Doc. XVII-bis , n. 10

DOCUMENTO APPROVATO DAL COMITATO PARLAMENTARE DI CONTROLLO SULL'ATTUAZIONE DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, DI VIGILANZA SULL'ATTIVITÀ DI EUROPOL, DI CONTROLLO E VIGILANZA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

nella seduta del 17 maggio 2017

A CONCLUSIONE DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
deliberata nella seduta del 25 febbraio 2014

SULL'IMPIEGO DI LAVORATORI IMMIGRATI NELLE ATTIVITÀ INDUSTRIALI, PRODUTTIVE E AGRICOLE

(Articolo 144, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati)

Trasmesso alle Presidenze il 17 maggio 2017

Indagine conoscitiva sull'impiego di lavoratori immigrati nelle attività industriali, produttive e agricole.

DOCUMENTO CONCLUSIVO

I N D I C E

1. Premesse: le motivazioni della deliberazione dell'indagine 5
2. Ruolo dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro in Italia: problematiche e prospettive 6
3. Le dinamiche economiche e sociali connesse al fenomeno dell'immigrazione in Italia 10
4. Le problematiche connesse alle transazioni commerciali compiute dai lavoratori stranieri 17
5. Considerazioni conclusive 24
Pag. 5

1. Premesse: le motivazioni della deliberazione dell'indagine.

  Il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione ha svolto la presente indagine conoscitiva per verificare l'impiego di lavoratori immigrati nelle attività industriali, produttive e agricole in Italia e approfondire quelle situazioni del territorio nazionale particolarmente problematiche, come nel distretto artigianale di Prato. Il Comitato, nell'ambito delle proprie competenze e ferme restando quelle delle Commissioni permanenti delle Camere, svolta una indagine conoscitiva avente ad oggetto l'evoluzione dei flussi migratori in ingresso in Italia, con particolare riferimento agli accordi bilaterali con i Paesi di origine a fini di riammissione e in materia di lavoro, nonché alla complessiva osservanza del Testo unico sull'immigrazione e sulla condizione dello straniero, ha deliberato l'indagine a seguito del tragico incendio verificatosi il 1o dicembre 2013 in una fabbrica di Prato. L'obiettivo è stato anche quello di riprendere ed implementare la breve attività conoscitiva che il Comitato avviò nella precedente legislatura circa le implicazioni del frequente ricorso ad irregolari procedure di reclutamento di personale extracomunitario stagionale nelle attività agricole, all'indomani dei disordini avvenuti a Rosarno nel gennaio 2010.
  Il Comitato ha infatti avuto la consapevolezza che il diffuso impiego di manodopera straniera, spesso clandestina, unitamente alle modalità di conduzione delle aziende e di insediamento delle comunità sul territorio pongono, in primo luogo, seri problemi di ordine e sicurezza (pubblica e sui luoghi di lavoro), con implicazioni inerenti la filiera produttiva, i fenomeni della contraffazione delle merci, nonché dell'inquinamento della concorrenza imprenditoriale e dei flussi finanziari. Nei limiti delle proprie attribuzioni, il Comitato ha inteso pertanto occuparsi della questione soprattutto per evidenziare il fenomeno dei flussi migratori in ingresso in Italia, attratti da poli produttivi con elevata disponibilità di manodopera straniera, spesso clandestina o irregolare.
  La presente indagine si è proposta quindi in primo luogo l'obiettivo di verificare le modalità di applicazione del principio della programmazione dei flussi, che calibra, sulla base delle esigenze di manodopera interna, il numero di stranieri che possono entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro. In secondo luogo, è stata analizzata la gestione nel suo complesso del fenomeno migratorio, con riguardo all'osservanza delle regole di ingresso, soggiorno, controllo, stabilizzazione dei migranti e repressione delle relative violazioni, nonché lo stato di attuazione dei processi di integrazione, onde valutare la congruità delle attuali politiche pubbliche di accoglienza e contrasto, ma anche dei modelli di incontro tra domanda e offerta di lavoro finora seguiti.
  All'indomani dei tragici fatti accaduti a Prato, è parso altresì necessario al Comitato verificare il livello di tutela dei diritti sociali riconosciuti agli stranieri da specifiche disposizioni del testo unico sull'immigrazione – segnatamente gli articoli da 28 a 41 –, anche alla luce della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo nel 1992 tra i Paesi membri del Consiglio d'Europa e ratificata dall'Italia con la legge 8 marzo 1994, n. 203, che garantisce agli stranieri residenti nei Paesi aderenti ampi diritti di espressione, riunione e associazione, e prevede, soprattutto nelle collettività locali con significative presenze di residenti stranieri, il diritto Pag. 6di costituire organi consultivi rappresentativi a livello locale.
  Su questi temi, sono stati auditi soggetti interessati alle tematiche oggetto dell'indagine conoscitiva e il Comitato ha anticipato l'approfondimento dei medesimi temi anche prima dell'avvio dell'indagine con l'audizione di Natale Forlani, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali (17 dicembre 2013). Sono quindi stati auditi rappresentanti del Comune di Prato, di organizzazioni industriali e sindacali e di imprese artigiane del medesimo distretto (1o aprile 2014); il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti (8 maggio 2014); il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina (24 febbraio 2015) la Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi (22 aprile 2015), il Capo del III Reparto-Operazioni della Guardia di finanza, Generale di Brigata Stefano Screpanti (29 luglio 2015).
  Di seguito quindi verranno analizzate le problematiche emerse in riferimento al ruolo dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro italiano; le dinamiche economiche e sociali connesse al fenomeno dell'immigrazione in Italia; le questioni connesse alle transazioni commerciali compiute dai lavoratori stranieri in Italia; alcune considerazioni conclusive.

