Doc. XVII-bis , n. 4

DOCUMENTO APPROVATO DAL COMITATO PARLAMENTARE DI CONTROLLO SULL'ATTUAZIONE DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, DI VIGILANZA SULL'ATTIVITÀ DI EUROPOL, DI CONTROLLO E VIGILANZA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
Relatore, on. Laura Ravetto
(Approvato dal Comitato nella seduta del 16 dicembre 2015)

SUI FLUSSI MIGRATORI IN EUROPA ATTRAVERSO L'ITALIA, NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA DEL SISTEMA EUROPEO COMUNE D'ASILO E DELLA REVISIONE DEI MODELLI DI ACCOGLIENZA

Indagine conoscitiva sui flussi migratori in Europa attraverso l'Italia, nella prospettiva della riforma del sistema europeo comune d'asilo e della revisione dei modelli di accoglienza

DOCUMENTO CONCLUSIVO

I N D I C E

1. Premesse Pag. 5
2. Le principali tematiche emerse nel corso dell'indagine » 7
3. Le operazioni di salvataggio, in particolare Mare Nostrum e Triton » 7
4. Accoglienza e sistema di asilo » 12
5. Fenomeno migratorio, criminalità e terrorismo » 16
6. Le nuove dinamiche dei flussi migratori nell'area Schengen » 22
7. Proposte comuni al Parlamento » 27
Pag. 5

1. Premesse.

  Il Comitato ha deliberato, il 17 dicembre 2013, di avviare un'indagine conoscitiva sui «Flussi migratori in Europa attraverso l'Italia, nella prospettiva della riforma del sistema europeo comune d'asilo e della revisione dei modelli di accoglienza», con l'obiettivo di approfondire le problematiche connesse al massiccio afflusso di migranti sul territorio nazionale, nonché di studiare dinamiche e caratteristiche dei principali flussi migratori in transito verso l'Europa.
  L'importanza e l'attualità degli elementi di conoscenza acquisiti nel corso dell'indagine hanno determinato il Comitato a prorogarne il termine una prima volta dal 31 dicembre 2014, al 28 febbraio 2015, e quindi ad integrarne successivamente il programma per l'esigenza di non trascurare nel monitoraggio del fenomeno migratorio in Europa le possibili occasioni di violazione delle frontiere da parte di soggetti che, anche successivamente al loro ingresso in Europa, possano trasformarsi in terroristi o loro fiancheggiatori. Il termine è stato conseguentemente prorogato al 31 ottobre 2015.
  Nel corso dell'indagine, sono state svolte, in particolare, le audizioni dei seguenti soggetti: Giovanni Pinto, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno (4 marzo 2014); rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, UNHCR (25 marzo 2014); rappresentanti dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni-OIM (27 maggio 2014); Maria Maddalena Novelli, direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale per il Lazio (11 giugno 2014); Alessandro Menichelli, Consigliere per la Giustizia e gli Affari interni nella Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione europea e membro supplente del Consiglio di amministrazione di Frontex (17 giugno 2014); Piero Fassino, presidente dell'ANCI e sindaco di Torino (18 giugno 2014); Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa (24 giugno 2014); Giuliano Pisapia, sindaco di Milano (15 luglio 2014); Linda Tomasinsig, sindaco di Gradisca d'Isonzo (22 luglio 2014); on. Franca Biondelli, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali (7 agosto 2014); Naceur Mestiri, Ambasciatore della Repubblica Tunisina (15 settembre 2014); Amr Helmy, Ambasciatore della Repubblica Araba d'Egitto (30 settembre 2014); Hassan Abouyoub, Ambasciatore del Regno del Marocco (8 ottobre 2014); on. Angelino Alfano, Ministro dell'interno (22 ottobre e 19 novembre 2014); Furio Honsell, sindaco di Udine (30 ottobre 2014); on. Sandro Gozi, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee (27 novembre 2014); Eugenio Orlandi, rappresentante di Europol (20 gennaio 2015); sen. Marco Minniti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (28 gennaio 2015); Francesco Paolo Tronca, Prefetto di Milano (28 gennaio 2015); Luigi Savina, Questore di Milano (seduta segreta del 10 febbraio 2015); Alessandro Pansa, Capo della Polizia (25 febbraio 2015); Mario Papa, presidente del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (11 e 18 marzo 2015); Mario Morcone, Capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno (25 marzo 2015); Mario Lucini, sindaco di Como (15 aprile 2015); Elisabetta Margiacchi, Prefetto di Pag. 6Bolzano (29 aprile 2015); ammiraglio Felicio Angrisano, Comandante generale delle Capitanerie di porto – Guardia Costiera (7 maggio 2015); ammiraglio Giuseppe De Giorgi, Capo di Stato maggiore della Marina militare (12 maggio 2015); generale Saverio Capolupo, Comandante generale della Guardia di finanza (20 maggio 2015); Angelo Trovato, presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo (4 giugno 2015); Gian Luca Galletti, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (10 giugno 2015); Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia (11 giugno 2015); Enrico Rossi, Presidente della Regione Toscana (16 giugno 2015); Luca Zaia, Presidente della Regione Veneto (17 giugno 2015); Giovanni Toti, Presidente della Regione Liguria (23 giugno 2015); Debora Serracchiani, Presidente della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (25 giugno 2015); Michele Emiliano, Presidente della Regione Puglia (7 luglio 2015); Cathérine Colonna, Ambasciatrice di Francia (8 luglio 2015); rappresentanti del Consiglio Intermedio di Rappresentanza delle Capitanerie di Porto – Co.I.R.CP (5 agosto 2015); Calogero Ferrara, Sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Palermo (10 settembre 2015); rappresentanti del Consiglio Centrale di Rappresentanza – Co.Ce.R-Sezione Marina (16 settembre 2015); Susanne Marianne Wasum-Rainer, Ambasciatrice della Repubblica Federale di Germania in Italia (17 settembre 2015).
  Il Comitato si è quindi riunito per l'indagine conoscitiva in 43 sedute per un tempo complessivo di circa 49 ore.
  Sono state altresì acquisite dal Comitato utili informazioni sulle materie dell'indagine nel corso delle audizioni dei seguenti soggetti: Angela Pria, Capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno (19 novembre 2013); Giovanni Pinto, Direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno (10 dicembre 2013); on. Federica Mogherini, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (8 aprile 2014); on. Angelino Alfano, Ministro dell'interno (15 aprile e 28 maggio 2014); on. Sandro Gozi, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee (23 aprile 2014); on. Beatrice Lorenzin, Ministra della salute (11 novembre 2014); Andrea Orlando, Ministro della giustizia (10 dicembre 2014); Antonello Soro, Garante per la protezione dei dati personali (3 marzo 2015); Paolo Gentiloni, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (5 marzo 2015); sen. Stefania Giannini, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca (25 marzo 2015).
  La presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, on. Laura Ravetto, ha svolto poi una missione a Milano, l'8 luglio 2014, per incontrare la Commissaria europea agli Affari interni, Cecilia Malmström, a margine della riunione del Consiglio dei ministri dell'Unione europea competenti in materia di giustizia e affari interni, cosiddetto Consiglio GAI. Nel corso dell'incontro bilaterale avuto con la presidente Ravetto, la Commissaria Malmström ha ribadito l'importanza di un'ampia operazione europea di gestione e controllo dei flussi migratori – come aveva proposto in sede di Consiglio GAI del 7 ottobre 2013, confermando Pag. 7tale posizione durante la sessione plenaria del 7-10 ottobre 2013 del Parlamento europeo – comprendente il fronte marittimo da Cipro alla Spagna, superando in tal modo il carattere frammentario delle singole missioni. In quell'occasione, la presidente Ravetto ha rappresentato alla Commissaria Malmström l'opportunità emersa nel Comitato Schengen di prevedere un maggior coinvolgimento di altri Stati membri dell'Unione europea nella gestione dei massicci flussi migratori sulle coste italiane. La presidente del Comitato Schengen ha d'altra parte evidenziato l'esigenza di un ripensamento del criterio fissato dal cosiddetto Regolamento di Dublino III, sull'individuazione del Paese di primo approdo ai fini dell'esame della richiesta di asilo, anche ai fini dell'accoglimento in Unione europea del principio del mutuo riconoscimento del diritto di asilo in Italia. La Commissaria europea agli affari interni, Cecilia Malmström, ha condiviso l'esigenza di un possibile coinvolgimento di altri Stati membri nella gestione degli sbarchi, con un affiancamento della missione italiana Mare Nostrum ad altre iniziative gestite da Frontex. Sulla riforma del regolamento c.d. Dublino III ha ricordato l'esigenza di un accordo degli Stati membri ad una sua eventuale modifica, alla quale si è detta peraltro sensibile.

2. Le principali tematiche emerse nel corso dell'indagine.

  Dalle audizioni svolte dal Comitato, sopra indicate, sono emersi alcuni temi prevalenti: il dispiegarsi e l'evolversi dell'operazione italiana Mare Nostrum e la sua successiva sostituzione con l'operazione europea Triton; le problematiche concernenti l'applicazione e le deroghe relative al cosiddetto Regolamento Dublino III e le esigenze di una sua riforma; l'effettiva attualità dello Spazio Schengen, con specifico riferimento ai profili della sicurezza nazionale, del fenomeno dei cosiddetti foreign fighters e dei possibili collegamenti tra terrorismo e migrazione, anche in conseguenza degli attentati che hanno colpito alcune capitali europee all'inizio del 2015; il tema del mutuo riconoscimento del diritto di asilo, le problematiche connesse al resettlement e la riforma del cosiddetto codice visti; la necessità di percorrere una cooperazione con Paesi Terzi e la previsione di partenariati di mobilità e sicurezza, anche a partire dall'istituzione di campi profughi; la gestione dei minori stranieri non accompagnati e dei flussi migratori anche dal punto di vista sanitario; le problematiche connesse ai profili finanziari nella gestione delle politiche sull'immigrazione.
  Innanzitutto, quindi, le problematiche legate all'operazione Mare Nostrum e il suo successivo superamento per effetto dell'operazione europea Triton.

