiarazioni che vengono rilasciate dalla persona che arriva non possono essere verificate con sicurezza neanche da noi».
  Quindi, a fronte delle notorie carenze dei sistemi anagrafici di molti Paesi di origine degli stranieri, le impronte digitali costituiscono l'unico dato univoco ed individualizzante, che una volta inserito nella banca dati nazionale (Casellario centrale di identità) e in quella europea (Eurodac) consente di cristallizzare il dato storico del passaggio di quel soggetto in un determinato luogo.
  In particolare il Regolamento Eurodac distingue i migranti presenti sul territorio europeo in tre categorie: richiedenti asilo (categoria 1), persone fermate in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell'Unione (categoria 2) e persone fermate perché illegalmente soggiornanti sul territorio di un paese dell'UE (categoria 3).
  Nel corso della sua audizione del 10 settembre 2015, la direttrice del servizio di Polizia Scientifica della Polizia di Stato, Daniela Pag. 24Stradiotto, ha informato la Commissione delle operazioni di alimentazione delle banche dati connesse alle attività di identificazione.
  In primo luogo, i rilievi dattiloscopici alimentano la banca dati nazionale (Casellario centrale di identità), che attraverso il motore di ricerca AFIS (Automated Fingerprint Identification System, in italiano Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte) consente automaticamente di verificare se quel soggetto è stato mai censito in Italia e con quali generalità.
  Se un soggetto viene controllato mentre cerca di oltrepassare irregolarmente i confini dell'area Schengen o formalizza una richiesta di protezione internazionale, entro le 72 ore successive le sue impronte dovranno necessariamente essere caricate anche nella banca dati Eurodac, accessibile da tutti gli Stati aderenti all'accordo di libera circolazione (Regolamento 603/2013).
  La banca dati Eurodac contiene al suo interno due distinti contenitori, non comunicanti tra loro (IT 1 e IT 2), all'interno dei quali confluiscono, rispettivamente, i fotosegnalati richiedenti protezione internazionale e quelli fotosegnalati per ingresso illegale.
  Allo stato, accade, pertanto, che coloro che chiedono il riconoscimento dello status, dopo essere stati inquadrati nel profilo degli ingressi illegali, devono essere sottoposti nuovamente a rilievi segnaletici al fine di alimentare il relativo contenitore.
  Secondo quanto riportato nella roadmap, presentata dal Governo italiano il 28 settembre 2015, nell'ambito delle procedure che si svolgono all'interno degli hotspot, subito dopo la pre-identificazione, l'inserimento nella banca dati avviene secondo le seguenti linee operative:
   1) i migranti che manifestano la volontà di richiedere la protezione internazionale sono registrati come CAT 1;
   2) coloro che non manifestano la volontà di richiedere la protezione internazionale ovvero che, pur manifestando tale volontà, non rientrano nelle categorie di «ricollocabili», sono fotosegnalati anche come CAT 2 (ingresso irregolare) e registrati in conformità con la legislazione nazionale ed europea.

  Nel documento governativo citato si riferisce altresì che «È in corso di valutazione tecnico-giuridica da parte dei funzionari italiani di polizia scientifica la possibilità di trasformare tecnicamente il cartellino dattiloscopico CAT 2 in cartellino CAT 1 (opzione che non riguarderà le persone suscettibili di essere ricollocate), evitando quindi la duplicazione dell'operazione con risparmio di tempo e risorse umane».
  Al riguardo, la direttrice del Servizio Polizia Scientifica della Polizia di Stato, Daniela Stradiotto, nella sua audizione del 10 settembre 2015, ha osservato che «Quello che succede nella pratica è che magari una persona viene fotosegnalata due o tre volte. .... se io oggi sbarco e vengo fotosegnalata per ingresso illegale ... poi vado a Milano e, se chiedo asilo politico, vengo fotosegnalata a Milano. Poi nella mia località di permanenza, che non sarà più Milano, ma Caltanissetta, al CARA di Caltanissetta verrò fotosegnalata un'altra volta.».
  È emerso che la prassi italiana – almeno fino alla prima metà del 2015 – è stata nel senso di inserire in Eurodac – per coloro che Pag. 25manifestavano immediatamente la volontà di richiedere protezione internazionale – il fotosegnalamento solo per asilo politico (CAT 1).
  Tale prassi è stata contestata al Governo italiano, sul presupposto che la banca dati relativa agli ingressi illegali (CAT 2) presentasse dati esigui, senza però comprendere – come è stato invece esplicitato in una nota formale del Capo della Polizia – che il dato sugli ingressi illegali doveva essere integrato da quello di coloro che erano sì entrati illegalmente in Italia, ma immediatamente fotosegnalati come richiedenti asilo, numero invero cospicuo nel 2015.
  Il nostro Paese è stato comunque oggetto il 7 settembre 2015 di una contestazione formale da parte dell'EASO – l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo – che aveva sollecitato chiarimenti sui motivi che avevano portato all'identificazione «di appena 30.000 stranieri, rispetto ai 90.000 che risultano presenti nei centri di accoglienza».
  In più, il 10 dicembre 2015 la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora (procedura n. 2015/2203) – primo passo della procedura di infrazione – come esortazione a Grecia, Croazia e Italia ad attuare correttamente il regolamento Eurodac (regolamento (UE) n. 603/2013) che dispone l'effettivo rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti asilo e la trasmissione dei dati al sistema centrale Eurodac entro 72 ore.
  Vale la pena osservare che, a fronte delle doglianza di alcuni Stati Membri e Istituzioni europee – che lamentano una scarsa efficienza dell'Italia sul fronte del fotosegnalamento –, la direttrice del Servizio Polizia Scientifica della Polizia di Stato, Daniela Stradiotto, nella sua audizione del 10 settembre 2015, ha precisato che il nostro Paese, dopo la Germania, è il Paese che più alimenta ed interroga la banca dati Eurodac.

I SITI DI IDENTIFICAZIONE: GLI HOTSPOT

L'attuazione della roadmap

  Sotto il profilo squisitamente operativo, le attuali tecnologie consentono di procedere al fotosegnalamento oltre che presso le postazioni fisse all'interno degli uffici di polizia, attraverso postazioni mobili allestite ad hoc su navi, sulle banchine dei porti o all'interno dei centri di accoglienza.
  Sul punto si rileva, nel corso del periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015 /gennaio 2016), un notevole mutamento del quadro di riferimento e delle prassi operative adottate dalle autorità preposte.
  Infatti nel corso del 2015, come dichiarato dai rappresentanti del Dipartimento di Pubblica Sicurezza auditi, era piuttosto frequente che, nell'intento di privilegiare nei momenti immediatamente successivi allo sbarco l'assistenza sanitaria ed il rapido smistamento nei centri di accoglienza, si rinviava il fotosegnalamento al momento dell'arrivo del migrante presso la località di accoglienza.
  Tale modus operandi si conformava ad una caratterizzazione del fenomeno migratorio illegale, basato principalmente sul sistema dei soccorsi in mare attraverso l'impiego di unità navali militari. In Pag. 26presenza di sbarchi massicci era apparso, infatti, poco funzionale il trattenimento dei migranti nella località di approdo per tutto il periodo necessario a completare le operazioni di fotosegnalamento. In questo senso si richiama l'audizione, svolta il 20 gennaio 2016, del Capo della Polizia Alessandro Pansa: «Quando arrivano sul piazzale di un porto un migliaio di persone, il problema è togliere quelle persone dal piazzale del porto... Il problema nostro esiste, sul piazzale di Augusta, del porto di Pozzallo, del porto di Palermo, di Catania, di Taranto, quando arrivano a migliaia. Parliamoci chiaro: non li possiamo tenere in quelle condizioni. Ma in quelle condizioni l'intervento è al 99 per cento di tipo umanitario, perché è una fase ulteriore del soccorso. Questo è il meccanismo».
  Le precedenti prassi operative sono state progressivamente adattate in applicazione degli accordi europei, che richiedono l'attivazione degli hotspot quali siti specificatamente destinati al fotosegnalamento.
  Come evidenziato nei paragrafi precedenti, nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione è stato previsto che nei Paesi soggetti a maggiori pressioni migratorie si debba procedere all'istituzione di hotspot, presso i quali gli Stati membri, con il sostegno delle agenzie europee dedicate (Frontex ed EASO) provvedono a svolgere tutte quelle attività finalizzate all'identificazione dei migranti.
  In attuazione dell'articolo 8.1 della Proposta della Commissione europea che istituisce misure provvisorie in materia di protezione internazionale a beneficio di Italia e Grecia (poi adottata in un testo parzialmente difforme con la decisione del Consiglio (UE) 2015/1601 del 22 settembre 2015), il Governo italiano, il 28 settembre 2015 ha presentato una roadmap, recante l'impegno a mettere in atto il nuovo approccio «hotspot».
  Esso è sostanzialmente volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri.
  I porti individuati sono sei, di cui cinque in Sicilia:
   1. Lampedusa (AG);
   2. Pozzallo (RG);
   3. Porto Empedocle (AG);
   4. Trapani;
   5. Augusta (SR);
   6. Taranto.

  Nelle prime quattro aree sono presenti centri di prima accoglienza con una capacità complessiva di circa 1.500 posti, mentre per Augusta e Taranto occorrono interventi strutturali che, nel documento governativo, sono indicati in funzione dell'obiettivo di raggiungere una capacità complessiva di oltre 2500 posti.
  Secondo la citata roadmap, nelle suddette strutture dovranno essere svolte, in primo luogo, le attività di screening medico e, successivamente, le interviste funzionali alla compilazione del foglionotizie Pag. 27(generalità, foto, informazioni personali, eventuale manifestazione della volontà di richiedere la protezione internazionale) ed alle attività investigative.
  Successivamente, «sulla base dei relativi esiti, le persone che richiedono la protezione internazionale saranno trasferite nei vari regional hubs presenti sul territorio nazionale; le persone che rientrano nella procedura di ricollocazione saranno trasferite nei regional hubs dedicati; le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione».
  Con circolare (n. 14106 del 6 ottobre 2015) del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, si è precisato che «il meccanismo prevede – a regime – che tutti i migranti sbarchino in uno dei siti hotspot individuati, affinché possano essere garantite nell'arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità), registrazione e fotosegnalamento per ingresso illegale (categoria Eurodac 2)».

L'attivazione dei primi hotspot.

  Dei previsti sei hotspot, l'impegno del Governo italiano era nel senso di attivarne prima quattro e successivamente gli ulteriori due (Augusta e Taranto).
  Al 31 gennaio 2016 il sistema degli hotspot è ancora parzialmente inattuato.
  Tra il mese di settembre 2015 e gennaio 2016 ne sono stati attivati tre: Lampedusa (dal 28 settembre 2015), Trapani (22 dicembre 2015) e Pozzallo (19 gennaio 2016).
  Sempre a far data al 31 gennaio 2016 non si hanno notizie di significativi iniziative concernenti Porto Empedocle/Villa Sikania, mentre per l'hotspot di Trapani sono in corso lavori di ristrutturazione per sopperire alle carenze infrastrutturali.
  Risulta infine che per il sito di Augusta la gara di appalto per i lavori sia stata sospesa.
  Delle divergenze tra l'Autorità portuale e il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha parlato il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Mario Morcone, nel corso dell'audizione del 3 dicembre: «Quello è il porto naturalmente più adatto alle navi ... soprattutto alle grandi navi, cioè alle navi di 160-170 metri, perché ha fondali profondi ed è molto riparato (...) Per questo motivo e su queste considerazioni noi avevamo considerato anche Augusta un luogo di sbarco da attrezzare come hotspot. (...) abbiamo fatto un accordo e Invitalia stava facendo la gara. Ha fatto il bando perché Taranto e Augusta vengano dotate di strutture mobili. Parliamo sempre di strutture come tensostrutture e tende, in cui accogliere dignitosamente e civilmente le persone che dovessero sbarcare. (..). C’è stato un forte contrasto con l'Autorità portuale, perché – ve lo dico chiaramente – noi sui terreni privati non andiamo. Siamo disponibili ad andare in una parte del porto dove l'Autorità portuale ci dice di andare, perché non Pag. 28vogliamo compromettere il futuro e lo sviluppo di Augusta e le possibilità che ha, ma sui terreni privati fuori dall'ambito portuale non andiamo. Questo deve essere chiaro. Su questo terremo fermo.
  Dopodiché, se loro ci vogliono aiutare a rendere più civile e sicuramente più accogliente la struttura dove comunque le navi sbarcheranno, noi siamo pronti, decisi e orientati a farlo. Se invece non sono disponibili a farlo, vuol dire che le tende rimarranno lì, nel posto peraltro a loro particolarmente sgradito e che noi volevamo sostituire, nelle condizioni in cui stanno
».
  La Commissione ha dedicato numerose e specifiche audizioni sul tema delle effettive ricadute di questi punti hotspot sul sistema di accoglienza, tra cui quelle del prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia e direttore generale della Pubblica Sicurezza, di Miguel Ângelo Nunes Nicolau, Coordinating Officer di Frontex, nonché delle autorità di pubblica sicurezza (prefetto e questore) delle tre province siciliane già interessate all'attivazione di hotspot sul proprio territorio.
  In particolare, le audizioni si sono concentrate nell'acquisizione delle innovazioni procedurali volte a conferire maggiore efficacia alle procedure di identificazione.
  Dagli elementi di conoscenza acquisiti, come si avrà modo di evidenziare, si evidenziano due questioni di assoluta delicatezza:
   1) la definizione giuridico-normativa degli hotspot;
   2) i criteri seguiti per operare una immediata – anche se reversibile – distinzione tra le diverse categorie di migranti.

  Per quanto riguarda le audizioni delle autorità di pubblica sicurezza delle province siciliane sede di hotspot, i maggiori elementi di informazione sono stati forniti, ovviamente, dal prefetto e dal questore di Agrigento, che hanno già sperimentato un apprezzabile periodo di rodaggio, mentre Trapani e Ragusa, al momento dell'audizione erano ancora alle prese con la riorganizzazione logistica dei siti (il CSPA di Pozzallo e l'ex CIE di Milo).

Le innovazioni procedurali

  Per quanto concerne le innovazioni procedurali connesse all'istituzione degli hotspot, il prefetto di Agrigento, Nicola Diomede, audito nella seduta del 26 gennaio 2016, ha chiarito che per i profili dei servizi di assistenza generica alla persona e dei servizi di carattere sanitario, nel passaggio da CSPA a hotspot, per il centro di Contrada Imbriacola a Lampedusa non ci sono stati significativi cambiamenti.
  Novità si registrano, invece, in relazione alle procedure di pre-identificazione, identificazione, fotosegnalamento, raccolta delle impronte digitali che si svolgono all'interno della struttura.
  In cosa si siano sostanziate le novità di cui ha parlato il prefetto, lo ha precisato, in primo luogo, il questore di Agrigento, Mario Finocchiaro, audito anch'egli nella seduta del 26 gennaio 2016: «sul fotosegnalamento ultimamente si è particolarmente rigidi, nel senso che, mentre in passato magari si facevano dei trasferimenti da Lampedusa anche di soggetti non fotosegnalati, che sarebbero stati poi fotosegnalati Pag. 29nelle località e presso i centri di destinazione, adesso non si procede al trasferimento, se non dei soggetti fotosegnalati. Mi riferisco sia ai richiedenti asilo sia agli altri. (...) La roadmap prevede una permanenza negli hotspot di 48 o al massimo 72 ore. Questo ha comportato che la stragrande maggioranza è rimasta a Lampedusa per un tempo più lungo, non è stata trasferita fino a quando non si sono convinti a farsi fotosegnalare».
  In altre parole, la posizione geografica di Lampedusa consente di gestire le criticità del fotosegnalamento – ovvero le resistenze al suo svolgimento – senza ricorrere al trattenimento forzoso all'interno di un centro, ma sfruttando il naturale isolamento dell'isola.
  Quanto affermato dal questore Finocchiaro trova indiretta ma inequivocabile conferma nella missiva – acquisita agli atti della Commissione – inviata dal Sindaco di Lampedusa Giuseppina Nicolini del 7 gennaio 2016, indirizzata, tra gli altri, al Ministro dell'Interno e al competente Commissario dell'Unione europea, in cui si denuncia l'impossibilità di «garantire condizioni dignitose di accoglienza a persone che vengono trattenute da oltre 30 giorni e che potrebbero essere trattenute addirittura a tempo indeterminato».
  Una seconda importante innovazione è stata anch'essa posta in evidenza dal questore di Agrigento, Mario Finocchiaro: « .... l'innovazione è che nell’hotspot di Lampedusa viene effettuata una distinzione dei migranti che vengono portati su quell'isola in due categorie, all'interno di ciascuna delle quali vi sono due sottocategorie. Coloro che manifestano la volontà di chiedere asilo politico e protezione internazionale vengono distinti tra quelli che appartengono alle nazionalità per le quali, come diceva il signor prefetto, in base agli accordi europei, è possibile attivare la procedura di relocation e i semplici manifestanti la volontà di chiedere la protezione internazionale non rientranti in quelle nazionalità.
  Per quanto riguarda i migranti non richiedenti protezione internazionale si è proceduto con i respingimenti, provvedimenti del questore che intima l'uscita dal territorio nazionale nelle due forme: una parte viene trattenuta al CIE laddove ci siano dei posti disponibili, mentre alla maggioranza viene intimato di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni. Fatta questa distinzione, i richiedenti asilo appartenenti alle nazionalità per le quali è possibile la relocation vengono presi in carico o comunque particolarmente attenzionati da un gruppo di lavoro, di cui una parte importante è rappresentata da funzionari dell'EASO. Sono funzionari europei misti, che sono dedicati a informare i migranti aventi una nazionalità soggetta a
relocation della possibilità di aderire a questa procedura e, quindi, di avviarla».
  Vale la pena osservare al proposito che l'intero meccanismo è ancora in fieri ed è sicuramente condizionato dall'acclarato fallimento della procedura di relocation. Dei potenziali beneficiari della procedura al 22 gennaio 2016, 275 stranieri rilocandi risultavano tutti ospitati presso l'unico hub esistente, quello istituito nel complesso alberghiero Villa Sikania di Siculiana (AG), che oltre a non beneficiare del regolare deflusso dei rilocandi, mantiene anche la sua funzione di Centro di accoglienza straordinaria.
  Un terzo aspetto, strettamente connesso ai primi due, su cui l'attivazione degli hotspot sembra aver effettivamente inciso è quello Pag. 30dei rimpatri, quanto meno in relazione all'adozione dei provvedimenti amministrativi di allontanamento dal territorio nazionale.
  Ha riferito, infatti, ancora il questore di Agrigento, Mario Finocchiaro che «per quanto riguarda i respingimenti, indubbiamente è cambiato qualcosa con l’hotspot. È cambiato perché l’hotspot (...) è una struttura nella quale fare una scrematura, una distinzione già all'arrivo dei migranti nelle varie categorie che ho delineato prima: richiedenti protezione internazionale, all'interno dei richiedenti protezione internazionale i rilocandi e gli altri e poi coloro che, invece, non manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale. (...) In passato, quando Lampedusa era solo CPSA, nel foglio notizie, in sede di cosiddetta pre-identificazione, veniva fatto un certo discernimento perché c'era chi manifestava subito la volontà di protezione internazionale e chi non la manifestava. Tuttavia, sostanzialmente si procedeva ai trasferimenti in maniera indifferenziata – addirittura si procedeva ai trasferimenti anche di soggetti non fotosegnalati – rimandando a un momento successivo nelle sedi di destinazione il fotosegnalamento e l'ulteriore perfezionamento di un'eventuale manifestazione di volontà di richiedere la protezione internazionale. Adesso questo momento è stato anticipato alla fase immediatamente successiva allo sbarco.
  (..) Anche sulla base di indicazioni dipartimentali, si è ribadito che per i non richiedenti protezione internazionale l'articolo 10, comma 2, del Testo unico sull'immigrazione prevede la misura del respingimento, con le forme ivi previste. Il respingimento prevede la collocazione presso i CIE ovvero l'ordine di lasciare il territorio nazionale entro sette giorni.».
  Attesa la carenza di posti CIE, la maggior parte dei provvedimenti amministrativi di rimpatrio è stato adottato con invito a lasciare il territorio nazionale.
  Anche tale informazione trova conferma nei dati forniti in merito. Secondo i numeri forniti dalla Questura di Agrigento, dal 28 settembre (data di apertura dell’hotspot) al 29 gennaio i provvedimenti di respingimento adottati sono stati 1426, di cui solo 311 con conseguente trattenimento presso il CIE e ben 1115 con invito a lasciare il territorio nazionale entro sette giorni.
  Uno degli effetti evidenti di tale modus operandi è quello di determinare una enorme mole di soggetti che, pur rivestendo una condizione di irregolarità, non vuole e non può lasciare autonomamente il nostro Paese, rischiando di essere risucchiata da circuiti criminali.
  Come evidenziato dal questore di Agrigento, Mario Finocchiaro: «(...) Non è prevista dalla normativa alcuna forma di assistenza in particolare per quelli che devono lasciare il territorio nazionale entro sette giorni. La legge prevede che si faccia loro l'intimazione e che poi loro, con mezzi propri, debbano procedere a lasciare il territorio nazionale. Su questo non faccio che registrare ciò che dice la norma, a prescindere dalle valutazioni che si possono fare in merito».
  Nel corso della medesima audizione è emerso un altro elemento che la Commissione ritiene meritevole di riflessione: coloro che sono colpiti dal provvedimento vengono semplicemente accompagnati presso stazioni ferroviarie per agevolare la loro ripartenza e l'ottemperanza del provvedimento (così il questore di Agrigento, Mario Pag. 31Finocchiaro «Noi abbiamo proceduto effettivamente ad accompagnare i migranti per i quali è stato emesso il provvedimento di respingimento presso stazioni ferroviarie, in particolare quella di Agrigento e qualche volta anche alla stazione ferroviaria di Aragona»).
  È di tutta evidenza che la procedura di respingimento sconta un tasso molto elevato di inottemperanza, senza però che vi siano allo stato strumenti procedurali e normativi per evitare che i luoghi vicini agli hotspot diventino siti estemporanei di soggiorno dei cittadini irregolari.
  Il questore di Ragusa, Giuseppe Gammino, nella sua audizione del 26 gennaio 2016 è stato esplicito nell'osservare che «...il respinto con l'ordine di andar via si ripropone sul territorio. ...Il marocchino molto spesso non ottempera all'ordine dei sette giorni e va via. Se sta a Pozzallo, ha difficoltà persino ad andar via da Pozzallo. Queste sono cose evidenti, che nessuno vuole nascondere. Bisogna trovare le soluzioni, che non spettano a me...».
  La prima fase di funzionamento di alcuni hotspot consente di svolgere alcune considerazioni sulla realizzazione degli obiettivi per i quali essi sono stati istituiti.
  Principalmente, essi hanno due obiettivi strettamente connessi: alla finalità prevalente di procedere all'identificazione di tutti i migranti che giungono via mare nell'area Schengen, si coniuga quella di definire il prima possibile la posizione giuridica del migrante.
  Ciò allo scopo di inserire da subito nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo chi ne faccia richiesta e, in questa categoria, di inserire in uno specifico percorso di ricollocazione chi ne abbia i requisiti. Al contrario, per coloro che non manifestino l'intenzione di accedere alla procedura per il riconoscimento del diritto di asilo, lo scopo è quello di attivare il prima possibile il meccanismo di allontanamento dal territorio nazionale.
  Quanto al primo obiettivo, le criticità sono state evidenziate dalle dichiarazioni della Direttrice del servizio di Polizia Scientifica della Polizia di Stato, dott.ssa Daniela Stradiotto, che, nel corso della sua audizione del 10 settembre 2015, ha rilevato come, a quella data, la percentuale dei fotosegnalati fosse appena del 66,64 per cento, «pari a 81.282 su 121.974 dal 1o gennaio 2015».
  In merito, non possono negarsi gli apprezzabili risultati ottenuti dall'Italia nell'ultimo quadrimestre 2015 in tema di identificazione, tanto da raggiungere, a fine anno, come dichiarato in audizione, svolta il 20 gennaio 2016, dal Capo della Polizia Alessandro Pansa, il seguente dato: «Per quanto riguarda l'identificazione, nel 2015 sono sbarcati in Italia 153.842 stranieri, di cui 57.985 fotosegnalati per ingresso illegale e 71.016 per richiesta di protezione internazionale, per un totale di 129.000 persone fotosegnalate, pari all'83,9 per cento di tutti gli sbarcati».
  È tuttavia necessario considerare che i dati positivi sono il frutto di un complesso di fattori, che vanno oltre la semplice istituzione degli hotspot.
  In primo luogo non può sottacersi l'apertura del c.d. corridoio balcanico che ha sottratto all'Italia lo zoccolo duro (ovvero i cittadini siriani) di quanti si opponevano al fotosegnalamento.Pag. 32
  Egualmente non è da sottovalutarsi l'iniziale, positiva aspettativa connessa alle ipotesi di relocation, che ha spinto molti eritrei – etnia che si è mostrata restia a sottoporsi al fotosegnalamento – ad abbandonare le vecchie resistenze.
  Da ultimo, ma non per questo meno importante, il «fattore Lampedusa»: sfruttando il naturale isolamento dell'isola, si sono potute gestire le criticità del fotosegnalamento – ovvero le resistenze al suo svolgimento – senza ricorrere al trattenimento forzoso all'interno di un centro, ma dilatando, surrettiziamente e senza evidenti violazioni di legge, i tempi a disposizione.
  In definitiva, i positivi risultati ottenuti potrebbero indurre a credere che gli hotspot rappresentino l'effettiva soluzione ad alcune criticità sollevate in sede europea, che potrebbero, invece, repentinamente ripresentarsi qualora venissero meno le circostanze favorevoli sopra evidenziate.
  Una di esse è già evidentemente venuta meno: il programma dell'Unione europea di ricollocamento è in fase di evidente stallo con inevitabili effetti di dissuasione sulla spontanea partecipazione alle procedure identificative.
  Ma anche su un'altra delle circostanze evidenziate si addensano interrogativi. Nel contesto internazionale sono sempre più forti le spinte di contrasto alla rotta balcanica, con inevitabili ricadute significative di intensificazione dell'afflusso migratorio sul nostro Paese, non solo in Sicilia e Calabria. Come evidenziato nel corso della sua audizione, svolta il 27 ottobre 2015, il direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, Giovanni Pinto, «(...) abbiamo rilanciato un'operazione di controllo abbinata con gli austriaci e i tedeschi nei porti dell'Adriatico per controllare i traghetti, perché temiamo che una via alternativa a tutta questa situazione (stiamo massimamente attenti su questo) possa essere in futuro la rotta dall'Albania e dal Montenegro. Tale rotta potrebbe improvvisamente attivarsi, perché immaginiamo che, nel momento in cui si dovessero chiudere le porte dell'Austria e della Germania, avremo un tappo con cui rischiamo di doverci confrontare».
  In definitiva, il combinato disposto della ripresa – tutt'altro che improbabile – di un flusso siriano connesso alle restrizioni interne dell'area Schengen e l'evidente fallimento del piano di relocation, potrebbe indurre un massiccio afflusso sulle coste italiane di migranti, anche di nazionalità con una elevata propensione a sottrarsi al fotosegnalamento, che potrà essere gestito solo utilizzando anche hotspot diversi da Contrada Imbriacola.
  A differenza di quest'ultimo, la cui conformazione naturale consente di impedire materialmente, ma senza costrizione alcuna, l'allontanamento dei non identificati, per gli altri centri il perseguimento dell'obiettivo di arrivare al 100% di fotosegnalazione renderà necessario adottare procedure operative volte al superamento di eventuali resistenze a sottoporsi all'identificazione, attualmente non previste sul piano legislativo. Al riguardo, la Direttrice del servizio di Polizia scientifica della Polizia di Stato, dott.ssa Daniela Stradiotto, nel corso della sua audizione del 10 settembre 2015, ha espresso l'auspicio che «arrivino velocemente gli strumenti normativi, perché lo strumento normativo per trattenere una persona 72 ore non li abbiamo».Pag. 33
  I fattori che hanno portato ad un risultato positivo sul piano dei tassi di identificazione dei migranti, potrebbero pertanto evolversi in senso non favorevole al perseguimento degli obiettivi principali perseguiti con l'istituzione degli hotspot.

La configurazione giuridica

  In assenza di una normativa europea di carattere vincolante o almeno immediatamente precettiva, il regime giuridico degli hotspot non sembra in alcun modo ricavabile neanche dalla normativa interna vigente.
  L'articolo 8 del decreto legislativo n. 142 del 2015, prevede che il sistema di accoglienza «si articola in una fase di prima accoglienza assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11 e una fase di seconda accoglienza disposta nelle strutture di cui all'articolo 14», pur precisando al comma 2 che «le funzioni di soccorso e prima assistenza, nonché di identificazione continuano ad essere svolte nelle strutture» a suo tempo previste dalla cd. legge Puglia (decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 ovvero i CPSA allestiti in vista del successivo rimpatrio nei Paesi di origine degli stranieri sbarcati in Italia, al tempo prevalentemente dai Paesi balcanici e dall'Albania).
  Infatti, né l'articolo 9 né l'articolo 11 del citato testo normativo sono riferibili agli hotspot. Tale lacuna del nostro ordinamento ha trovato conferma nelle audizioni svolte, nelle quali sì è altresì evidenziato l'esigenza di un apposito intervento del legislatore per la regolamentazione del loro funzionamento.
  Sul punto può richiamarsi quanto dichiarato dal Ministro dell'Interno Angelino Alfano, nel corso della sua audizione del 29 luglio 2015: «(...) l'Agenda Juncker lascia scoperti dal punto di vista proprio tecnico, della copertura giuridica, alcuni dei rimedi pratici. Hotspot e hub sono belle parole inglesi, che poi, tradotte nel linguaggio della legislazione italiana, hanno la necessità di norme che ne regolino il funzionamento e la dinamica di eventuale trattenimento dei migranti. (...) a mano a mano che saranno descritti e declinati tecnicamente gli adempimenti connessi a ciascuna struttura materiale, che per ora sono descritti in via generica, io penso, ritengo – o anche presumo, se non vogliamo dare certezze – che saranno necessari dei passaggi parlamentari di rango normativo per regolare il funzionamento di queste nuove strutture.»
  Il Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno Domenico Manzione, nel corso della sua audizione del 13 ottobre 2015 ha altresì comunicato che «l'unico vero obiettivo dell’hotspot, ferma restando la nostra legislazione attuale, è quello dell'identificazione e del prelievo delle impronte digitali. (..) Noi abbiamo in tutte le sedi sottolineato che, in ogni caso, allo stato attuale della nostra legislazione, per noi «hotspot» altro significato non ha che quello di un centro, per forza di cose chiuso, ma finalizzato esclusivamente all'identificazione. Dopodiché, una volta presentata la domanda di asilo, si passa immediatamente alle altre fasi dell'accoglienza e, quindi, non c’è più alcuna possibilità di trattenimento coatto».Pag. 34
  La necessità di giungere ad una qualificazione giuridica degli hotspot è stata avanzata anche nel corso delle audizioni delle autorità preposte ai primi siti hotspot. Allo stato, infatti, come ha affermato laconicamente il prefetto di Agrigento «all'interno di una circolare che è stata mandata dal Ministero dell'interno, in cui c’è la roadmap italiana, si comincia a parlare di hotspot. Evidentemente è una definizione, un nomen concordato a livello europeo e immediatamente attuato nel nostro Paese, come dovrà essere attuato in Grecia e negli altri Paesi».
  Sul punto, il Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, nel corso della sua audizione del 20 gennaio 2016 ha informato che «stiamo anche preparando una norma per una copertura giuridica (...) l'hotspot non è ancora classificato, quindi o lo traduciamo in una parola già esistente nel nostro ordinamento oppure dobbiamo classificare anch'esso».
  Al riguardo, il Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione il 30 settembre 2015 ha anche osservato: «In particolare, c’è l'esigenza di disciplinare casi e modalità con cui le persone accolte vengono trattenute all'interno di questi centri. Infatti, l'assenza di un chiaro riferimento normativo ha portato anche recentemente alla condanna, da parte della Corte europea di Strasburgo, dell'Italia nel caso Khlaifia e altri contro l'Italia, per violazione, tra gli altri, dell'articolo 5 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, per aver detenuto alcuni migranti marocchini nel centro di Lampedusa in assenza di una previsione normativa».
  L'assenza di una qualificazione giuridica certa, oltre a porre in evidenza l'equivoca natura delle strutture – che sono indicate nella roadmap come «aree hotspot chiuse» –, rende presumibilmente difficile procedere ad adeguare le convenzioni stipulate dalle prefetture con gli enti gestori.
  Viceversa, un intervento normativo potrebbe anche individuare i parametri di cui tenere conto, dal momento che le caratteristiche della permanenza negli hotspot potrebbero essere profondamente diverse da quelle che ispirano le procedure di affidamento per gli altri centri per stranieri ed il relativo schema tipo di capitolato di appalto, ed in particolare, potrebbe essere necessario, implementare in questi siti la dotazione di personale necessaria per il servizio di informazione e mediazione linguistico-culturale.

Criteri di selezione

  L'istituzione degli hotspot – oltre ad essere finalizzata a conferire maggiore efficacia alle procedure di identificazione – mira anche a consentire una immediata, ancorché reversibile, distinzione tra le diverse categorie di migranti ed orientare, così, gli adempimenti successivi.
  Ciò allo scopo di inserire da subito nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo chi ne faccia richiesta e, in questa categoria, di inserire in uno specifico percorso di ricollocazione chi ne abbia i requisiti. Al contrario, per coloro che non manifestino l'intenzione di Pag. 35accedere alla procedura per il riconoscimento del diritto di asilo, lo scopo è quello di attivare il prima possibile i meccanismi di allontanamento dal territorio nazionale.
  In occasione della sua missione a Lampedusa, la Commissione ha assistito ad operazioni notturne di soccorso sul molo e di accoglienza nel Centro per diverse centinaia di migranti nello spazio di poche ore, acquisendo conferma delle difficoltà e dell'impegno con cui svolgono siffatte attività agenti, operatori sociali e volontari, ai quali rivolge anche in questa sede un sentito ringraziamento.
  In questo primo periodo di funzionamento degli hotspot – sostanzialmente solo quello di Lampedusa è a regime – appare prematura ogni considerazione finale sulle procedure adottate, ma si possono solo formulare alcune previsioni sulle criticità di questa delicata fase, nell'ottica del rispetto di ineludibili principi in materia di accoglienza.
  Uno dei principi generali che regolano la materia, del tutto inderogabile, è quello che vieta di essere respinto o espulso solo per la propria nazionalità.
  In molteplici occasioni la Commissione ha svolto specifici approfondimenti istruttori per verificare l'osservanza della regola secondo cui tutti coloro che sbarcano in territorio italiano vanno inizialmente considerati potenziali richiedenti asilo.
  La categoria del «migrante economico» non ha alcuna cittadinanza nell'ordinamento giuridico, e nessun provvedimento di respingimento può fondarsi esclusivamente sul Paese di provenienza (cosiddetti «paesi sicuri»).
  Nella circolare n. 168 dell'8 gennaio 2016 del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, volta a ribadire alcuni principi ineludibili delle procedure di asilo si precisa tale aspetto, ricordando come il nostro Paese non abbia voluto adottare, fino ad oggi, una lista dei paesi cosiddetti sicuri, in omaggio allo spirito della norma costituzionale che impone una valutazione individuale, caso per caso, delle specifiche situazioni.
  La Commissione ha però registrato diverse critiche su questo specifico aspetto, connesso all'attivazione degli hotspot.
  Si richiama, ad esempio, quanto affermato in audizione dinanzi la Commissione, il 9 dicembre 2016, da don Mussie Zerai, presidente dell'Agenzia Habeshia, a proposito degli hotspot «Il metodo che si sta usando è di discriminare le persone in base alla nazionalità, non in base al caso personale, (...) Per fare un esempio, gli Oromo sono tra le persone che all'interno del Paese stanno facendo una determinata lotta, condivisibile o no. Per il fatto che lottano per un determinato ragionamento o per determinate scelte politiche vengono perseguitati. Poiché, però, l'Etiopia non è più ritenuta un Paese pericoloso o a rischio, vengono considerati migranti economici, così come chi viene dal Burkina Faso, dal Benin o da altri Paesi.».
  Certamente una delle questioni di maggiore delicatezza concerne la pre-identificazione e compilazione del c.d. «foglio notizie», essendo la fase in cui si recepiscono le principali informazioni di carattere personale, tra cui i motivi di ingresso in Italia del migrante (di cui alla Pag. 36circolare nr. 30918 del 17 settembre 2015 della Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere).
  Quella che potrebbe apparire come una mera «presa in carico» del migrante finisce quindi per assumere una posizione di assoluta rilevanza nell'attuazione delle politiche migratorie.
  È di tutta evidenza come esigenze di speditezza e pragmatismo che connotano la gestione di uno sbarco di diverse centinaia di persone in contemporanea, in una cornice di evidente difficoltà per gli operatori e – ancor più – per i diretti interessati, possono determinare una frettolosa intervista e una non completa informativa legale del migrante.
  Vale la pena ricordare che, secondo quanto riferito dal prefetto di Agrigento, Nicola Diomede, nel momento in cui le persone ospiti vengono intervistate dal personale della Polizia di Stato, «non ci sono in quel frangente le persone delle organizzazioni internazionali. C’è il personale della Polizia di Stato, ci sono i funzionari dell'EASO e ci sono gli interpreti e i mediatori del CIES (Centro di informazione e educazione allo sviluppo), che agevolano il lavoro delle Forze di polizia».
  Non è apparso del tutto rispondente a principi garantisti il formulario utilizzato nel cosiddetto «foglio notizie». In audizione il 3 dicembre 2016, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, così si è espresso: «I colleghi della Polizia di Stato hanno anche inserito nel foglio di prima accoglienza la casellina in cui è riportata la richiesta d'asilo, ma oggettivamente è troppo poco. Ci vuole qualcuno che ci perda un po’ di tempo – non possono che essere le grandi organizzazioni internazionali – e che spieghi ai migranti le possibilità che l'ordinamento italiano e l'ordinamento europeo pongono a loro disposizione. Questo devo dire che l'abbiamo già chiarito con i colleghi.».
  Il rischio è quello di adottare provvedimenti di respingimento sulla base di un «foglio notizie» in cui il semplice barrare una casella segna il destino, per di più come risposta a domande proposte in un ordine che potrebbe anche generare una legittima confusione, in cui compare solo come ultima scelta la possibilità di chiedere asilo.
  Logica conseguenza di una mancata espressione della volontà di chiedere la protezione internazionale è l'immediata adozione di un provvedimento di respingimento.
  Occorre altresì ribadire che costituisce principio ineludibile delle procedure di asilo anche quello di assicurare, in ogni momento, a coloro che in prima battuta non abbiano manifestato la volontà di richiedere asilo al momento dello sbarco, la possibilità di mutare orientamento e di formulare tale richiesta in un momento successivo.
  In questo senso, non è nemmeno di ostacolo il fatto di essere già stati colpiti da un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale. Come chiarito dal questore di Agrigento, Mario Finocchiaro, «Fino al momento in cui il migrante dovesse lasciare il territorio nazionale, può manifestare in qualsiasi modo e in qualsiasi momento la volontà di chiedere protezione. In quel caso il provvedimento di respingimento del questore decade».
  La previsione normativa è contenuta nell'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo n. 25 del 2008: «Le domande di protezione internazionale Pag. 37non possono essere respinte, né escluse dall'esame per il solo fatto di non essere state presentate tempestivamente».
  Nella citata circolare n. 168 dell'8 gennaio 2016 del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, volta a ribadire alcuni principi ineludibili delle procedure di asilo si afferma esplicitamente che «il non consentire la presentazione della domanda di protezione internazionale costituisce una chiara violazione di legge».
  D'altra parte, l'eventualità di una domanda presentata tardivamente non è priva di conseguenze: quella più significativa riguarda chi, essendo stato già colpito dall'adozione di un provvedimento di respingimento è trattenuto in un CIE: in questo caso, infatti, l'articolo 6, comma 8, del decreto legislativo n. 142 del 2015 fissa la durata massima del trattenimento non già in 90 giorni bensì per un periodo di tempo che può raggiungere i 12 mesi e, quindi, ben più lungo anche dei 30 giorni contemplati per lo straniero scarcerato dopo un periodo di detenzione di almeno tre mesi.

L'informativa legale

  Per gli effetti che può produrre la dichiarazione resa dal migrante nell'immediatezza dello sbarco, risulta quindi di fondamentale importanza l'informazione legale e l'opera di mediazione e assistenza culturale sia precedente che successiva all'intervista ed al fotosegnalamento.
  Sul punto si registra – a rivelare possibili carenze operative – la dichiarazione resa nel corso della sua audizione del 3 dicembre 2016, del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone: «Sull'accesso all'assistenza legale, ripeto, c’è stato occasionalmente qualche misunderstanding, determinato da una lettura muscolare da parte del territorio di indicazioni ministeriali che abbiamo già chiarito. Alla primissima accoglienza dei migranti ci devono essere anche le grandi organizzazioni internazionali, che tradizionalmente per noi sono l'UNHCR e l'OIM, (...) per fare informazione legale e mettere il migrante nelle condizioni di fare una scelta consapevole di quello che può fare e delle opportunità che può avere».
  In un'ottica di superamento delle evidenziate perplessità, anche avanzate in alcuni incontri con la Commissione su questo specifico punto, si registra con favore la citata circolare dell'8 gennaio 2016 del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Mario Morcone, volta a ribadire alcuni principi ineludibili delle procedure di asilo.
  In primo luogo si ribadisce che il migrante non perde in nessun momento il diritto a presentare domanda di asilo e a ricevere la necessaria informazione legale ai sensi dell'articolo 8 della direttiva 2013/33/UE (rectius direttiva 2013/32/UE, che tuttavia riguarda la posizione di cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, per i quali vi siano indicazioni che Pag. 38desiderino presentare una domanda di protezione internazionale), la cui violazione è sanzionata «a pena di nullità dei conseguenti decreti di respingimento e trattenimento» (Cass. civ. IV Sez. ord. 5926/2015).
  Particolarmente rilevante è l'affermazione – recata nella citata circolare ministeriale – secondo cui, in considerazione della particolare vulnerabilità dei richiedenti asilo, sussistono garanzie procedimentali volte ad assicurare l'effettività del sistema di protezione. Tra questi, per i profili di interesse in questo ambito, il diritto ad una puntuale informazione sui propri diritti e doveri nell'ambito della procedura e ad avvalersi dell'assistenza di un interprete della sua lingua o di una lingua a lui comprensibile.
  Una delle questioni aperte in merito riguarda l'accesso delle organizzazioni umanitarie «indipendenti» – intendendosi quelle che non hanno specifici rapporti convenzionali con gli organi ministeriali – ai centri di identificazione.
  Risulta che, precedentemente alla sua «riconversione» in hotspot, si sia vietato l'accesso al Centro di Pozzallo di una delegazione di giornalisti, avvocati ed attivisti, in quanto erano in corso operazioni di identificazione dei migranti cui partecipavano le Autorità Consolari di riferimento.

L'obbligo di identificazione

  Il fotosegnalamento è indispensabile per l'avvio di qualsiasi procedura amministrativa, anche per quella finalizzata al riconoscimento della protezione internazionale.
  È indubbio che, sia a livello di normativa comunitaria sia di ordinamento interno, il fotosegnalamento dello straniero irregolare sia oggetto di specifico obbligo.
  Nell'ordinamento comunitario, tale obbligo per gli Stati membri era stato introdotto già dagli artt. 4 e 8 del Regolamento CE n. 2725/00 dell'11/12/2000 istitutivo di Eurodac.
  Gli articoli 9 e 14 del nuovo Regolamento Eurodac (n. 603 del 26/6/2013), ricalcando sostanzialmente le disposizioni precedenti, prevedono che ciascuno Stato membro proceda tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita dei richiedenti protezione internazionale e dei cittadini di Paesi terzi o apolidi di età non inferiore a 14 anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un Paese terzo e che non siano stati respinti o che rimangano fisicamente nel territorio degli Stati membri e che non siano in stato di custodia, reclusione o trattenimento per tutto il periodo che va dal fermo all'allontanamento sulla base di una decisione di respingimento, con susseguente obbligo di trasmettere i rilievi unitamente ad altri dati identificativi al Sistema Centrale quanto prima e in ogni caso entro 72 ore. È previsto peraltro che il decorso del termine sia sospeso nell'ipotesi di prioritarie esigenze di cura e soccorso del cittadino straniero, che l'inosservanza di tale termine non dispensi lo Stato membro, comunque, dall'ottemperare all'obbligo, che nell'ipotesi di rilievo tecnicamente non Pag. 39valido il fotosegnalamento debba essere ripetuto quanto prima e che, nell'ipotesi di difficoltà tecniche, il termine di 72 ore possa essere prorogato di ulteriori 48 ore.
  Nell'ordinamento interno, già l'articolo 4 del R.D. n. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) prevedeva la facoltà per l'autorità di pubblica sicurezza di ordinare che «coloro che non siano in grado o si rifiutano di provare la loro identità» siano sottoposti a rilievi segnaletici.
  Successivamente, con l'articolo 5 del d.lgs. n. 286/98 ai commi 2 bis e 4 bis è stato espressamente previsto l'obbligo di sottoposizione a rilievi fotodattiloscopici dello straniero che richieda il permesso di soggiorno o il relativo rinnovo.
  Il successivo articolo 6 comma IV prevede, altresì, che «Qualora vi sia motivo di dubitare dell'identità personale dello straniero, questi è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici». A fugare ogni dubbio circa la natura obbligatoria e non di mera facoltà dei rilievi, l'intervento normativo di cui all'articolo 5 comma 1, lettera e) della legge 30 luglio 2002 n. 189 ha sostituito le originarie parole «può essere sottoposto...» con le attuali «è sottoposto...».
  Con circolare n. 28197 del 25 settembre 2014, il Ministero dell'Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha inteso dettare delle linee di indirizzo operativo cui attenersi per il corretto adempimento delle procedure relative. Nella circolare si precisa che il rifiuto opposto dallo straniero all'identificazione mediante fotosegnalamento integra senz'altro la violazione di fattispecie illecite di rilievo penale.
  Nel medesimo atto dipartimentale di indirizzo viene richiamata una precedente circolare – la n. 27978 del 23 settembre 2014 della Direzione centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere – con la quale viene distribuito a tutte le Questure un volantino informativo, da consegnare ai migranti già dal momento del primo soccorso in mare, nel quale, tra l'altro, è scritto che «il rifiuto di fornire le proprie generalità e di farsi fotosegnalare costituisce reato e determina la denuncia all'Autorità giudiziaria» e che, in ogni caso, si «procederà all'acquisizione delle foto e delle impronte digitali anche con l'uso della forza, se necessario».