2. Ruolo dei lavoratori stranieri nel mercato del lavoro in Italia: problematiche e prospettive.

  È stato riferito al Comitato(1) che il Ministero del lavoro da tre anni cura un rapporto pubblico annuale sull'andamento del mercato del lavoro, corredato da informazioni, che di anno in anno vengono perfezionate, sull'accesso ai servizi, alle prestazioni sociali, alla previdenza, alle politiche attive e passive del lavoro, in modo da avere un quadro di riferimento adeguato, analogamente a quanto avviene nei grandi Paesi di accoglienza europei. Il rapporto semestrale sull'andamento comprende anche un'analisi dell'impatto della crisi economica sul mercato del lavoro, con una particolare evidenza per quanto riguarda i lavoratori stranieri, il loro ruolo in Italia e le problematiche che si verificheranno nei prossimi anni, presumibilmente per un non breve periodo.
  È stato riferito anche al Comitato come sia necessario comprendere che siamo nel pieno di un cambiamento di fase delle politiche migratorie. L'Italia è un Paese di accoglienza recente, in quanto ha alle spalle quindici anni di accoglienza. In tale arco di tempo il nostro Paese ha fatto quello che altri Paesi hanno compiuto in quaranta, cinquanta o ottant'anni, cioè il raggiungimento di un otto per cento della popolazione di origine straniera con tempi rapidissimi e con caratteristiche del tutto inedite. Non essendo l'Italia un Paese post-coloniale, le comunità di origine straniera (circa cinque milioni di persone, in base ai calcoli del sommerso e dell'irregolare) provengono da quattro continenti, con equilibri originalissimi. L'Italia inoltre non aveva una tradizione di lingua, amministrativa, percorsi scolastici condivisi come i Paesi post-coloniali, né le componenti di emigrazione di tipo europeo che hanno caratterizzato i Paesi dell'Europa centrale e settentrionale.
  Nonostante ciò, gli indicatori di integrazione italiani non sono dissimili da quelli degli altri Paesi, sebbene la complessità della composizione di lingua, origini, culture sia molto più profonda che negli altri Paesi. Il Comitato ha accertato che il risultato è stato ottenuto in ragione della natura delle nostre comunità di origine cristiana, con radici molto solidaristiche e molto personalistiche, con un approccio relazionale che ha metabolizzato tutta una serie di contraddizioni e le ha portate a diventare un elemento positivo, di lievito dell'integrazione nazionale.
  In questo quadro, la spinta all'integrazione è venuta dalla formazione dei cosiddetti lungo soggiornanti con famiglia. Il processo che ha caratterizzato la crescita Pag. 7degli immigrati è stato una domanda di lavoro superiore all'offerta soprattutto per la bassa qualificazione tecnicamente non giustificata; non mancava l'offerta italiana per soddisfare la domanda, ma si trattava di un'offerta che aveva bisogno di determinate condizioni, ossia di una propensione a fare il lavoro manuale molto più alta e di una mobilità territoriale interna. Queste due componenti nelle nuove generazioni sono venute drammaticamente meno: i dati della crisi danno un milione e 700 mila italiani occupati in meno (di cui un milione e 200 mila al di sotto dei 30 anni) e 850 mila immigrati in più.
  È un fenomeno che va compreso, perché nel contempo sono aumentate notevolmente la sottoccupazione, la disoccupazione e l'inattività sia degli italiani sia degli stranieri. Abbiamo avuto una crescita di due milioni di disoccupati al di sotto dei 30 anni (l'Istat ha distinto anche le varie categorie dei disoccupati: inattivi, inattivi che vorrebbero lavorare ma non pensano di trovare lavoro), che testimonia che nei prossimi anni ci sarà un'abbondanza di offerta di lavoro a bassa qualificazione e a basso stipendio, con circa sei milioni di persone non disoccupate tecnicamente secondo l'Istat, in quanto potrebbero essere attivate, di cui un milione e 300 mila stranieri inattivi.
  L'indagine ha quindi permesso di accertare che la stabilizzazione dei lungo soggiornanti ha attivato le ricongiunzioni familiari, le seconde generazioni. Vi è in Italia un milione di ragazzi stranieri, quasi metà dei quali nati nel Paese oppure ricongiunti; 800 mila sono inseriti nei percorsi scolastici, una quota dei quali comincia a entrare nel mercato del lavoro (60-70 mila l'anno). La comunità straniera quindi tende a crescere non per la programmazione dei flussi, ma perché c’è una dinamica degli extracomunitari – questa è la seconda componente di novità – diversa da quella dei neocomunitari. Si tratta di una dinamica di ricongiunzione familiare e di crescita, che sta continuando ed è oggi la dinamica dominante della crescita delle comunità interne, basata sulla natalità e sulla ricongiunzione familiare. Una quota diventa anche popolazione attiva, in misura differenziata a seconda delle comunità: quelle di origine islamica non mandano le mogli a lavorare, mentre altre hanno una propensione molto spinta al lavoro femminile, come quelle asiatiche, che sono dominanti nella crescita degli ultimi anni.
  La prima novità è quindi una formazione di offerta di lavoro largamente superiore alla domanda. Nel contempo, abbiamo avuto una crescita dell'occupazione, trascinata dai servizi alla persona, soprattutto femminile (560 mila badanti e assistenti familiari in più), che ha compensato in parte una caduta altrettanto rilevante dell'occupazione degli immigrati, riguardo ai quali la crisi ha raddoppiato il tasso di disoccupazione. Si tratta di una tendenza però in esaurimento perché anche l'assistenza familiare si è arenata visto che le famiglie non riescono a sostenere i relativi costi. Non manca la domanda potenziale, ma la spesa non è più sostenibile dalle famiglie, perché 1.500 euro di costo medio di badante regolare costituiscono una somma superiore al reddito di una donna che lavora. In altri Paesi la differenza la fa la detrazione fiscale, che in Francia ha creato 2 milioni e 100 mila posti di lavoro regolari in sette anni; lì è al 30 per cento in media, poi si differenzia in caso di persona non autosufficiente o se si acquistano i servizi normali. Ciò non viene avviene in Italia dove la domanda delle famiglie è un mercato di servizi sociali che genera domanda di lavoro femminile. In Francia si è arrivati invece ad avere un turnover pari a metà di francesi e metà di immigrati, laddove in Italia il turnover nel settore dei servizi alla persona per il 92 per cento concerne immigrati, con una buona componente di persone dell'Europa orientale.
  Dall'indagine svolta dal Comitato è d'altra parte emerso che i servizi alla persona fanno la differenza tra un tasso di disoccupazione femminile basso e alto, perché consentono alle donne di lavorare e attirano domanda femminile. Potenzialmente potremmo avere mezzo milione di posti di lavoro in più con una detrazione Pag. 8fiscale del 30 per cento. A tale proposito è stata segnalata al Comitato l'esperienza del Comitato scientifico dell'organizzazione del CESU (Chèque emploi service universel) francese, che ha organizzato un sistema semplificato di acquisto detraibile dei servizi alla persona e ha sostanzialmente azzerato il lavoro nero e qualificato un sistema dei servizi territoriali molto importante, non solo riferito a persone fisiche, le badanti, ma anche ad imprese, cioè di erogazione ad ore, per pulizie, babysitting e così via. È stato espresso in questo senso l'auspicio che il Parlamento italiano prenda seriamente in considerazione nei prossimi anni il tema, perché altrimenti in Italia l'occupazione femminile avrà grandi problemi ad espandersi. Le donne italiane hanno problemi a lasciare la famiglia perché il costo dell'acquisto dei servizi è troppo alto: a 900 euro il lavoro di badante è buono solo per gli immigrati. Tutto questo genera un effetto di percezione sbagliata del lavoro, che induce a considerare quello di badante un lavoro di bassa qualificazione, non condivisibile.
  L'indagine conoscitiva ha quindi permesso di accertare altresì che i neocomunitari non si comportano come gli extracomunitari, sono un mercato interno in libera circolazione e, se si tiene conto delle dinamiche delle comunicazioni obbligatorie, sono molto concentrati sui lavori a termine, non perché siano precari, piuttosto semplicemente perché guadagnano in Italia e consumano nel loro Paese. Con tre mesi di stipendio italiano, infatti, si guadagna l'equivalente del reddito annuo, per esempio, in Romania – un basso reddito italiano è pari a quattro volte uno percepito in quel Paese – e ciò dà luogo a dinamiche di migrazione circolare consistente da parte di tutta l'area dell'Europa orientale e dei Balcani, che è parte del mercato dei neocomunitari. Un analogo discorso è riferibile anche per gli albanesi, visto che si sta preparando l'ingresso nell'Unione europea anche di quel Paese.
  L'area balcanica e dell'Europa orientale oggi copre il 40 per cento della domanda, pur costituendo il 30 per cento dei residenti, quindi si tratta di comunità molto più dinamiche delle altre, che coprono tutti i lavori e dominano il lavoro stagionale. Per tale motivo molti Paesi europei hanno un approccio molto prudente ai neocomunitari: la Germania, la Gran Bretagna, i Paesi Bassi, l'Austria, la Slovenia, i Paesi dell'Europa settentrionale stanno tornando indietro nell'approccio ai neocomunitari, anche perché l'accesso alle prestazioni sociali provoca problemi.
  Si tratta in sostanza di approcci di tipo prudenziale che inducono a distinguere la situazione dei neocomunitari con l'immigrazione tout court: si tratta di persone che stanno partecipando alla formazione della cittadinanza europea, per le quali confonderne il processo con quello degli extracomunitari sarebbe un errore. Dei cinque milioni di residenti di origine straniera, metà sono già in un processo di cittadinanza, non fanno le ricongiunzioni familiari in Italia. È come se nel mercato del lavoro si avesse una gigantesca offerta di lavoro disponibile, che peraltro non risulta, visto che tecnicamente non si tratta di disoccupati. Nel processo di adesione della Croazia, per esempio, bisogna valutare cosa significhi il loro ingresso, data la vicinanza al Friuli-Venezia-Giulia e al Veneto, visto che per esempio i croati prendono la macchina, vengono in Italia, lavorano e tornano nel loro Paese, come in parte sta già capitando.
  La formazione del mercato del lavoro presenta in ogni caso un'abbondantissima offerta a bassa qualificazione. È stato rilevato nel corso dell'indagine che l'insieme di queste componenti fornisce una radicale prospettiva di cambiamento di politiche, rispetto alle programmazioni di ingressi generici. La cosiddetta sanatoria del 2012 è stata utilizzata per vendere permessi di soggiorno, ma il grado di emersione è stato bassissimo, visto che l'85 per cento era costituito da domande di rapporto familiare. Delle domande presentate, l'85 per cento riguardava maschi che andavano a fare i badanti e provenivano soprattutto dalle comunità asiatiche, organizzatissime nel gestire le varie opportunità: la famiglia non è un datore di lavoro Pag. 9e non si va a verificare il giorno seguente se abbia assunto una persona oppure no, ragion per cui formalmente la famiglia produce la comunicazione obbligatoria e poi licenzia. I dati indicano un aumento dell'offerta di lavoro di regolarmente soggiornanti, cioè come se fosse aumentata l'offerta di lavoro. Non si spiega come mai siano aumentate così tanto l'offerta di lavoro e la disoccupazione, infatti, se non attraverso l'effetto della sanatoria del 2009 più quella del 2012, che verrà registrata. L'indagine ha evidenziato che i disoccupati prevalenti sono quelli che vengono dall'industria e dalle costruzioni – come albanesi, marocchini, tunisini – cosiddetti lungo soggiornanti con famiglia; si tratta infatti delle comunità che hanno più figli in Italia.
  L'indagine ha quindi evidenziato che oggi, nelle condizioni date, è difficile programmare flussi d'ingresso, anche se ciò non vuol dire che il tema dell'immigrazione debba essere visto in termini di antagonismo. È opportuno parlare di migrazione, con fenomeni molto diversificati, che possono essere suddivisi in tre. Il primo è la formazione di un mercato del lavoro internazionale, dove l'Italia è poco attrattiva e partecipa poco, costituito da imprenditori, manager, quadri, organizzatori della produzione, organizzatori delle vendite, specialisti. Tali mercati si formano in ambito internazionale. I nostri giovani partecipano poco alla formazione di questo mercato del lavoro internazionale, che richiede una nuova politica di immigrazione, basata su reciprocità. La Cina e l'India sono Paesi di emigrazione e di immigrazione e molti altri Paesi partecipano nella doppia veste alla formazione di questo mercato. È stata quindi riferita al Comitato l'esigenza che negli accordi bilaterali dei prossimi anni, oltre al contrasto all'immigrazione illegale, si parli di reciprocità, di come allargare gli spazi degli accordi internazionali in condizioni di reciprocità di accesso. Questo mercato è una dinamica di formazione di medie e alte professionalità, senza confondere questa dinamica con la cosiddetta «esportazione dei cervelli». I giovani italiani dovrebbero andare all'estero possibilmente per fare esperienze di qualità, ma con un sistema che li accompagni, formato da sinergie tra università, relazione con gli altri Paesi, e il sistema delle imprese. Più le imprese sono piccole e più è necessario che ci sia un sistema che le aiuti, più sono piccole più è necessario che il sistema compensi la loro scarsa capacità di proiettarsi in mercati grandi, che riguarda tutta la dinamica del posizionamento internazionale.
  La seconda fascia da analizzare è il mercato del lavoro in cui la bassa qualificazione è abbondante; probabilmente nei prossimi anni si dovrà favorire un turn over più elevato, soprattutto fra i giovani italiani, per tutta la fascia del lavoro qualificato – manovalanza che diventa qualificata e specializzata – oggi al 40 per cento presidiato dagli stranieri. Gli stranieri sono il 10 per cento dell'occupazione, ma il 40 per cento in questa fascia, il che vuol dire che tutta la dinamica della fascia che va allo specializzato manuale è dominata dagli stranieri in Italia, più dinamici, più veloci, più capaci di apprendere. L'indagine ha evidenziato l'esigenza di recuperare uno stock di turn over italiano, da qui al 2020, per cercare di risolvere il problema dei giovani italiani. Si tratta di un 25 per cento che va al mercato internazionale e un altro 25 che va nel manuale, con una dinamica statistica di tutti i Paesi sviluppati, su cui bisogna lavorare per incidere sull'immigrazione: il primo aumentandola, il secondo riducendola. È emerso altresì un allungamento del periodo di attesa occupazione, mentre viene meno l'esigenza di flussi, c’è un bisogno di partecipazione alla politica attiva interna. Gli immigrati negli ultimi tre anni hanno perso il 20 per cento del reddito medio pro capite per la loro capacità di adattarsi a tutto. Il lavoro disponibile è però sempre minore, più corto in termini di tempo con salari più ridotti; quindi, se si arena il reddito, il processo di integrazione si abbassa. L'indagine ha evidenziato la necessità di far riprendere la quota dei lungo soggiornanti, indispensabile per il sistema, perché composta da coloro che si sono Pag. 10impossessati delle dinamiche che vanno dal manovale allo specializzato, oppure all'assistenza familiare, che è diventata una componente fondamentale.
  La terza innovazione importante è la programmazione triennale dei permessi per studio e tirocinio, per dare un respiro più lungo al tema dell'attrazione delle risorse di qualità, che possono essere riconvertite anche in soggiorno lavoro, e cercare di impostare una serie di accordi internazionali basati su reciprocità, collaborando a formare le classi dirigenti di questi Paesi, fondamentali nel Mediterraneo: Egitto, Tunisia, Marocco, Algeria hanno un deficit di classe dirigente produttiva e la migrazione circolare a base formativa può essere molto importante per questi Paesi, per stimolare immigrazione e cooperazione.