3. Le operazioni di salvataggio, in particolare Mare Nostrum e Triton.

  Le condizioni di perdurante guerra civile in alcuni Paesi dell'Africa, nonché di grave instabilità politica seguita al crollo di precedenti regimi (per tutti, Siria e Libia), hanno comportato, tra l'altro, gravi violazioni dei diritti umani in danno alle popolazioni residenti, che Pag. 8hanno visto nella fuga l'unica opzione possibile per salvare la propria vita. Ciò ha generato un massiccio flusso di migranti verso l'Europa attraverso l'Italia, soprattutto via mare, ma anche via terra attraverso la rotta dei Balcani. Tale situazione ha posto il Paese nella condizione di sopportare enormi oneri gestionali, umanitari e di ordine pubblico per fronteggiare l'emergenza migrazione, tuttora in atto. Per fronteggiare questo massiccio esodo di popolazioni provenienti dal continente africano, affrontare i flussi migratori sempre più crescenti, intervenire in soccorso dei migranti e prevenire la tratta degli esseri umani attraverso il Mare Mediterraneo, il Governo italiano ha avviato il 18 ottobre 2013 l'operazione Mare Nostrum.
  La principale problematica affrontata dal Comitato Schengen nella prima parte dell'indagine conoscitiva è stata proprio quella relativa a Mare Nostrum, verificando passo, passo il percorso seguito dal Governo nell'approntare una risposta alla situazione di emergenza determinatasi alla fine del 2013, con l'obiettivo di prevenire il ripetersi di nuove tragedie dopo quella di Lampedusa. Si è trattato di un'operazione militare ed umanitaria che ha previsto il rafforzamento del dispositivo di sorveglianza e soccorso in alto mare utilizzando mezzi navali ed aerei, anche delle Forze armate.
  L'indagine ha evidenziato come, all'inizio, all'azione di sensibilizzazione e di condivisione della preoccupazione con altri partner europei rispetto alla dimensione umanitaria del fenomeno in corso, per molti mesi non è seguita, nei fatti, l'affermazione né il riconoscimento da parte degli altri Stati membri di una dimensione pienamente europea del problema, frustrando le attese del nostro Paese. Se, quindi, dopo la tragedia di Lampedusa, la creazione di una task force dell'Unione europea per la gestione dell'emergenza migratoria nel Mediterraneo e per una più efficace gestione del fenomeno migratorio nel medio periodo, ha costituito un passo in avanti nella presa di coscienza della valenza pienamente europea del problema – non soltanto della sponda sud dell'Europa – l'Italia si è trovata con l'operazione Mare Nostrum nella difficile situazione di dovere gestire da sola l'afflusso massiccio di migranti verso le proprie coste.
  Nel corso dell'indagine, fin dall'inizio, è emerso che l'Italia si è trovata ad affrontare una pressione migratoria che, nel corso del 2014, ha superato i livelli record toccati nel 2011: solo nei primi tre mesi del 2014 l'indagine ha accertato che il numero di migranti arrivati via mare nel Paese è stato 13 volte superiore a quello fatto registrare nello stesso periodo del 2013. Più precisamente, nei primi cinque mesi dell'anno gli arrivi di migranti erano 39.538 e la regione maggiormente coinvolta dal fenomeno è stata la Sicilia, in cui si sono registrati il 98 per cento degli sbarchi; ai primi di luglio, le cifre riportate sfioravano le 50.000 persone arrivate sulle coste italiane via mare, giungendo alla fine dell'anno alla soglia di oltre 170.000 unità.
  Nella fase conclusiva dell'operazione Mare Nostrum, il Comitato ha accertato che i migranti soccorsi, nell'ambito di 563 interventi, sono stati 101.000, di cui 12.000 minori non accompagnati; sono stati rinvenuti 499 corpi di persone decedute, mentre i dispersi, sulla base della testimonianza dei sopravvissuti, potrebbero essere più di 1.800; sono stati arrestati 728 scafisti e sequestrate otto imbarcazioni. A Pag. 9conclusione dell'operazione, secondo le indicazioni della Marina militare, i migranti assistiti sono stati, nell'ambito di 421 eventi di ricerca e soccorso, 150.810. I presunti scafisti, fermati e consegnati all'Autorità Giudiziaria, grazie anche alla cooperazione con le Procure interessate, hanno raggiunto il numero di 330, mentre sono state sequestrate 5 «navi madre». Questi risultati sono stati raggiunti grazie all'impiego di 32 Unità navali e 2 sommergibili che si sono avvicendati dall'inizio dell'operazione per un totale di oltre 45.000 ore di impiego e l'impegno in media di circa 900 militari al giorno.
  In particolare, secondo i dati del Ministero dell'Interno, forniti durante l'indagine, l'operazione Mare Nostrum, dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, ha prodotto:
   Eventi di sbarco: 563;
   Migranti soccorsi: 100.949, di cui 9.038 minori non accompagnati;
   Arresti: 270 tra scafisti, organizzatori e basisti;
   Sequestri: 8 imbarcazioni;
   Costo dell'operazione: circa 115 milioni di euro.

  Le operazioni contestuali a Mare Nostrum, operazioni di Frontex (Hermes, Hermes extension, Aeneas) e le altre operazioni di soccorso (mercantili privati, rintracci sulle coste) hanno portato:
   Eventi di sbarco: 498;
   Migranti soccorsi: 60.489, di cui 3.679 minori non accompagnati;
   Arresti: 172 tra scafisti, organizzatori e basisti;
   Sequestri: 39 imbarcazioni.

  La cosiddetta operazione Mare Nostrum phasing out, dal 1o novembre 2014 al 31 dicembre 2014, ha prodotto invece:
   Eventi di sbarco: 28;
   Migranti soccorsi: 3.678, di cui 297 minori non accompagnati;
   Arresti: 12 tra scafisti, organizzatori e basisti;
   Sequestri: 0;
   Costo dell'operazione: 5,6 milioni di euro.

  Circa, infine, i dati complessivi relativi ai corpi di persone decedute recuperati durante tutte le operazioni indicate e ai presunti dispersi, acquisite anche sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, risultano:
   Corpi recuperati: 560 (721 secondo UNHCR);
   Migranti dispersi: 1.807 (2.817 secondo UNHCR).

  A seguito della conclusione di Mare Nostrum, e in previsione dell'avvio dell'operazione Frontex plus, ribattezzata Triton dal 1o novembre 2014, è emerso nel corso dell'indagine conoscitiva che la Pag. 10regia unitaria della nuova missione europea, che assorbe quelle già in atto, cioè Aeneas ed Ermes, è stata affidata all'Agenzia Frontex, la quale per l'espletamento di tale mandato, ha ricevuto dall'Unione europea uno stanziamento aggiuntivo di 20 milioni di euro per l'anno 2015, avvalendosi del Centro di coordinamento internazionale istituito a Pratica di Mare, presso il Comando aeronavale della Guardia di finanza, dove sono distaccati i rappresentanti della stessa Agenzia e di tutti i Paesi partecipanti.
  In ragione del vasto raggio di azione, che comprende l'intero Mediterraneo centrale e lo Jonio, l'operazione di Frontex avrebbe richiesto la più ampia partecipazione di Stati membri; a partire dal suo avvio l'operazione Triton poteva comunque essere qualificata come la più grande e partecipata operazione di controllo delle frontiere messa mai in campo dall'Unione europea nello scenario del Mediterraneo. Secondo quanto emerso, il panel degli Stati partecipanti e dei dispositivi su cui contare per l'operazione guidata da Frontex, è stato costituito, oltre all'Italia, da: Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda (solo per Triton 2015), Islanda, Lettonia (solo per Triton 2014), Lussemburgo (solo per Triton 2014), Malta, Olanda, Norvegia (solo per Triton 2015), Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Svezia, Svizzera, Spagna e Regno Unito. La nuova operazione Triton si dispiega essenzialmente nel Mediterraneo centrale e nello Jonio. La sua area operativa risulta piuttosto vasta e, oltre al canale di Sicilia, comprende nel quadrante est la parte ionica della Calabria, estendendosi parzialmente anche alla Puglia, mentre nel settore ovest abbraccia la Sardegna meridionale. La linea di pattugliamento si attesta per gli assetti marittimi a circa 30-40 miglia dalle isole di Lampedusa e Malta. Il dispositivo aereo, invece, si spinge sino al limite dell'intera area operativa.
  Nel corso dell'indagine è emerso altresì che gli assetti aeronavali schierati e gli esperti impiegati nei team di supporto sono appartenuti a 24 Stati membri, inclusa l'Italia; otto Stati hanno messo a disposizione un numero complessivo di tre aerei, un elicottero, tre pattugliatori d'altura e tre pattugliatori costieri, mentre l'Italia ha messo a disposizione un aereo della Guardia di Finanza, un pattugliatore d'altura della Marina militare con elicottero a bordo e due pattugliatori costieri, rispettivamente della Capitaneria di porto e della Guardia di Finanza. Inoltre, nell'ambito delle disponibilità complessive offerte dagli Stati, la scelta degli assetti aeronavali da impiegare è stata demandata a Frontex, le cui determinazioni operative rimangono ovviamente vincolate al budget europeo a disposizione, che è stata inizialmente di 3 milioni di euro mensili. Nella fase d'avvio, il dispositivo di Triton ha visto schierati al largo delle coste italiane e maltesi due aerei, due elicotteri, due pattugliatori d'altura e quattro pattugliatori costieri. Gli assetti forniti da Malta in particolare hanno provveduto anche alla distruzione delle imbarcazioni lasciate alla deriva dopo il salvataggio dei migranti, che, oltre a costituire un rischio per la navigazione, potevano essere recuperate dalle stesse organizzazioni criminali e riutilizzate per successivi viaggi. Infine, a supporto dell'attività di pattugliamento, è risultato al Comitato che Pag. 11sono stati impiegati cinque joint debriefing team per lo svolgimento delle interviste ai migranti sui luoghi di sbarco e due screening team per i primi accertamenti sulla nazionalità dei migranti. Per la costituzione di tali team, hanno dato la loro disponibilità a inviare propri esperti i seguenti Stati: Austria, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Svezia, Svizzera, Spagna e Regno Unito. I team, guidati da un funzionario della polizia di Stato e integrati da due esperti per le interviste e da un mediatore culturale, sono dislocati a Mineo, Ragusa, Siracusa, Trapani e Crotone.
  L'operazione Triton è stata decisa, portata avanti e finanziata dall'Unione europea con una governance complessiva assicurata dall'Agenzia Frontex, organismo della stessa Unione, mentre Mare Nostrum era nata da una decisione italiana, con finanziamenti dell'Italia, al fine di dare una risposta emergenziale al gravissimo problema umanitario manifestatosi tragicamente con la sciagura di Lampedusa. La nuova operazione, dunque, dovrebbe avere, nelle intenzioni, un compito del tutto differente rispetto a quello di Mare Nostrum, anche in ragione dei diversi obiettivi. Frontex nel Mediterraneo centrale ha l'obiettivo di contrastare l'immigrazione clandestina, la tratta e il traffico di esseri umani, secondo i limiti e le procedure imposte dal Regolamento n. 656/2014, che reca le norme a cui l'Agenzia si deve attenere per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne dell'Unione europea. L'elemento di novità, in base a questo Regolamento, dovrebbe inoltre contemplare ogni intervento utile anche in chiave dissuasiva, inclusa l'ispezione del natante, del carico e delle persone che vi sono a bordo, nonché il sequestro del mezzo e il fermo delle persone.
  Il Comitato ha appurato che la missione di Frontex svolgerà all'occorrenza anche attività di ricerca e soccorso di persone in pericolo, conformemente non tanto agli obiettivi della missione stessa, bensì al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza, dalla situazione giuridica o dalle circostanze in cui si trovino le persone da soccorrere. Su tale fronte, il Comitato ha espresso perplessità in ordine all'adeguatezza di Triton confrontata a Mare Nostrum, relativamente alle attività di soccorso in mare.
  Per quanto riguarda interventi nelle acque territoriali libiche, è stato riferito al Comitato che il problema è la sovranità nazionale libica. Da un lato, la presenza di almeno due Governi libici rende estremamente complesso trovare l'interlocutore per un accordo. Dall'altro, entrare nelle acque territoriali costituisce comunque un'operazione molto sensibile sotto il profilo della sovranità nazionale libica. Per farlo, serve o l'adesione del Governo libico oppure una risoluzione dell'ONU che autorizzi questo tipo di operazione. In Somalia, per esempio, sono autorizzate le operazioni nelle acque somale per l'antipirateria; in quel caso, però, c’è un'autorizzazione del Governo somalo riconosciuto dall'Italia. La risoluzione ONU e l'adesione dello Stato interessato sono alternativi, perché la risoluzione dell'ONU riduce la sovranità di quel Paese, preso atto che questo non assicura come dovrebbe l'ordinato sviluppo dei controlli sulle sue Pag. 12coste e consente alle organizzazioni criminali di usare liberamente quella nazione come trampolino e come base per attività che risultano potenzialmente criminali.
  Nel corso dell'indagine sono emerse altresì implicazioni di carattere ambientale, connesse al fenomeno dei migranti. L'area interessata dalle rotte dei barconi dei profughi costituisce uno degli esempi più importanti per la biodiversità, da un punto di vista internazionale: nel canale di Sicilia sono state individuate più aree EBSA (Ecologically or Biologically Significant Marine Areas), cioè aree speciali e significative per gli aspetti ecologici e biologici, riconosciute dalla Convenzione mondiale per la biodiversità, adottata a Rio de Janeiro nel 1992 nel corso del summit mondiale delle Nazioni Unite su «Ambiente e sviluppo». In questo quadro, si inserisce la problematica della particolare vulnerabilità, dal punto di vista ambientale, e della corrispondente esigenza di tutela, delle aree marine ricadenti nel Mediterraneo meridionale, interessate dal fenomeno della migrazione di clandestini provenienti dalle coste nordafricane, e quella dell'abbandono dei battelli utilizzati dai migranti e il rischio concreto del loro affondamento, sia in mare aperto, cioè in acque internazionali, che lungo le coste nazionali, cioè in acque territoriali. Per contrastare il fenomeno dello scafismo, una delle soluzioni ipotizzate a livello nazionale, che ha avuto peraltro ampio risalto sui mezzi di informazione, prevedeva che dopo aver soccorso e messo in salvo i migranti, il comandante dell'unità navale operante avrebbe potuto procedere, in luogo del sequestro, all'affondamento in mare del natante, qualora ricorressero determinate condizioni legate alla salvaguardia delle vite umane e alla sicurezza della navigazione e non fossero praticabili altri interventi. Benché fosse previsto che la facoltà di affondamento si sarebbe applicata ai soli natanti di stazza lorda inferiore a 500 tonnellate, poiché tale misura corrisponde a navi da carico di lunghezza anche superiore a 50 metri, sono apparse subito evidenti le implicazioni di natura ambientale che l'applicazione di tale regola, ancorché limitata ai soli casi eccezionali consentiti, avrebbe potuto provocare.
  Eventuali iniziative miranti alla distruzione e all'affondamento in alto mare dei barconi utilizzati dai trafficanti per il trasporto dei clandestini, una volta concluse le operazioni di soccorso, debbono presentare in ogni caso oggettivi caratteri di eccezionalità ed essere comunque legate alla situazione contingente.

