Doc. XVII, n. 12

DOCUMENTO APPROVATO DALLA IX COMMISSIONE PERMANENTE (TRASPORTI, POSTE E TELECOMUNICAZIONI)

nella seduta del 21 maggio 2015

A CONCLUSIONE DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
deliberata nella seduta del 30 aprile 2014

SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

(Articolo 144, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati)

S O M M A R I O

1. Finalità e svolgimento ... 5

2.  Quadro normativo ... 6

  2.1.  La normativa dell'Unione europea ... 6

  2.2. La normativa nazionale ... 8

3. Gli elementi emersi nell'indagine: il contesto tecnologico, le iniziative de jure condendo dell'Unione europea e il settore dei media audiovisivi in Italia ... 11

  3.1. Il processo di convergenza ... 11

  3.2. Le risposte all'evoluzione tecnologica: la fase de jure condendo dell'Unione europea ... 13

  3.3. Il mercato audiovisivo in Italia ... 14

4. Gli elementi emersi dall'indagine: profili problematici ... 15

  4.1. Le conseguenze della «rivoluzione tecnologica»: regolamentazione degli OTT; neutralità della rete e tutela del diritto d'autore on line ... 16

  4.2. La regolamentazione dei contenuti audiovisivi ... 19

  4.3. La concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo ... 20

  4.4. La gestione delle frequenze ... 21

  4.5. L'emittenza locale e la numerazione automatica dei canali (LCN) ... 23

  4.6. La radio digitale ... 25

5. Conclusioni ... 25

  5.1. Ripensare il quadro normativo complessivo del settore radiotelevisivo ... 26

  5.2. Parità di regole in un mercato unico ... 27

  5.3. Un quadro normativo semplice e di principio ... 27

  5.4. Affrontare a livello di Unione europea alcune questioni fondamentali ... 28

  5.5. Specifiche questioni del settore radiotelevisivo da affrontare a livello legislativo e amministrativo ... 30

  5.6. L'assegnazione delle frequenze ... 31

  5.7. L'emittenza televisiva locale ... 32

  5.8. L'emittenza radiofonica ... 32

  5.9. Il servizio pubblico radiotelevisivo ... 32

Pag. 5

1. Finalità e svolgimento.

  L'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici è stata deliberata dalla IX Commissione Trasporti nella seduta del 30 aprile 2014.
  L'indagine si è proposta di verificare l'efficacia dell'attuale quadro normativo nel settore, a distanza di oltre tre anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 44 del 2010, che ha modificato il testo unico di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, facendo riferimento non più al sistema radiotelevisivo, ma al sistema dei media audiovisivi e radiofonici. In particolare, la IX Commissione ha inteso riflettere sull'idoneità dell'attuale normativa ad affrontare l'attuale rivoluzione tecnologica, per effetto della quale i contenuti audiovisivi e radiofonici possono essere trasmessi attraverso una molteplicità di strumenti e di modalità sconosciuta fino ad un recente passato.
  Ciò anche alla luce delle iniziative in materia dell'Unione europea: la Commissione europea ha sottoposto a consultazione pubblica, nell'aprile 2013, il libro verde Prepararsi a un mondo audiovisivo della piena convergenza: crescita, creazione e valori (la consultazione si è conclusa nel mese di agosto 2013). La consultazione pubblica promossa dalla Commissione europea ha avuto per oggetto aspetti importanti della regolazione del settore, quali l'individuazione di nuovi modelli di allocazione e condivisione delle frequenze per offrire opportunità di sviluppo alla radiodiffusione, alla banda larga mobile e ad altre applicazioni veicolate nelle stesse bande di frequenza; le eventuali distorsioni provocate dalla differenza di regolamentazione tra servizi lineari e non lineari; l'opportunità di adattare la definizione di servizi di media audiovisivi e il campo di applicazione della direttiva sui servizi di media audiovisivi per assoggettare a tutti o a parte dei suoi obblighi coloro che adesso ne sono esclusi. Gli esiti della consultazione pubblica sono confluiti nella comunicazione della Commissione europea Una strategia per il mercato unico digitale europeo del 6 maggio 2015 (COM(2015)192).
  In questo quadro si è inteso inoltre verificare quale incidenza il passaggio al digitale terrestre in Italia abbia avuto nell'assegnazione agli operatori della capacità trasmissiva e prendere in considerazione gli sviluppi che potranno verificarsi per quanto attiene sia alla ripartizione e all'utilizzo delle frequenze sia alla regolazione delle modalità di trasmissione mediante Internet.
  Nell'indagine sono stati coinvolti soggetti istituzionali (ministeri ed autorità di regolazione), imprese ed operatori del settore, centri di ricerca ed esperti della materia.
  Nel corso dell'indagine si sono svolte in particolare le audizioni dei rappresentanti di Confindustria Radio Televisioni; Sky Italia; Mediaset; RAI; MTV; Aeranti-Corallo; CNT – Terzo polo digitale; ANICA; rappresentanti delle associazioni datoriali e professionali (sceneggiatori e registi; giovani produttori; autori cinematografici; Pag. 6industrie cinematografiche e affini; produttori televisivi; produttori di documentari; piccole e medie imprese audiovisive); Associazione dei provider indipendenti; Federazione industria musicale italiana; Discovery Italia; SIAE; Persidera; Google Italy; Confindustria digitale; ALPI Radio TV; Gruppo editoriale L'Espresso; Associazione produttori televisivi; rappresentanti di SLC-CGIL, FISTel-CISL, UILCOM-UIL e UGL Telecomunicazioni; rappresentanti di FAPAV e CONNA; Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (di seguito indicata come AGCOM), Fastweb, Vodafone, Telecom Italia. Il ciclo di audizioni è stato concluso con l'intervento del Sottosegretario di Stato al Ministero dello sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni. È stata altresì acquisita una memoria di IT-Media Consulting.
  Le audizioni programmate nell'ambito dell'indagine conoscitiva sono state avviate il 3 luglio 2014 e si sono concluse il 25 marzo 2015.