Il rifiuto di identificarsi

  Una delle questioni che sarà necessario valutare concerne la regolamentazione delle operazioni volte a superare i comportamenti di resistenza e di non adesione volontaria alle procedure identificative.
  Le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione dai pubblici ufficiali preposti a tale attività hanno concordemente escluso – quand'anche fosse consentito sul piano teorico normativo – la possibilità di usare mezzi costrittivi, in quanto materialmente inidonei allo scopo.
  Come spiegato dalla direttrice del Servizio Polizia Scientifica, Daniela Stradiotto, la procedura tecnica di fotosegnalamento implica necessariamente un minimo di collaborazione da parte dell'interessato, Pag. 40che può vanificarla, semplicemente chiudendo gli occhi o serrando le mani. Un'impronta mossa e non perfettamente leggibile non viene accettata dal sistema. Pertanto, una normativa volta a disciplinare la previsione di fotosegnalamento forzoso, necessariamente rispettosa della dignità umana, non potrebbe, quindi, che ipotizzare un mero prolungamento dei tempi di trattenimento dei migranti che rifiutano il fotosegnalamento, auspicando una loro collaborazione futura.
  In quest'ottica si inseriscono anche le parole pronunciate in audizione il 27 ottobre 2015 dal direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, prefetto Giovanni Pinto, secondo cui «quando uno straniero, per esempio una donna, si pone in posizione fetale, procedere al fotosegnalamento non è una questione di poco conto. Noi abbiamo dei filmati che dimostrano come in circa quaranta minuti si sia riusciti a fare, con due o tre poliziotti, un fotosegnalamento».
  Si pone quindi in evidenza un punto: la necessità di valutare se introdurre forme più o meno coercitive di trattenimento ai fini identificativi.
  In questo senso il direttore della Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell'Interno, Giovanni Pinto, ha precisato anche che l'Ufficio legislativo del Ministero dell'Interno ha allo studio un intervento normativo – sollecitato dalle Autorità europee – volto ad «introdurre nell'ordinamento una norma che consenta l'uso dalla forza per coloro che si rifiutano. Naturalmente, è un concetto che postula anche un periodo di trattenimento ai fini identificativi. Bisogna trovare una copertura giuridica per questa operazione. È una situazione complessa, ma, ripeto, sono proposte».
  Nel corso dell'audizione il prefetto Pinto ha altresì chiarito: «Per quanto riguarda il ricorso alla forza, rappresento che una sentenza della Cassazione già lo consente. Lo consente senza avere la possibilità di un periodo di trattenimento per fare queste operazioni (...) La forza non è una forza in termini assoluti. È una forza commisurata alle esigenze (...) Può essere anche il trattenimento, la costrizione, il cercare di ottenere questo fotosegnalamento. Si tratta, come hanno fatto i tedeschi, di cercare di avere una base giuridica più netta e limpida, perché quella sentenza della Corte costituzionale [n. 30 del 1962] presta il fianco ad interpretazioni».
  In occasione dell'audizione dinanzi alla Commissione il 13 gennaio 2016, anche Miguel Ângelo Nunes Nicolau, Coordinating Officer di Frontex, evidenziava l'opportunità a suo dire di un intervento normativo volto a prevedere un uso proporzionato della forza come extrema ratio: «L'acquisizione forzata delle impronte digitali prevede diverse fasi: una fase di consulenza, una fase di tentativi e, se la persona non collabora, può essere portata in un altro centro, dove viene effettuato un altro tentativo, fino a quando non si raggiunge l'obiettivo. L'uso della forza è naturalmente l'ultima risorsa, ma nel frattempo devono esserci tutte le condizioni affinché quella persona non possa proseguire il proprio viaggio fuori dall’hotspot se non è stata identificata».

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LA PROCEDURA DI RELOCATION IN ITALIA

  Strettamente connessa alla fase di attivazione degli hotspot è l'attuazione delle procedure di «relocation» dei migranti, definita nelle decisioni del Consiglio europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015.
  In deroga al principio del Regolamento di Dublino (che prevede che in linea di principio sia il Paese di primo approdo lo Stato membro competente a trattare la domanda di asilo), con le due citate decisioni, il Consiglio ha approvato la ricollocazione negli altri Stati membri prima di 32.256 migranti (di cui 24.000 dall'Italia e 16.000 dalla Grecia) – con possibile implementazione fino a 40.000 – e, successivamente, di 66.000 persone (15.600 dall'Italia e 50.400 dalla Grecia).
  La disciplina introdotta dalle citate decisioni – al di là del suo effettivo impatto – ha un forte contenuto simbolico, in quanto rappresenta un primo, ancorché timido, tentativo di superare in modo definitivo il principio secondo cui l'identificazione del migrante radica la competenza – fatto salvo il rispetto degli altri criteri – nello Stato membro di primo approdo.
  Nel corso della sua audizione del 29 luglio 2015, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano ha così rappresentato la posizione italiana: «È soprattutto dagli esiti delle negoziazioni in corso a Bruxelles che possiamo attenderci un serio decongestionamento del sistema di accoglienza, grazie a un inedito criterio di distribuzione tra i partner europei delle quote dei richiedenti asilo. L'ultimo Consiglio GAI ha stabilito che, a partire dal prossimo anno, verranno redistribuiti 24.000 stranieri attualmente residenti in Italia e in Grecia che hanno fatto richiesta di protezione internazionale. (...)
  Il risultato finora ottenuto, per quanto occorrerà ancora lavorare per consolidarlo e accrescerlo nelle dimensioni, è da considerare senz'altro significativo. Il suo maggior pregio è di infrangere finalmente il totem della competenza esclusiva del Paese di primo ingresso, realizzando un principio di solidarietà, che tra l'altro risponde in modo più realistico alle aspettative e alle esigenze di vita del migrante
».
  Con specifico riguardo al regolamento di Dublino ha altresì precisato: «Tenete anche conto che, per quanto siano non straordinari i numeri dell'Europa, ossia 24.000 in due anni, comunque (...) sono – e parlo di Dublino a questo punto – 24.000 “lesioni” in quello che io chiamo “il muro di Dublino”. Noi abbiamo come battaglia politica quella di superare Dublino, per il semplice ragionamento che non fotografa più la realtà europea».
  Secondo le linee operative indicate nella roadmap presentata dall'Italia, l'accertamento della nazionalità delle persone suscettibili di rientrare nella procedura di ricollocazione, deve avvenire durante le operazioni di prima identificazione (il «foglio notizie»).
  In tal modo, dopo la loro piena identificazione (registrazione, foto-segnalamento e rilievi dattiloscopici) presso l'hotspot, questa specifica categoria di richiedenti asilo suscettibili di rientrare nella procedura di ricollocazione possono essere incanalati in un flusso dedicato.Pag. 42
  In particolare, possono ricevere le informazioni sulla procedura di ricollocamento da esperti di EASO e di UNHCR, coadiuvati da mediatori culturali.
  Coloro che manifestino una volontà in tal senso sono trasferiti – previa registrazione nel sistema VESTANET come CAT 1 – in una delle strutture di accoglienza dedicate (regional hubs) entro 24-48 ore, per un periodo che, di norma, si attesta su due mesi, prorogabile a tre mesi e mezzo, ove ricevono informazioni supplementari con l'assistenza di 5 esperti EASO e 3 mediatori culturali per ciascun hub.
  La banca dati VESTANET – in cui è caricato il modello «C3» – consente di espletare le successive operazioni di matchmaking a cura dell'ufficio dell'Unità Dublino, con il supporto di 10 esperti EASO e di ufficiali di collegamento, in funzione dell'esame delle caratteristiche delle persone ricollocabili (in termini di titoli di studio, qualifiche professionali, lingue straniere parlate, etc.) per abbinarle con le disponibilità di accoglienza proposte dai vari Paesi membri.
  Successivamente all'approvazione, da parte dello Stato membro ricevente, delle persone proposte per la relocation, si avviano le operazioni di trasferimento a cura della Polizia di Stato con il supporto degli esperti EASO assegnati all'Unità Dublino.
  Infine, allo scopo di evitare movimenti secondari da parte dei rilocandi, l'Italia si impegna a mettere in atto nel corso dell'intero iter procedurale, adeguate misure informative per i destinatari delle operazioni, la raccolta di titoli/certificati di studio e/o qualifiche professionali e capacità di lavoro, scambi di informazioni con gli Stati membri riceventi.
  Sull'attuazione del programma, il prefetto Mario Morcone, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, nel corso dell'audizione del 3 dicembre 2015 ha evidenziato che «la frenata è determinata da due ordini di fattori. Da un lato, certamente c’è la scarsità degli arrivi, perché (...) le nazionalità sono limitate, come sapete, a Siria, Iraq ed Eritrea, mentre abbiamo una presenza imponente di afgani. All'ultima riunione abbiamo chiesto che si tenga conto degli afgani nell'ambito delle nazionalità da ricollocare. Dall'altro lato, senza voler essere polemico con nessuno, devo dire che comunque (...) abbiamo inviato oltre 130 richieste a vari Paesi europei, i quali fanno fatica a darci il cosiddetto approval per il trasferimento delle persone (...) La vicenda è molto complicata dal punto di vista amministrativo. Si tratta di un lavoro davvero non voglio dire complicato, ma certamente complesso, soprattutto dopo gli attentati di Parigi. C’è un fascicolo elettronico, completo di notizie, che poi il Paese che dovrà accogliere la persona esamina con particolare attenzione».
  In audizione dinanzi alla Commissione il 9 dicembre 2016, don Mussie Zerai, presidente dell'Agenzia Habeshia, ha riferito che «... noi abbiamo raccolto alcune testimonianze, per esempio, di eritrei che sono nel programma di riallocazione o di reinsediamento europeo. All'inizio c’è stata una fiducia verso questo programma e verso questo sistema, per i pochi che sono riusciti a partire all'inizio del programma, in questo mese e mezzo trascorso, perché era stato detto loro che potevano partire verso il Paese dove più o meno desideravano andare. Poi, invece, qualcosa è cambiato. Hanno preso le impronte digitali alle persone, dicendo loro di scegliere dove volessero andare. Le persone hanno scelto Pag. 43e hanno scritto: c'era chi voleva andare in Germania, chi in Svezia, chi in Norvegia e via elencando. Poi, una volta prese le impronte, è stato detto loro che non sarebbero più andate in questi Paesi, ma alcune in Spagna, alcune forse in Francia, altre verso il Portogallo o la Romania. In primo luogo, queste persone hanno detto: «Ci hanno ingannato». Le persone hanno detto agli altri – i social network funzionano; si scambiano al telefono le informazioni –: «Non fidatevi di quello che vi dicono, perché ci hanno ingannato. Hanno preso le impronte digitali dicendoci che saremmo potuti andare verso il Paese che avevamo scelto». Le scelte di queste persone, peraltro, sono dettate dai legami che esse hanno verso questi Paesi, perché vi è presente qualche parente o qualche amico. La presenza di un amico o di un parente diventa un aiuto verso il processo di integrazione di quella persona. Non scelgono così a caso.
  Il criterio di assegnazione in questa riallocazione dovrebbe tenere conto anche del bisogno di quella persona e dei legami affettivi o parentali che ha in quel Paese. Se si manda un eritreo in Romania, dove non c’è nessun altro eritreo o nessun connazionale che lo possa aiutare nel suo accompagnamento e nel suo inserimento sociale, economico e lavorativo, lui si sente isolato e quindi è ovvio che non ci voglia andare. Bisogna considerare anche questo elemento e tener conto dei bisogni di quella persona e dei suoi legami affettivi di parentela o di amicizia che in un dato Paese la possono aiutare nel suo cammino di integrazione».

I TRANSITANTI

  L'indagine sul tema della identificazione ha necessariamente toccato, sia pure incidentalmente, un'ulteriore tematica meritevole di attenzione, riferita alle condizioni di permanenza sul suolo italiano di coloro che si sono sottratti al fotosegnalamento per non incorrere nei rigidi meccanismi del Regolamento Dublino.
  Sia pure in decremento nell'ultimo trimestre del 2015, il numero dei c.d. transitanti, cioè di quanti si sono sottratti al fotosegnalamento è pur sempre pari circa ad un sesto del totale degli arrivi del 2015.
  Non essendo sottoposti a forme di trattenimento coattivo, si allontanano volontariamente dai centri di prima accoglienza per proseguire il loro percorso migratorio.
  La posizione dei «transitanti», spesso accampati in condizioni di fortuna in siti estemporanei (siano essi la stazione di Milano, la scogliera di Ventimiglia o taluni luoghi di accoglienza sparsi sul territorio nazionale), è stata a tratti oggetto di forte attenzione mediatica e presumibilmente costituirà una problematica sempre più pressante qualora divengano concrete le misure restrittive minacciate da alcuni paesi europei alla libera circolazione nell'area Schengen, sicuramente di impatto significativo sul nostro Paese, per gli inevitabili effetti che avranno in relazione alle nuove rotte migratorie.
  Per i profili di interesse in questa sede, va evidenziato che – coloro che si sottraggono all'identificazione – saranno inevitabilmente esclusi da qualsiasi percorso di accoglienza o di aiuto organizzato su un piano normativo, restando ogni possibile forma di accoglienza Pag. 44rimessa ad una rete di soggetti sociali tanto virtuosi quanto necessariamente limitati nei loro spazi di azione.
  Né va sottovalutato che, prima di raggiungere la meta finale, sono costretti ad affidarsi ad una rete di assistenza parallela, dove spesso si annidano criminali, che favoriscono, dietro corrispettivo di ingenti somme di danaro, l'approdo nei Paesi esteri.
  È quanto emerso proprio in occasione di un sopralluogo della Commissione di inchiesta presso il centro Baobab di Roma, dove, per mesi, una rete solidale, certamente apprezzabile, ha fornito ogni tipo di assistenza a migliaia di immigrati, che facevano sosta nella capitale in attesa di raggiungere altri Paesi europei, diventando, però, al contempo un possibile punto di riferimento per passeur e intermediari finanziari illegali.

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IL SISTEMA DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA, LE PROCEDURE DI AFFIDAMENTO E I CONTROLLI

L'ambito dell'indagine

  Il filone di indagine che ha avuto ad oggetto il sistema dei centri di accoglienza, ha consentito alla Commissione di valutare il modello realizzato nel recente passato, caratterizzato da strutture «permanenti» di grandi dimensioni ed altre strutture temporanee di carattere straordinario in termini comparativi con modelli di accoglienza diffusa, quali si realizzano già in parte con la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e con altre forme organizzative attuate con il coinvolgimento della autonomie territoriali e delle reti di associazioni e operatori in ambito sociale.
  Questo segmento di attività, altresì, ha comportato una valutazione dell'attuale meccanismo di riparto quantitativo dei richiedenti asilo sul territorio nazionale fissato dall'Accordo stipulato nella riunione della Conferenza Unificata del 10 luglio 2014, per verificare se esso rispondesse ai suoi obiettivi originari di coinvolgimento delle istituzioni territoriali e di realizzazione delle migliori condizioni per fornire ai fruitori dell'accoglienza efficaci servizi e strumenti di integrazione sociale.
  L'attività istruttoria in questo ambito ha consentito altresì di acquisire elementi conoscitivi riferiti ad un ulteriore filone di indagine – il quinto, in ordine progressivo – specificatamente dedicato a verificare i meccanismi dei bandi di gara per l'affidamento degli appalti dei servizi di accoglienza dei migranti, che pertanto verranno esposti nel presente paragrafo.
  Non verrà invece in questa sede richiamata l'attività conoscitiva concernente l'indagine sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati e delle altre categorie vulnerabili, essendo tale argomento affrontato in altro paragrafo dedicato.

L'attività istruttoria svolta fino al 31 gennaio 2016

  Su queste tematiche, le principali fonti di conoscenza sono state le audizioni del Ministro dell'Interno, Angelino Alfano (seduta del 29 luglio 2015); del Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno, Domenico Manzione (seduta del 13 ottobre 2015), del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Mario Morcone, (sedute del 7 maggio, 21 luglio e 3 dicembre 2015); della direttrice del Servizio centrale dello SPRAR, Daniela Di Capua (sedute del 21 maggio e 24 novembre 2015); del delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per il Sud Europa e del Capo dell'Unità di Protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Laurens Jolles e Riccardo Clerici (seduta del 30 settembre 2015); del Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche (Anac), Raffaele Cantone (seduta del 10 novembre 2015).Pag. 46
  Inoltre, la Commissione ha inteso avviare anche un ciclo di audizioni dei Presidenti di Regione, in funzione dell'esigenza di acquisire elementi di conoscenza sulle forme di partecipazione che gli enti regionali intendono assumere nella gestione del complesso sistema di accoglienza dei migranti sul territorio nazionale e delle forme di interazione con gli enti locali infraregionali. Sono stati quindi acquisiti i contributi, in audizione, dei Presidenti della Regione Veneto, Luca Zaia (seduta del 17 giugno 2015), della Regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin (seduta del 18 giugno 2015), della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino (seduta del 17 settembre 2015), della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (seduta del 22 ottobre 2015).
  Al fine di mettere a fuoco le politiche di accoglienza in alcune realtà territoriali, la Commissione ha inoltre svolto un ciclo di audizioni funzionali a ricevere informazioni sulle questioni connesse alle procedure di affidamento dei centri di accoglienza a Roma, oggetto di note vicende giudiziarie, nonché sulle forme di partecipazione alla gestione del sistema di accoglienza dei migranti da parte dell'ente comunale e delle relative forme di controllo.
  In questo ambito hanno avuto luogo le audizioni del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, (seduta del 18 giugno 2015), nonché del sindaco e dell'assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Ignazio Marino e Francesca Danese (sedute del 23 luglio e 4 agosto 2015).
  Ulteriori approfondimenti istruttori sono stati effettuati nel corso delle audizioni svolte fuori sede in occasione delle missioni per i sopralluoghi di delegazioni dell'organo parlamentare ai centri di accoglienza. Si richiamano al riguardo le audizioni svolte a Catania (26 Maggio 2015), Lampedusa (23 Giugno 2015), Crotone (14 Luglio 2015), Bari (11 Dicembre 2015) e Bergamo (29 gennaio 2016).
  Di tutte le audizioni – anche quelle svolte fuori sede – è stato redatto un resoconto stenografico disponibile nelle pagine della sezione del sito della Camera dei deputati dedicata all'attività di quest'organo parlamentare, ovviamente per le sole parti non coperte da vincoli di riservatezza.
  Infine, la Commissione ha proceduto a svolgere sopralluoghi nei seguenti centri di accoglienza: CARA di Mineo (CT), 24 maggio 2015; CPSA di Pozzallo (RG), 26 maggio 2015, CPSA di Lampedusa (AG), 22 giugno 2015, CARA di Isola Capo Rizzuto (KR), 13 luglio 2015, centro informale «Baobab» a Roma, 3 agosto 2015, CARA di Castelnuovo di Porto (RM), 26 ottobre 2015, CAS «Di Francia Park» e «Onda del mare» a Giugliano (NA), 4 dicembre 2015; CARA di Bari e CAS di Poggiorsini (BA), 10 dicembre 2015. I verbali dei relativi sopralluoghi sono tuttora classificati come riservati.
  Sulle tematiche oggetto del presente paragrafo è stata altresì acquisita agli atti della Commissione un'ingente quantità di materiale documentale.

Premessa

  Come introduzione di carattere generale sul tema dell'accoglienza dei richiedenti asilo, vale la pena richiamare le parole pronunciate Pag. 47nella sua audizione, lo scorso 30 settembre 2015, dal Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles: «Quello di accogliere le persone che fuggono da violenze e persecuzioni rappresenta indubbiamente un dovere morale ineludibile, ma non solo. È anche un dovere giuridico, inviolabile per lo Stato, soprattutto uno Stato dell'Unione europea, determinato dalla normativa internazionale e dal diritto comunitario.
  Aggiungo, inoltre, che in questa particolare fase storica l'accoglienza rappresenta un fondamentale esempio di solidarietà internazionale. È noto, infatti – ma è bene ricordarlo – che nel 2015 il numero di rifugiati nel mondo è arrivato a 60 milioni, la maggioranza dei quali vive nei Paesi limitrofi alle zone di conflitto. È utile dunque ricordare sempre che il numero, pur elevato, dei richiedenti asilo che hanno fatto ingresso in Europa quest'anno rimane comunque infinitamente più basso rispetto a quello dei rifugiati ospitati in altri Paesi, come il Libano, la Turchia, il Pakistan, la Giordania e l'Etiopia.
  L'altro aspetto che riteniamo utile evidenziare è il forte legame che intercorre tra l'accoglienza e altri aspetti rilevanti del «sistema asilo», soprattutto in questa fase in cui si registra un aumento comunque rilevante delle presenze nel sistema d'accoglienza italiano. In particolare, è evidente che esiste un legame tra accoglienza e procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, nella misura in cui garantire la qualità, l'equità e l'efficienza di quest'ultima ha un impatto sui tempi di permanenza nei centri d'accoglienza.
  Oltre a quello delle procedure, c’è un altro aspetto che dovrebbe ricevere altrettanta attenzione, che è quello dell'integrazione. L'UNHCR ritiene che esso sia l'aspetto maggiormente problematico per i beneficiari di protezione internazionale in Italia, a partire dal fatto che per molti di essi non sussiste alcuna forma d'accoglienza finalizzata per l'appunto all'integrazione, dal momento del riconoscimento della protezione. È anche a causa di ciò che si determina l'elevato numero di rifugiati, compresi nuclei familiari con minori, che vivono in drammatiche situazioni di disagio abitativo, in palazzi occupati o in baraccopoli, nelle periferie delle grandi città italiane
».
  Sempre in via preliminare, occorre dare rilievo alla scelta di non attivare nel corso del periodo di riferimento alcuna procedura di carattere straordinario o emergenziale, a differenza di quanto avvenuto nel recente passato durante la cosiddetta emergenza Nord Africa.
  Come ha chiarito il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, nella sua audizione del 7 maggio 2015 «la scelta di non intervenire con la dichiarazione dello stato d'emergenza e la Protezione civile è una scelta consapevole. L'idea – che nasce appunto nella Conferenza unificata del 2014 – era, ed è ancora, quella di costruire nel nostro Paese un'infrastruttura stabile e ordinaria di accoglienza e di non ridursi a gestire la vicenda della migrazione sempre come una vicenda di emergenza.(..) La scelta, quindi, è stata quella di cercare di costruire nel nostro Paese un'infrastruttura stabile di accoglienza, regolata da una strumentazione normativa ordinaria».
  Un ulteriore elemento – anch'esso di carattere preliminare – emerso nel corso dell'istruttoria riguarda la evidente differenza tra il teorico modello disegnato dal decreto legislativo n. 142 del 2015 e la Pag. 48reale configurazione attuale del sistema di accoglienza che, pur mettendo in conto una fase transitoria di graduale avvicinamento, è ancora molto lontano dallo schema legislativo e probabilmente richiede adeguati correttivi per la sua piena realizzazione.
  In particolare, non sembra acquisita, come si vedrà meglio in seguito, una effettiva distinzione tra strutture di prima e di seconda accoglienza. Permane piuttosto una situazione in cui ad alcune strutture di maggiori dimensioni (che siano i nuovi hub o le vecchie strutture governative) si affiancano altre più piccole (tra cui un elevatissimo numero di CAS) che non rispondono alla ripartizione tra prima e seconda accoglienza, in quanto le persone entrano anche prima di aver completato l'identificazione e ci restano anche dopo aver presentato domanda di protezione e spesso per tutto il tempo di attesa dell'esito definitivo.
  In più, seppure l'articolo 11 del decreto legislativo n. 142 – rubricato come misure straordinarie di accoglienza – le indichi come «strutture temporanee, appositamente allestite» per supportare il sistema ordinario, l'istruttoria svolta e i dati acquisiti evidenziano il notevole ricorso ai centri di accoglienza straordinari, che assorbono circa l'ottanta per cento dei migranti presenti nelle strutture ufficiali.
  La mancata realizzazione del teorico modello di accoglienza disegnato dal decreto legislativo n. 142 del 2015 si riverbera anche nella difficoltà di delineare concretamente la natura e le caratteristiche delle strutture prefigurate dalla citata normativa.
  Ad esempio, l'assenza di norme attuative non contribuisce a chiarire il dubbio sulle caratteristiche dei cosiddetti hub regionali e se essi siano coincidenti con le strutture di prima accoglienza di cui all'articolo 9. Infatti, tale terminologia compare esclusivamente nella road map presentata dal Governo Italiano il 28 settembre 2015 – un testo privo di valore normativo – secondo cui «Il sistema di prima accoglienza è composto da strutture appartenenti ad ex centri governativi (CARA/CDA e CPSA), che attualmente si stanno riconfigurando come regional hubs».

IL MODELLO ORGANIZZATIVO DEI CENTRI DI ACCOGLIENZA

  I meccanismi di organizzazione dell'accoglienza in Italia, nel periodo di riferimento della presente relazione, si sono sensibilmente modificati, anche in virtù dell'entrata in vigore del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, che ha inteso ridefinire il sistema dei centri di accoglienza.
  In particolare, l'articolo 8 delinea un sistema di accoglienza – basato sulla leale collaborazione tra i livelli di governo interessati – articolato in due fasi:
   • «prima accoglienza» assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11 (strutture temporanee), nonché di quelle allestite in occasione della «emergenza Puglia» nel 1995;
   • «seconda accoglienza» disposta nelle strutture di cui all'articolo 14 (SPRAR) ovvero, in caso di insufficienza, ancora una volta ricorrendo in via residuale alle strutture temporanee.

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I centri di soccorso e prima accoglienza

  La fase di prima accoglienza – una volta prestato soccorso e offerto i primari servizi alla persona, eventualmente già nei centri di prima assistenza costituiti prevalentemente nei luoghi interessati da sbarchi massicci – dovrebbe svolgersi in strutture appartenenti al circuito governativo (CARA/CDA e, in alcuni casi anche i CPSA), che il citato decreto legislativo ha inteso riconfigurare.
  Il modello legislativo prefigura strutture dislocate tendenzialmente a livello regionale o interregionale in modo da realizzare un sistema capillare di centri di accoglienza per richiedenti asilo. In esse dovrebbero confluire i cittadini di Paesi terzi – già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento – per consentire loro di compilare il cd. »modello C3« (formalizzazione della domanda di protezione internazionale) e quindi passare alle strutture di seconda accoglienza.
  Il citato decreto legislativo n. 142 del 2015, all'articolo 9, precisa che la realizzazione delle nuove strutture avvenga anche mediante la riconversione dei centri per i richiedenti asilo – i CARA, disciplinati dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 25 del 2008, ora abrogato –, nonché dei centri di primo soccorso e accoglienza governativi, i CPSA/CDA, istituiti ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995 per l'emergenza sbarchi in Puglia, se destinati a tali funzioni con decreto ministeriale.
  Nel corso della sua audizione, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, (seduta del 3 dicembre 2015) ha precisato: « Nel decreto n. 142 sostanzialmente – questo è un tema che non risolviamo con l'approvazione di una norma; ci vorrà un tempo di transizione – i CARA in sé non esistono più. Esistono solo gli hub e un'accoglienza definitiva. Tutto quello che non è hotspot, ossia primissima accoglienza sui punti di sbarco, in realtà è costituito da hub e, se non da hub, da seconda accoglienza e, quindi, tendenzialmente da SPRAR.».
  Sul piano normativo, il sistema di prima accoglienza trova il suo riferimento nell'articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, secondo cui tali centri governativi hanno la precipua funzione di consentire lo svolgimento delle operazioni necessarie alla identificazione dello straniero, ove non sia stato possibile portarle a termine nei centri di primo soccorso. Inoltre in questa sede si dovrebbe procedere a definire la posizione giuridica dello straniero, verbalizzando la domanda di protezione – se non ultimata precedentemente – e avviando la procedura di esame della medesima.
  Quanto ai servizi alla persona, la stessa disposizione impone a tali centri di dotarsi di adeguati strumenti per verificare le condizioni di salute del richiedente e accertare eventuali situazioni di vulnerabilità che richiedono servizi speciali di accoglienza.
  L'accoglienza dovrebbe essere quindi limitata al periodo di tempo necessario per tali operazioni.
  Le suddette nuove strutture sono istituite con decreto del Ministro dell'Interno, sentita la Conferenza unificata, secondo la programmazione del Tavolo di coordinamento nazionale e dei Tavoli di coordinamento Pag. 50regionali e dovrebbero essere dislocate a livello regionale o interregionale.
  Il citato articolo 9, al comma 2 dispone che l'affidamento della gestione segua le procedure di affidamento dei contratti pubblici. I centri possono essere gestiti da enti locali, anche associati, unioni o consorzi di comuni, enti pubblici o enti privati che operano nel settore dell'assistenza dei richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell'assistenza sociale.
  Inoltre, il medesimo articolo 9, ai commi 4 e 5 precisa rispettivamente che l'accoglienza in questo tipo di strutture deve essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, e che il richiedente che ne faccia richiesta (anche se non siano state completate le procedure di esame della sua domanda e non ne possa conoscere l'esito) sia trasferito in una struttura di accoglienza del sistema SPRAR, purché privo di mezzi di sostentamento. In caso di temporanea indisponibilità di posti SPRAR, il richiedente rimane nel centro di prima accoglienza.
  Come precisato nel corso delle audizioni, il sistema di prima accoglienza è ancora in corso di definizione.
  Alla data del 31 gennaio 2016, alcune ex strutture governative sono già state trasformate in hub regionali, mentre altre strutture idonee, come ad esempio le caserme, che non appartengono più al Ministero della Difesa, sono state selezionate in quelle Regioni che desiderano implementare tale progetto. Sono stati, inoltre, avviati i lavori per adattare al meglio tali strutture.
  Nella roadmap presentata dal Governo italiano il 28 settembre 2015 si afferma che «il sistema definitivo di hub regionali, il cui completamento è previsto entro la fine del 2016, sarà costituito da circa un centro per ogni regione».
  Nella seduta del 21 luglio 2015, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, prefetto Mario Morcone, aveva anche segnalato la possibilità per le Regioni di adottare strategie diversificate: «In Friuli hanno deciso che volevano cinque hub piccolini e hanno fatto così. Nessuno ha detto niente, anzi abbiamo fornito loro le strutture. Anche in Toscana volevano un'accoglienza diffusa e hanno fatto in questo modo. Nessuno ha avuto niente da dire. In Emilia-Romagna hanno preferito utilizzare il sistema dell’hub unico di Bologna e hanno fatto così. Il resto appartiene al dibattito sul territorio, che poi si riverbera a livello nazionale perché nessuno vuole imporre niente a nessuno, escluso naturalmente quel pezzo di accoglienza che spetta a ciascuna regione».
  Il Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno Domenico Manzione, nel corso della sua audizione del 13 ottobre 2015 ha altresì comunicato che «superata la prima fase, le Regioni dovevano provvedere all'individuazione degli hub regionali, cosa alla quale non tutte le Regioni hanno provveduto con tempestività; forse la prima e più efficiente è stata l'Emilia-Romagna, mentre le altre stanno arrivando in ordine sparso. Non faccio fatica a dire che in alcuni casi gli hub sono stati recuperati attraverso la ristrutturazione e il riadattamento di alcune strutture che già avevamo o l'individuazione di altre strutture, come le caserme, che ci sono state messe a disposizione da parte del Ministero della difesa».Pag. 51
  Al riguardo, il Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione il 30 settembre 2015 ha però osservato: «Il decreto, tuttavia, pur abolendo i CARA, prevede una disciplina dei grandi centri governativi di prima accoglienza che rischia di replicarne la disfunzionalità. Ciò perché non è stato previsto un termine massimo di permanenza ed è stato stabilito che il richiedente possa iniziare la procedura di riconoscimento della protezione internazionale durante il periodo di permanenza in detto centro».
  Tali preoccupazioni sono ritenute meritevoli di interesse dalla Commissione, atteso che gli hub rappresentano pur sempre centri di dimensioni considerevoli, il cui afflusso non può essere realmente programmato.
  Ne discende che, in un periodo di intensi arrivi, in assenza di meccanismi celeri di definizione delle domande di asilo e in presenza delle note difficoltà a reperire posti nei centri di seconda accoglienza, è facilmente prevedibile il sovraffollamento delle strutture, con conseguente riduzione degli standard qualitativi dei servizi erogati ben al di sotto di limiti accettabili.
  Occorre infine tener presente che, come rilevato in premessa, al 31 gennaio 2016 la riconversione degli attuali CARA in centri governativi di prima accoglienza, di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015, non si è realizzata: gli hub regionali sono stati realizzati solo in parte e dove esistono sono anch'essi centri di grandi dimensioni come le precedenti strutture che dovrebbero sostituire; al contempo, restano invece in funzione gli attuali CARA in cui la permanenza non è limitata all'espletamento delle prime pratiche ma si può protrarre anche per lunghi periodi.

La seconda accoglienza: Lo SPRAR

   Il sistema di accoglienza italiano a lungo termine, vale a dire la seconda fase dell'accoglienza, è basato principalmente sul modello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).
  Si tratta di un modello diffuso su tutto il territorio italiano, che impegna istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità.
  In particolare, il sistema vede un ruolo centrale svolto, anche in questo caso, dal Ministero dell'Interno – che dirama periodicamente il bando – ma anche un ruolo delle autorità locali, che vi partecipano presentando progetti secondo criteri stabiliti da un decreto del medesimo Ministero. In altre parole, la rete SPRAR si fonda su domande di contributo da parte degli enti locali per la realizzazione dei progetti di accoglienza.
  Un ruolo importante in questo ambito è svolto dal Servizio centrale – l'organo istituito dal Ministero dell'Interno nell'ambito della legge n. 189 del 2002, ma affidato per convenzione ad ANCI –, che ha il compito di supportare i progetti proposti (soprattutto i progetti nuovi) nell'attivazione dei posti e nell'avvio delle attività progettuali approvate e dunque di assistere, coordinare e monitorare i progetti che fanno parte della rete SPRAR.Pag. 52
  A partire dal 2104 il Servizio centrale ha anche iniziato a supportare i progetti nell'attivazione dei servizi e cominciato a effettuare anche il controllo delle attività, parallelamente all'attivazione di corsi di formazione per gli operatori dei progetti.
  La predisposizione dei progetti di accoglienza e dei servizi svolti dagli enti locali si basa su linee guida contenute in un decreto che il Ministro dell'Interno emana, sentita la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali e Stato-Regioni. La presentazione e l'esame delle domande avviene secondo modalità fissate con decreto del Ministro dell'Interno, sentita la Conferenza unificata.
  La rete SPRAR viene unanimemente considerata un modello efficace, in quanto realizza i presupposti necessari per offrire ai richiedenti asilo la possibilità di beneficiare di un'accoglienza con standard adeguati, alloggi confortevoli, nonché servizi, quali l'istruzione, la formazione professionale, i corsi di lingua italiana, la consulenza legale, l'assistenza medica e il supporto psicologico.
  Esso pertanto costituisce il sistema di accoglienza prescelto per la realizzazione di ulteriori posti di accoglienza: infatti la capacità di accoglienza SPRAR è stata progressivamente incrementata nel tempo, passando dai 3.000 posti nel 2012, ai 9.400 nel 2013, ai 19.600 nel 2014, fino ai 22.000 nel 2015. Il bando SPRAR del 7 agosto 2015, con scadenza il 14 gennaio 2015 – prorogata al 14 febbraio 2016 – dispone altresì l'ampliamento della disponibilità di ulteriori 10.000 posti.
  Il decreto legislativo n. 142 del 2015, agli articoli 14 e 15, integra la normativa previgente proprio al fine di dare maggiore impulso all'accoglienza nell'ambito del sistema della rete SPRAR.
  L'articolo 14 prevede che il richiedente che ha formalizzato la domanda ed è privo di mezzi sufficienti al sostentamento proprio e dei propri familiari abbia accesso, su richiesta, alle misure di accoglienza. La valutazione dell'insufficienza dei mezzi di sussistenza spetta alla Prefettura, utilizzando come parametro di riferimento l'importo annuo dell'assegno sociale.
  Le misure di accoglienza sono assicurate per tutto il periodo in cui si svolge il procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale competente, fino al momento della decisione. Se la domanda è rigettata, la durata dell'accoglienza è commisurata al termine per la proposizione del ricorso ovvero continua ad essere assicurata fino al termine del ricorso giurisdizionale.
  È sempre la Prefettura – dopo aver verificato la fondatezza della domanda dell'interessato in cui attesta di non essere in possesso di sufficienti mezzi di sussistenza per sé e per la sua famiglia – a verificare la disponibilità di posti e ad organizzare il trasferimento dei soggetti richiedenti presso le strutture di destinazione. Se però, per determinate esigenze e con motivate ragioni, si rende necessario il trasferimento presso strutture diverse o ubicate in altre province, il trasferimento stesso è disposto dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
  Sia la Questura sia la Commissione territoriale vengono informate, a cura della Prefettura, dell'indirizzo della struttura di accoglienza prescelta, per la notifica delle comunicazioni degli atti relativi al Pag. 53procedimento di esame della domanda nonché di ogni altro atto. Nelle strutture di accoglienza è consentito l'accesso dei legali rappresentanti del richiedente o del personale dell'UNHCR nonché dei rappresentanti degli enti di tutela, al fine di prestare assistenza ai richiedenti. Avverso il provvedimento di diniego delle misure di accoglienza è ammesso il ricorso al TAR territorialmente competente.
  I progetti SPRAR sono finanziati principalmente attraverso il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, istituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che ha modificato il decreto legge n. 416 del 1989 e nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del Ministero dell'Interno, sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati. Si prevede che i progetti di accoglienza vengano finanziati coprendo i costi complessivi dei vari servizi forniti dai territori anche in deroga al limite dell’’80%. Tuttavia, per l'attuazione di ulteriori posti, tali fondi sono integrati con risorse del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI).
  Con riguardo alle procedure di selezione dei progetti, esse sono effettuate dalla Commissione di valutazione presso il Ministero dell'Interno, in cui favore svolge una funzione di assistenza tecnica il Servizio centrale dello SPRAR, allo scopo di supportare i funzionari del Ministero nell'esaminare uno per uno i progetti, chiedere eventuali integrazioni della documentazione e verificare la corrispondenza di quanto descritto nella domanda progettuale con quanto previsto sia dai documenti del bando, sia dalle linee-guida dello SPRAR.
  A questo corrispondono poi, sulla base di determinati indicatori, dei punteggi. C’è quindi un'indicazione di massima del punteggio raggiunto dal progetto, che viene sottoposto, con la relativa documentazione, alla Commissione di valutazione che verifica il punteggio attribuito e definisce poi la graduatoria. La Commissione di valutazione può anche attribuire un punteggio qualitativo rispetto alla domanda progettuale complessiva.
  Della Commissione di valutazione fanno parte un rappresentante dell'ANCI, l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, un rappresentante delle Province, un rappresentante delle Regioni, un rappresentante dell'UNHCR e due rappresentanti del Ministero dell'Interno, uno dei quali della Direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo – la Direzione a cui fa capo proprio lo SPRAR – e un funzionario esterno a questa Direzione.
  Una delle questioni emerse in questo ambito riguarda il rapporto tra l'ente locale proponente e il soggetto che concretamente gestisce il progetto.
  Secondo quanto riferito dalla direttrice del Servizio centrale dello SPRAR, Daniela di Capua, nel corso dell'audizione del 21 maggio 2015, «il 99 per cento dei progetti degli enti locali dello SPRAR utilizza un'associazione per la gestione operativa del progetto – o in parte o in toto – e a volte anche più di un'associazione, a seconda della tipologia di servizi».
  La Commissione ritiene quindi di estrema importanza verificare quali sono i meccanismi in base ai quali i Comuni scelgono i partner sociali, atteso che poi nei fatti sono questi ultimi a svolgere l'attività ed erogare i servizi, che costituiscono il punto centrale dell'accoglienza SPRAR.Pag. 54
  Sul punto, relativamente cioè all'affidamento dei servizi alle associazioni ed al relativo regime dei controlli, la direttrice del Servizio centrale dello SPRAR, Daniela di Capua, nel corso dell'audizione del 24 novembre 2015, ha ricordato che l'articolo 5 del bando emanato con decreto del ministro dell'Interno il 7 agosto 2015, stabilisce che «l'ente locale proponente per la realizzazione dei servizi indicati dal presente decreto può avvalersi di uno o più enti attuatori, selezionati attraverso procedure espletate nel rispetto della normativa di riferimento». E specifica poi i requisiti minimi che vengono richiesti a questi enti attuatori: «Gli enti attuatori devono possedere una pluriennale e consecutiva esperienza nella presa in carico di richiedenti/titolari di protezione internazionale, comprovata da attività e servizi in essere al momento della presentazione della domanda di contributo».
  Sempre sul tema delle procedure di affidamento dei servizi alle associazioni da parte dei comuni ha quindi rilevato che «In realtà, non è mai avvenuto che ci fosse un'indicazione specifica su quali debbano essere le procedure, né è mai stato previsto che ci fosse un controllo ex post sulle procedure effettivamente utilizzate.
  Il motivo per cui è stata fatta questa scelta – non da noi, naturalmente, ma dal Ministero – è che le procedure per l'affidamento dei servizi devono attenersi alle normative nazionali ed europee sulle gare d'appalto. Il Ministero non ha mai ritenuto di entrare nel merito di una responsabilità che non gli è attribuita dal bando e che, in questo caso, è specifica dell'ente locale laddove esso sceglie di avvalersi di un'associazione per gestire il progetto. Poiché ciò non è obbligatorio, ma è del tutto facoltativo, questa è stata la scelta fino a oggi adottata.
  E ancora: «Quando noi svolgiamo le attività di controllo e monitoraggio dei progetti, anche in loco, in cui verifichiamo personalmente la qualità dei servizi attivati dalle associazioni, nel caso in cui queste siano operative, non abbiamo mai verificato una corrispondenza fra la regolarità o l'irregolarità eventuale delle procedure con la qualità dei servizi che le associazioni erogano (...).
  In assenza di reali controlli in materia, la stessa direttrice, Daniela Di Capua, ha invitato la Commissione a portare avanti la proposta, avanzata nel corso del dibattito, per cui « gli enti attuatori dovrebbero essere formalmente accreditati. La proposta che voi facevate su un albo degli enti gestori dello SPRAR noi l'abbiamo avanzata più volte al Ministero dell'Interno (...) Per noi varrebbe la pena di trovare delle modalità di accreditamento, come un albo degli enti gestori dello SPRAR».
  La Commissione ha svolto anche un'analisi sulla tipologia di servizi e dei relativi controlli svolti sulle strutture SPRAR. Sul punto, la direttrice del Servizio centrale dello SPRAR, Daniela di Capua ha riepilogato l'attività di competenza dell'organismo cui è preposta: «Quello che facciamo però è monitorare attraverso diversi strumenti la qualità dei servizi che vengono erogati dal progetto, chiunque ne sia l'attuatore – che si tratti di un'associazione, di più associazioni o direttamente del comune –, fermo restando che il comune ha non solo la titolarità del progetto, ma anche la responsabilità del buon andamento del progetto».
  Il monitoraggio avviene attraverso missioni di verifica dei progetti. Sempre la direttrice del Servizio centrale dello SPRAR, Daniela di Pag. 55Capua, nel corso dell'audizione del 24 novembre 2015, ha comunicato che «le missioni sono cominciate a luglio dello scorso anno. In meno di un anno e mezzo abbiamo visitato circa 350 progetti, di cui 50 sono stati visti più di una volta, proprio per le ragioni che spiegavo. Tra questi progetti viene calcolato come un progetto quello di Roma, ma in realtà avendo più di 50 strutture, ha richiesto 50 missioni. (...) Altri strumenti sono quelli della relazione semestrale e della relazione annuale che i progetti sono tenuti a redigere e inviare al Servizio centrale due volte l'anno. Sono anch'esse molto dettagliate nella descrizione, che però ovviamente avviene a carico del comune, delle attività che sono state svolte e dei servizi che sono stati erogati.
  Un altro tema oggetto di attenzione della Commissione ha riguardato l'impiego delle risorse per ciascun ospite, che risulta avvenire secondo standard diversi da zona a zona e da comune a comune.
  La direttrice del Servizio centrale dello SPRAR ha spiegato che «il costo medio dei progetti SPRAR è di 35 euro pro die/pro capite. Il costo che viene applicato dei 35 euro pro die/pro capite per quanto riguarda i progetti SPRAR riguarda esclusivamente i cosiddetti “posti aggiuntivi”. Quando il comune presenta una domanda partecipando al bando del decreto del Ministero, non presenta un piano finanziario legato ai 35 euro, ma presenta un piano finanziario libero. Ci sono dei criteri di proporzionalità fra alcune macro-voci, ma non è previsto in prima battuta un tetto massimo o minimo a cui attenersi nella compilazione del piano finanziario e nella previsione delle spese. Il criterio del tetto massimo può essere adottato, come è stato fatto in realtà, in sede di Commissione di valutazione. Per esempio, nell'attuale bando del 2014-2016 la Commissione di valutazione ha ritenuto – ovviamente in condivisione con tutti i componenti della Commissione – di voler rispettare dei tetti massimi, andando incontro a criteri di buonsenso e di economicità nella gestione del progetto, sulle tre categorie (minori, disagio mentale e ordinari). Pertanto, ha effettuato dei tagli sui piani finanziari dei progetti che superavano questo tetto massimo)».
  Tale linea operativa deriva dalla constatazione che «in una città metropolitana, in un grande comune, evidentemente ci saranno dei costi piuttosto elevati nell'affitto delle strutture (...) Tuttavia, cosa succede ? Succede che a Bergamo, per esempio, i servizi di assistenza psicologica o psichiatrica o i servizi per l'attivazione di corsi di formazione o tirocini formativi – dico per dire – sono servizi già esistenti su quel territorio e, quindi, non ci sarà un impatto economico sul progetto... a seconda delle condizioni del territorio si possono sbilanciare dei costi da una parte o dall'altra».
  Infine, riguardo ai pagamenti, la dottoressa di Capua ha comunicato che «da quest'anno è stato stabilito tramite una circolare che il pagamento avvenga al 31 marzo e al 30 giugno e il saldo alla fine dell'anno».
  Un ulteriore aspetto meritevole di riflessione concerne la diffusione nazionale della rete SPRAR, che dipende ovviamente dall'adesione volontaria dei comuni, che la Commissione ritiene vada incentivata.Pag. 56
  Nel corso della sua audizione, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, (seduta del 3 dicembre 2015) ha precisato: «Per quanto riguarda invece lo SPRAR adulti, è in corso il bando per 10.000 nuovi posti, che porterebbero lo SPRAR a oltre 30.000, andando a irrobustire e rinforzare quella infrastruttura dell'accoglienza nel nostro Paese che, in realtà, non c'era e riducendo – o almeno questa è la speranza e l'auspicio – la presenza dei cosiddetti CAS, che sono molto spesso elemento di preoccupazione, di difficoltà e, qualche volta, anche di abuso». Lo stesso prefetto ha però evidenziato come la risposta dei comuni non sia stata pienamente soddisfacente: «Fino adesso – è stato detto in passato e lo ripetiamo qui – si sono resi disponibili 500 comuni su 8.100. È chiaro che il coinvolgimento dei comuni è strategico per far sì che un bando SPRAR abbia successo. Devo dire, onestamente, che l'ANCI sta conducendo una vasta azione di sensibilizzazione dei comuni sull'opportunità e anche sulla convenienza di scegliere la strada dello SPRAR rispetto alla circostanza di subire sul territorio una struttura che magari non si desiderava né in quel luogo, né gestita in quel modo. Tuttavia – probabilmente lei lo sa meglio di me – giocano alcuni altri fattori che non sono comprimibili».
  Sulla parziale mancata risposta al Bando SPRAR del 7 ottobre 2015, occorre altresì prendere in considerazione che possono presentare domanda i comuni non titolari di progetti SPRAR oppure i comuni titolari di progetti SPRAR purché abbiano la titolarità o solo di un progetto per minori stranieri non accompagnati o solo di un progetto per categorie ordinarie. Come è stato notato in sede di discussione in Commissione, come elemento di criticità, sono quindi escluse realtà urbane importanti come Roma o Napoli, che pure avrebbero capacità ricettive ben superiori a quelle attuali, solo perché già titolari di un progetto SPRAR, al pari di realtà urbane di dimensioni trascurabili in confronto.
  Secondo quanto riferito dal Capo dell'Unità di protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Riccardo Clerici, nella sua audizione del 30 settembre 2015 «Dopo parecchi anni, il servizio SPRAR – di cui l'UNHCR, tra l'altro, è uno dei padri/madri fondatori/fondatrici – deve a sua volta fare un passaggio successivo, di cui si sta discutendo. Io penso che ci siano delle aperture. Si tratta di passare da un sistema puramente volontaristico ad un altro – non voglio dire obbligatorio, perché può essere fuorviante – in cui, attraverso la governance si possa, come è stato fatto (...) nell'accordo dell'anno scorso, attuare un sistema di distribuzione che è lo stesso che l'Italia chiede a livello europeo. Si tratta di un sistema di distribuzione che in maniera ragionevole tenga presente le esigenze economiche e sociali dei territori, ma in cui ciascuno faccia la sua parte».