4. Accoglienza e sistema di asilo.

  Un tema particolarmente dibattuto nel corso dell'indagine svolta è stato quello relativo al criterio della competenza del Paese di primo ingresso per l'esame della domanda di protezione internazionale, il quale, non essendo stato sostanzialmente modificato dal nuovo Regolamento (Ue) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, cosiddetto Dublino III, conserva aspetti di indubbia criticità per l'Italia. Tale Regolamento, infatti, in larga parte sostenuto dalla maggioranza dei Paesi del centro e del nord Europa, risulta fortemente penalizzante per Paesi come l'Italia, che geograficamente Pag. 13rappresentano il primo punto d'approdo rispetto alle coste africane, quale successivo territorio di transito verso l'Europa continentale. È emerso tuttavia altrettanto chiaramente che la frontiera italiana rappresenta a tutti gli effetti il confine comune dell'Unione europea, con ciò sollevando una necessaria assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi dell'Unione in tema migratorio.
  L'indagine condotta dal Comitato ha infatti evidenziato come il cosiddetto sistema di Dublino III presenti il limite obiettivo di caricare pressoché tutto l'onere delle diverse fattispecie di immigrazione, anche massive, sui Paesi di primo ingresso. Il Paese di primo ingresso, tuttavia, può non coincidere con il Paese di destinazione finale del migrante, che nella maggior parte dei casi desidera andare da un'altra parte. Le regole di Dublino, quindi, gravano soprattutto l'Italia dell'intero peso di questi flussi migratori come Paese di primo ingresso, nel quale, per di più, si arriva via mare. In casi come questi, cioè di afflusso massiccio di migranti, occorrerebbe, invece, anche dal punto di vista dell'accoglienza, promuovere forme di equa suddivisione degli oneri, non solo perché più favorevoli al Paese, ma anche perché più corrispondenti al senso esistenziale della scelta del richiedente asilo e alla base solidaristica della costruzione europea. In questo senso, il Comitato ha accertato che, diversamente, sembra destinata a permanere una delle cause prime di squilibri macroscopici, con diseconomie evidenti che scaturiscono da situazioni di sovraccarico, a fronte di disponibilità in altri Paesi forse non pienamente utilizzate.
  Il Comitato ha accertato nel corso dell'indagine che, fino a quando non si permetterà al richiedente asilo o al rifugiato di spostarsi all'interno dell'Europa secondo la propria volontà e in adesione a un proprio progetto di vita, la condizione che l'Italia continuerà a subire sarà quella di un estremo svantaggio, visto che tale condizione alimenta flussi che diventano inevitabilmente incontrollati verso altri Stati membri, comportando onerosi ritrasferimenti nel Paese.
  È stato riferito per esempio che i tempi medi di esame di una richiesta di asilo in Italia sono attualmente intorno ai 215 giorni. Questo significa che vi sono punte di eccellenza in cui si riescono a esaminare le richieste, soprattutto per i vulnerabili, anche in 60-80 giorni, e situazioni – soprattutto nelle aree in cui si concentra maggiormente il numero di richieste, come Roma, Milano e in parte la Sicilia – in cui i tempi si allungano. In particolare, nel giugno 2015, in relazione alla previsione da parte del Governo di nuove assegnazioni di persone richiedenti la protezione internazionale a varie regioni italiane, il Comitato si è attivato per assumere elementi di conoscenza sull'accoglienza dei profughi nelle diverse aree interessate e sulle relative problematiche. Per quanto riguarda la regione Lombardia, è stato riferito al Comitato, tra l'altro, che al 10 luglio 2014 la presenza straniera stimata in Lombardia era di 1.279.000 persone, il 13 per cento della popolazione regionale, mentre la presenza di cittadini stranieri nel 2015 in Lombardia sarebbe pari al 9 per cento della popolazione. Nel corso dell'indagine è stato accertato che dall'incontro in Conferenza Unificata con il Governo del 18 marzo 2015 tra Ministero dell'interno e regioni sarebbero emerse alcune criticità: la mancata attivazione degli hub, centri realizzati nelle Pag. 14regioni che dovrebbero accogliere gli immigrati inviati prima che siano distribuiti sul territorio; l'accoglienza in strutture temporanee; l'attivazione di hub per i minori stranieri non accompagnati. In altre regioni, come la Toscana l'auspicio è che vi sia una distribuzione dei profughi in piccole comunità di dieci-venti persone, affidandone la gestione ad associazioni di volontariato. In questo senso, affidarsi solo alle prefetture sarebbe stato un errore, stante la necessità di coinvolgere di più regioni e enti locali.
  Per quanto riguarda la regione Veneto è stato riferito, tra l'altro, al Comitato che i migranti presenti nella regione sono 517.000, ed è stato ricordato che il modello di integrazione del Veneto è il modello di riferimento nazionale per l'integrazione, per l'inclusione, per i progetti di vita. Attualmente di questi 517.000 migranti 42.000 sono senza lavoro. È stato osservato che il tema della disoccupazione pesa socialmente e anche in maniera importante in un territorio nel quale ci sono 170.000 disoccupati. È stato quindi sottolineato che il Veneto è una delle quattro regioni d'Italia con più migranti e che le altre regioni non hanno percentuali di incidenza sulla popolazione altrettanto importanti. È stato riferito che la Lombardia ha il 23 per cento di migranti sulla popolazione, il Veneto ne ha l'11 per cento e il Lazio il 13 per cento, ma le altre regioni – a parte Toscana e probabilmente Campania, che hanno l'8,9 per cento – sono tra l'1 e il 3,5 per cento. In sostanza, è stato osservato, c’è un grande distacco fra le prime quattro-cinque e tutte le altre, che hanno un'incidenza sulla popolazione molto bassa. In Regione Liguria, nel momento in cui cambiasse la politica dell'accoglienza e dell'immigrazione, in un piano integrato nazionale con diverse finalità, si auspicherebbe una politica nazionale, in primo luogo, di sicurezza e di blocco dei flussi, in secondo luogo uno stanziamento di risorse ed eventualmente una condivisione dei criteri di smistamento. In questo senso, è stato osservato che il problema non riguarda solo i 40.000-50.000 richiedenti asilo, ma il blocco dei 200.000 migranti. Si riterrebbe necessario realizzare campi per rifugiati facendo degli accordi con la Tunisia, con l'Algeria, con la Libia e con gli Stati vicini, per gestire il flusso migratorio sulla costa del Nord Africa prima che i migranti attraversino il mare, anche per salvare centinaia di vite umane.
  In relazione all'attività svolta dal Friuli-Venezia Giulia nell'ambito dell'accoglienza dei profughi, è stato riferito, tra l'altro, al Comitato che il Friuli è la prima regione in Italia che ha siglato un accordo sulla vigilanza sanitaria con tutte le aziende sanitarie della regione, interessata tra l'altro dall'aumento di arrivi lungo la rotta balcanica. In Friuli Venezia Giulia è stata fatta la scelta di individuare sei hub regionali piccoli, per effettuare solo la prima accoglienza e lo smistamento. La regione intende inoltre sottoscrivere, come già fatto per l'area di Udine, delle convenzioni con i prefetti di ogni provincia, per l'individuazione di hub regionali nei quali svolgere tutte le operazioni di accertamento e rilascio dei documenti. È stato quindi definito un piano di smistamento delle persone che arrivano in regione, in base al numero degli abitanti, alla percentuale di immigrati già presenti, ad alcune specificità territoriali, piano condiviso con l'ANCI, col Consiglio autonomie locali – CAL, con il Commissario di Pag. 15Governo di Trieste e con tutti i prefetti della regione. Per quanto attiene alla regione Puglia, è stata richiamata l'attenzione del Comitato, tra l'altro, sul fatto che la regione è organizzata in un modo completamente diverso dai Comuni poiché non ha forze di polizia, ma è un ente prevalentemente legislativo, che manca totalmente di tutti gli strumenti che ne consentano un'operatività. Assegnare alle regioni compiti ulteriori di tipo pragmatico è giudicato inutile, perché mancano le strutture. Pertanto, è stato riferito al Comitato che la struttura dei prefetti e dei Comuni attualmente esistente, rimane sicuramente la migliore. D'altra parte è emerso nel corso dell'indagine che le regioni dispongono di società in-house e nulla vieterebbe a una regione, se si vuole cambiare modello, di strutturare una propria agenzia per la gestione di altre attività, tra le quali anche la prima accoglienza o addirittura la seconda, la più importante tra l'altro per evitare che i fenomeni migratori si rivelino devastanti per la struttura sociale.
  L'indagine ha quindi accertato che in Italia la spesa media per profugo è di circa 35 euro al giorno, un dato che moltiplicato per 365 giorni e per 19.000 posti messi a disposizione nell'ambito dello SPRAR porta ad un totale di 250 milioni circa all'anno. La legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2015, articolo 1, co. 181-182) ha istituito, a decorrere dal 1o gennaio 2015, il Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, nel quale confluiscono le risorse del precedente Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che viene contestualmente soppresso. Il nuovo fondo è incrementato di 12,5 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2015 (articolo 17, comma 14).
  Il Comitato ritiene necessario che le amministrazioni centrali competenti lavorino insieme alle regioni e agli enti locali al fine di individuare in via ordinaria una procedura di coordinamento e cooperazione inter-istituzionale necessaria per gestire in maniera efficace e qualitativamente adeguata il sistema di protezione verso questi soggetti.
  Ancora con riguardo al Regolamento Dublino III è emersa d'altra parte l'obiettiva difficoltà da parte italiana a proporre modifiche inerenti un testo approvato solo di recente, sottolineando al contempo la necessità di garantire la massima flessibilità nell'applicazione dello stesso nell'ambito dei margini previsti. La logica di Dublino è stata concepita in una fase storica – quasi trent'anni fa – completamente diversa da quella attuale, sia dal punto di vista della situazione geopolitica internazionale, sia da quello della quantità dei flussi a cui fare fronte. Il Comitato ha quindi richiesto chiarimenti sulla possibilità di utilizzare i margini esistenti nello stesso Regolamento di Dublino per una sua applicazione più coerente con la realtà dei fatti che si verificano in Italia.
  Un primo punto riguarderebbe il principio del mutuo riconoscimento, considerato molto importante proprio perché, anche in assenza di una modifica formale del Regolamento di Dublino, permetterebbe di fare quello che risulta allo stato precluso. Oggi, infatti, chi ottiene la protezione internazionale in uno Stato membro Pag. 16non ha la possibilità di trasferirsi in un altro Stato membro per lavorare; il principio del mutuo riconoscimento, invece, assicurerebbe questa possibilità, permettendo di superare una prima criticità posta dal sistema Dublino. È emersa d'altro canto anche la rigidità con cui alcune norme del Regolamento Dublino III vengono applicate e la mancata applicazione di altre norme del medesimo Regolamento, che invece l'Italia avrebbe tutto l'interesse ad applicare. In particolare, l'articolo 17 del Regolamento di Dublino prevede due clausole molti importanti, in deroga ai criteri generali di determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo: la clausola di sovranità e la clausola umanitaria. La clausola di sovranità stabilisce che uno Stato membro, a prescindere dal Regolamento di Dublino, possa sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se, in base ai criteri ordinari, la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro. La clausola umanitaria dettata dall'articolo 17, comma 2, del Regolamento di Dublino III, prevede inoltre che qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente per l'esame della domanda secondo i criteri ordinari, può diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo. Il Comitato ha quindi potuto accertare nel corso dell'indagine svolta che anche solo applicando semplicemente le disposizioni indicate, si potrebbero facilitare di gran lunga i ricongiungimenti familiari dei rifugiati o degli immigrati che arrivano nel territorio nazionale, consentendo loro di raggiungere familiari che si trovano in un altro Stato membro. La Camera dei deputati ha fatto proprie le conclusioni del Comitato in tal senso presentate nella prima Relazione al Parlamento (Doc. XVI-bis n. 3), approvando il 17 giugno 2015 la risoluzione n. 6-00139.

