Doc. XVII, n. 13

DOCUMENTO APPROVATO DALLA XI COMMISSIONE PERMANENTE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO)

nella seduta del 4 giugno 2015

A CONCLUSIONE DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
deliberata nella seduta del 4 giugno 2014

SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

(Articolo 144, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati)

S O M M A R I O

1. Premessa Pag. 5
2. I dati e le valutazioni raccolti nel corso delle audizioni » 7
  2.1.  ISFOL » 7
  2.2.  Italia Lavoro Spa » 8
  2.3.  Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro » 10
  2.4.  Alleanza lavoro » 12
  2.5.  Assolavoro » 12
  2.6.  Confindustria » 13
  2.7.  Confprofessioni » 15
  2.8.  R. E TE. Imprese Italia » 16
  2.9.  Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili » 17
  2.10. Unione delle province d'Italia (UPI) » 18
  2.11. Unioncamere » 19
  2.12. Esperti della materia » 20
  2.13. Organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL e UGL) » 24
  2.14. Conferenza delle Regioni e delle province autonome » 25
  2.15. Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca » 26
  2.16. Ministero del lavoro e delle politiche sociali » 28
3. Conclusioni »   29
Pag. 5

1. Premessa.
  La XI Commissione, nell'ambito della propria attività conoscitiva, ha rilevato opportuno svolgere un'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, nella consapevolezza che i servizi per il lavoro costituiscono un presupposto essenziale per promuovere l'occupazione anche nell'attuale contesto di crisi economica, attraverso un più efficace incontro tra la domanda e l'offerta di impiego. L'attenzione della Commissione si è rivolta, in particolare, all'analisi delle caratteristiche e delle potenzialità di un sistema integrato di servizi per l'impiego, che garantisca realmente la cooperazione e l'integrazione tra operatori pubblici e privati, tenuto conto della quasi ventennale apertura agli operatori privati delle attività di intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro nonché dei processi di riforma recentemente avviati nel settore.
  In proposito, occorre considerare che il tema dell'efficienza dei servizi per l'impiego è già stato affrontato dalla Commissione all'inizio della presente legislatura, nell'ambito dello svolgimento dell'indagine conoscitiva sull'emergenza occupazionale, che la Commissione ha valutato anche alla luce delle ultime novità normative introdotte nel mercato del lavoro (in particolare, dalla cosiddetta «riforma Fornero» del 2012) e del perdurare della crisi economica. In quella occasione la Commissione ebbe, infatti, la possibilità di valutare in modo ampio e approfondito i fattori di criticità del sistema e formulò, nel proprio documento conclusivo, proposte volte a promuovere un innalzamento della qualità dei servizi per l'impiego anche attraverso un maggiore coinvolgimento delle agenzie private. In particolare, la Commissione rilevò come l'attivazione delle risorse della Youth Guarantee potesse rappresentare una grande occasione per mettere finalmente mano alla riforma dei Centri per l'impiego, con l'obiettivo di incrementarne i livelli di efficienza. Si segnalava, in particolare, l'esigenza di interventi rapidi ed efficaci, che facessero leva su meccanismi volti a premiare le strutture più efficienti, sulla base di indicatori che tengano conto non tanto dell'attività di intermediazione genericamente svolta, quanto dei risultati occupazionali effettivamente ottenuti, e garantissero adeguati investimenti, anche in termini di personale, da reperire in via prioritaria attraverso l'attivazione di processi di mobilità interna alla pubblica amministrazione. In particolare, il documento approvato richiamava le iniziative assunte anche a livello europeo sul versante della promozione dell'occupazione, con particolare riferimento al programma Garanzia giovani, per la cui attuazione il Governo italiano si è attivato con convinzione, mettendo in moto un processo che ha coinvolto gli enti territoriali e le strutture deputate allo svolgimento di politiche attive sul lavoro. In un contesto nel quale appare prematuro fornire un giudizio sulla concreta efficacia del programma, i cui risultati in termini di incremento dell'occupazione e dell'occupabilità potranno essere valutati compiutamente solo in una fase successiva, si è riscontrato come l'attuazione di Garanzia giovani abbia rappresentato nel nostro Paese un importante banco di prova del grado di efficacia del sistema dei servizi per l'impiego, promuovendo Pag. 6l'avvio di un percorso che dovrebbe condurre ad una maggiore uniformità dei servizi offerti a livello nazionale e consentire di verificare in concreto il funzionamento del sistema dei servizi offerti dagli operatori pubblici e privati.
  La presente indagine, deliberata il 4 giugno 2014, è stata inizialmente prorogata fino al 28 febbraio 2015 e successivamente fino al 31 marzo 2015, in modo da consentire la conclusione del ciclo di audizioni previste dal programma tenendo conto anche dell'evoluzione del quadro normativo nel frattempo intervenuta. In questo ambito, la XI Commissione ha svolto un articolato ciclo di audizioni, che hanno avuto inizio nel luglio 2014 e si sono sviluppate lungo un arco di circa dieci mesi, rappresentando un importante momento di confronto con i soggetti coinvolti, che ha permesso di raccogliere dati, informazioni ed elementi di valutazione che hanno fornito un quadro esaustivo delle problematiche esistenti e delle possibili proposte di intervento, anche alla luce di una comparazione con le esperienze maturate nei principali Paesi europei. L'indagine, conclusasi con l'audizione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ha visto intervenire, per il Governo, anche il Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, nonché rappresentanti delle parti sociali e delle associazioni di categoria dei settori produttivi e professionali maggiormente coinvolti, operatori pubblici e privati del mercato del lavoro, rappresentanti delle Regioni, delle Province, del sistema camerale, nonché autorevoli esperti del settore.
  Quanto agli obiettivi dell'indagine, già nel programma si identificavano gli elementi di debolezza del sistema dei servizi per l'impiego, caratterizzato da una ridotta capacità di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro da parte degli operatori pubblici e da una limitata efficacia dell'azione degli operatori privati, scarsamente integrati con i Centri pubblici per l'impiego e chiamati a fronteggiare un quadro normativo profondamente diversificato sul territorio nazionale. In questo senso, l'indagine ha puntato innanzitutto a focalizzare in modo più puntuale le caratteristiche del sistema dei servizi per l'impiego, al fine di verificare l'adeguatezza dell'assetto istituzionale in essere, il riparto di competenze tra i diversi soggetti pubblici che hanno competenze in materia, nonché i modelli di cooperazione tra operatori pubblici e privati. In questo contesto, ovviamente, sin dalla definizione del programma dell'indagine, la Commissione è stata pienamente consapevole dell'esigenza di tenere conto e di valutare, in itinere, i possibili approdi dei processi di riforma avviati, in particolare, con il conferimento di un'ampia delega al Governo per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e per le politiche attive, nell'ambito della quale sono stati individuati puntuali criteri di intervento e si è prevista, in particolare, l'istituzione di una Agenzia nazionale per l'occupazione. Su questo assetto, già piuttosto articolato, si innestano inoltre le ulteriori riforme che hanno interessato e stanno ancora interessando il quadro delle competenze dello Stato e degli enti territoriali, a partire dalla cosiddetta «Legge Delrio», che ha avviato un processo di revisione del ruolo delle amministrazioni provinciali, che porta al superamento dell'attuale incardinamento presso tali enti dei centri pubblici per l'impiego. Da ultimo, è ancora in divenire il processo di revisione costituzionale, che ha inciso in modo significativo sulle tematiche oggetto della presente indagine, intervenendo sull'intreccio di competenze di Stato e Regioni in materia di politiche attive del lavoro.
  Il presente documento, elaborato con la collaborazione proficua dei gruppi presenti in Commissione, intende trarre alcune conclusioni dall'indagine condotta, pur nella consapevolezza del carattere ineludibilmente provvisorio delle considerazioni svolte, in un contesto che troverà un assetto più stabile solo al momento del consolidamento dei diversi processi di riforma avviati e in corso di attuazione. Il documento è articolato in due parti: nella prima, vengono illustrati i principali elementi di valutazione e di conoscenza acquisiti nel corso delle audizioni, mentre Pag. 7nella seconda si intendono fornire alcune valutazioni di sintesi e proposte di intervento, anche in vista della definizione dei contenuti degli interventi normativi in corso di adozione in questa materia e di ulteriori future iniziative al riguardo.

2. I dati e le valutazioni raccolti nel corso delle audizioni.

2.1. ISFOL.
  La prima audizione dell'indagine conoscitiva, svoltasi il 29 luglio 2014, ha visto la partecipazione di rappresentanti dell'ISFOL, che hanno inquadrato le tematiche oggetto dell'indagine nell'ambito di un'analisi comparativa tra i diversi sistemi di servizi per l'impiego utilizzati dai Paesi dell'Unione europea. Su un piano generale, si è costatato come, a differenza di quanto avviene in Italia, negli altri Paesi assunti come riferimento prevalgano sistemi integrati a livello nazionale, nei quali l'erogazione dei servizi per l'impiego è per lo più affidata a strutture di tipo agenziale, che assicurano un collegamento tra le strutture presenti a livello territoriale attraverso meccanismi di integrazione e coordinamento, che danno visibilità, concretezza, organicità alla politica nazionale del lavoro. I rappresentanti dell'ISFOL hanno inoltre evidenziato come in Paesi comparabili al nostro sul piano della dimensione territoriale e dello sviluppo economico, come la Francia e la Germania, si sia affermata la concentrazione in un unico soggetto delle competenze in materia di politiche attive e passive. Tale concentrazione è funzionale al rispetto del principio di condizionalità, ai sensi del quale i sostegni al reddito erogati al lavoratore disoccupato sono subordinati all'impegno del medesimo lavoratore a cooperare sul piano della propria ricollocazione e riqualificazione professionale, rendendosi disponibile a iniziative di politica attiva del lavoro. A livello continentale si segnalano, peraltro, esperienze nelle quali si riconosce un ruolo più incisivo alle autonomie territoriali: in Spagna, ad esempio, il sistema di servizi per l'impiego si basa su una ripartizione dei poteri fra Stato e Regioni a geometria variabile, nella quale ogni comunità può seguire un modello organizzativo differente. Analogamente, in Belgio la transizione verso una forma di stato di tipo federale ha portato alla divisione dell'agenzia nazionale in tre agenzie federali. In Italia, con il decreto legislativo n. 469 del 1997 è stata operata una scelta, rafforzata, sul piano costituzionale, dalla riforma del Titolo V del 2001 e successivamente confermata dal decreto legislativo n. 276 del 2003, nel senso di affidare i servizi per l'impiego a sistemi a base regionale, in un disegno nel quale l'azione dello Stato e l'azione delle regioni avrebbero dovuto essere coordinate e integrate. Nei fatti, tuttavia, l'auspicato coordinamento sul piano nazionale non si è realizzato e l'analisi condotta testimonia la presenza di realtà profondamente differenziate non solo tra le diverse regioni, ma anche all'interno delle singole regioni, registrandosi risultati non uniformi nell'ambito delle diverse province. Uno dei fattori di maggiore criticità è individuato nell'attuazione a livello regionale del sistema di accreditamento degli operatori privati: si è rilevata, in proposito, la necessità di disegnare un assetto istituzionale di carattere nazionale che superi l'attuale quadro frammentato di competenze, in vista della costituzione di un sistema efficiente di incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Quanto al ruolo degli operatori pubblici, i rappresentanti dell'ISFOL hanno evidenziato come le caratteristiche dei centri per l'impiego siano il frutto della storia del nostro Paese e delle politiche seguite sul piano occupazionale, mentre si rende necessaria una difficile opera di riorientamento delle attività svolte, riqualificando strutture che per anni sono state deputate alla mera gestione di pratiche amministrative riguardanti la certificazione dello stato di disoccupazione.
  In questo contesto, uno specifico focus è stato dedicato, sempre in una prospettiva di comparazione con le altre esperienze europee, al tema dell'investimento in termini di risorse e di personale nei servizi pubblici per l'impiego e all'analisi del ruolo Pag. 8svolto in termini di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro tanto dagli operatori pubblici quanto dagli operatori privati. L'analisi, che trae origine da una ricerca pubblicata nel mese di marzo del 2014 sullo stato dei servizi pubblici per l'impiego in Europa, ha evidenziato in primo luogo che nel nostro Paese la spesa per i servizi per il lavoro si colloca, in un'ottica comparata, su livelli assai contenuti. A fronte di tale dato di partenza, peraltro, negli anni della recente crisi economica e finanziaria l'Italia è tra i pochi Paesi che ha visto contrarsi la propria spesa non solo nel settore dei servizi per il lavoro, ma anche, più in generale, nel campo delle altre politiche attive. Per quanto riguarda, invece, l'impegno in termini di unità di personale, l'ISFOL, pur riscontrando che Eurostat non raccoglie dati riferiti al personale impiegato nei servizi pubblici per l'impiego nei diversi Stati membri, ha rilevato come tra il 2008 e il 2011 si sono registrate ampie variazioni, con Stati, come Francia, Germania e Regno Unito, che hanno significativamente incrementato il numero degli operatori, mentre altri Paesi, come Finlandia, Italia e Irlanda, si distinguono per una riduzione dell'impegno in termini di personale. I dati riferiti al nostro Paese evidenziano peraltro aspetti critici anche se si pongono a raffronto il numero degli operatori con la popolazione attiva. Quanto, invece, alla capacità di intermediazione degli operatori pubblici e privati ai fini dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, i dati raccolti evidenziano come nel nostro Paese siano assolutamente predominanti i canali informali di intermediazione (ai quali si rivolge circa l'80 per cento dei disoccupati, a fronte di una media dell'Unione europea a 15 di circa il 69 per cento), mentre circa due terzi degli interessati si indirizzano verso la richiesta diretta di lavoro alle imprese. Per quanto attiene ai servizi per l'impiego, si rivolge a operatori pubblici circa il 33,7 per cento dei disoccupati, a fronte del 19,6 per cento che si rivolge ad un'agenzia privata per il lavoro. Guardando invece al cosiddetto tasso di penetrazione dei servizi per l'impiego, vale a dire la quota dei lavoratori dipendenti che ha trovato lavoro grazie all'intermediazione dei servizi stessi rispetto al totale dei dipendenti che hanno trovato un lavoro nel periodo di riferimento, i dati registrati nel nostro Paese sono piuttosto modesti: i servizi pubblici per l'impiego hanno contribuito, infatti, al collocamento del 3,1 per cento dei lavoratori, mentre le agenzie private hanno contribuito per lo 0,6 per cento, a fronte di una media dei Paesi dell'Unione europea a 15 del 9,4 per cento per gli operatori pubblici e dell'1,8 per cento per gli operatori privati. Per contro, l'incrocio dei dati sull'investimento finanziario nei servizi per l'impiego e di quelli sui lavoratori intermediati evidenzia risultati relativamente sorprendenti in quanto la spesa media per lavoratore è inferiore, spesso in misura sensibile, rispetto ai principali Paesi europei, riscontrandosi una spesa di poco più di 8.600 euro per lavoratore intermediato a fronte di una cifra di oltre 50.000 euro in Olanda, 21.593 euro in Francia, 18.000 euro nel Regno Unito, 15.834 euro in Germania, e 10.872 euro in Spagna.
  Nel sottolineare la complessiva gracilità, anche in un'ottica comparata, dei servizi pubblici e privati per l'impiego nel nostro Paese, i rappresentanti dell'ISFOL hanno rimarcato la necessità di garantire livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale, sulla base di standard uniformi che devono essere oggetto di puntuale monitoraggio e valutazione a livello nazionale. Da ultimo, si è rimarcata l'opportunità di rafforzare i collegamenti tra il mondo della scuola e quello del lavoro, costruendo percorsi di orientamento verso il lavoro, nonché valorizzando i tirocini e i percorsi di alternanza tra scuola e lavoro, attraverso un efficace utilizzo dell'apprendistato, secondo il modello introdotto dall'articolo 8-bis del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n.128 del 2013.