I Centri di Accoglienza Straordinari

  Arrivi consistenti e ravvicinati di stranieri che giungono in Italia non possono essere assorbiti esclusivamente dal sistema di prima o seconda accoglienza come sopra delineato. Molti richiedenti asilo sono Pag. 57stati quindi sistemati in appartamenti o in altre strutture disponibili (denominate Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS).
  Al 31 dicembre 2015, il sistema composto dalle strutture CAS è quello che assorbe la maggior parte dei migranti (82.010 su un totale di 111.689 presenze nei centri sul suolo italiano).
  Già nell'Intesa sottoscritta il 10 luglio 2014 tra Governo, Regioni ed Enti locali («Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari»), per riordinare il sistema complessivo di accoglienza, era stato previsto che, per far fronte alla saturazione del sistema, fosse possibile da parte del Ministero dell'Interno attivare strutture temporanee, in raccordo con gli enti territoriali, per assicurare un'accoglienza di breve durata, in attesa del trasferimento in altre strutture.
  L'attuale normativa disciplina l'attivazione ed il funzionamento di queste strutture: l'articolo 11 prevede che siano disposte dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, e che le strutture siano individuate dalle prefetture secondo le normali procedure di affidamento dei contratti pubblici. In casi di estrema urgenza si può far ricorso alle procedure di affidamento diretto.
  La permanenza in queste strutture – ai sensi dell'articolo 11, comma 3 – deve essere per un tempo limitato, in attesa del trasferimento del richiedente nelle strutture governative di prima assistenza o nelle strutture facenti parte della rete del sistema SPRAR.
  Sebbene la nuova disciplina intenda superare l'approccio emergenziale per pianificare un sistema di accoglienza propedeutico a buone prassi di integrazione, facendo dello SPRAR il modello ordinario, l'attuazione concreta si presenta ancora incompleta.
  Mentre solo una minoranza di richiedenti asilo sono inseriti negli SPRAR, di fatto i Centri di accoglienza straordinari – nati per assolvere all'esigenza di coprire i posti mancanti in via residuale e provvisoria – sono invece il segmento più consistente del sistema di accoglienza, con decine di migliaia di persone ospitate. E sono anche quello che maggiormente ne inficia la qualità in termini di erogazione di servizi, anche in ragione dei problemi relativi ad affidamenti diretti e situazioni di monopolio spesso favorite dalla coincidenza fra l'ente gestore e quello che ha la disponibilità della struttura.
  Infatti, nel corso della sua audizione, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, (seduta del 3 dicembre 2015) ha rilevato come l'incremento della rete SPRAR dovrebbe auspicabilmente condurre a ridurre «la presenza dei cosiddetti CAS, che sono molto spesso elemento di preoccupazione, di difficoltà e, qualche volta, anche di abuso».
  È evidente che laddove i centri (grandi o piccoli che siano) nascono in una logica emergenziale si produce l'effetto che persone nel medesimo status giuridico vengano accolte in condizioni molto diverse e oltretutto con costi a carico dello Stato che restano praticamente invariati a prescindere dal livello dei servizi offerti. Inoltre, essi – a differenza delle rete SPRAR – sfuggono per definizione a strumenti di programmazione, con effetti anche sul piano dell'impatto sociale nel territorio.
  Il Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno, Domenico Manzione, nel corso della sua audizione del 13 ottobre 2015 ha Pag. 58riconosciuto come «i CAS sono ovviamente una spina nel fianco. Al di là di situazioni specifiche, sono una spina nel fianco in termini oggettivi, perché rappresentano il fallimento di quella politica di coordinamento con la territorialità che il Piano, invece, vorrebbe fosse ben viva attraverso i tavoli regionali. Probabilmente solo un'allocazione che veda il territorio consenziente non produce respingimenti e crisi di rigetto. Le allocazioni imposte da un prefetto della Repubblica che non tiene conto molto spesso di questo – perché è costretto a fare una gara rispetto alla quale può vincere una cooperativa che viene da fuori e che magari ha preso in affitto l'unico albergo cittadino che in quel momento è sfitto – creano una serie di problemi. (...) In più va tenuto conto che, mentre lo SPRAR prevede un percorso con una serie di aiuti in termini di mediazione, di formazione e di consapevolezza da parte del soggetto richiedente asilo della possibilità di camminare sulle proprie gambe, servizi di questo genere non possono essere forniti dalla struttura straordinaria con la stessa adeguatezza.»
  I sopralluoghi ai CAS da parte della Commissione – al di là di situazioni realmente patologiche pur riscontrate dall'organo parlamentare – evidenziano problemi comuni di carattere strutturale.
  In particolare, tali centri sono condizionati dalla loro stessa natura di strutture temporanee. I profili di provvisorietà – che spesso derivano anche dal bando che fissa la durata dell'affidamento del servizio in pochi mesi – determinano una generalizzata situazione di difficoltà (se non di vera e propria impossibilità) di erogazione dei servizi secondo standard qualitativi accettabili.
  Si pensi, ad esempio, alla inevitabilmente precaria situazione del personale che vi opera, la cui professionalità non può essere garantita a fronte di meri affidamenti a carattere trimestrale.
  Ciò va inevitabilmente a detrimento di ogni forma di reale integrazione con il territorio, certamente non favorita dalla loro frequente collocazione in zone urbane periferiche o addirittura in zone rurali collegate sporadicamente con centri anch'essi di piccole dimensioni, e dunque impossibilitati a prestare i necessari servizi socio-sanitari.

Gli ulteriori circuiti di accoglienza

  Oltre a queste strutture, sul territorio nazionale sono presenti diversi circuiti di «carattere misto» (vedi i centri istituiti ai sensi degli Accordi tra il Ministero dell'Interno e le aree metropolitane di Roma, Milano, Torino e Firenze, i circuiti di accoglienza istituiti dagli enti locali ex Legge Turco-Napolitano ed altri).
  Al riguardo, occorre anche ricordare che l'afflusso sul territorio italiano di numerosi cosiddetti «transitanti», ovvero coloro che – sottraendosi all'identificazione e non presentando domanda di protezione internazionale – non entrano nel circuito ufficiale dell'accoglienza, in virtù della loro volontà di proseguire il percorso migratorio in altri Paesi, ha determinato la nascita di centri «informali», rimessa ad una rete di soggetti sociali tanto virtuosi quanto necessariamente limitati nei loro spazi di azione.

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Governance, forme di coordinamento territoriale e distribuzione dei centri sul territorio nazionale

  L'articolo 16 del decreto legislativo n. 142 del 2015 definisce i compiti del Tavolo di coordinamento nazionale che, secondo la norma che lo ha istituito (comma 3 dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 251 del 2007) è insediato presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e comprende i rappresentanti:
   • dei Ministeri dell'Interno e del Lavoro;
   • delle Regioni;
   • dell'UPI e ANCI;
   • del Ministro delegato alle pari opportunità, dell'UNHCR e della Commissione nazionale per il diritto di asilo (in sede di programmazione delle misure).

  In particolare, esso ha compiti di indirizzo e di programmazione, e fissa i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità dell'accoglienza, d'intesa con la Conferenza unificata. Predispone ogni due anni – salva la necessità di un termine più breve – un Piano nazionale che individua le linee di intervento per realizzare l'effettiva integrazione dei beneficiari di protezione internazionale.
  Gli indirizzi e la programmazione sono poi attuati in sede di Tavolo di coordinamento regionale presso le Prefetture capoluogo.
  In realtà, i capisaldi della «governance» e della distribuzione territoriale dei migranti avevano trovato una loro codificazione già nell'Intesa stipulata nella riunione della Conferenza Unificata del 10 luglio 2014, nella quale si fissava l'attuale meccanismo di riparto quantitativo dei richiedenti asilo sul territorio nazionale, basato sui parametri di accesso al Fondo sociale europeo e alla popolazione residente.
  Nel citato documento si stabilisce che «nel caso in cui la capienza del Sistema SPRAR risulti insufficiente o non immediatamente fruibile, analogamente a quanto avvenuto per la gestione della cosiddetta «emergenza Nord Africa», appare necessario programmare la distribuzione dei migranti giunti sulle coste italiane, secondo contingenti progressivi di 10.000 unità, ed in relazione alle esigenze di accoglienza, secondo i seguenti criteri di ripartizione regionale:
   1. percentuale della quota di accesso al Fondo nazionale per le politiche sociali;
   2. esclusione sia dei comuni colpiti da territori che rientrano nel cratere sismico, sia dei comuni interessati da sopravvenute situazioni di emergenza;
   3. quote relative alla effettiva permanenza sui territori e non alle assegnazioni iniziali.

  Il Tavolo di coordinamento nazionale provvederà alla elaborazione di una ipotesi di ripartizione, garantendo altresì la Pag. 60gestione di un sistema di registrazione e monitoraggio in tempo reale della presenza delle persone sul territorio.
  Nell'ambito di ciascuna regione, la successiva assegnazione verrà concordata nell'ambito dei tavoli di coordinamento presieduti dal prefetto del Comune capoluogo e nello specifico con gli enti locali ove dovessero essere individuate le strutture destinate all'accoglienza temporanea».

  Il riparto – alla luce dei criteri suesposti – è il seguente:

Regione Quota accesso % Fondo Nazionale Politiche Sociali L. 328/00 Riparto fino a 10.000 presenze % pop cratere su tot pop regionale Rideterminazione su popolazione regioni colpite dal sisma Riparto al netto pop sisma fino a 10.000 presenze
Piemonte 7,18 718 718
Valle D'Aosta 0,29 29 29
Liguria 3,02 302 302
Lombardia 14,15 1.415 1,85 1.389 1..389
Trentino
Alto Adige
1,66 166 166
Veneto 7,28 728 0,89 722 722
Friuli
Venezia-Giulia
2,19 219 219
Emilia
-Romagna
7,08 708 14,18 608 608
Marche 2,65 265 265
Toscana 6,56 656 656
Umbria 1,64 164 164
Lazio 8,6 860 860
Campania 9,98 998 998
Abruzzo 2,45 245 22,92 189 189
Molise 0,8 80 80
Puglia 6,98 698 698
Basilicata 1,23 123 123
Calabria 4,11 411 411
Sicilia 9,19 919 919
Sardegna 2,96 296 296
TOTALE 100 10.000 9.812

  Al riguardo, il Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione il 30 settembre 2015 ha riconosciuto come «l'esperienza del Tavolo nazionale di coordinamento abbia rappresentato negli ultimi anni un'esperienza virtuosa di cooperazione inter-istituzionale tra Governo ed enti locali. Il Tavolo è divenuto un luogo fondamentale di confronto, ma anche di indirizzo e di governo del «sistema asilo», assieme al forte impulso dato dal Dipartimento per libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, in stretto coordinamento con Pag. 61le Prefetture locali. (..) Consideriamo inoltre lungimirante la scelta di aver replicato il sistema nazionale di governance anche a livello locale con l'istituzione dei Tavoli regionali di coordinamento».
  Nel corso delle sue audizioni, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Mario Morcone (sedute del 7 maggio e del 3 dicembre 2015), ha evidenziato come «il sistema prevede dei Tavoli regionali, perché l'idea è quella di avere, in ogni regione, un momento di governance e di discussione tra il prefetto del capoluogo di Regione, l'assessore regionale delegato e il presidente dell'ANCI – quindi il rappresentante dei comuni – di quella Regione».
  Nell'audizione del 3 dicembre il prefetto ha nuovamente segnalato l'importanza dei «tavoli regionali, che è l'unica strada che attenua l'impatto sul territorio delle scelte che si adottano».
  È interessante, per la sua valenza nazionale, riportare altresì le parole del prefetto Morcone pronunciate, nella seduta del 21 luglio 2015, quando, sia pure riferendosi ad una situazione locale – concernente il comune di Venezia – aveva osservato come «non c’è un prefetto in Italia che abbia interesse a stabilire in solitudine qual è la soluzione migliore per il territorio (...) non ci stanchiamo mai di confrontarci con i sindaci e con gli assessori regionali per avere da loro le indicazioni su qual è la soluzione migliore, che ha meno impatto e che è meglio accettata sul territorio. (...) deve essere chiaro a tutti che se non abbiamo collaborazione siamo costretti a decidere in solitudine, perché stiamo parlando di persone alle quali dobbiamo dare una risposta. La nostra responsabilità è dare una risposta. Quindi, se ci aiutano a trovare una risposta comune e condivisa siamo felici. Altrimenti, in mancanza di aiuto, la daremo lo stesso».
  Tale vicenda è considerata meritevole di attenzione dalla Commissione in quanto evidenzia una problematica di carattere generale.
  Nell'episodio citato si è infatti palesata la difficoltà di conciliare le esigenze del prefetto con i poteri di direzione politica delle comunità locali da parte del sindaco del comune.
  Si tratta di una questione che può essere superata solo estendendo la rete SPRAR. Infatti, mentre lo SPRAR garantisce la responsabilità politica del sindaco, cioè dà al sindaco la possibilità di scegliere il progetto e di proporlo, se vi sono ulteriori esigenze di accoglienza, in assenza di strutture, non potrà che decidere il prefetto attraverso le gare, per cui è ben possibile che vinca la gara un imprenditore del sociale in quello stesso comune.
  Va però ricordato che le determinazioni assunte nella citata Intesa del 10 luglio 2014 sono state duramente criticate dal Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia che, nel corso della sua audizione del 17 giugno 2015, ha precisato di non averla sottoscritta né successivamente condivisa. Ha quindi aggiunto: «La nostra è stata l'unica Regione in Italia dove la gestione del tema degli immigrati è stata di fatto tolta alla Regione e affidata all'allora prefetto di Venezia La Morgese» e sul tema dei Tavoli regionali ha evidenziato la scarsa informazione preventiva alle Istituzioni locali.
  Sulle medesime questioni si è soffermato anche, nella sua audizione del 18 giugno 2015, il Presidente della regione Valle d'Aosta, Augusto Rollandin, che ha precisato come la Regione si sia fatta carico Pag. 62«del progetto di ripartizione che è stato deciso a livello nazionale. Vorrei sottolineare che, nel momento in cui ci siamo occupati della prima parte di accoglienza, con dei bandi specifici abbiamo previsto degli assi di assistenza e di controllo, che vengono gestiti dalle onlus o dalle società cooperative, le quali mettono a disposizione delle strutture per l'accoglienza degli immigrati, secondo il numero assegnato alla Regione». In Regione è stato anche istituito un apposito comitato a cui partecipano tutti gli enti, ovvero tutti i comuni e tutte le società che hanno dato la disponibilità a seguire tali problematiche, anche se al tempo non era attivo alcun progetto SPRAR.
  Ha quindi anche lui evidenziato la problematica della preventiva informazione: «La questione di difficile gestione, per quanto ci riguarda, è quella degli arrivi improvvisi, cioè senza preventiva segnalazione. Ciò è avvenuto anche l'altro giorno: alle 9 di sera, l'autista del pullman ci telefona, dicendo che è a 50 chilometri da Aosta e che ha un carico di 50 persone da lasciare in Valle d'Aosta».
  Di segno diverso le valutazioni espresse nella seduta del 17 settembre 2015 dal Presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, secondo cui «nel suo complesso il Piano funziona (..). Io credo che continuare sulla strada della distribuzione sul territorio sia la condizione per rendere anche più diffusa e capillare e, quindi, governabile e gestibile in modo integrato, la politica nelle singole Regioni». Lo stesso Presidente ha rivendicato il ruolo della Regione nella politica di accoglienza, sia nell'individuazione ed attivazione degli hub regionali, sia nell'ambito dei Tavoli regionali di coordinamento.
  In particolare, ha sottolineato l'impegno della Regione « ad aumentare i centri di accoglienza, i cosiddetti hub. Oltre a garantire il pieno funzionamento dell’hub di Settimo Torinese sostenuto dalla Croce Rossa, abbiamo individuato una caserma dell'aeronautica di Castello D'Annone, vicino Asti, che è pronta per essere utilizzata.(..) Abbiamo individuato, inoltre, in un albergo di proprietà della Regione nella Val Pellice, in particolare a Villar Pellice, una struttura, non come hub, ma come struttura per la possibile collocazione di persone in un numero non grande come gli hub, ma neanche piccolo come quello che vorremmo inserire nelle singole comunità».
  Anche il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, nel corso dell'audizione del 22 ottobre 2015 ha rivendicato il ruolo di coordinamento dell'ente regionale, ricordando di aver attivato «presso l'Assessorato alle politiche sociali, oltre al tavolo presieduto dal prefetto con i prefetti, un nostro gruppo di lavoro dedicato, un tavolo specificatamente dedicato al tema dell'accoglienza. A tale tavolo partecipano in maniera permanente rappresentanti istituzionali dei diversi comuni, delle varie realtà territoriali e di realtà non governative, associative e di volontariato impegnate nell'accoglienza, nella tutela della salute e nell'integrazione dei migranti sul territorio regionale».
  Ha quindi citato due esperienze significative: la prima legata al potenziamento dei servizi sociali territoriali a beneficio dei 900 ospiti del CARA e della popolazione del comune di Castelnuovo di Porto; la seconda invece «è un sostegno che promuoviamo attraverso bandi per l'inclusione sociale e il contrasto alla povertà che inevitabilmente e positivamente intercettano questa tematica, rispetto al protagonismo del terzo settore, elemento fondamentale per aiutarci nella gestione di questi Pag. 63fenomeni. Il progetto più grande tra quelli finanziati che cito è “Nessuno escluso” del Centro Astalli, che rappresenta in questo momento la più grande realtà di accoglienza dei rifugiati».
  Il presidente Zingaretti ha inoltre comunicato che sono allo studio «meccanismi di premialità – a nostro giudizio utili – e di incentivo finanziario ai comuni che esprimeranno la disponibilità ad accogliere richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale», mentre sul fronte dell'integrazione, attivando fondi del Piano operativo del Fondo sociale europeo e, nello specifico, dell'Asse II (Inclusione sociale e lotta alla povertà), ha segnalato «che stiamo sviluppando progetti, peraltro d'intesa con i Ministeri, che favoriscano gli enti ospitanti, dando loro opportunità di avvantaggiarsi di interventi per il decoro urbano, la cura del verde e la vivibilità dei territori, i cui destinatari sono richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. Con tale progetto vogliamo potenziare i processi di inclusione sociale degli immigrati».

Le procedure di affidamento

  Mentre in occasione di flussi migratori inattesi nel corso del 2011- a fronte di circa 61.000 arrivi nel nostro Paese – il Governo italiano aveva optato per la dichiarazione dello stato di emergenza, nel periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015/ gennaio 2016), pur a fronte di sbarchi sul suolo italiano decisamente superiori, la gestione delle gare per l'affidamento dei servizi di accoglienza continua a rispondere a logiche ordinarie.
  Nel corso della sua audizione, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, (seduta del 7 maggio 2015) ha segnalato che – a parte lo SPRAR – «le altre strutture sono comunque sempre aperte con gara. Tale gara è stata, fino al 2013 e parte del 2014, al massimo ribasso; io sono arrivato nel 2014 e ho ritenuto che il massimo ribasso non fosse la soluzione migliore, quindi, dalla fine del 2014, sono tutte con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
  È chiaro – bisogna avere i piedi per terra – che l'offerta più vantaggiosa è un meccanismo anche normativamente più complesso, quindi ci sono Prefetture di maggiori dimensioni in grado di gestirlo correttamente e Prefetture di minori dimensioni che fanno più fatica a costruire gare di questo tipo. In ogni caso, abbiamo ritenuto che il massimo ribasso non fosse una soluzione in nessun modo più da consentire
».
  Le linee guida sullo schema tipo di bando per l'affidamento della gestione dei Centri governativi e temporanei sono attualmente fissate dal decreto 21 novembre 2008 con il quale il Ministero dell'Interno ha approvato il c.d. «Schema di capitolato di gara d'appalto unico» per la fornitura dei beni e servizi relativi al funzionamento e alla gestione dei Centri di primo soccorso e di assistenza (CPSA); Centri di accoglienza (CDA); Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA); Centri di identificazione ed espulsione (CIE).
  Con il predetto regolamento sono state emanate specifiche istruzioni operative alle Prefetture per la predisposizione dei bandi, dei Pag. 64capitolati tecnici e sono stati individuati i servizi e le forniture da somministrare, come i servizi di accoglienza e di assistenza generica alla persona, sanitari, fornitura di beni, pasti, vestiario e altri.
  Lo schema di capitolato prevede che l'importo complessivo dell'appalto sia determinato da un canone annuo costituito dal prezzo della fornitura dei beni e dei servizi da erogare, rapportato alla capienza della struttura (il numero dei posti) calcolato su base annua, moltiplicato per tre annualità (che corrisponde alla durata dell'appalto).
  La liquidazione del corrispettivo è ragguagliato all'effettiva presenza registrata.
  Infine, la verifica periodica degli standard è demandata alla competente Prefettura, che organizza il monitoraggio delle prestazioni affidate in appalto.
  Lo schema in parola prevede che il gestore abbia inoltre l'obbligo di trasmettere alla Prefettura, ogni due mesi, un report sui servizi effettivamente erogati, in cui saranno indicate anche le criticità e, in particolare, gli effetti determinati dall'andamento dei flussi delle presenze in relazione ad eventuali situazioni di emergenza.
  Nel corso della sua audizione del 3 dicembre 2015, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Mario Morcone, ha comunicato che è in corso l'attività di redazione di nuovi «schemi di bandi di gara per poter dare supporto ai prefetti e comunque alle singole Regioni per avere bandi corretti, compatibili e soprattutto condivisi con l'Autorità anticorruzione, che non creino i problemi che si sono generati in passato».
  Qualificati elementi di valutazione sono stati acquisiti dalla Commissione con l'audizione del Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, svolta nella seduta del 10 novembre 2015.
  In particolare, si è appreso che, in relazione alle procedure di affidamento dei centri di accoglienza, è in corso un'attività di collaborazione tra l'Autorità e il Ministero dell'Interno impegnato alla stesura del nuovo schema di bando di gara di appalto.
  In primo luogo, l'obiettivo è quello di contrastare il diffuso sistema dell'affidamento diretto. In tal senso, al Presidente dell'Anac risulta che le Prefetture siano state particolarmente sensibilizzate sulla scelta delle modalità di costruzione dei bandi; in tal senso, lo stesso Presidente Cantone ha indicato come riferimento positivo la scelta posta in essere dalla Prefettura di Treviso, che ha emanato un bando ispirato a principi che garantiscono, «la trasparenza, la rotazione e l'effettiva partecipazione di soggetti», nella gestione del sistema dei migranti.
  Un secondo obiettivo è quello di prevedere profili normativi idonei a superare una delle maggiori situazioni di criticità, peraltro posto in evidenza dalla stessa Commissione di inchiesta nel corso di diverse audizioni, che consiste nell'esigenza di garantire maggiormente l'osservanza dei principi di concorrenza, trasparenza e rotazione dei soggetti nelle procedure di affidamento dei servizi, come sancito dal Codice degli appalti. Il mancato ricambio dal lato degli appaltatori affidatari crea di fatto situazioni monopolistiche a beneficio di un Pag. 65numero ridotto di operatori del settore, a danno dell'economia e molto spesso degli stessi migranti.
  È di tutta evidenza la difficoltà di procedere, al termine del periodo di durata dell'appalto, ad un avvicendamento dell'Ente gestore nel caso in cui lo stesso sia anche titolare della struttura di accoglienza.
  Per ovviare a questa esiziale criticità sarebbe utile, a parere dell'audito, porre una netta linea di demarcazione tra la messa a disposizione delle strutture e l'offerta dei servizi. Una possibile soluzione individuata dal Presidente Cantone sarebbe quella di utilizzare strutture pubbliche, allo stato dismesse o in qualche modo disponibili, affinché al soggetto appaltatore sia sottratta la possibilità di ottenere rendite di posizione connesse alla titolarità di proprie strutture. Ciò consentirebbe di superare il diffuso approccio della proroga dei termini, a volte tollerato in situazioni emergenziali nella logica della continuità dell'assistenza, che però crea di fatto, in situazioni ordinarie, condizioni di monopolio a beneficio dell'ente che si è aggiudicato l'appalto.
  Anche dal lato delle stazioni appaltanti il Presidente Cantone ha ribadito la necessità che siano stabiliti, sul piano nazionale, univoci criteri nelle procedure di affidamento, in modo da consentire gestioni unitarie.
  Nella stesura delle nuove linee guida del Ministero dell'Interno, l'Anac intende quindi proporre alcuni nuovi meccanismi di controllo. In prima analisi, dal lato dei controlli, dovrebbe essere stabilito che il soggetto attuatore sia dotato per legge di poteri di controllo tipici delle stazioni appaltanti.
  La medesima Autorità ha provveduto ad elaborare delle linee guida sull'affidamento dei servizi a enti del terzo settore e a cooperative sociali, riservando uno apposito spazio nella descrizione dell'accoglienza dei migranti. Esse rappresentano un vademecum di tipo generale a cui poi accompagnare i bandi tipo che, invece, dovrebbero essere più precettivi.
  In particolare, l'ente diretto dal Presidente Cantone è orientato ad introdurre controlli più specifici sui requisiti richiesti alle Cooperative affidatarie di tipo B, poiché, in esito alle attività ispettive condotte su cooperative coinvolte nel procedimento penale noto come «Mafia Capitale», ha potuto verificare che le stesse non sono mai state oggetto di controlli rispetto ai prescritti requisiti. Poiché trattasi di requisiti formali che ne pregiudicherebbero l'ammissione, le stazioni appaltanti dovrebbero verificarne il relativo possesso attraverso un controllo amministrativo.
  Una seconda ipotesi di lavoro riguarda la possibilità di attribuire la gestione degli affidamenti ad un «soggetto unico con competenza nazionale» o, in alternativa, alle stesse Prefetture, tenendo tuttavia in debito conto i limiti strutturali di questi uffici (sicuramente pensati non con la specifica funzione di fare appalti). Il loro coinvolgimento, ad ogni buon conto, consentirebbe di evitare la reiterazione di quelle singolari situazioni che hanno visto, nel recente passato, soggetti attuatori nominati ad hoc nella gestione dell'accoglienza dei migranti (leggasi il caso del Consorzio Calatino Terra di accoglienza, soggetto Pag. 66attuatore per la gestione del CARA di Mineo). Peraltro anche una vicenda giudiziaria in corso in Campania riportata dagli organi di informazione – riguardante l'ente denominato «Un'ala di riserva Onlus» – si caratterizza in quanto a suo tempo soggetto attuatore era la Regione Campania.

I servizi erogati

  Oltre all'ampliamento della capacità ricettiva nazionale, nel corso degli ultimi anni l'attenzione è stata dedicata anche al miglioramento delle condizioni di accoglienza nelle strutture sopracitate.
  Il già citato capitolato di appalto per la gestione dei centri di accoglienza, approvato con il Decreto del Ministro dell'Interno del 21 novembre 2008, ha infatti apportato diversi miglioramenti in relazione al potenziamento dei servizi alla persona (anche attraverso una maggiore «calibrazione» dei servizi in base allo status legale dei migranti ovvero in base alla probabilità della loro successiva permanenza in Italia), unitamente ad una sensibile riduzione della spesa e alla predisposizione di una serie di misure propedeutiche al controllo sulla gestione.
  Uno dei servizi che maggiormente ha attirato l'attenzione della Commissione riguarda l'erogazione del cosiddetto pocket money, ovvero una diaria giornaliera che lo Stato italiano riconosce ai migranti richiedenti asilo ospitati nelle varie strutture di accoglienza e di trattenimento, quale contributo per il sostenimento delle piccole spese quotidiane e costituisce quota parte dell'importo pro-capite/pro-die spettante all'ente gestore.
  Lo schema di capitolato d'appalto di cui al citato decreto ministeriale prevede che «[...] ad ogni ospite, in aggiunta ai beni elencati nel kit di vestiario, sarà fornita una sola volta all'ingresso una scheda telefonica di 15 euro oltreché un buono economico pari a valore di 5 euro ogni 2 giorni, spendibile all'interno del Centro per le spese quali bolli postali, schede telefoniche, snack alimentari, bibite analcoliche, sigarette, libri, giornali, riviste ecc.».
  La fornitura del pocket money – come stabilito dalla Circolare della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione del Ministero dell'interno n. 104 dell'8 gennaio 2014 – è altresì ammessa anche dalle convenzioni per la messa a disposizione di posti in centri di accoglienza straordinari.
  In relazione alla modalità di gestione delle predette strutture, il Dipartimento delle libertà civili, con circolare n. 2204 del 19 marzo 2014, ha diramato un apposito schema di massima di convenzione «a cui le Prefetture dovranno attenersi all'atto della sottoscrizione» e che «potrà essere modificato in base alle rispettive esigenze territoriali».
  A tal proposito, il punto 5 dell'articolo 2 dello schema in parola prevede l'erogazione del pocket money nella misura di  euro 2,50 pro capite/pro die, fino ad un massimo di  euro 7,50 per nucleo familiare, da erogare sotto forma di «buoni» spendibili in strutture ed esercenti convenzionati o di carte prepagate da utilizzare a seconda delle necessità dell'ospite (per schede telefoniche, snack alimentari, giornali, sigarette, fototessera, biglietti per trasporto pubblico). Il pocket money Pag. 67verrà erogato dalla struttura ospitante, in relazione alle effettive presenze registrate per ciascun ospite, dietro firma da parte del destinatario a riprova dell'avvenuto rilascio.
  Al riguardo si evidenzia che una particolare erogazione del pocket money è stata prevista nell'accordo sottoscritto tra la Prefettura di Ragusa e il Sindaco di Pozzallo in data 2 aprile 2015; attraverso il predetto accordo è stato stabilito che «per ogni giorno di permanenza nel centro sarà erogato in favore di ogni ospite un buono economico, spendibile in generi di conforto, di  euro 2,50, erogabile anche in controvalore monetario».
  È opportuno sottolineare che la modalità di erogazione autorizzata dalla Prefettura di Ragusa non risulta essere contemplata nelle linee guida di cui al DM 21/11/2008. A tal proposito, con la circolare n. 3885 del 10 agosto 2011, l'allora Commissario delegato all'emergenza Nord Africa, Franco Gabrielli, aveva invitato i prefetti «ad evitare in ogni caso la distribuzione di denaro contante (del pocket money), al fine di garantire condizioni adeguate di sicurezza dei migranti assistiti».
  L'erogazione del pocket money in denaro non rappresenta tuttavia un'eccezione. Infatti, in esito ai sopralluoghi espletati presso il Centro straordinario di accoglienza «Di Francia Park» di Giugliano (NA) e a quello di Poggiorsini (BA), è emerso che l'erogazione del buono economico in quei centri avviene in contanti.
  In numerose audizioni e incontri informali della Commissione si è evidenziata la necessità di modificare le forme di erogazione di tale servizio, nonché di strutturare meccanismi di controllo più efficaci sulla sua effettiva erogazione. Sulla base dei riscontri sopra evidenziati è apparso evidente quantomeno che l'erogazione del pocket money avvenga, sovente, secondo modalità discrezionali difficilmente controllabili.
  In un'ottica di rivisitazione delle forme di erogazione del servizio e di prevenzione della totale discrezionalità da parte dell'ente gestore, la Commissione ritiene vada valutata l'adozione di modalità idonee a garantire la cosiddetta tracciabilità, ad esempio stabilendo che le somme erogate o l'acquisto di beni destinati alla successiva somministrazione a titolo di pocket money da parte di enti gestori siano assoggettati a fatturazione separata o contabilizzata in un'apposita voce nel bilancio d'esercizio.
  Il seguente prospetto riepiloga sinteticamente le criticità segnalate dalle Commissioni Praesidium nella somministrazione del pocket money a seguito delle attività di monitoraggio espletate nei vari centri di accoglienza nel corso del 2015.

DATA
ISPEZIONE
ENTE
GESTORE
LOCALITÀ OSSERVAZIONI
26/03/2015 Associazione culturale Cometa Centro di Accoglienza Temporanea «Villa Sikania»
Siculiana (AG)
I migranti non ricevono il pocket money dal settembre 2014.
25/02/2015 Hotel Stazione Centro di Accoglienza Temporanea
Gioia del Colle (BA)
Denaro contante ogni 10 giorni per euro 25
Pag. 68
17/02/2015 New Family Onlus Centro di Accoglienza Temporanea
«Hotel City»
Caserta
Un buono economico di 75 euro al mese sotto forma di denaro contante alla presenza di un funzionario della Prefettura.
Assenza di fogli firma di distribuzione del pocket money
09/03/2015 Cooperativa sociale «Malgrado tutto» Centro di Accoglienza Temporanea
Località Pian del Duca - Lamezia Terme
Ricevere settimanalmente 14 euro in contanti (2 euro al giorno). Gli ospiti hanno anche dichiarato di essere in possesso di una ricevuta rilasciata ad ogni erogazione.
10/03/2015 Gianal Srl Centro di Accoglienza Temporanea
Feroleto Antico (CZ)
Tutti i migranti ricevono un pocket money di 75 euro di denaro contante
05/02/2015 Associazione Papa Giovanni XX3 Centro di Accoglienza Temporanea
Cattolica (RN)
Il pocket money viene erogato settimanalmente in denaro contanti con firma di un registro
31/03/2015 Mattei S.R.L. «Hotel Lido» Centro di Accoglienza Temporanea
Porto San Giorgio (FM)
I migranti ricevono un pocket-money mensile di 75 euro in denaro contante (anche se diverse volte è stato erogato con ritardo)
26/02/2015 Senis Hospes CARA
Borgo Mezzanone (FG)
Il migrante ha riferito di poterlo riscuotere solo attraverso schede telefoniche, sigarette, marche da bollo
03/03/2015 Cooperativa sociale Isola di Ariel Centro di Accoglienza Temporanea
«Hotel Europa»
Rivarolo (TO)
Il pocket money viene erogato secondo due modalità: agli ospiti che non hanno ancora ottenuto il PDS per richiesta di asilo vengono dati mensilmente 75 euro sotto forma di denaro contante e viene chiesta loro la firma per quietanza. Ai migranti in possesso di PDS per richiesta di asilo e codice fiscale è stata consegnata una carta prepagata della Banca Intesa San Paolo dove ogni mese vengono accreditati 75 euro.
03/02/2015 C.E.I.S. tramite la cooperativa sociale Integra Centro di Accoglienza Temporanea
Vittorio Veneto (TV)
Il pocket-money viene erogato con cadenza quindicinale sottoforma di denaro contante che i migranti posso spendere a loro scelta. Viene firmato un registro all'atto di erogazione anche se non viene consegnata ricevuta al migrante.
25/03/2015 Family s.r.l Struttura di Accoglienza Temporanea
«Villa Marika»
Forino (AV)
Scarsa precisione nel calcolo dei giorni di presenza ai fini dell'erogazione del pocket money
26/03/2015 Villa San Giuseppe Bisceglie (BAT) Pocket money in contante ogni 5 giorni.
25/03/2015 Casa della Carità Manfredonia (FG) Ogni 15 erogato il pocket money in contante
Pag. 69
01/04/2015 AENEAS Isola del Liri (FR) Il pocket money viene erogato in contanti, una volta a settimana, in misura superiore a ? 2,50 al giorno (20 euro).
31/03/2015 Ospitalia Camporgiano (LU) Percepiscono il pocket money di euro 2,50 una volta al mese in un'unica soluzione
26/02/2015 Senis Hospes CARA
Borgo Mezzanone (FG)
Il migrante ha riferito di poterlo riscuotere solo attraverso schede telefoniche, sigarette, marche da bollo
03/03/2015 Cooperativa sociale Isola di Ariel Centro di Accoglienza Temporanea
«Hotel Europa»
Rivarolo (TO)
Il pocket money viene erogato secondo due modalità: agli ospiti che non hanno ancora ottenuto il PDS per richiesta di asilo vengono dati mensilmente 75 euro sotto forma di denaro contante e viene chiesta loro la firma per quietanza. Ai migranti in possesso di PDS per richiesta di asilo e codice fiscale è stata consegnata una carta prepagata della Banca Intesa San Paolo dove ogni mese vengono accreditati 75 euro.
03/02/2015 C.E.I.S. tramite la cooperativa sociale Integra Centro di Accoglienza Temporanea
Vittorio Veneto (TV)
2 pocket-money viene erogato con cadenza quindicinale sottoforma di denaro contante che i migranti posso spendere a loro scelta. Viene firmato un registro all'atto di erogazione anche se non viene consegnata ricevuta al migrante.
25/03/2015 Family s.r.l Struttura di Accoglienza Temporanea
«Villa Marika»
Forino (AV)
Scarsa precisione nel calcolo dei giorni di presenza ai fini dell'erogazione del pocket money
26/03/2015 Villa San Giuseppe Bisceglie (BAT) Pocket money in contante ogni 5 giorni.
25/03/2015 Casa della Carità Manfredonia (FG) Ogni 15 erogato il pocket money in contante
01/04/2015 AENEAS Isola del Liri (FR) Il pocket money viene erogato in contanti, una volta a settimana, in misura superiore a euro 2,50 al giorno (20 euro).
31/03/2015 Ospitalia Camporgiano (LU) Percepiscono il pocket money di euro 2,50 una volta al mese in un'unica soluzione

  Altri servizi alla persona che richiedono sicuramente un miglioramento sono quelli concernenti l'insegnamento della lingua italiana e il cosiddetto «orientamento al territorio», che sono spesso risultati carenti o comunque inefficaci.
  In numerose audizioni ed incontri informali della Commissione, si è evidenziata la necessità di modificare le forme di erogazione di tali servizi, favorendo la frequenza ai corsi, individuando figure Pag. 70professionali idonee e indicando nelle convenzioni la necessità dell'ente di fornire agli ospiti adeguati strumenti di supporto (libri scolastici, materiale di cancelleria, biglietti per il trasporto terrestre, convenzioni con istituti che svolgono attività didattica, ecc).

I controlli

  Il tema dei controlli e del monitoraggio dei servizi è di strettissima pertinenza alle condizioni di accoglienza, alla qualità di servizi e all'armonizzazione per quanto possibile dei livelli della loro erogazione, pur nella consapevolezza che nel sistema d'accoglienza italiano coesistono alcune situazioni di eccellenza e alcune situazioni più critiche.
  Per il monitoraggio dei servizi di accoglienza trova ancora applicazione il capitolato generale del 2008, che però è stato implementato a partire dal 2013 con l'attivazione del progetto «Praesidium», che peraltro dal febbraio 2015 è stato esteso anche ai Centri di accoglienza straordinari.
  Inoltre, due circolari del prefetto Morcone di febbraio e di settembre 2015 hanno posto un'enfasi maggiore sull'azione di controllo anche tramite l'istituzione di apposite commissioni di monitoraggio istituite a livello delle Prefetture, con il proprio organico.
  Nel corso della sua audizione, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del ministero dell'Interno, Mario Morcone, (seduta del 7 maggio 2015), sul tema dei controlli, ha peraltro affermato che l'esperienza del progetto «Praesidium» è stata utilizzata anche per lo svolgimento di controlli diretti da parte del Ministero e con un monitoraggio costante da parte delle Prefetture nel cui territorio insistono le strutture ricettive.
  Secondo quanto riferito dal Capo dell'Unità di protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Riccardo Clerici, nella sua audizione del 30 settembre 2015, «Il passo successivo dovrebbe essere – tramite i fondi del FAMI (Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione), i fondi europei che dovrebbero coprire il periodo fino al 2020 – quello di istituire e rafforzare il monitoraggio a livello centrale e locale con un ufficio dedicato, una metodologia adeguata, missioni a campione, un sistema che ponga gli enti gestori di fronte ai correttivi necessari in caso di inadempienza ed eventualmente un sistema sanzionatorio adeguato che, purtroppo, è stato invece carente».
  Tuttavia, nel periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015 /gennaio 2016) la Commissione ha riscontrato che il monitoraggio delle condizioni di accoglienza e dei controlli contabili tende a non essere sistematico.
  La Commissione ha dedicato particolare attenzione all'aspetto del controllo sulle presenze nei centri, in quanto l'erogazione del corrispettivo da parte delle Prefetture è strettamente collegata alle presenze giornaliere.
  Lo schema di capitolato reca precise disposizioni che impegnano gli enti affidatari a svolgere una serie di attività interne volte alla Pag. 71rendicontazione della gestione amministrativa dei Centri. Esse prevedono in particolare:
   la registrazione degli ospiti attraverso la rilevazione dei dati anagrafici, gli estremi dei documenti di ammissione, i dati del provvedimento di dimissione, i tempi di permanenza;
   la redazione di un'apposita scheda su supporto informatico dei dati relativi ai richiedenti asilo (solo per i Centri di accoglienza per richiedenti asilo) concernenti nazionalità, sesso, età, titolo di studio e/o professionale, nucleo familiare e occupazione;
   la registrazione delle entrate e uscite giornaliere degli ospiti, che devono essere dotati di apposito tesserino contenente dati anagrafici e foto del titolare (solo per i CARA);
   la gestione del magazzino con relativi registri di carico, scarico, rimanenze e insussistenze, sia dei materiali acquistati dal gestore, sia di quelli eventualmente affidati dalla Prefettura.