3. Le dinamiche economiche e sociali connesse al fenomeno dell'immigrazione in Italia.

  In considerazione della sua peculiare posizione geografica, che la rende così vicina alle coste africane, l'Italia si trova particolarmente esposta alle contingenze africane e del Vicino Oriente, ciò traducendosi nella opportunità di riconsiderare alcune previsioni a livello europeo in materia di immigrazione, rafforzando, al contempo, gli strumenti di cooperazione con i Paesi coinvolti da tali esodi di massa. Secondo il parere di alcuni dei soggetti auditi, ed in linea con le previsioni dei principali osservatori internazionali, tale ondata migratoria in atto sarebbe destinata a persistere, perlomeno fin quando non si perverrà ad una parziale stabilizzazione dei principali regimi in essere nei Paesi da cui originano tali flussi (migrazioni di profughi), ma anche fin tanto che permarranno divari sensibili di ricchezza e di sviluppo tra le diverse aree a Nord e a Sud del Mediterraneo (migrazioni per ragioni economiche). Si rileva, infatti, un cambiamento del profilo dei principali flussi migratori in atto, da migrazioni economiche a migrazioni per ragioni politiche, con la predominanza di flussi di tipo misto, una fattispecie che determina, secondo il diritto internazionale, in capo ai soggetti migranti specifici diritti. In tal senso, se la tutela della frontiera rimane una priorità, tale misura tende a risolvere solo parzialmente la questione, non potendo riguardare coloro che fuggono dalle persecuzioni o che migrano per ragioni politiche. Nel corso dell'attività svolta dal Comitato è stata opinione condivisa, quindi, che lo scenario attualmente delineatosi richieda da parte dell'Unione europea l'adozione di una strategia comune di intervento e di gestione dei fenomeni in atto, accordando la massima attenzione all'evoluzione politica degli accadimenti in corso, dai Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, a quelli del Vicino e Medio Oriente, ai territori della fascia sub-sahariana del Sahel.
  L'attuale fase di crisi economica, sommata all'instabilità politica in molti di questi Paesi, ha reso i flussi migratori molto più consistenti che in passato e caratterizzati, sempre più spesso, da soggetti che offrono una manodopera scarsamente qualificata, essendo rifugiati e richiedenti asilo politico, con ripercussioni tutt'altro che positive dal punto di vista del mercato del lavoro. Molti Stati membri, infatti, si trovano a scontare tassi di deficit demografico e di invecchiamento della popolazione che, secondo gli osservatori, porteranno nei prossimi anni i lavoratori europei a diminuire. Tuttavia, l'offerta di lavoro sul mercato europeo richiederà sempre di più alta professionalità e specializzazione delle competenze, in controtendenza con i profili dei migranti in arrivo. Le dimensioni stesse degli attuali flussi migratori rischiano di diventare un ulteriore fattore destabilizzante per i Paesi di destinazione, laddove non vengano approntate per tempo politiche di regolarizzazione ed integrazione verso questa moltitudine di soggetti.
  Il rischio, in altre parole, è che in mancanza di una cooperazione per lo sviluppo dei Paesi di origine di tali migranti, si possano generare fenomeni di emarginazione e discriminazione, di cui Pag. 11sono già presenti allarmanti segnali in molti Paesi europei. È stata quindi segnalata al Comitato l'esigenza, da parte delle Istituzioni, nazionali ed europee, di adottare politiche in grado di attirare manodopera altamente qualificata da Paesi terzi, al fine di garantire trend di crescita positivi, sia sotto l'aspetto economico, sia culturale nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione(2). In tal senso, se le politiche migratorie dell'Unione europea hanno sempre lasciato ampio potere alle singole realtà statali, soltanto negli ultimi anni ci si è resi conto dell'importanza di una politica europea comune per gestire al meglio il fenomeno.
  L'Italia in particolare, a seguito dei massiccio esodo verificatosi già a partire dall'estate del 2013, si è trovata a dovere affrontare una vera e propria emergenza umanitaria in termini di arrivi, a fronte di un dispositivo di accoglienza messo alla prova dalla gestione di un fenomeno dalle dimensioni e dal carattere eccezionali, con ciò invocando iniziative a livello europeo e la messa in campo di nuovi strumenti di cooperazione tra Unione e Paesi terzi.
  Un approfondimento specifico è stato quindi condotto dal Comitato attraverso l'indagine conoscitiva sull'impiego di lavoratori immigrati nelle attività industriali, produttive e agricole, sulle tematiche relative l'utilizzo di lavoratori stranieri immigrati in Italia. Secondo quanto riferito al Comitato, nel corso degli anni 2000 è triplicata la presenza di lavoratori e lavoratrici stranieri residenti in Italia, un fenomeno che nell'ambito dei Paesi aderenti all'Unione europea è stato inferiore solo alla Spagna(3). Gli anni della crisi economica e occupazionale hanno tuttavia segnato una discontinuità importante nella presenza degli immigrati nel nostro mercato del lavoro. Nello stesso periodo, analogamente all'aumento dell'occupazione concentrata essenzialmente nel settore domestico, è aumentata la disoccupazione degli immigrati (più 220.000), fino a raggiungere le 380.000 unità, ed è calato il tasso di occupazione (meno 7 per cento). La crisi colpisce soprattutto gli stranieri di sesso maschile occupati nei settori del manifatturiero e delle costruzioni, e in buona parte lungo soggiornanti con famiglia a carico. Gli immigrati in cerca di lavoro, sommando gli stranieri disoccupati con le cifre provenienti da familiari ricongiunti e dalle seconde generazioni, crescono più rapidamente della domanda di lavoro specificamente rivolta agli immigrati.
  È stata evidenziata, in questo contesto, l'importanza assunta negli anni 2000 dalla componente neo comunitaria, che rappresenta il 30 per cento dei residenti, ma che concorre a soddisfare il 40 per cento della domanda di lavoro rivolta agli stranieri. La libera circolazione, peraltro, consente loro di rispondere con estrema flessibilità alle esigenze del mercato del lavoro. In prospettiva, deve essere valutato il cambiamento di aspettative indotto dalla crisi economica, che sta riportando una quota significativa di disoccupati o inattivi italiani a rendersi disponibili verso tipologie e rapporti di lavoro che, negli anni recenti, erano soddisfatti da lavoratori stranieri, tendenza accentuata dagli effetti dell'allungamento dell'età pensionabile. Risulta, quindi, attiva una dinamica che porta cittadini italiani ad essere disponibili o interessati a svolgere attività che, precedentemente, erano appannaggio di cittadini extracomunitari o neo comunitari. Dai dati acquisiti dal Comitato, nel corso dell'indagine conoscitiva svolta, emerge quindi che gli occupati stranieri nel 2012 erano circa 2.334.000, 83.000 in più rispetto al 2011, quasi tutti concentrati nei servizi alla persona, mentre in altri contesti come il manifatturiero c’è una riduzione di occupazione anche da parte dei cittadini stranieri o neo comunitari. Rispetto al 2011 le persone in cerca di lavoro di cittadinanza europea sono cresciute di oltre 19.000 unità, mentre tra le forze di Pag. 12lavoro di cittadinanza extra Ue i disoccupati aumentano di 53.000 unità(4).
  È stato quindi indicato al Comitato, in particolare, come l'impiego di lavoratori immigrati in agricoltura è monitorato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, attraverso l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA), oggi operante nel Consiglio per la ricerca in agricoltura (CRA), che svolge da diversi anni un'indagine annuale sull'impiego degli immigrati extracomunitari nel settore agricolo con l'obiettivo di stimare l'entità del fenomeno e di individuarne gli elementi qualitativi caratterizzanti(5). L'elemento qualificante dell'indagine INEA è quello di operare una stima complessiva della presenza nel settore agricolo degli stranieri regolari e di quelli in posizione irregolare sotto il profilo quantitativo, sociologico e qualitativo anche dal punto di vista delle dinamiche contrattuali.
  Il rapporto, pubblicato alla fine del 2014, illustrato al Comitato, mostra come nel 2012 ci sia stato un aumento di circa 36.000 unità (15 per cento in più), per un corrispettivo complessivo di cittadini stranieri occupati nelle campagne italiane, pari a circa 269.000 unità. A questo incremento contribuiscono i lavoratori extra UE, 143.620 in totale ( 13 per cento), e i lavoratori dei Paesi comunitari, 125.340 in totale, che fanno registrare, in questo caso, una variazione del 18 per cento. Riguardo alla provenienza geografica si registra un aumento dei cittadini dei Paesi provenienti dall'Est Europa che hanno superato numericamente la storica componente nordafricana. Dagli elementi qualitativi dell'indagine INEA è emersa la necessità di un'azione organica e specifica su scala nazionale relativa all'accompagnamento e alla gestione del fenomeno migratorio in agricoltura per mettere fine allo sfruttamento dei lavoratori immigrati, in particolare di quelli clandestini, anche rispetto ai fenomeni più pervasivi di caporalato, in modo da garantire il rispetto e la dignità del lavoro, quali princìpi non negoziabili, fondamentali per tutti.