2.2 Italia Lavoro Spa.
  I rappresentanti della società Italia Lavoro, auditi nella seduta del 5 agosto 2014, Pag. 9hanno svolto un'articolata disamina della situazione attuale dei centri per l'impiego, richiamando i contenuti del primo rapporto di monitoraggio sui servizi per l'impiego, pubblicato sul finire dell'anno 2013, a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dalla società Italia Lavoro, che ha inteso fornire un primo contributo all'analisi del mercato del lavoro in vista di un miglioramento delle politiche attive del lavoro. Dalla ricognizione svolta risulta, quindi, che i centri per l'impiego attivi sul territorio nazionale sono 556 e, nonostante il decreto legislativo n. 469 del 1997 richieda che i centri abbiano di regola una utenza non inferiore a 100.000 abitanti, si registra una loro dislocazione non ottimale, considerando anche il numero relativamente esiguo di centri rispetto alla popolazione da servire. Sulla base dei dati registrati nel monitoraggio si registra, inoltre, l'insufficienza della dotazione organica dei servizi pubblici per l'impiego, che conta allo stato su circa 8.700 operatori, la maggior parte dei quali (più dell'80 per cento) assunti con contratti di lavoro a tempo indeterminato. Il numero degli operatori è, quindi, inferiore a quello che si riscontra nei più importanti Paesi europei, pur dovendosi tenere conto della circostanza che molti centri hanno esternalizzato parte delle proprie funzioni, e il personale si dedica prevalentemente ad attività di front office (6.255 operatori su 8.713). I rappresentanti di Italia Lavoro hanno evidenziato come, pur a fronte di questi dati, il carico di lavoro degli operatori dei centri per l'impiego dal punto di vista dell'utenza (disoccupati a qualsiasi titolo e di qualsiasi età) sia molto inferiore ai carichi di lavoro registrati in altri Paesi europei. In Italia, tra le regioni che hanno una dotazione organica elevata, si registra la Calabria, con 34,5 operatori per centro per l'impiego, il Molise con 31,1 e le Marche con 30,2; con riferimento, invece, al dato del rapporto tra personale impiegato e soggetti presi in carico, esso appare elevato in Lombardia (516 soggetti), Puglia (451), Liguria (421), provincia autonoma di Bolzano (416), mentre è particolarmente esiguo in Sicilia (103), Molise (138) e Calabria (151).
  Con riferimento agli operatori privati «accreditati», tra cui in particolare le agenzie, si è rilevato come il processo di accreditamento sia ancora largamente incompleto e come tale situazione abbia contribuito a limitare le capacità del sistema di rispondere alla sfida della disoccupazione e di promuovere il miglioramento dell'occupazione. Nell'audizione si è quindi segnalato che al 10 luglio 2014 risultano 1.653 sportelli accreditati, tra cui 76 Agenzie di somministrazione, 6 agenzie di somministrazione specialistica e 13 agenzie di intermediazione, nonché 80 enti di formazione, 978 istituti di scuola secondaria di secondo grado, e 86 università (66 pubbliche e 20 private). La distribuzione territoriale degli operatori privati è assolutamente analoga rispetto a quella dei centri per l'impiego, con un effetto di fortissima sovrapposizione rispetto all'offerta pubblica e non di complementarietà delle prestazioni. La presenza delle agenzie è, infatti, prevalentemente concentrata nelle regioni centro-settentrionali, a riprova del profondo squilibrio territoriale del sistema di intermediazione italiano. In particolare, si è rilevata l'eterogeneità della distribuzione dei 2.392 sportelli degli operatori privati: 26,1 per cento in Lombardia; 13, 3 per cento in Emilia Romagna; 14,1 per cento in Veneto; 10,4 per cento in Piemonte; regioni che assorbono, quindi, più del 60 per cento delle unità operative totali.
  Quanto alla capacità di intermediazione dei servizi, i dati forniti confermano la prevalenza dei canali informali di ricerca dell'occupazione, a fronte di una percentuale di lavoratori collocati nell'anno 2012 da parte dei centri pubblici dell'impiego di circa il 2,1 per cento. Le agenzie private per l'impiego hanno invece collocato circa il 5,1 per cento dei lavoratori assunti nel 2012, ancorché il 2,6 per cento dei nuovi impieghi sia avvenuto con rapporti di lavoro interinale.
  Nel complesso, riprendendo analisi già formulate anche dall'ISFOL, si è evidenziata la scarsità di risorse finanziarie destinate in Italia alle politiche attive e, in particolare, ai servizi per l'impiego rispetto Pag. 10agli altri Paesi europei: la spesa sostenuta nel 2012 per i servizi per l'impiego ammonta, infatti, a circa 500 milioni di euro, rispetto ai 5 miliardi della Francia, agli 8 miliardi della Germania, ai 5 miliardi del Regno Unito e agli 1,5 miliardi spesi dalla Spagna. La spesa sostenuta per i servizi per l'impiego, che – in controtendenza rispetto ai dati riscontrati in Francia, Germania e Spagna – si è contratta nel periodo tra il 2004 e il 2010, è inoltre limitata anche in rapporto al prodotto interno lordo: in Italia, nel 2011, la spesa per i servizi per l'impiego ha assorbito lo 0,03 per cento del PIL, contro lo 0,34 della Germania, lo 0,25 della Francia, lo 0,34 del Regno Unito e lo 0,10 della Spagna.
  I rappresentanti di Italia Lavoro hanno, quindi, evidenziato che il programma Garanzia giovani ha rappresentato certamente un elemento positivo, essendosi mosso nella direzione di procedere verso una maggiore uniformità dei servizi offerti a livello nazionale, in un contesto nel quale le politiche attive del lavoro in Italia rimangono frammentate e differenziate sul piano locale. A livello territoriale, si sono infatti realizzati modelli profondamente diversi anche nei rapporti tra operatori pubblici e privati con meccanismi misti pubblico-privati realizzati attraverso l'accreditamento delle agenzie private, modelli di partenariato e sistemi incentrati sugli operatori pubblici, come quello umbro. In proposito, si è sottolineato come la frammentazione esistente tra le diverse regioni rappresenta un ostacolo molto forte per gli operatori del mercato del lavoro, anche nella prospettiva dell'attrazione di investimenti dall'estero. Emerge, quindi, molto chiaramente, a loro avviso, l'esigenza di una ricomposizione sul piano istituzionale del sistema dei servizi per l'impiego, anche attraverso un riesame delle disposizioni del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, che rimettono la disciplina del settore alla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le Regioni, in un contesto nel quale intervengono anche la riforma dell'ordinamento provinciale, in attuazione della «legge Delrio», e la delega legislativa in materia di lavoro contenuta nel cosiddetto Jobs Act. Ad avviso dei rappresentanti di Italia Lavoro, la competizione tra i diversi territori dovrebbe svolgersi non tanto attraverso l'utilizzo dello strumento normativo, bensì mediante il ricorso a strumenti gestionali, che valorizzino il conseguimento di risultati concreti in termini occupazionali.

2.3. Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro.
  I rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, intervenuti nell'indagine conoscitiva il 9 settembre 2014, hanno preliminarmente ricordato l'evoluzione del proprio ruolo nel mercato del lavoro, segnalando come da tempo i consulenti del lavoro non si limitino a gestire il personale occupato in azienda ma, in virtù di un mutamento delle proprie competenze che ha trovato conferma anche sul piano normativo, si occupano anche di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro, ricercando e selezionando personale e occupandosi della sua formazione. Hanno rammentato, infatti, che, con il decreto legislativo n. 276 del 2003, attuativo della cosiddetta «legge Biagi», è stata data l'opportunità alla categoria di costituire un'apposita Fondazione dei consulenti per il lavoro, un organismo tecnico, promanazione del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, che, per il tramite di questa Fondazione, svolge attività di intermediazione nel mercato del lavoro.
  Con riferimento allo stato dei servizi per l'impiego nel nostro Paese, gli auditi hanno evidenziato la presenza di un mercato del lavoro regionalizzato, con un forte decentramento a livello regionale anche sul piano normativo, con particolare riferimento alla disciplina dei tirocini formativi e dell'apprendistato. La presenza di un articolato quadro di normative regionali relativo alla gestione delle politiche per l'impiego ha, da ultimo, comportato che per la gestione del programma Garanzia giovani si rendesse necessario sottoscrivere specifici protocolli di intesa con ogni singola regione. Alla luce di tale considerazione Pag. 11preliminare, i rappresentanti dei consulenti del lavoro hanno quindi rappresentato come la soluzione del problema delle competenze in materia di mercato del lavoro rappresenti uno snodo essenziale ai fini della costruzione di un sistema di servizi efficace sull'intero territorio nazionale. Si giudica, in particolare, necessario attribuire allo Stato la competenza legislativa esclusiva per quanto riguarda la tutela e l'organizzazione del mercato del lavoro e dei rapporti di lavoro, prevedendo una possibile articolazione delle politiche a livello regionale. Alla competenza legislativa esclusiva statale dovrebbe essere, inoltre, ricondotta anche la disciplina dell'attività di formazione e di orientamento al lavoro per gli inoccupati e i disoccupati. In questa ottica, gli auditi ritengono che la costituzione di un'agenzia unica, prevista dalla delega legislativa di cui al cosiddetto Jobs Act, possa costituire un punto di riferimento importante, purché si introducano meccanismi giuridici che le permettano di esercitare l'attività in maniera unitaria.
  I rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro hanno rilevato che l'Italia destina al finanziamento delle politiche attive del lavoro una quota di risorse piuttosto bassa, a fronte di un impegno consistente per le politiche passive; in buona sostanza, essi osservano che, diversamente da quanto accade in altre esperienze europee, a partire da quella tedesca, attraverso questo meccanismo in Italia si finanzia più la disoccupazione che l'occupazione. Sempre sul versante del rapporto tra politiche passive e politiche attive, i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro si sono quindi soffermati sul cosiddetto principio di condizionalità degli interventi, ai sensi del quale l'accesso ai sussidi dovrebbe essere subordinato all'ingresso del lavoratore in un programma di attivazione sul piano lavorativo e formativo, con obbligo di accettazione delle offerte proposte. In proposito, si è correttamente rilevato come tale principio sia più volte affermato (sin dal decreto legislativo n. 181 del 2000) nella legislazione, la quale richiede che al disoccupato sia fatto firmare un patto di servizio al momento del suo censimento presso i centri per l'impiego, ma trovi scarsa attuazione nella pratica, a causa dell'assenza di controlli, osservandosi come, secondo alcune stime, circa il 20 per cento degli attuali titolari di sussidi li perderebbe in caso di puntuale applicazione delle regole di condizionalità. In questa ottica può, del resto, leggersi la sollecitazione rivolta alla individuazione di una regia unitaria sulle materie della formazione, degli incentivi alle imprese e alla nuova occupazione e della disciplina dei contratti di lavoro. Con specifico riferimento ai servizi per l'impiego si è richiamata l'esigenza di un'integrazione sistema pubblico – INPS – sistema privato, affinché non vi sia un semplice trasferimento di indennità, ma ci sia una integrazione delle politiche al fine di promuovere l'occupazione delle persone. In questo contesto, i rappresentanti dei consulenti del lavoro hanno evidenziato l'esigenza di dotarsi di adeguate strumentazioni informatiche che consentano di monitorare il mercato del lavoro e di soddisfare i fabbisogni formativi e professionali delle imprese.
  Quanto all'intermediazione dei soggetti privati, gli auditi hanno rilevato la necessità di introdurre, sulla scorta dell'esempio della Dote unica lavoro istituita dalla Regione Lombardia, strumenti che incentivino il conseguimento dei risultati, remunerando l'agenzia al momento del raggiungimento dell'obiettivo della collocazione lavorativa del disoccupato.
  Nel complesso i consulenti del lavoro hanno rilevato come, al di là di qualche significativa esperienza positiva in alcuni territori del Paese, l'Italia raggiunga risultati piuttosto modesti dal punto di vista dell'efficienza del mercato del lavoro, collocandosi – secondo i dati risultanti dalle indagini svolte dalla Commissione europea – al ventiquattresimo posto su ventisette nazioni dell'Unione europea. In questo contesto, si è in particolare rimarcata l'estrema debolezza del sistema pubblico, finanziato dieci volte meno rispetto a quanto avviene in Germania, Francia e Inghilterra, osservandosi altresì che per gli operatori privati mancano adeguati meccanismi Pag. 12che correlino la remunerazione al risultato, mentre vengono invece investite somme rilevanti in incentivi per le nuove assunzioni. Nel ribadire l'esigenza di un quadro regolatorio unitario a livello nazionale, quantomeno con riferimento alla definizione dei livelli essenziali da garantire, i rappresentanti del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro hanno rilevato l'esigenza di un adeguato finanziamento delle politiche attive, ricordando come negli anni della crisi il nostro Paese si sia caratterizzato per una riduzione degli investimenti nella formazione e nei servizi per il lavoro, rispettivamente pari al 20 e al 30 per cento, sottolineando che, su 28 miliardi di euro spesi per politiche del lavoro, 22 miliardi sono stati destinati al finanziamento dell'indennità di disoccupazione e ad interventi di politica passiva. Anche prendendo a riferimento un arco temporale più vasto, il periodo 2003-2013, in Italia la spesa per le politiche del lavoro è stata pari a circa l'1,5 del prodotto interno lordo, una cifra notevolmente inferiore alla media europea, che è intorno al 2 per cento.

2.4. Alleanza lavoro.
  I rappresentanti di Alleanza lavoro, nel corso della loro audizione svoltasi il 10 settembre 2014, si sono soffermati sulla propria esperienza di associazione rappresentativa delle agenzie per il lavoro, rimarcando come sulla base della legislazione vigente, che prevede puntuali controlli ministeriali sugli operatori al fine di assicurarne la professionalità e la correttezza, le agenzie, oltre all'attività tipica di somministrazione di lavoro, svolgono attività di ricerca e selezione del personale, di promozione dei tirocini e dell'apprendistato, nonché attività di outplacement, sviluppatesi in questi ultimi tempi con il contratto di ricollocazione. Passando ad esaminare il funzionamento del sistema pubblico, i rappresentanti di Alleanza lavoro hanno richiamato talune criticità che caratterizzano i centri per l'impiego, i quali, a loro avviso, ad oggi, salvo talune eccezioni, si dedicano prevalentemente ad attività amministrative, operando quali meri certificatori di uno status, quale quello derivante dall'iscrizione alla lista di disoccupazione o dall'iscrizione alla lista di mobilità. Per contro, nell'analisi svolta le agenzie per il lavoro eserciterebbero una attività molto più dinamica, rivolta in maniera equilibrata sia alla domanda sia all'offerta di lavoro, a fronte del concentrarsi degli operatori pubblici solo sul versante dell'offerta.
  Quanto all'auspicata integrazione tra operatori pubblici e privati, i rappresentanti di Alleanza lavoro hanno sottolineato come il quadro della normativa a livello regionale sia particolarmente articolato, anche per quanto concerne l'accreditamento degli operatori privati, con evidenti problemi per la costruzione di un'offerta di servizi omogenea sul territorio nazionale. Tale frammentazione territoriale sarebbe, peraltro, una delle ragioni alla base delle difficoltà evidenziatesi nei primi mesi di applicazione del programma Garanzia giovani nel nostro Paese.
  Sono, comunque, state richiamate esperienze positive per quello che riguarda la collaborazione tra operatori pubblici e privati, segnalandosi, in particolare, l'esperienza della Lombardia, nella quale il sistema della Dote unica lavoro testimonierebbe un'efficace attività concertata tra il sistema regionale e i vari operatori privati. Al riguardo, dai dati a disposizione di Alleanza lavoro, risulterebbe che poco meno del 40 per cento dei candidati assunti in carico dagli operatori privati nella Regione Lombardia ha raggiunto l'obiettivo dell'inserimento occupazionale, per missioni non inferiori ai sei mesi.

2.5. Assolavoro.
  I rappresentanti di Assolavoro, nella loro audizione, svoltasi nella seduta dell'11 settembre 2014, si sono focalizzati, in particolare, sul ruolo degli operatori privati e sulla loro integrazione nel sistema dei servizi per l'impiego. In proposito, gli auditi hanno richiamato il valore del servizio svolto per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e, conseguentemente, Pag. 13per sostenere la partecipazione al mercato del lavoro, con un'attività che va a tutto vantaggio dei lavoratori interessati, specialmente in un contesto economico fragile, nel quale il numero e la tipologia dei posti di lavoro disponibili sono fortemente condizionati dalle oscillazioni del ciclo economico. Sotto il profilo quantitativo, si è rappresentato come in Europa siano circa 12 milioni i lavoratori che si avvalgono dei servizi delle agenzie per il lavoro, mentre in Italia si sono rivolti alle agenzie private circa 480 mila lavoratori.
  Quanto all'analisi delle politiche per il lavoro nel nostro Paese, i rappresentanti di Assolavoro hanno rilevato come sia opportuno passare dal finanziamento della disoccupazione al finanziamento dell'occupazione, favorendo le politiche attive rispetto a quelle passive e introducendo principi di premialità nel finanziamento delle politiche per il collocamento o il ricollocamento. A tale ultimo riguardo, a loro avviso, è necessario riconoscere agli operatori il valore del servizio svolto, commisurandone la remunerazione al grado di svantaggio colmato e, in secondo luogo, alla rapidità del conseguimento dell'obiettivo di collocazione o ricollocazione. In questo contesto, ritengono in particolare che sarebbe opportuno riconoscere l'inserimento lavorativo avvenuto tramite contratti di somministrazione come risultato valido ai fini dell'inserimento lavorativo e, quindi, della remunerazione della relativa attività. Allo stesso modo, si è segnalata l'esigenza che anche la remunerazione dei corsi di formazione sia collegata ad obiettivi di placement, in modo da assicurarne una più diretta rispondenza alle esigenze del mercato del lavoro. Al fine di promuovere la correlazione tra la remunerazione dei servizi offerti e i risultati ottenuti, a loro avviso, dovrebbero essere promosse ed estese le esperienze incentrate sull'erogazione di voucher da utilizzare per il pagamento dei servizi ricevuti, legando il riconoscimento dell'erogazione alla stipulazione di un contratto di lavoro. Sempre nell'ottica di rafforzare il rapporto tra investimenti in politiche attive e risultati conseguiti, si è rimarcata l'esigenza di istituire un sistema pubblico di rating che abbia ad oggetto i risultati ottenuti dai diversi attori, basato su indicatori oggettivi di risultato validi a livello europeo. A testimonianza dell'efficacia del sistema proposto, i rappresentanti di Assolavoro hanno ricordato l'esperienza della Dote unica lavoro della Regione Lombardia, che, sia sul piano generale sia nell'ambito dell'attuazione del programma Garanzia giovani, ha premiato in modo significativo le agenzie per il lavoro. Nel documento depositato, si richiamano, inoltre, numerosi altri temi oggetto dell'attenzione della Commissione nell'ambito dell'indagine, a partire da quello dell'effettiva accessibilità per gli operatori privati delle banche dati pubbliche che recano informazioni rilevanti per la loro attività. Particolare attenzione è inoltre dedicata alla questione del rafforzamento della governance unitaria del sistema dei servizi per l'impiego, segnalando, specificamente, l'esigenza di istituire una procedura autorizzatoria unica a livello nazionale per le Agenzie ed esprimendo apprezzamento per la scelta del Governo di muoversi nella direzione della creazione di una Agenzia nazionale per l'occupazione.

