Doc. XXII, n. 37




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - I recenti fatti di cronaca che hanno interessato l'amministrazione comunale di Roma hanno messo in luce, tra le altre, alcune questioni relative alla gestione, da parte delle strutture comunali e dell'amministrazione pubblica centrale, dell'accoglienza degli immigrati e dei nomadi.
Come si apprende da fonti giornalistiche, sarebbe esistito un preciso «sistema» nella distribuzione degli appalti, e dei connessi finanziamenti, per la gestione delle strutture destinate all'accoglienza di queste due categorie di soggetti, che ne avrebbe permesso l'aggiudicazione sempre in capo alle stesse organizzazioni e cooperative, grazie all'intermediazione di determinati soggetti della pubblica amministrazione.
Ogni anno lo Stato spende centinaia di milioni di euro per garantire un'assistenza efficace alle persone che si trovano nel nostro Paese in condizioni disagiate e, in particolare, agli immigrati e ai nomadi, e un sistema di distrazione o di malagestione dei fondi pubblici destinati a tali finalità non costituisce solo un illecito penale ma anche un'offesa morale a chi svolge questo servizio con reale dedizione e alle stesse categorie disagiate.
L'inchiesta in corso a Roma sta mettendo in luce una vera e propria spartizione dei fondi per le politiche sociali, basata sulla collusione tra alcune cooperative e uomini delle istituzioni, finalizzata a destinare soldi pubblici ai gestori amici che si dividevano il mercato, con modalità tali da escludere ogni altro potenziale competitor.
Il sistema si sarebbe alimentato, in particolare negli ultimi anni, grazie all'«affare» dell'emergenza immigrazione, con il quale sono aumentati i finanziamenti disponibili e, come d'incanto anche i posti disponibili nel sistema di protezione dei richiedenti asilo, passati nella sola capitale da 450 a 2.500 in pochissimi anni. L'altro grande affare, invece, è stato da molto prima degli anni dell'emergenza immigrazione, la gestione dei campi nomadi.
Le irregolarità sarebbero state molteplici: l'assegnazione di posti senza bando, bandi emanati e aggiudicati senza la pubblicazione delle graduatorie, posti in strutture non equiparabili per i servizi offerti a quelli del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) che venivano fatti passare - e remunerati - come tali; la distribuzione pilotata degli immigrati tra i diversi centri di accoglienza nel territorio nazionale in modo da favorire quelli gestiti dalle associazioni amiche.
In tutto questo sistema avrebbero giocato un ruolo fondamentale alcune cooperative, organizzazioni alle quali gli enti pubblici esternalizzano quote crescenti di servizi sociali e che, invece, ai sensi di legge, dovrebbero svolgere una funzione sociale «avente carattere di mutualità e senza finalità di speculazione privata».
In conclusione, l'indagine in atto ha dimostrato che le nostre accuse sulla scandalosa gestione delle risorse destinate a immigrati e a rom erano vere e concrete. Da anni chiediamo di sapere come sia possibile che lo Stato spenda cifre così alte per l'accoglienza degli immigrati e ora è tutto più chiaro: la miseria, la disperazione, e l'emarginazione «rendono più dello spaccio di droga» e sono un grande business per le strutture che gestiscono i centri di accoglienza. Ora chiediamo che sia fatta piena chiarezza su come siano state spese queste risorse, perché l'impressione è che in tutta Italia ci sia chi si è arricchito con l'assistenza alle persone in difficoltà, agli immigrati e ai rom.
Per questi motivi presentiamo la presente proposta di inchiesta parlamentare, volta a permettere alla Camera dei deputati di indagare, come previsto dall'articolo 82 della Costituzione, i rapporti con le società che gestiscono i centri di accoglienza, le modalità con le quali tali rapporti sono stati instaurati, le convenzioni in essere, le modalità e la filiera decisionale dei trasferimenti e delle assegnazioni degli immigrati quando giungono nel territorio nazionale.
La Commissione parlamentare inchiesta sarà composta da venti deputati e rimarrà in carica per diciotto mesi, al termine dei quali presenterà una relazione conclusiva contenente le proposte per il miglioramento della gestione dell'accoglienza nel nostro Paese, secondo criteri di trasparenza, efficienza e contenimento dei costi.


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