  Il Comitato inoltre ha accertato che l'Italia da questo punto di vista, nel corso della sua ultima presidenza del semestre europeo, ha rappresentato in Europa l'esigenza di tradurre in fatti più operativi e concreti gli sforzi di inquadramento del problema delle migrazioni, a partire proprio dall'approccio globale sulla migrazione e la mobilità del 2011. Sul piano più operativo, legato al lavoro agricolo, il Governo si è impegnato su due fronti, quello nazionale e quello europeo. In questo senso, è emerso nel corso dell'indagine, relativamente all'impegno nazionale, che su proposta del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stata istituita la Rete del lavoro agricolo di qualità, prevista dall'articolo 6 del decreto-legge n. 91 del 2014(6), cosiddetto decreto competitività, la cui cabina di regia è composta dalle organizzazioni sindacali e dalle organizzazioni professionali, insieme ai rappresentanti dei ministeri interessati, ossia politiche agricole, lavoro ed economia, alla Conferenza delle regioni. La Rete del lavoro agricolo di qualità è parte di un programma più generale, denominato Campo Libero, finalizzato a rendere riconoscibile e valorizzato il ruolo dell'impresa agricola in regola con gli adempimenti nei confronti dei lavoratori agricoli. Possono, infatti, fare richiesta per entrare nella Rete del lavoro agricolo di qualità le imprese agricole che risultano in possesso di stringenti requisiti che ne dimostrino la regolarità dal punto di vista contributivo. La Rete del lavoro agricolo di qualità apre la strada a una semplificazione dei controlli previdenziali sulle imprese agricole Pag. 13che aderiranno. L'obbiettivo è quindi quello di introdurre un meccanismo virtuoso per cui l'accesso è anche motivo di semplificazione sul versante del rapporto, in particolare, in questo caso, con l'INPS.
  È stato prospettato al Comitato un ulteriore sviluppo di questo progetto che dovrà essere completato da ulteriori meccanismi premiali in favore delle imprese che vi accederanno. L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha permesso in questo senso di appurare che un primo riscontro operativo e concreto della potenzialità dello strumento si è avuto durante un incontro con le organizzazioni della grande distribuzione organizzata, nel corso del quale è stato presentato lo strumento della Rete del lavoro agricolo di qualità e si è riscontrato un notevole interesse delle imprese a utilizzarlo. Allo stato attuale, infatti, le imprese della grande distribuzione utilizzano soggetti privati per farsi certificare il lavoro delle imprese di produzione a cui attingono. Il Governo ha accertato che il fatto di poter sperimentare insieme uno strumento pubblico riconosciuto, come la Rete per il lavoro agricolo di qualità, è potenzialmente una leva interessante anche per quelle aziende. Per quanto riguarda il rafforzamento della Rete, dall'indagine è emerso che il Parlamento ha comunque allo studio proposte di miglioramento del progetto della Rete stessa da realizzare più dettagliatamente in base alle diverse esigenze produttive.
  Ulteriori strumenti per la regolarizzazione del lavoro agricolo risultano essere gli incentivi alle assunzioni stabili che sono stati introdotti con il decreto-legge n. 91 del 2014 e poi nuovamente con la legge di stabilità del 2015, e la possibilità di effettuare assunzioni congiunte nel settore dell'agricoltura. In questo modo le aziende del settore possono, infatti, cogliere nuove opportunità di sviluppo e assumere congiuntamente specialisti, ripartendosene gli oneri. Secondo quanto riferito al Comitato, a partire dal 7 gennaio 2015, i datori di lavoro o i soggetti abilitati interessati possono effettuare le comunicazioni obbligatorie relative a instaurazione, cessazione, proroga e trasformazione tramite il nuovo modello UNILAV-Cong, disponibile esclusivamente on line, previo accredito al sistema.
  A livello di politica agricola europea sono state segnalate al Comitato alcune iniziative sul tema del lavoro in agricoltura. Si tratta, in particolare, del Regolamento n. 1307 del dicembre 2013, relativo ai pagamenti diretti agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla Politica agricola comune, che ha previsto all'articolo 11 che la riduzione dei pagamenti (il cosiddetto capping) di almeno il 5 per cento venga effettuata per gli importi di aiuti superiori ai 150.000 euro, partendo dall'importo dei pagamenti diretti da concedere a un agricoltore, sottratti i salari e gli stipendi legati all'esercizio di un'attività agricola effettivamente versati e dichiarati dall'agricoltore nell'anno precedente, comprese le imposte e gli oneri sociali sul lavoro. Si tratta di un aspetto ritenuto molto importante, perché nelle disposizioni nazionali per la riforma della PAC, con il decreto ministeriale n. 6513 la riduzione dei pagamenti si applica in maniera molto più incisiva rispetto al minimo del 5 per cento proposto dall'Unione europea. Si tratta di un importante contributo a un incentivo positivo per favorire la regolarizzazione del lavoro agricolo nelle aziende di maggiore dimensione, le quali utilizzano gran parte del lavoro dipendente, i cui esiti saranno valutati nell'ambito del monitoraggio dell'attuazione della PAC. In questo modo, se, quindi, si dichiara tutto il costo del lavoro, si ha un ritorno vantaggioso sul versante, in questo caso, dell'applicazione della PAC 2014-2020.
  Un altro aspetto della politica agricola che è stato sottoposto all'attenzione del Comitato nel corso della indagine conoscitiva svolta, è stato quello relativo a una nuova e rafforzata politica di cooperazione allo sviluppo, avviata con la legge 11 agosto 2014, n. 125, «Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo», e alla quale il Ministero per le politiche agricole partecipa attivamente come membro del Consiglio nazionale Pag. 14della cooperazione e del Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo. In quest'ambito, è stato segnalato al Comitato che, dopo undici anni di assenza, nel novembre 2014, a Palermo, si è tenuta nuovamente la Conferenza agricola euromediterranea, che ha coinvolto 30 Paesi dell'area. Al centro dei lavori è stato posto il tema dell'agricoltura come mezzo di dialogo e l'impegno dei partecipanti a una cooperazione per la crescita e lo sviluppo del settore, con particolare attenzione ai modelli agricoli sostenibili e al sostegno dell'agricoltura familiare. Un focus particolare si è avuto sul lavoro in agricoltura, con alcuni scambi di buone pratiche, anche di buone pratiche legislative, particolarmente utile per alcuni Paesi della sponda Sud del Mediterraneo. A seguito di questa conferenza, a gennaio 2015 è stato sottoscritto con il ministro dell'agricoltura egiziano un memorandum d'intesa a largo raggio per promuovere la collaborazione in materia agricola e agroalimentare tra le istituzioni e le imprese italiane. In particolare, i focus fondamentali sono legati proprio alla ricerca annuale in materia di sviluppo rurale, alle produzioni, alla meccanizzazione agricola e alla qualità del lavoro. Successivamente è stata siglata un'intesa analoga anche con il Governo algerino. Nel complesso, il Comitato ha accertato nel corso dell'indagine conoscitiva che le collaborazioni tecnico-agronomiche e commerciali con i Paesi dai quali provengono la maggior parte dei flussi migratori che insistono sull'Italia rappresentano uno strumento essenziale di lavoro.
  Una realtà nazionale specifica approfondita dal Comitato è stata quella di Prato(7), con 186.000 abitanti, la terza città del centro Italia che, secondo quanto emerso, contava all'aprile 2014 una presenza di circa 34.000 stranieri effettivamente registrati e presenti, più 15-20.000 – forse 25.000 – clandestini o comunque stranieri senza titolo di soggiorno, la maggior parte di origine cinese. Il Comitato ha quindi accertato che, per quanto siano molto limitati i poteri a livello locale in ambito di immigrazione, in seguito ai controlli eseguiti sono stati sequestrati in cinque anni di mandato amministrativo del Comune di Prato più di 22.000 macchinari (macchine da cucire e simili) e capannoni, e siano stati sgomberati numerosi immobili industriali al cui interno, in genere, i cinesi – costretti a lavorare anche 16-18 ore al giorno – ricavano anche i locali dove vivono. A seguito di una campagna anti-sfruttamento portata avanti dal Comune di Prato, un cittadino cinese si è fidato delle istituzioni italiane e ha denunciato il proprio aguzzino. Questi è stato condannato penalmente in primo grado, nonché ad un risarcimento per la parte lesa. Dopo questo esempio, altri cittadini cinesi lo hanno seguito nel corso del 2014: l'indagine svolta dal Comitato Schengen ha infatti appurato che il problema non consiste tanto nella concorrenza sleale, che pure costituirebbe un argomento sufficiente, quanto nel trattamento disumano dei lavoratori che, come si è verificato in diverse occasioni, porta a situazioni drammatiche, come la vicenda tragica avvenuta il 1o dicembre 2013, con la morte di sette lavoratori cinesi – molti dei quali clandestini – in seguito al rogo in un'azienda.
  Per quanto riguarda le procedure seguite, il Comitato è stato informato che, in seguito al controllo e al sequestro dell'azienda, viene emesso un decreto di espulsione del clandestino. Quest'ultimo, nella migliore delle ipotesi, si muove dal distretto pratese agli altri distretti cinesi – per esempio quello milanese, o quello di Carpi –, altrimenti ritrova occupazione in altre aziende, perché la rete all'interno della comunità cinese è assolutamente funzionale e permette a tutti costoro di ritrovare una collocazione all'interno del proprio ambito lavorativo, al pari di una vera e propria protezione. Qualora la persona cinese si ribelli o denunci, viene di fatto emarginata dalla comunità e perde assolutamente i diritti e le protezioni interne. Questo serve a dissuadere gli altri dal denunciare. L'indagine conoscitiva ha accertato che, secondo una ricerca dell'Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana Pag. 15(IRPET), presentata a novembre 2013, il 50 per cento del fatturato che proviene dalla provincia di Prato è generato da aziende cinesi, in parte regolari. Dalla medesima indagine conoscitiva è emerso che la provincia di Prato è la terza a livello nazionale per la rimessa di soldi all'estero; il denaro, quindi, non rimane nel territorio, ma è in gran parte trasferito, con una cifra ipotizzabile di 187 milioni nell'anno 2012, a fronte di 464 milioni di euro di rimesse verso la Cina nell'anno 2009. È stato per esempio evidenziato che i rappresentanti dei lavoratori e delle imprese locali hanno riferito di avere denunciato più volte il problema del distretto pratese, che non è considerato limitato solo a livello locale, ma si ritrova anche a livello nazionale. Ci sarebbero infatti aziende che lavorano alla luce del sole e sono interessate continuamente da controlli e verifiche e aziende che lavorano nella totale illegalità. A Prato questa situazione risulta evidente, ma si starebbe espandendo anche in altre zone. I controlli verrebbero effettuati solo su certe aziende, quelle che risultano maggiormente in vista.
