Doc. XXII, n. 78

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

d'iniziativa dei deputati

PALAZZOTTO, PELLEGRINO, MARCON, FRATOIANNI, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PLACIDO, BRIGNONE, GREGORI, AIRAUDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FASSINA, PAGLIA, PASTORINO

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni

Presentata il 12 aprile 2017

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  Onorevoli Colleghi ! — Era il 3 febbraio 2016, quando il corpo massacrato del ricercatore italiano Giulio Regeni, scomparso da Il Cairo dieci giorni prima, viene ritrovato lungo la strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria d'Egitto. Da allora una lunga e complessa indagine ha fatto la spola tra l'Egitto e l'Italia, supportata dalle tante manifestazioni di solidarietà verso la famiglia del ricercatore espresse, nelle piazze o tramite i social, per chiedere verità e giustizia sulla sua morte. Nell'ultimo anno sono pervenute da parte del Governo, degli investigatori e dei media egiziani versioni controverse su cosa sia successo realmente a Giulio Regeni ma, soprattutto, tali versioni non hanno ancora fatto piena luce su nessuno dei punti fondamentali, cioè su chi lo ha torturato, chi lo ha ucciso, chi lo ha tradito e chi protegge i suoi assassini.
  Ecco quali sono i quattro casi più eclatanti di presunte verità arrivate dall'Egitto e puntualmente smentite:
   1) l'8 febbraio 2016 il Ministro dell'interno egiziano Magdi Abdel Ghaffar, a cui fa riferimento la National Security, il servizio segreto interno, nega qualsiasi coinvolgimento degli apparati di sicurezza nella scomparsa e nella morte di Giulio Regeni. «Quelle che leggiamo sui giornali sono insinuazioni» dice «Non conoscevamo Regeni». Un anno dopo si scoprirà che la National Security seguiva Regeni da almeno un mese prima della sua scomparsa;Pag. 2
   2) i media egiziani hanno più volte insinuato che Regeni fosse assoldato da qualche servizio estero, in particolar modo quello britannico, tanto da essere arrivato a proporre dei soldi per finanziare il sindacato degli ambulanti. Il video registrato dall'ambulante Mohammed Abdallah, per conto della National Security, certifica invece che Giulio Regeni era solo un ricercatore e che si trovava in Egitto per svolgere una ricerca accademica. «Giulio» dirà, infatti, il procuratore generale egiziano Sadek «era un portatore di pace»;
   3) il Ministero degli interni egiziano, dopo appena un mese dal ritrovamento del cadavere del ricercatore, annunciò la risoluzione del caso Regeni, avendola collegata alla morte, avvenuta nel corso di un conflitto a fuoco con la Polizia, di cinque componenti di una banda di rapinatori e sulla base del ritrovamento a casa di uno di essi dei documenti di Giulio. Ma fu successivamente scoperto che si trattò di una messa in scena della Polizia egiziana: i cinque banditi furono uccisi a sangue freddo e poi trascinati in un furgoncino; mentre a portare i documenti a casa del bandito fu un poliziotto;
   4) gli investigatori egiziani, nell'immediatezza della morte di Giulio Regeni, sostennero che non vi erano immagini registrate dai circuiti di sorveglianza posti sia all'esterno che all'interno della stazione della metropolitana da dove si erano perse le tracce del ragazzo.

