Doc. XXII, n. 68




RELAZIONE

  Onorevoli Colleghi ! — Giulio Regeni è scomparso a Il Cairo il 25 gennaio 2016 – il giorno dell'anniversario della rivoluzione del 2011 – e sul suo cadavere, ritrovato il 3 febbraio, c'erano segni di tortura. Aveva sette costole rotte, segni di scariche elettriche sui genitali e un'emorragia cerebrale. Secondo l'autopsia che è stata effettuata in Italia sarebbe stato torturato per diverso tempo – tra i cinque e i sette giorni – prima di essere ucciso. La sua morte sarebbe stata causata dalla frattura di una vertebra in seguito a un colpo violento.
  Giulio Regeni era un dottorando della Cambridge University e stava facendo degli studi sulle attività sindacali in Egitto. Un suo articolo era stato pubblicato il 14 gennaio 2016 per l'agenzia di stampa Nena news e il 5 febbraio, due giorni dopo la sua morte, dal quotidiano Il manifesto. A causa delle sue ricerche, Regeni aveva contatti con i sindacati egiziani e con attivisti anti-governativi. Per diversi giorni, le autorità egiziane hanno addirittura negato di conoscere quale fosse la sorte del giovane italiano e solo il 4 febbraio, il giorno successivo al ritrovamento, dopo forti insistenze da parte italiana, è stata data notizia dell'identificazione del corpo.
  Subito dopo il ritrovamento del cadavere, il generale Khaled Shalabi (direttore dell'amministrazione generale delle indagini di Giza) dichiarò che Regeni era stato vittima di un semplice incidente stradale, smentendo inoltre che vi fossero tracce di proiettili o accoltellamenti. In seguito la polizia egiziana sostenne che l'omicidio poteva essere avvenuto per motivi personali.
  Nella notte tra il 24 e il 25 marzo 2016, una nota ufficiale del Ministero dell'interno egiziano affermava l'uccisione in uno scontro a fuoco dei cinque assassini di Giulio Regeni, identificati come una «banda specializzata in sequestri e stranieri» che agiva «utilizzando divise della polizia»; contemporaneamente venivano mostrati sulla pagina Facebook del Ministero dell'intero il portafoglio di Giulio e i documenti – il passaporto, la tessera dell'Università di Cambridge, quella dell’American university a Il Cairo e le carte di credito – ritrovati, secondo il Ministero, nel covo dei criminali.
  Nell'immediato dell'ennesima ricostruzione dell'omicidio di Giulio Regeni fornita dalle autorità egiziane, questa veniva smentita dapprima dalla moglie e sorella di Tarek Abdel Fatah, arrestate per favoreggiamento, e poi nuovamente messa in discussione dal Ministro dell'interno stesso, Magdi Abdel-Ghaffar, il quale dichiarava in data 28 marzo che «le indagini sono ancora in corso, cerchiamo ancora gli assassini di Giulio Regeni». Infine dichiarazioni rilasciate da testimoni diretti lo scorso 2 maggio affermano che il presunto «scontro a fuoco» con cui fu annientata nella notte tra il 24 e il 25 marzo 2016 la banda di rapinatori di stranieri presso cui furono ritrovati il passaporto e due badge di Giulio Regeni sarebbe stata in realtà un'esecuzione a freddo da parte della polizia con lo scopo di attribuire il rapimento del ricercatore italiano a una gang impossibilitata a discolparsi.
  Sono numerosi i report e i dossier prodotti dalle organizzazioni umanitarie che evidenziano continue, numerose e gravi violazioni dei diritti umani in Egitto, tra cui arresti illegali, uso della tortura e violenze di vario tipo. Soltanto nei primi due mesi del 2016 sono stati accertati in Egitto 88 casi di tortura, di cui 8 conclusi con la morte della persona sottoposta a sevizie; tutti questi casi avvengono in conseguenza dell'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle Forze di polizia e di sicurezza.