  Per quanto riguarda l'attività dei controlli in relazione al fenomeno Prato(8), l'indagine conoscitiva svolta dal Comitato Schengen ha permesso di accertare che la situazione di Prato è attenzionata da anni. Nel periodo 2014-2015, sono stati sequestrati oltre 1.160.000 prodotti contraffatti in quel territorio, altri 74.000 perché pericolosi. Sono stati conclusi in questi due anni più di 220 tra verifiche e controlli fiscali, che hanno portato a constatare evasioni superiori a 115 milioni di euro, ai fini IVA per 36 milioni, nonché alla scoperta di 335 lavoratori in nero. Sono state approfondite, nel periodo indicato, 576 segnalazioni di operazioni sospette, eseguite due ispezioni antiriciclaggio nei confronti di money transfer. Sono stati denunciati 69 soggetti cinesi per violazione alle disposizioni in materia di immigrazione. Molte indagini sono state condotte nel campo della contraffazione e del rinnovo dei permessi di soggiorno.
  A tale proposito, l'indagine conoscitiva ha permesso di accertare che il contrasto al lavoro irregolare è uno degli obiettivi che compete essenzialmente al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di sostenere azioni di vigilanza specifiche. In proposito, il Comitato ha accertato che il personale ispettivo della direzione territoriale del lavoro di Prato è stato incrementato e, a partire dal 2012, è stato istituito uno specifico fondo, le cui risorse sono state destinate all'utilizzo di interpreti di lingua cinese(9).
  La direzione territoriale del lavoro di Prato risulta avere inoltre avviato, da tempo, un'intensa collaborazione sia con i funzionari ispettivi Inps e Inail, sia con la polizia municipale di Prato; il 12 ottobre 2013 è stato sottoscritto dalle istituzioni locali e dal Ministero del lavoro il Patto per Prato sicura 2013, che ha rinnovato gli analoghi impegni già sottoscritti nel 2007 e nel 2010. Le attività produttive svolte da minoranze etniche, in particolare dalla comunità cinese, nella provincia di Prato risultano dunque essere oggetto di costante attenzione da parte del personale ispettivo ministeriale, soprattutto nell'ambito dell'industria, considerata la prevalente attività svolta dalla comunità cinese nel settore tessile.
  Il Comitato si è quindi attivato per monitorare la presenza di lavoratori immigrati nell'ambito delle attività produttive e industriali a livello nazionale, con riferimento in particolare alla percentuale di lavoratori stranieri occupati rispetto a quella degli italiani, alla ripartizione della presenza degli occupati stranieri nei settori della manifattura, delle costruzioni, del commercio, della ristorazione e dei servizi e alla consistenza del numero di imprese costituite da cittadini provenienti da Paesi extracomunitari. È emerso quindi dall'indagine conoscitiva svolta(10) che, rispetto all'impatto dell'immigrazione sul sistema produttivo italiano, il fenomeno immigratorio può essere analizzato sotto due Pag. 16principali punti di vista. Il primo di essi fa riferimento alla crescente domanda di personale immigrato da parte del settore industriale e dei servizi; il secondo invece riguarda l'importanza che nel corso degli ultimi anni ha assunto la presenza di imprenditori di origine straniera all'interno del nostro sistema economico e del nostro tessuto industriale. In particolare, in merito al primo punto, i dati elaborati dal progetto Excelsior di Unioncamere sui fabbisogni professionali e formativi per il 2014 mostrano che, nel 2013, i lavoratori stranieri presenti in Italia erano 2.356.000, in una fase di tendenziale crescita rispetto agli occupati italiani, viceversa, in riduzione, dal terzo trimestre del 2008; salvo alcune episodiche variazioni positive in alcuni trimestri dell'ultimo quinquennio. Il trend di crescita dei lavoratori stranieri si nota soprattutto nel settore dei servizi che occupa da solo circa 1,5 milioni di stranieri immigrati, seguito poi dall'industria, dalle costruzioni e, da ultimo, dal comparto agricolo.
  In merito all'analisi sul settore dell'industria e dei servizi, è stato riferito al Comitato che, nel 2014, i nuovi posti di lavoro creati dalle imprese siano stati complessivamente pari a 613.400, di cui 83.000, quindi il 13,5 per cento, ricoperti da lavoratori di nazionalità straniera, dei quali circa il 34 per cento assunto in imprese con meno di 50 dipendenti. La prevalenza delle assunzioni è nel comparto dei servizi, dove si concentra il 69 per cento dei nuovi lavoratori stranieri, mentre il restante 31 per cento è assorbito dal comparto industriale, in particolare dalle costruzioni, seguito poi dalla industria metalmeccanica e dal sistema moda, quindi tessile, abbigliamento e calzature. Le assunzioni, da un punto di vista geografico, avvengono soprattutto nel Centro-Nord, dove è concentrato circa l'80 per cento del totale. L'analisi dei dati sui profili professionali richiesti rileva che, pur rimanendo elevata la domanda dei lavoratori stranieri dagli skill medio-bassi (con circa il 56 per cento del totale), si registra un aumento delle assunzioni di persone con profili intermedi, quali ad esempio impiegati e personale qualificato del commercio e dei servizi (circa il 34 per cento del totale) e con profili più qualificati, definiti high skill, con una percentuale ancora bassa (circa il 10 per cento il totale), ma comunque in un trend di crescita.
  Sulla base dell'analisi dei flussi dei lavoratori immigrati, il Comitato Schengen ha potuto accertare attraverso l'indagine conoscitiva(11) come sempre di più l'apporto di manodopera straniera assuma un carattere strutturale rispetto all'intero sistema produttivo nazionale e che sempre meno questo vada considerato come un fenomeno di carattere marginale; d'altro canto, le imprese operanti in Italia cominciano gradualmente a richiedere lavoratori immigrati con profili professionali tendenzialmente medio alti. Per quanto riguarda l'importanza che sta assumendo, all'interno del sistema industriale italiano, la presenza di imprenditori di origine straniera, nel corso degli anni, il sistema delle imprese a livello europeo, prima ancora che a livello nazionale, ha visto sempre di più la presenza di imprenditori immigrati, che arrivano dall'estero, all'interno di vari settori produttivi.
  Si tratta quindi di un fenomeno nazionale, ma che insiste in un trend di carattere europeo. Dall'indagine conoscitiva svolta dal Comitato(12), è emerso in particolare che il rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014 elaborato da IDOS e Unioncamere, mostra come gli imprenditori di origine immigrata incidano per quasi un quindicesimo sull'insieme delle attività imprenditoriali a livello europeo, con elevate concentrazioni soprattutto in Germania, dove si concentra quasi un quarto del totale, seguita poi da Regno Unito, Spagna e Italia. Tale analisi evidenzia anche come i principali settori di attività in cui operano questi imprenditori immigrati ormai trascendano dagli ambiti tradizionali relativi alle specifiche esigenze commerciali e di servizio delle comunità di Pag. 17appartenenza, ma si riferiscano anche a settori di attività analoghi in cui operano gli imprenditori autoctoni, per cui c’è un ampliamento del «range» dei settori industriali che non sono più quelli tipicamente legati alla provenienza della nazionalità di questi imprenditori.
  Il Comitato Schengen, attraverso l'indagine conoscitiva svolta, ha accertato quindi che nel contesto produttivo nazionale, su una struttura di poco più di 6 milioni di imprese, nel 2014, circa 400.000 di queste, quindi 24.000 unità in più rispetto al 2013, sono condotte da cittadini immigrati, che arrivano da fuori l'Unione europea, con un'incidenza del 6,8 per cento sul totale delle imprese, di cui 86.550, quindi un po’ più del 21 per cento del totale delle imprese dei migranti, sono femminili; quindi un dato caratteristico da un punto di vista di genere.
  Questi dati consolidano la posizione delle imprese immigrate che dal 2011 al 2013 hanno avuto un trend di aumento del 9,5 per cento, a fronte di una lieve diminuzione, nello stesso periodo, di quelle facenti capo a imprenditori autoctoni, che invece hanno avuto una flessione del –1,6 per cento. Si tratta in larga maggioranza di imprese individuali. In effetti, alla fine del 2013, circa un ottavo delle ditte individuali registrate è risultata intestata a un lavoratore di origine straniera. Inoltre, analizzando il fenomeno da un punto di territoriale, la presenza di queste imprese si concentra nelle regioni del Centro-Nord, in particolare Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Veneto che da sole ospitano circa il 60 per cento del totale delle imprese immigrate. Da un punto di vista settoriale, invece, si osserva una sorta di alternanza fra imprenditori di origine straniera e imprenditori nazionali, in settori che sono forse più facilmente accessibili, che certamente hanno un minor valore aggiunto e con un livello iniziale di investimenti abbastanza basso. I due comparti privilegiati sono quelli dell'edilizia e del commercio. Le imprese indicate, pur offrendo prodotti e servizi anche ai clienti italiani, mostrano una forte propensione a servire le comunità immigrate di appartenenza, con numerose piccole imprese che forniscono specifici servizi alle comunità immigrate. Ve ne sono degli esempi nel campo dell'editoria, con alcuni giornali cosiddetti etnici, o dell'assistenza legale e burocratica, oltre che di natura sociale.