2.6. Confindustria.
  I rappresentanti di Confindustria, nell'audizione svoltasi il 17 settembre 2014, hanno preso le mosse, nella propria analisi, dalla constatazione, più volte emersa nel corso dell'indagine, della debolezza delle reti formali di collocamento nel nostro Paese. Richiamando recenti dati del CNEL, analoghi, ancorché non del tutto sovrapponibili, a quelli illustrati dai rappresentanti dell'ISFOL nel corso della loro audizione, i rappresentanti di Confindustria hanno, infatti, fatto notare che solo il 32 per cento dei disoccupati si rivolge ai servizi pubblici per l'impiego e una quota ancora inferiore (il 18 per cento) si rivolge alle agenzie private per il lavoro. La modalità prevalente di ricerca del lavoro è, infatti, costituita dal ricorso alla rete informale – composta da amici, parenti e conoscenti – alla quale si rivolge circa il 77 Pag. 14per cento dei disoccupati, mentre il 65 per cento decide di proporsi direttamente ai potenziali datori di lavoro. La debolezza dei canali formali è testimoniata dalla comparazione con i dati relativi agli altri Paesi europei: in Germania ricorre ai canali formali di ricerca l'82,3 per cento dei disoccupati, contro una percentuale del 40,6 per cento che invece utilizza le reti amicali e parentali; nel Regno Unito vi ricorre il 62 per cento, mentre in Francia il 58 per cento.
  Anche per quanto attiene all'effettiva capacità di intermediazione degli operatori, i risultati, già emersi nel corso dell'indagine, testimoniano la debolezza del sistema dei servizi per l'impiego, tanto sul versante pubblico quanto su quello degli operatori privati: i servizi pubblici contribuiscono a collocare solo il 3,1 per cento dei nuovi lavoratori dipendenti, a fronte di una media europea del 9,4 per cento, mentre le agenzie private collocano circa lo 0,6 per cento dei nuovi lavoratori, contro una media europea pari a circa l'1,8 per cento. Si è, peraltro, constatato come tali dati siano anche il frutto di un più modesto investimento in termini di personale e di mezzi sulle politiche attive da parte del nostro Paese, pur rilevandosi che le comparazioni non sono sempre agevoli, considerando come i compiti affidati ai servizi pubblici dei diversi Paesi non siano del tutto sovrapponibili, in quanto – ad esempio – in Germania le agenzie pubbliche gestiscono anche le politiche passive. A tale ultimo riguardo, i rappresentanti di Confindustria hanno rilevato come il tema del coordinamento e dell'integrazione fra i soggetti che gestiscono le politiche attive e quelli che erogano i sussidi al reddito dei disoccupati rappresenti lo snodo fondamentale per l'efficacia dell'intero sistema dei servizi per l'impiego, per il cui corretto funzionamento, a loro avviso, occorre riaffermare in modo efficace la condizionalità delle prestazioni di sostegno al reddito, che devono essere effettivamente subordinate alla disponibilità ad accettare le posizioni di lavoro offerte.
  Quanto agli elementi di debolezza dell'attuale sistema dei servizi per l'impiego, nel corso dell'audizione si è richiamata l'attenzione sulla frammentazione istituzionale, che determina la presenza di una pluralità di soggetti pubblici chiamati ad intervenire nel settore. In questo contesto, anche i risultati conseguiti sono particolarmente discontinui a livello territoriale, con una distribuzione «a macchia di leopardo». I rappresentanti di Confindustria hanno, infatti, osservato come sul versante delle politiche attive e delle politiche passive intervengano a vario titolo, spesso senza operare in sinergia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con i suoi enti strumentali, le amministrazioni regionali e degli enti locali, le agenzie regionali per il lavoro, i centri per l'impiego e l'INPS. In tal senso, hanno fatto notare che l'idea di costituire un'Agenzia nazionale, così come proposta nella legge delega in materia di lavoro, sia convincente a condizione che tale organismo sia davvero uno strumento in grado di garantire una effettiva governance del sistema, facendo fronte a quanto previsto dal Titolo V della parte seconda della Costituzione, che distribuisce le competenze tra i diversi livelli istituzionali. A tale ultimo riguardo, si è sollecitato l'avvio di una riflessione sul tema delle competenze, soprattutto in materia di accreditamento dei soggetti privati, sottolineando come non sia ancora garantita una sostanziale parificazione fra il pubblico e il privato. Manca, peraltro, a loro avviso, una effettiva messa in rete dell'intero sistema, che consenta ai soggetti privati e pubblici di accedere alle stesse banche dati con la medesima rapidità ed efficienza.
  Da ultimo, riprendendo spunti già più volte emersi nel corso dell'indagine, si è rilevato come nel nostro Paese esista anche un problema connesso alle risorse destinate alle politiche attive, che assorbono una quota minoritaria del complesso delle spese finalizzate alle politiche per il lavoro, nel quadro di un sistema di protezione che attualmente privilegia la protezione degli insider, rispetto alla mobilità tra posti di lavoro o alla facilità di ingresso nel mondo del lavoro. Chiaramente, lo spostamento dell'asse degli interventi dalle politiche passive alle politiche attive dovrebbe comportare Pag. 15un ridisegno degli ammortizzatori sociali che determini anche una riduzione delle relative spese.

2.7. Confprofessioni.
  I rappresentanti di Confprofessioni, auditi nella seduta del 18 settembre 2014, nell'analizzare il funzionamento dei servizi per l'impiego e le prospettive di un suo cambiamento, hanno evidenziato preliminarmente che il processo di riforma in via di definizione non dovrà cominciare da zero, potendo avvalersi dell'esperienza maturata nel corso degli ultimi mesi nell'ambito dell'attuazione del programma Garanzia Giovani, che, a loro avviso, costituisce un valido terreno di prova per favorire il dialogo tra scuola, istituzioni territoriali e nazionali, parti sociali ed operatori economici, in vista della definizione di un sistema che valorizzi pienamente il contribuito degli operatori pubblici e privati.
  Nel richiamare i dati relativi alla capacità d'intermediazione degli operatori pubblici, i rappresentanti di Confprofessioni hanno fatto notare che solo il 2,9 per cento delle imprese italiane dichiara di aver assunto personale selezionato dai centri per l'impiego e solo il 3,4 degli occupati afferma di essersi rivolto ad essi per trovare lavoro (la percentuale scende al 2,7 per cento, se si considerano i giovani fino a 21 anni). Pur rilevando che in Italia si investono solo 471 milioni di euro l'anno per i centri per l'impiego, una somma giudicata irrisoria rispetto alle ben più ingenti risorse stanziate dagli altri Paesi, gli auditi hanno segnalato l'esigenza di un efficace utilizzo delle disponibilità finanziarie, che – a loro avviso – potrebbe essere meglio garantito attraverso un più efficiente raccordo tra i soggetti operanti nel settore, a partire dalle parti sociali, la cui partecipazione dovrebbe essere maggiormente incentivata, in linea con le positive esperienze maturate in Austria e Germania, Paesi nei quali esse concorrono alla governance del sistema dei servizi per il lavoro. Richiamando i dati elaborati dall'ISFOL, hanno fatto quindi notare che le agenzie per il lavoro e gli intermediari speciali intermediano il 7 per cento dell'occupazione complessiva, rilevando che i soggetti legati ad Assoformazione ne intermediano il 3,4, mentre ancora meno fanno le associazioni di categoria e i sindacati, che arrivano all'1 per cento.
  Nel segnalare che, specialmente in un contesto di risorse scarse, si rende necessario concentrare la spesa per politiche passive sui soggetti che sono realmente interessati alla ricerca di una occupazione, i rappresentanti di Confprofessioni hanno evidenziato l'esigenza di costituire un sistema integrato tra le diverse misure che preveda la tracciabilità del percorso del singolo percettore dei trattamenti, dal momento della fruizione degli ammortizzatori sociali sino all'utilizzo delle politiche attive correlate. Quanto all'architettura istituzionale che sorregge le politiche per l'impiego, si è notato che le difficoltà di governance del sistema dipendono essenzialmente dalla stratificazione dei livelli decisionali amministrativi sia sul versante delle politiche passive che su quello delle politiche attive. Gli auditi hanno, quindi, valutato con favore la prospettata costituzione di un'Agenzia nazionale, che realizzi una gestione unitaria delle diverse prestazioni, segnalando tuttavia la necessità che il governo della sua attività sia il risultato di una condivisione con gli operatori che sono a contatto con l'utenza e con i rappresentanti del mondo produttivo. Hanno sottolineato, inoltre, la necessità di un efficace coinvolgimento del sistema educativo scolastico ed universitario, che dovrebbe favorire maggiormente l'inserimento nel mercato del lavoro, rendendo strutturali le esperienze di apprendimento basate su momenti concreti di lavoro. Al riguardo si è, infatti, rilevato che, per quanto il numero degli istituti superiori che organizzano percorsi in alternanza sia in aumento, sono ancora meno del 9 per cento gli studenti delle scuole secondarie che hanno preso parte a un percorso di alternanza scuola-lavoro.
  Quanto al contenuto delle politiche, si è sottolineata l'opportunità di supportare adeguatamente l'orientamento verso l'autoimpiego, anche attraverso l'avvicinamento Pag. 16dei giovani alle opportunità offerte dalle libere professioni. In proposito, i rappresentanti di Confprofessioni hanno osservato che le più recenti riforme hanno già permesso di avviare periodi di praticantato durante il corso di laurea, sottolineando come la propria associazione, attraverso il CCNL degli studi professionali, abbia cercato di dare attuazione all'apprendistato per il praticantato, tipologia contrattuale che consente di coniugare in modo efficace l'esperienza professionale e il completamento del percorso formativo.

2.8. R. E TE. Imprese Italia.
  I rappresentanti di R. E TE. Imprese Italia, nel corso della loro audizione del 18 settembre 2014, si sono innanzitutto soffermati sull'ammontare delle risorse finanziarie destinate alle politiche attive, riscontrando che – come più volte evidenziato nel corso dell'indagine – l'Italia, fra i grandi Paesi europei, è quello che investe meno sulle politiche per l'occupabilità e sui servizi per il mercato del lavoro. A fronte di questi ridotti investimenti, nel 2012 circa il 76,9 per cento delle persone in cerca di lavoro ha contattato un centro per l'impiego, ma solo il 2,2 per cento delle imprese ha dichiarato di gestire le proprie assunzioni mediante selezioni effettuate dai medesimi centri. La debolezza del ruolo di intermediazione dei servizi per l'impiego è, peraltro, riscontrabile anche con riferimento agli operatori privati, che registrano performance non molto diverse da quelle degli operatori pubblici, in quanto la quota dei lavoratori che in un anno trova lavoro e che dichiara di essere stata intermediata da agenzie private autorizzate è pari solo al 5 per cento. Si tratta di dati particolarmente contenuti anche in rapporto a quelli registrati negli altri Paesi europei, a testimonianza della prevalenza di altri canali di ricerca e selezione dei lavoratori, con particolare riferimento alla segnalazione di conoscenti (utilizzato dal 63,9 per cento degli interessati) e all'utilizzo di banche dati aziendali (cui ricorre il 24,4 per cento degli interessati).
  A fronte di questa situazione, R. E TE. Imprese Italia ha rilevato l'opportunità di operare una riorganizzazione dei sistemi dei servizi per il lavoro che tenga conto della necessità di un maggiore coordinamento e di una maggiore uniformità di attuazione degli interventi su tutto il territorio nazionale, ritenendo che alcune importanti innovazioni in tal senso siano contenute nella legge delega in materia di lavoro, il cosiddetto Jobs Act. Si è, peraltro, fatto notare che fino ad oggi molte delle disposizioni introdotte dalle riforme non sono state realmente applicate o lo sono state in modo incompleto e non omogeneo su tutto il territorio nazionale. Si è richiamata, in particolare, la totale disapplicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 181 del 2000, che prevedono il diritto per coloro che si iscrivono al centro per l'impiego di ricevere entro 120 giorni proposte di lavoro o percorsi di politica attiva che comprendano la formazione, in vista del loro inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro.
  Sotto il profilo dell'architettura del sistema, si è rilevata l'esigenza di introdurre una disciplina omogenea che favorisca la razionalizzazione della rete dei centri per l'impiego rispetto alla popolazione residente e ai bacini di disoccupazione, nonché la determinazione di livelli essenziali delle prestazioni da erogare, in modo che siano garantite a tutti le medesime prestazioni, a prescindere dalla collocazione geografica dell'utente. In questo contesto, in linea con quanto già emerso nel corso dell'indagine, si è auspicata l'adozione di una disciplina che uniformi l'accreditamento dei servizi per il lavoro privato a livello nazionale, al fine di superare l'attuale situazione che vede normative diversificate da regione a regione. R. E TE. Imprese Italia, quindi, ha espresso un giudizio molto positivo in ordine alla creazione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione, alla quale attribuire competenze in materia di servizi per il lavoro, politiche attive e passive. La creazione di tale Agenzia potrebbe, in particolare, favorire l'attuazione del principio di condizionalità dei trattamenti, in attuazione del quale tutti i beneficiari di misure Pag. 17di sostegno al reddito, per mantenerne il godimento, sono tenuti a partecipare attivamente a programmi di politica attiva. Quanto al rapporto tra operatori pubblici e privati, si è rilevata l'opportunità di rafforzarne la collaborazione e la concorrenza, anche al fine di assicurare una maggiore capillarità del servizio offerto, soprattutto attraverso l'introduzione di un sistema di remunerazione legato al risultato ottenuto, graduato in funzione della tipologia del servizio erogato e proporzionato alle difficoltà di inserimento dei lavoratori. In tal senso, si è segnalata l'esigenza di consolidare il sistema di monitoraggio delle performance e dei risultati dei servizi per il lavoro. In particolare, si è espresso l'auspicio che la costituzione della banca dati e l'avvio del sistema di monitoraggio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previsto dalla legge n. 92 del 2012, possa finalmente dotare il nostro Paese del sistema di misurazione e di valutazione delle riforme e dei risultati delle politiche del lavoro che fino ad oggi è mancato. Nell'ambito delle misure da adottare si è richiamata l'attenzione sul supporto all'autoimprenditorialità, evidenziando l'esigenza di un efficace piano di tutoraggio allo start-up e di una formazione continua per gli imprenditori.
  Quanto al contesto delle riforme in corso di adozione, i rappresentanti di R. E TE. Imprese Italia, riprendendo la suggestione contenuta nel programma dell'indagine, hanno osservato che il piano di intervento relativo alla Garanzia Giovani costituisce un importante banco di prova del sistema, in quanto rappresenta una prima sperimentazione di un nuovo modello di gestione delle politiche attive, caratterizzato dalla collaborazione fra operatori pubblici e privati e dalla connessione di tutti gli strumenti a disposizione, per orientare e accompagnare verso la formazione e il lavoro la popolazione giovanile disoccupata o inattiva. Si è peraltro rilevato come anche nell'attuazione del programma si sono manifestate le difformità di regolamentazione a livello territoriale già riscontrate nella disciplina vigente in materia di servizi per l'impiego, essendosi realizzato un sistema di accreditamento operativo solamente in sei regioni.

2.9. Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
  I rappresentanti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, intervenuti nella seduta del 24 settembre 2014, hanno evidenziato preliminarmente i limiti dell'offerta di servizi per l'impiego da parte degli operatori pubblici, che spesso non dispongono delle capacità professionali e degli strumenti tecnici per assicurare una efficace intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. In questo contesto, nel documento depositato, si è evidenziato come la spesa per i servizi del lavoro sia estremamente contenuta, anche rispetto alle esperienze degli altri Paesi europei, pur in presenza di un tasso di disoccupazione particolarmente elevato.
  Al fine di migliorare i servizi offerti, si è segnalata in primo luogo l'esigenza di costituire una banca dati unitaria, gestita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affidando la funzione di raccolta dei dati ai centri per l'impiego, che dovrebbero essere muniti di personale adeguatamente formato, consentendo alle agenzie private per il lavoro di servirsi dei dati raccolti per formulare offerte mirate per la collocazione dei soggetti disoccupati. Un'efficace raccolta dei dati, che dovrebbe ovviamente essere uniformemente disciplinata a livello nazionale e consentire l'interoperabilità dei diversi sistemi, permetterebbe, altresì, di migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, indirizzando le attività di formazione e di riqualificazione verso profili professionali effettivamente richiesti nel mercato del lavoro. Nel nuovo sistema l'intervento pubblico si dovrebbe concentrare sul collocamento dei lavoratori svantaggiati, che dovrebbero godere di efficaci servizi di orientamento e riqualificazione.
  Nell'ambito del documento depositato agli atti della Commissione, i rappresentanti dei dottori commercialisti hanno rilevato che la ripartizione delle competenze Pag. 18legislative e amministrative in materia di lavoro, tra Stato e Regioni rappresenti uno dei maggiori problemi che affliggono il mercato del lavoro in Italia: l'assenza di un adeguato coordinamento tra i diversi livelli istituzionali è reso evidente, a loro avviso, dalla circostanza che le politiche passive sono essenzialmente affidate allo Stato, mentre le politiche attive rientrano tra le competenze delle Regioni, con evidenti effetti in termini di frammentazione degli interventi sul territorio nazionale.