  È inoltre stabilito che l'ente gestore si impegna a comunicare tempestivamente alla Questura e alla Prefettura l'avvenuto allontanamento del soggetto ospitato. È inoltre tenuto a trasmettere ogni mese alla Prefettura – unitamente alla relazione riepilogativa sui servizi erogati nel mese precedente – l'elenco giornaliero delle persone ospitate.
  Si tratta di un adempimento di particolare importanza, atteso che la liquidazione del corrispettivo da parte della Prefettura avverrà in base alle effettive presenze riportate nel nominato registro secondo il costo pro-capite/pro-die. A tal fine, il documento contabile dovrà essere corredato da un prospetto riepilogativo delle presenze riferite al periodo oggetto di fatturazione.
  Tuttavia, in base ai riscontri della Commissione, i meccanismi di controllo delle presenze effettive in alcuni centri sono suscettibili di perfezionamento avendo dato luogo ad indebite erogazioni di denaro, come risulta anche da indagini giudiziarie in corso.
  Si consideri anche la portata economica del fenomeno, poiché nelle sole strutture temporanee alla data del 30 dicembre 2015 sono ospitate ben 82.010 persone su un totale di 111.689.
  Si rende quindi necessario valutare nuove procedure di rilevazione, opportunamente standardizzate e gestite da applicazioni informatiche, fornite e amministrate a livello centralizzato direttamente dal Ministero dell'Interno ed accessibili attraverso il network da tutte le Prefetture, al fine di consentire, in modo univoco, il monitoraggio e la tracciabilità informatica delle presenze a livello nazionale, con possibilità di esercitare un controllo anche sui centri di costo.
  Più in generale, la Commissione ha maturato il convincimento che il tema del monitoraggio dei servizi sconti difficoltà di esecuzione non solo in ragione dell'assenza di controlli strutturati, ma anche della scarsa attenzione – anche concettuale – riservata agli aspetti dell'integrazione e, in ultima analisi, dell'assenza di un disegno di governance regionale e nazionale.
  Secondo quanto riferito dal Capo dell'Unità di protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Riccardo Clerici, Pag. 72nella sua audizione del 30 settembre 2015 «È emerso come il sistema di monitoraggio, precedentemente posto in essere presso le prefetture, avesse delle carenze. Ribadisco, non si tratta della motivazione o della determinazione dei colleghi, soprattutto delle Aree IV delle Prefetture, ma di dare veramente priorità al monitoraggio nei centri d'accoglienza con le risorse e gli strumenti adeguati, perché il monitoraggio è un lavoro serio. Si tratta di strutture d'accoglienza, che voi avete visitato, in cui si parla – uso l'espressione business – di sistemi di gestione di parecchi milioni di euro, che quindi necessitano di un controllo qualitativo e quantitativo economico-contabile serio, sistematico e costante.»

Il completamento del sistema di accoglienza

  Il completamento del sistema nazionale d'asilo si può considerare tutt'altro che compiuto. La crescita e l'attenzione al fenomeno impongono infatti di procedere non solo con il costante aumento della complessiva capacità ricettiva, ma con l'urgenza di modificare, in modo consistente, le modalità di gestione del fenomeno.
  Occorre riflettere sulla circostanza che la progressiva trasformazione dell'Italia da mero luogo di transito a luogo di destinazione di una notevole mole di flussi migratori ha prodotto una forte ricaduta sulla tempistica della permanenza all'interno del sistema di accoglienza.
  La questione è stata affrontata in questi termini dal Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno Domenico Manzione, nel corso della sua audizione del 13 ottobre 2015: «La difficoltà è legata al fatto che l'impatto numerico degli sbarchi – e, quindi, delle persone che transitano e si fermano nel nostro Paese – rende più problematico l'assorbimento dei posti straordinari. In un sistema di questo genere, la fluidità era uno dei punti fondamentali, tant’è che nell'approvare il Piano nazionale del luglio 2014, noi ci siamo posti esattamente questo problema, cioè quello di rendere il più possibile fluido il momento del riconoscimento del diritto d'asilo e fissare una tempistica dell'accoglienza all'interno del sistema SPRAR. Abbiamo affrontato il tema in prima battuta con un aumento del numero delle Commissioni».
  Valgono al riguardo le affermazioni del Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione il 30 settembre 2015: «Dobbiamo riconoscere che negli ultimi anni sono stati compiuti passi importanti nel miglioramento del “sistema asilo” in Italia. Dall'approccio emergenziale che ha caratterizzato le politiche dell'asilo per un lungo periodo si sta progressivamente arrivando – non senza fatica – a un approccio di pianificazione strutturale, al fine di rispondere – anche in modo flessibile quando necessario – agli arrivi via mare e all'aumento delle domande d'asilo. Tale percorso però deve essere rafforzato con ulteriori miglioramenti atti a rendere il sistema adeguato a rispondere alle sfide del presente».
  Gli interventi del settore, pur tenendo conto delle differenze territoriali e delle differenze tra i singoli circuiti, mancano di una strategia uniforme e di un approccio «olistico» al fenomeno, con il Pag. 73rischio di avere come risultato solo l'aumento dei posti in accoglienza o addirittura un semplice protrarsi del periodo di permanenza nei centri.
  In ordine di priorità, anche per la sua notevole rilevanza finanziaria, la Commissione ha messo in luce l'esigenza di intervenire urgentemente sui servizi legati all'integrazione.
  Troppo spesso le misure di accoglienza sono carenti e non portano gli accolti ad una vera inclusione nonostante l'esborso considerevole di denaro pubblico. In altre parole, l'accoglienza nel nostro Paese non sembra essere impostata all'accompagnamento (accueil) e all'integrazione di coloro che per un verso o per l'altro – magari finanche come irregolari – sono destinati a rimanere nel nostro Paese per un periodo di tempo non breve.
  La Commissione, nello svolgimento della sua attività di indagine e ispettiva – anche in relazione al monitoraggio delle inchieste giudiziarie in corso, su cui si sofferma un successivo capitolo –, ha preso atto dell'esistenza di fenomeni speculativi legati alla lunga durata dell'accoglienza, con il conseguente rischio di generare interessi degli enti gestori a favorire la permanenza nei centri in luogo di virtuosi percorsi di inserimento e integrazione che non possono limitarsi agli aspetti di «soccorso».
  Di conseguenza, la Commissione ha riscontrato l'esigenza di accompagnare al potenziamento della capacità ricettiva un'opera di ripensamento dell'intero sistema nazionale, a partire dall'individuazione delle principali criticità del settore.
  Inoltre, appare opportuno riflettere sulla qualità dell'accoglienza offerta che – come giustamente denunciato dagli organi di informazione e non solo – talvolta non è in linea con quanto previsto dalle «regole d'ingaggio» dei centri stessi. Di conseguenza è indispensabile prestare maggiore attenzione, da un lato, ai requisiti degli enti gestori dei centri di accoglienza, e dall'altro, al controllo sull'effettiva erogazione dei servizi che rappresentano un significativo peso per l'Erario.
  Non appare infatti individuato un imparziale, strutturato e pubblico controllo sulla effettiva erogazione dei servizi. In relazione a tali controlli, vi è in particolare la necessità di uniformare e monitorare l'attuazione dei servizi alla persona finalizzati all'integrazione (quali l'insegnamento della lingua italiana, l'orientamento alla società di accoglienza ecc.).
  La Commissione ha riscontrato che l'organizzazione delle misure assistenziali frequentemente non tiene conto delle fasi d'accoglienza precedenti, come dovrebbe invece avvenire in un'ottica di gradualità e di «capitalizzazione» del loro periodo di permanenza nei centri.
  Il periodo di soggiorno non è infatti utilizzato per la realizzazione di iniziative propedeutiche alla piena integrazione e in particolare all'inserimento nel tessuto lavorativo, ad esempio attraverso l'organizzazione di corsi di orientamento civico o professionale.
  Uno dei profili di criticità si interseca quindi con uno specifico strumento già previsto nel nostro ordinamento, ovvero quello che il Tavolo di coordinamento nazionale predispone periodicamente (due anni salvo termine più breve) e che assume il nome di «Piano nazionale Integrazione».Pag. 74
  Tale documento, ai fini della programmazione degli interventi e delle misure volte a favorire l'integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, «individua le linee di intervento per realizzare l'effettiva integrazione dei beneficiari di protezione internazionale, con particolare riguardo all'inserimento socio-lavorativo, anche promuovendo specifici programmi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, all'accesso all'assistenza sanitaria e sociale, all'alloggio, alla formazione linguistica e all'istruzione nonché al contrasto delle discriminazioni. Il Piano indica una stima dei destinatari delle misure di integrazione nonché specifiche misure attuative della programmazione dei pertinenti fondi europei predisposta dall'autorità responsabile» (articolo 29 del decreto legislativo n. 251 del 2007, come integrato dal decreto legislativo n. 18 del 2014).
  Come evidenziato dal Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione il 30 settembre 2015 «Il Piano integrazione rappresenta il complemento di quello sull'accoglienza, perché solo nella misura in cui si può avere chiaro come favorire l'uscita dal sistema di assistenza rappresentato dai centri d'accoglienza si può prevedere quale sarà la capacità di accogliere del sistema in atto».
  In ultima analisi, appare infine necessario un maggior sforzo sul piano della programmazione e pianificazione di attività e risorse.
  Il decreto legislativo n. 142 del 2015, all'articolo 16, comma 2, prevede che annualmente il Tavolo nazionale di coordinamento predisponga altresì il «Piano nazionale accoglienza» in cui sia indicato il fabbisogno dei posti d'accoglienza anche in considerazione della previsione di arrivi.
  Al riguardo, il Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa, Laurens Jolles, nel corso della sua audizione del 30 settembre 2015 ha riconosciuto come «il Piano, se sarà adeguatamente messo in opera, può divenire uno strumento cardine non solo al fine di fornire risposte più adeguate alle necessità emergenti dell'accoglienza, ma anche per rendere il sistema più efficiente sotto il profilo del contenimento dei costi».
  Peraltro, è evidente che solo attraverso un'adeguata programmazione temporale delle esigenze d'accoglienza si possono porre in essere procedure di selezione e valutazione degli enti gestori atte a evitare l'inclusione di soggetti non idonei.
  Ovviamente, anche per queste finalità diviene essenziale migliorare il sistema di raccolta dati e rafforzare i database esistenti. In particolare, bisogna essere in grado di avere piena consapevolezza non solo del numero delle persone accolte nell'ambito del sistema d'accoglienza ma anche dell'andamento della loro procedura. Fintanto che non si avrà un chiaro quadro della situazione al presente, sarà problematico pensare di programmare l'intervento futuro.

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I PROCEDIMENTI AMMINISTRATIVI E GIURISDIZIONALI

IL DIRITTO DI ASILO

Premessa: Il quadro normativo di riferimento

  Il diritto all'asilo è sancito all'articolo 10, terzo comma, della Costituzione italiana, che recita: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
  Già con sentenza SS.UU. n. 4674 del 26 maggio 1997, la Cassazione sottolineava il carattere immediatamente precettivo ed operativo della norma costituzionale in quanto «l'articolo 10, terzo comma, Cost., attribuisce direttamente allo straniero il quale si trovi nella situazione descritta da tale norma un vero e proprio diritto soggettivo all'ottenimento dell'asilo, anche in mancanza di una legge che, del diritto stesso, specifichi le condizioni di esercizio e le modalità di godimento».
  Oggi, secondo l'orientamento ormai consolidato espresso dalla Corte di Cassazione, da ultimo con sentenza SS. UU. n. 10686 del 26 giugno 2012 «il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al d.lgs 19 novembre 2007 n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/Ce del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui all'articolo 5, comma 6, d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286».
  Il diritto di asilo trova, dunque, riconoscimento nelle tre forme di protezione del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
  Presupposti e contenuti delle prime due principali forme di protezione internazionale – status di rifugiato e protezione sussidiaria – sono stati disciplinati per la prima volta in ambito comunitario dalla direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004, cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 251 del 19 novembre 2007 – c.d. «decreto qualifiche» – poi modificata dalla «Direttiva qualifiche» 2011/95/UE (recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o gli aventi titolo a beneficiare dell'asilo, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta) recepita con il d. lgs. n. 18 del 21 febbraio 2014 che ha modificato in parte il predetto decreto qualifiche.
  La procedura per il riconoscimento è disciplinata, invece, dalla Direttiva 2005/85/CE del 1 dicembre 2005 cui è stata data attuazione nell'ordinamento interno con il d.lgs. n. 25 del 28 gennaio 2008.
  La definizione di «rifugiato», elaborata già nel diritto internazionale e contenuta all'articolo 1 – A, n. 2 par. 1 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951, è stata recepita fedelmente all'articolo 2 comma I lett. e) del decreto legislativo n. 251/2007 (c.d. decreto qualifiche), secondo cui è «rifugiato» il Pag. 76«cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10».
  La protezione sussidiaria nella disciplina comunitaria è prevista con funzione complementare e subordinata rispetto alla protezione internazionale accordata con il riconoscimento dello status di rifugiato. La valutazione della ricorrenza dei presupposti per la protezione sussidiaria dovrà, pertanto, necessariamente intervenire successivamente alla negativa deliberazione circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della prima forma di protezione internazionale.
  Coerentemente l'articolo 2 comma 1, lett. f) del decreto legislativo n. 251 del 2007 offre la seguente definizione di «persona ammissibile alla protezione sussidiaria: cittadino di un Paese non appartenente all'Unione europea o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dall'articolo 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese».
  Il successivo articolo 14 del decreto legislativo cit. precisa che «Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte; b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine; c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».
  Di ben più complessa ricostruzione esegetica la terza forma di protezione con la quale nel sistema italiano viene data attuazione al diritto di asilo quella della protezione umanitaria, istituto che non trova la sua fonte nel diritto internazionale o in quello comunitario, ma è previsto unicamente nell'ordinamento interno all'articolo 5 comma 6 del decreto legislativo n. 386/1998.
  Trattasi, quindi, di una forma di protezione riconosciuta dall'Italia, avente carattere residuale tale cioè da poter essere accordata solo in difetto dei presupposti per il riconoscimento delle due forme principali di protezione internazionale ed assai meno disciplinata e strutturata rispetto alle altre due ché la norma succitata contiene una previsione di carattere del tutto generale che può abbracciare una ampia gamma di situazioni soggettive meritevoli di tutela. Massima, di conseguenza, è anche la discrezionalità applicativa con tutto quel che ne può conseguire in termini di rischio di abuso dell'istituto e di difficoltà di verificabilità e controllo delle decisioni relative.Pag. 77
  L'articolo 5 comma 6 del decreto legislativo n. 286/98 prevede: «Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato dal questore secondo le modalità previste nel regolamento di attuazione».
  L'articolo 11, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 31 agosto 1999 (Regolamento recante norme di attuazione del T.U.), in materia di rilascio del permesso di soggiorno, individua tra i vari motivi «c-ter) per motivi umanitari, nei casi di cui agli articoli 5, comma 6 e 19, comma 1, del testo unico, previo parere delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione dall'interessato di documentazione riguardante i motivi della richiesta relativi ad oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale».
  Il citato articolo 19 (Divieti di espulsione e di respingimento. Disposizioni in materia di categorie vulnerabili) del T.U. n. 286/98 al comma 1 recita: «In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione».
  L'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ha ritenuto, pertanto, di individuare i «seri motivi» presupposto per il riconoscimento della protezione umanitaria in ragioni umanitarie o nella lesione o messa in pericolo di diritti e garanzie inviolabili dell'uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione e/o da convenzioni internazionali, che non interessino direttamente il richiedente il quale altrimenti avrebbe diritto al riconoscimento di una delle altre due protezioni, ma abbiano sul medesimo un'incidenza potenziale ed indiretta, quali il diritto alla vita, il divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti, il divieto di schiavitù e lavoro forzato, il divieto di tratta di esseri umani a fini di sfruttamento, il diritto alla tutela delle persone vulnerabili (minori, disabili, anziani, genitori singoli con figli minori, donne in stato di gravidanza, vittime di gravi violenze fisiche, psichiche o sessuali) o, infine, in condizioni psicofisiche dell'interessato che siano tali da non consentirgli o l'allontanamento o la cura nel paese d'origine, tutela peraltro imposta dal diritto costituzionalmente garantito alla salute.
  È ormai acquisizione pacifica e consolidata nel nostro sistema giuridico d'asilo che il diritto alla protezione internazionale sia un diritto soggettivo da annoverarsi tra i diritti umani fondamentali tutelabile avanti all'autorità giudiziaria ordinaria (Cass. nn. 907 del 17 dicembre 1999, 5055 del 9 aprile 2002, 11441 del 18 giugno 2004).
  Da ultimo la Cassazione, con sentenza a SS. UU. n. 19393 del 9 settembre 2009, anche con riferimento alla protezione umanitaria, ha precisato che «La controversia avente ad oggetto una domanda di Pag. 78rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta in data anteriore al 20 aprile 2005, e quindi disciplinata dagli articoli 5, comma 6, e 19 d.lgs. n. 286 del 1998 e dall'articolo 28, lett. d, decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall'articolo 2 cost. e dall'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore» (cfr. Cass. n. 19577 del 16/9/2010).
  Discorso a parte deve essere riservato alla protezione temporanea prevista dal decreto legislativo n.  85 del 7 aprile 2003, attuativo della Direttiva europea 2001/55/CE del Consiglio del 20 luglio 2001, recante norme minime per la concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e sulla promozione dell'equilibrio degli sforzi tra gli stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi.
  Non si tratta, infatti, di un'ulteriore forma di protezione internazionale in aggiunta a quelle testé esaminate, ma di una «procedura di carattere eccezionale che garantisce, nei casi di afflusso massiccio o di imminente afflusso massiccio di sfollati provenienti da Paesi non appartenenti all'Unione europea che non possono rientrare nel loro Paese d'origine, una tutela immediata e temporanea alle persone sfollate, in particolare qualora sussista il rischio che il sistema d'asilo non possa far fronte a tale afflusso» (articolo 2 comma I lett. a) decreto legislativo n.  85/2003).
  Per «sfollati» debbono intendersi coloro, cittadini di Paesi terzi o apolidi, che fuggono o sono stati evacuati da zone ove vi sono conflitti armati o situazioni di violenza endemica o siano esposti a rischio grave o siano stati vittime di violazioni sistematiche o generalizzate dei diritti umani ed il cui rimpatrio in condizioni sicure e stabili risulta momentaneamente impossibile in dipendenza della situazione nel Paese stesso (articolo 2 comma 1, lett. c), decreto legislativo cit.).
  L'afflusso massiccio di sfollati idoneo a far scattare l'adozione da parte di uno degli Stati membri dell'UE delle misure di protezione temporanea deve essere accertato con decisione del Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione (articolo 5 della direttiva 2001/55/CE) cui deve seguire un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che ne precisi concretamente il contenuto. Con la decisione del Consiglio predetta, in attuazione del principio di solidarietà tra gli Stati dell'Unione, devono essere indicate anche le capacità ricettive dei singoli Stati membri in modo che gli sfollati, cui sia accordata la protezione temporanea, possano essere equamente redistribuiti su più paesi dell'UE.Pag. 79
  La protezione accordata ha per sua natura durata determinata massima di un anno ed è rinnovabile per pari periodo.
  La concessione della protezione temporanea non è ostativa alla presentazione in qualsiasi momento di una domanda di protezione internazionale di altro tipo.
  Peculiarità della protezione temporanea è che trattasi di tutela collettiva rispetto alla quale, a differenza che nei casi di protezione internazionale, il cittadino straniero non può vantare alcuna situazione giuridica di diritto soggettivo ma unicamente un'aspettativa che, nell'ipotesi di adozione dell'atto normativo, si concretizza in un interesse legittimo tutelabile avanti al giudice amministrativo.
  Lo strumento della protezione temporanea previsto dalla Direttiva europea in esame non è stato finora mai attuato, benché richieste in tal senso siano state formulate dal Governo italiano in occasione dei massicci sbarchi di persone provenienti dalla Tunisia nei primi mesi del 2011.
  In occasione di tale emergenza – come già in precedenza in favore degli sfollati provenienti dall'ex Jugoslavia, dall'Albania e dal Kosovo –, lo Stato italiano attivò lo strumento previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo n.  286/98 (Misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali) che prevede la possibilità di adozione di misure di protezione temporanea, anche in deroga alle disposizioni del testo unico, per far fronte a rilevanti esigenze umanitarie in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all'UE. Le misure di protezione temporanea vennero attivate con D.P.C.M. del 5 aprile 2011 a favore dei cittadini provenienti dal Nord Africa entrati in Italia dal 1o gennaio al 5 aprile 2011 (cessazione dichiarata con D.P.C.M. del 28 febbraio 2013).
  Trattasi di protezione temporanea affatto diversa da quella disciplinata dal decreto legislativo n. 85 del 7 aprile 2003 in quanto avente efficacia unicamente nell'ordinamento italiano che, tuttavia, non preclude a chi ne sia titolare di presentare una domanda di protezione internazionale.
  Da ultimo si evidenzia che la legge n. 154 del 7 ottobre 2014 (Legge di delegazione europea 2013 secondo semestre), all'articolo 7 reca delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell'Unione europea in materia di protezione internazionale e di protezione temporanea entro il 20 luglio 2019.

LA PROCEDURA AMMINISTRATIVA

Premessa

  Il richiedente asilo, durante la procedura d'esame della sua domanda in sede amministrativa e giurisdizionale di primo grado, «è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale» (articolo 7 del citato decreto legislativo n. 142 del 2015).Pag. 80
  Anche la proposizione di ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale (o avverso il provvedimento di revoca o cessazione della protezione emesso dalla Commissione Nazionale) ha di regola efficacia sospensiva dell'esecutività del provvedimento impugnato (articolo 19 comma 4, decreto legislativo n.  150/11).
  Di qui la centralità del tema dell'analisi dello svolgimento e della definizione delle procedure amministrative e giurisdizionali di esame delle domande di protezione internazionale, il cui eccessivo protrarsi comporta evidentemente pesanti ricadute, anche di carattere economico, sull'accoglienza del richiedente asilo.
  Le procedure per il riconoscimento del diritto di asilo sono disciplinate dal decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008 – c.d. decreto procedure, novellato dal decreto legislativo n.  150 del 1 settembre 2011, da ultimo modificato dal decreto legislativo n.  142 del 18 agosto 2015.
  Unica è la procedura d'esame per le tre forme di protezione testé illustrate.
  L'accesso alla procedura è libero, nel senso che la domanda di protezione internazionale può essere presentata in ogni tempo sia alla Polizia di Frontiera al momento dell'ingresso in Italia, sia in un momento successivo da parte di colui che si trovi già nel nostro territorio con o senza un titolo di soggiorno presso la Questura del territorio ove dimori. La domanda, pertanto, può essere presentata anche da colui che sia già destinatario di un provvedimento di espulsione non ottemperato o in fase di esecuzione con trattenimento presso un Centro di Identificazione ed Espulsione. Nessuna preventiva delibazione di ammissibilità può essere effettuata dagli uffici di P.S. che si devono limitare a trasmettere la domanda alla competente commissione.
  Nell'ordinamento italiano, il procedimento amministrativo di esame delle domande di protezione internazionale presenta due peculiarità per lo più assenti negli altri sistemi europei: la territorialità e la collegialità.

Commissione nazionale per il diritto di asilo

  Prima di esaminare il concreto funzionamento degli organi cui è demandato l'esame delle domande di protezione internazionale, va richiamato il ruolo svolto dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo.
  Tale organo, oltre alla competenza in materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionale riconosciuti, ha infatti importanti compiti di indirizzo e coordinamento delle Commissioni territoriali.
  In particolare, la Commissione cura le attività di formazione e aggiornamento dei componenti nonché degli interpreti, una banca dati informatica per il monitoraggio delle richieste di asilo e un centro di documentazione sulla situazione socio-politico-economica dei Paesi di origine dei richiedenti (c.d. C.O.I. Country of Origin Information).
  Tra le competenze della Commissione nazionale figura altresì il monitoraggio dei flussi dei richiedenti asilo anche al fine di proporre Pag. 81l'istituzione di nuove Commissioni territoriali ed, infine, di mantenere i contatti e assicurare lo scambio di informazioni con gli organismi internazionali.
  Proprio per la funzione di garanzia svolta, la Commissione Nazionale è nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta congiunta dei Ministri dell'Interno e degli Affari Esteri, ed è presieduta da un prefetto con funzioni di presidente e composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un funzionario della carriera diplomatica, un funzionario della carriera prefettizia in servizio presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e un dirigente del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno. Della Commissione nazionale fa parte anche – unicamente con poteri consultivi e non decisionali – un rappresentante dell'UNHCR.

Le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale

  Organi amministrativi competenti per l'esame delle domande di protezione internazionale sono le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, disciplinate dagli articoli 3 e 4 del citato decreto legislativo n. 25 del 2008.
  Le Commissioni territoriali sono insediate presso le Prefetture che forniscono il necessario supporto organizzativo e logistico, con il coordinamento del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno e sono nominate con decreto del Ministro dell'Interno che ne individua, altresì, sedi e circoscrizioni.
  Un primo tema di attenzione riguarda il numero delle Commissioni territoriali da attivare sul suolo nazionale, che deve essere adeguato alla quantità di richieste che sono chiamate ad esaminare.
  Al riguardo, proprio al fine di accelerare le procedure amministrative ed abbattere il rilevante arretrato che si era creato, con il decreto legge n. 119 del 22 agosto 2014, il numero delle Commissioni, originariamente pari a dieci, è stato raddoppiato ed è stata prevista la possibilità, in relazione all'andamento dei flussi migratori, di costituire sino a due sezioni per Commissione per un numero complessivo su base nazionale non superiore a trenta.
  Secondo quanto riferito dal Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, prefetto Angelo Trovato, in occasione della sua audizione del 14 maggio 2015, sono state attivate venti Commissioni e venti sezioni, con una riserva, quindi, di dieci sezioni per far fronte ad eventuali emergenze, con una dislocazione flessibile e strategica in relazione alla presenza sul territorio dei richiedenti asilo.
  Un altro aspetto su cui la Commissione si riserva di svolgere apposita riflessione concerne la composizione delle Commissioni Territoriali e le competenze dei suoi membri.
  Attualmente esse sono composte da quattro componenti: un funzionario della carriera prefettizia, con funzioni di presidente, un funzionario della Polizia di Stato, un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali ed un rappresentante designato dall'UNHCR.Pag. 82
  Per porre soluzione a criticità che nella prassi si erano evidenziate e di cui ha riferito anche il prefetto Trovato nella ricordata audizione, con la novella normativa dell'agosto 2015, è stato previsto che, nei casi d'urgenza, il Ministro dell'Interno nomini il rappresentante dell'ente locale su indicazione dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), dandone tempestiva comunicazione alla Conferenza Stato-Città ed autonomie locali.
  Al fine di attuare un impiego flessibile dei componenti delle Commissioni – si consideri che solo i presidenti ed i rappresentanti dell'UNHCR operano a tempo pieno – e superare le criticità derivanti dalla necessità di contemperare le diverse esigenze lavorative segnalate anche dal prefetto Trovato, accanto ai componenti titolari sono previsti numerosi supplenti.
  Quest'ultimo ha altresì evidenziato criticità in merito ai meccanismi di designazione, a volte operata superficialmente da alcuni enti locali e successivamente ritirata, di soggetti inidonei a tale ruolo in quanto non in possesso dei necessari requisiti (ad es. addetto al verde pubblico) o incompatibili in quanto in palese conflitto di interesse (gestori dei centri di accoglienza, avvocati che si occupano di immigrazione, ecc.).
  Secondo quanto riferito, tale problematica potrà essere superata con la previsione – da ultimo introdotta – della designazione «in base alle esperienze o formazione acquisite nel settore dell'immigrazione e dell'asilo o in quello della tutela dei diritti umani» e della nomina «previa valutazione dell'insussistenza di motivi di incompatibilità derivanti da situazioni di conflitto di interessi, diretto o indiretto, anche potenziale» (articolo 4, comma 3).
  Particolare cura, come evidenziato dal prefetto Trovato, viene dedicata alla formazione dei componenti delle Commissioni territoriali per i quali la Commissione nazionale predispone corsi di formazione iniziale e periodici. Con la recente novella legislativa, la formazione è stata prevista come di natura obbligatoria (articolo 4 comma 3-ter).
  Le modifiche da ultimo introdotte con il decreto legislativo n. 142/2015 in ordine alla nomina e formazione dei componenti delle Commissioni territoriali accolgono in larga parte le raccomandazioni formulate dall'UNHCR in una nota sul recepimento delle Direttive 2013/32/UE e 2013/33/CE nell'ordinamento italiano del 5 febbraio 2015, acquisita agli atti dalla Commissione.
  Il Delegato per l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Laurens Jolles, nel corso dell'audizione del 30 settembre 2015, ha precisato che la professionalizzazione e specializzazione del personale deputato alla valutazione delle domande di asilo nell'ambito dell'organismo dedicato presso il Ministero dell'Interno debba avvenire – come, peraltro, accade in altri paesi – anche attraverso la nomina di membri incaricati di tale funzione in via esclusiva.
  Ciò garantirebbe al sistema una maggiore efficienza (maggiore uniformità degli orientamenti decisionali, decisioni più rapide, maggiore produttività, competenza e specializzazione del personale), nonché una maggiore razionalizzazione e flessibilità unitamente al contenimento dei costi (riduzione del numero delle sezioni e del personale dedicato, razionalizzazione degli uffici di supporto e dell'attività Pag. 83di formazione ed aggiornamento), rispetto a Commissioni i cui componenti in molti casi hanno concomitanti impegni lavorativi e vengono nominati in soprannumero proprio per assicurarne l'operatività continua.
  Il miglioramento complessivo della qualità della procedura amministrativa – sempre secondo l'UNHCR – potrebbe ripercuotersi positivamente anche sulla successiva fase giurisdizionale, potendo comportare una diminuzione dei ricorsi e conseguentemente un ulteriore significativo impatto sui costi del sistema.
  Sempre al fine di garantire, una maggiore efficienza al sistema, mantenendo standard elevati di garanzia per i richiedenti asilo, l'UNHCR propone, altresì, che la verbalizzazione della domanda di protezione internazionale sia svolta da personale delle Commissioni, in coordinamento con il personale della Questura, che rimarrebbe competente per le procedure di identificazione, indicazione ribadita da Riccardo Clerici, Capo dell'Unità di protezione dell'UNHCR nella sua audizione del 30 settembre 2015.
  Altra questione problematica che la Commissione si riserva di valutare nel prosieguo dell'attività di indagine riguarda il riparto di competenza tra tali organi amministrativi.
  Secondo il meccanismo in vigore alla data di presentazione della presente relazione, competente territorialmente ad esaminare la domanda di protezione internazionale è la Commissione nella cui circoscrizione territoriale – determinata, come già detto, con decreto ministeriale – ricade la Questura che ha trasmesso la domanda o la struttura di accoglienza governativa o del sistema di protezione SPRAR presso cui è ospitato il richiedente o il Centro di Identificazione ed Espulsione presso cui sia trattenuto. Nell'ipotesi di trasferimento del richiedente in altra struttura o centro di detenzione amministrativa posto in altra circoscrizione prima dell'audizione avanti alla Commissione, si determinerà anche lo spostamento della competenza territoriale.
  L'articolo 4 comma 5-bis, introdotto dal citato decreto legge n. 119 del 2014, ha previsto la possibilità, valutata con estremo favore dal prefetto Trovato, che, con provvedimento del Presidente della Commissione nazionale, in deroga ai criteri generali di competenza territoriale testé esposti, sia spostata la competenza territoriale per i procedimenti ove non vi è stata ancora audizione del richiedente da una Commissione territoriale all'altra «tenendo conto del numero dei procedimenti assegnati a ciascuna Commissione nonché dei mutamenti di residenza o domicilio comunicati dall'interessato ai sensi dell'articolo 11, comma 2». Detta possibilità, che di fatto consente di sanare eventuali situazioni di forte squilibrio di carico di lavoro tra una Commissione e l'altra, per così dire ridistribuendo il lavoro e apportando così un minimo di flessibilità al sistema, è già stata sfruttata dalla Commissione nazionale che ha spostato «pacchetti di domande» da Caltanissetta a Ragusa e da Catania a Siracusa.

Il procedimento di esame delle domande

  Per lo svolgimento del procedimento, il decreto legislativo in esame prevede garanzie procedurali tali da rendere il procedimento Pag. 84amministrativo avanti alle Commissioni territoriali, come da più parti rilevato, un procedimento «paragiurisdizionalizzato». L'intero iter è infatti connotato da elementi posti a garanzia del richiedente e del più approfondito esame della sua domanda.
  In primo luogo ciò si verifica nella posizione di indipendenza dell'organo decisionale.
  Il comma 3-bis dell'articolo 4, aggiunto con il decreto n. 119/14, prevede che «Ogni Commissione territoriale e ognuna delle sue sezioni opera con indipendenza di giudizio e di valutazione».
  In sede di audizione, il Presidente della Commissione nazionale, Angelo Trovato, ha tenuto a precisare che le Commissioni territoriali, benché costituite presso le Prefetture, sono organi assolutamente indipendenti ed autonomi come, d'altronde, riflette la composizione delle stesse con rappresentanti delle istituzioni centrali, locali, delle forze di pubblica sicurezza e di un organismo internazionale (UNHCR).
  Il richiedente asilo ha il diritto – ma anche il dovere se convocato – di comparire personalmente e di esporre in maniera esauriente gli elementi addotti a fondamento della domanda (articolo 13 comma 1-bis). Il colloquio si svolge di norma alla presenza di uno solo dei componenti della Commissione, con specifica formazione e, ove possibile, dello stesso sesso del richiedente, il quale, all'esito, sottopone la proposta di deliberazione alla Commissione. Può, tuttavia, svolgersi anche innanzi alla Commissione su richiesta dell'interessato o determinazione del presidente (articolo 12 comma 1-bis).
  L'eventuale difensore di fiducia del richiedente, dal quale questi nella fase amministrativa può farsi assistere a sue spese (articolo 16), può essere ammesso al colloquio.
  Anche nella disciplina del colloquio del richiedente asilo e dei criteri applicabili e della verbalizzazione e possibilità di registrazione dello stesso sono state pienamente accolte, con la recente novella dell'agosto 2015, le raccomandazioni formulate dall'UNHCR con la succitata nota del febbraio 2015.
  Particolari garanzie sono previste per lo svolgimento del colloquio del minore e di altri soggetti appartenenti a categorie vulnerabili (disabili, donne gravide, vittime di tortura o di altre gravi violenze, vittime di tratta, etc..) così come in ogni altra fase del procedimento.
  L'articolo 28 prevede l'esame prioritario delle domande di protezione internazionale che si presentino palesemente fondate, che siano presentate da soggetti vulnerabili – tra i quali è privilegiato, come previsto dalla recente modifica introdotta con decreto legislativo n. 142/2015, il minore non accompagnato – nonché quelle provenienti da persone in stato di trattenimento.
  Se l'audizione si svolge innanzi ad un solo componente della Commissione, la decisione, tuttavia, è sempre collegiale ed adottata a maggioranza. Nell'ipotesi di parità, come per ogni altro collegio imperfetto, il voto del presidente vale doppio.
  Costante in ogni fase della procedura l'obbligo di informazione nei confronti del richiedente asilo nella sua lingua o in lingua dal medesimo conosciuta, così come la garanzia di assistenza da parte di un interprete (articolo 10, comma 4).Pag. 85
  La decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in modo individuale, obiettivo ed imparziale ed esaminata alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine che la Commissione nazionale deve elaborare, sulla base dei dati forniti dall'UNHCR, dall'EASO e dal Ministero degli Affari Esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, e mettere a disposizione delle Commissioni territoriali (articolo 8, commi 2 e 3).
  Il comma 3-bis del medesimo articolo 10, introdotto con il decreto legislativo n. 142/2015, prevede anche la possibilità per la Commissione territoriale di consultare, ove necessario, esperti su aspetti particolari come quelli di ordine sanitario, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori o di disporre visite mediche dirette ad accertare gli esiti di persecuzioni o danni gravi subiti dal richiedente.
  L'articolo 27, comma 1-bis, introdotto dal decreto n. 119/2014 – previsione di eccezionale rilevanza dogmatica come meglio si vedrà di seguito nell'esaminare i procedimenti giurisdizionali –, introduce il principio del potere istruttorio ufficioso della Commissione territoriale, ovvero del giudice in caso di impugnazione, stabilendo che, ove il quadro probatorio prospettato dal richiedente necessiti di integrazione, debbano acquisirsi anche d'ufficio le informazioni relative alla situazione del Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente.
  La Commissione territoriale provvede al colloquio con il richiedente entro trenta giorni dal ricevimento della domanda e decide entro i tre giorni feriali successivi con possibilità di proroga nell'ipotesi in cui si renda necessario acquisire ulteriori elementi per la decisione (articolo 27, commi 1 e 2).
  La Commissione territoriale può decidere di riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria ai sensi del decreto legislativo n. 251/2007 (c.d. decreto qualifiche) oppure rigettare la domanda quando non sussistano i presupposti per il riconoscimento di una delle due predette forme di protezione internazionale o si configuri una causa di cessazione o esclusione della protezione internazionale pure prevista dal medesimo decreto qualifiche.
  Nelle ipotesi di non accoglimento della domanda tuttavia la Commissione, qualora ritenga che possano sussistere gravi motivi di carattere umanitario che espongono comunque il richiedente ad una situazione di rischio, trasmette gli atti al questore per il rilascio del permesso di soggiorno per cosiddetta protezione umanitaria di cui all'articolo 5 comma 6 del decreto legislativo n.  286/98, rilascio cui il questore è vincolato.
  Le decisioni, sempre aventi forma scritta, in caso di diniego devono essere corredate da motivazione in fatto ed in diritto e devono recare le indicazioni sui mezzi di impugnazione ammissibili (articolo 9). La previsione potrebbe apparire pleonastica posto che per tutti i provvedimenti amministrativi vige l'obbligo della motivazione. Deve ritenersi, tuttavia, che il legislatore abbia inteso rimarcare tale obbligo in considerazione della particolare delicatezza della materia concernente l'accertamento di un diritto soggettivo. Il puntuale adempimento di tale obbligo rende, d'altronde, effettivo e possibile, attraverso la Pag. 86verifica della correttezza e ragionevolezza dell'operato della Pubblica Amministrazione, l'esercizio del diritto di difesa da parte del richiedente asilo con la valutazione anche dell'opportunità di un'eventuale impugnazione del provvedimento di diniego in sede giurisdizionale.
  In tale ottica va vista anche la previsione introdotta dal decreto n. 119/2014 al comma 2 dell'articolo 17, secondo cui non solo al cittadino straniero ma anche all'avvocato che eventualmente lo assista deve essere garantito l'accesso a tutte le informazioni relative alla procedura, alle fonti di prova utilizzate e agli elementi di valutazione adottati. Si può ritenere che la piena attuazione di tali garanzie difensive possa favorire anche una limitazione del contenzioso.
  L'obbligo per lo straniero di lasciare il territorio nazionale a seguito del rigetto della sua domanda di protezione internazionale scatta soltanto una volta che sia decorso inutilmente il termine per la proposizione del ricorso all'autorità giudiziaria avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale ai sensi del successivo articolo 35.
  A fronte di questa articolata procedura, la Commissione ha preso atto del fatto che sono sorte difficoltà di una celere definizione dei provvedimenti, soprattutto in ragione della crescita esponenziale delle domande proposte.
  Nell'intento di accelerare i tempi di definizione delle procedure di esame, con la novella legislativa di cui al decreto legislativo n. 142 del 2015, si è integrata la norma, prevedendo, nell'ipotesi in cui il termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda per il colloquio e, per la decisione, di tre giorni dal colloquio previsto dal comma secondo non possa essere rispettato per la necessità di un approfondimento istruttorio, un termine massimo per l'adozione della decisione da parte delle Commissioni territoriali di sei mesi, prorogabile di ulteriori nove mesi in caso di questioni particolarmente complesse, quando è presentato simultaneamente un numero elevato di domande e quando il ritardo è da attribuire all'inosservanza degli obblighi di cooperazione a carico del richiedente. In casi eccezionali debitamente motivati, il termine può essere ulteriormente prorogato di tre mesi (articolo 27 commi 3 e 3-bis).

I dati sull'attività delle commissioni

  Secondo i dati forniti dalla Commissione nazionale in sede di audizione del prefetto Trovato, nel 2013 vi sono state 26.320 domande di protezione internazionale; nel 2014 le domande sono state 63.456 (a fronte di 170.100 stranieri sbarcati) con un incremento dunque rispetto all'anno precedente del 138%.
  Nel 2015, secondo i dati forniti dal Viminale (Fonte: Appendice al «Rapporto sull'Accoglienza di Migranti e Rifugiati in Italia», 2016), le domande di protezione internazionale sono state 83.970 (a fronte di 153.842 sbarchi), con un aumento rispetto all'anno precedente del 32%.
  Per quanto riguarda l'anno in corso, alla data del 5 febbraio 2016, le domande di protezione internazionale erano 9.316, con un incremento rispetto al corrispondente periodo del 2015 del 53,32%.Pag. 87
  Per quel che concerne il tempo medio di definizione delle domande di protezione, secondo quanto riferito dal prefetto Trovato, questo si attestava nel primo trimestre 2015 in circa 215 giorni. Nel secondo trimestre 2015 si è sensibilmente ridotto rientrando nei sei mesi che sono il tempo medio europeo (circa 62 giorni per la definizione delle domande provenienti da minori non accompagnati rispetto alle quali, per effetto della recente modifica normativa, è stato disposto l'esame prioritario con procedura accelerata). Il Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno, Domenico Manzione, nel corso della sua audizione, ha segnalato che i tempi di definizione nel terzo trimestre 2015, stante l'aumento delle domande, si sono nuovamente dilatati e si attestano attorno a nove mesi.
  Va peraltro tenuto conto del fatto che il dato rilevato dal sistema informatico è condizionato dalle procedure formalmente pendenti che concernono i soggetti irreperibili che, fino a quando non si è acquisita certezza in ordine a tale status, non possono essere definite.
  Altro elemento di criticità evidenziato dal prefetto Trovato è dato dai ritardi segnalati da diverse Commissioni territoriali da parte delle autorità giudiziarie competenti nella nomina dei tutori per i minori accompagnati. Anche l'UNHCR, con la nota summenzionata del febbraio 2015 circa il recepimento nell'ordinamento italiano delle Direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE, ha sottolineato la necessità che la nomina dei tutori di minori non accompagnati sia tempestiva e che questi siano selezionati tra persone con competenze adeguate a tale delicato ufficio e che non si trovino in conflitto anche solo potenziale con i minori di cui acquisiscono la tutela.
  Il prefetto Trovato ha altresì precisato che i tempi variano comunque sensibilmente a seconda delle aree geografiche, essendo alcune Commissioni più oberate di lavoro. Proprio al fine di uniformare i tempi di definizione dei procedimenti si sono istituite nuove Commissioni e sezioni laddove se ne avvertiva maggiore necessità in relazione al numero più elevato delle domande e si è ricorsi al summenzionato provvedimento di redistribuzione dei carichi ex articolo 4, comma 5-bis.
  In sede di audizione, il prefetto Trovato ha dichiarato che il sistema asilo ha attualmente una capacità di risposta annua di circa 70.000 domande.
  Nel 2013, erano state esaminate 23.634 richieste di asilo; nel 2014, grazie anche all'aumento del numero delle Commissioni, la capacità di evasione delle richieste da parte della Pubblica Amministrazione è aumentata del 53,47%, ragion per cui sono state esaminate 36.270 domande. Nel 2015, sono state esaminate 66.266 domande (l'83% rispetto al totale delle domande presentate).
  Alla data del 5 febbraio 2016, si è potuto registrare, grazie anche alla piena operatività delle nuove Commissioni e sezioni istituite, un incremento della capacità di risposta del sistema rispetto al corrispondente periodo del 2015 del 175,65%. Alla stessa data, le domande ancora pendenti erano 67.316.
  Il Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno Domenico Manzione, nella sua audizione del 13 ottobre 2015, ha precisato che le Commissioni riescono ad evadere un numero di richieste di asilo che non si discosta molto da quello delle richieste in entrata.Pag. 88
  Quanto agli esiti della procedura, nel 2014 è stato riconosciuto lo status di rifugiato nel 10% dei casi, la protezione sussidiaria nel 23% dei casi e quella umanitaria nel 28%, con riconoscimento, quindi, di una qualche forma di protezione nel 61% dei casi e con una percentuale di dinieghi veri e propri pari al 36% (il 3% delle domande sono state respinte per «irreperibilità» del richiedente).
  Nel 2015 è stato riconosciuto lo status di rifugiato nel 5% dei casi, la protezione sussidiaria nel 14% di casi e quella umanitaria nel 22%, con riconoscimento, quindi, di una qualche forma di protezione nel 41% dei casi e con una percentuale di dinieghi vera e propria pari al 53% circa, mentre il 6% circa delle domande sono state respinte per «irreperibilità» del richiedente (Fonte: Appendice al «Rapporto sull'Accoglienza di Migranti e Rifugiati in Italia», 2016).
  Sempre secondo la fonte citata, la media nell'UE di accoglimento delle domande di protezione internazionale si attesta al 37%. Occorre, tuttavia, tenere in considerazione che negli altri Paesi dell'Unione europea non è rilevata una forma di protezione equivalente a quella umanitaria, riconosciuta in Italia.
  Il prefetto Trovato, in sede di audizione, ha specificato che se la percentuale delle domande accolte tra il 2014 ed il 2015 è variata così sensibilmente, ciò è dovuto prevalentemente al mutamento dei flussi dei richiedenti asilo: «Nel momento in cui, infatti, aumentano i flussi di richiedenti asilo da aree in cui sicuramente non vi sono situazioni di crisi (allo stato Senegal, Gambia, parte meridionale del Mali e della Nigeria), la risposta del sistema non può che essere diversa». Le nazionalità a cui è stato garantito un livello di protezione più alto sono proprio quelle dei Paesi in cui vi sono situazioni di crisi: Pakistan, Afghanistan e Nigeria settentrionale.