4. Le problematiche connesse alle transazioni commerciali compiute dai lavoratori stranieri.

  L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha permesso ai approfondire anche il tema relativo alle transazioni commerciali svolte dai lavoratori immigrati; in specie, quelle relative a una categoria di servizi il cui utilizzo per trasferire denaro all'estero è molto diffuso tra i lavoratori stranieri, quella dei cosiddetti money transfer. Tale attività è svolta da soggetti la cui attività consiste nell'offrire un servizio di trasferimento di fondi, attraverso la raccolta e la consegna delle somme da trasferire. I money transfer possono essere aperti in qualsiasi esercizio commerciale e consentono di inviare soldi all'estero con costi di commissione ridotti. L'indagine conoscitiva condotta al riguardo dal Comitato Schengen ha accertato che ciò che rende il meccanismo particolarmente appetibile e potenzialmente soggetto a illegalità è il fatto che coloro che usufruiscono di questi servizi non sono tenuti alla titolarità di un conto bancario, non debbono possedere un documento di cittadinanza e debbono solo esibire un documento di identità, facilmente falsificabile. È emerso in particolare che secondo un'analisi del Centro Studi «ImpresaLavoro» su elaborazione di dati della Banca d'Italia, dal 2005 al 2014 le rimesse dei lavoratori stranieri in Italia ai loro Paesi di origine hanno raggiunto la cifra considerevole di quasi 60 miliardi di euro, anche se la crisi economica italiana ha comportato negli ultimi anni una significativa contrazione delle somme inviate da questi lavoratori ai loro Paesi di origine: dai 7,394 miliardi del 2011 ai 6,833 miliardi del 2012 (–7,6 per cento) Pag. 18fino ai 5,533 miliardi del 2014 (–38 per cento)(13).
  L'indagine conoscitiva ha evidenziato sul punto, acquisendo un'elaborazione sviluppata dalla Fondazione Leone Moressa sui dati della Banca d'Italia, che nel 2013 l'ammontare delle rimesse dei lavoratori stranieri verso l'estero, in gran parte effettuate tramite money transfer, si è attestato intorno ai 5,5 miliardi di euro. Considerato il valore dei trasferimenti per ogni straniero residente, l'area di Prato, per esempio, si distingue per l'ammontare più alto, pari a 5.500 euro pro capite, seguìto da Catania con 4.300. Le regioni che spiccano per il maggior volume di rimesse sono la Lombardia, il Lazio e la Toscana. Per quanto attiene alle aree di destinazione, la Cina rimane il primo Paese beneficiario con circa il 20 per cento delle rimesse, seguìto della Romania, 15,7 per cento, e dal Bangladesh, 6,3 per cento. Il Comitato nel corso dell'attività svolta ha accertato altresì al riguardo che la quantità di moneta che circola nei canali non ufficiali probabilmente si avvicina a quella che transita per i canali ufficiali e che il problema dei money transfer è ben noto alla Guardia di finanza ed è fonte di particolare preoccupazione, perché costituisce un sistema per trasferire capitali all'estero al riparo dell'anonimato.
  Dalle informazioni emerse nel corso dell'indagine svolta dal Comitato in relazione al fenomeno dei money transfer, si è potuto appurare quali ulteriori iniziative siano state intraprese per garantire il rispetto della legalità da parte dei money transfer e per impedire che attraverso queste strutture vengano trasferiti all'estero capitali di provenienza illecita, con evasione del fisco italiano. Il Comitato Schengen ha potuto in particolare completare la conoscenza delle informazioni relative al numero delle agenzie di money transfer in Italia, all'ammontare delle operazioni effettuate e delle somme trattate, e alla percentuale di irregolarità che risulta dai controlli effettuati dalla Guardia di finanza su tali operazioni.
  È emerso in particolare al riguardo che il tema della movimentazione di flussi finanziari è connesso alla gestione dei traffici illeciti, compreso quello dell'immigrazione(14). Il quadro normativo vede il nostro Paese dotato di una normativa di prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario per scopi di riciclaggio. I decreti legislativi nn. 109 e 231 del 2007 attribuiscono al Corpo della Guardia di finanza competenze specialistiche e pongono a carico di operatori del settore, finanziari e no, alcuni fondamentali adempimenti, come l'adeguata verifica della clientela, la registrazione dei rapporti e delle operazioni, l'individuazione di segnalazioni per operazioni sospette. L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha potuto accertare che la platea dei soggetti obbligati a questi adempimenti è molto ampia ed è andata progressivamente crescendo, dagli intermediari bancari e finanziari, per arrivare a comprendere molti operatori non finanziari e professionisti; un bacino stimato in oltre 400.000 soggetti obbligati, che producono ogni anno circa 60.000 segnalazioni per operazioni sospette. Su tale sistema di presidio antiriciclaggio occorre confrontarsi con la diffusione di nuove tecnologie informatiche, che hanno favorito lo sviluppo di canali di pagamento alternativi, tra cui appunto i money transfer, canali gestiti in molti casi dai membri delle principali comunità etniche presenti in Italia, che operano anche in Paesi dove non esiste una legislazione antiriciclaggio o è assente un regolare circuito bancario. Il Comitato ha accertato attraverso l'indagine conoscitiva svolta che si permette in questo modo a trasferire denaro contante attraverso operatori tra loro collegati e localizzati nelle più disparate aree geografiche. Si tratta, di fatto, di soggetti assimilabili a veri e propri sportelli finanziari, sorti principalmente per agevolare le rimesse in patria degli immigrati.
  D'altra parte, per effetto delle modifiche legislative introdotte negli ultimi anni, attraverso i money transfer non possono Pag. 19essere trasferiti in un'unica soluzione importi pari o superiori a mille euro. Secondo i dati della Banca d'Italia acquisiti dal Comitato nel corso dell'indagine conoscitiva, nel 2014 il valore delle rimesse verso l'estero, in gran parte effettuate tramite questo circuito finanziario, si è attestato intorno ai 5,3 miliardi di euro. Per quanto attiene l'area di destinazione, nel 2014 la Romania è stata il primo Paese beneficiario, con circa il 16,5 per cento dei trasferimenti, seguito dalla Cina, 15,4 per cento, e dal Bangladesh, con circa il 6,8 per cento. Dall'indagine conoscitiva è emerso d'altro canto che decisamente inferiore è il valore delle rimesse verso altri Stati considerati sensibili in questo momento storico. Ad esempio, risultano inviati un milione di euro in Libia, 600.000 euro in Siria, 500.000 euro in Iraq. In complesso, si segnala una certa contrazione degli importi nel complesso movimentato rispetto al trend di crescita degli ultimi anni; il picco era stato raggiunto nel 2011, con una massa di transazione che aveva raggiunto la soglia dei 7,7 miliardi. Le regioni che attraverso questi canali spiccano per il maggior volume di rimesse sono la Lombardia, il Lazio e la Toscana.
  Il Comitato ha comunque accertato che le statistiche ufficiali ovviamente possono sottostimare il dato effettivo, in quanto non è possibile quantificare anche in via di approssimazione i trasferimenti che avvengono attraverso altri canali informali. Dall'indagine conoscitiva è emersa per esempio la rilevanza del cosiddetto metodo Hawala, che non lascia alcuna traccia documentale del flusso finanziario. Mediante questo sistema il cliente avvicina in Italia un mediatore, detto hawaladar, e gli consegna una somma di denaro da trasferire a un destinatario che si trova in un altro Paese. L’hawaladar italiano contatta il suo omologo estero, gli fornisce le dovute informazioni su chi sia il destinatario dei fondi e sull'importo della somma di denaro da consegnargli, sottraendo una commissione, e promette di saldare il debito in una data successiva. Non vengono cambiati strumenti di pagamento, in quanto le transazioni sono basate unicamente sull'onore e su un sistema di registrazione informale, quindi nessuna documentazione ufficiale. Il pagamento dei debiti tra gli hawaladar può assumere diverse forme, soprattutto attraverso meccanismi di compensazione.
  L'indagine ha quindi approfondito il tema della struttura del circuito finanziario dei money transfer cosiddetto «classico». È stato riferito al Comitato che tale circuito è strutturato su vari livelli: le multinazionali, che gestiscono la rete dei trasferimenti; gli istituti di pagamento, che possono essere nazionali tenuti all'iscrizione in un apposito elenco della Banca d'Italia, o comunitari, sottoposti alla vigilanza delle autorità del Paese d'origine, per il principio del cosiddetto home country control, che devono comunicare, cosiddetto passaporto comunitario, alla Banca d'Italia l'avvio dell'operatività del soggetto nel nostro Stato. Poi ci sono gli agenti, che operano su mandato di istituti di pagamento nazionali o comunitari e rappresentano l'ultima anello della catena, vale a dire i punti vendita a diretto contatto con la clientela, collocati in strutture gestite per lo più da cittadini stranieri, spesso anche con poca padronanza della lingua italiana, che forniscono servizi di diversa natura, come agenzie di viaggio, bar, tabaccherie, internet point e call center. Gli agenti intermediari comunitari, a differenza di coloro che operano per conto di istituti di pagamento nazionale, non sono tenuti a iscriversi all'albo gestito dall'Organismo degli agenti e dei mediatori creditizi (OAM), ente dotato di personalità giuridica di diritto privato, a sua volta vigilato da Banca d'Italia, istituito ai sensi del decreto legislativo n. 141 del 2010. Si tratta di una prima asimmetria che pone alcuni problemi se si considera che l'iscrizione nei registri nazionali è garanzia del rispetto di predeterminati requisiti di onorabilità – come non aver riportato condanne per certi reati, non essere stato sottoposto a misure di prevenzione – e professionalità – frequenza di un corso di formazione – previste nel testo unico bancario e in apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del Pag. 202012. L'iscrizione e la presenza nell'elenco è subordinata, appunto, alla formazione e all'aggiornamento professionale almeno una volta l'anno dei dipendenti e dei collaboratori che vengono a contatto con il pubblico. Queste condizioni, garanzia del corretto funzionamento del sistema finanziario, non trovano quindi diretta applicazione rispetto agli agenti dei Paesi membri dell'UE, le cui normative possono prevedere una diversa e meno stringente declinazione.
  Ad esempio, sulla base dei dati forniti dalle competenti autorità di vigilanza, il numero di agenti che svolgono money transfer in Italia complessivamente attivi nel Paese è pari a circa 15.000 unità, riconducibili nella quasi interezza, intorno al 90 per cento, proprio a operatori esteri. Si parla, quindi, di soggetti che hanno la loro sede operativa prevalentemente nei grandi capoluoghi di regione – Roma, Milano, Napoli – sebbene si rilevi una distribuzione piuttosto uniforme sul territorio nazionale. L'indagine conoscitiva svolta ha permesso di evidenziare che sulla base dei dati forniti dall'OAM, limitatamente agli agenti nazionali è possibile anche fornire un identikit di quelli iscritti, appunto, nel registro nazionale. Si tratta prevalentemente di soggetti nati in Italia, in più del 50 per cento dei casi, in Bangladesh, quasi il 20 per cento, nel Pakistan, 5,5 per cento, in Perù, 4,8 per cento, e in altri Paesi tendenzialmente extracomunitari. Pur a fronte di tale eterogeneità, nel rispetto dei princìpi e dei vincoli comunitari, il legislatore nazionale ha adottato una serie di correttivi finalizzati a garantire una certa applicazione degli adempimenti antiriciclaggio. È previsto, infatti, che gli istituti di pagamento comunitari istituiscano un punto di contatto nazionale, al quale è demandato tra l'altro il compito di comunicare all'organismo di autoregolamentazione OAM il numero di agenti operanti in Italia, e di inviare all'UIF, Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, le segnalazioni di operazioni sospette generate dalla rete. Si cerca in questo modo di garantire che anche questi soggetti di emanazione comunitaria rispettino la normativa antiriciclaggio. L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha d'altro canto permesso di evidenziare che, in questo scenario, la Guardia di finanza è attivamente impegnata sia nell'assolvimento delle indagini di polizia giudiziaria su delega della magistratura, sia negli accertamenti amministrativi finalizzati a verificare il rispetto della normativa antiriciclaggio. Si è così appurato nel corso dell'indagine che tra gennaio 2013 e marzo 2015 sono pervenuti dagli istituti di pagamento al nucleo speciale di polizia valutaria 3.721 segnalazioni di operazioni sospette, delle quali soltanto 53 generate da fonti di contatto di intermediari comunitari su 3.721. Tra le anomalie più ricorrenti segnalate vi sono l'artificioso frazionamento delle somme da spedire, l'inusuale frequenza di operazioni a beneficio sempre dello stesso oggetto e il trasferimento verso Paesi differenti rispetto a quello di origine dello straniero. Solo per dieci di queste segnalazioni era stato in origine evidenziato quale generico motivo di sospetto un possibile collegamento con fatti di finanziamento del terrorismo, ma poi gli esiti investigativi sono stati negativi. I reparti della Guardia di finanza sono poi impegnati anche in attività ispettive presso la rete dei money transfer finalizzate alla verifica del rispetto degli obblighi antiriciclaggio. Tra il 2010 e il 2015 sono stati eseguiti 1.051 controlli, contestando 247 violazioni di natura penale e 208 illeciti amministrativi. Per quanto riguarda le metodologie ispettive con cui vengono effettuati questi controlli, il Comitato ha appurato che, generalmente, si acquisisce l'elenco dei clienti per riscontrare la presenza tra gli stessi dei nominativi inseriti nelle black list antiterrorismo generate dall'ONU e da altri organismi internazionali; si verifica il corretto adempimento di tutti gli obblighi antiriciclaggio (adeguata verifica della clientela, obbligo di segnalazione operazioni sospette) e le modalità di acquisizione e conservazione dei dati sul permesso di soggiorno del cliente, qualora questi sia cittadino extracomunitario.Pag. 21