5. Fenomeno migratorio, criminalità e terrorismo.

  Il Comitato ha approfondito nel corso dell'indagine gli aspetti relativi ai collegamenti tra flussi migratori e criminalità organizzata.
  Le condizioni di povertà delle popolazioni dell'area settentrionale del continente africano, la debolezza delle strutture degli Stati, lo scarso rispetto della vita e dei diritti della persona, l'estrema facilità di transito di merci di ogni genere attraverso le zone desertiche e la permeabilità delle relative frontiere hanno verosimilmente contribuito in maniera significativa all'aumento dei traffici, oltre che di esseri umani, anche di droga e prodotti di contrabbando o comunque illegali, provenienti anche dai Paesi del Medio ed Estremo Oriente, che utilizzano alcune aree dell'Africa come base logistica di attività illecite che impattano anche sull'Occidente. Gruppi di malavitosi e veri e propri clan organizzati sfruttano i proventi di questi traffici illegali, per erigere roccaforti nelle zone più arretrate e dimenticate, sfruttando la miseria dilagante, il malcontento della popolazione verso le istituzioni e la progressiva disgregazione del tessuto sociale.
  Lo stesso Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, già nel 2009, aveva lanciato un serio allarme circa gli effetti di destabilizzazione che l'aumento esponenziale dei traffici illeciti, in particolare di stupefacenti, Pag. 17stava determinando per l'intera Africa occidentale e settentrionale, evidenziandone l'evoluzione in termini di affermazione di sodalizi criminali molto evoluti, in grado di occupare nuovi mercati illegali a livello globale. Il numero di attività criminali cresce di pari passo con quello dei migranti illegali. Preso atto che dopo il tragico naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui perirono almeno 366 persone, la procura di Palermo avrebbe portato a termine due operazioni denominate «Glauco 1 e 2» contro i trafficanti, il Comitato ha assunto elementi di informazione su tali operazioni e sull'indagine che la Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha da tempo avviato per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla tratta e al traffico di esseri umani. In proposito è stato riferito al Comitato che con le operazioni Glauco 1 e Glauco 2, si ritiene di avere smantellato almeno due grossi gruppi criminali. Nella prima operazione sono state arrestate nove persone, di cui tre sono rimaste latitanti, perché molti di questi soggetti si trovano all'estero ed è anche difficile rintracciarli. Nella seconda operazione sono stati individuati 27 soggetti che operano in Italia, tra i quali un «collaboratore di giustizia» che era uno dei principali referenti e che lavorava a stretto contatto con i trafficanti in Africa per raccogliere queste persone e organizzarne l'ultima parte del viaggio verso il nord Europa.
  L'indagine ha evidenziato una ricostruzione giudiziaria delle rotte del traffico: i migranti vengono concentrati in genere nei Paesi del centro Africa, principalmente Sudan, in partenza dall'Eritrea e dall'Etiopia; da lì iniziano una prima parte del loro viaggio attraverso il deserto, per cui pagano una prima somma di denaro; spesso durante questo viaggio attraverso il deserto vengono intercettati da altri gruppi paramilitari, che li rapiscono e ne chiedono un ulteriore riscatto. I migranti devono riuscire a superare il viaggio nel deserto e possibili rapimenti e sequestri. Raggiunto il confine tra il Sudan e la Libia, vengono materialmente consegnati ai referenti di quest'organizzazione – è stato descritto un passaggio anche tra sette o otto diversi mezzi di trasporto – che li portano sulla costa libica, dovendo pagare per la seconda parte del viaggio, cioè quella via mare. Il Comitato ha accertato che il pagamento avviene in contanti, se ne hanno ancora, e che spesso è stato detto essere il frutto di interi villaggi che raccolgono una somma di denaro per consentire anche a uno solo di lasciare l'Eritrea, l'Etiopia o il Sudan; ciò consentirà magari ad altri di raggiungerlo dopo qualche anno. Un altro modo è il pagamento diretto, da parte di parenti e familiari che vivono già in Europa, in Israele o in altre zone più ricche del mondo, attraverso il sistema hawala, un sistema di pagamento che risale a centinaia di anni fa, basato sulla fiducia, e che avveniva tra i commercianti arabi. Di fatto, in questo sistema, non c’è passaggio di denaro tra colui che paga e colui che riceve un servizio, perché è basato su una sorta di sistema di convenzione di compensazione attraverso i cosiddetti hawaladars, soggetti incaricati di svolgere questo sistema di compensazione, difficilissimo da tracciare, tanto che dopo l'11 settembre 2001 negli Stati Uniti viene vietato e indicato tra i possibili mezzi di finanziamento del terrorismo.Pag. 18
  Il Comitato ha appurato che nella seconda operazione Glauco, per la prima volta in Italia si è contestato ai 25 indagati, tra le altre cose, anche la violazione della normativa in materia di riciclaggio e di raccolta del risparmio, perché la magistratura è riuscita a ricostruire dalle attività di intercettazione l'utilizzo del sistema hawala per il pagamento dei viaggi dei migranti.
  L'indagine ha accertato che dalle coste della Libia, una volta avvenuto il pagamento, inizia la seconda parte del viaggio. In passato venivano raggiunti principalmente Lampedusa o Porto Empedocle. Da Mare Nostrum e Triton in poi ovviamente i luoghi di sbarco sono individuati in maniera diversa. Una rete criminale in genere composta da soggetti della stessa nazionalità, anche per ragioni di lingua, di comunicazione, si occupa della terza parte del viaggio, cioè di organizzare per esempio la fuga dei migranti dai centri di accoglienza per consentire loro di raggiungere il nord Europa.
  Il Comitato ha anche appurato che alcune delle criticità nello svolgimento delle indagini nei confronti dei responsabili della tratta di persone migranti risiedono nell'assimilazione della posizione dei cosiddetti scafisti con quella delle vittime di tratta. In particolare, stante la vigente disciplina, risulta che le vittime di tratta siano considerate responsabili di reato connesso a quello di tratta e non testimoni, come sarebbe forse più logico. A tale proposito è stato riferito che in Italia, a differenza che in altri Paesi, ci sono varie categorie di persone che possono essere interrogate da un magistrato nella fase delle indagini o nel processo: l'imputato, l'indagato, il testimone e il cosiddetto indagato di reato connesso o collegato, cioè una persona che è stata indagata per un altro reato, in questo caso l'immigrazione clandestina. Il migrante che arriva, infatti, commette un reato: sebbene reato minore, punito con una pena pecuniaria di qualche migliaio di euro, comunque è un reato. In questo caso, per il sistema processuale nazionale deve essere sentito non come testimone, ma come indagato di reato connesso o collegato. A questo proposito, il Comitato ha accertato che si pongono due problemi. Il primo riguarda il tipo di modalità dell'audizione, poiché l'indagato, innanzitutto, può avvalersi della facoltà di non rispondere, facoltà che il testimone non ha. In secondo luogo, l'indagato ha diritto all'assistenza dell'avvocato.
  Un ulteriore problema rappresentato è il diverso sistema di valutazione delle dichiarazioni di questi soggetti. Secondo il sistema processuale italiano, le dichiarazioni del testimone non richiedono un cosiddetto riscontro esterno, poiché nel caso di un indagato di reato connesso o collegato, secondo la giurisprudenza della Cassazione e il sistema processuale nazionale occorre un'attività di corroborazione esterna, cioè un riscontro esterno a quello che è stato detto, che può essere dato dalle dichiarazioni di altri, ma che in genere dovrebbe essere qualcosa di diverso. Il reato di immigrazione clandestina d'altra parte, è stato rilevato nell'indagine, non ha un effetto deterrente per soggetti che hanno visto torture inenarrabili nel loro viaggio, che sono stati in viaggio per anni dal centro Africa attraverso il deserto, attraverso i barconi stivati di persone, pagando migliaia di euro o di dollari per il viaggio; mentre il carico per gli uffici giudiziari, invece, Pag. 19è enorme. Altri problemi evidenziati nel corso delle audizioni sono: le traduzioni, visto che c’è spesso la difficoltà di reperire traduttori idonei; la velocità dei processi, in cui i testimoni, una volta reperiti, devono essere sentiti immediatamente, con la difficoltà di contemperare le due esigenze del diritto di libertà di movimento di queste persone di recarsi dove vogliono e quella pubblica della loro testimonianza.
  Particolare attenzione è stata dedicata dal Comitato anche a verificare l'efficacia dell'attività di Europol, la sua adeguatezza in ordine al personale, ai mezzi di cui dispone, alle funzioni che le sono assegnate e per quanto riguarda gli strumenti normativi sulla base dei quali opera. In tal senso, secondo i dati acquisiti dal Comitato, risulterebbero attive in Europa 3.600 organizzazioni criminali interessate da episodi di serious crime, cioè di crimine grave. In particolare, tra queste, alcune avrebbero sede in Belgio e in Portogallo, con aderenti di 60 nazionalità diverse e operanti in 35 Paesi. In Schengen ci sono 46,6 milioni di items (a tutto il 13 marzo 2013): di questi, 38,9 milioni sono numeri di passaporti o documenti che sono stati smarriti o rubati; ci sono, inoltre, 880.000 nominativi di persone, la maggior parte delle quali non si vuole che entrino nell'Unione europea, ma anche 32.000 nominativi di persone con un mandato d'arresto. In tal senso, il Comitato ha appurato come Schengen si ponga più alla stregua di uno scudo per proteggersi da chi viene dall'esterno, che non come un sistema per tracciare le persone che circolano al suo interno, ciò evidenziando un primo aspetto di criticità per il quale i Paesi dovrebbero inserire più dati rispetto a quanto non facciano ora, al fine di migliorare la condivisione degli stessi tra tutti i Paesi membri; non solo, quindi, le persone con un mandato d'arresto, ma anche persone ricercate per altri motivi.