I costi

  Il prefetto Trovato, nella cennata audizione, ha indicato in euro 110.650 il «costo medio annuale» di ogni singola Commissione, calcolato sulla base del gettone di presenza erogato giornalmente ad ogni singolo componente, pari a 90 euro lordi a titolo di rimborso spese. Il gettone di presenza non viene erogato ai rappresentanti dell'UNHCR in quanto la normativa internazionale vieta di erogare a tali rappresentanti qualsiasi forma di contribuzione. In tal caso è lo Stato italiano a rimborsare l'ONU con un contributo forfettario che, nel 2014, è stato pari a euro 1.644.000 e che, per gli anni successivi, stante il maggior lavoro svolto dalle Commissioni territoriali, è destinato ad aumentare sensibilmente. Altro elemento di spesa significativo è dato dalle spese di interpretariato che, nel 2014 sono state pari a euro 3.368.756 mentre nel solo primo quadrimestre 2015 sono state pari a euro 1.250.000.
  Per l'anno 2014, per il relativo capitolo di spesa della Commissione nazionale sono stati stanziati euro 9.149.000, mentre per il 2015 euro 10.638.000 ma – secondo il prefetto Trovato – queste somme verosimilmente non saranno sufficienti, stante la decisa accelerazione Pag. 89impressa nella definizione dei procedimenti e, quindi, la maggior mole di lavoro svolta.

Elementi di valutazione sul procedimento amministrativo

  Nella verifica degli elementi su cui si fonda l'azione amministrativa di esame delle domande di protezione internazionale, la Commissione intende svolgere alcune riflessioni in ordine alle scelte organizzative e di funzionamento del sistema operate nel nostro ordinamento.
  Come già si è detto, territorialità e collegialità sono peculiarità del nostro sistema che lo distinguono rispetto ai sistemi degli altri Paesi europei.
  Con il decentramento territoriale delle Commissioni si intendeva dare attuazione ad un principio di sussidiarietà e di vicinanza al territorio prevedendo anche una specifica rappresentanza del territorio all'interno delle Commissioni stesse. Tale meccanismo assicura infatti, nel contempo, un più facile accesso alla procedura da parte dei richiedenti asilo in quanto stabilisce la competenza territoriale della Commissione o sezione nella cui circoscrizione viene presentata la domanda.
  Non può non rilevarsi tuttavia, che, nella prassi, la funzione di rappresentanza del territorio dei componenti designati dalla conferenza Stato-città ed autonomie locali è scarsamente svolta, sia per la denunciata tendenza alla designazione di soggetti non in possesso delle necessarie competenze sia per la vasta competenza territoriale di ciascuna Commissione nella cui circoscrizione sono il più delle volte compresenti realtà locali affatto diverse.
  Si consideri, inoltre, che il luogo dove il richiedente asilo formula la domanda di protezione internazionale raramente coincide con quello in cui egli intende stabilirsi definitivamente sì che una particolare considerazione degli interessi di quel territorio in sede di valutazione della domanda potrebbe essere inconferente.
  Il decentramento territoriale, così come configurato, si è rivelato poco funzionale anche ad agevolare l'accesso alla procedura dei richiedenti asilo perché, nella maggior parte dei casi, anche in considerazione del lasso di tempo intercorrente tra il momento della presentazione della richiesta a quello della decisione, il luogo di dimora del richiedente asilo al momento della presentazione della domanda non coincide con quello al momento dell'audizione e/o della decisione né, deve ritenersi, vi sarà nella pratica ricorso frequente da parte dell'istante alla possibilità – pur accordata dall'articolo 4 comma 5 bis – di chiedere alla Commissione nazionale lo spostamento della competenza in caso di trasferimento della propria residenza o domicilio.
  Le esigenze sottese alla scelta della territorialità appaiono, dunque, di fatto, soddisfatte solo parzialmente.
  Una delle opzioni che la Commissione si riserva di valutare, anche nell'ottica anche di ottimizzare le risorse umane e materiali e contenere i costi di gestione dell'apparato, potrebbe essere imperniata su un sistema di attribuzione della competenza all'esame delle Pag. 90domande di protezione internazionale ad un organo amministrativo collegiale nazionale, soluzione, peraltro, adottata, in altri Paesi europei. Eventualmente tale competenza nazionale potrebbe essere limitata anche alla sola fase decisoria vera e propria creando uno iato tra tale fase e quella istruttoria (colloquio personale, raccolta documentazione), soluzione perorata dal Sottosegretario di Stato del Ministero dell'Interno, Domenico Manzione in sede di audizione.
  Tale soluzione sarebbe, d'altronde, in sintonia, con la modifica procedurale recentemente attuata con il decreto legge n. 119/2014 per cui, in parziale deroga alla collegialità, il colloquio personale si svolge avanti non più all'intera Commissione, ma ad un solo componente delegato. Si potrebbe, dunque, pensare ad un numero più limitato di persone sul territorio impegnate nello svolgimento delle audizioni ed alla successiva trasmissione degli atti ad una Commissione centralizzata, anche suddivisa in sezioni, che decida in forma collegiale.
  Il sistema potrebbe avere il vantaggio anche della duttilità, comportando un impiego di un numero di persone variabile in dipendenza dell'incidenza dei flussi migratori. La scelta dell'accentramento per la procedura amministrativa delle domande di protezione internazionale richiederebbe evidentemente di ripensare anche i criteri di competenza territoriale per la proposizione del ricorso giurisdizionale.

IL PROCEDIMENTO GIURISDIZIONALE

Il giudizio

  Avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato come di ammissione esclusivamente alla protezione sussidiaria (o avverso il provvedimento di revoca o cessazione della protezione emesso dalla Commissione nazionale) può essere proposto ricorso all'autorità giudiziaria ordinaria (articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 2008, così come sostituito dall'articolo 34 del decreto legislativo n. 150/2011).
  Competente è il Tribunale monocratico del capoluogo di distretto di Corte d'Appello in cui ha sede la Commissione territoriale o la sezione che ha pronunciato il provvedimento impugnato (o, nel caso di impugnazione avverso provvedimento della Commissione nazionale, ove ha sede la Commissione territoriale o la sezione che ha emesso il provvedimento revocato o dichiarato cessato) o si trova la struttura di accoglienza governativa o del sistema SPRAR dove è ospitato o il Centro di Identificazione ed Espulsione dove è trattenuto il richiedente ed il relativo procedimento è disciplinato dall'articolo 19 del D.lgs. n.150/2011, recentemente modificato dal d.lgs. n. 142/2015.
  Il termine per la proposizione del ricorso è di regola di trenta giorni dalla comunicazione del provvedimento.
  Come già sopra detto, il ricorso di regola determina la sospensione automatica dell'efficacia del provvedimento impugnato con conseguente diritto del ricorrente a rimanere sul territorio italiano per tutta la durata del giudizio.Pag. 91
  Il comma 4 dell'articolo 19 del citato decreto legislativo n. 150/2011, così come novellato dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 142/2015, prevede quattro ipotesi in cui detto effetto sospensivo non è automatico ma consegue eventualmente all'accoglimento da parte dell'Autorità giudiziaria di apposita istanza cautelare di sospensiva e sono quelle del ricorso proposto avverso provvedimento che dichiari l'inammissibilità o la palese infondatezza della richiesta di asilo, del ricorso proposto da soggetto trattenuto in un CIE o da soggetto che abbia presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso i controlli di frontiera o comunque in condizioni di soggiorno irregolare.
  La novella appare aver recepito integralmente le raccomandazioni formulate dall'UNHCR, con la summenzionata nota del febbraio 2015, in ordine alla necessità di limitare i casi di non automaticità dell'effetto sospensivo in conformità con quanto previsto sul punto dalla Direttiva europea.
  Già il comma 10 dell'articolo 19 in esame prevedeva che «La controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza» e, nella relazione di accompagnamento al decreto legislativo n. 150/2011, si leggeva che la previsione nasceva dalla considerazione della particolare delicatezza delle posizioni giuridiche soggettive in gioco.
  La disposizione – di per sé avente più valenza di enunciazione di principio che efficacia sostanziale – risulta oggi rafforzata dalla previsione, introdotta con la recente novella del 2015 al fine di accelerare i tempi di definizione dei procedimenti in esame, di un termine massimo di sei mesi per l'esame di ricorso giurisdizionale in primo grado e nei successivi gradi di giudizio (comma 9 dell'articolo 19).
  I procedimenti giurisdizionali in esame sono regolati dal rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis, ter e quater del codice di procedura civile, che è improntato essenzialmente a semplificazione della trattazione ed informalità dell'istruttoria.
  Il procedimento si conclude con ordinanza che, solo nell'ipotesi di rigetto del ricorso, è appellabile avanti alla Corte d'Appello con ricorso nel termine di 30 giorni.
  Avverso il provvedimento di rigetto dell'appello può essere proposto ricorso per cassazione.

L'istruttoria

  Uno degli aspetti del giudizio che appare meritevole di riflessione specifica è quello concernente l'istruttoria processuale.
  Nel corso dell'istruttoria, la Commissione che ha adottato l'atto impugnato può depositare tutti gli atti e i documenti che ritenga necessari e il giudice può procedere anche d'ufficio agli atti di istruzione che ritenga necessari per la definizione della controversia.
  Ulteriore novità introdotta dal d.lgs. n. 142/2015, con la sostituzione del comma 9 dell'articolo 19 in esame, è la previsione che il Tribunale debba decidere il ricorso «sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione».
  In altri termini, avanti al Tribunale monocratico possono essere introdotti fatti e elementi probatori nuovi, sia su iniziativa di parte Pag. 92che d'ufficio, sì che, di fatto, il giudice può trovarsi a decidere sulla base di un quadro probatorio diverso da quello acquisito all'esito dell'istruttoria dalla Commissione territoriale. È evidente che tale fatto, unitamente ad altri fattori di cui meglio si dirà in seguito, può essere all'origine della marcata divergenza che caratterizza le decisioni dell'autorità giudiziaria sulle domande di protezione internazionale rispetto a quelle assunte in sede amministrativa.
  Come già anticipato, in modo del tutto peculiare si atteggia l'onere della prova nei procedimenti in esame che, per effetto dell'elaborazione giurisprudenziale prima e di espressa previsione normativa poi, vedono introdotto il principio del potere istruttorio ufficioso del giudice, laddove il nostro processo civile è, invece, improntato all'opposto principio dispositivo delle prove.
  La Cassazione a SS.UU., già con sentenza n. 27310 del 21/10/2008, affermava che, secondo i principi accolti dal diritto comunitario, in particolare nella Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.lgs. n. 251 del 2007, «nei procedimenti in materia di riconoscimento dello “status” di rifugiato, i poteri istruttori officiosi prima della competente Commissione e poi del giudice, risultano rafforzati; in particolare, spetta al giudice cooperare nell'accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l'ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine». Ed ancora, con sentenza n. 16221 del 24 settembre 2012, ha ribadito che in tema di protezione internazionale dello straniero, il giudice deve utilizzare il potere-dovere d'indagine previsto dall'articolo 8, comma 3, D.lgs. n. 25 del 2008 con forte attenuazione del regime ordinario dell'onere della prova (cfr. Cass. n. 563 del 10 gennaio 2013 e, da ultimo, Cass. n. 7333 del 10 aprile 2015).
  L'articolo 27 comma 1-bis, introdotto dal d.lgs. n. 119/2014 – già sopra esaminato con riferimento ai procedimenti amministrativi – infine, ha recepito l'insegnamento giurisprudenziale, prevedendo un obbligo di integrazione istruttoria della Commissione territoriale prima e del giudice poi, mediante acquisizione anche d'ufficio delle informazioni relative alla situazione del Paese di origine e alla specifica condizione del richiedente.
  Connesso a tale gravoso compito istruttorio, ormai normativamente attribuito al giudice, è il problema della ricerca delle fonti di informazione sulle C.O.I. (Country of Origin Information) che evidentemente devono essere sicure, complete ed aggiornate. I dati informativi da preferire sono quelli forniti da organizzazioni internazionali quali UNHCR, EASO, Ministero degli Esteri, agenzie e enti impegnati nella tutela dei diritti umani, così come d'altronde espressamente previsto dall'articolo 8 commi 2 e 3 d.lgs. n. 25/2008. L'acquisizione delle informazioni necessarie è resa ancor più difficoltosa dal fatto che i dati forniti dalle fonti internazionali sono per lo più in lingua inglese o francese tali da richiedere per la loro ricerca e comprensione il possesso di competenze linguistiche affinate.
  In tale impegnativa attività istruttoria, risulta alla Commissione parlamentare che i magistrati italiani non siano adeguatamente supportati: ad esempio, non risulta una specifica banca dati informatica a loro immediatamente accessibile che raccolga ed organizzi Pag. 93tali informazioni e quindi di fatto i giudici sono lasciati soli a ricerche domestiche senza alcuna garanzia di risultato in termini di completezza, aggiornamento ed affidabilità delle informazioni così reperite.
  Ciò è tanto più grave ove si consideri che in realtà, già nel 2008, con l'articolo, 8 comma 3, del decreto n. 25 del 28 gennaio 2008 era stato previsto l'obbligo per la Commissione nazionale di assicurare che tali informazioni, costantemente aggiornate, fossero non solo messe a disposizione delle Commissioni territoriali, ma anche fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi sulle impugnazioni dei provvedimenti di diniego. Risulta invece che la Commissione nazionale elabori report periodici in italiano sui diversi Paesi di provenienza dei richiedenti asilo che sono messi a disposizione per via telematica delle Commissioni territoriali ma non dei giudici.
  La Commissione parlamentare, nel prosieguo della sua attività conoscitiva, si riserva di valutare altresì se costituisca valida opzione l'estensione di tale obbligo di condivisione delle informazioni sin dalla fase istruttoria anche nei confronti dei legali cui, a norma del successivo articolo 17 d.lgs. n. 25/2008 deve comunque assicurarsi, evidentemente dopo la decisione, l'accesso alle fonti di prova utilizzate e agli elementi di valutazione adottati.
  La condivisione delle fonti di informazione tra Pubblica Amministrazione, magistratura e avvocatura potrebbe agevolare un più consapevole approccio alla materia con più ampia garanzia di tutela dei richiedenti asilo favorendo, nel contempo, una limitazione del contenzioso con il disincentivare la proposizione di ricorsi manifestamente infondati.

Il reperimento degli interpreti

  Altro problema avvertito nella trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, al pari che nei processi penali, è quello del reperimento degli interpreti nella lingua dei richiedenti asilo – bengalesi, pakistani, afghani, ed altre nazionalità –, spesso non agevole specie nelle realtà più periferiche e che, talvolta, comporta ritardo nella definizione dei procedimenti.
  Per ovviare a tale problema, una delle opzioni che è stata avanzata dinanzi alla Commissione è quella di pervenire ad un superamento del sistema degli albi locali degli interpreti del tribunale e la costituzione a livello ministeriale di un ruolo di interpreti su base anche inter-distrettuale che diano garanzie di competenza tecnica ed affidabilità. Il problema è, peraltro, acuito dalla modesta remuneratività dell'incarico (l'onorario dell'interprete viene liquidato a vacazioni secondo il disposto di cui all'articolo 4 della legge n. 319/80 ed è pari, per due ore di lavoro, ad euro 14,68 e ad euro 8,15 per ciascuna frazione successiva di due ore, raddoppiabili solo in casi eccezionali).

L'accesso al gratuito patrocinio

  Mentre per la fase amministrativa il richiedente asilo può farsi assistere da un legale ma a sue spese, per la successiva eventuale fase giurisdizionale, il cittadino straniero deve essere assistito da un avvocato e, se indigente, è ammesso al gratuito patrocinio laddove ne Pag. 94ricorrano i presupposti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 (articolo 16 decreto-legge n. 25/2008). La norma in esame costituisce recepimento del disposto di cui all'articolo 20 della Direttiva europea 201/32/UE del 26/3/2013.
  È, altresì, previsto che lo straniero richiedente asilo possa attestare i redditi eventualmente prodotti all'estero mediante un'autocertificazione ai sensi dell'articolo 94 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 dovendosi presumere l'impossibilità per l'istante di ottenere un'attestazione da parte dell'autorità consolare (possibilità ribadita da ultimo dall'articolo 8 decreto del Presidente della Repubblica n. 21/2015).
  Di fatto nella pratica, nella quasi totalità dei procedimenti in materia di protezione internazionale di cui trattasi, i richiedenti asilo sono ammessi al gratuito patrocinio ed i compensi spettanti ai legali vengono, quindi, liquidati dall'autorità giudiziaria (anche nel caso di difensori d'ufficio con assistiti irreperibili o insolventi i compensi vengono liquidati dall'autorità giudiziaria ai sensi degli artt. 116 e 117 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002). La liquidazione avviene in base al decreto ministeriale 55/2014 ed all'articolo 141 T.U. 115/2002 e, quindi, per fasi – di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale – e, generalmente, considerato anche che quantomeno in primo grado trattasi di procedimenti a cognizione sommaria, ai minimi tariffari. Così il compenso medio per i procedimenti avanti al Tribunale è di 800/1000 euro, superiore quello liquidato per i gradi successivi, tenuto conto anche del fatto che, nel silenzio della legge, nonostante dopo la riforma attuata con il decreto n. 142/2015 sia previsto il ricorso quale atto introduttivo del giudizio di appello, il rito deve ritenersi ordinario.
  La Commissione si è attivata al fine di acquisire dati ufficiali in ordine all'incidenza della spesa pubblica legata al patrocinio a spese dello Stato assicurato nei procedimenti in materia di protezione internazionale – che non sono però ancora pervenuti alla data di presentazione della relazione – ma risulta di tutta evidenza che il relativo onere finanziario per lo Stato non possa che essere ingente.

La formazione e la specializzazione dei magistrati

  In considerazione della indubbia ed evidente delicatezza della materia della protezione internazionale e in quanto incidente su diritti soggettivi e per le peculiarità che contraddistinguono i relativi procedimenti testé esaminate, nel corso delle audizioni è stata avanzata la necessità di potenziare la formazione dei giudici applicati a tali procedimenti allo scopo di affinarne la specializzazione.
  Va infatti considerato che incontri di studio in materia di protezione internazionale sono stati organizzati solo con cadenza annuale e, peraltro, solo nell'ambito della generale programmazione della formazione permanente centralizzata sì che il giudice civile che, di regola, unitamente a quella in esame, è chiamato ad occuparsi anche di altre materie, verosimilmente anche in misura preponderante, non necessariamente richiederà di partecipare a tali corsi (di regola un magistrato non è ammesso a più di un incontro di studio Pag. 95all'anno), mentre tale frequenza sarebbe facilitata se fossero organizzati incontri formativi specifici al di fuori dell'ordinaria programmazione formativa.
  Un'ulteriore opzione emersa nel corso dell'attività istruttoria in questo settore consiste – in considerazione della particolare delicatezza e peculiarità della materia – nell'istituzione di sezioni specializzate per la trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale sul modello del Tribunale per le Imprese o, comunque, scelte organizzative tali da assicurare una maggiore specializzazione dei giudici addetti alla trattazione di tali procedimenti e concentrazione della materia come l'assegnazione della materia in questione alle sezioni specializzate per la famiglia. Il disegno di legge delega sulla riforma del processo civile, approvato dalla Camera nella seduta del 10 marzo 2016 e all'esame del Senato, prevede l'attribuzione delle controversie relative al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione internazionale disciplinate dal decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nonché dal decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 alle sezioni specializzate per la famiglia, istituite presso il Tribunale ordinario.
  Anche il Delegato dell'UNHCR Laurens Jolles, in sede di audizione il 30 settembre 2015, ha ribadito la necessità di specializzazione dei giudici applicati ai procedimenti in materia di protezione internazionale.
  Inoltre, L'UNHCR, in sede di formulazione di raccomandazioni per il corretto recepimento nell'ordinamento italiano delle Direttive europee in materia di asilo, si è espressa assai positivamente sulla predetta proposta di legge in quanto idonea ad evitare l'insorgere di criticità legate a difformità di indirizzi giurisprudenziali nei diversi fori competenti che possono avere effetti critici sia sui richiedenti asilo sia sul sistema asilo nel suo complesso.

La difformità di giudizio tra Commissioni e organi giudiziari: i dati

  Il prefetto Trovato, nella succitata audizione del 17 maggio 2015, ha riferito che nel 2014 su 13.122 dinieghi sono stati presentati 8.420 ricorsi pari a circa il 65% che hanno trovato accoglimento nel 73% dei casi evidenziando, peraltro, come le divergenze rispetto al dato medio nazionale siano molto marcate a seconda delle realtà locali.
  È evidente che, impregiudicata l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, utili al fine di tentare di superare eccessive difformità di giudizio che evidentemente contribuiscono ad incentivare il contenzioso, sarebbero anche – così come evidenziato anche dal prefetto Trovato e dal Sottosegretario Manzione nelle rispettive audizioni – percorsi di formazione congiunta aperti anche ai funzionari amministrativi delle Commissioni territoriali e a legali impegnati nel diritto dell'immigrazione in un'ottica di proficuo confronto e collaborazione.

I tempi della decisione

 La più preoccupante criticità della fase giurisdizionale di esame delle domande di protezione internazionale è legata ai lunghi tempi di esame dei ricorsi giurisdizionali.Pag. 96
  A fronte della decisa accelerazione impressa ai procedimenti amministrativi di esame delle domande di protezione internazionale con il raddoppio del numero delle Commissioni territoriali, ben poco è stato fatto sul fronte giudiziario.
  Per effetto della aumentata produttività delle Commissioni territoriali nel 2015 (circa l'80% di definizioni in più rispetto al 2014), peraltro anche con sensibile aumento dei provvedimenti di diniego (il 17% in più), le sezioni civili dei tribunali distrettuali competenti per materia, già ingolfate dai procedimenti ordinari, si sono viste gravate nel 2015 da un marcato incremento dei ricorsi giurisdizionali avverso il rigetto delle domande di protezione internazionale.
  Un primo dato allarmante è dato dalla mancanza di dati analitici circa pendenze, sopravvenienze, definizioni e relativi tempi ed esiti dei procedimenti pendenti avanti all'Autorità giudiziaria che alla Commissione parlamentare risultano non essere rilevati dal Ministero della Giustizia. Secondo quanto appreso, infatti, i procedimenti nella materia in esame sono conteggiati unitamente a tutti gli altri procedimenti civili e non è disponibile il dato disaggregato, così come precisato dalla Direzione Generale di Statistica ed analisi organizzativa del Ministero.
  I dati di seguito esposti, pertanto, non sono ufficiali ma sono forniti dalla Commissione Nazionale che li ricava in via deduttiva dal numero delle comunicazioni ex articolo 35 d.lgs. n. 25/2008 e 19 comma 9-bis del d.lgs. n. 150/2011 effettuate dalle cancellerie civili alle Commissioni territoriali ed alla Commissione nazionale.
  Dall'analisi dei dati relativi al periodo dal 2010 al 7 aprile 2015 – inerenti alle pendenze del contenzioso sui ricorsi nei rispettivi tre gradi di giudizio (primo grado, appello e cassazione) – è possibile rilevare, in primo grado ed in appello, un costante andamento crescente delle pendenze che sono passate in primo grado da 1.392 procedimenti nel 2010 a 6.589 nel 2014 ed in appello da 122 procedimenti nel 2010 a 511 nel 2014. Di contro, i procedimenti definiti registrano dal 2013 un andamento decrescente sia in primo grado sia in appello. Si può stimare in via approssimativa che l'attuale pendenza in primo grado sia superiore agli 8.000 procedimenti.
  Emerge, dunque, una capacità di risposta del sistema giudiziario del tutto insufficiente con un numero di definizioni annuali sensibilmente inferiore alle sopravvenienze che determina un aumento esponenziale delle pendenze che, in difetto di interventi urgenti ed incisivi, rischia di condurre ad un punto di non ritorno.
  È appena il caso di evidenziare che condizione imprescindibile per un approccio serio e corretto al problema teso ad individuare soluzioni adeguate è la preventiva conoscenza del problema stesso, in particolare delle sue dimensioni. Ineludibile ed urgente appare, quindi, disporre la rilevazione statistica dei procedimenti in questione.
  La mancanza di una precisa consapevolezza dell'entità del problema ha condizionato i pochi interventi sul piano normativo ed organizzativo sinora attuati.
  La previsione, introdotta con il d.lgs. n. 142/2015 testé esaminata, di un termine acceleratorio di natura ordinatoria di sei mesi per la definizione dei giudizi, in difetto di un rafforzamento dell'apparato e di una ottimizzazione delle risorse, è destinata a non avere Pag. 97alcun impatto pratico nella realtà giudiziaria (se non ingiustamente esporre a rilievi di carattere disciplinare i magistrati nell'ipotesi di costante inosservanza del termine).
  Lieve redistribuzione dei carichi di lavoro è verosimilmente derivata dalla previsione della competenza territoriale anche dei Tribunali dei capoluoghi del distretto di Corte d'Appello in cui abbia sede una sezione (nell'ipotesi in cui nel distretto non abbia sede anche la Commissione) che di fatto ha portato all'attribuzione di competenza in materia di ricorsi giurisdizionali avverso i provvedimenti amministrativi di diniego della protezione internazionale anche dei Tribunali di Perugia, Genova, Campobasso e Caltanissetta.
  Nel corso dell'audizione del 26 maggio 2015, svolta nel corso della missione in Sicilia di una delegazione della Commissione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, Giovanni Salvi, ha riferito che «Le procedure di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona internazionalmente protetta pendenti in questo momento avanti al Tribunale di Catania in fase di appello rispetto alle decisioni in Commissione sono circa 2.800...(OMISSIS)... e sono fissate al 2016, il che vuol dire che non si completeranno nel 2016. Inoltre, non tengono conto del 2014 perché noi abbiamo avuto 100.000 arrivi nel solo distretto di Catania...(OMISSIS)...Noi non sappiamo cosa arriverà ancora dalle Commissioni per il primo ed il secondo grado. Rimaniamo allora ai nostri 2.800 che sono una frazione di quello che arriverà, perché rappresentano sostanzialmente il 2013, quando arrivarono circa 48.000 migranti, se non ricordo male, in tutto il territorio. Un richiedente asilo in attesa di decisione costa mediamente intorno ai 25 euro al giorno, come costo diretto, senza considerare i costi indiretti. ...(OMISSIS)... costa, quindi, circa 9.000 euro all'anno. Considerati i nostri 2.800 migranti, è facile fare la moltiplicazione, un anno di ritardo nella definizione di questa procedura costa più di 25 milioni di euro...(OMISSIS)...un magistrato in più distaccato presso il Tribunale di Catania costa, in aggiunta al suo stipendio, per il trattamento di missione, circa 18.000 euro all'anno. Un personale di Cancelleria costa 12.000 euro all'anno. Se, invece, vogliamo destinare in pianta fissa un magistrato in più, il costo è di 70.000 euro l'anno circa, considerando che non sia proprio di primissima nomina, ma nemmeno un magistrato di grande esperienza.».
  In questo ambito non è apparsa decisivo nemmeno il varo del Piano straordinario di applicazioni extradistrettuali.
  Con l'articolo 18-ter introdotto con la legge n. 132 del 6 agosto 2015 in sede di conversione del decreto legge n. 83 del 2015, si è previsto che il Consiglio Superiore della Magistratura predisponga «un Piano straordinario di applicazioni extradistrettuali diretto a fronteggiare l'incremento del numero di procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale e di altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione», previa individuazione degli uffici giudiziari presso i quali si fosse verificato il maggiore incremento dei procedimenti suddetti e del numero di magistrati da applicare sino ad un massimo di venti unità per un periodo di diciotto mesi prorogabile di ulteriori sei mesi.Pag. 98
  A seguito di apposito invito rivolto a Procuratori Generali e Presidenti di Corte d'Appello a formulare le eventuali richieste di applicazione, il Consiglio riteneva di individuare come meritevoli di applicazione solo 17 uffici giudiziari, per complessivi 19 posti di cui ben 14 relativi ad uffici civili dove si è registrato un incremento dei procedimenti maggiore del 50% (Tribunali di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caltagirone, Catania – 3 posti, Catanzaro, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Venezia e Procura della Repubblica di Caltagirone).
  Da notare che molti uffici, proprio per la suaccennata mancanza di rilevazione statistica dei dati numerici relativi a detti procedimenti, hanno trovato difficoltà a formulare eventuali richieste non essendo in grado di calcolare l'entità dell'incremento richiesto. Opinabile, inoltre, la scelta di attribuire rilievo ai fini dell'applicazione unicamente al dato dell'incremento dei procedimenti trascurando qualsiasi riferimento a quello della pendenza ovvero dell'arretrato in materia degli uffici, dato forse ancor più significativo e preoccupante. A prescindere, poi, dal rilievo che, con riferimento a quegli uffici che hanno visto sorgere la propria competenza in materia solo a fine 2014/inizio 2015 per effetto della istituzione nel proprio distretto di nuove Commissioni territoriali o sezioni, il riferimento al dato dell'incremento dei procedimenti nel 2015 rispetto al 2014 è evidentemente privo di senso.
  A seguito di apposito interpello rivolto a tutti i magistrati, è pervenuto solo un numero limitato di comunicazioni di disponibilità per cui, previa necessaria valutazione comparativa tra le esigenze dell'ufficio di provenienza e di quello a cui favore avrebbe dovuto disporsi l'applicazione, in diversi casi sono state ritenute preminenti le prime per cui è stato possibile disporre l'applicazione solo di 10 magistrati a fronte di 19 posti.
  In particolare non sono stati coperti i posti ai Tribunali di Ancona, Bologna, Cagliari, Catania (due posti), Catanzaro, Venezia e Caltagirone (Tribunale e Procura) per i quali è stato disposto nuovo interpello. È facile, tuttavia, prevedere che, rebus sic stantibus, il nuovo interpello non potrà conseguire risultati migliori.
  E difatti la scarsa risposta dei magistrati all'interpello era facilmente immaginabile posto che l'applicazione in questione, di per sé poco allettante in quanto comporta l'assegnazione per un periodo di diciotto mesi in via esclusiva alla trattazione dei procedimenti in esame verosimilmente con rilevanti carichi di lavoro, non è stata resa appetibile dalla previsione di adeguati incentivi di carattere economico o di altro tipo (l'articolo 18-ter cit. prevede unicamente l'attribuzione di un punteggio ai fini dei trasferimenti di 0,10 per ogni otto settimane ed il 50% dell'indennità spettante nell'ipotesi di trasferimento d'ufficio).
  Per concludere sul punto, appare evidente che il Piano straordinario di applicazioni extradistrettuali, così come concretamente attuato, non potrà essere la chiave di volta per conseguire il risultato dell'abbattimento dell'arretrato e dell'accelerazione dei tempi di definizione dei procedimenti giurisdizionali in tema di protezione internazionale.Pag. 99
  Strettamente correlato all'impiego di un numero maggiore di magistrati nella trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale è il tema del potenziamento del personale di cancelleria. È evidente, infatti, che il lavoro dei magistrati applicati rischia di essere vanificato se non supportato da personale di cancelleria in numero adeguato e sufficientemente organizzato che dovrà provvedere a riorganizzare i ruoli di udienza, anticipare le fissazioni di udienza nei procedimenti già calendarizzati a date non prossime e provvedere alle relative comunicazioni alle parti.
  Di grande utilità in termini di risparmio di tempo e di risorse, in tale situazione, la possibilità di effettuare le comunicazioni alle parti per via telematica anziché mediante le notifiche tradizionali. Il Sottosegretario Manzione, nell'audizione succitata, ha riferito che, per quanto riguarda la Commissione territoriale di Catania, è in corso un progetto che sta dando buoni risultati per l'attuazione delle comunicazioni tra la Commissione, dotatasi di PEC ed il Tribunale del distretto per via telematica con accesso al sistema informatico della giustizia.
  In sede di risposta scritta all'interrogazione in Commissione Giustizia n. 5-06653 presentata dall'on. V. Camani il 14/10/2015, (pubblicata il 19/11/2015 ed allegata al bollettino), il Ministro della Giustizia Orlando ha riferito che è stato avviato un progetto innovativo finalizzato alla digitalizzazione dei flussi di comunicazione e di trasmissione con le Commissioni territoriali di informazioni e documenti già acquisiti nella fase amministrativa e che, con riferimento alle misure organizzative, il programmato ingresso di nuove risorse di personale amministrativo destinate agli uffici giudiziari (procedure relative al bando per mobilità di 1.031 posti – pubblicato nel novembre 2014 ed integrato nel 2015 – e ulteriori previsioni di assunzione di personale in mobilità provinciale contenute nelle leggi di stabilità 2015 e 2016) potrà costituire valido supporto alla più celere definizione anche dei procedimenti in discussione.
  La Commissione, nel corso delle audizioni e degli incontri svolti nel corso dei sopralluoghi, ha maturato il convincimento dell'opportunità di riflettere sulle possibili opzioni normative volte ad una semplificazione delle procedure, in funzione dell'innegabile esigenza di contenere la durata dei procedimenti giurisdizionali e consentire una risposta adeguata del sistema giustizia in tema di protezione internazionale.
  Al riguardo, occorre ricordare che l'articolo 46 della Direttiva comunitaria 2013/32/UE del 26/6/2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale prevede che gli ordinamenti interni dei Paesi dell'Unione europea assicurino al richiedente asilo il «diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice», senza però con ciò imporre l'obbligo di assicurare anche più gradi di giudizio, di merito e/o di legittimità.
  Va inoltre preso atto che il nostro Paese risulta essere l'unico Stato dell'Unione europea in cui, in materia di richiesta di asilo, sono previsti due gradi di giudizio di merito – primo grado ed appello – ed un terzo grado di giudizio di legittimità – ricorso per cassazione. La maggior parte degli altri Paesi assicura due gradi di giudizio di cui Pag. 100uno di merito ed un altro di controllo di legittimità. In alcuni Paesi il ricorso giurisdizionale avviene avanti al giudice amministrativo anziché all'autorità giudiziaria ordinaria e/o in unico grado.
  Debita attenzione va prestata, in questo ambito, alle peculiarità del procedimento giurisdizionale di primo grado in materia di protezione internazionale nell'ordinamento italiano.
  La fase giurisdizionale, nel nostro ordinamento, è preceduta da una fase amministrativa che, ferma la pacifica natura – appunto amministrativa – degli organi e del procedimento, si sostanzia in un procedimento «paragiurisdizionalizzato».
  In altre parole, il procedimento amministrativo è assistito da garanzie procedurali diverse ma assimilabili a quelle del procedimento avanti all'autorità giudiziaria, improntato alla più ampia tutela e garanzia dei diritti del richiedente asilo, sia sul piano della composizione, sia su quello dell'indipendenza di giudizio. Numerosi sono altresì gli istituti volti ad assicurare il pieno e libero esercizio del diritto alla difesa: possibilità di esporre personalmente le proprie ragioni nell'audizione avanti ad un componente della Commissione o, su sua richiesta, avanti all'intera Commissione, unitamente ad ampia possibilità di prova attraverso produzione di documenti, perizie e attività istruttoria orale, assistenza e rappresentanza da parte di un legale pure consentita, obbligo informativo previsto in ogni fase del procedimento amministrativo nei confronti del richiedente asilo nella lingua da lui conosciuta ed obbligatoria assistenza da parte di un interprete, obbligo di valutazione della situazione individuale del richiedente asilo unitamente alla situazione del Paese d'origine e di decisione motivata in fatto in diritto con indicazione degli elementi di valutazione e delle fonti di informazione, natura collegiale della decisione.
  A questa fase amministrativa segue una eventuale fase giurisdizionale in primo grado strutturata come un'impugnazione nel merito del provvedimento amministrativo di diniego con pieno effetto devolutivo prevedendosi la piena cognizione del giudice su tutto l'oggetto del procedimento amministrativo, con piena rivalutazione di ogni aspetto in fatto ed in diritto e con la possibilità di attivazione anche di poteri istruttori ufficiosi.
  Diversamente che per altri procedimenti in materia di status delle persone (procedimenti di separazione personale dei coniugi, di divorzio, di adozione, di dichiarazione di morte presunta, etc...), dunque, la domanda per il riconoscimento dello status non viene presentata per la prima volta all'autorità giudiziaria ma a quella amministrativa, sicché il giudizio di primo grado davanti all'Autorità Giudiziaria Ordinaria si struttura come un'impugnazione seppur con nuova piena rivalutazione da parte del giudice di tutto l'oggetto della domanda.
  Alla fase giurisdizionale di primo grado segue, poi, un'eventuale fase giurisdizionale d'appello che è strutturata esattamente come quella di primo grado, sostanziandosi in una impugnazione nel merito dell'ordinanza di rigetto del giudice di primo grado con pieno effetto devolutivo e piena cognizione del giudice d'appello sull'intero oggetto del giudizio, con possibilità di rinnovazione istruttoria. In buona sostanza, un giudizio d'appello che risulta essere per così dire Pag. 101fotocopia del giudizio di primo grado con l'unica differenza dell'attribuzione della decisione ad un giudice collegiale.
  Segue, quindi, l'eventuale fase del ricorso per cassazione che ha ad oggetto il controllo di legittimità della decisione impugnata.
  La Commissione ritiene dunque meritevole di riflessione ogni opzione volta a semplificare il procedimento descritto, riservandosi in merito anche di valutare le ipotesi – a certe condizioni – riferibili all'abolizione del grado di appello.
  Tale misura indubitabilmente consentirebbe una riduzione dei tempi della fase giurisdizionale, un alleggerimento del carico di lavoro sugli uffici giudiziari ed un parziale contenimento dell'onere finanziario connesso quantomeno alle spese del gratuito patrocinio.
  Ulteriore risultato prefigurabile sarebbe quello di un'uniformità di disciplina dei diversi procedimenti giurisdizionali in materia di immigrazione. Attualmente, infatti, sia il procedimento ex articolo 18 d.lgs. n. 150/2011 concernente l'impugnazione del decreto prefettizio di espulsione avanti al Giudice di Pace, sia quelli ex articolo 13 comma 5-bis e 14 d.lgs. n. 286/1998 concernenti rispettivamente la convalida del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio dello Stato e la convalida del provvedimento del questore di trattenimento dello straniero in un Centro di Identificazione ed Espulsione devoluti al giudice di pace che, infine, quello ex articolo 6 decreto legislativo n. 142/2015 di convalida del provvedimento del questore di trattenimento di un richiedente asilo in un Centro di Identificazione ed Espulsione attribuita, invece, alla competenza del Tribunale monocratico, si definiscono rispettivamente il primo con ordinanza e gli altri con decreto tutti inappellabili.
  Ovviamente una strada siffatta potrebbe essere percorsa solo ove fosse superato ogni dubbio circa la sussistenza di adeguate garanzie di tutela del richiedente asilo.
  Sul punto, si può però rilevare che, in primo luogo, i procedimenti in materia di immigrazione testé citati, investono tutti la libertà personale del soggetto, diritto soggettivo dell'individuo certo non inferiore per rango costituzionale al diritto di asilo oggetto dei procedimenti in materia di protezione internazionale.
  Attualmente, inoltre, tra la data della presentazione del ricorso giurisdizionale in primo grado e quella della decisione definitiva sullo stesso possono decorrere anche anni in cui il richiedente asilo rimane in una inaccettabile condizione di incertezza. Se con grande sforzo sarà riuscito medio tempore a trovare una qualche integrazione familiare, sociale e lavorativa, ancor più umanamente inaccettabile risulterà un'eventuale decisione negativa cui dovrebbe conseguirne l'espulsione.
  Un sistema giudiziario per potersi considerare funzionale ed efficiente deve essere in grado di assicurare una risposta alla domanda di giustizia in tempi ragionevoli.
  Vi è dunque da chiedersi se, allo stato attuale, il sistema italiano di asilo assicuri quel ricorso giurisdizionale effettivo imposto dalla Direttiva europea sopraesaminata o se, piuttosto, ritardata giustizia non equivalga a denegata giustizia.

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I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE ED IL SISTEMA DEI RIMPATRI

I PROVVEDIMENTI DI ALLONTANAMENTO DAL TERRITORIO NAZIONALE

Quadro di riferimento normativo

  Secondo la normativa vigente, uno straniero proveniente dalle frontiere esterne dello spazio Schengen, per entrare regolarmente in Italia, deve utilizzare un valico di frontiera ufficiale, essere munito di un passaporto in corso di validità o di un documento di viaggio equipollente e, nei casi previsti, essere in possesso di visto rilasciato dalle Autorità consolari italiane.
  La permanenza sul territorio, a sua volta, deve essere accompagnata da un titolo di soggiorno, che può essere concesso, nei casi più frequenti, per ragioni di studio, lavoro, cura o protezione internazionale.
  Ne consegue che tutti coloro che violano tali regole o ai quali non viene riconosciuta alcuna forma di status devono essere respinti o allontanati dallo Stato attraverso l'adozione di un provvedimento amministrativo – dei casi di espulsione decretata dall'Autorità giudiziaria, quale provvedimento connesso ad una condanna verrà fatto un cenno più avanti – che sarà ad intensità graduale crescente, in relazione al singolo caso.
  La legislazione in materia di rimpatrio degli stranieri, per la sua dimensione comunitaria, è ovviamente influenzata da decisioni di organismi sovranazionali, e politicamente risente di alcuni fattori contingenti quali l'allarme terroristico di matrice islamica e la necessità di fronteggiare le grandi migrazioni della nostra epoca.
  Le più recenti modifiche al decreto legislativo n. 286 del 1989, Testo Unico Immigrazione, apportate dal decreto legge numero 89 del 2011, ed adottate proprio come recepimento della Direttiva europea 2008/115/CE, vanno nella direzione di conferire strumenti più efficaci alle forze dell'ordine, prevedendo il potenziamento dei controlli alle frontiere, il rafforzamento del contrasto al reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e l'introduzione del reato di ingresso e di soggiorno illegale nel territorio dello Stato.
  La depenalizzazione di tale ultima fattispecie criminosa – sanzionata con una pena pecuniaria – è stata anche oggetto di animato dibattito politico nelle prime settimane del 2016, in quanto a fronte di una scarsa efficacia deterrente, ne è stata evidenziato l'effetto pregiudizievole sul funzionamento della macchina giudiziaria. Infatti l'apertura di migliaia di procedimenti penali, oltre ad intasare gli Uffici giudiziari più esposti, costituirebbe addirittura un ostacolo per le già complesse indagini sui trafficanti di esseri umani, in quanto costringe gli organi inquirenti ad assumere informazioni dai migranti con le garanzie di legge previste per gli indagati, in primis l'assistenza di un difensore.

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Il provvedimento di respingimento alla frontiera

  Il nostro ordinamento contempla due diversi provvedimenti di rimpatrio: il respingimento e l'espulsione, oltre a due ipotesi di espulsione giudiziaria quale misura alternativa alla detenzione ovvero come misura di sicurezza conseguente alla condanna per gravi reati, che però non sono presi in considerazione in questa sede in quanto non attinenti.
  Il respingimento è disciplinato dall'articolo 10 del testo unico sull'immigrazione, che radica la competenza in capo alla Polizia di frontiera o al questore.
  In particolare, una prima tipologia di provvedimento è adottato dalla «polizia di frontiera» a carico di quanti vengono controllati all'atto di entrare nel territorio dello Stato senza i prescritti requisiti.
  Destinatari del provvedimento possono essere anche coloro che risultano inseriti in banca dati come «inammissibili Schengen», ovvero siano considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia ha sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone, o ancora, risultino condannati, anche a seguito di patteggiamento, per i reati previsti dall'articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite ovvero per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo 3, capo 3, sezione 2, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alle tutela del diritto d'autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale, o, infine, risultino aver già soggiornato sul territorio Schengen, nel medesimo semestre, per un periodo massimo complessivo di 90 giorni (tale ipotesi si rileva solo nei casi di ingresso di breve durata).
  Il respingimento alla frontiera non pone particolari problemi di esecuzione, anche perché, a mente del comma 3 dell'articolo 10, il vettore che ha condotto alla frontiera uno straniero privo dei documenti, o che deve essere comunque respinto, è tenuto a prenderlo immediatamente a carico ed a ricondurlo nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso dello straniero.
  Tale disposizione si applica anche quando l'ingresso è negato allo straniero in transito, qualora il vettore che avrebbe dovuto trasportarlo nel Paese di destinazione rifiuti di imbarcarlo o le autorità dello Stato di destinazione gli abbiano negato l'ingresso o lo abbiano rinviato nello Stato.
  Proprio per questo, secondo le statistiche acquisite dalla Commissione a seguito di apposita richiesta alla Direzione Centrale della Polizia dell'Immigrazione e delle Frontiere, i respingimenti alla frontiera – pari nel 2014 a 7.573 e nel 2015 a 8.736 – costituiscono, normalmente, oltre la metà di tutti i provvedimenti di rimpatrio effettivamente eseguiti.

