Doc. XXII, n. 42




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - L'innovazione tecnologica e l'uso abituale degli strumenti informatici hanno cambiato profondamente, e lo faranno nei prossimi anni in maniera sempre più radicale, i rapporti tra le persone, il modo di conoscere e di informarsi, le modalità di dialogo e di comunicazione, il modo di lavorare e quello di chiedere e di ottenere servizi e prestazioni. Sono cambiate le modalità con cui i cittadini dialogano con la pubblica amministrazione; sono cambiati, anche se con diverse resistenze, il tipo di rapporto e le abitudini interne ai pubblici uffici e tra amministrazione centrale ed enti locali. È diverso inoltre, da tempo, il modo in cui il legislatore pensa alla macchina pubblica e alle soluzioni a cui è necessario far affidamento affinché si possa offrire un sistema maggiormente equo, affidabile ed efficiente.
È già a partire dagli anni '80, come testimonia un rapporto del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) del novembre 1981, che nel dibattito pubblico si assiste alla discussione sull'informatizzazione della pubblica amministrazione, sulla sua importanza e sulle modalità con cui è opportuno ammodernare il sistema amministrativo. Come si evince dal documento del CNEL «un rapporto CEE del 1977 ha messo in luce come "le possibilità di sviluppo delle società moderne dipendano in larga misura dalla loro capacità di utilizzare adeguatamente le tecnologie informatiche" giudicando il settore di natura fondamentale, allo stesso livello delle fonti di energia e della siderurgia. Mettere la pubblica amministrazione in grado di utilizzare al meglio l'essenziale risorsa dell'informatica non è quindi esercitazione accademica: è una delle sfide del futuro». Sfida che è stata certamente colta, almeno da un punto di vista legislativo e formale, ma non del tutto compresa dal legislatore.
Risale al 1993, con il decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39, recante «Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche», l'istituzione dell'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione, la quale aveva il compito di progettare, realizzare e gestire i sistemi informativi delle amministrazioni (articolo 7, comma 1) e tra i vari compiti quello [lettera d)] di «verificare periodicamente, d'intesa con le amministrazioni interessate, i risultati conseguiti nelle singole amministrazioni, con particolare riguardo ai costi e benefìci dei sistemi informativi automatizzati, anche mediante l'adozione di metriche di valutazione dell'efficacia, dell'efficienza e della qualità».
Nel corso degli anni l'Autorità è stata trasformata prima in Agenzia nazionale per l'innovazione tecnologica (articolo 27, comma 10, della legge 16 gennaio 2003, n. 3, che modifica l'articolo 29 della legge 28 dicembre 2001, n. 448), poi in Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), (articolo 176, comma 6, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), affiancato alcuni anni più tardi dall'Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, soggetta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito «di accrescere la capacità competitiva delle piccole e medie imprese e dei distretti industriali» (articolo 1, comma 368, lettera d), della legge 23 dicembre 2005, n. 266). Dal CNIPA si è passati a DigitPA con il decreto legislativo n. 177 del 2009, e infine all'Agenzia per l'Italia digitale definita con l'articolo 19 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
Alle strutture e alla governance delle Agenzie che nel corso degli anni si sono succedute, si sono affiancati decreti e disegni di legge che hanno definito l'organizzazione e la strutturazione tecnologica dello Stato e degli enti locali, a partire dal citato decreto legislativo n. 39 del 1993, primo riferimento organico sul tema in questione, fino a quelli degli ultimi anni, come il decreto crescita 2.0 (decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012) o il decreto sull'efficienza della pubblica amministrazione (decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalle legge n. 114 del 2014), senza dimenticare, tra gli altri, il codice dell'Amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, che rappresenta il testo di riferimento per l'uso dell'informatica nella pubblica amministrazione.
Se l'obiettivo dell'informatica, inizialmente, e dell'innovazione tecnologica nel suo complesso, poi, all'interno della pubblica amministrazione è da sempre stato quello di sburocratizzare i rapporti con il cittadino, si può però osservare come il legislatore e gli organi esecutivi del Governo non abbiano raggiunto fino ad ora, e a partire dagli anni '90, i risultati prefissati. Gli interventi proposti e talvolta attuati nel corso degli ultimi decenni sono stati, come si è visto, numerosi ed è improprio sostenere che il Governo non abbia utilizzato risorse adeguate per questo settore. Secondo l'osservatorio Assinform sulle Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) nella pubblica amministrazione del novembre 2013, la spesa della ICT complessiva nella pubblica amministrazione si è attestata attorno a 5.422 milioni di euro per l'anno 2012 (fig. 1), sebbene in costante calo dal 2007, a causa dei tagli determinati dalla spending review e dai limiti posti dal patto di stabilità interno.