  Nel 2015 sono stati 464 i casi di sparizione e 1.676 quelli di tortura accertati in Egitto e il caso Regeni è soltanto la punta dell’escalation della repressione in Egitto. Le detenzioni arbitrarie, l'uso della tortura e la pratica degli omicidi di Stato sono stati anche denunciati in una lettera inviata da alti esperti americani sul Medio oriente al Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, i quali chiedono di rivedere i rapporti con l'Egitto.
  La sempre più evidente tortura e l'uccisione di Giulio Regeni hanno suscitato attenzione anche in altri Paesi e, fra l'altro, la protesta di oltre 4.600 accademici che hanno firmato una petizione pubblicata sul quotidiano britannico The guardian per chiedere un'inchiesta sulla sua morte e sulle numerose sparizioni che si verificano in Egitto ogni mese. Il 24 febbraio 2016 Amnesty International Italia ha lanciato la campagna Verità per Giulio Regeni (Truth about Giulio Regeni) a cui hanno aderito ad oggi 5 regioni, 3 province, 130 comuni, 33 università, 32 scuole, 13 biblioteche, 27 testate giornalistiche e media nazionali e 101 gruppi e associazioni. Contemporaneamente è stata lanciata anche una petizione on line sul portale Change.org a cui hanno aderito centinaia di migliaia di sostenitori.
  Il 10 marzo 2016 il Parlamento europeo in seduta plenaria ha approvato a larghissima maggioranza con 588 sì, 10 no e 59 astenuti la risoluzione 2016/2608 (RSP) che «condanna con forza la tortura e l'assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni» in Egitto e «chiede» al Governo egiziano di «fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie» per l'inchiesta sottolineando con «grave preoccupazione» che il caso Regeni «non è un incidente isolato». Il 5 aprile 2016 il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha dichiarato: «Noi ci fermeremo solo davanti alla verità vera, lo dobbiamo a Giulio, alla sua famiglia e anche a tutti noi. La nostra è una presa di posizione chiara, secca e forte. Noi pensiamo e speriamo che l'Egitto possa collaborare con i nostri magistrati, abbiamo la disponibilità a vedere le carte insieme e che la verità sia trovata», mentre il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni Silveri, durante un intervento presso il Senato della Repubblica lo stesso giorno, ha ribadito per conto del Governo che: «Se non ci sarà un cambio di marcia, il Governo è pronto a reagire adottando misure immediate e proporzionate» e «Per ragioni di Stato non permetteremo che sarà calpestata la dignità dell'Italia». L'8 aprile 2016 dopo l'esito nullo degli incontri con la delegazione di magistrati egiziani a Roma l'Italia ha deciso formalmente di richiamare per consultazioni l'ambasciatore a Il Cairo Maurizio Massari.
  Le indagini sul caso di Giulio Regeni non hanno ancora portato a individuare i colpevoli e dal ritrovamento del suo cadavere, il 3 febbraio, ad oggi, dopo più di tre mesi, si sono susseguite varie ipotesi sulla sua morte, ma finora non è emersa nessuna verità. Forte è il rischio che l'omicidio del giovane ricercatore italiano finisca per essere dimenticato, per essere catalogato tra le tante «inchieste in corso» o, peggio, per essere collocato nel passato da una «versione ufficiale» della polizia o del Governo egiziano. Per questa ragione si propone l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni con il compito di accertare le responsabilità relative alla sua morte e le motivazioni che hanno portato a tale omicidio nonché di ricostruire in maniera puntuale le circostanze che hanno portato al suo assassinio.
  I proponenti sottopongono quindi la presente proposta di inchiesta parlamentare all'attenzione della Camera dei deputati, ritenendo che la natura monocamerale della Commissione parlamentare di inchiesta sia senza dubbio in grado di garantire maggiori snellezza e rapidità allo svolgimento dei lavori.


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