  Un dato specifico che è emerso nel corso dell'indagine è stato che la circolarità di queste informazioni è importante. Esiste a livello nazionale il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, CASA, in cui sono presenti, oltre alla Guardia di finanza, la Polizia e i servizi di informazione, allo scopo di condividere e valutare le informazioni relative alla minaccia terroristica interna e internazionale. In questo contesto, si provvede all'esecuzione di controlli mirati per riscontrare il possibile ruolo dei money transfer anche nel finanziamento di organizzazioni terroristiche. Si utilizzano in particolare sistemi informativi posti in essere per approfondire questo sistema, il sistema cosiddetto SIVA 2, Sistema informativo valutario, gestito dal nucleo speciale di polizia valutaria. In relazione a recenti esperienze investigative che hanno riguardato il fenomeno, è stato riferito al Comitato che un'indagine denominata «Fiume di denaro», condotta dal nucleo speciale di polizia valutaria, scaturita dall'esecuzione di un'ispezione antiriciclaggio nei confronti di un money transfer attivo in Roma, ha permesso di accertare il riciclaggio di oltre un miliardo di euro, provento di evasione fiscale e commercio di prodotti con marchi contraffatti realizzato in soli due anni, ponendo in essere circa 800.000 operazioni.
  In prima battuta è stata riscontrata un'anomala operatività del singolo punto vendita, caratterizzata da numerosi e frequenti invii di denaro da parte dei clienti di etnia cinese verso la madrepatria. Dopo le indagini sono state estese nei confronti della succursale italiana dell'istituto di pagamento estero e della relativa rete commerciale e hanno consentito di pervenire alla scoperta di una vera e propria organizzazione strutturata per delinquere, che sistematicamente violava le norme antiriciclaggio, frazionando le somme da inviare sotto la soglia imposta dalla legge – pari a 999 euro, il cosiddetto smurfing – indicando quali mittenti nominativi di fantasia, defunti e così via. Lo schema fraudolento era gestito, organizzato e diretto da soggetti che ricoprivano ruoli di rilievo all'interno dell'istituto di pagamento. Sono state seguite misure cautelari nei confronti di 18 persone, sequestrati beni e altre utilità per oltre 10 milioni di euro e sono state segnalate all'autorità giudiziaria sette società. Dal nucleo di polizia tributaria di Prato, per esempio, con l'operazione «Dummy» del luglio 2013 sono stati individuati flussi finanziari illeciti del valore complessivo di 10 milioni di euro, riferibili a circa 2.500 operazioni eseguite in 17 mesi da imprenditori cinesi operanti nel settore tessile, alcuni dei quali con gravi precedenti in materia di contraffazione.
  L'indagine conoscitiva ha appurato d'altra parte l'esistenza anche di casi di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, come testimoniato da un'indagine condotta dal gruppo della Guardia di Finanza di Catania in collaborazione con la locale squadra mobile, avente a oggetto un'associazione per delinquere di carattere transnazionale operativa in Egitto, Siria e Italia, costituita allo scopo di procurare l'ingresso via mare sul territorio nazionale di cittadini extracomunitari. L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha accertato che il modus operandi prevedeva che i migranti consegnassero nel Paese d'origine a un mediatore un anticipo del costo totale del viaggio, mentre il saldo veniva corrisposto nel luogo di destinazione attraverso rimesse di familiari e conoscenti utilizzando appunto money transfer. In un'altra occasione, il GICO di Firenze, con l'operazione cosiddetta «Bakara» del 2013 nei confronti della comunità somala, grazie ad alcune intercettazioni telematiche condotte su personal computer utilizzati da alcune agenzie di money transfer, ha accertato il nesso tra le transazioni finanziarie da e verso il territorio nazionale e traffici di migranti nel nostro Paese. Il Comitato in questo caso ha appurato che molto importante è stata in quest'indagine la collaborazione internazionale con organismi collaterali esteri; utili elementi di prova, infatti, sono stati acquisiti dalla Metropolitan Police di Londra, che ha trasmesso in Italia l'elenco di tutte le movimentazioni finanziarie poste in essere da un istituto di pagamento Pag. 22londinese acquisite nel corso di alcune perquisizioni. Gli intermediari di riferimento in questo caso avevano sede all'estero, in particolare a Londra e Dubai, e non risultavano autorizzati a operare in Italia. Ancora, da ultimo, l'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha approfondito quanto accaduto con l'operazione cosiddetta «Jamaat» del nucleo della Guardia di finanza di Milano, che ha posto in evidenza la pericolosità del circuito Hawala per ripulire capitali illeciti frutto di reato di stupefacenti da parte di soggetti pachistani e marocchini. Nel caso dei soggetti di etnia pachistana, l'abusivo trasferimento di denaro avveniva nel quadro di attività d'impresa, con ricorso a fatture per operazioni inesistenti relative a servizi di traffico telefonico forniti da operatori esteri, per fornire una giustificazione commerciale a movimentazioni illecite. Gli operatori marocchini, invece, non si servivano di locali commerciali o di altre stabili organizzazioni, ma si recavano personalmente in luoghi all'aperto considerati sicuri, ove scambiavano le somme, una parte delle quali poi veniva trasferita in Marocco anche tramite il tradizionale metodo dello spallonaggio. Il Comitato ha d'altra parte accertato che, grazie ad un'indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Firenze, vi è stato il trasferimento illecito di 4,5 miliardi dall'Italia verso la Cina, posto in essere dal 2007 al 2010 attraverso il ricorso ad alcune agenzie di money transfer, con il coinvolgimento di alcuni soggetti della filiale milanese di Bank of China. In questo caso, dopo quattro anni di indagine è stato emesso un avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di 287 soggetti, di cui 24 tratti in arresto e 263 denunciati a piede libero.
  Si tratta di attività investigative a sviluppo di operazioni che a suo tempo fecero una certa presa anche a livello mediatico, cosiddette Cian Liu e Cian Ba, dal 2008 al 2012, nei confronti di un sodalizio criminale attivo sul territorio nazionale e composto, appunto, prevalentemente da soggetti di etnia cinese. Le indagini, tra l'altro, hanno consentito di accertare diffuse violazioni alla normativa antiriciclaggio proprio attraverso il frazionamento artificioso delle somme da inviare all'estero e l'utilizzo di documenti falsi posti in essere da numerose agenzie di money transfer, appunto dall'intermediario finanziario di riferimento di questi. All'esito degli accertamenti sono stati sequestrati beni per oltre 47 milioni di euro nei confronti di 76 amministratori e titolari di imprese cinesi, e sono state svolte anche 27 verifiche fiscali. Si è d'altro canto potuto appurare, infatti, che queste indagini si completano anche con approfondimenti fiscali, che hanno permesso di scoprire ricavi non dichiarati per poco meno di 80 milioni di euro e IVA per 40 milioni di euro. Sono stati quindi emessi provvedimenti di sequestro e misure di prevenzione per 268 immobili, 5 terreni, 464 autoveicoli, 151 aziende e diversi rapporti bancari.
  Un altro aspetto specifico relativo alle attività svolte da lavoratori immigrati in Italia, emerso nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dal Comitato, ha riguardato il problema del finanziamento del terrorismo.
  In questo senso, il Comitato ha accertato che importanti interventi sono già stati adottati con decreto-legge n. 7 del 2015, convertito nella legge n. 43 del 2015, che ha previsto l'estensione ai reati per terrorismo anche internazionale dei compiti e delle funzioni di coordinamento del procuratore nazionale antimafia, ora anche antiterrorismo; la possibilità per tale autorità di avvalersi dei servizi centrali e interprovinciali delle Forze di polizia – SCICO per la Guardia di finanza –; l'obbligo da parte della DIA e del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza di informare il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo delle segnalazioni di operazioni sospette, inviate ai sensi della normativa antiriciclaggio, per terrorismo. Si è quindi accertato che questa nuova cornice giuridica ha permesso di attivare immediatamente nuove direttive operative ai reparti, per rendere più veloce e più mirato l'approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette riconducibili Pag. 23a tale fenomeno; per intercettare con la massima celerità le operazioni sintomatiche di questo fenomeno; per garantire in fase di sviluppo investigativo metodologie mirate e uniformi e verificare a stretto giro l'esistenza di fattispecie di reato; per porre in essere, infine, un efficace flusso informativo nei riguardi dello SCICO, della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, anche per la condivisione con le altre Forze di polizia e le altre indagini in corso.
  L'indagine conoscitiva svolta dal Comitato ha permesso di accertare, come possibile strumento per migliorare il sistema a livello internazionale, le raccomandazioni del GAFI (Gruppo d'azione finanziaria), che sono state oggetto di revisione nel febbraio 2012 e la quarta direttiva antiriciclaggio pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 5 giugno 2015. In particolare, il considerando 2 della direttiva evidenzia che i riciclatori e i finanziatori del terrorismo potrebbero approfittare del regime di libera circolazione dei capitali e della libertà di prestare servizi finanziari, che il mercato finanziario integrato dell'Unione europea comporta, per esercitare più agevolmente le loro attività criminose. Si pone, quindi, l'opportunità di ricercare un punto di equilibrio delicato che, da un lato, non si traduca in oneri eccessivi o sproporzionati per gli operatori rispetto agli obiettivi da perseguire e, dall'altro, salvaguardi l'integrità e la stabilità del sistema. Sempre sotto il profilo investigativo, l'indagine conoscitiva ha evidenziato l'importanza di garantire la più ampia tracciabilità dei flussi finanziari attraverso la previsione di modalità standardizzate di registrazione e conservazione delle informazioni nei vari Paesi europei, che consentano di individuare origine, destinazione e beneficiari dei movimenti in caso di operatività transfrontaliere. Il decreto legislativo n. 231 del 2007, normativa antiriciclaggio, d'altra parte seppure include gli agenti di pagamento comunitari che svolgono la loro attività italiana tra i soggetti destinatari della stessa disciplina, non definisce nel dettaglio le modalità applicative dei relativi obblighi, soprattutto in materia di registrazione dell'operazione. L'indagine conoscitiva svolta ha evidenziato quindi l'opportunità di valutare l'introduzione di disposizioni che rendano chiaro l'obbligo di tenuta dell'archivio unico informatico previsto dall'articolo 37 del decreto legislativo n. 231 anche nei confronti di tali operatori economici, avvalendosi preferibilmente delle strutture già esistenti, i cosiddetti punti di contatto, come avviene per gli intermediari nazionali. Questo consentirebbe in fase investigativa di disporre con modalità strutturate di informazioni per rendere più agevole la ricostruzione storica dell'operazione, attraverso ad esempio la possibilità di effettuare ricerche mirate per soggetto, periodo temporale, Paese di destinazione e provenienza.
  Il Comitato Schengen nel corso dell'indagine conoscitiva ha acquisito d'altro canto anche l'utilità di attuare i recenti orientamenti del GAFI in sede di revisione delle 40 raccomandazioni e la Quarta direttiva antiriciclaggio, per assicurare un complessivo salto di qualità sul piano della trasparenza informativa. Al riguardo, dall'indagine conoscitiva è emerso che gli organismi internazionali hanno concordemente posto l'attenzione sulla necessità di disporre di informazioni aggiornate sul reale beneficiario effettivo dell'operazione, soprattutto nei casi in cui l'identità si celi dietro strutture societarie complesse la cui catena di controllo ha il suo terminale dall'estero. Allo scopo di promuovere una chiara disclosure di questi assetti proprietari, dall'indagine conoscitiva è emersa la opportunità di valutare la costituzione di registri pubblici da cui desumere le informazioni relative ai titolari effettivi, accessibili in tempo reale agli organi investigativi.
  Come evidenziato nei consideranda della Quarta direttiva antiriciclaggio con particolare riferimento all'utilizzo della moneta elettronica, in ogni caso, il crescente grado di finanziarizzazione dei circuiti economici richiede inoltre di monitorare con molta attenzione l'utilizzo di carte di credito cosiddette ricaricabili. Queste, pur presentando le caratteristiche Pag. 24e le funzionalità di un bancomat, non richiedono di norma la presenza di un conto corrente di appoggio, ma esclusivamente la costituzione attraverso versamenti in contanti o bonifici delle disponibilità necessarie per operare. Uno specifico profilo di rischio può essere rappresentato dalla possibilità di emettere più carte, cosiddette twin card, a favore dello stesso nominativo, legittimandone in tal modo l'utilizzo da parte di più persone, con il rischio che vengano superati i presìdi antiriciclaggio. Dall'indagine svolta è stato riscontrato, infatti, che vengono di norma effettuati accreditamenti a favore delle carte ricaricabili in qualsiasi parte del mondo ove esistono circuiti convenzionati. Contestualmente, la presenza di una seconda carta di pagamento gemella permette l'utilizzo del plafond finanziario da parte di soggetti che non sono sottoposti all'adeguata verifica della clientela – come identificazione e quant'altro – e quindi sfuggono dal circuito della tracciabilità.
  Il Comitato ha quindi accertato che si tratta di un contesto che rischia di complicarsi a livello investigativo se si considera che i prodotti finanziari in esame sono spesso forniti dall'operatore comunitario attraverso la spedizione diretta dall'estero, avvalendosi in Italia di distributori esercenti attività commerciali.