In relazione alla sola spesa degli enti locali, invece, il report dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) del 27 maggio 2013 (dati SIOPE) afferma che nel 2011 la spesa per le ICT delle amministrazioni locali è stata di 1.726.109.679 euro, pari a circa lo 0,69 per cento delle spese totali delle amministrazioni considerate. Considerando la spesa per le ICT per abitante, si calcola una media nazionale pari a 28 euro, con notevoli differenze territoriali che variano dai 242 euro per abitante della Valle d'Aosta a quella minima di 10 euro della Campania.
Nonostante gli oltre 5 miliardi di euro di spesa complessiva annua, tra pubblica amministrazione centrale e locale, lo stato dell'innovazione e del digitale in Italia rimane ugualmente problematico e non adeguato ai livelli degli altri Paesi europei. Differenza di spesa e di investimenti che nasce da lontano, se si pensa che già il Ministro Giannini nel suo rapporto alle Camere del 1979 affermava che «secondo calcoli molto approssimativi, nella spesa globale per elaboratori la percentuale delle Pubbliche Amministrazioni sarebbe del 5 per cento (in altri Paesi europei è vicino al 10 per cento, in Giappone è al 15 per cento)».
È necessario chiedersi come siano state finora utilizzate le risorse messe a disposizione, quantificare le effettive risorse erogate e individuare gli eventuali sprechi e investimenti errati.
L'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione della pubblica amministrazione e sulle spese pubbliche nel settore delle ICT è a questo punto quantomai doverosa e opportuna per fare il punto della situazione e per costruire una base concreta che permetta una riflessione per il miglioramento della situazione attuale, in ottica futura. Una maggior efficienza nella fornitura di servizi dalla pubblica amministrazione verso il cittadino è direttamente proporzionale al livello di tecnologia con cui l'amministrazione pubblica viene dotata e alla conseguente capacità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione. Se si pone come obiettivo una riforma strutturale del sistema amministrativo pubblico non è possibile prescindere da un'attenta analisi del livello di informatizzazione attuale e dalle spese effettuate fino a questo punto. Per riprendere le parole utilizzate nel rapporto del CNEL datato 1981, «un processo di riforma della Pubblica Amministrazione che voglia essere moderno e produttivo non può prescindere da un utilizzo razionale dell'informatica. Il che comporta un'altra affermazione che è corollario naturale di quella che precede e cioè che l'informatica non è uno strumento aggiuntivo nella pubblica amministrazione, ma uno strumento di riforma».
Facendo nostre tali osservazioni e alla luce di queste considerazioni, si chiede di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni statali e locali e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle ICT.
In questo senso e per tali finalità, la proposta di inchiesta parlamentare prevede all'articolo 1 l'istituzione (comma 1) della Commissione e l'individuazione (comma 2) dei compiti specifici previsti per lo svolgimento delle finalità descritte; all'articolo 2 i criteri per l'individuazione dei componenti e la costituzione dell'ufficio di presidenza (commi 1-4) e la durata dei lavori della Commissione stessa, stabilita in un anno a partire dalla prima convocazione (comma 5); all'articolo 3 vengono definiti i poteri e i limiti previsti per lo svolgimento delle sue funzioni; l'articolo 4 definisce l'obbligo al segreto di atti e documenti per i componenti della commissione, per il personale della stessa e per chiunque collabori con essa, al fine di non compromettere le indagini in corso; infine l'articolo 5 definisce l'organizzazione, prevedendo l'adozione di un regolamento interno (comma 1), la possibilità di avvalersi dell'opera di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria (comma 4), la disponibilità di personale, locali e strumenti messi a disposizione dalla presidenza della Camera dei deputati (comma 5) e l'individuazione di un limite massimo di spesa per il funzionamento della Commissione (comma 6).


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