  In riferimento al rapporto tra protezione dei dati e cyber sicurezza, e in vista dell'attuazione del regolamento istitutivo della banca dati nazionale del DNA prevista dal Trattato di Prüm, il Comitato ha accertato che la protezione dei dati e l'attività di messa in sicurezza dei centri privati e pubblici di raccolta dei dati personali e delle stesse infrastrutture dirette su cui viaggiano i flussi informativi fra le amministrazioni, è in se stessa uno strumento utile a rafforzare la capacità difensiva dei nostri sistemi informatici e un valore aggiunto per l'azione antiterrorismo. Si è d'altra parte evidenziato che il sistema Schengen potrebbe essere facilmente intercettato, posto che opera ad un livello basic, mentre per fronteggiare la sfida posta dal terrorismo internazionale diventa fondamentale avere una rete di condivisione dei dati almeno a livello confidential. In tal senso, sembra condivisibile la proposta secondo cui Europol dovrebbe diventare un punto di riferimento per raccogliere tutti i dati in circolazione.
  Il Comitato si è quindi attivato, nel limite delle proprie competenze, per monitorare le iniziative poste in essere dagli organi di polizia per circoscrivere e tenere sotto controllo il fenomeno dei foreign fighters italiani. Dagli elementi acquisiti dal Comitato, risulta che alla fine di febbraio 2015 siano stati censiti, individuati e identificati dalle autorità di polizia circa 60 foreign fighters. Di questi, 5 risultano avere cittadinanza italiana, 2 hanno doppia nazionalità, mentre gli altri sono Pag. 20di origine straniera e a vario titolo hanno un legame con il Paese. Tutti quelli che sono in Italia sono soggetti a varie forme di attenzione e di controllo da parte delle nostre organizzazioni investigative. Il Comitato ha appurato che, anche se i flussi migratori e i traffici di esseri umani che si sviluppano nel mondo e nelle aree vicine all'Europa coinvolgono una molteplicità di organizzazioni, di persone, di strutture che sfruttano i migranti, non può essere stabilito un parallelismo tra migrazione e terrorismo. È vero che in Libia vi è una particolare complessità politica e di tensione sociale: vi sono due Governi, uno legittimo eletto e un altro in carica; tre aree geografiche – Cirenaica, Tripolitania e Fezzan – in lotta tra loro, con decine di milizie armate, gruppi terroristici – Al Qaeda, alcuni affiliati all’Islamic State – che si combattono tra loro. C’è quindi una pluralità di soggetti che operano, per cui non è possibile escludere che anche le organizzazioni terroristiche siano entrate in una parte della gestione delle rotte dei trafficanti di esseri umani, perché si tratta di un business molto lucroso e tutte queste organizzazioni hanno bisogno di finanziarsi. Non vi è però alcuna conferma di un collegamento tra queste attività e quelle terroristiche.
  Particolare attenzione il Comitato ha rivolto anche alle misure adottate per la sicurezza di siti particolarmente sensibili, come il sito dell'Expo, e alla necessità di far fronte, con misure più attente, più articolate e con maggiore sinergia, anche alle realtà del confine orientale e dei flussi provenienti dai Balcani attraverso l'Austria. Il lavoro di analisi e approfondimento svolto negli scorsi mesi ha consentito di evidenziare numerose criticità potenziali, le più macroscopiche delle quali risultano riconducibili sostanzialmente al contesto territoriale, che è un contesto fortemente antropizzato e ad alta densità urbanistica, pieno di importanti infrastrutture legate alla mobilità. Alla luce dei più recenti scenari internazionali il Comitato ha accertato, nei limiti delle proprie competenze, che sono stati presi in considerazione non soltanto i rischi legati alla criminalità ma anche e soprattutto quelli connessi alle attività dell'antagonismo di matrice anarchica, o comunque di opposizione al sistema istituzionale, nonché i rischi connessi all'eventualità di attacchi terroristici, con o senza uso di sostanze non convenzionali, anche collegate ai fenomeni migratori.
  È emerso inoltre che gli ingressi in carcere dalla libertà, nel 2014, hanno fatto registrare un'elevata diminuzione del numero dei detenuti entranti rispetto all'anno precedente: 46.074 sino alla fine di novembre 2014 rispetto ai 60.000 del 2013. Il Comitato ha accertato anche che per quanto concerne i detenuti stranieri, al 30 novembre 2014 erano presenti 17.635 persone in stato di detenzione, pari al 32 per cento del totale, delle quali poco più di 4.000 in attesa di giudizio di primo grado, circa 3.000 condannati a pena non definitiva e poco più di 10.000 condannati a pena definitiva.
  Il Comitato ha accertato quindi l'avviamento dell'operazione, denominata «Mare sicuro», che impiega una media di quattro unità navali. I compiti fondamentali sono: la difesa delle piattaforme petrolifere che si trovano davanti alla Libia – è molto importante impedire che vengano attaccate, anche per motivi di tipo ecologico – la sicurezza della Capitaneria di porto e dei mezzi di soccorso, Pag. 21intervenendo come scorta, e il contrasto appunto delle operazioni criminali. Inoltre, si è sviluppata nell'ambito di questa presenza navale la protezione dei pescherecci italiani che operano davanti a Derna e a Misurata, in acque internazionali. Nel complesso scenario che caratterizza ormai da diversi mesi il fenomeno migratorio dal Nord Africa e, più di recente, anche dalla Turchia, emerge sempre più chiaramente la difficoltà di separare l'azione di polizia dalle attività di soccorso. Le imbarcazioni fatiscenti provenienti da Libia e Tunisia, così come le navi mercantili provenienti dalla Turchia, stracolme di migranti e dirette verso le coste italiane, non tentano mai di eludere i controlli delle unità aeronavali del Corpo, anzi ricercano e sollecitano l'intervento del dispositivo nazionale di ricerca e di soccorso. Le organizzazioni di trafficanti che gestiscono le partenze, infatti, hanno tutto l'interesse a organizzare i viaggi su mezzi che versano in condizioni precarie, in modo tale da rendere doverosa l'azione di soccorso, che non di rado viene sollecitata in tratti di mare prossimi alle coste di partenza.
  Non va dimenticato, però, che esiste un'ulteriore modalità di manifestazione del fenomeno dell'immigrazione clandestina, forse meno nota in questo momento, che interessa le coste pugliesi e, in parte, quelle calabresi e lucane. In tali aree, infatti, vengono spesso utilizzate imbarcazioni veloci che, seppur dotate di una limitata capacità di trasporto, tentano di eludere i sistemi di vigilanza al fine di raggiungere le coste italiane, procedere allo sbarco dei migranti e allontanarsi prima dell'intervento delle forze di polizia. Su un piano più generale, i dati sulla dichiarata nazionalità dei migranti arrivati via mare in Italia testimoniano come le rotte dei clandestini si sovrappongano, di fatto, a quelle dei profughi provenienti da aree di conflitto o in degradate condizioni di vita e sicurezza. Questa condivisione di itinerari e rotte dipende anche dall'attivismo e dalla versatilità tattica delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani e che operano sin dai territori d'origine dei migranti, facilitando il loro trasferimento verso i porti e le aree di partenza dai quali ha inizio il disperato viaggio via mare. Per la traversata vengono messe a disposizione imbarcazioni pericolanti, la cui condotta in genere è affidata a soggetti individuati tra gli stessi migranti, a fronte di una riduzione del prezzo da corrispondere per l'imbarco. Tale circostanza, connotata da carenza o addirittura assenza di conoscenze marinaresche, costituisce uno dei fattori di maggior rischio delle traversate. Quanto alle provenienze geografiche, i migranti originari del Corno d'Africa viaggiano per circa quattro mesi a bordo di camion fuoristrada attraverso il Sudan e il Ciad, per poi giungere in Libia. Da questo Paese, navigano a bordo di imbarcazioni di legno, generalmente di lunghezza compresa tra i 10 e i 25 metri, fino a raggiungere le coste della Sicilia. Secondo quanto affermano i migranti, il prezzo del viaggio oscilla tra i 600 e i 1.500 dollari statunitensi. La maggior parte dei migranti provenienti dal Medio Oriente, invece, facilitati da organizzazioni criminali egiziane, libiche e turche, usano i seguenti modus operandi per raggiungere l'Italia: via terra, mare e aria attraverso il Libano, la Giordania e l'Egitto, quindi raggiungono la Libia, ove si imbarcano nella zona di Pag. 22Zuwarah, impiegando soprattutto barche in legno, più sicure, o gommoni; via terra, mare e aria, attraverso il Libano o la Giordania, i migranti raggiungono l'Egitto e si imbarcano nella zona di Alessandria su natanti condotti da egiziani, che spesso trasportano anche altri egiziani migranti, per raggiungere prevalentemente le coste della Sicilia, della Calabria e, talvolta, della Puglia, via terra e mare, si imbarcano dalla Turchia per raggiungere le coste italiane, anche attraversando via terra la Grecia. Questa rotta è stata recentemente impiegata più di frequente, utilizzando anche imbarcazioni di dimensioni rilevanti.
  Dall'indagine è emerso che, secondo quanto riportato dagli stessi migranti, per tali tratte vengono richieste a ciascuno cifre variabili, comprese tra 1.500 e 6.000 euro. I siriani, sempre maggiormente protagonisti di episodi migratori di massa a causa delle instabilità geopolitiche dei loro territori, scelgono il percorso turco piuttosto che la rotta libica. Il principale hub di partenza dei migranti, in questo caso, è la città portuale di Mersin, anche se molte traversate risultano aver avuto origine dalle località di Ayas e Iskendur. Generalmente, in questi ultimi casi, i facilitatori impiegano diversi tipi di imbarcazioni che raggiungono, per il successivo trasbordo, navi di più grandi dimensioni posizionate tra le coste della Turchia e quelle della Siria. L'intero viaggio in mare dura circa sei giorni, al prezzo di 6.000 dollari statunitensi per un adulto e di 3.000 per ogni bambino. Ai fenomeni dianzi descritti si aggiunge il flusso migratorio che attraversa i confini europei mediante l'ingresso nei porti nazionali. Gli scali italiani principalmente interessati sono quelli di Venezia, Ancona, Bari e Brindisi, in ragione dei collegamenti diretti con la Grecia, l'Albania e la Turchia. I migranti generalmente si occultano all'interno dei mezzi di trasporto (soprattutto autocarri e rimorchi) che giungono con i traghetti di linea. Nel 2014, nei citati scali portuali la Guardia di Finanza ha individuato 308 soggetti introdottisi sul territorio nazionale in questo modo e ha arrestato sedici persone per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