2.10. Unione delle Province d'Italia (UPI).
  I rappresentanti dell'UPI, nel corso della loro audizione del 24 settembre 2014, hanno inquadrato le tematiche oggetto dell'indagine nell'ambito del processo di riforma dell'ordinamento delle province, che in questi anni hanno assicurato la gestione dei servizi pubblici per l'impiego, intendendo contribuire a un'analisi dei fattori che promuovono l'efficacia di tali servizi e degli aspetti meritevoli di correzione nel nuovo assetto del settore, ancora in via di definizione. Il punto di avvio dell'analisi è rappresentato dal dato, più volte richiamato, relativo all'esiguità degli investimenti nei servizi per l'impiego, che assorbono circa il 2 per cento delle risorse destinate al lavoro, a fronte del 18 per cento dedicato alle altre politiche attive e all'80 per cento finalizzato a politiche di sostegno al reddito. Peraltro, nel nostro Paese l'investimento nei servizi per l'impiego negli anni della crisi – come già rilevato dall'ISFOL – si è ridotto, mentre nei principali Paesi europei l'andamento della spesa è stato opposto. Quanto all'efficacia dei servizi in termini di intermediazione della domanda e dell'offerta, si conferma la debolezza del sistema italiano, nel quale, in ogni caso, gli operatori pubblici raggiungono risultati leggermente più positivi.
   Passando in rassegna i fattori di criticità dell'attuale regolazione delle politiche per l'impiego, si è in primo luogo richiamata la mancata attuazione, in concreto, del principio di condizionalità dell'erogazione delle politiche passive rispetto alle politiche attive, sottolineandosi come, da un lato, non sia garantita la messa a disposizione dei servizi da parte degli operatori e, dall'altro, i beneficiari di interventi di sostegno al reddito non siano effettivamente vincolati a partecipare alle iniziative proposte. Ferma l'esigenza di un più elevato finanziamento dei servizi, si è altresì richiamata l'opportunità di una maggiore integrazione fra sistema pubblico e sistema privato, assumendo le agenzie private un ruolo complementare e non concorrenziale rispetto agli operatori pubblici, come testimoniano alcune esperienze positive maturate a livello territoriale (si è citato come esempio positivo, in tal senso, quanto realizzato nella provincia di Torino). Si è altresì rilevata la necessità di un abbinamento tra la gestione delle politiche attive e di quelle relative alla formazione professionale, nonché di una distinzione tra i soggetti istituzionali che programmano l'impiego delle risorse e quelli che gestiscono gli interventi, al fine di favorire una più efficace valutazione dell'efficacia degli interventi svolti. In questa ottica, si è raccomandata la creazione a livello nazionale di un sistema di servizi integrati tra operatori pubblici e privati, nel quale la remunerazione dei servizi sia strettamente connessa ai risultati raggiunti, in linea con quanto già avviene in Lombardia, Piemonte, Veneto e alcune regioni dell'Italia centrale.
  I rappresentanti delle province hanno peraltro ribadito che, come più volte evidenziato nell'indagine, i servizi per l'impiego hanno una conformazione a «macchia di leopardo» sul territorio nazionale, con venti modelli regionali diversi di programmazione delle politiche attive del lavoro, che hanno conseguito risultati profondamente diversificati. In questo senso, si è richiamata l'esigenza di una forte regia pubblica degli interventi, che assicuri anche una adeguata integrazione in un quadro unitario delle politiche per la formazione professionale, che devono puntare, da un lato, ad una rapida riqualificazione professionale in vista di una prossima ricollocazione e, dall'altro, all'accrescimento delle competenze, anche attraverso percorsi più strutturati. Pag. 19
  Alla luce di tale analisi, i rappresentanti delle province propongono quindi una governance del sistema incentrata sulla distinzione tra soggetti istituzionali che programmano l'impiego delle risorse e soggetti gestori degli interventi. Come specificato nel documento depositato agli atti, lo Stato dovrebbe assumere su di sé il controllo di una quota rilevante delle risorse del Fondo sociale europeo per promuovere politiche attive nazionali, costituire e mantenere un sistema informativo integrato su politiche attive e passive, disponibile in tutti i centri dislocati a livello territoriale, nonché controllare l'Agenzia nazionale, alla quale dovrebbero essere affidati compiti di promozione e di coordinamento delle politiche nazionali e di garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. La definizione di elementi essenziali per la regolazione a livello nazionale del sistema dovrebbe essere, invece, affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni, che dovrebbero in particolare stabilire di comune accordo le regole per assicurare la condizionalità degli interventi e standard uniformi per l'accreditamento degli operatori privati. Alle Regioni permarrebbero affidate funzioni essenzialmente programmatorie, riferite in particolare alla gestione dei fondi europei, mentre gli enti di area vasta (città metropolitane e nuove province) dovrebbero provvedere all'erogazione degli interventi di politica attiva a livello territoriale attraverso la rete dei centri per l'impiego e altri eventuali sportelli mirati e alla definizione dei percorsi integrati di inclusione sociale attraverso il lavoro.

2.11. Unioncamere.
  Nella loro audizione del 30 settembre 2014, i rappresentanti del sistema delle Camere di commercio italiane, richiamando i dati tratti dal sistema informativo Excelsior, realizzato dal sistema camerale in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, hanno in primo luogo evidenziato la persistente presenza nel nostro Paese di un marcato disallineamento tra la domanda e l'offerta di lavoro: le imprese, infatti, non riescono a realizzare circa il 10 per cento delle assunzioni loro necessarie per l'assenza delle figure professionali ricercate e giudicano di difficile reperimento circa il 20 per cento dei profili professionali ricercati con una qualificazione universitaria.
  Pur trattandosi di un fenomeno diffuso, che trova riscontro a livello internazionale, in Italia la situazione è particolarmente grave, ancorché si siano registrati segnali di miglioramento, e richiede, quindi, interventi che devono in prima battuta rivolgersi a colmare il disallineamento esistente in materia di competenze professionali. In questo senso, occorre quindi, a loro avviso, incidere sul sistema della formazione, per metterlo in grado a tutti i livelli – dalla formazione professionale alla formazione universitaria – di venire a conoscenza della domanda delle imprese.
  I rappresentanti di Unioncamere hanno sottolineato, inoltre, la presenza di un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro riconducibile a carenze nei sistemi di orientamento, in quanto circa il 17 per cento delle richieste delle imprese non trova corrispondenza nell'offerta di lavoratori con adeguate competenze professionali.
  Da ultimo, riprendendo temi più volte affrontati nelle precedenti audizioni, si è evidenziato come il disallineamento presente nel mercato del lavoro sia riconducibile anche all'inadeguatezza dei canali di intermediazione: il 62 per cento delle imprese si rivolgono, infatti, a canali informali per l'assunzione dei lavoratori, mentre i centri per l'impiego riescono a intermediare quote che si aggirano tra il 2 e il 3 per cento dell'occupazione nelle imprese (a fronte di un dato complessivo attorno al 4 per cento). In questo contesto, si è altresì osservato che il ricorso a tirocini e a stage riguarda ancora una quota molto contenuta dei giovani sotto i 29 anni, sottolineandosi come solo il 4 per cento delle persone in questa fascia di età fa pratica in azienda attraverso questi canali, a differenza di quanto avviene a livello europeo, dove si registrano dati assai più elevati (12,9 per cento), con esperienze particolarmente positive, come quella tedesca, Pag. 20dove oltre il 22 per cento dei giovani svolge esperienze lavorative e formative in azienda. Si tratta di un canale di accesso al lavoro, che, ad avviso degli auditi, dovrebbe essere valorizzato, dal momento che la quota di tirocinanti e stagisti assunti al termine del loro percorso formativo nel 2013 è stata pari al 9,5 per cento.
  A fronte delle criticità esistenti, i rappresentanti del sistema camerale hanno quindi posto l'accento sull'esigenza di una revisione del quadro istituzionale volta a creare una forte regia nazionale per le politiche del lavoro, esprimendo una valutazione complessivamente positiva sulla creazione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, prevista dalla legge delega in materia di lavoro. Hanno, tuttavia, evidenziato la necessità che la regia nazionale si integri con reti territoriali pubbliche e private, integrate tra loro, i cui risultati devono essere misurati al fine di ripartire i finanziamenti sulla base dell'efficacia degli interventi realizzati. In questo contesto, a loro avviso, le Camere di commercio possono costituire un utile supporto, se integrato con l'attività degli altri soggetti operanti nel settore, in quanto il sistema camerale è molto vicino alle imprese ed è fortemente radicato nei territori. Nella medesima ottica, si è rilevato come sia necessario sviluppare la realizzazione di un sistema nazionale di apprendimento permanente, anche in relazione alla creazione di un sistema nazionale di certificazione delle competenze, richiamandosi in particolare il modello tedesco, che affida un ruolo importante al sistema delle camere di commercio.
  Anche alla luce della propria esperienza specifica, i rappresentanti di Unioncamere hanno segnalato l'opportunità di promuovere, anche in un'ottica di contrasto al fenomeno della disoccupazione, l'autoimpiego, osservando come dalle analisi sulla forza lavoro condotte dall'ISTAT risulta che circa 130.000 giovani in cerca di occupazione sarebbero interessati alla creazione di un'impresa, essendo tuttavia dissuasi dalle difficoltà amministrative e dai problemi connessi all'accesso al credito.

2.12 Esperti della materia.
  Nelle sedute del 30 settembre e del 1o ottobre 2014 la Commissione ha proceduto all'audizione di esperti della materia, acquisendo le valutazioni di un qualificato gruppo di docenti universitari e operatori del settore.
  Il professor Tito Boeri, audito nella sua qualità di docente di economia presso l'Università commerciale «Luigi Bocconi», prima della sua nomina a presidente dell'INPS, ha svolto una disamina generale sul funzionamento dei centri per l'impiego, richiamando il dato già illustrato più volte nel corso dell'indagine secondo cui gli operatori pubblici intermediano una quota della nuova occupazione che si aggira attorno al 2-3 per cento. Egli ha quindi rilevato la mancanza di variazioni di tale dato dopo l'entrata in campo di operatori privati, fenomeno che testimonia, a suo avviso, il fatto che l'operatore pubblico non si è sentito minimamente messo sotto pressione o in competizione con le agenzie private.
  Nell'osservare come la capacità dei centri per l'impiego di assolvere i compiti loro affidati dalla legge sia piuttosto limitata (solo il 17 per cento dei centri per l'impiego realizza le disposizioni sui patti di servizio nei tempi indicati dalla legge), il professor Boeri ha ravvisato in primo luogo l'esistenza di un problema di sottodimensionamento di personale nei centri per l'impiego, individuando anche problemi per quanto attiene alla qualità del medesimo personale, spesso non in possesso delle professionalità e delle competenze necessarie, nonché alla sua distribuzione territoriale. Al riguardo, preso atto dei vincoli di bilancio e dei limiti esistenti per le nuove assunzioni, il professor Boeri ha indicato come possibile soluzione un incremento della dotazione organica dei servizi pubblici per l'impiego attingendo, ad esempio, al personale di agenzie come Italia Lavoro – che oggi occupa circa 1.240 impiegati – nonché al personale dell'ISFOL o del CNEL, enti che operano in settori contigui.
  Il professor Boeri ha giudicato altresì fondamentale dotarsi di strumenti di valutazione Pag. 21delle politiche del lavoro e garantire ai centri per l'impiego la possibilità di far funzionare le varie forme di condizionalità loro assegnate dalla legge, legate sia alle dichiarazioni di immediata disponibilità al lavoro, sia ai patti di servizio, sia all'apparato sanzionatorio. A tale ultimo riguardo, in linea con quanto più volte rappresentato nell'indagine, ha quindi richiamato l'importanza di assicurare servizi efficienti e garantire l'effettiva applicazione del principio di condizionalità. Quanto alla struttura del sistema, per il professor Boeri occorre muoversi nella direzione di un'unificazione dei servizi pubblici per l'impiego, sottolineando come la legge delega in materia di lavoro, il cosiddetto Jobs Act, affermi un principio giusto, muovendosi verso la costituzione di un sistema federale, al fine di superare l'attuale stato di frammentazione dei servizi a livello territoriale, che ha portato al sostanziale fallimento del programma Garanzia giovani, e di realizzare, in analogia a quanto avviene nelle principali esperienze europee, una effettiva integrazione tra politiche attive e passive.
  Il ricercatore Roberto Cicciomessere, ricercatore a contratto, esperto di politiche del lavoro e autore di diversi studi sul tema della disoccupazione giovanile, nel valutare il livello di efficacia dei servizi pubblici europei, ha osservato che in Italia trova lavoro attraverso i centri per l'impiego solo il 2,6 per cento della platea dei disoccupati registrati, che sono circa 2.200.000, rilevando che nel Regno Unito, in Germania e in Svezia si registrano, percentuali rispettivamente del 19,2, del 18,8 e del 55,7 per cento, a testimonianza di un'attività di intermediazione molto più efficace. Nel complesso, quindi, Cicciomessere ha rilevato come l'efficacia dei servizi per il lavoro pubblici e privati nell'intermediazione tra domanda e offerta sia decisamente modesta: solo l'1,8 per cento dei giovani che hanno cominciato a lavorare nel 2013 ha trovato l'attuale lavoro attraverso i centri pubblici per l'impiego, mentre il 5 per cento lo ha trovato ricorrendo alle agenzie private per il lavoro o agli altri intermediari, pubblici e privati, diversi dai centri per l'impiego. Si tratta di dati non perfettamente sovrapponibili a quelli più volte citati nel corso dell'indagine, che determinano una spesa pro capite per lavoratore collocato assai superiore a quella tedesca.
  Passando al versante della spesa, Cicciomessere ha rilevato la prevalenza delle politiche passive su quelle attive: con riferimento alla spesa per politiche del lavoro, che assume valori ingenti in termini assoluti (circa 31 miliardi di euro) e in rapporto al PIL, in Italia si spende il 2 per cento delle risorse per i servizi per il lavoro, riservando una somma pari al 18 per cento per le politiche attive e una pari all'80 per cento per i sussidi di disoccupazione. Nel 2012 la spesa italiana per il sostegno al reddito dei disoccupati e dei lavoratori sospesi – quindi relativa sia ai sussidi di disoccupazione sia alla Cassa integrazione – era pari a poco meno dell'1,5 per cento del PIL (circa 24 miliardi di euro), una cifra superiore sia alla media europea che a quella della Germania (0,9 per cento del PIL) e molto maggiore di quella del Regno Unito (0,3 per cento del PIL, pari in valori assoluti, a 5,3 miliardi di euro). Ha fatto altresì notare come la maggioranza dei Paesi europei riesca a contenere la spesa per ammortizzatori sociali, riducendo al massimo il tempo di transizione dallo stato di disoccupato sussidiato a quello di occupato, come nel Regno Unito, dove la percentuale di disoccupati che cessa di percepire il sussidio dopo tre mesi – perché ha trovato un lavoro – è pari al 55 per cento, dato che sale al 75 per cento dopo 6 mesi. Corrispondentemente, anche alla luce di una comparazione internazionale, la spesa per i servizi per l'impiego nel nostro Paese è particolarmente bassa, tanto a livello assoluto quanto in comparazione con il numero dei disoccupati da gestire. Anche ipotizzando la costituzione di un sistema che affida molte competenze agli operatori privati, come nei Paesi Bassi, la spesa per servizi dovrebbe essere circa 10 volte quella attuale.
  Si è, inoltre, fatto notare che il numero degli operatori in rapporto agli utenti è inferiore alla soglia minima considerata Pag. 22necessaria in Europa per offrire un servizio efficace ed efficiente alle persone in cerca di lavoro e alle imprese. In proposito, ha osservato che gli addetti ai centri per l'impiego in Italia sono poco più di 9.000, ognuno dei quali dovrebbe assistere 250 disoccupati, mentre in Germania questo rapporto è di 1 a 26, grazie a 110.000 addetti. Anche negli altri Paesi più immediatamente comparabili, il rapporto è sensibilmente inferiore, registrandosi un rapporto tra operatori e utenti di 1 a 131 anche nei Paesi Bassi, dove molte funzioni sono devolute a operatori privati, secondo un modello che, a detta di Cicciomessere, dovrebbe essere seguito anche nel nostro Paese.
  Cicciomessere ha rilevato, inoltre, che l'assenza nei centri per l'impiego di servizi per le imprese rappresenta un'altra causa dell'inefficacia del sistema, osservando come nell'esperienza europea i servizi pubblici per l'impiego non si rivolgano solo ai disoccupati, ma anche ai datori di lavoro. Un ulteriore elemento di debolezza del sistema italiano è identificato nell'assenza di una correlazione tra politiche attive e politiche passive, riconducibile principalmente a un quadro istituzionale che concentra in capo all'INPS la gestione delle politiche passive, rimettendo quelle attive alle Regioni, che non hanno quindi adeguati incentivi a ridurre la permanenza nello stato di disoccupazione.
  A fronte delle criticità rilevate, Cicciomessere ritiene in primo luogo necessario adeguare il personale dei centri per l'impiego, portandone la dotazione a 20.000 addetti, nell'ambito di un modello cooperativo con le agenzie private, riconducendo inoltre allo Stato la competenza sulle politiche del lavoro, diversificando le competenze degli addetti e abbattendo le incombenze amministrative.
   Michele Colasanto, professore di sociologia economica presso l'Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente dell'Agenzia del lavoro della provincia di Trento, ha richiamato preliminarmente i dati forniti dall'ISFOL in relazione al funzionamento del sistema dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento alla capacità di intermediazione degli operatori, quantificata in misura pari allo 0,6 per cento dei nuovi posti di lavoro per le agenzie private e al 3 per cento per i centri pubblici, dati particolarmente bassi anche in comparazione con quelli riferiti agli altri Stati membri dell'Unione europea. Nel convenire sul fatto che uno dei fattori di maggiore problematicità è rappresentato dalle difficoltà incontrate dalle imprese nel rivolgersi ai centri per l'impiego, il professor Colasanto ha rappresentato l'utilità di un modello organizzativo, analogo a quello sperimentato nella provincia di Trento, che sviluppi forme di concertazione, garantendo il coinvolgimento delle parti sociali nella gestione delle politiche.
  Nell'indicare talune proposte di intervento, egli ha giudicato importante sviluppare la valutazione delle politiche, anche con riferimento agli incentivi, e attuare il principio di condizionalità provvedendo a tenere insieme politiche attive e politiche passive. Nel sottolineare l'opportunità di valorizzare il filone tecnico del sistema formativo, ha posto l'accento sullo sviluppo dell'istruzione terziaria non universitaria.
  Ha osservato, inoltre, che l'aumento della flessibilità in uscita deve essere compensato con ammortizzatori in grado di coprire una platea sempre maggiore di soggetti, da finanziare anche attraverso la riduzione della spesa per sussidi, prevedendo, altresì, l'introduzione di un reddito di garanzia in favore dei più poveri.
  Il professor Colasanto ha fatto notare che, al fine di rafforzare le capacità operative dei centri per l'impiego, in un contesto di risorse ridotte, occorre, anzitutto, valorizzare la rete dei servizi per il lavoro costituita da soggetti accreditati, guidata da una regia unica dell'istituzione di riferimento (come nel caso dell'Agenzia del lavoro della Provincia di Trento). Ritiene importante, quindi, realizzare una effettiva connessione tra politiche attive e passive mediante una stretta collaborazione tra i centri per l'impiego e le sedi INPS presenti sul territorio, nonché sviluppare la collaborazione con gli enti bilaterali sia per il sostegno al reddito dei lavoratori disoccupati o sospesi del settore di riferimento sia Pag. 23per la realizzazione di progetti di politica attiva per il lavoro.
  L'avvocato Falasca si è soffermato sugli elementi di criticità del mercato del lavoro italiano, evidenziandone le lacune principali e proponendo talune ipotesi di soluzione, sulla base delle buone prassi sviluppate sul territorio. Premesso che lo scopo essenziale dei servizi per l'impiego non è quello di creare occupazione, ma di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, Falasca ha richiamato anzitutto la necessità di realizzare un sistema strutturato di servizi per l'impiego, al fine di rendere più trasparente il mercato del lavoro e di rimettere in gioco le opportunità lavorative che, come si è più volte rilevato, sono prevalentemente gestite nell'informalità. Ha evidenziato, quindi, come nella recente crisi i lavoratori espulsi dal ciclo produttivo abbiano colto l'esistenza di un drammatico problema di competenze e di ricollocazione nel mercato del lavoro, in assenza di servizi adeguati.
  Si è segnalato come le risposte sul piano teorico siano state da tempo individuate, ma sia mancata la traduzione concreta dei principi stabiliti, con riferimento in particolare al superamento della gestione meramente burocratica del collocamento e alla condizionalità degli interventi.
  Falasca ha rimarcato le differenze con gli altri Paesi europei in termini di personale impiegato, sottolineando come in Italia i dipendenti dei centri per l'impiego siano circa 7.000, mentre in Germania 70.000 ed osservando come tale gap sia ragionevolmente colmabile solo attraverso un forte coinvolgimento nel sistema degli operatori privati. A tale ultimo riguardo, ha evidenziato che spesso le leggi in Italia esistono ma non sono implementate, come nel caso del sistema di accreditamento, che non è stato in gran parte attuato dalle regioni. Tranne il caso della Lombardia e fatta eccezione per un inizio di sperimentazione nella Regione Lazio, sono pochissime le esperienze in cui è stato costruito un servizio pubblico con operatori privati o pubblici in grado di fornire prestazioni adeguate, evidenziandosi altresì come, nel sistema attuale, vi sia una pluralità di soggetti distinti incaricati di gestire le politiche attive e passive. Ha osservato che il modello lombardo coniuga molte indicazioni dell'Unione europea e va guardato con attenzione, tanto è vero che la stessa Regione Lazio, con un sistema di accreditamento più recente, sta cercando di andare in quella direzione.
  Ha fatto notare, quindi, che in Italia esistono 21 diverse organizzazioni dei mercati del lavoro, a causa dell'estrema frammentazione della normativa regionale, giudicando positiva l'idea dell'Agenzia unica, contemplata nell'ambito della legge delega di riforma in materia di lavoro.
  Il professor Leonardi, docente di economia presso l'Università di Milano, ha posto in primo luogo in rilievo le problematiche di tipo organizzativo che caratterizzano il sistema dei servizi per l'impiego e, in generale, le politiche per il lavoro, rilevando, in particolare, il disallineamento esistente tra il sistema centralizzato dell'INPS, che paga i sussidi, e il sistema decentralizzato dei centri per l'impiego, deputato allo svolgimento delle politiche attive. Ha quindi segnalato l'esigenza di affrontare tale questione nell'ambito dell'attuazione della delega relativa alla costituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, che dovrebbe individuare in modo uniforme gli standard per l'accreditamento degli operatori privati e per la remunerazione dei servizi in relazione ai risultati raggiunti, garantendo il necessario coordinamento tra politiche attive e passive, anche attraverso la costituzione dell'Agenzia nell'ambito dell'INPS. Richiamata l'esigenza di un intervento volto a informatizzare la rete dei centri per l'impiego, ha osservato come la fase di prima accoglienza potrebbe essere gestita in forma centralizzata, rinviando ad un momento successivo il colloquio presso il centro dell'impiego. Il professor Leonardi non ritiene realizzabile in Italia il modello tedesco dei servizi pubblici per l'impiego, dal momento che si tratta di un modello quasi esclusivamente pubblico, con un numero di dipendenti dieci volte superiore al nostro. Ha evidenziato, quindi, l'esigenza che tutti gli sforzi siano indirizzati alla gestione Pag. 24della complementarietà con i servizi privati, nell'ambito di un sistema in cui il servizio pubblico si occupa soltanto della profilazione, mentre al servizio privato spetta la gestione in via sostanzialmente esclusiva del servizio di collocamento, sulla base di standard nazionali gestiti da un'agenzia federale. Ha osservato che tale sistema deve prevedere un controllo serio e affidabile dei risultati, in modo che le agenzie private siano sottoposte ad una valutazione pubblica relativamente alle loro modalità di funzionamento e ai risultati ottenuti. Giudica, in questa ottica, utile per l'Italia un modello che preveda la presenza di un'associazione delle agenzie private – profit e no profit – di servizi all'impiego che svolga funzioni di controllo, nonché la presenza di un'agenzia federale che gestisca il rapporto con il privato – quindi l'accreditamento – fissando regole chiare sull'assegnazione delle diverse fasce di difficoltà di ricollocazione del disoccupato. Ha rilevato che in tale ambito la Lombardia ha fatto dei passi avanti, attuando un sistema di assegnazione a fasce, con pagamento in base alla difficoltà di ricollocazione e con un'assegnazione delle doti uniche, basata sui dati storici.

