Doc. XXII, n. 58




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - Qualunque persona che finisca sotto la tutela dello Stato deve essere considerata «sacra»; ogni abuso o maltrattamento nei confronti di una persona in carcere dovrebbe essere, quindi, vissuto come il più grave degli scandali. Eppure il fenomeno non è affatto episodico. Come sappiamo, sono frequenti le storie di persone che entrano in carcere, in caserma o nei reparti psichiatrici e subiscono maltrattamenti, violenze o abusi o, addirittura, muoiono, spesso in circostanze non chiare. Le storie di tali drammatici fatti suscitano e continuano a suscitare, in Parlamento e nel Paese, il più alto sdegno e la più forte rabbia, soprattutto perché è anche molto difficile arrivare alla verità e ottenere giustizia. Nei casi di tortura e di violenze istituzionali, nel nostro Paese perseguire i responsabili è infatti un'operazione tragicamente impossibile. Mancano le norme (come il reato di tortura) e manca una cultura pubblica di rispetto profondo della dignità umana. Spesso, poi, per quanto riguarda l'accertamento della verità - duole dirlo - ha prevalso lo spirito di «corpo» che impedisce la ricostruzione puntuale dei fatti e il raggiungimento della verità storica.
I casi sono tanti, troppi. Basta pensare a quelli più eclatanti e resi noti grazie alle associazioni che si occupano a vario titolo di carcere e della denuncia pubblica dei familiari delle vittime. L'elenco è assai lungo e i casi di abusi e maltrattamenti nei confronti di persone detenute o private della libertà personale sembrano avere tutte un filo comune: colpiscono piccoli consumatori di droghe, persone con disagi psichiatrici o individui percepiti dalla comunità come «diversi». Non può non evincersi un problema d'intolleranza e disprezzo verso categorie stigmatizzate, fasce considerate «immeritevoli» di rispetto e diritti, diritti che invece dovrebbero essere assicurati a tutti.
Il legislatore, negli anni, nonostante ci siano norme internazionali che lo sollecitino da tempo, non ha ancora introdotto il reato di tortura nel codice penale, una lacuna gravissima nel nostro ordinamento. Oggi rappresenterebbe il primo passo per chiarire i limiti dell'esercizio della forza e dei pubblici poteri rispetto a esigenze investigative o di polizia. E, nel Paese, associazioni, tra le quali Antigone e Buon diritto, ribadiscono da tempo la necessità e la grave inadempienza italiana circa l'introduzione di tale reato nel nostro ordinamento, nonché riguardo all'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale - nonostante l'approvazione di norme tese finalmente alla relativa istituzione, l'istituzione del Garante nazionale è ancora inattuata. Temi rispetto ai quali i proponenti della presente proposta di inchiesta parlamentare sono impegnati da anni e hanno anche presentato progetti di legge dall'inizio della legislatura, auspicandone la rapida calendarizzazione e approvazione da parte delle Camere.
Gli stessi hanno quindi ritenuto di sottoporre all'attenzione del Parlamento la presente proposta di inchiesta parlamentare, di portata più ampia, rispetto ad un'altra analoga, precedentemente presentata, e recante l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta in specifico sulle morti di persone in stato di privazione o limitazione della libertà personale avvenute in circostanze non chiare (Doc. XXII, n. 36), al fine di fare finalmente luce su tali eventi drammatici - spesso rimasti senza verità e senza giustizia - verificandone le relative responsabilità.
I proponenti sottopongono quindi anche la presente proposta di inchiesta parlamentare all'attenzione della Camera dei deputati, prevedendo la natura monocamerale della Commissione parlamentare, senza dubbio in grado di garantire maggiori snellezza e rapidità allo svolgimento dei lavori.


Frontespizio Testo articoli