6. Le nuove dinamiche dei flussi migratori nell'area Schengen.

  Sul piano quantitativo, l'Italia è esposta geograficamente al flusso di migranti provenienti dal Mediterraneo. Nel 2014, circa 170.000 migranti sono arrivati via mare sulle coste italiane; una cifra non solo di per sé imponente, ma che è il quadruplo rispetto al 2013 e che a sua volta moltiplica per 12 il dato del 2012. I numeri del 2015 mostrano un lieve incremento rispetto al 2014. In totale, nel 2014, ci sono stati 240.000 arrivi dal Mediterraneo, non solo in Italia, e 240.000 arrivi per la rotta terrestre dei Balcani. Si assiste a un cambiamento di natura del fenomeno migratorio, che riguarda non soltanto persone che lasciano i loro Paesi in cerca di un avvenire migliore o fuggono da zone di guerre, ma che riguarda, purtroppo, vittime di un traffico di esseri umani, di una attività criminale e di un business, che, fra l'altro, secondo alcune valutazioni internazionali e di alcune procure italiane, frutta alcuni miliardi, con stime di 1-3 miliardi di dollari all'anno. Occorre quindi acquisire una maggiore consapevolezza del Pag. 23fatto che il fenomeno migratorio è globale e che queste persone sono sfruttate e vittime di un racket in tutte le tappe del loro percorso, fin dal Paese di origine. Il Mediterraneo è solo una di queste tappe, durante le quali le vittime subiscono sfruttamento anche dopo il loro arrivo.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva è emerso quindi che non si tratta soltanto di assistere i bisognosi di accoglienza e di proteggere le frontiere quando è necessario o di aiutare i Paesi in cui arrivano questi flussi, ma bisogna anche cominciare a combattere i trafficanti, a smantellare le filiere, a risalire i canali attraverso i quali passano i flussi finanziari, responsabilizzando al contempo i Paesi di transito. Occorrerà, pertanto, negoziare bilateralmente o con l'aiuto dell'Unione europea accordi di riammissione per offrire maggiori soluzioni, nonché accordi tecnici per offrire la possibilità di un ritorno nei Paesi di origine, potenziando nei Paesi di origine, le campagne informative sul rischio di sfruttamento, di racket, di furto e in certi casi anche di morte, conseguente alla scelta di partire.
  Il Comitato ha accertato nel corso dell'indagine come nelle ultime settimane del giugno 2015, dai controlli effettuati dalle autorità francesi, sarebbe emerso che gran parte delle persone che si presentavano alle frontiere di quel Paese provenissero dal Corno d'Africa. Nella stragrande maggioranza erano eritrei e sudanesi, quindi persone che avrebbero avuto, in linea di principio, diritto all'asilo, ma davano tutti i segni di non aver fatto nulla per avanzare la richiesta al loro ingresso nell'area Schengen, come avrebbero dovuto. Un tema specifico affrontato dal Comitato è stato quello del cosiddetto resettlement, cioè il ricollocamento presso un altro Stato del soggetto titolare di protezione internazionale. Si tratta di uno strumento che mira all'obiettivo di un'equa distribuzione tra i Paesi europei dei migranti che chiedono asilo e lo ottengono, direttamente nelle coste settentrionali dell'Africa. In realtà, come è emerso nel corso dell'attività svolta dal Comitato, sono solo alcuni i Paesi dell'Unione europea che si fanno carico dell'intera vicenda della migrazione: Italia, Grecia, Malta, Spagna e Portogallo. Un maggior utilizzo di questo istituto permetterebbe di affrontare all'origine l'essenza del problema che le recenti ondate migratorie pongono, cioè l'equità della distribuzione tra i Paesi europei. Un altro risultato che si otterrebbe, consisterebbe nella possibilità di sottrarre il flusso dei migranti aventi diritto alla protezione umanitaria, all'asilo, allo status di rifugiato, proprio al terribile mercato dei trafficanti di esseri umani.
  Il nuovo assetto di forze messo in campo dall'Unione europea per controllare la comune frontiera marittima esterna, non risolve, infatti, il problema dell'accoglienza, con il peso dei relativi oneri di carattere finanziario e sociale che da ciò scaturiscono; un problema sul quale il Comitato ha più insistito. A queste problematiche, tuttavia, secondo un'opinione condivisa nell'ambito del Comitato da tutte le forze politiche rappresentate, non si può rispondere se non auspicando un maggiore coinvolgimento dell'Europa. Il Comitato ha avuto modo di accertare in questo senso che il controllo delle frontiere si basa anche su un efficace sistema di ingressi legali nel territorio dell'Unione europea, che mira a fare dello spazio Schengen una area effettiva di Pag. 24libertà, a tutela dei diritti e sicurezza. Di fatto, l'azione europea in tema di gestione integrata della mobilità dai Paesi extra Schengen si articola in quattro filoni principali, che mirano a dare un'impostazione organica e funzionale al rilascio dei visti, ai controlli alle frontiere e alla tutela delle banche dati, per coniugare la libertà di movimento con le legittime esigenze di sicurezza. In tal senso, sono state illustrate al Comitato le linee essenziali della riforma del codice visti, con il progressivo dispiegamento del Visual information system (VIS), l'avvio del pacchetto Smart Borders e il passaggio al sistema informativo Schengen di seconda generazione.
  L'immigrazione legale costituirebbe lo strumento per contrastare quella illegale e clandestina, con una più incisiva politica di contenimento della pressione migratoria ispirata a meccanismi di «ingresso protetto», governato con una strategia europea, la cui definizione potrebbe avere importanti e positive ripercussioni, da un lato, scoraggiando i migranti ad affrontare viaggi pericolosissimi in cui rischiano la vita e, dall'altro, incidendo sul giro d'affari delle organizzazioni dei trafficanti di esseri umani. È emerso dall'indagine, per esempio, che i flussi per via terrestre richiedono, organizzativamente, una struttura molto più semplice rispetto a quelli via mare, seguendo anche rotte molto più flessibili, che possono cambiare all'interno della stessa giornata, in dipendenza di diversi fattori, tra i quali, principalmente, il dislocamento di autorità di polizia in una posizione piuttosto che in un'altra. La quasi totalità dei migranti che arrivano nei Balcani, per esempio, provengono dalla Turchia, anche se, l'intervento di Frontex e dell'Unione europea, con materiali, capacità umane e risorse finanziarie ha reso il confine terrestre greco-turco più controllato, riducendo sensibilmente i movimenti attraverso tale frontiera. Con particolare riferimento ai migranti economici, che più interessano l'Italia e i Paesi dell'area Schengen, emerge che si tratta di persone che, tendenzialmente, non richiedono asilo nei Paesi di prima entrata, ovvero in Bulgaria o in Grecia; se ciò accadesse e fossero ritrovati in Italia, verrebbero rimandati nei Paesi di provenienza. Il Paese dove invece richiedono asilo è, nei Paesi dei Balcani, principalmente in Serbia. A tale proposito, è stato segnalato al Comitato che coloro che non sono realmente dei richiedenti asilo o dei rifugiati, richiedono asilo per guadagnare tempo e per avere la possibilità di stare in un centro, di riposarsi, di riprendere i contatti e di proseguire il viaggio. Nei Paesi dei Balcani, dunque, dove il sistema dell'asilo deve essere rivisto o non è completamente in linea con gli standard europei, si ha uno sfruttamento della richiesta di asilo quale possibilità ulteriore per interrompere il proprio viaggio prima di continuare verso l'Europa.
  Con specifico riferimento ai profughi siriani, a fronte di numeri molto alti e che continuano ad aumentare, uno dei problemi rilevati per l'area dei Balcani è che al momento non vi è un filtro sufficiente tra Siria ed Italia per impedire gli arrivi. Alcuni dei Paesi dei Balcani, infatti, concederebbero loro una temporary protection ma non lo stato di rifugiati; altri li rimanderebbero dalla Serbia in Bulgaria, argomentando che in tale Paese si sarebbe dovuto chiedere asilo. Tuttavia, secondo quanto riferito al Comitato, in mancanza di un filtro Pag. 25costituito da Paesi intermediari in grado di dare ai siriani asilo e rimandando costoro da un Paese all'altro, il numero di quelli che possono arrivare in Italia tende inevitabilmente ad aumentare. Il Comitato, quindi, ha preso atto della proposta secondo cui bisognerebbe intervenire su quei Paesi intermediari, o di transito, per assicurarsi che in essi venga garantito ai siriani, o ad altre comunità profughi, il diritto di chiedere asilo.