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Il cd. respingimento «differito»

  La seconda tipologia di respingimento previsto dall'articolo 10 del testo unico sull'immigrazione, detto «differito», o con accompagnamento alla frontiera, è quello adottato dal questore nei confronti dello straniero che ha già attraversato il confine, sottraendosi ai controlli di frontiera, ed è stato fermato all'ingresso o subito dopo, ovvero, nei confronti di chi è stato temporaneamente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soccorso. In questa seconda ipotesi viene in rilievo il diritto alla salute come diritto fondamentale della persona.
  Va da sé che i presupposti del respingimento differito sono quelli propri degli attuali fenomeni migratori di massa, gestiti attraverso un complesso sistema di soccorso in mare, messo in campo a seguito di immani tragedie, come quella del 3 ottobre 2013 che, al largo di Lampedusa, costò la vita ad oltre 300 migranti.
  L'esecuzione del respingimento del questore dovrebbe avvenire o mediante accompagnamento alla frontiera ovvero, nei casi in cui non è possibile eseguirlo con immediatezza, per la presenza di una situazione transitoria che ostacola la preparazione del rimpatrio, mediante trattenimento in un CIE.
  La Commissione, nel corso della sua istruttoria svolta nel periodo di riferimento della presente relazione (marzo 2015/gennaio 2016) ha preso atto che nella pratica, considerata la assai limitata disponibilità di posti nei CIE e l'oggettiva impossibilità di procedere al rimpatrio effettivo dei cittadini di Paesi con i quali non sono stati sottoscritti accordi di riammissione, la casistica più ricorrente è quella di adottare il provvedimento con intimazione a lasciare il territorio entro sette giorni.
  È evidente che la prassi appena descritta determina l'aberrante conseguenza di creare una massa enorme di irregolari, privi di qualunque forma di assistenza, che si trovano, in molti casi, nella effettiva impossibilità di ottemperare al provvedimento e che lo Stato non è in grado di espellere materialmente.
  Emblematico, in tal senso, il caso di Agrigento, dove secondo quanto riferito dalla competente questura, a partire dal 28 settembre 2015 – data di apertura dell’hotspot – e sino al 29 gennaio 2016 sono stati adottati 1.426 provvedimenti di respingimento, di cui solo 311 con trattenimento presso i CIE e ben 1.115 con intimazione.
  Dall'analisi di alcuni decreti di respingimento in possesso della Commissione sembrerebbe emergere l'adozione di provvedimenti standardizzati, privi, in alcuni casi (cfr. atti della Questura di Taranto acquisiti a margine della missione al CIE di Bari) della necessaria traduzione in una lingua conosciuta allo straniero, e quindi, inevitabilmente dichiarati illegittimi.
  Al riguardo, la Commissione si è anche riservata di svolgere uno specifico accertamento per verificare se in quel caso o in casi analoghi le Autorità preposte abbiano effettivamente conformato il loro operato al principio secondo cui il nostro ordinamento assicura a chiunque la possibilità di accedere alle procedure di protezione internazionale. Il ricorso indiscriminato al respingimento nei confronti di alcune etnie ritenute provenienti da una lista di Paesi sicuri nel nostro ordinamento Pag. 105non trova alcun riconoscimento giuridico, dovendosi sempre procedere ad analizzare le posizioni caso per caso.
  La Commissione ritiene meritevole di attenzione anche un'ulteriore problematica, di ordine giuridico, relativa al rapporto tra l'istituto del respingimento eseguito con accompagnamento alla frontiera e la mancata previsione dell'obbligo di convalida da parte dell'Autorità Giudiziaria, come previsto, invece, nell'esecuzione dell'espulsione.
  Sul punto, occorre ricordare che l'articolo 13 della Costituzione pone una riserva di giurisdizione da cui discende che ogni provvedimento che limita la libertà personale possa essere adottato dalla Polizia Giudiziaria in circostanze eccezionali, prima che sia disposto dall'Autorità Giudiziaria, ma va sempre convalidato dal magistrato entro termini perentori. Il respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, costituisce, in effetti, un provvedimento limitativo della libertà personale che, per alcuni versi, ricade innegabilmente nel campo di applicazione dell'articolo 13 della Costituzione e che quindi non dovrebbe essere sottratto al controllo dell'Autorità Giudiziaria.
  A mitigare questa difficile conciliabilità tra l'istituto giuridico in commento e la disciplina costituzionale intervengono comunque alcune esplicite limitazione all'esecutività del provvedimento di respingimento, che non può avere luogo:
   se sono state adottate misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie;
   nel caso in cui lo straniero chieda asilo, il riconoscimento dello status di rifugiato o l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari;
   se lo straniero corre il rischio di essere perseguitato, nel Paese di provenienza, per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali, o se rischia di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione;
   qualora lo straniero abbia un permesso di soggiorno o un visto di rientro emesso da un altro Paese dell'area Schengen;
   nel caso in cui sia destinatario di una misura cautelare o di una sentenza penale di condanna esecutiva emesse dall'autorità giudiziaria.

  In definitiva, il respingimento è considerato uno strumento semplificato, a disposizione delle Autorità di polizia preposte al controllo degli ingressi e del soggiorno degli stranieri, che a differenza dell'espulsione è soggetto alla registrazione solo da parte del questore (e non nel Sistema di Informazione Schengen che invece impedisce allo straniero espulso di rientrare non solo nel territorio italiano, ma anche di un altro Stato aderente all'Accordo Schengen).

I provvedimenti di espulsione

  Benché i provvedimenti di respingimento, in particolare quelli «differiti», abbiano assunto rilievo e proporzioni numeriche importanti Pag. 106con le attuali caratteristiche migratorie, lo strumento fondamentale in tema di rimpatri rimane il provvedimento di espulsione, soggetto ad una ben più rigorosa procedura di adozione e tutela giurisdizionale.
  Anche con riguardo all'espulsione, la Direttiva 2008/115/CE ha fornito alcune indicazioni tese ad armonizzare le legislazioni dell'area Schengen, prevedendo, tra l'altro, l'obbligo di una ponderata valutazione del singolo caso nonché la gradualità del provvedimento, manifestando preferenza per la concessione all'interessato di un termine (tra i 7 e i 30 giorni) per l'espatrio volontario rispetto all'esecuzione forzata.
  È stato inoltre ribadito il valore del principio del non-refoulement sancito dall'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, secondo cui «nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche». È possibile derogare a tale principio solo nel caso in cui, sulla base di seri motivi, un rifugiato venga considerato un pericolo per la sicurezza del Paese in cui risiede o una minaccia per la collettività. Tale principio costituisce parte integrante del diritto internazionale dei diritti umani ed è un principio di diritto internazionale consuetudinario.
  La prima e più grave ipotesi di espulsione amministrativa, seppur di limitata applicazione, è quella che può adottare il Ministro dell'Interno, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo 286/1998, nei confronti dello straniero, anche non residente nel territorio dello Stato, che rappresenti una minaccia per la sicurezza dello Stato o nei cui confronti vi siano fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali.
  L'esecuzione del provvedimento è affidata al questore competente per territorio, che può provvedervi o mediante accompagnamento immediato alla frontiera – previa convalida del giudice di pace (se riguarda uno straniero sottoposto ad un procedimento penale è altresì richiesto il nulla osta dell'autorità giudiziaria procedente) – o mediante trattenimento presso un CIE.
  Ben più ricorrente è ovviamente la casistica dell'espulsione adottata dal prefetto territorialmente competente, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 286/1998, nei confronti dello straniero che non ha titolo a soggiornare sul territorio nazionale. È infatti questo il caso di chi si sia sottratto ai controlli di frontiera senza essere respinto, non abbia dichiarato la sua presenza in Italia o non abbia chiesto il permesso di soggiorno entro 8 giorni dall'ingresso in Italia, abbia subito la revoca o l'annullamento del permesso di soggiorno, ovvero il citato titolo gli sia stato rifiutato, non abbia chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno entro 60 giorni dalla sua scadenza o, infine, sia socialmente pericoloso.
  Al riguardo, la norma non prevede l'obbligo di comunicare all'interessato l'avvio del procedimento, ma impone, comunque, rigorose garanzie come l'adeguata motivazione, l'indicazione delle modalità di impugnazione, anche attraverso il ricorso al gratuito patrocinio Pag. 107a spese dello Stato, la traduzione in una lingua comprensibile allo straniero.
  Oltre all'obbligo per lo straniero di lasciare il territorio nazionale, l'espulsione comporta – a differenza del provvedimento di respingimento – la segnalazione dello straniero nel Sistema Informativo Schengen ed il divieto di reingresso nel territorio nazionale senza l'autorizzazione del Ministro dell'Interno, per un periodo di regola non inferiore a tre anni e non superiore a cinque.
  Anche in questo caso l'esecuzione del provvedimento può avvenire attraverso diverse modalità, che dovranno essere scelte in base al caso concreto.
  Qualora non comprometta l'effettività dell'espulsione, una prima ipotesi è quella della partenza volontaria, entro un termine fissato nello stesso provvedimento di espulsione.
  Si dovrà procedere, invece, al rimpatrio immediato ogni qual volta sussista il rischio di fuga dello straniero, la sua domanda di soggiorno sia stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta, ovvero l'interessato costituisca un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
  In questi casi, qualora non sia possibile l'accompagnamento immediato alla frontiera, il questore valuterà o l'adozione di misure limitative (consegna del passaporto e obbligo di dimora o di presentazione presso un ufficio della forza pubblica) o il trattenimento in un CIE fino ad un massimo di 3 mesi.
  In realtà anche nel caso del provvedimento di espulsione, la Commissione ha potuto verificare, attraverso i dati acquisiti – e confermati nel corso dell'audizione del 20 gennaio 2016 del Capo della Polizia, Alessandro Pansa –, un'evidente differenza tra provvedimenti adottati e quelli effettivamente eseguiti.
  Ai sensi dell'articolo 14 comma 5-bis del testo unico sull'immigrazione, infatti, allo straniero che non può essere collocato in un CIE per l'indisponibilità di posti ovvero a chi non può essere rimpatriato alla scadenza dei termini massimi di trattenimento, viene notificato l'ordine del questore, ossia una ulteriore intimazione a lasciare il territorio entro 7 giorni.
  L'inottemperanza al provvedimento, in passato, era addirittura punita con la reclusione fino a 4 anni ma, a seguito del recepimento della Direttiva 2008/115/CE e della pronuncia della Corte di Giustizia europea del 28 aprile 2011 (Corte di Giustizia europea, prima sezione, sentenza 28 aprile 2011, caso El Dridi/Italia), la pena detentiva è stata sostituita con quella pecuniaria.
  Al riguardo, va anche evidenziato che la Cassazione (sezione I penale, sentenza 18 settembre 2006, n. 30774) ha precisato che l'inottemperanza all'ordine del questore non integra la violazione ogni qual volta la condizione di assoluta impossidenza dello straniero non gli consente di recarsi nel termine assegnato presso il valico di frontiera e di acquistare il biglietto di viaggio.
  Al fine di ovviare a tale situazione di impossidenza e consentire allo straniero di ottemperare al citato provvedimento, il legislatore nazionale ha previsto che l'ordine questorile possa essere accompagnato dalla consegna all'interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Pag. 108Paese in Italia, anche se onoraria, nonché per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza, compreso il titolo di viaggio (articolo 14, comma 5-ter, ultimo periodo, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni).

Il sistema delle tutele

  La disciplina dei respingimenti risultante dal d.lgs. n. 286 del 1998 (artt. 10 e 19), diversamente da quanto previsto per il provvedimento di espulsione, non individua il giudice davanti al quale lo straniero può invocare la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
  La Commissione ha preso atto della pregressa situazione di notevole incertezza giurisprudenziale, i cui effetti sono però ancora visibili in alcune circostanze.
  Al riguardo, si era infatti affermato un primo orientamento secondo cui l'impugnazione dell'atto di respingimento adottato dal questore andava proposta avanti al giudice amministrativo in ragione della sua natura di atto autoritativo, che lo ricondurrebbe naturaliter nella giurisdizione generale di legittimità ai sensi del comma primo dell'articolo 103 della Costituzione.
  Secondo altro orientamento, invece, le controversie relative ai respingimenti dovevano ritenersi devolute al giudice ordinario avendo una omogeneità contenutistica e funzionale con i provvedimenti di espulsione, rispetto ai quali si pongono in un rapporto di species a genus sì da ritenersi applicabile anche a queste l'articolo 13 del testo unico sull'immigrazione.
  Quest'ultimo filone giurisprudenziale ha trovato accoglimento nella pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite che, con sentenza n. 15115 del 17 giugno 2013 ha definitivamente stabilito che deve «darsi atto che il provvedimento del questore diretto al respingimento incide su situazioni soggettive aventi consistenza di diritto soggettivo: l'atto è infatti correlato all'accertamento positivo di circostanze-presupposti di fatto esaustivamente individuate dalla legge (d.lgs. n. 286 del 1998, articolo 10, comma 2, lett. a) e b)) ed all'accertamento negativo della insussistenza dei presupposti per l'applicazione dalle disposizioni vigenti che disciplinano la protezione internazionale nelle sue forme del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ovvero che impongono l'adozione di misure di protezione solo temporanea per motivi umanitari (d.lgs. n. 286 del 1998, articolo 10, comma 2 e articolo 19, comma 1). E pertanto, in mancanza di norma derogatrice che assegni al giudice amministrativo la cognizione della impugnazione dei respingimenti, deve trovare applicazione il criterio generale secondo cui la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi, proprio in ragione della inesistenza di margini di ponderazione di interessi in gioco da parte della Amministrazione, spetta al giudice ordinario».
  La Corte ha, peraltro, ritenuto che poiché ai respingimenti non può essere applicata analogicamente la speciale competenza del giudice di pace prevista dal d.lgs. n. 286 del 1998, articolo 13, comma 8, per l'impugnazione dei provvedimenti di espulsione, le impugnazioni Pag. 109relative debbano essere devolute al Tribunale monocratico territorialmente competente in base alla generale e residuale attribuzione di competenza di cui all'articolo 9 c.p.c.
  Quanto ai provvedimenti di espulsione, per espressa previsione dell'articolo 13, comma 11 del decreto legislativo n. 286/98, l'impugnazione del decreto ministeriale di espulsione di cui al comma primo, va proposta avanti al giudice amministrativo.
  Pur essendo evidente la diversa natura dei due atti autoritativi, non può qui non evidenziarsi la palese disparità di trattamento dello straniero destinatario di provvedimento ministeriale di espulsione rispetto a colui che, invece, lo sia di decreto prefettizio di espulsione che, come meglio si dirà di seguito, ha diritto, invece, di adire in sede di impugnazione l'Autorità Giudiziaria Ordinaria.
  L'impugnazione avverso il decreto prefettizio di espulsione va infatti proposta, a norma dell'articolo 13 d.lgs. n. 286/98, avanti all'autorità giudiziaria ordinaria secondo la disciplina di cui all'articolo 18 d.lgs. n. 150/2011 espressamente ivi richiamato.
  Il ricorso va presentato entro trenta giorni dalla notifica del provvedimento, ovvero sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero, innanzi al giudice di pace del luogo in cui ha sede l'autorità che ha disposto l'espulsione e la controversia è regolata dal rito sommario di cognizione (articolo 702-bis c.p.c.).
  Lo straniero deve essere assistito da un difensore ed è sempre ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Se necessario, ha diritto ad un interprete.
  Il procedimento deve essere definito nel termine di venti giorni dal deposito del ricorso e si conclude con un'ordinanza non appellabile ma unicamente soggetta a ricorso per cassazione.

I CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE

Il quadro normativo di riferimento

  Nella legislazione comunitaria, il rimpatrio è definito come il processo di ritorno di un cittadino di un Paese terzo, in adempimento volontario di un obbligo di rimpatrio (cosiddetta esecuzione differita) o forzatamente (cosiddetta esecuzione immediata), nel proprio Paese di origine o in un altro Stato.
  La fase della talvolta complessa procedura di rimpatrio più discussa è costituita, sicuramente, dal trattenimento presso i CIE, in quanto comporta una restrizione della libertà personale del soggetto, che, oltretutto, non si traduce necessariamente nell'effettivo allontanamento dal territorio nazionale.
  Il trattenimento nel CIE, disciplinato dall'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni, è una misura che deve essere adottata qualora misure meno coercitive (quali ad esempio il rimpatrio volontario, il ritiro del passaporto, l'obbligo di dimora ecc..) non siano state sufficienti, ed in particolare in due specifici casi:
   quando sussiste il rischio di fuga;Pag. 110
   quando lo straniero evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o dell'allontanamento.

  Il procedimento di trattenimento nel CIE prevede una fase di controllo giurisdizionale, che è stata oggetto di specifica attenzione da parte della Commissione.
  In particolare, la normativa vigente prevede che il questore del luogo in cui si trova il centro trasmetta copia degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida, senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dall'adozione del provvedimento.
  L'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L'interessato, tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l'udienza, ha diritto ad essere sentito se ne faccia richiesta. Ha diritto, altresì, ad essere assistito da un difensore che, se necessario, gli viene nominato nonché all'assistenza, se del caso, di un interprete ed è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato.
  Il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive. In difetto, il provvedimento di trattenimento perde efficacia (articolo 14 comma 4 d.lgs. n. 286/98).
  Il decreto che definisce il procedimento è ricorribile per cassazione ma la proposizione del ricorso non sospende l'esecuzione dell'espulsione (articolo 14 comma 4).
  La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di complessivi trenta giorni. Se il questore esegue l'espulsione o il respingimento prima di tale termine ne da comunicazione senza ritardo al giudice.
  Qualora, invece, l'accertamento dell'identità e della nazionalità ovvero l'acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni.
  Qualora siano emersi elementi concreti che consentano di ritenere probabile l'identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio, il questore può chiedere al giudice di pace un'ulteriore proroga. In ogni caso il periodo massimo di trattenimento dello straniero all'interno del centro di identificazione e di espulsione non può essere superiore a novanta giorni.
  Uno degli aspetti problematici che hanno caratterizzato l'operatività dei CIE ha riguardato – e riguarda tuttora – la problematica concernente i tempi di identificazione di coloro che siano già stati trattenuti presso le strutture carcerarie, atteso che in quella fase ben poteva essere svolto e completato l’iter.
  Con le più recenti modifiche legislative è adesso stabilito comunque che chi sia stato detenuto per un periodo pari a novanta giorni, possa essere trattenuto presso il centro per un periodo massimo di trenta giorni. Ciò in quanto, come affermato dal Direttore Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, prefetto Giovanni Pinto, nel corso della sua audizione del 29 ottobre 2015, la direzione della struttura penitenziaria è adesso tenuta ad attivarsi presso il questore del luogo per ricevere le informazioni sull'identità e sulla nazionalità dello stesso e, da parte sua, il questore deve avviare la procedura di identificazione interessando le competenti autorità diplomatiche. Ai Pag. 111soli fini dell'identificazione, l'autorità giudiziaria, su richiesta del questore, dispone la traduzione del detenuto presso il più vicino posto di polizia per il tempo strettamente necessario al compimento di tali operazioni. A tal fine il Ministro dell'Interno e il Ministro della Giustizia adottano i necessari strumenti di coordinamento (articolo 14, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni).
  Se non esistono più ragionevoli prospettive di rimpatrio, il trattenimento non è più giustificato e la persona deve essere rilasciata.
  Ipotesi particolari di trattenimento presso i CIE del richiedente asilo sono previste dall'articolo 6 d.lgs. n. 142/2015 che, avvalendosi di alcune facoltà di trattenimento consentite agli Stati membri in determinati casi dalla Direttiva UE c.d. Direttiva Rimpatri, ha abrogato la precedente disciplina dettata dall'articolo 21 d.lgs. n. 25/2008.
  Da un lato, si ribadisce il principio che il richiedente asilo non può essere trattenuto al solo fine dell'esame della domanda di protezione internazionale, dall'altro si prevedono, in via eccezionale, ipotesi di trattenimento facoltativo nei confronti del richiedente asilo che abbia commesso gravi reati previsti dalla Convenzione di Ginevra (crimini contro l'umanità, azioni contrarie ai principi delle Nazioni Unite, gravi reati di diritto comune), che costituisca pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica, o sia sospettato di operare con organizzazioni terroristiche o si trovi nelle condizioni di pericolosità sociale legittimanti l'applicazione di misure di prevenzione. Nella valutazione della pericolosità sociale si tiene conto anche di eventuali condanne per gravi reati.
  Può essere disposto il trattenimento anche nei confronti del richiedente asilo a rischio di fuga, tale dovendosi ritenere colui che abbia fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non abbia ottemperato ad un precedente provvedimento di espulsione, o ordine di allontanamento o divieto di reingresso o si sia allontanato da un CIE.
  Ulteriore ipotesi riguarda lo straniero che, all'atto della presentazione della domanda di protezione, era già trattenuto in un CIE ai fini dell'esecuzione dell'espulsione o del respingimento, quando vi è motivo di ritenere che la domanda sia presentata al solo scopo di impedire l'esecuzione di detti provvedimenti.
  Il trattenimento del richiedente asilo o la proroga sono disposti dal questore con provvedimento scritto e motivato soggetto a convalida da parte del Tribunale in composizione monocratica (non del giudice di pace come per i corrispondenti provvedimenti adottati nei confronti di stranieri non richiedenti asilo). Per il relativo giudizio viene richiamato l'articolo 14 d.lgs. n. 286/98, comprese le misure alternative di cui al comma 1-bis del medesimo articolo 14. Si deve, pertanto, ritenere, conformemente a quanto previsto dall'articolo 8 della Direttiva UE c.d. Rimpatri, che il trattenimento di un richiedente asilo presso un CIE costituisca l'extrema ratio dovendosi privilegiare, ove possibile, l'applicazione delle misure anzidette dell'obbligo di dimora o di presentazione alla Polizia Giudiziaria.Pag. 112
  Il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all'esame della domanda che avviene con procedura accelerata ed eventuali ritardi nell'espletamento delle procedure amministrative preordinate all'esame della domanda, non imputabili al richiedente, non possono giustificarne il protrarsi.
  Quando il trattenimento è già in corso al momento della presentazione della domanda, il questore ne deve chiedere al Tribunale la proroga per ulteriori sessanta giorni per consentire l'esame della domanda.
  Nell'ipotesi di ricorso giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della Commissione territoriale, il richiedente asilo può essere trattenuto per tutto il tempo in cui ha diritto a rimanere sul territorio nazionale in conseguenza del ricorso presentato. In tali casi, il questore chiede la proroga del trattenimento in corso per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni di volta in volta prorogabili da parte del tribunale in composizione monocratica.
  In ogni caso il periodo complessivo di trattenimento non può superare i dodici mesi.
  La Commissione ritiene opportuno riservarsi di approfondire la questione concernente la piena compatibilità della nuova disciplina del trattenimento del richiedente asilo e la normativa costituzionale.
  In primo luogo, occorre valutare la legittima differenziazione dei termini di trattenimento, essendo evidente la sproporzione tra il periodo massimo di durata del trattenimento consentito, seppur in ipotesi particolari, per il richiedente asilo – dodici mesi – rispetto a quello previsto per gli altri stranieri espellendi di gran lunga minore – trenta giorni prorogabile per due volte per non più di novanta giorni complessivi ex articolo 14, comma 5 d.lgs. n. 286/98 come modificato dall'articolo 3 legge n. 161/2014. Tale disparità di trattamento va quindi parametrata al principio di uguaglianza e al disposto normativo della Direttiva 2013/33/UE c.d. Rimpatri, che prevede che il richiedente asilo «sia trattenuto per un periodo il più breve possibile».
  Un ulteriore elemento di perplessità di ordine costituzionale discende dal raffronto tra le esigenze di tutela del diritto di difesa e la previsione che consente il trattenimento del richiedente asilo per tutto il tempo in cui è autorizzato a permanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale presentato, costituendo evidente disincentivo alla richiesta di tutela giurisdizionale e dunque una possibile lesione al principio indicato nella Direttiva europea c.d. Rimpatri secondo cui deve essere garantita l'effettività del diritto a ricorrere all'autorità giudiziaria.

Il ricorso al trattenimento nei CIE

  Pur essendo nella vigente legislazione il trattenimento l’extrema ratio, è noto che la disponibilità di posti all'interno dei Centri di Identificazione ed Espulsione è assolutamente insufficiente a soddisfare Pag. 113le richieste teoricamente connesse all'adozione dei provvedimenti di rimpatrio.
  La Commissione si è posta l'interrogativo se, anche in presenza dei presupposti di legge, l'effettiva restrizione all'interno di un CIE, con evidenti ricadute sullo status del soggetto, dipenda talvolta dal criterio meramente casuale della disponibilità di posti.
  Ciò significherebbe che il sistema, oltre che inefficiente, potrebbe rivelarsi anche iniquo, in quanto, come affermato dal Direttore Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, prefetto Giovanni Pinto, nel corso della sua audizione del 29 ottobre 2015, «in assenza di tali strutture, ovviamente, il numero dei rimpatri si riduce drasticamente».
  Al riguardo, però, è opportuno evidenziare alcuni tentativi di porre rimedio ai rischi del sistema.
  In primo luogo va precisato che il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha previsto che l'assegnazione dei posti CIE avvenga esclusivamente a cura del Servizio Immigrazione della Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, che riscontra una formale richiesta avanzata dall'ufficio di polizia incaricato di eseguire l'allontanamento dello straniero irregolare.
  Con circolare n. 13622 del 28 dicembre 2012, confermata dalla n. 26419 del 12 agosto 2013, la Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera ha, quindi, predisposto uno specifico modulo per la «richiesta assegnazioni posti presso CIE nazionali» finalizzato ad acquisire una serie di informazioni sullo straniero da trattenere, cercando di privilegiare, nell'assegnazione dei posti, quelle richieste che hanno maggiori possibilità di sfociare in un effettivo esodo dal territorio nazionale.
  In particolare, nella citata direttiva si chiede di specificare se il soggetto è identificato, se è in possesso di documenti e se si tratti di un richiedente asilo.
  Nell'ottica di dare priorità alla collocazione dei soggetti pericolosi, le ulteriori informazioni richieste riguardano i precedenti penali e di polizia e se trattasi di uno scarcerando.
  Che quello appena descritto sia un tentativo di assegnare i posti nei CIE in maniera «ragionata» e non del tutto asettica, è stato confermato dal Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, nel corso della sua audizione il 20 gennaio 2016: «non viene naturale portare nei CIE il cinese o il senegalese o il bengalese che sai già di non poter rimpatriare, quindi adotti direttamente il provvedimento di espulsione. Questo accade sia perché non ci sono i posti sufficienti nei CIE sia perché diventa una sorta di lavoro inutile, per cui lasciamo stare il trattenimento quando è inutile».
  Sul punto, anche il prefetto Giovanni Pinto, nella citata audizione del 29 ottobre 2015, ha confermato che «abbiamo fornito massima attenzione agli stranieri detenuti che hanno commesso dei reati e, quindi, hanno avuto una condotta negativa nei confronti di cittadini italiani o di altri stranieri, macchiandosi di reati talvolta anche odiosi. Noi cerchiamo, d'intesa con l'autorità giudiziaria e col sistema che abbiamo descritto, di rimpatriare questi soggetti sistematicamente.
  Ancora, il Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, nel corso della sua audizione il 20 gennaio 2016 ha comunicato alcuni dati Pag. 114relativi alla permanenza nei CIE: «nei CIE la permanenza media nel 2015 è stata di 25,5 giorni ed ha riguardato circa 5.000 persone, sebbene ...il diretto trasferimento dagli hotspot ai CIE dovrebbe essere la norma, cioè, nel momento in cui nell’hotspot hai portato a termine le varie procedure, o il respingimento o l'espulsione dovrebbero essere conclusi, per cui, se il soggetto non ha documento e non può essere imbarcato direttamente, dovrebbe andare in un CIE. È chiaro che anche questo non è fattibile perché i numeri sono sempre quelli che sono e le nazionalità sono sempre quelle che sono, quindi noi anche in quel caso poi avremo il problema».

I sopralluoghi al CIE di Roma e di Bari

  Per il presente ambito di indagine, oltre alle audizioni funzionali a comprendere i meccanismi di funzionamento dei CIE, particolare importanza hanno avuto i due sopralluoghi effettuati da delegazioni della Commissione, presso le strutture del CIE di Ponte Galeria, a Roma, e del CIE di Bari Palese, che hanno permesso di confermare l'assimilabilità delle strutture di detenzione amministrativa a quelle carcerarie, senza però alcune delle garanzie riconosciute negli istituti di pena.
  Il primo sopralluogo è stato eseguito il 26 ottobre 2015 presso il CIE di Ponte Galeria, a Roma.
  La struttura, che in quel momento ospitava 127 persone (72 uomini e 55 donne), è risultata gestita da un Raggruppamento Temporaneo d'Imprese composta dalla società francese GEPSA e dall'associazione Acuarinto di Agrigento, che ha sostituito la cooperativa Auxilium dal 14 dicembre 2014, due anni dopo la scadenza del contratto con la Prefettura di Roma.
  Nel 2012, infatti, non era ancora terminata la gara per l'assegnazione del nuovo appalto. In questo passaggio è stata quasi dimezzata la cifra quotidiana disponibile per ogni trattenuto: da 41 a 28,8 euro al giorno.
  L'ente gestore ha evidenziato, in relazione allo scarso utilizzo della struttura ed alle tariffe pro capite/pro die, le difficoltà di sostenibilità economica dell'appalto, circostanza che certo non offre garanzie circa l'erogazione di servizio con standard qualitativi adeguati a garantire il rispetto della dignità delle persone straniere, ospitate nei Centri di Identificazione ed Espulsione.
  Dal preliminare colloquio con i rappresentati della Prefettura, della Questura e dell'ente gestore è emerso che il dato degli ospiti, per lo più provenienti da istituti penitenziari, è in continuo aggiornamento, in relazione agli esiti delle udienze di convalida, che hanno luogo direttamente presso il centro.
  Sul punto è stato anche precisato che il termine massimo di permanenza di 90 giorni, previsto per gli scarcerati, secondo un'interpretazione controversa, sarebbe applicabile solo a coloro che transitano direttamente dal carcere al CIE e non anche quando vi è soluzione di continuità tra le due forme di detenzione.
  In sede di sopralluogo, la delegazione della Commissione ha potuto acquisire informazioni sulle prassi vigenti all'interno del Pag. 115centro, con particolare riguardo ai servizi erogati ed agli aspetti gestionali.
  In particolare, quanto ai servizi offerti a coloro che sono trattenuti nel CIE, si è appreso che non risultava ancora operativo alcun protocollo d'intesa con il Servizio Sanitario Nazionale, perdurando – come specificato dal rappresentante della Prefettura – la problematica circa il luogo ove espletare la prestazione medica (nel CIE – come richiesto dalla Questura – o presso le ASL). Il rappresentante della Prefettura ha assicurato la rapida soluzione della problematica (il protocollo di intesa tra la Prefettura e la ASL Roma D è stato poi sottoscritto il 12 novembre 2015). Inoltre, in attuazione al Regolamento unico sui CIE, all'interno del centro sono ammessi libri, ma si è rilevato che non è invece consentito il possesso di penne o matite. Al riguardo, il funzionario della Prefettura si impegnava però – su richiesta della delegazione – a indurre l'ente gestore a ripristinare la precedente prassi di fornire agli ospiti pennarelli con punte rotonde.
  Secondo quanto rilevato in loco, l'assistenza legale era svolta da due operatori con contratto di collaborazione e non aventi la qualifica di avvocato, e comunque solo come informativa generale all'atto dell'ingresso sul regolamento interno ed un colloquio individuale prima dell'udienza di convalida, al fine di informare della possibilità di formulare la richiesta di asilo, mentre non verrebbe dato alcun ragguaglio sulla possibilità di rimpatrio assistito, stante l'inefficacia di tale meccanismo.
  Per il patrocinio legale risulta invece che gli ospiti si rivolgono ad avvocati segnalati in via informale, atteso che l'Ordine professionale di Roma non ha una sezione dell'elenco specializzata nel settore e, di fatto, sono sempre gli stessi 4/5 nominativi.
  Quanto invece agli aspetti gestionali, i rappresentanti di GEPSA ed Acuarinto segnalavano che il perdurare delle presenze sistematicamente inferiori alla capienza potenziale del centro non garantiva alcun margine di guadagno.
  Al riguardo, è emersa anche una divergenza con la Prefettura che pretenderebbe di calibrare il numero degli operatori alla capienza teorica e non alle presenze effettive. L'erogazione del pocket money avviene regolarmente ogni due giorni sotto forma di sigarette, ricariche telefoniche o altri beni su richiesta, per un prezzo equivalente a quello maturato (2,50 euro al giorno).
  All'atto della visita il centro si presentava in condizioni abbastanza fatiscenti e la delegazione ha preso atto che nel corso del 2105 non aveva ricevuto significativi interventi di tipo strutturale.
  Il CIE è suddiviso in tre aree: la prima è dedicata all'erogazione dei servizi per le persone trattenute mentre le altre due sono rispettivamente il reparto maschile e quello femminile. Le zone di trattenimento sono composte di stanze da letto da tre o sei posti in cui c’è il bagno. Ognuna di queste affaccia su uno spazio in cemento recintato da sbarre molto solide, molto alte e molto ravvicinate.
  Nel corso delle visita sono emerse alcune criticità tipiche delle strutture di trattenimento: spazi angusti e inospitali, molto umidi e con problemi di riscaldamento sia dell'ambiente che dell'acqua. Si tratta purtroppo di una struttura che presenta molte affinità con gli Pag. 116altri centri di identificazione presenti in Italia per la presenza della recinzione e per la somiglianza con il carcere.
  La popolazione del centro al momento era composta soprattutto da ex detenuti e da persone appena giunte in Italia via mare. La delegazione procedeva, quindi, a svolgere dei colloqui con alcuni ospiti, selezionati anche in base alla peculiarità della loro situazione personale.
  In particolare, ha incontrato un cittadino pakistano trattenuto a seguito di un ordine di espulsione ministeriale per sospetta appartenenza a organizzazioni jihadiste, non eseguito perché l'interessato ha chiesto asilo politico il medesimo giorno della notifica dell'espulsione; una donna ucraina, che ha riferito di essere in Italia da molti anni, e di non essere riuscita a rinnovare il permesso di soggiorno a causa di mancanza di lavoro; un uomo di 29 anni, proveniente dal Senegal e trasferito nel CIE, dopo un periodo di detenzione di un anno; una donna di etnia rom che affermava di essere in Italia da 35 anni e di non voler tornare nel suo Paese di origine (Kosovo o comunque una zona della ex Jugoslavia adesso – a suo dire – del tutto controllata da albanesi), dove non aveva più nessun legame.
  La delegazione ha infine avuto modo di incontrare alcune figure che operano a supporto degli ospiti, tra cui l'assistente sociale e una suora responsabile del settore «tratta donne e minori» dell'USMI (Unione Superiori Maggiori Italiane), da anni impegnata nel servizio di assistenza spirituale alle donne straniere detenute a Ponte Galeria e nel favorire il processo di rimpatrio di persone in particolari situazioni.
  Risulta altresì che il CIE di Ponte Galeria, a differenza di altri centri, mantiene una collaborazione intensa ed efficace con alcune delle associazioni attive a livello locale e nazionale (A Buon Diritto Onlus, Differenza Donna, il Garante dei diritti dei detenuti, Be Free, il Centro Astalli, la Comunità di Sant'Egidio, le Suore USMI e la Caritas di Civitavecchia).
  Il secondo sopralluogo è stato eseguito il 10 dicembre 2015 presso il CIE di Bari Palese, struttura, operativa dal 2006, gestita dalla Società Cooperativa Connecting People di Trapani: Il Consorzio, sottoposto a procedura di concordato preventivo presso il Tribunale di Trapani, a causa di pesanti disavanzi di bilancio, è stato coinvolto anche in un'inchiesta giudiziaria della Procura di Gorizia, che, in relazione alla gestione del CIE (poi trasformato in appendice del CARA) di Gradisca di Isonzo – contratto poi risolto su richiesta dello stesso ente gestore – ha ipotizzato reati di truffa e falso ideologico per aver chiesto il pagamento di prestazioni inesistenti.
  Al riguardo, è emerso che a seguito di un'azione di class action – ancora in corso al momento del sopralluogo –, che denunciava le gravi deficienze strutturali, la capienza del centro è stata ridotta da 112 a 72 posti. In sede di sopralluogo, analogamente all'ente gestore del CIE di Roma, anche il responsabile dell'ente gestore del CIE di Bari ha lamentato difficoltà economiche connesse alla riduzione degli ospiti (in media 67 al giorno).
  Le difficoltà economiche dell'ente gestore venivano confermate da alcuni operatori (psicologa, assistente sociale e l'informatrice legale) che lamentavano di non percepire lo stipendio da circa 3 mesi.Pag. 117
  La delegazione, dopo aver acquisito la documentazione necessaria, ivi compresi i fascicoli personali di alcuni soggetti trattenuti nel centro e certificazioni medico/sanitarie, funzionali alle opportune successive verifiche, ha quindi incontrato alcuni ospiti del centro.
  Uno straniero di nazionalità tunisina ha riferito di trovarsi in Italia da circa 10 anni e di essere entrato nel CIE il 4 novembre 2015, dopo aver espiato una pena detentiva presso una comunità di recupero, e di aver formalizzato, il 24 novembre successivo, la domanda di asilo.
  Un ospite di nazionalità marocchina riferiva di essere stato collocato nel centro dopo aver espiato una pena detentiva per omicidio e di aver formulato richiesta di asilo il 16 novembre 2015. Lo stesso lamentava diverse disfunzioni quali, insufficienza del sostegno psicologico e somministrazione di psicofarmaci a semplice richiesta degli interessati, assenza di attività di socialità, carenze igieniche.
  Venivano quindi visionati i fascicoli relativi a 3 cittadini siriani trattenuti all'interno del centro, atteso l'anomalia di tale circostanza (come noto quella siriana è tra le nazionalità in clear need of protection). Dalla lettura degli atti emergeva che gli stessi erano stati tratti in arresto da personale della Polizia di Stato perché trovati in possesso di passaporti falsi quindi processati e condannati ad un anno di reclusione.
  Si procedeva, inoltre, ad una preliminare analisi degli atti relativi ad alcuni cittadini nigeriani, trasferiti nel centro subito dopo lo sbarco per effetto di un provvedimento di respingimento adottato dal questore di Taranto. Alla base dell'atto amministrativo risultava esserci la motivazione economica del viaggio indicata nel c.d. foglio notizie. Dalla lettura degli atti espressamente richiesti alla Questura di Bari e successivamente trasmessi alla Commissione emergeva che il trattenimento non era stato convalidato dal giudice, che aveva ritenuto illegittimo il decreto di respingimento.
  Si procedeva, poi, ad una sommaria verifica della gestione amministrativa accertando che per ogni ospite veniva aperta una scheda per la contabilizzazione del pocket money sulla quale erano elencati anche i beni acquistabili e i relativi prezzi. Sul punto, emergeva che i prezzi praticati erano superiori a quelli indicati, in quanto, a dire del preposto, non avevano provveduto ad aggiornarli.
  Anche la scheda in cui era annotato il periodo di permanenza di ciascun ospite risultava in alcuni casi errato, indicando un numero di giorni superiore a quello effettivo. Immediate verifiche incrociate presso l'Ufficio Immigrazione della Questura permettevano di escludere ricadute contabili negative in quanto il pagamento del corrispettivo pro capite-pro die avverrebbe sulla base delle presenze giornaliere certificate alla Prefettura dallo stesso ufficio della Polizia di Stato.
  Veniva approfondita, infine, la problematica della tutela legale, apprendendo che nonostante ogni ospite avesse a disposizione l'elenco aggiornato dei difensori d'ufficio, gli avvocati incaricati sono una ristretta cerchia di professionisti, della cui opera gli ospiti del centro si sono fortemente lamentati.

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IL SISTEMA DEI RIMPATRI

Gli accordi internazionali

  La Commissione, in più occasioni, ha potuto mettere a fuoco il principale problema relativo al funzionamento del sistema dei rimpatri, ovvero la mancanza di accordi con i Paesi di origine degli stranieri irregolari.
  Ciò assume ancor maggior rilievo in relazione a quanto affermato dal Direttore Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, prefetto Giovanni Pinto, nel corso della sua audizione del 29 ottobre 2015: «il rimpatrio riguarda adesso migranti cittadini di Paesi completamente nuovi, che nella letteratura dell'identificazione, del rimpatrio e delle relazioni internazionali non avevano alcuna consistenza precedentemente ...i nigeriani sono una vecchia presenza, ma i senegalesi, gli ivoriani, i gambiani non erano presenti in maniera così massiccia. Lo strumentario a disposizione del nostro Paese, come degli altri Paesi europei, è rappresentato dagli accordi di riammissione e dagli accordi che consentono l'identificazione rapida».
  Tale argomento ha trovato conferma anche nella successiva audizione del Capo della Polizia, prefetto Alessandro Pansa, svoltasi il 20 gennaio 2016: «rimpatriamo i nigeriani, gli egiziani, i tunisini e, anche se meno, i marocchini e gli algerini. Abbiamo fatto un accordo di polizia con il Gambia con cui stiamo avviando i rimpatri, ma con le altre nazioni quasi mai rimpatriamo qualcuno perché non ci sono accordi di riammissione perché non vengono fatti con una pressione politica di tipo internazionale da parte dell'Unione europea.
  Non è pensabile che i Paesi in difficoltà e in crisi per problematiche di vario genere possano stipulare accordi di riammissione con l'Italia ma non con la Francia o con l'Italia ma non con la Germania perché non avrebbe senso per le politiche di questi Paesi.
  Il problema è appunto riuscire a fare degli accordi internazionali da parte dell'Unione Europea e dare a noi la possibilità dei rimpatri. Lo dico perché diversamente il rimpatrio è quasi impossibile, infatti, otteniamo soprattutto inutili perdite di tempo. Tant’è vero che poi si ricorre all'espulsione con intimazione ad allontanarsi dal territorio nazionale oppure al respingimento con diffida ad allontanarsi dal territorio nazionale in sette giorni, creando una massa di persone che non va via.
  Il problema è che non abbiamo lo strumento alternativo, altrimenti lo utilizzeremmo. L'unico strumento alternativo è il rimpatrio. Tuttavia, non li possiamo rimpatriare perché i Paesi di origine non li riammettono, quindi il meccanismo si ferma in questo punto. L'inefficienza del sistema è dovuta appunto al fatto che i Paesi di origine non li riammettono, per cui possiamo disegnare il meccanismo come vogliamo, ma non ci sono grandi possibilità (..).. Per porre rimedio a questi limiti del sistema ci stiamo già muovendo a livello diplomatico con i Paesi più interessati a degli accordi di riammissione, quanto meno soltanto con l'Italia. Inoltre, ci stiamo muovendo anche con nostre iniziative... a livello di polizia, cioè di accordi di polizia. Spero che entro la fine Pag. 119di febbraio riusciremo a fare accordi di polizia, come li abbiamo già con alcuni di questi Paesi (oltre che con il Gambia, anche con il Ghana, con la Costa d'Avorio e con il Senegal) con i quali stiamo trattando. In merito, ho avuto già i primi contatti con i miei corrispondenti di quei Paesi e posso dirvi che c’è una certa disponibilità
».

Costi e procedure

  Al di là degli accordi di riammissione, che in alcuni casi prevedono anche la possibilità di rimpatri plurimi contestuali attraverso voli charter – è il caso della Nigeria, dell'Egitto e della Tunisia – in occasione di migrazioni massicce come quelle attuali, un ulteriore, grave problema dei rimpatri è costituito dai costi, anche in termini di risorse umane.
  Come affermato, sempre nel corso della sua audizione, dal Direttore Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, prefetto Giovanni Pinto, nel corso della sua audizione del 29 ottobre 2015 «noi quest'anno abbiamo avuto 19.000 migranti solo nigeriani. Anche avendo uno strumento velocissimo, in ipotesi – noi rimpatriamo i nigeriani, perché non abbiamo una buona collaborazione –, quanti voli dovremmo fare al giorno e con quante risorse umane di scorta ? Per 19.000 migranti, se voi fate un rapido calcolo e li dividete per 365 giorni, vedrete quanti voli vanno organizzati. Credo almeno uno al giorno con 50 nigeriani e 100 persone di scorta. Ripetendo questi voli per un certo periodo, immaginate quale sia lo sforzo».
  Sforzo solo in parte attenuato dalla politica dei rimpatri congiunti gestiti dall'Agenzia Frontex. Infatti, sempre il prefetto Giovanni Pinto ha affermato «noi abbiamo effettuato una serie di rimpatri, con circa 70 voli, di cui 9 congiuntamente a Frontex e gli altri su via bilaterale.».