2.13. Organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL e UGL).
  Nel corso dell'audizione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali, svoltasi il 17 dicembre 2014, i rappresentanti della CGIL, nell'evidenziare l'esigenza della presenza di un soggetto pubblico che svolga effettivamente politiche di qualità, hanno esposto preliminarmente dati comparati relativi alla spesa per i servizi per l'impiego e al personale presente nei servizi pubblici, dove operano circa 1.200 operatori con contratti a tempo determinato, prossimi alla scadenza. Nel segnalare l'incertezza della situazione, anche in relazione al superamento delle province, alle proposte di riforma costituzionale incidenti sulle competenze legislative in materia di lavoro, nonché all'attuazione della delega riferita alla costituzione di un'Agenzia nazionale per l'occupazione, si è denunciata in primo luogo la debolezza degli operatori pubblici, sottolineandosi la necessità di risolvere la questione dei tanti lavoratori precari che lavorano nell'ambito dei centri per l'impiego. In questa ottica sarà determinante l'attuazione della delega relativa alla costituzione dell'agenzia nazionale per l'occupazione, che tuttavia non appare in linea con le proposte di riforma delle competenze legislative in discussione in Parlamento.
  I rappresentanti della CISL hanno rilevato l'importanza di un'Agenzia nazionale che definisca le linee guida dei servizi e ne individui gli standard minimi, lasciando agli altri soggetti istituzionali lo svolgimento degli altri compiti gestionali e programmatori. Nel far notare che il modello di riferimento dei servizi per l'impiego deve essere quello pubblico, pur in sinergia con il privato, i rappresentanti della CISL hanno rilevato la problematicità di una riforma che non incrementi le risorse umane e finanziarie destinate ai medesimi servizi, evidenziando in particolare l'utilità di investimenti nei sistemi informatici.
  I rappresentanti della UIL hanno fatto notare che l'attuazione della legge delega in materia di lavoro rischia di incentivare un'uscita del lavoro del dipendente che non è controbilanciata, tuttavia, da un efficace sistema statale in grado di aiutare la persona nella ricerca di una nuova attività. Hanno rilevato, quindi, che il fatto di aver incardinato in modo quasi contestuale l'esame parlamentare di provvedimenti come la legge delega in materia di lavoro, la riforma costituzionale e la legge n. 56 del 2014 (»legge Delrio»), senza operare un coordinamento tra gli interventi, rischia di determinare un prevedibile indebolimento dei servizi per l'impiego, senza che vi sia un'adeguata sostituzione della funzione che oggi è affidata alle province in materia.
  I rappresentanti dell'UGL hanno fatto presente, anzitutto, che esiste un problema di risorse, giudicando insufficienti i fondi previsti per finanziare le misure recate dalla legge delega in materia di lavoro e per rendere universali gli ammortizzatori Pag. 25sociali. Altra incognita, a loro avviso, è rappresentata dalle competenze istituzionali e dalla riorganizzazione dei servizi sul territorio; al riguardo, hanno giudicato condivisibile la costituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione, che, tuttavia, sembra inserirsi in un contesto particolarmente complesso, con una riforma costituzionale in fieri che è destinata a cambiare lo scenario in tempi più o meno brevi.
  Hanno quindi ritenuto opportuno stimolare una sinergia fra operatori privati, pubblici e altri soggetti autorizzati o accreditati, evitando che prevalga una logica per la quale si finisce per convogliare le persone più difficili da collocare verso il servizio pubblico e quelle più facilmente collocabili verso il privato. Fatto notare che uno dei problemi della scarsa efficienza dei servizi per l'impiego è rappresentato dal mancato collegamento con le aziende, hanno rilevato che le persone prese in carico dai centri per l'impiego sono poco meno di 117 mila con una incidenza percentuale, rispetto alle domande presentate, del 34 per cento.

2.14. Conferenza delle Regioni e delle province autonome.
  Nella loro audizione del 19 febbraio 2015, i rappresentanti delle regioni hanno analizzato i temi dell'indagine alla luce delle più recenti evoluzioni del quadro normativo, con particolare riferimento all'introduzione nel disegno di legge di riforma costituzionale proposto dal Governo di un sensibile spostamento dell'asse delle competenze legislative in materia di lavoro e, in particolare, di politiche attive verso lo Stato. A tale riguardo, i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle province autonome hanno evidenziato, anzitutto, l'esigenza di realizzare riforme che valorizzino la specificità dei sistemi territoriali, evitando impostazioni centralistiche, ipotizzando, in questa ottica, la coesistenza di un sistema nazionale per il lavoro – caratterizzato da un'Agenzia nazionale con funzioni di coordinamento, di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, di controllo, nonché con poteri sostitutivi – con un sistema di agenzie regionali che valorizzi le diverse articolazioni territoriali. In questo senso anche il competente assessore della Regione Lazio ha evidenziato come l'esperienza di Garanzia giovani abbia consentito, finalmente, di fissare livelli essenziali per le prestazioni da rendere a livello territoriale, rappresentando che anche negli altri Paesi dell'Unione europea i servizi sono di regola gestiti a livello locale, mentre lo Stato dovrebbe limitarsi a definire i livelli essenziali delle prestazioni da assicurare.
  Su un piano più generale, gli auditi hanno fatto notare che in Italia si sono storicamente privilegiate le politiche passive rispetto a quelle attive, evidenziando come la dotazione dei servizi pubblici per l'impiego – secondo dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali – sia di un operatore ogni 254 utenti, un dato di gran lunga inferiore, come più volte indicato nel corso dell'indagine, a quello registrato nei principali Paesi europei: in Gran Bretagna, ad esempio, si registra un operatore ogni 19 disoccupati; in Francia, uno ogni 54; in Germania, uno ogni 28. A tali dati corrisponde un basso livello di spesa per i servizi per l'impiego: rispetto al PIL la spesa sostenuta nel nostro Paese è pari allo 0,03 per cento, mentre è dello 0,25 in Francia, dello 0,35 in Germania e dello 0,21 nel Regno Unito. A fronte di tali dati, hanno rilevato che nel campo delle politiche attive si sono compiuti grandi sforzi nella gestione di migliaia di lavoratori in cassa integrazione in deroga e nell'ambito della stessa gestione di Garanzia Giovani.
  Quanto alle prospettive per il futuro, soffermandosi sulla riforma costituzionale in corso di esame presso il Parlamento, i rappresentanti delle Regioni e delle province autonome hanno stigmatizzato la scelta di sottrarre alle regioni le competenze legislative in materia di lavoro, giudicando incongruo un dettato costituzionale che, da un lato, affida alle regioni la competenza sul sostegno ai sistemi economici locali e alle imprese e sull'organizzazione della formazione, ma, dall'altro, non prevede per le regioni alcuna competenza Pag. 26in relazione alle politiche attive. Hanno giudicato, pertanto, necessario evitare che un riaccentramento delle competenze a livello statale vanifichi le esperienze regionali, soprattutto quelle di maggior successo, evidenziando peraltro come la riforma prefigurata smentisca di fatto l'equilibrio individuato in sede di discussione parlamentare del cosiddetto Jobs Act, con il pieno accordo del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Preoccupazioni più immediate sono, inoltre, state espresse con riferimento all'attuazione della riforma dell'ordinamento provinciale, previsto dalla legge n. 56 del 2014, che ha determinato una situazione di oggettiva incertezza sul futuro dei centri per l'impiego e del loro personale. In questo contesto, si è quindi evidenziata un'anomalia nell'ambito della legge di stabilità per il 2015 laddove si è previsto che le province e le regioni possano utilizzare le risorse del fondo sociale europeo anche per il pagamento del personale a tempo indeterminato, ipotesi che giudicano di difficile applicazione pratica, in mancanza di una specifica previsione nei POR regionali, anche in considerazione della circostanza che verrebbero finanziate attività ordinarie. In prospettiva, inoltre, la situazione di incertezza potrebbe portare i lavoratori con professionalità più elevate a optare per lo svolgimento di attività nel settore della formazione in modo da non venire coinvolti nei processi riallocativi di prossima realizzazione.
  Anche nell'ottica di segnalare come le esperienze maturate sul territorio abbiano spesso prodotto risultati positivi, l'assessore Aprea ha quindi richiamato la specificità di alcuni modelli, come quello lombardo, che, riprendendo i principi dei migliori modelli europei, si incentra sulla libertà per gli interessati di scegliere i servizi da fruire sulla base di standard, nell'ambito di una rete di operatori pubblici e privati accreditati che concorrono tra loro in condizione di parità. Altra caratteristica del modello lombardo della cosiddetta Dote Unica Lavoro è l'orientamento al risultato, che si concretizza nella remunerazione del servizio sulla base del raggiungimento dell'obiettivo occupazionale.
  Infine, è stato espresso un giudizio molto positivo sul metodo adottato nel confronto sullo schema di decreto legislativo relativo al riordino degli ammortizzatori sociali, che ha condotto alla riformulazione dell'articolo 17 di tale testo – quello relativo al contratto di ricollocazione – attraverso un'intesa piena nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che ha consentito di preservare le competenze regionali nell'ambito della definizione di un quadro condiviso a livello nazionale. In particolare, si è rilevato come con l'intesa si sia estesa la platea dei beneficiari del contratto di ricollocazione, al quale ora possono accedere tutte le persone in stato di disoccupazione, non più solo i lavoratori licenziati illegittimamente per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo. Si è riconosciuta, inoltre, una dote individuale per la fruizione dei servizi tesi alla ricollocazione, per beneficiare dei quali il disoccupato potrà rivolgersi ai servizi pubblici per l'impiego e agli operatori privati accreditati.