  In realtà le immagini c'erano, ma sono state successivamente sovrascritte, poiché mai la Polizia egiziana ha provato a recuperarle. Una ditta tedesca specializzata si sarebbe offerta per recuperare tutta la traccia registrata e cancellata, ma da oltre tre mesi la risposta si fa ancora attendere.
  Così come non ha ancora avuto risposta la rogatoria partita da Roma il 15 marzo 2017 e diretta all'autorità giudiziaria de Il Cairo per provare a raccogliere nuove prove indispensabili per fare chiarezza sull'omicidio e con la quale la procura chiede ai colleghi egiziani una serie di verbali degli interrogatori di esponenti delle Forze dell'ordine e dei servizi segreti coinvolti nella tragica vicenda di Giulio. La procura di Roma crede che in questi ultimi quattordici mesi dagli apparati della National Security egiziana e dagli agenti del Dipartimento investigazioni municipali de Il Cairo (almeno una decina tra Polizia e servizi segreti le persone coinvolte nell'inchiesta) siano arrivate, negli interrogatori effettuati dai magistrati de Il Cairo, innumerevoli falsità nel corso delle indagini.
  Chi indaga in Italia è convinto che Giulio Regeni sia stato sorvegliato dalla Polizia e dai servizi di sicurezza egiziani non per un breve periodo, come ammesso dalle autorità de Il Cairo, ma per almeno due mesi prima di essere rapito, seviziato e ucciso; inoltre dopo una serie di indagini sui tabulati telefonici effettuate in Italia, appare chiaro il collegamento tra gli agenti che si occuparono di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016 e gli ufficiali dei servizi segreti egiziani coinvolti nella sparatoria con la presunta banda di criminali uccisi il 24 marzo 2016, a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio di Giulio (in casa di uno dei banditi vennero trovati i documenti del ricercatore); la terza certezza di chi indaga è legata agli ultimi terribili giorni di vita del ricercatore: il luogo doveva essere idoneo a porre in essere, lontani da occhi indiscreti, quelle atroci torture i cui segni rimasero sul cadavere di Giulio.
  Insomma, da parte dell'Egitto, nonostante gli spiragli annunciati e gli impegni presi, è sempre prevalso uno stato di inerzia confermato da un «oltraggioso» silenzio.
  La verità, sulla morte di Giulio Regeni, ucciso brutalmente dopo essere stato torturato, non c’è ancora ma appare oggi più vicina e l'azione della procura di Roma è importante se si pensa alle tante false piste percorse nei primi mesi di indagini: in primis si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, con il passare delle settimane si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di Pag. 3spaccio di droga, di festini di gay, di malaffare che l'aveva portato a farsi dei nemici. A un mese dalla sua morte alcuni testimoniarono di aver visto Giulio Regeni litigare con un vicino che gli aveva giurato morte, per arrivare al 24 marzo 2016, quando arrivò l'ennesima ricostruzione non credibile dei cinque criminali comuni uccisi nel corso di una sparatoria con ufficiali della National Security, alla periferia de Il Cairo, che sarebbero stati legati alla morte del giovane. Infine, dopo mesi di ricerche sui tabulati telefonici, gli inquirenti hanno trovato i collegamenti tra le due piste che vedono coinvolti agenti della National Security e del Dipartimento investigazioni municipali de Il Cairo, telefonate che potrebbero celare la verità sulla morte di Giulio Regeni.
  Anche il Parlamento, nell'ambito dei poteri conferitigli dall'articolo 82 della Costituzione (per il quale ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse procedendo con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria), può fare la sua parte per approdare definitivamente alla verità, perché, se è vero che ci sarà da accertare una verità giudiziale su questo omicidio, è anche vero che c’è da ricostruire quella storica.
  Accanto al lavoro attento e scrupoloso della magistratura italiana che sta cercando di ricostruire ciò che accadde in quei giorni, e alla quale va tutto il sostegno di chi vuole che i responsabili di questa morte siano assicurati alla giustizia, c’è una verità storica che emerge da questa vicenda che non è pensabile cercare di cancellare con l'antica tecnica del lasciar passare l'acqua sotto i ponti. La morte di Giulio Regeni ha aperto uno squarcio su una realtà che per troppo tempo abbiamo voluto ignorare. Giulio era in Egitto proprio per questo, per documentarla, per studiarla, per cambiarla. L'Egitto è un Paese che sta scivolando velocemente verso il baratro, un Paese in cui le sparizioni forzate, la tortura e le uccisioni sono all'ordine del giorno. Sono centinaia le persone che come Giulio Regeni sono state torturate e uccise dalle Forze di polizia e da veri e propri squadroni della morte. Non si contano i processi, gli arresti e le confische dei beni per i difensori dei diritti umani di quel Paese.
  Abbiamo il dovere politico e istituzionale, non solo per la memoria di Giulio e per la sua famiglia, ma anche e soprattutto per restituire forza ai princìpi di libertà e di giustizia su cui si fonda la nostra democrazia, di pronunciare quelle parole, di affermare che Giulio è stato vittima del mondo che anche noi abbiamo contribuito a costruire o almeno di quello che non abbiamo voluto cambiare.
  Il fatto che il Parlamento italiano non resti in silenzio davanti all'insopportabile omertà del Governo egiziano sarebbe già un gesto rivoluzionario ed è per questo che proponiamo l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta con il compito di accertare le responsabilità relative alla morte di Giulio Regeni, il movente alla base dell'omicidio, nonché di ricostruire in maniera puntuale tutte le circostanze che hanno portato al suo assassinio.

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PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE
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Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione).

  1. Ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione è istituita, per la durata di sei mesi, una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, di seguito denominata «Commissione».
  2. La Commissione ha il compito di accertare le responsabilità relative alla morte di Giulio Regeni e le motivazioni che hanno portato a tale omicidio nonché di ricostruire in maniera puntuale le circostanze che hanno portato al suo assassinio.

Art. 2.
(Composizione della Commissione).

  1. La Commissione è composta da venti deputati, nominati dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare.
  2. Con gli stessi criteri e con la stessa procedura di cui al comma 1 si provvede alle eventuali sostituzioni in caso di dimissione o di cessazione dalla carica ovvero qualora sopraggiungano altre cause di impedimento dei componenti della Commissione.
  3. Il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei componenti, convoca la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
  4. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto a scrutinio segreto dalla Commissione tra i suoi componenti. Per Pag. 5l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti la Commissione. Se nessuno riporta tale maggioranza si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti; è eletto il candidato che ottiene il maggior numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
  5. La Commissione, al termine dei propri lavori, presenta una relazione alla Camera dei deputati sul risultato dell'inchiesta.

Art. 3.
(Poteri e limiti della Commissione).

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
  2. La Commissione ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.
  3. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia, ai sensi del comma 2, sono coperti dal segreto.
  4. Per i fatti oggetto dell'inchiesta parlamentare non è opponibile alla Commissione il segreto di Stato, né quello d'ufficio, professionale o bancario.
  5. Per le testimonianze rese davanti alla Commissione si applicano le disposizioni degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.
  6. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.

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Art. 4.
(Obbligo del segreto).

  1. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 3 e 6.
  2. La violazione dell'obbligo di cui al comma 1, nonché la diffusione, in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali è stata vietata la divulgazione sono punite ai sensi della legislazione vigente.

Art. 5.
(Organizzazione).

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla medesima Commissione prima dell'inizio dell'attività di inchiesta. Le sedute sono pubbliche, tuttavia la Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
  2. La Commissione può avvalersi di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie, di soggetti interni o esterni all'amministrazione dello Stato autorizzati, ove occorra e con il loro consenso, degli organi a ciò deputati e dei Ministeri competenti. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaborazioni di cui può avvalersi la Commissione.
  3. Per lo svolgimento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati.
  4. Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite massimo di 50.000 euro, sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.