Dati sui rimpatri forzato e spontanei

  L'inefficienza del sistema sembra essere confermata anche dai numeri forniti dallo stesso prefetto Alessandro Pansa nel corso della sua audizione del 20 gennaio 2016: «se prendiamo in esame il 2015, i provvedimenti che sono stati emessi sono stati 34.107. In particolare, quelli che sono stati effettivamente allontanati sono stati 15.979. Gli stranieri che non sono stati allontanati sono 18.128. Quelli effettivamente allontanati sono stati 15.979, di cui 8.736 quelli respinti alla frontiera cui non è stato permesso di entrare nel territorio nazionale e che sono stati rimandati indietro.
  Sono stati 1.345 quelli respinti dai questori con il provvedimento previsto dal nostro ordinamento, di cui 176 hanno ottemperato volontariamente all'ordine del questore o l'intimazione del questore e 296 all'espulsione.
  Coloro che sono stati, con provvedimento di espulsione, presi e portati alla frontiera, quindi accompagnati nel Paese di origine, sono 2.529. Altri 1.159 sono stati espulsi effettivamente con accompagnamento sulla base di un provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria e 1.738 sono stati quelli riammessi nelle procedure di confine
».Pag. 120
  Nonostante il descritto mutato approccio allo strumento dell'ordine del questore di allontanamento del territorio – caratterizzato dal passaggio da una fase repressiva tesa, evidentemente, a forzare le partenze, ad una di tipo ausiliare – i numeri rimangono poco confortanti. Gli ottemperanti all'ordine, secondo i dati acquisiti dalla Commissione dalla Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, sono stati 169 nel 2014 e 176 nel 2015 a fronte, rispettivamente, di 14.375 e 17.164 inottemperanti.
  Passando ad una disamina complessiva dei dati forniti all'organo parlamentare dalla Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia di Frontiera, nel corso del 2014 e del 2015, caratterizzati dallo sbarco di oltre 320.000 persone, i provvedimenti di rimpatrio (respingimenti, espulsioni amministrative e giudiziarie) complessivamente adottati in Italia sono stati, nel 2014, 30.906 di cui 15.180 (pari a circa il 50%) ineseguiti, mentre nel 2015, quelli complessivi sono 34.107, di cui 18.128 (pari a circa il 53%) ineseguiti.
  Analizzando il dato disaggregato delle persone effettivamente allontanante dal nostro territorio, emerge che la metà circa (7.553 nel 2014 e 8.736 nel 2015), sono costituiti da soggetti immediatamente respinti dalle autorità di frontiera.
  Nel corso del 2014 poi il secondo dato numericamente più consistente di persone rimpatriate è costituito dai 2.573 soggetti destinatari di un provvedimento di respingimento adottato dal questore, che superano di poco il dato degli espulsi con accompagnamento alla frontiera pari a 2.387.
  Nel corso del 2015, invece, gli espulsi con accompagnamento alla frontiera sono stati 2.529, pari quasi al doppio di quelli allontanati per effetto del respingimento adottato dal questore, che sono stati 1.345.

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I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

  Un ulteriore tassello dell'indagine parlamentare riguarda il tema della protezione dei minori stranieri non accompagnati e delle altre categorie di soggetti vulnerabili.
  Sul tema la Commissione ha inteso preliminarmente approfondire – sia pure in modo certamente non esaustivo – le tematiche concernenti i minori stranieri non accompagnati, riservandosi di affrontare le forme di protezione delle ulteriori categorie di soggetti vulnerabili nel prosieguo dei lavori dell'organo parlamentare.
  La questione concernente l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata trattata trasversalmente in numerose audizioni e ha costituito l'argomento centrale delle due audizioni della Responsabile della struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituita presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, viceprefetto Maria Caprara (22 settembre e 1 ottobre 2015).
  La Commissione ha proceduto, altresì, con una propria delegazione a svolgere sopralluoghi presso alcune strutture di accoglienza dei minori site in Sicilia.
  Inoltre, in più occasioni, ha svolto accertamenti informali su centri – quale ad esempio il palazzetto sportivo «Pala Russello» di Gravitelli a Messina, dove nell'ottobre 2015 risultavano alloggiati 97 minori –, per acquisire la documentazione utile alla propria attività di indagine e sollecitare, ove opportuno, le competenti Autorità a trovare soluzioni idonee a superare le problematiche emerse.

Premessa

  Il sistema di accoglienza e di protezione dei minori stranieri non accompagnati è estremamente complesso e variegato, sia per la pluralità di fattori in gioco sia per il ruolo che sono chiamati a svolgere i diversi soggetti istituzionali coinvolti.
  In relazione alle prime attività di indagine è emersa quindi in primo luogo l'esigenza di definire compiutamente e mettere a regime un sistema di governance che si è rapidamente evoluto nel corso del 2015, definendo in modo chiaro le attribuzioni dei diversi soggetti istituzionali che intervengono nell'ambito della protezione dei minori. Ciò anche al fine di evitare che i comuni ed i sindaci siano gravati da un peso oggettivamente insostenibile sul piano finanziario e amministrativo, a detrimento della qualità dell'accoglienza che è doveroso offrire a soggetti vulnerabili per definizione.
  In questo ambito non è sembrata del tutto rispondente alle nuove esigenze la normativa esistente, atteso che essa – salvo che per la parte che riguarda la mera accoglienza – risente del fatto che in Italia non esiste ancora un vero e proprio sistema nazionale di protezione e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) e la maggior parte delle norme che sono utilizzate per garantire la loro Pag. 122tutela e protezione sono state pensate e scritte senza tener conto che si tratta di minori con esigenze specifiche.
  Si tratta infatti di norme che disciplinano il sistema di protezione posto a tutela di minori che vengono a trovarsi, per una qualsiasi ragione, privi dell'assistenza di un adulto che sia per essi legalmente responsabile. In questi casi, gli organi competenti sono chiamati ad adottare alcuni specifici provvedimenti nell'interesse superiore del minore, quali la tutela, l'affidamento e in alcune ipotesi la dichiarazione di adottabilità. In mancanza di una chiara normativa di riferimento, negli anni si sono moltiplicate prassi diverse a livello locale che complicano ulteriormente il quadro di riferimento e che rendono estremamente differenziato il trattamento dei minori stranieri non accompagnati a seconda del territorio in cui vengono accolti.
  Tuttavia, l'applicazione delle disposizioni che valgono in generale per tutti i minori mal si adatta ai minori stranieri non accompagnati che, pur essendo privi di riferimenti genitoriali, sono per la maggior parte adolescenti di origine straniera, arrivati in Italia da soli, in seguito a un lungo viaggio e tratti in salvo, nella maggior parte dei casi, sulle coste italiane in seguito a un soccorso in mare.
  Particolarmente significativo in tal senso un passaggio dell'audizione del presidente dell'agenzia Habeshia, don Mussie Zerai, che si riporta di seguito: « (...) Oggi, come avete visto anche in Italia, vi è un incremento di minori non accompagnati, molti dei quali provengono anche dall'Eritrea, perché fuggono prima di raggiungere l'età per essere convocati al servizio militare. Oggi arrivano a 13-14 anni. L'età ufficialmente è 18, ma spesso vengono portati via già a 16 anni. All'inizio, a 18 anni, prima ancora di fare l'esame di maturità, l'ultimo anno scolastico, i giovani venivano trasferiti e l'ultimo anno dovevano farlo nei campi di addestramento. Venivano addestrati e contemporaneamente dovevano anche studiare e sostenere gli esami (...) Quelli che riuscivano a ottenere i risultati accedevano, quindi, a questi college. Tutti gli altri diventavano schiavi “legalizzati” e andavano a costruire le case dei generali e a coltivare il terreno dei colonnelli e di chi era al potere, oppure venivano utilizzati in altri modi, come è successo per esempio in una di queste nostre isole, nel Dahlak, dove il Qatar e gli Emirati costruivano alberghi di lusso e a lavorare per queste costruzioni venivano impiegati i soldati di leva. Gli Emirati pagavano 1.000 dollari al mese come stipendio per ogni dipendente, ma quei soldi li prendeva il regime, che ai ragazzi che lavoravano dava lo stipendio di tutti gli altri, quello del soldato di leva, cioè i famosi 10 euro al mese. (...) Ci sono anche casi di minori venduti come schiavi verso altri Paesi del Golfo (..). Sono spariti 4.000 minori dai campi profughi del Sudan e lo stesso sta succedendo anche da questi centri di detenzione. Ci sono minori non accompagnati o minori che vengono sottratti ai loro genitori per essere venduti verso questi Paesi di fatto come schiavi per queste lobby».
  Infine, la Commissione ha preso atto delle difficoltà di costruire un sistema di accoglienza, sia di primo livello che di secondo livello, che sia realmente in grado di assorbire un numero di richieste molto sostenuto e che, presumibilmente, è destinato ad incrementarsi nel tempo.

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Quadro di riferimento normativo

  Si riportano di seguito le principali disposizioni presenti nel nostro ordinamento dedicate, in modo specifico, al tema dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  L'articolo 2 del decreto legislativo n. 142 del 2015 definisce «minore non accompagnato: lo straniero di età inferiore agli anni diciotto, che si trova, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privo di assistenza e rappresentanza legale».
  Nel medesimo testo legislativo, l'articolo 18 stabilisce il carattere di priorità del superiore interesse del minore, anche di quelli accompagnati, che costituisce criterio guida nell'applicazione delle misure di accoglienza, secondo i principi di:
   ascolto del minore, tenendo conto della sua età, del suo grado di maturità e di sviluppo personale, anche al fine di conoscere le esperienze pregresse e valutare il rischio che il minore sia vittima di tratta;
   possibilità di ricongiungimento familiare;
   previsione per cui i figli minori dei richiedenti e i richiedenti minori siano alloggiati assieme ai loro genitori, i fratelli minori non coniugati o gli adulti legalmente responsabili
   predisposizione di servizi di accoglienza destinati alle esigenze della minore età, comprese le esigenze ricreative;
   obbligo di possedere una idonea qualifica e di ricevere una specifica formazione per gli operatori che si occupano dei minori.

  Con riguardo all'ambito specifico dell'accoglienza dei minori non accompagnati, l'articolo 19 – oltre a fissare il principio secondo cui in nessun caso possono essere trattenuti presso i CIE – mira a rafforzare complessivamente gli strumenti di tutela introducendo alcune significative novità rispetto al quadro normativo pregresso.
  In particolare, si prevede l'istituzione di strutture governative di prima accoglienza per le esigenze di soccorso e di protezione immediata dei minori non accompagnati. Con decreto del Ministro dell'Interno saranno stabilite le modalità di accoglienza, gli standard strutturali e i servizi da erogare, fermo restando che in quelle strutture i minori sono accolti per il tempo strettamente necessario alla identificazione e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere tutte le informazioni, non oltre sessanta giorni.
  La seconda accoglienza del minore straniero non accompagnato avviene nell'ambito dello SPRAR, secondo quanto già previsto dall'articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n. 25 del 2008 e dall'articolo 1, comma 183, della legge n. 190 del 2014, analogamente a quanto previsto per tutti i minori non accompagnati (anche quelli non richiedenti protezione).
  Non è però escluso che, in caso di temporanea indisponibilità di posti, anche l'assistenza e l'accoglienza del minore siano temporaneamente assicurate dalla pubblica autorità del Comune dove si trova il minore. In questi casi, intervengono i contributi disposti dal Pag. 124Ministero dell'Interno a valere sul Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di cui all'articolo 1, comma 181, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nel limite delle risorse del medesimo Fondo.
  Per quanto concerne invece gli strumenti di tutela e protezione dei MSNA, vengono in rilievo le previsioni relative all'obbligo per l'autorità di pubblica sicurezza di immediata comunicazione della loro presenza all'autorità giudiziaria competente per la nomina del tutore e la ratifica delle misure di accoglienza, nonché al Ministero del lavoro e delle politiche sociali cui competono compiti di censimento e monitoraggio.
  Sono inoltre previsti espressamente i requisiti per assumere le funzioni di tutore (ovvero possedere le competenze necessarie, operare in conformità al principio dell'interesse superiore del minore, non versare in conflitto di interessi) e si cerca di assicurarne la continuità, stabilendo che il tutore può essere sostituito solo in caso di necessità.
  Un ulteriore aspetto oggetto di attenzione del legislatore riguarda l'esigenza di avvio tempestivo delle iniziative per individuare i familiari del minore non accompagnato richiedente protezione internazionale. A tale fine, la norma in commento prevede che il Ministero dell'Interno stipuli convenzioni, sulla base delle risorse disponibili del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, con organizzazioni internazionali, intergovernative e associazioni umanitarie per l'attuazione di programmi diretti a rintracciare i familiari dei minori non accompagnati (disposizione che riproduce sostanzialmente quanto già previsto dall'abrogato articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 140 del 2005).
  Gli aspetti relativi alla regolarità del soggiorno sono altresì disciplinati dal decreto legislativo n. 286 del 1998, in particolare agli articoli 19 e 32.
  Il citato articolo 19 vieta l'espulsione – salvo che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato – di coloro che hanno meno di 18 anni; ai sensi dell'articolo 32, al compimento dei 18 anni, i minori stranieri non accompagnati possono restare in Italia solo se in possesso di determinati requisiti:
   essere arrivati tre anni prima del compimento dei 18 anni;
   aver intrapreso un percorso di inserimento sociale di almeno due anni;
   avere aperta la tutela o essere comunque affidati.

  In quest'ultimo caso è però anche necessario ottenere un parere positivo da parte della Direzione Generale dell'immigrazione del Ministero del Lavoro (che si basa sulla relazione avuta dai Servizi Sociali del comune in cui il minore si trova).
  Per i minori stranieri non accompagnati con più di 14 anni sussiste, come per gli adulti, l'obbligo di rilasciare le impronte digitali che, insieme alle generalità dichiarate, vengono inserite nella banca dati AFIS e in Eurodac.
  Norme specifiche sui minori non accompagnati richiedenti asilo sono previste dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 25 del 2008, con Pag. 125particolare riguardo all'assistenza – anche da parte di un tutore – per la presentazione e la fase di esame della domanda di protezione internazionale, nonché per quanto concerne l'accertamento dell'età.
  Inoltre l'articolo 28 del decreto legislativo 251 del 2007 prevede l'esame in via prioritaria della domanda di protezione internazionale presentata da un minore straniero non accompagnato da parte della Commissione territoriale.

IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA

La governance del sistema di accoglienza

  I principi generali del sistema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati erano stati già a suo tempo delineati in sede di Intesa fra il Governo, le Regioni e gli Enti locali, conseguita nella seduta della Conferenza Unificata del 10 luglio 2014.
  Come dichiarato dal Ministro Angelino Alfano, nell'audizione del 29 luglio 2015, «l'intesa in Conferenza unificata del luglio 2014 (...) ha delineato un sistema di accoglienza del tutto innovativo. È previsto che tali minori, richiedenti asilo o meno, siano destinatari di un'accoglienza che vede prima impegnate strutture governative ad alta specializzazione e poi quelle dello SPRAR, ugualmente dedicate.
  Si è intervenuto così in maniera strutturale sulla possibile situazione di promiscuità che è il primo e il più significativo vulnus della condizione di fragilità del minore
».
  La citata Intesa delinea una governance per il sistema di presa in carico dei minori stranieri non accompagnati, prevedendo l'attivazione di strutture governative di primissima accoglienza ad alta specializzazione, che accolgano i minori stranieri non accompagnati nella fase del primo rintraccio, con funzioni di identificazione, di eventuale accertamento dell'età e dello status, anche al fine di accelerare l'eventuale ricongiungimento con parenti presenti anche in altri Paesi dell'UE.
  In essa si individua inoltre l'obiettivo di pianificazione dell'accoglienza di secondo livello di tutti i minori stranieri non accompagnati nell'ambito dello SPRAR, adeguatamente potenziato e finanziato sulla base di procedure accelerate.
  Nelle more, al Ministero dell'Interno viene affidato il coordinamento per la costituzione di strutture temporanee per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati, individuate ed autorizzate dalle Regioni, di concerto con le Prefetture e gli enti locali.
  A seguito del citato accordo, il Ministero dell'Interno istituiva il 29 luglio 2014, presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, una struttura di missione con il compito di svolgere tutte le attività idonee a favorire il coordinamento degli interventi necessari alla tempestiva apertura di strutture temporanee per l'accoglienza di minori stranieri non accompagnati, anche attraverso i Tavoli di coordinamento regionale, nonché a favorire il potenziamento di posti dedicati ai minori nella rete dello SPRAR.
  La struttura citata era in principio istituita per la durata di un anno, poi prorogata fino al 31 luglio 2016.Pag. 126
  Con la legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, commi 181 e 182) viene quindi istituito il Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nello stato di previsione del Ministero dell'Interno, con contestuale soppressione dell'analogo Fondo Nazionale che era invece gestito dal Ministero del Lavoro.
  Come dichiarato dal Ministro Angelino Alfano, nell'audizione del 29 luglio 2015 «la legge di stabilità del 2015 ha disposto il passaggio al Ministero dell'Interno di un fondo, che fu istituito qualche anno fa presso il Ministero del Lavoro, dedicato ai minori stranieri non accompagnati.
  Si è eliminata, anche su richiesta dei sindaci, quella che veniva percepita come una disfunzionalità del sistema, perché di alcune cose si doveva occupare il Ministero dell'Interno e di altre cose si doveva occupare il Ministero del Lavoro. Al momento degli sbarchi i sindaci dovevano parlare con due Ministeri. Adesso parlano con uno, anche solitamente attraverso il prefetto.
  Io credo che questa nuova collocazione delle risorse, superando le precedenti frammentazioni cui ho fatto cenno, abbia rappresentato un vero passo in avanti, tenuto conto che d'ora in poi l'intervento in favore dei minori non solo non vedrà più distinzioni tra diverse amministrazioni, ma potrà contare anche sul consolidato rapporto di collaborazione tra il Viminale e gli enti locali, veri terminali, alla fine, di questo problema delicatissimo
».
  È opportuno ricordare che in ogni caso il Ministero del Lavoro, in particolare la Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione, ha ancora diverse competenze in materia di immigrazione e integrazione, fra le quali il coordinamento delle attività relative alle politiche di tutela dei minori stranieri non accompagnati e di vigilanza sulle modalità del loro soggiorno.
  La Direzione generale provvede infatti al censimento dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia.
  Ciò significa che tutte le informazioni relative a anagrafica, accoglienza e presa in carico dei minori citati devono essere trasmesse alla medesima Direzione generale in via telematica, attraverso specifiche schede di segnalazione. La Direzione Generale svolge inoltre compiti di ricerca per promuovere l'individuazione dei familiari dei minori nei paesi di origine o in altri paesi, in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM) e si occupa del rimpatrio volontario assistito dei minori stranieri non accompagnati, secondo le richieste inoltrate dai comuni che li hanno in carico.
  Secondo la normativa, il minore straniero non accompagnato al compimento della maggiore età può usufruire di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di accesso al lavoro (subordinato o autonomo) o, in subordine, per attesa occupazione la Direzione Generale ha competenze anche in tale ambito, dato che deve fornire un parere.
  A seguito delle competenze elencate, la Direzione generale pubblica sul sito del Ministero – in forma aggregata, anonima e con cadenza mensile – i report statistici relativi ai dati sui minori stranieri non accompagnati, raccolti nella banca dati istituita ai sensi dell'articolo 4 del D.P.C.M. n. 535/1999. Viene inoltre pubblicato un report Pag. 127di monitoraggio quadrimestrale che approfondisce meglio i temi riguardanti la presenza dei minori non accompagnati in Italia.
  Sulla riforma del sistema di governance è intervenuto, nel corso della sua audizione in data 30 settembre 2015, Laurens Jolles, Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa.
  Nel ritenere l'esperienza del Tavolo nazionale di coordinamento riguardo al sistema di accoglienza «un'esperienza virtuosa» di cooperazione inter-istituzionale fra Governo ed enti locali e nel ritenere «lungimirante» la scelta di replicare il sistema nazionale di governance anche a livello locale, Jolles ha quindi aggiunto «Sarebbe necessario (...) prevedere che tale sistema di governance venisse duplicato per i minori non accompagnati, prevedendo l'istituzione di un Tavolo nazionale minori che avesse l'obiettivo di uniformare gli standard di accoglienza per essi, in considerazione della specificità e della complessità che essa comporta».
  Uno degli aspetti che è valutato dalla Commissione parlamentare in termini critici, oltre all'evidente intreccio di competenze, riguarda il ruolo degli enti locali e, segnatamente, dei sindaci.
  Il tema è stato messo a fuoco sotto diverse angolazioni. Opportuno ricordare, ad esempio la questione della sostenibilità economica. Il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, nell'audizione del 7 maggio 2015, ha indicato tra gli obiettivi prioritari delle nuove politiche ministeriali quella di «cercare di sollevare i sindaci, laddove si è aperta una questione molto complicata sul peso che il numero di minori arrivati nel nostro Paese provenienti dai Paesi africani ha scaricato sulle spalle dei sindaci stessi, soprattutto in alcune realtà comunali medio-piccole che non erano in grado assolutamente di gestire situazioni come queste e per le quali, peraltro, in passato si pagavano dagli 80 ai 110 euro pro die/pro capite».
  Valga in tal senso quanto dichiarato dal Sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, nella sua audizione del 29 gennaio 2016: «C’è poi il tema dei minori non accompagnati (...). Nel bilancio della mia amministrazione nel 2015 noi abbiamo dovuto aggiungere 500.000 euro – che non sono una piccola cifra – per provvedere alla cura dei minori non accompagnati che vengono affidati alle comunità che se ne prendono carico. È una cosa molto onerosa per le amministrazioni».
  Un'altra visuale problematica è stata messa in luce nel corso dell'audizione del 14 maggio 2015 dal Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, prefetto Angelo Trovato, il quale ha rilevato: «Nominano spesso come tutori i poveri sindaci, i quali si trovano ad avere a che fare con 300-400 ragazzini di cui sono nominati tutori».

Le strutture di accoglienza

  Ai sensi della legislazione vigente, la prima accoglienza è quella che viene svolta dai comuni, atteso che ciascun minore straniero non accompagnato, al pari di ogni minore italiano privo di riferimenti parentali, deve essere affidato dalle Autorità di Pubblica Sicurezza ai Pag. 128servizi sociali del comune in cui viene rintracciato, che hanno quindi la responsabilità di individuare un posto per la sua accoglienza in comunità sul proprio territorio.
  Al fine di integrare e supportare il sistema di accoglienza degli enti territoriali è stato attivato un finanziamento di circa 13 milioni di euro, 12 di quota comunitaria e 1 di cofinanziamento nazionale, per una misura di emergenza a valere sul Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI), dal titolo «Miglioramento della capacità del territorio italiano di accogliere i minori stranieri non accompagnati».
  Con le suddette risorse, la struttura di missione del Ministero dell'Interno ha emanato due avvisi pubblici – rispettivamente in data 23 dicembre 2014 e 1o aprile 2015 – per la presentazione di progetti da finanziare, per un importo di circa 11 milioni di euro. All'esito delle procedura, sono stati ammessi al finanziamento 10 progetti, e successivamente ulteriori 5, per un totale di 737 posti giornalieri nei centri – dislocati in Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Sicilia; Basilicata, Puglia, Toscana. Si tratta quindi di una aliquota, sia pure ridotta di ulteriori posti di prima accoglienza.
  Come chiarito dalla responsabile della Struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituita presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Maria Caprara, nel corso dell'audizione del 22 settembre 2015, «il Fondo ha la funzione di sollevare, almeno in parte, i comuni dagli oneri dell'accoglienza. Per ora, la misura del contributo che il Ministero dell'Interno eroga a valere sul fondo resta fissato nella misura massima di 45 euro (Iva inclusa) pro die/pro capite. Purtroppo, le risorse non consentono altro, anche se già sappiamo – tutti ce lo dicono – che sono poche e che non si può fare una buona accoglienza.
  La situazione, però, è questa. Attualmente, la dotazione del Fondo, da legge di stabilità, è di 32.500.000 euro, anche se dovremmo avere altre risorse con l'assestamento. Nel luglio scorso, mi è stato assegnato il capitolo, quindi abbiamo emanato un paio di circolari ai prefetti per delineare la procedura di accesso al fondo, per cui saranno le Prefetture che raccoglieranno dai comuni le richieste di contributo e le invieranno al Ministero dell'Interno.
  Noi, ovviamente, faremo le valutazioni e i controlli, dopodiché disporremo il pagamento, sempre attraverso le Prefetture. In sostanza, le Prefetture riverseranno i fondi ai comuni, che a loro volta pagheranno le strutture di accoglienza. Al momento sono stati autorizzati pagamenti per complessivi 7.250.500 euro per il primo trimestre. Questi contributi sono in relazione alle richieste di 139 comuni. Ovviamente, sono le richieste pervenute e che ai nostri controlli sono risultate complete; per le altre, invece, abbiamo fatto richiesta di integrazione
».
  L'accoglienza di minori stranieri non accompagnati (provenienti da sbarchi) nelle strutture temporanee prevede una durata di 60 giorni, prorogabili a 90 in caso di motivate esigenze, a cui seguirebbe il trasferimento dei minori nel sistema di seconda accoglienza gestito dallo SPRAR.
  Sul punto appare utile richiamare i contenuti dell'audizione del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, che nell'audizione del 7 maggio 2015, ha esposto la situazione dell'accoglienza dei minori stranieri non Pag. 129accompagnati ricordando come questa particolare categoria di minori rientri fra le competenze del Ministero dell'Interno solo dal 1o gennaio 2015.
  In primo luogo, nell'illustrare i primi due bandi per le strutture di prima accoglienza dei minori, autorizzate dalla Regioni, comprendente il pagamento di 45 euro pro die/pro capite, il prefetto ha indicato l'obiettivo di «incrementare una prima accoglienza di qualità. Questo in funzione non solo della qualità dell'accoglienza per i minori, ma anche e soprattutto per cercare di sollevare i sindaci, laddove si è aperta una questione molto complicata sul peso che il numero di minori arrivati nel nostro Paese provenienti dai Paesi africani ha scaricato sulle spalle dei sindaci stessi, soprattutto in alcune realtà comunali medio-piccole che non erano in grado assolutamente di gestire situazioni come queste e per le quali, peraltro, in passato si pagavano dagli 80 ai 110 euro pro die/pro capite».
  Il prefetto Morcone ritiene infatti congrua la cifra di 45 euro sopra citata e riguardo all'età dei minori stranieri non accompagnati aggiunge: «parliamo di minori che hanno mediamente tra i 15 e i 18 anni, con qualcuno che ha più di 18 anni e cerca di dimostrarne di meno. Quindi, francamente si tratta di ragazzi formati, che hanno certamente bisogno di essere accompagnati verso un percorso di integrazione e di futuro nel nostro Paese, ma certamente non si tratta di bambini».
  Nell'audizione del 30 settembre 2015, Laurens Jolles, Delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per il Sud Europa ha anche sollecitato lo sviluppo di modalità operative per i «richiedenti asilo più vulnerabili, quali i minori non accompagnati, ma anche le vittime di tortura e le persone con disagio psichico o con problemi di salute. Pensiamo che per questi casi sia necessario migliorare le procedure di individuazione nella fase di sbarco, così come nei centri di accoglienza, e la presa in carico da parte degli organismi competenti».
  La struttura di missione del Ministero dell'Interno ha inoltre elaborato nel 2015 uno specifico bando per aumentare la disponibilità di posti SPRAR in favore dei minori stranieri non accompagnati, consentendo l'ampliamento della rete – che disponeva di 940 posti – di ulteriori 1.010 posti di accoglienza con uno stanziamento dedicato pari a 21 milioni di euro (a carico del Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell'Asilo – FNPSA).
  Inoltre, la legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 183) prevede che i minori stranieri non accompagnati accedono ai servizi di accoglienza finanziati con il Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (la cui dotazione è incrementata dal medesimo articolo 1, comma 179).
  Resta fermo quanto previsto dall'articolo 26, comma 6 del d. lgs. n. 25/2008, relativo all'obbligo dell'autorità che riceve la domanda di protezione internazionale di informare immediatamente il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati ai fini dell'inserimento del minore in una delle strutture operanti nell'ambito del Sistema di protezione stesso.
  La norma è finalizzata a estendere l'assistenza della rete SPRAR anche ai minori stranieri non accompagnati che non hanno richiesto Pag. 130il riconoscimento del diritto di asilo in quanto – secondo il principio già affermato in sede di Conferenza unificata del 10 luglio 2014 ed esposto alla Commissione parlamentare dal viceprefetto Maria Caprara nell'audizione del 22 settembre 2015 – «ai soli fini dell'accoglienza [l'Intesa] elimina, all'interno della categoria dei minori stranieri non accompagnati, la distinzione tra minore richiedente asilo o protezione internazionale e minore che, invece, non abbia fatto richiesta in tal senso. Ciò è dovuto alla considerazione che il minore è per definizione vulnerabile.».

La procedura

  Con specifico riguardo al tema dei minori stranieri non accompagnati, nel corso dell'audizione del 14 maggio 2015 il Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, Angelo Trovato, ha evidenziato la particolare attenzione da parte delle Commissioni territoriali nei confronti di questi minori, ai quali è riservato «un esame prioritario».
  Nel 2015 vi sono state 1.177 richieste di asilo da parte dei minori stranieri non accompagnati e all'epoca dell'audizione ne erano state esaminate 1.092, mentre restavano ancora da esaminare 2.087 degli anni precedenti. Il ritardo accumulato derivava a sua volta dal ritardo nella nomina dei tutori in alcuni luoghi, legata a una decisione dei tribunali dei minori o del giudice ordinario. A tale problema si collega l'identità del tutore, come notato dallo stesso prefetto: «Nominano spesso come tutori i poveri sindaci, i quali si trovano ad avere a che fare con 300-400 ragazzini di cui sono nominati tutori. Il massimo che riescono a fare è affidarli ai servizi sociali. Più di questo, (...) non possono fare. Oppure, peggio che peggio (...) stiamo avendo alcuni casi in cui come tutori sono nominati i soggetti gestori dei centri d'accoglienza. Anche qui sicuramente possono esserci dei conflitti. Su questo punto, però, l'autorità giudiziaria è sovrana. Noi non possiamo che registrare il fenomeno».

Gli irreperibili

  Nel corso dell'audizione del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone, svoltasi nella seduta del 7 maggio 2015, la Commissione ha chiesto informazioni sulla problematica dei minori stranieri non accompagnati che risultano irreperibili, ricevendo conferma che si tratta di un fenomeno di dimensioni rilevanti condizionato da alcuni fattori: «molto spesso questi ragazzi vengono con il numero di telefono dello zio, del presunto zio, del parente o della comunità a cui devono rivolgersi e non esistono soluzioni, se non di tipo coercitivo, per impedire loro di andare via. Questi ragazzi comunque arrivano convinti che il loro parente troverà per loro il percorso migliore per integrarsi. Naturalmente oltre a questo ci sono fenomeni di tratta, soprattutto per le ragazze nigeriane ».Pag. 131
  Il problema dell'allontanamento dei minori dalle strutture di accoglienza è stato inquadrato in questi termini nelle audizioni della Responsabile della struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituita presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, Maria Caprara, svolte il 22 settembre e il 1 ottobre 2015: «(...) mi sono fatta l'idea che si tratti di un cammino molto difficile per questi ragazzi, che hanno alle spalle dei percorsi di vita che non dovrebbero avere alla loro età, per questo tendono all'allontanamento. Credo, dunque, che la vera sfida sia quella di far capire a questi ragazzi che l'accoglienza che l'Italia offre è un'opportunità, è la vera opportunità.
  Sono riusciti ad approdare in Italia, hanno superato il viaggio, quindi dovrebbero cogliere il contenuto dell'accoglienza. È però molto difficile per varie ragioni, sia perché questi ragazzi troppo spesso hanno già un vissuto pesante e anche perché spesso sono un investimento per la famiglia di origine, da cui hanno indicazioni e percorsi ben precisi da seguire. Per esempio, quasi tutti questi ragazzi hanno almeno un numero telefonico da contattare. Sappiamo dagli operatori dei centri che abbiamo attivato con la misura emergenziale del FAMI che è già una grossa vittoria convincerli a non contattare quel numero e ad accettare la nostra offerta di ospitalità.
  Comunque, anche dai centri che abbiamo attivato grazie alle risorse europee, che abbiamo cercato di curare in modo particolare, gli allontanamenti sono un numero molto grosso. I dati non sono per unità, ma dall'ultimo monitoraggio dovrebbero essere 697 allontanamenti su 1.688 minori accolti nel periodo dal 20 marzo ad oggi, tenuto conto che alcune strutture sono state avviate prima e le altre 5 in un momento successivo, cioè solo il 3 giugno.
  Questo problema degli allontanamenti non riguarda solo le nostre strutture, ma tutt'Italia
».
  A fronte di tali problematiche, nell'audizione del 30 settembre 2015, il Capo dell'Unità di protezione dell'Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, Riccardo Clerici, ha ricordato come il regolamento «Dublino III sui minori è molto garantista, ma non è sfruttato in maniera adeguata, anche perché le tempistiche burocratiche e amministrative sono molto lunghe. Diversamente, tramite il Regolamento Dublino, i minori stranieri non accompagnati avrebbero molte possibilità, anche di mobilità, all'interno dell'Unione.
  Il tema adesso si riproporrà perché, con la
relocation, i minori stranieri non accompagnati saranno un gruppo di beneficiari importantissimi. Il Governo, con le agenzie europee, dovrà trattare i casi di minori stranieri non accompagnati eritrei che potrebbero essere ricollocati in un altro Stato membro senza i rischi del viaggio irregolare».

L'accertamento dell'età

  Una ulteriore problematica emersa nell'ambito dell'attività di indagine riguarda il tema dell'accertamento dell'età dei minori, atteso che – per una massima efficienza del sistema – occorre differenziare il percorso di accoglienza, non potendosi esso esclusivamente basare sull'età dichiarata dall'interessato.Pag. 132
  Nell'audizione del 7 maggio ed in quella del 21 luglio 2015, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno, Mario Morcone ha ricordato che presso la Presidenza del Consiglio «è allo studio un provvedimento che prevede una valutazione ponderata tra l'aspetto fisico della radiografia, l'aspetto psicologico della persona e tutto il resto», provvedimento che non risulta adottato alla data di riferimento della presente relazione (fino al 31 gennaio 2016).
  Sul tema, l'assessore pro tempore alle politiche sociali del comune di Roma, Francesca Danese, nell'audizione del 4 agosto 2015 ha ricordato l'arrivo di numerosi minori nella capitale all'epoca dell'Emergenza Nord Africa: «Su Roma arrivavano tanti giovani, tante persone che si dichiaravano minori. Nei vari accordi ci fu una circolare del Ministero – mi pare che fosse del 10 luglio 2014 – che stabiliva che spettasse alle Regioni, alle Prefetture e alle Questure verificare la vera età di questi bambini o di questi giovani adulti, o minori. Quando arrivavano nei pronto soccorso, poiché i pronto soccorso operano in maniera molto veloce, entravano nei circuiti diverse persone che non erano effettivamente minori. A questo punto il comune di Roma si è dotato di una struttura in collaborazione con il Celio in cui si fanno immediatamente delle radiografie specifiche a tutela del minore che è veramente minore, ragion per cui scattano altri meccanismi».
  Vista la delicatezza e rilevanza del tema dell'accertamento dell'età anagrafica, sarà necessario procedere con ulteriori audizioni volte ad integrare l'istruttoria fin qui svolta dalla Commissione.

I sopralluoghi nei centri

  Al fine di svolgere gli opportuni approfondimenti, delegazioni della Commissione hanno svolto alcuni sopralluoghi presso strutture di accoglienza dei minori.
  Una delle missioni – che ha avuto luogo il 3 luglio 2015 in provincia di Catania – ha messo a fuoco le differenze tra un centro certamente orientato a logiche di accoglienza e integrazione e strutture invece assolutamente lontane da questo obiettivo.
  La visita alla Cooperativa Sociale Garcia Marianella, peraltro preavvertita del sopralluogo da parte della Commissione, forniva l'impressione di una struttura ben organizzata e gestita in modo efficiente sia riguardo alla logistica, sia riguardo alla presenza di figure professionali inserite nel progetto educativo. Viceversa, i sopralluoghi effettuati senza preavviso a due case alloggio site in Giarre e ad un centro ubicato in località Nunziata di Mascali hanno evidenziato gravissime carenze igienico-sanitarie, strutturali e di natura burocratico-amministrativa, oltre ad una totale assenza di servizi alla persona secondo standard qualitativi accettabili e finanche senza assicurare ad un minore egiziano di 13-14 anni d'età, ospite da oltre un anno, la regolare frequentazione della scuola dell'obbligo. Degli esiti di tale sopralluogo sono state debitamente informate le competenti autorità.

Il quadro statistico

  Riguardo ai dati sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati, premessa la difficoltà di registrarli in modo puntuale per le Pag. 133mancate identificazioni e una notevole mobilità sul territorio, le principali fonti istituzionali su numero, nazionalità, genere ed età dei suddetti minori provengono dal Ministero dell'Interno e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, oltre che dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), che promuove ogni due anni un'indagine in tutti i comuni italiani impegnati nella tutela e accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Il Ministero dell'Interno fornisce i dati sugli sbarchi, sulla collocazione dei minori nelle strutture di prima accoglienza e nello SPRAR e sulle domande di asilo presentate.
  Riguardo agli sbarchi, si può evidenziare un'evidente differenza percentuale nel 2015 fra minori accompagnati (4.118) e minori non accompagnati (12.360), rispetto al 2014. Nel periodo 1-15 gennaio 2016 risultano sbarcati 120 minori, dei quali 3 accompagnati e 117 non accompagnati.

Minori accompagnati MSNA
2014 13.066 13.026
2015 4.118 12.360

  Nel 2015, il maggior numero di arrivi via mare di MSNA si è registrato al porto di Augusta, dove, nonostante il notevole decremento di arrivi rispetto al 2014, sono giunti 1.942 MSNA (numero che continua a rimanere notevolmente più basso rispetto all'anno precedente, quando ne arrivarono 4.364); il secondo porto maggiormente interessato dagli arrivi nel 2015 rimane quello di Lampedusa, dove sono sbarcati 1.607 MSNA, in notevole incremento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando arrivarono 333 MSNA. In Calabria nel 2015 il porto maggiormente interessato da arrivi di migranti è stato quello di Reggio Calabria, dove sono arrivati 1.284 MSNA (in aumento rispetto al 2014 anno in cui arrivarono 779 MSNA); infine in Puglia, il porto in cui si è registrato il più intenso flusso di MSNA è quello di Taranto, con l'arrivo 720 MSNA (in netto calo rispetto al 2014 in cui arrivarono 1.188 MSNA).
  Il report di monitoraggio sulla presenza dei minori stranieri non accompagnati in Italia, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero del Lavoro, espone i dati raccolti e censiti dalla Direzione Generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione aggiornati al 31 dicembre 2015.
  Secondo tale rapporto, i MSNA presenti in Italia alla data suddetta sono 11.921, mentre nel 2014 erano 10.536 e nel 2013 erano 6.139. Nel 2014, rispetto all'anno precedente, si è registrato un aumento del 66,7%; nel 2015 invece si è registrato un aumento del 13,1% rispetto al 2014.
  Al 31 dicembre 2015 i MSNA irreperibili risultano 6.135, la più parte di origine eritrea.
  Riguardo ai Paesi di provenienza dei MSNA, per numeri l'Egitto appare al primo posto sia nel 2014 sia nel 2015, seguito – in posizioni variabili nei due anni considerati – dall'Eritrea, dal Gambia e dalla Somalia. In un confronto fra i due anni, si deve segnalare l'aumento Pag. 134di minori albanesi nel 2015, tanto da collocare il loro numero complessivo subito dopo quello dei minori egiziani.
  Relativamente all'età e al genere, in entrambi gli anni considerati la maggior parte dei MSNA accolti in Italia ha un'età compresa fra i 16 e i 17 anni (81,2% del totale), con una netta preponderanza della componente maschile (pari al 95,4% del totale nel 2015, di poco inferiore nel 2014).
  In termini di accoglienza, il report del Ministero del Lavoro segnala che la «distribuzione dei minori non accompagnati sul territorio è aumentata in valore assoluto rispetto all'anno precedente nella quasi totalità delle Regioni», sebbene resti la Sicilia la Regione con il maggior numero di MSNA, pari al 34,5% del totale.
  Come evidenziato nel report, nel 2015 sono stata presentate 3.959 domande di protezione internazionale da parte di minori stranieri non accompagnati, confermando una tendenza già registrata nel 2014 e in aumento rispetto agli anni precedenti.
  Il maggior numero di richieste riguarda MSNA provenienti da Paesi africani, in particolare Gambia, Nigeria, Senegal e Mali, in contrasto con la geografia delle richieste dei migranti adulti, in prevalenza relative all'Eritrea e alla Somalia.
  Il report del Ministero del Lavoro presenta anche la situazione dell'accoglienza dei MSNA in Italia, notando come l'89,3% di questi ultimi si trovi all'interno di strutture e solo il 5,7% presso privati.
  Le strutture di accoglienza censite sono 1.012, con una distribuzione diversificata sul territorio e una prevalenza nelle Regioni Sicilia, Campania, Puglia, Lombardia e Lazio (60% del totale delle strutture) e la più parte – oltre l'80% – risulta essere autorizzata o accreditata da un ente pubblico.
  In riferimento alle strutture di accoglienza temporanea, finanziate dal FAMI, il report del Ministero del Lavoro ricorda che i primi «15 progetti avviati interessano circa 50 strutture, per un totale di oltre 700 posti di accoglienza distribuiti nel territorio in 9 regioni: Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia e Calabria».
  Riguardo ai MSNA accolti in tali strutture, la maggior parte risulta di origine eritrea, gambiana, egiziana e nigeriana, è di sesso maschile e ha un'età compresa fra i 16 e i 17 anni.
  Nel report si specifica che nel periodo 20 marzo – 31 dicembre 2015:
   844 minori si sono allontanati volontariamente (pari al 42% del totale);
   487 minori (circa il 20% del totale) risultano trasferiti in un'altra struttura e, tra questi, 218 sono stati trasferiti in una struttura della rete SPRAR. Al 31 dicembre 2015 risultano pertanto presenti nelle strutture di accoglienza temporanea ad alta specializzazione 671 minori.

  Riguardo ai permessi emessi dal Ministero del Lavoro per il rilascio ai MSNA di un permesso di soggiorno per motivi di studio o di accesso al lavoro al compimento della maggiore età, nel 2015 essi sono stati 2.685, 497 in più rispetto al 2014 e significative differenze Pag. 135– nei due anni considerati – fra i minori di origine albanese, egiziana e bengalese.
  Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna risultano le Regioni – nel biennio 2014-15 – da cui proviene il maggior numero di richieste di parere, mentre il percorso di integrazione maggiormente svolto è quello scolastico.
  In tema di indagini familiari, nel 2015 sono state svolte 432 indagini, attivate a seguito di richieste degli enti locali (situati in particolare Emilia Romagna, Toscana e Lombardia) impegnati nell'accoglienza di MSNA; esse hanno riguardato principalmente minori di origine albanese, kosovara, bengalese e senegalese.
  Le indagini familiari svolte in Albania risultano prevalenti rispetto al totale delle indagini avviate (231 su 432), a sostegno della numerosa presenza dei minori albanesi sul territorio italiano.
  In tema invece di rimpatri assistiti, nel 2015 sono stati emessi 17 provvedimenti di rimpatrio volontario assistito.

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PROFILASSI E ASSISTENZA SANITARIA

  L'ultima tematica di indagine concerne il sistema di profilassi e assistenza sanitaria, con specifico riguardo alla visita sanitaria di ingresso e alle prestazioni erogabili dal Servizio Sanitario Nazionale. L'obiettivo è quello di individuare le migliori pratiche per coniugare l'esigenza di potenziare la tutela del fondamentale diritto alla salute di coloro che sbarcano sulle nostre coste con la necessità di adottare ogni misura opportuna per la prevenzione dei rischi, a tutela della popolazione residente.

L'attività istruttoria svolta fino al 31 gennaio 2016

  Con riferimento a questo filone di indagine, le principali fonti di informazione sono state le audizioni dei rappresentanti di Medici per i diritti umani (MEDU), Alberto Barbieri e Laura Deotti (25 Maggio 2015); del Presidente della Regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin (18 Giugno 2015); del Presidente del Comitato provinciale di Catania della Croce Rossa Italiana, Stefano Principato (30 Giugno 2015); del sindaco di Roma, Ignazio Marino, e dell'assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Francesca Danese (23 Luglio 2015); della responsabile della Struttura di missione per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), viceprefetto Maria Caprara (1 Ottobre 2015); del Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (22 Ottobre 2015); del Capo missione Italia di Medici senza frontiere, Stefano Di Carlo (17 Novembre 2015); del prefetto di Ragusa, Maria Carmela Librizzi, e del prefetto di Agrigento, Nicola Diomede (26 Gennaio 2016).
  Ulteriori approfondimenti istruttori sono stati effettuati nel corso delle audizioni svolte fuori sede in occasione delle missioni di delegazioni dell'organo parlamentare presso i centri di accoglienza. Si richiamano al riguardo le audizioni svolte a Catania (26 Maggio 2015), Lampedusa (23 Giugno 2015) e Crotone (14 Luglio 2015).
  Di tutte le audizioni – anche quelle svolte fuori sede – è stato redatto un resoconto stenografico disponibile nelle pagine della sezione del sito della Camera dei deputati dedicata all'attività di quest'organo parlamentare, ovviamente per le sole parti non coperte da vincoli di riservatezza.
  Infine, la Commissione ha potuto raccogliere ulteriori elementi durante i sopralluoghi nei seguenti centri di accoglienza: CARA di Mineo (CT), 24 Maggio 2015; CPSA di Pozzallo (RG) 26 Maggio 2015; CPSA di Lampedusa (AG), 22 Giugno 2015; CARA di Isola Capo Rizzuto (KR), 13 Luglio 2015; centro «Baobab» (Roma), 3 Agosto 2015; CARA di Castelnuovo di Porto (RM), 26 Ottobre 2015; CARA di Bari Palese (BA), 10 dicembre 2015. I verbali dei relativi sopralluoghi sono tuttora classificati come riservati.
  Sulle tematiche oggetto del presente paragrafo è stata altresì acquisita agli atti della Commissione un'ingente quantità di materiale documentale.