2.15. Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
  Nella sua audizione, svoltasi il 10 marzo 2015, il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Gabriele Toccafondi, citando i dati dell'ISTAT risalenti al gennaio 2015, si è soffermato, anzitutto, sulla situazione della disoccupazione giovanile, pari al 43,9 per cento: si tratta di 720.000 giovani disoccupati tra i 15 e i 24 anni, ai quali si aggiungono 2,5 milioni di giovani tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano – i cosiddetti «NEET» – che rappresentano il 26 per cento dei minori di trent'anni. Con più specifico riferimento ai profili di competenza del proprio dicastero, il Sottosegretario ha, quindi, esaminato la forte incidenza nel nostro Paese della dispersione scolastica – pari al 17,6 per cento – rilevando che sono circa 110.000 i ragazzi tra Pag. 27i 14 e i 17 anni che ogni anno risultano fuori dal percorso formativo scolastico, fenomeno che presenta un'evidenza maggiore nelle zone del Mezzogiorno. Ha fatto notare, in proposito, che i più colpiti dalla dispersione scolastica sono i ragazzi degli istituti professionali, che rappresentano il 38 per cento, seguiti dagli istituti di arte e dai licei artistici, con il 35 per cento, e, quindi, dagli istituti tecnici e scientifici.
  Il Sottosegretario Toccafondi ha sottolineato come tali dati indichino in modo evidente la forte distanza esistente tra il sistema scolastico e il mondo produttivo, imputabile essenzialmente al disallineamento tra i percorsi formativi scelti dai giovani e le prospettive occupazionali offerte dal sistema economico. In questo senso, rilevata l'esigenza di rilanciare l'istruzione tecnica e professionale, il rappresentante del Ministero dell'istruzione, dell'università e delle ricerca ha evidenziato come il suo dicastero, in piena collaborazione col sistema produttivo, abbia messo in campo numerose iniziative che hanno portato ad azioni di alternanza scuola-lavoro, di apprendistato in percorso scolastico, di impresa didattica, di orientamento, di potenziamento dei laboratori tecnici e di consolidamento degli istituti tecnici superiori.
  In tema di alternanza scuola-lavoro, ha fatto notare che nell'anno scolastico 2013-2014 questa metodologia educativa e formativa, che alterna al sapere il cosiddetto «saper fare», ha impegnato 2.361 istituti (quasi la metà delle scuole secondarie superiori, pari al 43,5 per cento) con una media di 95 ore all'anno, in particolar modo nel quarto anno, per un totale di 210.506 studenti, ovvero il 10 per cento del totale degli alunni delle scuole superiori. I percorsi di alternanza scuola-lavoro hanno coinvolto circa 126.000 strutture ospitanti, il 43,8 per cento delle quali sono imprese. Ha fatto notare che i più attivi sono gli istituti professionali – quasi una scuola su due – che organizzano circa il 58 per cento dei percorsi di alternanza. Seguono gli istituti tecnici, con il 37,3 per cento delle scuole e con quasi il 30 per cento dei percorsi, e chiudono i licei, con il 13 per cento delle scuole e il 12 per cento dei percorsi totali.
  L'intenzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è di consolidare e ampliare significativamente le attività di alternanza scuola-lavoro, sottolineando come sia allo studio l'idea di istituire obbligatoriamente negli ultimi tre anni di istituti tecnici e professionali un numero complessivo di 400 ore in alternanza, rispetto alle 95 ore attualmente svolte, aumentando fino a 200 ore nel triennio l'alternanza per i licei.
  Ha evidenziato, quindi, le iniziative assunte nel campo degli istituti tecnici superiori (ITS), che hanno portato alla realizzazione di percorsi post-diploma di 2.000 ore, composti da quattro semestri, che possono essere incrementati a sei. La governance degli istituti, che rappresentano forme di istruzione terziaria non accademica, si basa su una fondazione di partecipazione (si tratta di 75 fondazioni che organizzano 263 corsi), nella quale devono essere presenti scuole e istituti tecnici e professionali, ma anche aziende, imprese, associazioni di imprese, università, centri di ricerca o dipartimenti universitari e agenzie formative. Gli istituiti sono nati nel 2008 e hanno lo scopo di formare tecnici specializzati, partendo dalle richieste del territorio, in modo da supportare le aziende che non riescono a trovare qualifiche professionali adeguate ai loro bisogni.
  Ha ricordato, quindi, le iniziative assunte in tema di apprendistato, grazie alla sperimentazione prevista dall'articolo 8-bis del cosiddetto «decreto Carrozza» (decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013). In particolare, la sperimentazione prevede la stipulazione di contratti di apprendistato negli ultimi due anni di percorso di studi degli istituti tecnici. Il sottosegretario Toccafondi ha poi illustrato l'esperienza dell'impresa formativa con finalità didattiche, che fino ad ora ha visto coinvolti quasi esclusivamente istituti agrari, ma potrebbe svilupparsi con successo, ad esempio, negli istituti alberghieri, citando, poi, la sperimentazione posta in essere nell'ambito dei poli tecnico-professionali, nei quali Pag. 28si realizza una integrazione tra sistema scolastico e realtà produttive territoriali.
  Quanto alle attività volte a favorire il collocamento degli studenti al termine del percorso di istruzione e formazione, il sottosegretario Toccafondi ha fatto presente che il Ministero da lui rappresentato partecipa al programma di Italia Lavoro, Formazione e innovazione per l'occupazione (FIXO), in relazione alla linea di intervento dedicata a qualificare i servizi di orientamento e placement e a promuovere misure e dispositivi di politiche attive per il lavoro negli istituti scolastici. Nel segnalare che lo scopo di FIXO è quello di aiutare le scuole a erogare servizi di placement rivolti a studenti e diplomati, con l'intenzione di ridurre i tempi di ingresso nel mercato del lavoro e aumentare la possibilità di trovare un'occupazione in linea con gli studi effettuati, il sottosegretario ha evidenziato come negli ultimi due anni delle scuole superiori occorra un orientamento non solo indirizzato alla formazione terziaria, ma anche all'ingresso nel mondo del lavoro.

2.16. Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Intervenendo a conclusione dell'indagine conoscitiva, nella seduta dell'11 marzo 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha rimarcato come, in tema di politiche attive per il lavoro, la situazione del nostro Paese debba essere inquadrata in un'ottica europea, anche nel prospettiva dell'ulteriore sviluppo della rete europea dei servizi pubblici per l'impiego.
   Esaminando la situazione a livello nazionale, il Ministro ha rilevato come l'insieme dei soggetti pubblici, privati e del privato sociale potenzialmente in grado di agire su questo versante sia significativamente ampio – ricordando, in proposito, la capacità di intermediazione e di orientamento riconosciuta dal decreto legislativo n. 276 del 2003 a soggetti come gli istituti scolastici, le università e i consorzi universitari – ma ha evidenziato un problema di coordinamento degli interventi, anche alla luce della disomogeneità dei servizi offerti a livello territoriale.
  Tale caratteristica dell'offerta dei servizi per l'impiego a livello territoriale deve essere, peraltro, valutata, nell'ambito di un quadro istituzionale in via di evoluzione, nel quale si prevede una profonda revisione dell'ordinamento delle province, cui allo stato compete la gestione dei servizi pubblici per l'impiego, e un complessivo riordino delle competenze legislative dello Stato e delle Regioni in materia di politiche attive del lavoro, prefigurato dal progetto di riforma costituzionale attualmente in corso di esame parlamentare.
  Quanto al sistema dei servizi per l'impiego, nell'evidenziare la limitata incidenza in termini di intermediazione sia degli operatori pubblici sia di quelli privati, ha fornito un quadro analitico della loro presenza e della loro distribuzione sul territorio italiano, richiamando altresì i dati relativi alla spesa per le politiche attive nei diversi Paesi europei e, al loro interno, alla spesa per i servizi, sulla base dei quali l'Italia si colloca al penultimo posto in Europa rispetto alla spesa per i servizi per il lavoro nel periodo 2007-2012. Il Ministro ha confermato l'immagine già più volte emersa nel corso dell'indagine secondo la quale nel nostro Paese l'intermediazione tra domanda e offerta di lavoro è, per larga parte, affidata all'informalità, ossia a sistemi relazionali al di fuori dei canali istituzionalmente competenti. Ha fatto, tuttavia, presente che il programma Garanzia giovani ha contribuito a migliorare la situazione spingendo gli attori pubblici e privati a collaborare in vista dell'adozione dei previsti interventi in favore dell'occupabilità dei più giovani, con l'attivazione delle procedure di accreditamento necessarie alla costituzione di un sistema che metta in rete i servizi offerti, consentendo a un giovane di una qualsiasi regione italiana di registrarsi e chiedere la loro erogazione in qualsiasi altra regione italiana. Il Ministro Poletti ha inoltre ricordato come siano state recentemente introdotte talune importanti novità volte a rafforzare l'efficacia del programma Garanzia giovani, come la cumulabilità dei sostegni all'occupazione previsti nell'ambito del programma con quelli già previsti dall'ordinamento, Pag. 29anche con riferimento al sostegno all'apprendistato. Il Ministro ha, quindi, sottolineato l'anomalia italiana che si fonda sulla separazione tra la gestione delle politiche attive e passive, a differenza di quanto avviene in quasi tutti i Paesi europei. Ha evidenziato, quindi, un problema attinente alle infrastrutture informative, poiché gran parte dell'informazione è concentrata nelle banche dati di tipo previdenziale e assicurativo.
  Nel ricordare l'impianto definito nella legge delega in materia di lavoro, in corso di attuazione da parte del Governo, ha, quindi, sottolineato come la legge n. 183 del 2014 preveda un potenziamento dei servizi per l'impiego pubblici, valorizzando le possibili sinergie tra le Agenzie per il lavoro private al fine di rafforzare la capacità di incontro tra domanda e offerta di lavoro, in piena continuità, peraltro, con quanto delineato dalla legge n. 30 del 2003. Inoltre, ha ricordato che nella medesima legge, che si conforma necessariamente a quanto previsto a Costituzione vigente, è previsto un raccordo, per un verso, tra l'Agenzia nazionale e l'INPS, sia a livello centrale, sia a livello territoriale, al fine di integrare maggiormente le politiche attive e le politiche di sostegno al reddito, e, per un altro verso, tra l'Agenzia e gli enti che a livello centrale e territoriale esercitano competenze in materia di incentivi all'autoimpiego e all'autoimprenditorialità. Sono stati, peraltro, richiamati i criteri direttivi relativi all'introduzione di strumenti e forme di remunerazione proporzionati alla difficoltà del collocamento, a fronte dell'effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, ricordandosi altresì che al Ministero del lavoro e delle politiche sociali viene assegnato il compito di verificare e controllare il rispetto della fruizione dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale. Il Ministro ha poi ricordato le misure recate dalla legge di stabilità per il 2015 per consentire, da una parte, la continuità del regolare svolgimento dei servizi per l'impiego e, dall'altro, la piena attuazione del Piano Garanzia giovani, sottolineando come il Ministero del lavoro e delle politiche sociali abbia assicurato la copertura dei costi per la gestione dei servizi per l'impiego.
  Conclusivamente, il Ministro ha fornito rassicurazioni circa lo stato di attuazione di Garanzia giovani, facendo notare come al momento dell'audizione vi fossero 400.000 giovani registrati, con un flusso sistematico di circa 10.000 giovani entranti nel programma ogni settimana. Ha quindi sottolineato che, se questo ritmo fosse mantenuto fino alla fine del periodo, si avrebbero 800.000 giovani registrati e sarebbe, quindi, scongiurato il rischio, da più parti paventato, di un mancato utilizzo delle risorse assegnate dall'Unione europea.