  L'indagine svolta dal Comitato ha evidenziato quindi la necessità che l'Unione europea rilanci una visione globale di controllo dei flussi migratori, attraverso la conduzione di una politica estera di conclusione di accordi economici di aiuto allo sviluppo, riprendendo quella tradizione di cooperazione con i Paesi terzi, a cominciare da quelli già oggetto delle Convenzioni di Lomé e di Yaoundé (allora definiti ACP – Africa-Caraibi-Pacifico). In un quadro di risorse scarse, viene lamentata la necessità che siano stabilite priorità di intervento in caso di emergenze umanitarie come quelle in atto, posto che per far fronte alle esigenze e alle continue richieste in tal senso, è necessario poter contare su risorse certe. Si potrebbe pensare a risorse messe a disposizione non nell'immediato, bensì gradualmente e con una maggiore certezza circa lo stanziamento di tali fondi, a garanzia di un flusso di risorse in mancanza del quale si rischia il collasso del sistema. Il Comitato ritiene che interventi finanziari di questo tipo dovrebbero essere messi in campo anche per favorire crescita e sviluppo in Paesi limitrofi all'Unione europea, come è accaduto in Marocco, dove lo sviluppo economico ed industriale è stato piuttosto significativo e dove si sono create le condizioni per trasformare quella realtà da Paese da cui si emigra, a destinazione di migranti, in particolare dall'Africa equatoriale.
  Nell'ottica di affrontare il problema migratorio sin dalle sue radici, portando dunque l'azione dell'Unione europea direttamente nelle aree di origine del fenomeno, occorre intervenire anche sul potenziamento dei programmi di protezione regionale esistenti, condotti in collaborazione e d'intesa con l'UNHCR. È necessario che nei Paesi da cui nascono i maggiori movimenti migratori siano apprestati standard adeguati di assistenza, in linea con quelli europei, che riguardino le persone bisognose di protezione internazionale. Bisogna, quindi, accrescere i mezzi finanziari che alimentano tali programmi, sostenendo le proposte formulate dalla Commissione europea, che ha già indicato la necessità di estenderli a regioni finora non direttamente coperte, come il Sahel. Un maggiore intervento in questa direzione non può prescindere dalla disponibilità degli Stati membri a mettere a disposizione risorse finanziarie più consistenti. Le politiche di cooperazione dovranno mirare non solo all'assistenza in loco, ma anche al rafforzamento delle capacity building dei Paesi terzi. Una visione di ampio respiro deve sapere collegare il governo del fenomeno migratorio a nuove opportunità di sviluppo che aiutino i Paesi destinatari delle forme di assistenza tecnica ad acquisire livelli crescenti di autosufficienza e autonomia.
  Da ultimo, l'attenzione del Comitato si è concentrata sulla reintroduzione di controlli alle frontiere da parte di alcuni Stati membri dell'Unione europea. Il 13 settembre 2015 il Governo tedesco ha Pag. 26comunicato infatti di aver reintrodotto temporaneamente i controlli alle proprie frontiere, in particolare al confine con l'Austria e il giorno successivo, a loro volta, l'Austria e la Slovacchia hanno comunicato di aver ripristinato i controlli alle frontiere con l'Ungheria. Il Comitato ha quindi deciso di analizzare le problematiche che hanno visto acuirsi le tensioni sulla libera circolazione delle persone all'interno dell'area Schengen, a causa dei massicci flussi di migranti diretti verso il territorio tedesco, principalmente da quello austriaco, seguendo la cosiddetta «rotta dei Balcani occidentali». Il Comitato ha quindi voluto approfondire le ragioni che hanno spinto quei governi a ristabilire i controlli alle proprie frontiere, anche per avere una valutazione sull'importanza di garantire la corretta applicazione degli accordi di Schengen e l'attuazione del principio della libera circolazione delle persone sul territorio dell'UE.
  L'indagine conoscitiva ha evidenziato per esempio che il Governo tedesco prevede che nel 2015 ci saranno 800.000 richieste di asilo in Germania; addirittura si parla di un milione di richieste e si pensa che nei prossimi anni ci saranno 500.000 richieste all'anno. Nonostante l'entità di questi dati, i numeri che sono stati citati sono soltanto una frazione dei dati reali rispetto al numero dei rifugiati che la Germania ritiene dovrà affrontare. Secondo dati diffusi dall'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati, attualmente nel mondo ci sono 50 milioni di profughi. La maggior parte dei rifugiati provenienti dall'Iraq e dalla Siria in realtà si ferma nei Paesi confinanti. La crisi vissuta nel settembre 2015 ha mostrato che nessun Paese europeo da solo è in grado di affrontarla e risolverla. Per questo motivo, sin dall'inizio la Germania si è impegnata nella ricerca di una soluzione europea, senza peraltro che negli ultimi mesi, si sia riusciti ad arrivare a un'intesa tra gli Stati membri in ordine a regole o a un coefficiente di distribuzione condiviso. Dall'indagine è emerso come l'Unione europea debba dotarsi di un'impostazione sostenibile e duratura per quanto riguarda i flussi migratori e i flussi di rifugiati, e di una politica che includa anche misure di sostegno ai Paesi di origine, ai Paesi di prima accoglienza e ai Paesi di transito.
  La reintroduzione in via provvisoria e conformemente al codice delle frontiere di Schengen, di controlli su una parte delle frontiere nazionali di Stati membri dell'Unione europea è sempre ampiamente discussa in via preventiva con la Commissione europea, concordata con la Commissione europea e dalla stessa Commissione europea approvata, con l'unico scopo di consentire uno svolgimento ordinato delle procedure per l'esame delle richieste di asilo, che non sarebbe stato possibile in vista di un massiccio afflusso di rifugiati; il Trattato di Dublino e Eurodac, sono comunque vigenti e debbono essere rispettati da tutti i Paesi membri.
  È emersa nel corso dell'indagine l'esigenza di risolvere e superare gli attuali squilibri relativi all'accoglienza dei rifugiati, con l'istituzione di un sistema che consenta la distribuzione dei rifugiati tra tutti i Paesi membri. Vi è già un coefficiente di distribuzione, che si basa sul numero di disoccupati, sul numero di rifugiati già accolti, sul PIL e sulla popolazione. L'applicazione di questo coefficiente garantirebbe che nessun Paese si trovi ad accogliere un numero di rifugiati Pag. 27sproporzionato rispetto al proprio potenziale economico. I Paesi che sopportano il maggior onere per quanto riguarda la prima accoglienza, come l'Italia, la Grecia e altri, dovrebbero ricevere un sostegno a livello bilaterale, ma soprattutto a livello europeo.
  Si è richiamata da ultimo anche la proposta di creare degli hot spot nei Paesi di origine, per spiegare chi ha diritto all'asilo. Nel futuro concetto complessivo della politica europea sulla migrazione, si deve anche garantire che ci sia un elenco affidabile di Paesi terzi sicuri e che le persone che provengono da questi Paesi possano esservi ricondotte e riammesse. È inoltre, necessaria una politica che garantisca la sicurezza delle frontiere esterne, ma nella tensione attuale tra il Regolamento di Dublino e il sistema Schengen, permane la convinzione che il sistema di Schengen sia una delle più grandi conquiste dell'Unione europea e la libertà di circolazione la sua maggiore espressione. Sono necessarie, pertanto, regole che permettano di evitare che l'enorme progresso consentito da Schengen, costituito dalla libertà di circolazione, venga compromesso dalla dura realtà dei fatti di questo afflusso di masse di rifugiati. Per il cittadino europeo la libertà di circolazione, che ci siamo donati, è una delle conquiste tangibili dell'Europa. È necessario quindi mettere appunto una politica di asilo e di immigrazione che consenta di salvaguardare Schengen.