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Il diritto all'assistenza sanitaria

  In base alla normativa vigente, il richiedente asilo ha diritto all'assistenza sanitaria, all'esenzione dal ticket e al medico di base per tutta la durata della richiesta d'asilo. Tuttavia, dalle audizioni e più in generale dal lavoro di inchiesta svolto, sono emerse difficoltà da parte dei richiedenti asilo nell'accesso alle cure mediche, nonché una sostanziale difformità di procedure sul territorio.
  In particolare è emerso che il superamento dei tempi previsti dalla legge tra la manifestazione della volontà di richiedere protezione e la verbalizzazione della domanda comporta per i richiedenti la prolungata impossibilità di richiedere l'iscrizione anagrafica nel comune di dimora e, con essa, l'assistenza sanitaria piena. In alcune città è molto lungo il tempo di attesa prima di ottenere il codice fiscale, prerequisito per avere la tessera sanitaria, quindi il medico di base e l'esenzione dal ticket. Spesso in questo periodo per garantire l'assistenza sanitaria ai migranti si utilizza il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente), ma trattasi di pratica impropria.
  Non verrà in questa sede richiamata l'attività conoscitiva concernente l'indagine sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati e delle altre categorie vulnerabili, essendo tale argomento oggetto di approfondimento in uno specifico filone di inchiesta.

L'accesso alle cure mediche

  Tra le principali criticità rilevate occorre segnalare quelle derivanti dalle difficoltà economiche dei richiedenti asilo nell'accesso alle cure mediche. Sebbene la normativa europea a tal proposito stabilisca che tale diritto vada garantito sino a che la persona non ha mezzi di sussistenza propri, dal lavoro di inchiesta svolto è emerso che alcune Regioni garantiscono l'esenzione dal ticket ai richiedenti asilo nei primi due mesi dalla presentazione della domanda, altre garantiscono tale diritto per sei mesi.
  La Direttiva europea 2013/33/UE, recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e recepita dal decreto legislativo n. 142 del 2015, in vigore dal 30 settembre 2015, stabilisce che gli Stati membri hanno la possibilità di obbligare il richiedente asilo a sostenere le spese legate all'assistenza sanitaria solo «qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo» (articolo 17 par. 4, direttiva citata). L'articolo 22 del citato decreto legislativo stabilisce che chi richiede protezione in Italia può lavorare decorsi 2 mesi dalla presentazione della domanda di asilo, portando così da 6 mesi a 60 giorni il limite per l'accesso al mercato del lavoro. Decorso tale termine, i richiedenti asilo hanno diritto a intraprendere un'attività lavorativa, ma, se non hanno reperito alcun lavoro o non sono economicamente autosufficienti, hanno diritto all'esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria.
  Nei fatti, dunque, per il periodo in cui il richiedente asilo non ha diritto di lavorare, egli viene equiparato al «disoccupato». Durante questo periodo, di fatto, si esauriscono le prime fasi della procedura Pag. 138di richiesta della protezione internazionale ed egli non è quasi mai nelle condizioni di poter effettivamente reperire un impiego. Trascorsi i 60 giorni, poiché può lavorare, secondo un consolidato orientamento, se non ha trovato alcun impiego viene iscritto alle liste di collocamento come «inoccupato», categoria che non ha diritto all'esenzione dal ticket. In altre parole, secondo l'orientamento seguito da molte Regioni, il richiedente asilo perde il diritto all'esenzione, indipendentemente dal fatto che abbia effettivamente reperito un lavoro.
  È pertanto da più parti auspicato che vengano adottate adeguate misure legislative o regolamentari che recepiscano correttamente quanto stabilito dalla normativa europea.
  Sul tema si sono soffermati alcuni rappresentanti di istituzioni territoriali. In particolare il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, nell'audizione del 22 ottobre 2015, ha presentato alla Commissione un progetto che prevede l'istituzione di un Codice unico nazionale di esenzione, valevole per il periodo necessario al riconoscimento della protezione, attuabile in tutte le Regioni, al fine di garantire certezza e uguaglianza del diritto, accessibilità delle prestazioni e omogeneità tra le Regioni italiane. Secondo il Presidente Zingaretti, l'introduzione di questo codice non comporterebbe un aumento dei costi, perché eviterebbe che coloro che si recano presso il sistema di assistenza per ricevere una prestazione sanitaria, di fronte alla richiesta del ticket, cadano nell'oblio della marginalità, con il problema di cure che si aggrava, oppure inevitabilmente si rivolgano al pronto soccorso, il quale ovviamente prende in carico il paziente. Tutto ciò determina un inevitabile aumento della gravità dei costi e di peso sul Sistema Sanitario regionale e, quindi, nazionale.
  Il Presidente Zingaretti ha riferito alla Commissione che peraltro, già dal 2014, la Regione Lazio ha istituito il codice regionale di esenzione dal ticket, che comprende, tra gli altri, i minori stranieri non accompagnati e gli stranieri irregolari con meno di 6 anni o più di 65, richiedenti protezione internazionale, limitatamente ai primi sei mesi dalla data di ingresso.
  Dall'audizione è emerso inoltre che la Regione Lazio, nell'agosto 2014, ha fornito indicazioni dettagliate per l'organizzazione delle attività di carattere sanitario da intraprendere a favore dei cosiddetti «transitanti», gli immigrati non propensi a richiedere asilo in Italia e diretti verso i Paesi Nord europei che vivono all'interno di edifici o campi occupati dell'area metropolitana romana, disponendo che, all'interno degli edifici occupati, le attività sanitarie vengano assicurate da équipe socio-sanitarie afferenti alle ASL Roma B e Roma A, con il coinvolgimento dell'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti, della Croce Rossa, dell'Associazione «Cittadini del mondo» e di Medici per i diritti umani.
  Sempre con riferimento all'accoglienza dei transitanti, si segnala che l'assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, Francesca Danese, audita congiuntamente al sindaco, Ignazio Marino, il 23 luglio 2015, ha annunciato l'avvio di un progetto di riconversione dell'ex Ferrhotel – struttura di mille metri quadri presso la stazione Tiburtina, ceduta in comodato d'uso da Ferrovie dello Stato a Roma Capitale – in centro di accoglienza, mentre un protocollo d'intesa firmato da tutte le ASL della città garantirà l'assistenza sanitaria. Pag. 139Nell'audizione del 4 agosto 2015 la stessa assessore Danese ha affermato che il comune di Roma ha attivato un protocollo d'intesa socio-sanitario con l'ex Istituto San Gallicano, con l'RM/A e l'RM/B e con Amnesty International, al fine di fornire assistenza sanitaria a tutte le persone senza fissa dimora, anche transitanti.
  Il Presidente della Regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin, audito dalla Commissione il 18 giugno 2015, ha sottolineato le difficoltà relative allo screening sanitario qualora giungano sul territorio gruppi di migranti senza adeguato preavviso da parte del Ministero dell'Interno. Con riferimento ad episodi di questo genere, verificatisi in Valle D'Aosta, «(...) abbiamo dovuto sistemare queste persone in quattro ore. Preciso che queste persone in teoria sono state visitate, ma di fatto non lo sono e non hanno certificati, pertanto creano problemi di inserimento molto alti. Di conseguenza, abbiamo dovuto fare con urgenza le visite mediche a questi soggetti, alcuni dei quali, com'era prevedibile, sono portatori di alcune malattie (scabbia e così via). Il problema più grave riguarda i migranti che arrivano da alcuni Paesi e che non hanno i documenti. Mi riferisco alla Sierra Leone e ad altri Paesi, dove c’è il problema dell'ebola, con tutto quello che ne consegue». E a tal proposito sottolineava altresì l'allarme sociale che scaturisce da codeste situazioni.

La salute mentale e psicologica dei migranti

  Per ciò che attiene invece la questione della salute mentale e del benessere psicologico dei migranti, i rappresentanti di MEDU nell'audizione del 25 maggio 2015 hanno riferito che circa il 40 per cento dei migranti con cui vengono a contatto sono affetti da un disturbo di natura psichiatrica, cui talvolta associano anche delle manifestazioni fisiche, perché la quasi totalità di coloro che sbarcano sulle coste italiane ha un vissuto estremamente doloroso: il 70 per 100 dei rifugiati ha infatti trascorso almeno un mese in prigionia e ha subìto violenze, torture e trattamenti inumani e degradanti che vanno dalla mancanza di cibo a condizioni igieniche precarie, mancanza di trattamenti medici, oltre a traumi di diversa natura.

La conservazione della cartella personale

  Una delle criticità emerse dal lavoro di inchiesta riguarda il fatto che quando un migrante arriva in un centro e viene sottoposto a screening sanitario, viene sottoposto ad esami strumentali a volte anche piuttosto importanti. Successivamente, quando viene trasferito dalla prima alla seconda accoglienza, il più delle volte si trova a dover ripetere le visite mediche e gli esami. Ciò non solo comporta un esborso economico non indifferente, ma spesso, non rimanendo traccia delle eventuali patologie, questo ritardo delle risposte sanitarie può creare delle criticità.
  Stefano Principato, presidente del Comitato provinciale di Catania della Croce Rossa Italiana, durante l'audizione del 30 giugno 2015 ha dichiarato: «Un'esigenza fondamentale di cui ci eravamo resi conto era Pag. 140quella di dotare il migrante, con un software particolare, di una sorta di cartella clinica digitale. Croce Rossa di Catania ha dato la possibilità all'Assessorato regionale della Sicilia di fornire gratuitamente questo software per poter dotare tutti i centri della Regione di questo strumento affinché, se il migrante passa da una struttura all'altra, non si debba ricominciare da zero a fare le terapie, ma attraverso un semplice click sia possibile avere tutti gli esami sanitari, gli esami clinici e tutte le somministrazioni effettuate». Ed ha aggiunto: «Si tratta di un servizio piuttosto importante, che è stato elogiato – lo dico per correttezza – dall'OMS, dal Ministero della salute e dalla Commissione europea, che ne hanno lodato le caratteristiche e hanno visto in questa soluzione un miglioramento oggettivo e fondamentale per la salute dei migranti».

L'ASSISTENZA SANITARIA ALL'INTERNO DEI CENTRI

Cara di Mineo (CT), 25 maggio 2015

  Durante la missione della Commissione svoltasi in Sicilia orientale, dal 25 al 27 maggio 2015, la delegazione che ha svolto un sopralluogo presso il CARA di Mineo ha potuto riscontrare numerose situazioni di particolare vulnerabilità che non sembravano essere state adeguatamente prese in considerazione dai servizi sociali e dalle strutture medico-sanitarie all'uopo preposte.
  La delegazione della Commissione ha visitato il presidio medico, gestito dalla Croce Rossa Italiana, verificando che esso si avvale di due autoambulanze della Protezione civile ed è funzionante nella somministrazione di farmaci e nella attività ambulatoriale, ma i locali sono apparsi del tutto privi di attrezzature mediche; inoltre la presenza di specialisti risulta essere a cadenza settimanale, quindi del tutto insufficiente, tenuto conto del numero degli abitanti del centro.
  Infine, non è risultato chiaro se l'ente gestore del CARA fosse in possesso dei dati che – in virtù del capitolato di appalto – esso è tenuto a rilevare e a trasmettere ogni due mesi alla Prefettura di Catania. Si tratta in particolare del rapporto sui servizi effettivamente erogati, in cui occorre indicare anche le criticità e, in particolare, gli effetti determinati dall'andamento dei flussi delle presenze in relazione ad eventuali situazioni di emergenza. Esso dovrebbe contenere: la quantità delle prestazioni sanitarie effettuate e le urgenze sanitarie cui si è provveduto; una scheda riassuntiva delle prestazioni di assistenza generica alla persona; il numero delle presenze effettive di personale proprio destinato ai compiti di assistenza generica alla persona, di assistenza sanitaria e servizio di pulizia ed igiene ambientale registrate; l'analisi dei costi del personale utilizzato per tutti i servizi, anche in comparazione con i precedenti rapporti, per quelli successivi al primo; la quantità dei beni acquistati ed oggetto di tutte le forniture contrattuali.
  Con riferimento in generale ai servizi di assistenza sanitaria dei migranti all'interno del CARA di Mineo, dall'audizione dei rappresentanti di Medici per i diritti umani (MEDU), Alberto Barbieri e Laura Deotti, che ha avuto luogo il 25 maggio 2015, è emerso che Pag. 141questi sono forniti dalla Croce Rossa 24 ore su 24, 7 giorni su 7: «al momento dell'ingresso al centro, viene fatto uno screening medico dopodiché, se vi sono dei segnali di allarme, l'ospite viene richiamato per una visita ambulatoriale oppure l'ospite stesso può recarsi allo sportello appositamente istituito, iscriversi, dopodiché potrà accedere a un medico». Per i farmaci che vengono loro prescritti, gli ospiti del centro devono recarsi ogni giorno allo sportello per ricevere la terapia, dose per dose. Gli auditi hanno sottolineato tuttavia che, essendovi una situazione cronica di sovraffollamento, vi sono spesso lunghe file per accedere ai servizi: «alcuni dei pazienti con cui abbiamo parlato riferiscono di aver ripetutamente chiesto di iscriversi e di essere visitati, ma i lunghi tempi di attesa e i numeri grandissimi non permettono di ricevere un ascolto dedicato e molto spesso si sono ritrovati a dover spiegare ad un medico diverso il solito problema».
  Per ciò che riguarda in generale l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, gli auditi, sempre con riferimento al CARA di Mineo – struttura in cui MEDU è una presenza costante da novembre 2014 –, hanno affermato di considerare la mancata iscrizione al SSN una delle conseguenze derivanti dalle caratteristiche peculiari del «modello CARA», modello «fallimentare per sua natura», «macrostruttura di dimensioni abnormi, sita in un contesto completamente isolato, che crea storture difficilmente recuperabili, se l'obiettivo è quello di dare una buona accoglienza, favorire un percorso di integrazione e dare un supporto adeguato alle persone vulnerabili».
  Gli auditi hanno infatti spiegato che «l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale vorrebbe dire che a ciascuno dei 4.000 ospiti del CARA dovrebbe essere assegnato un medico che afferisce alle ASL di Mineo e di Caltagirone, il che non è assolutamente fattibile. Il fatto che la Croce Rossa fornisca assistenza tramite il tesserino STP probabilmente è ragionevole, considerate le condizioni del CARA, ma comunque pone il centro in una condizione di “extraterritorialità sanitaria” perché comunque la legge prevede l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale».
  Secondo i rappresentanti di MEDU, la soluzione più opportuna sarebbe quella di stipulare convenzioni con le altre ASL del territorio, in base alle quali affidare ad esse i servizi che afferiscono alla medicina di base. Un'altra possibilità potrebbero essere le unità mobili delle ASL che vanno regolarmente nel centro oppure il potenziamento del servizio che fornisce in loco la Croce Rossa.
  Gli auditi hanno infine segnalato che, anche quando gli ospiti lasciano il centro, non viene loro fornito alcun orientamento su come iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale.
  Riguardo allo screening sanitario d'ingresso al CARA di Mineo, i rappresentanti MEDU hanno affermato: «alcuni operatori della Croce Rossa ci hanno riferito che le modalità non sono molto approfondite perché non c’è tempo. Ad esempio spesso il paziente non viene neanche fatto spogliare. Gli vengono rivolte alcune domande generiche però è molto difficile che in questa sede si riscontrino per esempio – per quello che interessa anche noi – segni fisici di violenze o evidenze psicologiche. Si tratta quindi di uno screening molto superficiale per le esigenze stesse determinate dai grandi numeri».Pag. 142
  Per quanto riguarda l'assistenza psicologica, essi affermano che all'interno del CARA di Mineo vi è un numero sicuramente insufficiente di operatori (sei o sette psicologi per 800 persone). «In più – aggiungono – c’è uno psichiatra che dovrebbe essere presente una volta alla settimana, ma che, avendo in carico ben 350 pazienti, spesso ha la possibilità di fornire loro solo un supporto farmacologico».
  Per quanto riguarda i servizi sanitari erogati a donne e bambini all'interno del CARA di Mineo, Sebastiano Maccarrone, direttore del consorzio «Nuovo CARA Mineo», audito dalla Commissione durante la missione del 26 maggio 2015 in Sicilia orientale, riferisce che «la Croce Rossa e l'ATI hanno stipulato delle convenzioni con alcuni enti ospedalieri per avere la presenza all'interno del campo di due ginecologi, che vengono puntualmente, e di tre pediatri, che fanno ambulatorio all'interno del CARA stesso. Sono stati avviati progetti di informazione sul rispetto della persona e anche sui sistemi contraccettivi». Per quanto riguarda i servizi ai bambini e ai nascituri il dottor Maccarrone riferisce esservi una apposita struttura, chiamata «Punto mamma» che provvede a «erogare servizi alle donne partorienti insieme al servizio sociale, tra cui l'accompagnamento in ospedale al momento del parto. Al rientro viene consegnato un kit per il neonato, con il biberon e una serie di altri beni. Viene garantito il servizio alla mamma e al nascituro, nonché ai bambini».
  Il vicedirettore del consorzio nella stessa audizione si è soffermato sui progetti ad hoc per le donne «mirati alla sensibilizzazione circa le malattie sessualmente trasmissibili (MST) e la portabilità di una gravidanza, gestiti in collaborazione con la Croce Rossa e, dove occorre, anche con il Policlinico di Catania».

CPSA di Pozzallo (RG), 27 maggio 2015

  Nell'ambito della missione in Sicilia orientale, svoltasi dal 25 al 27 maggio 2015, una delegazione della Commissione il 27 maggio 2015 ha svolto un sopralluogo al CPSA di Pozzallo che, tuttavia, in quel momento era vuoto. Si è comunque rilevata una totale promiscuità delle sistemazioni, la necessità di manutenzione – che il prefetto di Ragusa, dottor Vardè, ha assicurato essere già programmata e finanziata – e la difficoltà di utilizzare spazi esterni durante la permanenza.
  Il 17 novembre 2015 la Commissione ha svolto l'audizione dei rappresentanti di Medici Senza Frontiere, i quali hanno presentato alla Commissione il Rapporto sulle condizioni di accoglienza nel Centro di Primo Soccorso ed Accoglienza (CPSA) di Pozzallo, all'interno del quale l'organizzazione opera congiuntamente con l'ASP di Ragusa.
  Con riferimento allo screening sanitario, l'audito ha riferito che un primo screening viene effettuato sulla barca dai medici dell'USMAF (Uffici di Sanità Marittima, Aerea e di Frontiera); un secondo screening viene effettuato dai medici urgentisti dell'ASP sulla banchina, subito dopo che il paziente è sceso dalla nave, per venire incontro alle urgenze mediche e a chi ha bisogno di essere ricoverato in pronto soccorso; un ultimo screening infine ha come obiettivo Pag. 143l'identificazione delle malattie contagiose (che ovviamente si verificano all'inizio, prima di entrare al centro perché eventualmente il paziente viene separato dagli altri). Le sintomatologie più frequenti in questa fase sono legate principalmente a scabbia e a problemi dermatologici; l'altra grande famiglia di patologie più frequenti è quella a carattere respiratorio.
  All'interno del centro si svolge poi una seconda fase, in cui si visitano nuovamente tutti gli ospiti, con maggiore calma. Nell'ambulatorio è presente un infermiere ventiquattr'ore su ventiquattro e un medico per otto ore al giorno (si tratta di équipe miste con l'ASP). Le patologie riscontrate sono prevalentemente di origine dermatologica, respiratoria e gastrointestinale. Meno del 5 per cento ha bisogno di un ricovero o di essere mandato in pronto soccorso, se si escludono le donne gravide, per le quali si predispone il ricovero nei reparti di ginecologia a Modica o a Ragusa, in base alla disponibilità.
  Con riferimento all'assistenza psicologica dei migranti, il dottor Di Carlo ha spiegato che, visto che gli ospiti rimangono nel CPSA di Pozzallo per poco tempo, il supporto che può essere fornito loro è piuttosto scarso ed è indirizzato prevalentemente alle persone che manifestano una sintomatologia legata al post-trauma nelle ore immediatamente dopo lo sbarco. Si verificano episodi di autolesionismo, soprattutto tra i minori, ma emergono in un secondo momento e non nelle prime ore o nei primi giorni dopo lo sbarco, e spesso sono legati proprio ad una permanenza prolungata in un centro.
  Riguardo alla profilassi, il dottor Di Carlo ha sottolineato la mancanza all'interno del centro di Pozzallo di un'area adeguata per il trattamento della scabbia, patologia fortemente rilevata dai medici di MSF e trattata insieme all'ASP di Ragusa. L'audito dichiara che l'organizzazione di Medici Senza Frontiere ha già fatto presente questo problema alle autorità e ha presentato delle proposte per l'implementazione di una soluzione.
  Dopo aver denunciato le carenze del sistema di prima accoglienza, nonché le condizioni in cui vengono accolti migranti e rifugiati appena sbarcati – ad avviso dell'organizzazione precarie e poco dignitose, quali sovraffollamento, scarsa informazione legale e tutela dei diritti –, il 30 dicembre 2015 Medici Senza Frontiere ha annunciato l'uscita dal CPSA di Pozzallo.
  Il prefetto di Ragusa, Maria Carmela Librizzi nell'audizione del 26 gennaio 2016, con riferimento all'abbandono del centro da parte di Medici Senza Frontiere, ha dichiarato: «Le critiche evidenziate da Medici Senza Frontiere sono state tutte attivate dall'ente gestore, che però, un po’ come tutti gli enti gestori, è un po’ lento nella realizzazione dei lavori (...). C’è stata la disinfestazione dell'intero centro, le docce sono state dotate tutte di coperture e tutto il centro è stato ridipinto. È chiaro che, quando c’è una presenza di 500 persone, che dà luogo anche a episodi vandalici, occorre necessariamente un periodo di assestamento».

CPSA di Lampedusa (AG), 22 giugno 2015

  Durante la missione della Commissione svoltasi a Lampedusa il 22 e 23 giugno 2015, la delegazione che il 22 giugno ha svolto il Pag. 144sopralluogo presso il CPSA di Contrada Imbriacola ha potuto riscontrare che al momento dell'arrivo dei migranti, sul luogo dello sbarco viene prestato un primo controllo medico e i migranti vengono suddivisi in base alla patologia; successivamente presso il CPSA avviene un secondo screening medico d'ingresso e viene compilata una scheda sanitaria in formato cartaceo per ciascun ospite. Una copia della scheda viene consegnata all'ospite stesso e un'altra al responsabile della scorta d'accompagnamento al centro di destinazione. In quella sede la Commissione ha riscontrato una certa approssimazione nella redazione delle schede informative e, soprattutto, l'assenza di supporti informatici che possano consentire di «mettere in rete» i dati sanitari fino a quel momento raccolti.
  La vicedirettrice del CPSA, Caterina Rodio, audita il giorno successivo al sopralluogo, ha fornito alla Commissione un modello di «scheda di procedura di attivazione del servizio psico-sociale con una ricerca di indicatori per l'identificazione delle categorie a rischio durante l'esame medico obiettivo di ingresso» elaborata dai gestori del centro dopo le perplessità espresse dalla delegazione durante la visita al centro della giornata precedente. La scheda è stata acquisita ed è agli atti. Lo screening è anche finalizzato ad una valutazione immediata del profilo psicosociale, per individuare i soggetti particolarmente vulnerabili. Presso il presidio medico, allestito all'interno della struttura, sono presenti n. 2 medici e un paramedico che prestano servizio con partita iva ed i contratti hanno durata quindicinale con turni h24, garantiscono l'assistenza fino all'eventuale ricovero presso strutture del Servizio Sanitario Nazionale.
  La delegazione ha potuto inoltre assistere alle operazioni connesse all'arrivo di migranti intercettati da motovedette della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza e ha potuto verificare l'effettuazione di un sommario screening sanitario da parte del responsabile dell'ASP, il dottor Pietro Bartolo e relativa separazione di sospetti casi di scabbia, nonché l'effettuazione delle necessarie operazioni di accoglienza e primo intervento da parte degli operatori della misericordia e di altri volontari.
  Sempre con riferimento allo screening iniziale, il Comandante della Guardia di Finanza Salvatore Di Grande, audito il 23 giugno, ha specificato che, a bordo delle navi che svolgono le operazioni di soccorso nelle acque lampedusane, un primo screening medico viene effettuato dal personale medico e paramedico del CISOM, il Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta.
  Merita infine sottolineare che, nella sua audizione del 26 gennaio 2016 a Roma, il prefetto di Agrigento Nicola Diomede ha dichiarato che «sotto i profili dell'assistenza, dei servizi di assistenza generica alla persona e dei servizi di carattere sanitario, nel passaggio da CPSA a hotspot (28 settembre 2015) non è cambiato nulla».

Centri per minori di Giarre e di Mascali (CT), 3 luglio 2015

  Il 3 luglio 2015 una delegazione della Commissione si è recata presso le comunità per minori ubicate in provincia di Catania: prima a Giarre (Comunità Arcobaleno) e successivamente in località Nunziata Pag. 145di Mascali. Nel corso dei sopralluoghi presso le strutture di Giarre sono emerse gravissime carenze igienico-sanitarie che la Commissione ha segnalato alle autorità competenti ed al prefetto Morcone, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'Interno durante la sua audizione del 21 luglio 2015. Risulta che nel mese di agosto 2015 il sindaco, d'accordo con la Prefettura, ha emesso l'ordinanza di chiusura dei centri.

Cara di Sant'Anna (Isola Capo Rizzuto, KR), 13 luglio 2015

  Nell'ambito della missione a Crotone, svoltasi il 13 e 14 luglio 2015, una delegazione della Commissione ha svolto una visita ispettiva presso il CARA di Isola Capo Rizzuto, in località Sant'Anna. Per ciò che riguarda l'assistenza sanitaria fornita ai migranti, la delegazione ha incontrato gli operatori dei servizi di assistenza alla persona, deputati a fornire un servizio psicologico, supportare persone vulnerabili e inoltrare le richieste di seconda accoglienza. Gli operatori hanno affermato di svolgere colloqui individuali con almeno il 60% degli ospiti e di fornire informazioni specifiche alla totalità dei presenti. Il servizio conta 6 addetti per un turno orario 8.30- 18.30. Il servizio psicologico è svolto da 1 psicologo e 3 specializzandi nella materia. È stato riferito alla delegazione che essi operano in stretto contatto con il servizio psichiatrico di Crotone. Le risultanze di questa attività di assistenza sono riportate in due distinti registri, uno dei quali riguarda esclusivamente i soggetti vulnerabili, mentre viene compilato un «modello F» che segue il migrante nei suoi successivi spostamenti.
  La delegazione si è quindi soffermata in infermeria, prendendo atto della difficoltà segnalata dal responsabile di accesso al SSN per i tempi troppo lunghi di iscrizione. Risultano circa 200 visite giornaliere, effettuate da 1 medico, 3 infermieri e diversi ausiliari, anche per lo svolgimento del servizio di trasporto che viene garantito da 2 ambulanze.
  Per quanto riguarda i tempi per l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, Leonardo Sacco, vicepresidente delle Misericordie d'Italia, ente gestore del CARA di Isola Capo Rizzuto, audito il 14 luglio 2015, durante la missione della Commissione a Crotone, ha riferito che dal momento in cui si richiede all'Agenzia delle entrate il codice fiscale dell'ospite e con esso la possibilità di accedere al Servizio Sanitario Nazionale, fino al momento in cui si ottiene, passano 9 o 10 mesi (e spesso, dopo tutto questo tempo, l'ospite è già uscito dal centro).
  L'audito ha riferito che «nonostante la Prefettura più volte abbia convocato il direttore dell'Agenzia delle entrate, chiedendo dei canali preferenziali, non c’è stato verso di ridurre questo tempo a meno di nove-dieci mesi. Capite bene che un ospite non può restare all'interno del centro per dieci mesi senza avere l'assistenza sanitaria», perciò si procede attraverso le tessere STP.

Centro Baobab, Roma, 3 agosto 2015

  Il 3 agosto 2015 una delegazione della Commissione ha svolto un sopralluogo presso il Centro Baobab, con sede in Roma, punto di Pag. 146riferimento e di accoglienza per stranieri c.d. «transitanti», ossia per coloro che si sono volontariamente sottratti alle operazioni di identificazione in quanto intenzionati a raggiungere altri Paesi europei senza incorrere pertanto nelle prescrizioni imposte dalla Convenzione di Dublino. Sul posto la delegazione ha incontrato informalmente il direttore sanitario dell'Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (INMP), dottor Antonio Fortino, il quale ha rappresentato che l'Istituto garantisce presso il centro un servizio di assistenza sanitaria che prevede alcuni esami diagnostici quali l'esame delle urine e delle feci, volti ad accertare lo stato di salute di base degli ospiti e l'eventuale presenza di malattie tipiche, quali TBC, scabbia e HIV e che gli esiti dei predetti accertamenti, pur rilevando alcune ricorrenze, non destano allarme sanitario. Il dottor Fortino ha inoltre affermato che, in virtù della stipula di una convenzione con la Regione Lazio, l'approvvigionamento dei farmaci non presenta criticità.
  In un incontro informale, il dottor Giancarlo Santone, coordinatore del Centro salute per migranti forzati (SA.MI.FO) ha rappresentato che: gli ospiti del centro Baobab presentano segni evidenti di trauma psicologico legati al lungo e faticoso viaggio intrapreso per raggiungere l'Italia; la situazione di sovraffollamento e promiscuità del centro non aiuta ad alleviare i traumi pregressi, oltretutto aggravati dal fatto di dover intraprendere un imminente, nuovo viaggio per raggiungere Paesi esteri; particolarmente delicata si presenta la situazione psicologica delle donne, la maggior parte delle quali risulta aver subito, nel Paese di origine, mutilazioni genitali o violenze sessuali durante il viaggio, con conseguente stato di gravidanza.

CIE di Ponte Galeria (RM), 26 ottobre 2015

  Dal sopralluogo presso il CIE di Ponte Galeria (RM), effettuato il 26 ottobre 2015, è emerso che non risulta ancora superato del tutto il problema riferito all'apporto del Servizio Sanitario Nazionale, atteso che non è stato ancora perfezionato il protocollo operativo. Il rappresentante della Prefettura ha assicurato che la problematica è in corso di soluzione (il protocollo di intesa tra la Prefettura e la ASL Roma D è stato poi sottoscritto il 12 novembre 2015). Su richiesta delle delegazione, è stato precisato che nessuna convenzione è stata stabilita con l'Istituto San Gallicano, stante la problematica dei trasporti degli ospiti, che richiede per ciascun singolo ospite un servizio di pattuglia, quand'anche la destinazione di più ospiti sia la medesima.

Cara di Castelnuovo di Porto (RM), 26 ottobre 2015

  Sempre il 26 ottobre 2015 la delegazione della Commissione si è recata presso il CARA di Castelnuovo di Porto, dove ha avuto modo di incontrare i responsabili dell'ente gestore del centro (Cooperativa Auxilium). Dall'incontro è emerso che il centro ha attivato – non Pag. 147essendo stato fatto dalla precedente gestione – una convenzione con l'ASL per l'iscrizione in tempi brevi al Servizio Sanitario Nazionale.
  Il responsabile dei servizi sanitari, dottor Lo Palco, ha confermato che entro 24 ore dall'arrivo, all'ospite viene consegnato il tesserino provvisorio per poi accedere al Servizio Sanitario Nazionale con un medico di base e che ciò accade «mediamente entro 20 gg.».
  Il dottor Lo Palco ha successivamente illustrato ai commissari come viene redatta una cartella clinica, precisando che ciò avviene senza che si abbia alcuna conoscenza degli esiti di eventuali precedenti controlli. In questa fase si assume la decisione in ordine alla necessità di ulteriori esami medici.
  Il responsabile dei servizi sanitari ha quindi evidenziato la collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità per la ricerca medica nel settore specifico. Ha precisato infine che il servizio assicura circa 150 visite giornaliere e ha in organico 8 medici e 6 infermieri che coprono le 24 ore e che la fornitura di medicine avviene «presso una farmacia del territorio».
  Il servizio psicologico, deputato a seguire le situazioni di vulnerabilità, è assicurato da 4 psicologi coadiuvati da 2 assistenti sociali e si appoggia alle strutture del San Gallicano e Sant'Andrea, oltre al SerT. Sono seguiti attualmente circa 100 casi, con le relative cartelle cliniche che – assicurano i responsabili – sono poi trasmesse alle strutture di seconda accoglienza.

CIE di Bari Palese 10 dicembre 2015

  Durante la missione svoltasi a Bari nelle giornate del 10 e 11 dicembre 2015, al fine di effettuare un monitoraggio del sistema di accoglienza e trattenimento dei migranti nel capoluogo pugliese e nella provincia, una delegazione della Commissione ha svolto un sopralluogo presso il CIE di Bari Palese.
  Dai colloqui con gli ospiti sono emersi i seguenti elementi: tutti gli ospiti sono esenti dal ticket sanitario poiché titolari della tessera STP; il supporto psicologico risulterebbe insufficiente; la somministrazione degli psicofarmaci avverrebbe a richiesta degli ospiti stessi, specie quelli che manifestano atteggiamenti aggressivi o, al contrario di depressione, senza una valutazione medica adeguata.

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LE INCHIESTE GIUDIZIARIE

Premessa

  La Commissione ha programmato di dedicare un segmento dell'attività di indagine all'analisi delle risultanze delle principali inchieste giudiziarie che hanno coinvolto il settore dell'accoglienza.
  Gli elementi emersi dal complesso delle audizioni, della documentazione acquisita e dall'attività ispettiva svolta con specifico riguardo al CARA di Mineo, di cui si farà comunque un breve cenno nel presente paragrafo, saranno dettagliatamente analizzate e compendiate in una specifica relazione in corso di ultimazione.
  I costi per l'accoglienza dei migranti che affluiscono in modo perdurante e massiccio sulle coste italiane costituiscono, ormai, un importante capitolo della spesa pubblica italiana e, conseguentemente, una voce economica di assoluto rilievo che va preservato da rischi di speculazioni e condotte criminali, come purtroppo accaduto nel recente passato.
  Infatti, pur essendo l'immigrazione clandestina via mare un problema datato del nostro Paese, con la dichiarazione dello stato di emergenza connesso alle cc.dd. primavere arabe del 2011 è maturata in alcuni l'idea che l'accoglienza rappresenta un vero e proprio business.
  In ragione di tale premessa, uno dei campi d'azione della Commissione ha riguardato le inchieste giudiziarie di settore, con il compito di comprendere le lacune del sistema, attesi anche i rischi connessi al costante abbattimento dei costi pro capite – pro die, ormai dimezzati rispetto alla fase emergenziale.
  Va rilevato come tale segmento di indagine sia stato caratterizzato da uno spirito di pieno rispetto degli ambiti di pertinenza della magistratura, ma anche dalla consapevolezza di come la documentazione giudiziaria acquisita (a partire dalla fondamentale operazione nota come «Mafia capitale», condotta dalla Procura della Repubblica di Roma), possa far emergere chiavi di lettura utili a comprendere il passato, nonché suggerimenti di misure correttive da introdurre nel sistema per prevenire condotte analoghe.
  Le vicissitudini, non solo giudiziarie del CARA di Mineo, in ragione della loro complessità e risonanza mediatica, rappresentano, quindi, una sorta di paradigma dell'intreccio affaristico criminale nella gestione dell'emergenza migratoria, ma non costituiscono certo un caso isolato.
  Altre inchieste, anch'esse oggetto di attenzione da parte dell'organo parlamentare, confermano la spregiudicatezza con la quale soggetti senza scrupoli hanno cercato di lucrare sulla pelle dei migranti.
  Improvvisati imprenditori del settore, approfittando di una gestione perennemente emergenziale, sono riusciti ad aggiudicarsi soprattutto bandi per l'apertura di CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria), che, a dispetto del nome, costituiscono ancora i due terzi dell'intero sistema di accoglienza.
  La necessità delle Prefetture di individuare repentinamente strutture ove collocare migranti, talvolta in numero consistente, non Pag. 149sempre ha consentito agli Uffici Territoriali di Governo di controllare adeguatamente la qualità e l'idoneità delle strutture offerte.
  Le resistenze e i pregiudizi delle popolazioni locali hanno reso ulteriormente difficile il compito dei prefetti ed il risultato finale è stato, spesso, la collocazione dei migranti in strutture periferiche, dismesse ovvero senza le necessarie garanzie sulla qualità dei servizi offerti o degli standard di accoglienza.

Mafia capitale

  La principale inchiesta giudiziaria, i cui primi esiti documentali sono stati acquisiti e vagliati in chiave preventiva e propositiva dalla Commissione è l'indagine ormai convenzionalmente nota come Mafia Capitale nel cui ambito risulta indagato, tra gli altri, Salvatore Buzzi, che nel corso di una conversazione telefonica intercettata ebbe a pronunciare la frase – tristemente assurta a simbolo di un modo deleterio di intendere l'accoglienza – che «gli immigrati garantiscono guadagni superiori al traffico della droga».
  Proprio dalla lettura delle migliaia di pagine trasmesse dalla Procura di Roma, sinteticamente illustrate dal Procuratore Capo Giuseppe Pignatone e dal p.m. Giuseppe Cascini nel corso della loro audizione del 17 giugno 2015, emerge un collaudato sistema illecito caratterizzato da accordi di cartello tra diverse cooperative con conseguente spartizione del mercato e ricorso reiterato alla proroga degli affidamenti, in virtù di collusioni con pubblici ufficiali, che garantivano il mantenimento di prezzi elevati.
  Al riguardo, ulteriori elementi di approfondimento sono stati acquisiti attraverso le audizioni del prefetto di Roma Franco Gabrielli (seduta del 18 giugno 2015), del sindaco pro-tempore Ignazio Marino, dell'assessore pro-tempore alle politiche sociali Francesca Danese (sedute del 23 luglio e 4 agosto 2015), del Presidente dell'ANAC, Raffaele Cantone (seduta del 10 novembre 2015) e dalla lettura della relazione della Commissione prefettizia di accesso presso gli uffici di Roma Capitale, anch'essa richiesta ed acquisita agli atti della Commissione.
  Su tale vicenda giudiziaria, la Commissione si riserva di produrre una relazione dettagliata.

Cara di Mineo

  Sempre dalla Procura di Roma, sono state acquisite le risultanze di un secondo filone di inchiesta e l'interrogatorio reso dall'indagato Luca Odevaine, che ha svelato le trame illecite del più grosso appalto bandito in questo settore, quello da cento milioni di euro per la gestione triennale del CARA di Mineo, oggetto di visita ispettiva svolta da una delegazione della Commissione il 25 maggio 2015.
  Nella circostanza, il 26 maggio 2015, la Commissione ha anche svolto le audizioni del responsabile del CARA, Sebastiano Maccarrone, del direttore del consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», Giovanni Ferrera, del sindaco di Mineo e presidente del consorzio, Anna Aloisi, Pag. 150del sindaco di Vizzini, Marco Aurelio Sinatra, del prefetto di Catania Maria Guia Federico.
  Nel quadro degli approfondimenti relativi alle vicissitudini giudiziarie del CARA di Mineo, nella medesima circostanza sono stati inoltre auditi Giovanni Salvi e Giuseppe Verzera, nella loro qualità, di Procuratore rispettivamente di Catania e Caltagirone, che hanno condotto ulteriori indagini sul centro di accoglienza della provincia etnea afferenti, tra l'altro, un'ipotesi di truffa connessa alla rilevazione delle presenze.
  Ma la consapevolezza che Mineo può essere portato ad esempio di un sistema di accoglienza fallimentare basato sui grandi centri anziché sull'accoglienza diffusa, ha indotto questa Commissione ad indagare anche sulla genesi e sulla governance della struttura.
  Sul punto, sono stati auditi:
   • il 30 giugno 2015, rappresentanti della C.R.I., a cui, nei primi mesi della fase emergenziale, fu affidata l'intera gestione del CARA e successivamente la sola erogazione del servizio di assistenza sanitaria. Dall'analisi dei bilanci forniti è quindi emerso che le prestazioni hanno garantito consistenti utili netti, che, a dire degli auditi, sarebbero stati impiegati nella realizzazione di progetti a favore di minori stranieri non accompagnati;
   • il 24 giugno e il 22 dicembre 2015, il sottosegretario Giuseppe Castiglione, nella sua qualità di soggetto attuatore del CARA nella fase emergenziale e sulle conseguenti procedure adottate per l'affidamento dei servizi all'interno del centro;
   • il 17 dicembre 2015 le prefette Francesca Cannizzo e Rosetta Scotto Lavino, che nel 2013 ricoprivano, rispettivamente, il ruolo di prefetto di Catania e direttore Centrale del Dipartimento Libertà Civili, sulle ragioni che indussero, nella fase post emergenziale, ad affidare la gestione del centro al consorzio dei comuni del calatino, anziché all'Ufficio Territoriale di Governo.

  Dal complesso delle audizioni, dalla documentazione acquisita e dall'attività ispettiva svolta, che saranno dettagliatamente analizzate e compendiate in una specifica relazione in corso di ultimazione, la Commissione ritiene che si possano anticipare alcune considerazioni di carattere generale:
   • il CARA di Mineo, nella fase emergenziale, è stato l'unico centro affidato ad un soggetto attuatore di natura politica (il Presidente della Provincia di Catania); anche nella fase ordinaria, in luogo della Prefettura, la gestione è stata affidata ad un ente sui generis (il consorzio di comuni del calatino);
   • le dimensioni e i numeri del centro, unitamente alla scelta di predisporre un bando onnicomprensivo di tutti i servizi, ha comportato evidenti ricadute sull'efficacia delle procedure di gara ad evidenza pubblica, così come sentenziato dall'ANAC;
   • sempre le dimensioni abnormi hanno negativamente inciso sulla qualità dei servizi offerti e sulla possibilità di procedere ai necessari controlli.

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Il CAS «Di Francia Park»

  Come detto, si sono riscontrate in più occasioni la collocazione dei migranti in strutture periferiche, dismesse ovvero senza le necessarie garanzie sulla qualità dei servizi offerti o degli standard di accoglienza.
  In tal senso, esemplificativo è il sequestro del Centro di Accoglienza Straordinario di Giugliano di Napoli, aperto a luglio 2015 all'interno di un ex ristorante di proprietà della famiglia Di Francia.
  Si tratta di una vicenda giudiziaria cui questa Commissione ha fornito un apporto diretto, con la presentazione di un formale esposto / denuncia inviato alla Procura di Napoli in esito all'attività ispettiva svolta il 4 dicembre 2015.
  Il 15 gennaio 2016, la Polizia di Stato, in esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Napoli nord, su conforme richiesta della Procura della Repubblica, che aveva accertato gravi violazioni urbanistiche, ha sottoposto, quindi, a sequestro preventivo i locali presso i quali nei mesi precedenti erano stati ammassati, in condizioni disumane, centinaia di migranti.
  Il provvedimento confermava quanto accertato dalla Commissione, ossia gravissime carenze igienico-sanitarie, strutturali e amministrative, che rendevano, ictu oculi, la struttura inidonea alla dignitosa accoglienza di centinaia di migranti.
  In particolare, lo stabile, in passato adibito all'esercizio di ristorazione, dopo una strumentale riconversione in ostello, era stato trasformato in un grande dormitorio, con letti e brandine posizionati ovunque, anche nei locali a suo tempo destinati a cucina, privi di qualunque punto luce.
  In definitiva, una gigantesca operazione speculativa, nata dalla necessità di riconvertire una mega struttura ricettiva ormai in pieno declino, a scapito della qualità e dei servizi offerti ai migranti dall'ente gestore che, per inciso, risultava essersi aggiudicato l'appalto con un modestissimo ribasso dello 0,2 %.
  Al riguardo, il sindaco della città di Giugliano spiegava che l'intera area urbana, una volta a vocazione turistica, dopo il sequestro giudiziario dei lidi, risultati abusivi, perché realizzati su aree demaniali in difetto delle prescritte autorizzazioni, era ormai interessata dalla presenza di centri per l'accoglienza dei migranti, siti proprio all'interno di strutture ricettive, oramai in declino.
  La vicenda di Giugliano conferma, quindi, nella sua crudezza, che le speculazioni illegali e la cattiva gestione dell'accoglienza comporta non solo forme di ghettizzazione dei migranti, ma anche un irreversibile degrado di intere aree urbane già depresse.

Il Cara di Aprigliano

  Del tutto speculare a quella di Giugliano è la vicenda del CARA di Aprigliano (CS), anch'esso allocato all'interno di un ex locale ricettivo (ristorante albergo «Il capriolo») sito in Contrada Spineto a molta distanza dal centro cittadino.Pag. 152
  La struttura, aperta nel settembre del 2014, presso la quale erano stati collocati circa 80 migranti di origine sub sahariana richiedenti asilo, balzò agli onori della cronaca locale il 29 luglio 2015, allorquando alcune decine di ospiti si resero protagonisti di una violenta rivolta, lamentando mancanza di cibo, fatiscenza dei locali ed il totale isolamento del sito.
  Le forze dell'ordine intervenute, pur denunciando alcuni ospiti resisi responsabili dei danneggiamenti, non potettero che constatare l'effettivo stato di degrado e fatiscenza in cui erano costretti a vivere.
  Le conseguenti indagini, che permisero di accertare gravi violazioni urbanistiche e la mancanza della prescritta agibilità, indussero, il 18 settembre 2015, l'Autorità giudiziaria di Cosenza a disporre il sequestro del centro.
  Nel provvedimento ablativo, formalmente acquisito agli atti della Commissione, i magistrati spiegano che la gestione avveniva in spregio a diverse norme e senza rispetto alcuno della persona umana e dei diritti costituzionalmente riconosciuti.
  A margine di quanto sopra, l'attività ispettiva condotta presso diversi centri – sia governativi che straordinari – ha consentito, altresì, alla Commissione di acquisire elementi di valutazione sulle modalità di gestione della permanenza e del trattenimento dei migranti.
  In particolare, attraverso colloqui individuali, acquisizione di fascicoli personali (comprensivi anche delle schede sanitarie) ovvero visione dei filmati delle operazioni di identificazione e fotosegnalamento, è stato verificato l'eventuale commissione di abusi, violazione di procedure o, comunque, il mancato rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana, provvedendo, ove necessario, a sollecitare gli uffici interessati ad adottare i dovuti correttivi.