3. Conclusioni.
  Il sistema dei servizi per il lavoro è stato definito, nella sua strutturazione attuale, dal decreto legislativo n. 469 del 1997, adottato in attuazione della legge n. 59 dello stesso anno (la cosiddetta «legge Bassanini»). In precedenza, il sistema del collocamento, introdotto con la legge 29 aprile 1949, n. 264, era basato sulla natura statale della gestione, demandata alle strutture territoriali del Ministero del lavoro, sul monopolio pubblico del collocamento, inteso come funzione burocratica di distribuzione imparziale di posti di lavoro sulla base della precedenza attestata dall'iscrizione nella lista di collocamento, sull'avviamento al lavoro mediante chiamata numerica (cioè con semplice indicazione all'ufficio competente del numero, della categoria e della qualifica professionale dei lavoratori da assumere) e sull'esplicito divieto della mediazione privata. La conclamata inefficienza di tale sistema portò, dapprima, all'ammissione della chiamata nominativa (inizialmente per il solo contratto di formazione e lavoro, con l'articolo 3 del decreto-legge n.726 del 1984, convertito con modificazioni dalla legge n. 863 del 1984 e, dopo alcuni anni, per tutte le tipologie di assunzioni, con l'articolo 25 della legge n. 223 del 1991) e, successivamente, all'introduzione del meccanismo Pag. 30dell'assunzione diretta con obbligo di comunicazione agli uffici competenti (introdotto dall'articolo 9-bis del decreto-legge n. 510 del 1996, convertito con modificazioni, dalla legge n. 608 del 1996).
  Con il decreto legislativo n. 469 del 1997, nell'ambito del generale processo di decentramento delle funzioni amministrative avviato in quella stagione, è stato disposto il conferimento alle regioni e agli enti locali delle funzioni e dei compiti relativi al collocamento e alle politiche attive del lavoro, mantenendo in capo allo Stato un ruolo di indirizzo, promozione e coordinamento di carattere generale. In particolare, è stata prevista l'istituzione a livello provinciale dei Centri per l'impiego (CPI), chiamati a operare nel quadro della programmazione definita dalle Regioni. Ai Centri per l'impiego furono direttamente conferiti le funzioni e i compiti relativi al collocamento, mentre ulteriori funzioni connesse alla gestione delle politiche attive per il lavoro potevano essere devolute loro dalle Regioni. Con riferimento agli operatori privati, nel contesto del processo di superamento del monopolio pubblico del collocamento, avviato proprio nel corso degli anni ’90, l'articolo 10 del decreto prevedeva che l'attività di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro potesse essere svolta, previa autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, anche da imprese o gruppi di imprese, società cooperative ed enti non commerciali, con determinati requisiti dimensionali, a condizione che tale attività di mediazione fosse il loro oggetto esclusivo.
  Con il decreto legislativo n. 181 del 2000, successivamente modificato in modo sensibile dal decreto legislativo n. 297 del 2002, sono stati fissati i livelli minimi delle prestazioni che devono essere assicurati dai Centri per l'impiego nei confronti dei disoccupati, con particolare riguardo ai beneficiari di ammortizzatori sociali. In particolare, si è richiesto che i disoccupati fossero soggetti a interviste periodiche e ad altre misure di politica attiva, tra le quali in particolare, entro tempi certi, un colloquio di orientamento e una proposta di adesione a iniziative di inserimento lavorativo, di formazione o riqualificazione professionale. Per altro verso, il decreto ha introdotto forme di condizionalità dei trattamenti stabilendo che il mancato adempimento degli obblighi, nonché la mancata presentazione al colloquio di orientamento comportassero la perdita dello stato di disoccupazione, mentre il rifiuto di un'offerta di lavoro determinava la perdita dell'anzianità dello stato di disoccupazione.
  A partire dal decreto legislativo n. 276 del 2003, adottato in attuazione della delega di cui alla legge n. 30 del 2003 (cosiddetta «legge Biagi»), il sistema dei servizi dell'impiego è stato più decisamente liberalizzato, consentendo non solo a soggetti pubblici, ma anche a soggetti privati in possesso dei requisiti legislativamente previsti, l'esercizio di funzioni in materia di politiche attive (nella logica dei cosiddetti «servizi competenti», evocati dal medesimo decreto legislativo). Le tipologie di agenzie per il lavoro sono diverse (così come anche i requisiti necessari per ottenere l'autorizzazione) a seconda del tipo di attività svolta (attività di somministrazione di lavoro; di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro; di ricerca e selezione del personale; di supporto alla ricollocazione professionale). L'autorizzazione all'esercizio delle attività, che abilita ad operare nel mercato del lavoro, è rilasciata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in presenza di determinati requisiti legislativamente previsti; accanto all'autorizzazione statale si prevede, inoltre, un accreditamento da parte delle regioni degli operatori pubblici e privati che operano nel proprio territorio al fine della effettiva erogazione dei servizi. La platea dei soggetti autorizzati allo svolgimento delle attività di intermediazione è ampia e, dopo le modifiche introdotte, da ultimo, dall'articolo 29, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ricomprende, in particolare: gli istituti di scuola secondaria di secondo grado; le università e i consorzi universitari; i comuni singoli o associati; le camere di commercio; le associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori Pag. 31comparativamente più rappresentative sul piano nazionale; i patronati, gli enti bilaterali e le associazioni senza fini di lucro che hanno per oggetto la tutela del lavoro, l'assistenza e la promozione delle attività imprenditoriali, la progettazione e l'erogazione di percorsi formativi e di alternanza, la tutela della disabilità; i gestori di siti internet; l'ordine nazionale dei consulenti del lavoro. L'articolo 13 riafferma, nell'ambito del nuovo contesto normativo, il principio di condizionalità dei trattamenti collegati allo stato di disoccupazione o inoccupazione.
  Il sistema individuato dalla riforma del 2003 costituisce l'ossatura della attuale regolamentazione dei servizi per l'impiego ed è stato solo parzialmente modificato dai successivi interventi legislativi, tra i quali merita di essere richiamata la cosiddetta «legge Fornero» (legge n. 92 del 2012), che ha provveduto, in particolare, a rimodulare le azioni da garantire ai soggetti titolari di prestazioni di sostegno al reddito, ridefinendo al contempo la disciplina dell'accertamento e del mantenimento dello stato di disoccupazione.
  Da ultimo, un forte impulso alla modernizzazione del sistema è venuto dall'attivazione del programma europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile Garanzia giovani, che ha previsto finanziamenti per i Paesi membri con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento, da investire in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro, a sostegno dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo («NEET» – Not in Education, Employment or Training), con l'impegno a garantire un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro quattro mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale.
  Il contesto normativo e istituzionale fin qui delineato è verosimilmente destinato a subire profondi mutamenti in relazione ai processi di riforma avviati nel corso della attuale legislatura, i quali – operando in concorso tra loro – determinano inevitabili sovrapposizioni e interazioni, che dovranno essere considerate nella concreta definizione del nuovo quadro competenziale e organizzativo in via di definizione.
  In primo luogo, il riordino del sistema provinciale avviato con la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «Legge Delrio») pone con urgenza la questione della riallocazione a un diverso livello istituzionale delle funzioni svolte dai servizi pubblici per l'impiego, che, come si è detto, attualmente sono incardinati a livello delle province.
  Questo intervento si lega strettamente al processo di revisione delle competenze in materia, in corso di realizzazione in attuazione della legge n.183 del 2014 (il cosiddetto Jobs Act), la quale, tra l'altro, ha conferito un'ampia delega al Governo in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive. Con l'obiettivo di unificare la gestione delle politiche attive e passive, la delega prevede, in particolare, l'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'occupazione (con competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego, politiche attive e ASpI, con il contestuale riordino degli enti strumentali e degli uffici ministeriali operanti nel settore) e il rafforzamento dei servizi per l'impiego, valorizzando le sinergie tra servizi pubblici e privati in un quadro di semplificazione amministrativa e di monitoraggio continuo delle politiche. Per quanto riguarda le competenze istituzionali, a fronte dell'accentramento che, in qualche misura, discende dalla creazione dell'Agenzia, la legge sembra fare salve (almeno in parte) le competenze attualmente spettanti alle regioni in materia di programmazione e gestione delle politiche attive del lavoro (si veda, in particolare, l'articolo 1, comma 4, lettera u), della legge n. 183 del 2014). Tale assetto, che si muove nell'ambito delle disposizioni costituzionali vigenti e non può, pertanto, riflettere i contenuti della riforma costituzionale in corso di approvazione, sembra, del resto, confermato anche dalla disciplina del contratto di ricollocazione, prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 2015, adottato in attuazione del criterio direttivo di cui all'articolo 1, comma 4, Pag. 32lettera p), della legge n. 183 del 2014: nel recepire l'intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'articolo 17 richiama espressamente la programmazione delle politiche attive del lavoro da parte delle Regioni.
  Con riferimento all'interazione tra la riforma delle province avviata dalla «legge Delrio» e il Jobs Act, occorre rilevare che nell'accordo sancito l'11 settembre 2014 in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, relativo alla nuova attribuzione delle funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali si è espressamente previsto che lo Stato e le Regioni, per le funzioni rientranti nell'ambito di applicazione di disegni di legge o disegni di legge delega o di deleghe in atto relativi a riforme di settori organici (tra le quali si menziona espressamente la legge delega in materia di lavoro), sospendono l'adozione di provvedimenti di riordino fino al momento dell'entrata in vigore delle medesime riforme. Fino a quel momento, le funzioni predette continuano ad essere esercitate dalle province o dalle città metropolitane a queste subentrate (clausola di stand still).
  Sarà pertanto il decreto adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 3 e 4, della legge n. 183 del 2014 a svolgere un ruolo decisivo, anche con riferimento alle decisioni in ordine all'assetto delle istituzioni competenti a livello territoriale per la gestione delle politiche attive del lavoro.
  In attesa di tale intervento normativo, per quanto riguarda il personale operante all'interno dei servizi per l'impiego, l'articolo 1, comma 429, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) prevede, allo scopo di garantire il regolare funzionamento dei servizi soprattutto in relazione all'attuazione della Garanzia giovani, che le città metropolitane e le province le quali, a seguito o in attesa del riordino delle funzioni, continuino ad esercitare le funzioni ed i compiti in materia di servizi per l'impiego e politiche attive del lavoro, possano finanziare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e prorogare i contratti di lavoro a tempo determinato e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa strettamente indispensabili per la realizzazione di attività di gestione dei fondi strutturali e di interventi da essi finanziati, a valere su piani e programmi nell'ambito dei fondi strutturali. Allo scopo di consentire il temporaneo finanziamento di tali rapporti di lavoro, in attesa della successiva imputazione ai programmi operativi regionali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è autorizzato, nei limiti di 60 milioni di euro, a concedere anticipazioni delle quote europee e di cofinanziamento nazionale dei programmi a titolarità delle regioni cofinanziati dall'Unione europea con i fondi strutturali (per la parte nazionale, le anticipazioni sono reintegrate al Fondo a valere sulle quote di cofinanziamento nazionale riconosciute per lo stesso programma a seguito delle relative rendicontazioni di spesa). Da ultimo, l'articolo 14, comma 1, del decreto-legge n.192 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 2015, ha disposto che, nelle more del riordino delle funzioni delle province e per assicurare la continuità delle attività relative alla realizzazione degli interventi cofinanziati dai fondi strutturali europei 2007-2013, i centri per l'impiego possono prorogare, fino al 31 dicembre 2015, i contratti di affidamento di servizi per l'impiego e le politiche attive in scadenza a partire dal 1o gennaio 2015, attraverso (per la parte riguardante le spese ammissibili ai fondi strutturali) le risorse dei programmi operativi FSE 2007-2013 delle Regioni interessate (con un costo complessivo di 35 milioni di euro).
  Su questo quadro, già assai articolato, si innesta il disegno di legge governativo di riforma della Costituzione, nel testo risultante dalle modifiche da ultimo introdotte nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati (S. 1429-B), che inserisce le politiche attive del lavoro nell'elenco delle materie di competenza legislativa esclusiva statale. Si tratterebbe di una modifica di grande portata, volta ad accentrare competenze che la Costituzione vigente rimette, Pag. 33sostanzialmente, alla competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni. Nel silenzio dell'attuale testo della Carta fondamentale, infatti, la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 50 del 2005 e, successivamente, con le sentenze n. 219 del 2005, n. 21 del 2007, n. 268 del 2007 e n. 221 del 2012) ha ritenuto che le politiche attive del lavoro siano da ricondurre alla materia di potestà concorrente «tutela e sicurezza del lavoro» per ciò che attiene la disciplina dei servizi per l'impiego e, più in generale, quella del collocamento. Peraltro, essendo i servizi per l'impiego preposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, la Corte ha precisato che possono verificarsi i presupposti per l'esercizio della potestà esclusiva statale di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Analogamente la Corte ha precisato che la disciplina dei soggetti comunque abilitati a svolgere opera di intermediazione può esigere interventi normativi rientranti nella legislazione esclusiva dello Stato per la «tutela della concorrenza» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione.
  Risulta, pertanto, evidente che, qualora il testo approvato dalla Camera sia confermato in sede di approvazione definitiva della riforma, si imporrebbe necessariamente una riflessione sugli assetti istituzionali individuati in attuazione della delega di cui alla legge n. 183 del 2014, nel rispetto delle competenze stabilite dal vigente articolo 117 della Costituzione.
  Per completare la panoramica sull'assetto della normativa vigente, è opportuno ricordare gli altri interventi legislativi adottati nel corso dell'attuale legislatura prima dell'approvazione del Jobs Act. In particolare, si segnala l'articolo 8 del decreto-legge n. 76 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 99 del 2013, che ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Banca dati delle politiche attive e passive, al fine di razionalizzare gli interventi di politica attiva di tutti gli organismi centrali e territoriali coinvolti, nonché di garantire l'attivazione del programma Garanzia Giovani (la Banca dati ha il compito di raccogliere le informazioni concernenti i soggetti da collocare nel mercato del lavoro, i servizi erogati e le opportunità di impiego). Si rammenta, inoltre, l'articolo 1, comma 215, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014) che ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Fondo per le politiche attive del lavoro (con dotazione pari a 15 milioni di euro per il 2014, e 20 milioni di euro annui per il biennio 2015-2016), per la realizzazione di iniziative, anche sperimentali, volte a potenziare le politiche attive del lavoro (tra le quali una prima sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione, successivamente oggetto, come detto, del decreto legislativo n. 22 del 2015, che ha disposto tra l'altro un finanziamento aggiuntivo di 32 milioni per il 2015).
  L'indagine svolta dalla Commissione ha consentito, attraverso i contributi di operatori pubblici e privati, soggetti istituzionali e qualificati esperti, di delineare un quadro complessivo della funzionalità del sistema dei servizi per il mercato del lavoro, mettendo in luce, sotto una pluralità di profili, le criticità più rilevanti e i possibili interventi migliorativi.
  In linea generale, le considerazioni raccolte convergono in modo piuttosto univoco sulla grave insufficienza delle risorse destinate alle politiche attive del lavoro e, al loro interno, al finanziamento dei servizi per l'impiego, siano essi pubblici o privati, resa evidente anche dal confronto internazionale. Pur non essendo possibile una diretta comparazione tra le diverse esperienze maturate a livello internazionale, in ragione della non perfetta sovrapponibilità delle funzioni svolte dai servizi per il lavoro nei diversi Paesi, si deve tuttavia rilevare che la spesa annualmente dedicata in Italia ai centri per l'impiego è pari a poco meno di 500 milioni di euro (459 milioni di euro nel 2012), contro i 5 miliardi della Francia, i 6 miliardi della Gran Bretagna, i 9 miliardi della Germania e i 2,2 miliardi dell'Olanda (cifra quest'ultima Pag. 34che in rapporto al PIL rappresenta lo 0,37, ossia la percentuale più elevata nell'Unione europea). È stato tuttavia sottolineato come alle scarse risorse destinate alle politiche attive corrisponda uno sforzo economico molto impegnativo sul versante delle politiche passive, per effetto del quale l'investimento complessivo sulle politiche per il lavoro nel nostro Paese si colloca a livelli alquanto elevati in rapporto agli altri Paesi europei. Dall'analisi dei dati elaborati da Eurostat, risulta infatti, che la spesa dell'Italia per le politiche del lavoro è stata pari all'1,99 per cento del PIL (circa 31 miliardi di euro) nel 2012 (in crescita rispetto all'1,7 per cento del 2011), di poco superiore alla media dei 28 Paesi dell'Unione europea (1,89 per cento) e all'impegno finanziario della Germania (1,67 per cento). Ciò che differenzia notevolmente l'Italia dagli altri Paesi europei è la ripartizione della spesa per le politiche del lavoro tra le sue diverse componenti (servizi per il lavoro, politiche attive e politiche passive), con una spesa per politiche attive assai ridotta al confronto di quella per politiche passive (sostegni al reddito e prepensionamenti). Nel 2012 la componente attiva delle politiche per il lavoro rappresenta circa il 19 per cento del totale della spesa per tali politiche, mentre la componente passiva, quasi integralmente costituita dai trattamenti di disoccupazione, assorbe circa l'81 per cento delle risorse (in termini di prodotto interno lordo, le politiche passive sono pari all'1,61 per cento, mentre le politiche attive rappresentano lo 0,35 per cento). L'incidenza della spesa per le politiche passive in Italia si colloca quindi ben al di sopra della media dell'Unione europea, pari al 63,9 per cento, del 60,1 per cento della Francia, del 56,2 per cento della Germania e del 42,7 del Regno Unito; appare, peraltro, significativa la ripartizione della spesa tra le diverse categorie di politiche attive, posto che la loro incidenza sul PIL è sostanzialmente pari a quella che si registra in Germania. La spesa sostenuta nel 2012 per i servizi per il lavoro è stata, infatti, pari appena all'1,5 per cento del totale degli stanziamenti per le politiche del lavoro nel loro complesso (pari allo 0,03 per cento del PIL nel 2011, sceso ulteriormente allo 0,025 nel 2012), valore nettamente inferiore a quello dell'Unione europea (11,2 per cento), della Germania (19,2 per cento) e del Regno Unito (46 per cento). Nell'ambito delle politiche attive, infatti, la quota ampiamente prevalente della spesa, che nel 2012 è stata pari a poco più di 5,6 miliardi di euro, è ripartita tra gli incentivi per le assunzioni (agevolazioni economiche, contributive o di natura fiscale), ai quali sono stati destinati circa 2,38 miliardi di euro (pari al 42 per cento delle politiche attive) e gli incentivi per i contratti a causa mista e, in particolare, l'apprendistato, che hanno assorbito poco meno di 1,7 miliardi di euro (pari a più del 30 per cento delle politiche attive).
  Tale situazione indica che la corretta direzione di marcia non deve essere necessariamente quella del reperimento di risorse aggiuntive, obiettivo peraltro assai difficoltoso in un contesto di risorse scarse e di necessario contenimento della spesa pubblica. Sembra piuttosto opportuno indirizzarsi verso uno spostamento di risorse pubbliche dalle politiche passive a quelle attive e, all'interno di queste ultime, verso una ricomposizione della spesa, che valorizzi i servizi volti a promuovere l'occupabilità e l'occupazione: in altre parole, non occorre spendere di più, ma occorre spendere meglio. Su questa linea occorre procedere con urgenza e coerenza, mettendo in campo tutti gli strumenti che consentano, pur all'interno dell'attuale quadro normativo (fermi restando, cioè, presupposti e durata dei trattamenti di sostegno al reddito, i quali vanno anzi estesi a nuove platee di beneficiari in uno sforzo di equiparazione tra diverse categorie di lavoratori) di ridurre quanto più possibile la permanenza nello stato di disoccupazione dei lavoratori che beneficiano di interventi di sostegno al reddito. Periodi prolungati di disoccupazione, cui corrisponda un sostegno al reddito non affiancato da efficaci interventi, anche formativi, per la rapida ricollocazione dei lavoratori, si risolvono in un maggiore impiego di risorse pubbliche, in una riduzione dell'occupabilità e in una Pag. 35perdita progressiva di professionalità, alimentando un circolo vizioso che allontana i lavoratori dal sistema produttivo. Solo politiche attive più efficaci possono condurre a risparmi sul versante delle politiche passive, liberando le risorse necessarie a investire ulteriormente sulle prime, invertendo la tendenza che ha caratterizzato l'esperienza italiana nel corso della più recente crisi economica e occupazionale.
  Anche nell'ambito delle politiche attive, peraltro, secondo una direttrice di intervento già indicata da questa Commissione, occorre promuovere una riflessione sui sistemi di incentivazione esistenti, al fine di promuoverne la razionalizzazione, concentrando le risorse solo su quelli realmente efficaci in termini di creazione di nuova occupazione (in linea con quanto stabilito, peraltro, dall'articolo 1, comma 4, della legge n. 183 del 2014) e destinando quelle che si rendano disponibili al potenziamento dei servizi per l'occupazione e l'occupabilità.
  Politiche attive migliori richiedono, in ogni caso, interventi mirati su alcuni aspetti critici del sistema, sui quali, peraltro, ormai da tempo si concentra l'attenzione nel dibattito pubblico.