7. Proposte comuni al Parlamento.

  A fronte dei recenti massicci arrivi di migranti nell'area Schengen e alla prospettiva del perdurare di una crisi umanitaria di vaste proporzioni, come già evidenziato nella Relazione al Parlamento (Doc. XVI bis, n. 3), il Comitato ritiene necessario stabilire una tutela immediata e transitoria delle persone sfollate con distribuzione dei profughi tra i vari Stati membri in base alla disponibilità accordata da ciascuno Stato, anche applicando la direttiva 2001/55/CE. L'istituzione di un regime di questo tipo potrebbe essere accompagnata dalla creazione di corridoi umanitari, ossia da misure di evacuazione dei destinatari della protezione, senza che essi debbano affidarsi a trafficanti e scafisti per raggiungere il territorio dell'Unione europea. Per applicare la direttiva 2001/55/CE, peraltro, è necessaria una decisione del Consiglio dell'Unione europea, che a maggioranza qualificata, su proposta della Commissione europea o previa domanda di uno Stato membro in tal senso, accerti un afflusso massiccio di sfollati nell'Ue, specificando i gruppi di persone cui si applicherà la protezione temporanea. A tali persone sarebbero in quel caso accordati il diritto di esercitare un'attività di lavoro, di ricevere aiuto in termini di assistenza sociale, contributi al sostentamento qualora non dispongano delle risorse necessarie; cure mediche; il diritto dei minori di accedere al sistema educativo al pari dei cittadini dello Stato membro e il diritto al ricongiungimento familiare in un unico Stato membro. Le persone ammesse alla protezione temporanea potrebbero inoltre presentare domanda di protezione internazionale, salvo che gli Stati membri concordino che il beneficio della protezione temporanea non sia cumulabile con lo status di richiedente asilo.Pag. 28
  È opinione del Comitato, d'altra parte, che a fronte di una situazione oggettiva che vede la mobilità internazionale in forte aumento, per affrontare la complessa realtà migratoria occorrano azioni adeguate alle esigenze e alle priorità di tutte le parti interessate, attraverso un uso migliore degli strumenti esistenti, come i partenariati per la mobilità e le norme comuni in materia di visti. Il Comitato ha acquisito elementi sufficienti per considerare necessaria l'introduzione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo all'interno dell'Unione europea, con ciò completando la normativa prevista dal Regolamento di Dublino. La necessità di riformare il sistema asilo ed in particolare il sistema d'accoglienza e le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale impongono in ogni caso una riflessione sulla trasposizione delle nuove direttive europee in materia, il cui recepimento porterà a modificare i decreti legislativi n. 140 del 2005 e n. 25 del 2008 che disciplinano l'accoglienza dei richiedenti asilo e le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Le misure di cui si discute, dunque, che hanno un evidente impatto sul sistema italiano dell'asilo, devono essere integrate da un adeguato lavoro del Governo a livello europeo per sostenere, sulla base di proposte concrete, un impegno di tutti gli Stati europei nella costruzione di un sistema realmente europeo d'asilo, basato su impegni di condivisione e solidarietà tra Stati.
  In questo senso, una delle proposte di cui l'Italia dovrebbe continuare a farsi portatrice è quella del mutuo riconoscimento della protezione internazionale. Sostenere un mutuo riconoscimento dello status di richiedente asilo, in modo da facilitare la circolazione di questi soggetti in tutto il territorio dell'Unione, nonché di lavorare per l'apertura di canali legali di immigrazione, appare la soluzione preferibile. Se si accettasse il principio per cui il riconoscimento della protezione internazionale ha un valore in tutti i Paesi europei, si permetterebbe altresì a coloro che hanno maggiori possibilità d'integrazione in altri Paesi, di spostarsi verso quelle mete, così come già accade per i cittadini europei. Una revisione del Trattato di Dublino attraverso un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo permetterebbe infatti al beneficiario di stabilirsi in ogni Stato membro. Appare, inoltre, auspicabile anche un rafforzamento nell'impegno per la piena attuazione del Sistema europeo di asilo, attraverso la fissazione di status, procedure e livelli di accoglienza unici per tutti i Paesi dell'Unione. Su queste basi, il Comitato ritiene che dovrebbero essere avviati progetti per il trattamento delle domande di protezione anche al di fuori del territorio dell'Unione europea, principalmente in quei territori maggiormente interessati dal movimento di migranti, con l'istituzione di canali dedicati all'ingresso per i richiedenti asilo.
  L'assenza di pianificazione, d'altra parte, ha portato in questi ultimi anni alla necessità di predisporre risposte di carattere emergenziale sempre molto dispendiose. L'apertura di nuovi centri di accoglienza, come è accaduto nel 2014, ha determinato una serie di criticità che non hanno prodotto effetti negativi solo sui richiedenti asilo, ma, a cascata, anche sulle comunità ospitanti. La pianificazione, quindi, deve costituire il cuore dell'azione del Governo e dell'attività Pag. 29amministrativa, attraverso l'utilizzo di strumenti di programmazione idonei a definire le modalità secondo cui gestire i flussi di richiedenti asilo. Si sottolinea, inoltre, l'opportunità di una mappatura dei posti di accoglienza disponibili nei vari Stati membri.
  Il Comitato è giunto, quindi, alla conclusione della necessità di un'applicazione più puntuale del Regolamento di Dublino, oltre che di una sua necessaria modifica che si ritiene comunque non più procrastinabile. Occorre in questo senso dare applicazione all'articolo 17 del Regolamento di Dublino: la clausola di sovranità, di cui al comma 1, stabilisce che uno Stato membro, a prescindere dal Regolamento di Dublino, può sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se, in base ai criteri ordinari, la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro. La clausola c’è, ma è necessario creare la volontà politica per attuarla. La cosiddetta clausola umanitaria di cui al comma 2 del medesimo articolo prevede, poi, che qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente per l'esame della domanda secondo i criteri ordinari, possa diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo. Se si applicasse oggi, il Regolamento di Dublino, anche senza modificarlo, è possibile chiedere l'attivazione di queste clausole. Ciò significherebbe facilitare i ricongiungimenti familiari dei rifugiati o degli immigrati che arrivano in Italia e, in base a questa clausola, consentire loro di raggiungere familiari che si trovano in un altro Stato membro.
  Si intende ribadire l'esigenza di rendere quanto mai flessibile l'applicazione del criterio, confermato nell'ultima versione del Regolamento di Dublino (cosiddetto Dublino III), che conferma la responsabilità in capo al primo Stato di ingresso quale principale soggetto competente ad accogliere la richiesta di asilo, a conferma di un approccio al problema che sembra avere privilegiato l'orientamento dei Paesi nordeuropei. Si conferma così quanto approvato dalla Camera dei deputati con la risoluzione 6-00139, in occasione dell'esame della Relazione al Parlamento del Comitato (Doc. XVI bis, n. 3) che ha impegnato il Governo a valorizzare a pieno, per quanto di sua competenza, in sede europea e nazionale, quanto previsto dall'articolo 17 del Regolamento Dublino III, promuovendo un sistema di asilo europeo che consenta un'equa ripartizione degli oneri tra gli Stati membri di primo ingresso e gli altri.
  L'efficace attuazione di norme comuni in materia di criteri e procedure relative al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne, rende necessario d'altra parte un maggiore coordinamento della cooperazione operativa tra Stati membri, anche al fine di contribuire alla lotta contro l'immigrazione clandestina, il contrabbando di migranti e la tratta di esseri umani spesso, purtroppo, gestiti da organizzazioni criminali. Vi è senz'altro la necessità di proseguire sulla strada di una completa attuazione degli accordi di riammissione che sono stati finora siglati dall'Unione, al fine di assicurare un effettivo ritorno, coordinato e finanziato dei cittadini dei Paesi terzi che soggiornano illegalmente nel territorio degli Stati membri; naturalmente, dando la precedenza ai ritorni volontari e rispettando la Pag. 30dignità umana e i diritti fondamentali dell'individuo, così come disposto dalla direttiva 2008/115/CE sui rimpatri e dal relativo Codice di frontiera di cui al Regolamento (CE) n. 562/2006. Un dialogo integrato di tutti i soggetti competenti, nazionali e sovranazionali, interni ed esterni all'Unione europea, permetterebbe una gestione efficace delle frontiere esterne, prevenendo e contrastando i traffici di esseri umani, come accaduto negli ultimi mesi.
  Analogamente sembra necessario ripercorrere la strada della conclusione di accordi di partenariato con alcuni Paesi del nord Africa, in cui sia possibile contare su una maggiore stabilità politica, ovvero, laddove questa difetti, istituire comunque una cabina di regia nazionale per il coordinamento delle azioni necessarie a fronteggiare l'emergenza migratoria in atto in Europa, attraverso l'Italia. In questo senso, il Comitato condivide la necessità ad esso rappresentata di individuare un soggetto in grado di fare sintesi sul tema dell'immigrazione, con compiti di vigilanza e controllo trasversali, che funga da raccordo utile tra le iniziative e le misure adottate da ciascun Ministero. Il Comitato ritiene che incentivare strategie di partenariato con i Paesi di origine e anche con quelli di transito dei flussi migratori possa tradursi in un efficace deterrente all'immigrazione illegale. Molto più efficace potrebbe rivelarsi anche un'interlocuzione che abbia effetti reali con i Paesi dell'Africa subsahariana, del Corno d'Africa; vi è la necessità di creare una capacity building nei Paesi di origine, con un investimento su standard e su attività di controllo che deve essere considerato produttivo per l'Europa. L'assunzione di responsabilità su questo tema da parte dell'Europa diventa un fattore determinante per il Comitato anche dal punto di vista finanziario.
  Si rende necessario così superare la logica contingente dell'emergenza migratoria per iniziare una nuova fase di governo della politica strutturale migratoria. Per fare questo bisogna potenziare il controllo delle frontiere esterne all'Unione e i rimpatri europei, senza limitarsi ad una loro ridistribuzione fra gli Stati membri. Occorre al contempo agire sul modello di integrazione e sulla velocizzazione delle procedure di rimpatrio per governare il fenomeno piuttosto che subirlo, e condurre l'Europa dalla logica dell'emergenza a quella della governance del fenomeno migratorio.