5. Considerazioni conclusive.

  L'indagine conoscitiva condotta dal Comitato ha permesso di evidenziare alcune problematiche relative al ruolo dei lavoratori stranieri, nel mercato del lavoro in Italia.
  La crescita della presenza di lavoratori immigrati nel corso degli ultimi anni è derivata soprattutto da una domanda di lavoro superiore all'offerta soprattutto per un'offerta di lavoro manuale molto più alta e di una mobilità territoriale interna, componenti che nelle nuove generazioni sono venute drammaticamente meno. L'indagine conoscitiva del Comitato Schengen ha confermato che nei prossimi anni ci sarà un'abbondanza di offerta di lavoro a bassa qualificazione e a basso stipendio. Certo, con l'indagine si è accertato che la stabilizzazione dei cosiddetti lavoratori lungo soggiornanti ha attivato i percorsi di ricongiunzione familiare, le cosiddette seconde generazioni. La comunità straniera quindi tende a crescere non per la programmazione dei flussi, ma perché c’è una dinamica degli extracomunitari – questa è la seconda componente di novità – diversa da quella dei neocomunitari. Si tratta di una dinamica di ricongiunzione familiare e di crescita.
  Un altro aspetto importante emerso dall'indagine conoscitiva concerne poi le dinamiche economiche e sociali connesse al fenomeno dell'immigrazione in Italia. Come detto, l'Italia si trova particolarmente esposta alle contingenze africane e del Vicino Oriente, ciò traducendosi nell'esigenza di riconsiderare le previsioni iniziali a livello europeo in materia di immigrazione, rafforzando, al contempo, gli strumenti di cooperazione con i Paesi coinvolti da tali esodi di massa. Come si vede, si tratta di un'ondata migratoria in atto che è destinata a persistere, perlomeno fin quando non si perverrà ad una almeno parziale stabilizzazione dei principali regimi in essere nei Paesi da cui originano tali flussi e fin tanto che permarranno divari sensibili di ricchezza e di sviluppo tra le diverse aree a Nord e a Sud del Mediterraneo. Lo scenario attualmente delineatosi richiede l'adozione di una strategia comune di intervento e di gestione dei fenomeni in atto da parte dell'Unione europea. L'offerta di lavoro sul mercato europeo richiederà sempre di più alta professionalità e specializzazione delle competenze, in controtendenza con i profili dei migranti in arrivo. Le dimensioni stesse degli attuali flussi migratori rischiano di diventare un ulteriore fattore destabilizzante per i Paesi di destinazione. Il rischio è che in mancanza di una cooperazione per lo sviluppo dei Paesi di origine di tali migranti, si possano generare fenomeni di emarginazione e discriminazione, di cui sono già presenti allarmanti segnali in molti Paesi europei. Occorre Pag. 25quindi una politica europea comune per gestire al meglio il fenomeno, con particolare riferimento all'impiego di lavoratori immigrati nelle attività industriali, produttive e agricole. Nel complesso, il Comitato ha accertato nel corso dell'indagine conoscitiva che le collaborazioni sia tecnico-agronomiche che commerciali con i Paesi dai quali provengono la maggior parte dei flussi migratori che insistono sull'Italia rappresentano uno strumento essenziale di lavoro. In ogni caso il contrasto al lavoro irregolare è uno degli obiettivi che il Governo e le istituzioni locali ciascuna per le proprie competenze devono portare avanti al fine di sostenere azioni di vigilanza specifiche.
  Un rilevante approfondimento è stato svolto dal Comitato in materia di transazioni commerciali compiute dai lavoratori stranieri, in specie quelle relative a una categoria di servizi il cui utilizzo per trasferire denaro all'estero è molto diffuso tra i lavoratori stranieri, quella dei cosiddetti money transfer. A questo proposito il Comitato ha accertato nel corso dell'indagine che la quantità di moneta che circola nei canali non ufficiali probabilmente si avvicina a quella che transita per i canali ufficiali e che il problema dei money transfer è ben noto alla Guardia di finanza ed è fonte di particolare preoccupazione, perché costituisce un sistema per trasferire capitali all'estero al riparo dell'anonimato, come avviene con il metodo cosiddetto Hawala, che non lascia alcuna traccia documentale del flusso finanziario.
  L'indagine conoscitiva ha appurato d'altra parte che fonte di guadagno deriva anche dall'esistenza di casi di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e il problema del finanziamento del terrorismo.
  Si pone, quindi, l'opportunità di ricercare un punto di equilibrio delicato che, da un lato, non si traduca in oneri eccessivi o sproporzionati per gli operatori rispetto agli obiettivi da perseguire e, dall'altro, salvaguardi l'integrità e la stabilità del sistema.

   (1) Audizione del direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, svolta il 17 dicembre 2013

   (2) In questo senso, si veda l'audizione di Natale Forlani, direttore generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, svolta nella seduta del 17 dicembre 2013.

   (3) In tal senso, si veda l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle questioni relative al settore dell'immigrazione, nella seduta dell'8 maggio 2014

   (4) Si veda l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle questioni relative al settore dell'immigrazione nella seduta dell'8 maggio 2014

   (5) Si veda l'audizione del Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Maurizio Martina, svolta nella seduta del 24 febbraio 2015

   (6) Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea», convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116

   (7) Si veda in questo senso l'audizione di rappresentanti dell'amministrazione di Prato, citata

   (8) Si veda in questo senso l'audizione del rappresentante della Guardia di Finanza, citata

   (9) Si veda al riguardo l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, nelle materie di competenza del Comitato, con particolare riferimento alle questioni relative al settore dell'immigrazione nella seduta dell'8 maggio 2014

   (10) Si veda l'audizione della Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, citata

   (11) Si veda l'audizione della Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, citata

   (12) Si veda ancora l'audizione della Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, citata

   (13) Si veda l'audizione del rappresentante della Guardia di Finanza, citata

   (14) Audizione del Capo del III Reparto-Operazioni della Guardia di finanza, Generale di Brigata Stefano Screpanti, svolta nella seduta del 29 luglio 2015.