  Nel giudizio di molti dei soggetti auditi nel corso dell'indagine conoscitiva, un aspetto cruciale, di assoluto rilievo nell'economia dell'intero sistema dei servizi a supporto dell'occupazione, è quello della condizionalità. L'erogazione di interventi di sostegno al reddito dei disoccupati deve essere strettamente condizionata a precisi obblighi di attivazione dei beneficiari, cui deve corrispondere la capacità degli operatori di formulare, in tempi congrui, specifiche proposte occupazionali o formative.
  Sotto questo profilo, le prescrizioni normative certo non mancano, ove si consideri che il principio di condizionalità è stato introdotto sin dal 2000 (con l'articolo 4 del decreto legislativo n. 181) e successivamente ribadito e specificato (in vario modo) da varie disposizioni normative (si veda, in particolare, l'articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 249 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 291 del 2004, l'articolo 19, comma 10, del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, e l'articolo 4, commi da 40 a 45, della legge n. 92 del 2012); la stessa legge delega n. 183 del 2014 (Jobs Act) opportunamente insiste su tale principio, richiamandolo ripetutamente tra i criteri di delega. Nonostante la chiara volontà del legislatore, tuttavia, i soggetti istituzionalmente chiamati a praticare la condizionalità nei confronti dei beneficiari dei sussidi (ossia Regioni e Province) si sono mostrati sistematicamente inadempienti sotto tale profilo; e l'esiguità delle risorse, umane e materiali, destinate ai centri per l'impiego, se può spiegare in parte le difficoltà incontrate sul versante amministrativo, non può in ogni caso costituire un argomento sufficiente a sollevare gli enti dalle loro responsabilità (trattandosi in primo luogo di responsabilità politiche). Pensare che si possa continuare a elargire trattamenti, spesso sostanziosi e di lunga durata, senza che all'erogazione corrisponda un'effettiva attivazione del beneficiario sul piano lavorativo è, da un lato, irrealistico, considerate le condizioni della finanza pubblica, e, dall'altro, contraddice lo spirito stesso degli interventi a sostegno dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria. Ciò che serve, ora, è quindi tradurre in pratica i principi stabiliti dalle norme, ossia fare in modo che essi guidino effettivamente l'azione amministrativa, intervenendo su tutti quei fattori (di natura istituzionale, amministrativa e normativa) che hanno fin qui impedito che ciò accadesse.
  Dagli interventi registrati nel corso dell'indagine conoscitiva è possibile enucleare essenzialmente tre questioni sulle quali concentrare l'attenzione: il rafforzamento dei centri per l'impiego; il coordinamento tra politiche attive e passive; il ruolo dell'intermediazione privata.
  Per quanto riguarda i centri per l'impiego, è stata da tutti evidenziata la carenza degli organici di tali strutture. In particolare, dal raffronto internazionale emerge chiaramente come tutti gli indicatori di spesa denotino l'inadeguatezza in termini quantitativi del personale addetto e delle risorse assegnate. Il numero degli Pag. 36operatori in rapporto agli utenti è inferiore alla soglia minima considerata necessaria in Europa per la fornitura di servizi efficienti. A fronte dei circa 8.700 addetti italiani, ciascuno dei quali dovrebbe «assistere» ben 250 utenti (livello più alto di tutti i Paesi dell'Unione europea), la Germania occupa nei propri servizi pubblici ben 110.000 addetti, con un rapporto tra addetti e assistiti di 1 a 26 (rapporto circa dieci volte inferiore a quello del nostro Paese). Il ridotto investimento economico sui centri per l'impiego si traduce in risultati insoddisfacenti in termini di intermediazione e incrementi di occupabilità dei soggetti che ad essi si rivolgono. Nonostante alcune positive eccezioni, collocate in particolari aree del Paese, mediamente i Centri per l'impiego intermediano appena il 3,1 per cento della nuova manodopera, a fronte di una media del 10,9 per cento nell'Unione europea, del 19,2 per cento nel Regno Unito, del 18,8 per cento in Germania e del 7,8 per cento in Francia. Peraltro, se si incrociano i dati sulla spesa per i centri per l'impiego (o sul numero di addetti) con quelli relativi ai soggetti intermediati, dal confronto internazionale emerge che il costo del singolo inserimento lavorativo in Italia è tra i più bassi d'Europa e, soprattutto, è risultato (diversamente dai maggiori Paesi europei) in calo negli anni della crisi dal 2008 al 2011 (anno nel quale tale costo è risultato di 8.673 euro), smentendo la visione, talvolta impropriamente diffusa, di una strutturale inefficienza (nel confronto europeo) dei servizi pubblici per l'impiego del nostro Paese.
  Sebbene da più parti sia stato sollecitato lo stanziamento di risorse aggiuntive per l'assunzione di nuovo personale, è necessario considerare che una scelta in tal senso pare incontrare indubbie difficoltà, almeno nel breve periodo, in considerazione della generale esigenza di contenimento della spesa pubblica, ferma restando la possibilità di una ricomposizione della spesa per le politiche per il lavoro, che dedichi maggiori risorse alle strutture e ai servizi, rispetto agli incentivi e alle politiche passive. Appare, quindi, più agevole rivolgere l'attenzione ai processi in atto di mobilità del personale pubblico, al fine di indirizzare prioritariamente sui centri per l'impiego (analogamente a quanto sta avvenendo per gli uffici giudiziari) dipendenti in uscita da altre pubbliche amministrazioni. Naturalmente, tale processo dovrebbe puntare all'acquisizione di unità di personale qualificate nelle materie rientranti nelle competenze dei servizi pubblici per l'impiego. È noto, infatti, che il problema del sottodimensionamento dei centri per l'impiego si somma a quello delle competenze possedute dal personale, non sempre all'altezza dei compiti richiesti da moderne politiche attive del lavoro. Occorre ricordare, in proposito, che almeno fino al 1997 il personale operante presso tali strutture era assunto e formato per svolgere compiti di natura squisitamente amministrativa, secondo le procedure previste dalla legislazione dell'epoca. Successivamente, con la nascita dei centri per l'impiego si è passati, almeno in parte (i centri per l'impiego continuano infatti ancora oggi a svolgere, in buona misura, operazioni di tipo burocratico, come l'accertamento dello stato di disoccupazione, che impegnano numerose risorse), all'erogazione di servizi per il lavoro (orientamento, matching e via dicendo), facendo emergere l'esigenza di operatori con una formazione professionale più elevata (servirebbe un maggior numero di laureati) ed evoluta (con competenze anche di natura psicologica e commerciale). L'analisi dei dati disponibili sugli operatori dei centri per l'impiego conferma l'esigenza di una riqualificazione del personale addetto: oltre il 16 per cento degli operatori, infatti, ha come titolo di studio la licenza media, il 57,1 per cento è in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore mentre il 26,6 per cento ha una formazione universitaria o post-universitaria. Anche in questo caso, le differenze riscontrate sul territorio nazionale sono sensibili: in Sicilia e in Basilicata la percentuale dei laureati è pari a circa 9 punti percentuali, mentre in Toscana il dato è pari al 53,7 per cento. Non devono, peraltro, trascurarsi, in questa analisi, le caratteristiche dei rapporti Pag. 37di lavoro degli operatori dei servizi pubblici per l'impiego: dai dati rilevati nel corso dell'indagine, che riprendono quelli del rapporto di monitoraggio elaborato sul finire del 2013, su una forza lavoro di poco più di 8.700 lavoratori, oltre 1.000 non sono assunti con contratto a tempo indeterminato (circa 800 dei quali addetti a compiti di front office) con evidenti ricadute sia sulla stabilità delle politiche perseguite sia sulla motivazione degli operatori. Trasformare radicalmente approcci e competenze per garantirne la rispondenza ai nuovi bisogni non è cosa facile, soprattutto in tempi brevi. Occorre quindi puntare con decisione sull'investimento nella formazione del personale dei centri per l'impiego e, eventualmente, ipotizzare, anche nell'ambito dei processi di riordino delle amministrazioni pubbliche in corso, forme di utilizzo stabile di personale in possesso di competenze professionali più adeguate operante presso pubbliche amministrazioni o società pubbliche «affini» (si pensi, in special modo, a Italia Lavoro, ISFOL e CNEL). In questo senso, occorre in particolare considerare che l'articolo 1, comma 4, lettera f), della legge n. 183 del 2014, nell'ambito della delega legislativa relativa alle politiche attive, prefigura una razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali allo scopo di aumentare l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa, mentre la successiva lettera h) del medesimo comma reca un criterio direttivo che indica la possibilità di far confluire, in via prioritaria, nei ruoli dell'Agenzia unica per l'impiego il personale proveniente dalle amministrazioni o uffici soppressi o riorganizzati in attuazione della lettera f), nonché da altre amministrazioni.
  Questione cruciale ai fini della concreta realizzazione del principio di condizionalità degli interventi è quella del coordinamento tra politiche attive e passive, attualmente in capo, rispettivamente, alle Regioni e all'INPS. Solo se il soggetto che gestisce gli strumenti di sostegno al reddito è titolare, allo stesso tempo, di un interesse, istituzionalmente e finanziariamente vincolante, a ridurre al minimo la durata delle erogazioni, è possibile promuovere il rapido raggiungimento da parte del lavoratore di un obiettivo occupazionale. Le soluzioni di architettura istituzionale ipotizzabili per configurare un sistema che consenta di ricongiungere questi obiettivi sono molteplici. Pur non essendo questa la sede per formulare proposte puntuali, può riscontrarsi come la legge delega n.183 del 2014 sembri muoversi nella giusta direzione, laddove prevede la costituzione di una Agenzia nazionale per l'occupazione alla quale sono attribuite competenze gestionali in materia di servizi per l'impiego e politiche attive (articolo 1, comma 4, lettera e)), con la specifica «previsione di meccanismi di raccordo e di coordinamento delle funzioni tra l'Agenzia e l'INPS, sia a livello centrale che a livello territoriale, al fine di tendere a una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno al reddito» (articolo 1, comma 4, lettera r)). A tale riguardo appare auspicabile che nell'esercizio della delega il Governo valorizzi al meglio la funzione unificatrice di funzioni e competenze, oggi disperse, riconducibili all'Agenzia, promuovendo in questo modo lo svolgimento congiunto di procedure complesse volte ad assicurare il coordinamento tra le varie politiche e la necessaria condizionalità degli interventi, anche attraverso un sostanziale coinvolgimento, nella definizione delle linee direttrici del sistema, degli attori privati. Occorre, in altri termini, rafforzare il governo su base nazionale del sistema pubblico/privato dei servizi per il lavoro, così come fanno i nostri principali partner europei, con una Agenzia nazionale che non prevede una devoluzione delle competenze, né di quelle legislative né di quelle di gestione, a livello locale, ma che si articola sul territorio con propri uffici periferici, cui viene affidato un elevato grado di autonomia nella scelta degli strumenti più appropriati per raggiungere gli obiettivi strategici fissati a livello nazionale. Deve peraltro rilevarsi che tale ricostituzione in termini unitari e integrati delle politiche attive e di quelle passive, in linea di principio, non è incompatibile con Pag. 38l'attuale assetto istituzionale delle competenze legislative e di gestione, che affida al legislatore statale il ruolo di definire i livelli essenziali delle prestazioni da garantire sull'intero territorio nazionale. E di fatto questa è con tutta probabilità la soluzione che verrà scelta per la futura Agenzia se le Regioni rivendicheranno le competenze che la Costituzione attualmente riconosce loro. Ma ciò che è possibile in linea di principio non sempre si realizza nella pratica. Aver distinto sinora i soggetti istituzionali cui affidare le politiche attive (le Regioni) e quelle passive (lo Stato) ha portato ai risultati che abbiamo sotto gli occhi e che sono stati ampiamente riconosciuti come deludenti da quasi tutti coloro che sono intervenuti nelle audizioni, praticando un decentramento che deve essere innanzitutto amministrativo e, solo nei casi in cui ciò sia indispensabile, anche politico.
  La coesistenza di operatori pubblici e privati, avviatasi a seguito del superamento del monopolio pubblico del collocamento e dell'apertura del mercato sul finire degli anni ’90, registra ancora, nel suo complesso, risultati insoddisfacenti, con livelli di efficienza delle strutture ed efficacia dei servizi forniti assai diversificati sul territorio. Nel complesso, la quota di lavoratori a tempo indeterminato mediata dalle agenzie per l'impiego si colloca al di sotto della media dell'Unione europea, essendo pari, secondo i dati comunicati dall'ISFOL, allo 0,6 per cento, a fronte di una media europea dell'1,8 per cento. Su un piano numerico, i dati riferiti agli operatori accreditati, richiamati in particolare nell'ambito dell'audizione di Italia Lavoro, indicano la presenza di circa 1.650 operatori, per un totale di quasi 7.000 unità operative sul territorio nazionale: nel dettaglio, si tratta di 76 agenzie di somministrazione, 6 agenzie di somministrazione specialistica e 13 agenzie di intermediazione, accanto alle quali si collocano 80 enti di formazione, 86 università (66 pubbliche e 20 private) e ben 978 istituti di scuola secondaria di secondo grado. Guardando ai dati più specificamente riferiti agli operatori privati (le agenzie per il lavoro dispongono sul territorio nazionale di circa 2.500 unità operative), emerge una presenza sul territorio estremamente eterogenea: circa il 26 per cento delle unità operative è, infatti, collocata in Lombardia, mentre circa il 14 per cento si colloca in Veneto, oltre il 13 per cento in Emilia – Romagna e circa il 10 per cento in Piemonte. Nel complesso queste quattro regioni assorbono, quindi, circa il 60 per cento delle unità operative totali. Si tratta di dati che si prestano a letture di segno diverso: per un verso, si riscontra una analoga distribuzione territoriale tra servizi pubblici e privati, che potrebbe indicare aree di sovrapposizione nell'offerta, mentre, per altro verso, può rilevarsi come nei territori in cui i centri per l'impiego operano in modo adeguato, la collaborazione con le Agenzie per il lavoro si rivela più proficua, secondo logiche di complementarietà, specializzazione e supporto. La distribuzione territoriale delle unità operative dei servizi privati per l'impiego, del resto, non è il frutto di semplici scelte imprenditoriali, essendosi da più parti sottolineato, in termini assai critici, come l'attuale sistema di selezione dei soggetti privati, basato sull'accreditamento a livello regionale, crei in alcuni casi grosse difficoltà all'attività delle Agenzie (soprattutto quelle la cui attività non sia confinata ad un ambito meramente locale), che si trovano costrette a possedere requisiti minimi diversi da regione a regione. La parificazione formale tra operatori pubblici e privati fissata dalla legislazione nazionale sembrerebbe cioè vanificata da talune normative regionali che frappongono barriere normative all'accesso al mercato. Per risolvere tali problemi si pone quindi l'esigenza di superare l'attuale sistema di accreditamento regionale, rimettendo alla competenza del legislatore statale la definizione dei requisiti per l'esercizio di tutte le attività che le Agenzie sono autorizzate a svolgere. L'identificazione di una disciplina unitaria a livello nazionale avrebbe, del resto, l'effetto di porre rimedio alla frammentazione del mercato del lavoro in una pluralità di mercati del lavoro regionali, ciascuno sottoposto a normative diverse, assicurando l'uniformità di trattamento Pag. 39su tutto il territorio nazionale e agevolando, in tal modo, l'attività degli operatori privati, chiamati a confrontarsi con un solo sistema regolatorio.
  La questione delle modalità attraverso le quali pubblico e privato collaborano nel mercato dei servizi per il lavoro è da tempo oggetto di un ampio dibattito, anche a livello internazionale, all'interno del quale si contrappongono modelli diversi, che riflettono assai spesso differenti visioni del ruolo del «pubblico» quale soggetto deputato alla gestione diretta dei servizi o alla loro regolazione. Anche a livello regionale si sono affermati negli ultimi anni modelli differenti, che consentono di osservare livelli di performance, in termini di quantità e qualità dei servizi resi dal sistema nel suo insieme, significativamente diversi. In linea generale, a livello regionale si osservano tre modelli, che vanno dal quasi-mercato competitivo (proprio della Lombardia), a sistemi misti e di partenariato (propri di gran parte delle regioni), al sistema incentrato sui servizi pubblici (presente in Umbria). Senza entrare nel merito delle scelte politiche operate dalle regioni, è possibile tuttavia ricavare alcune indicazioni generali da tenere presenti in una prospettiva di riforma del sistema. In primo luogo occorre mettere in rete i servizi per il lavoro pubblici (comprese scuole e università) e privati, attivando modalità operative che consentano una collaborazione efficace e orientata ai risultati. A tal fine appare essenziale rendere pienamente accessibili le banche dati pubbliche e promuovere lo scambio di informazioni e dati. In questo senso assume particolare rilievo l'efficace attuazione del criterio direttivo dell'articolo 1, comma 4, lettera bb), della legge n. 183 del 2014 teso proprio a promuovere l'utilizzo di regole tecniche in materia di interoperabilità e scambio dei dati allo scopo di rafforzare l'azione di servizi pubblici nella gestione delle politiche attive e favorire la cooperazione con i servizi privati. Occorre inoltre che i servizi pubblici migliorino la propria capacità di rapportarsi al mondo delle imprese e di operare (non solo sull'offerta, ma) anche sulla domanda di lavoro, a partire dal monitoraggio e dalla copertura dei posti vacanti nelle imprese. A tale proposito, anche al fine di consentire agli utenti di accedere in modo rapido e unitario a tutti i servizi, si potrebbe pensare al consolidamento ed alla diffusione delle prassi, sperimentate in alcuni contesti territoriali, che vedono la collocazione di sportelli delle Agenzie private all'interno dei Centri per l'impiego. In secondo luogo occorre promuovere, garantendo reale parità di trattamento tra operatori pubblici e privati, la gestione dei servizi secondo logiche di remunerazione del risultato, in funzione delle fasce di occupabilità e dei tempi di collocazione dei lavoratori, secondo quanto già opportunamente prefigurato dalle disposizioni sul contratto di ricollocazione contenute nel primo dei decreti legislativi attuativi della delega (decreto legislativo n. 22 del 2015). Sembra, peraltro, necessario che la remunerazione per i servizi per il lavoro permanga collegata, almeno per una quota minoritaria, anche alla prestazione resa, a prescindere dai risultati conseguiti, al fine di garantire la presa in carico anche di lavoratori che presentino caratteristiche di minore collocabilità. Qualora si scelga di puntare su sistemi più spiccatamente ispirati a logiche concorrenziali (quasi-mercati sulla base di voucher/bonus) appare utile la creazione di un sistema (gestito o, comunque, garantito dal «pubblico») di rating sui risultati ottenuti dai diversi operatori, al fine di favorire scelte informate da parte dei beneficiari.
  Alcune brevi considerazioni merita, infine, anche la questione della formazione professionale, settore nel quale, soprattutto in talune regioni, continuano a registrarsi gravi inefficienze gestionali e sprechi di risorse pubbliche. In tale contesto occorre operare affinché l'obiettivo preminente della formazione professionale sia sempre più il rafforzamento dei servizi offerti, da finalizzare a chiari obiettivi occupazionali. È necessario, in particolare, superare definitivamente la pratica dei corsi «a catalogo», sovente confezionati su esigenze che poco hanno a che fare con i reali fabbisogni professionali delle aziende e con concrete possibilità di collocazione o ricollocazione Pag. 40professionale del soggetto formato. Anche su tale versante è auspicabile che la costituenda Agenzia nazionale per l'occupazione, ferme restando le competenze legislative e amministrative che, sulla base della vigente disciplina costituzionale, permangono in capo alle regioni, svolga un ruolo propulsivo affinché la formazione professionale sia sempre più ricondotta all'interno di percorsi individuali di politica attiva. In particolare, potrebbe valutarsi l'opportunità di individuare forme di collegamento tra i finanziamenti erogati ai corsi di formazione e l'effettiva collocazione lavorativa di chi vi ha partecipato, nell'ottica di collegamento al risultato che dovrebbe ispirare l'intera architettura delle politiche attive.
  In conclusione, appare senz'altro significativo che sembra finalmente essere maturata una consapevolezza diffusa non solo a livello politico e amministrativo, ma anche nell'ambito dell'opinione pubblica nazionale in ordine all'importanza delle politiche attive e al ruolo essenziale che esse giocano per il buon funzionamento di un moderno mercato del lavoro. La stessa Youth guarantee, promossa con convinzione a livello europeo dal Governo italiano, pur avendo prodotto nei primi mesi della sua applicazione risultati per molti versi non rispondenti alle attese (forse, eccessive), ha comunque sin qui avuto il merito di costringere i centri pubblici per l'impiego alla sperimentazione, sul campo, di modalità operative nuove, orientate agli obiettivi occupazionali e formativi, nonché di riattivare i processi istituzionali che presiedono alla prestazione dei servizi e delle politiche attive per il lavoro, in un'ottica di valutazione (ed autovalutazione) continua dei risultati raggiunti A questo riguardo occorre sottolineare che la scelta di pubblicare report settimanali sull'andamento del programma Garanzia giovani costituisce una scelta di grande rilievo «pedagogico» per le amministrazioni coinvolte. Una delle caratteristiche della regolamentazione delle politiche attive del lavoro nel nostro Paese è, infatti, stata a lungo quella di un'assenza pressoché completa di strumenti di valutazione dei servizi offerti e dei risultati conseguiti, anche in funzione dell'attivazione di meccanismi premiali o sanzionatori.
  La promessa di una riforma del settore è stata troppe volte disattesa. Basti pensare che, solo negli ultimi anni, per ben tre volte il legislatore è intervenuto con deleghe in materia di politiche attive (con l'articolo 1, commi 30 e 31, della legge n. 247 del 2007; con l'articolo 46 della legge n. 183 del 2010; e, da ultimo, con l'articolo 4, commi da 48 a 50, della legge n. 92 del 2012), ma in nessun caso il Governo è riuscito ad adottare i decreti legislativi di attuazione. Si prospetta ora la possibilità di avviare finalmente, in un lasso di tempo estremamente breve, una riforma delle politiche attive che faccia tesoro dell'esperienza maturata negli ultimi anni, anche grazie alla realizzazione della Garanzia giovani, in primo luogo attraverso una regolamentazione del rapporto centro-periferia che consenta di coniugare governance nazionale e decentramento funzionale. Con la nuova delega contenuta nella legge n.183 del 2014 (Jobs Act) e il disegno di legge di riforma costituzionale si è aperto un «cantiere» all'interno del quale occorre che tutti gli attori, ciascuno nella sfera delle proprie competenze, collaborino per la realizzazione di un efficace sistema integrato di servizi pubblici e privati per il lavoro, nella consapevolezza che quella che si offre è una opportunità unica per colmare i ritardi accumulati nel processo di modernizzazione del mercato del lavoro del nostro Paese.