2.  Quadro normativo.

  L'indagine conoscitiva ha consentito in primo luogo di operare una ricognizione dell'attuale assetto normativo del settore dei media audiovisivi. Tale assetto risulta determinato dalla disciplina dell'Unione europea e dalla legislazione nazionale.

2.1.  La normativa dell'Unione europea.

  Il fondamento dell'interesse dell'Unione per la materia audiovisiva risiede in una sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 1974 (sentenza del 30 aprile 1974 nella causa C-155/73, cd. «sentenza Sacchi»): questa sentenza qualificò infatti le attività radiotelevisive come servizi assoggettabili al principio della libera circolazione dei servizi previsto dal Trattato CEE; rispetto a tali servizi si poneva pertanto l'esigenza di un'armonizzazione normativa a livello comunitario.
  Il primo significativo risultato dell'opera di armonizzazione comunitaria nel settore fu rappresentato dalla direttiva 89/552/CEE (cd. «TV senza frontiere»). L'aspetto transfrontaliero delle trasmissioni televisive (presupposto tra l'altro per legittimare un intervento comunitario in materia) era risolto facendo ricorso al principio del paese di origine (secondo il criterio dello stabilimento, articolato sulla base di una molteplicità di parametri che indicassero l'effettivo stabilimento dell'emittente) e su quello del mutuo riconoscimento, in base al quale, una volta armonizzata la disciplina a livello comunitario, ciascun Paese membro doveva consentire la ritrasmissione sul proprio territorio di un contenuto legittimamente operante in altro Stato membro.
  La direttiva 89/552/CEE è stata successivamente oggetto di varie modifiche, tra cui particolare rilievo hanno assunto quelle apportate dalla direttiva 97/36/CE e dalla direttiva 2007/65/CE. Infine la direttiva 2010/13/UE, indicata comunemente come «direttiva sui servizi di media audiovisivi» (direttiva SMAV), ha riunito e coordinato in un unico testo codificato la disciplina dettata a livello di Unione europea in materia di fornitura di servizi di media audiovisivi.
  Come segnalato nel corso dell'indagine dall'AGCOM e dall'Accademia italiana per il codice di Internet, i servizi di media audiovisivi sono definiti dal diritto UE, come servizi sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico attraverso reti di comunicazione elettoniche. Il servizio deve consistere in immagini in movimento e può essere offerto in modalità lineare (quindi televisione analogica e digitale, la trasmissione televisiva su Internet quale il webcasting e il near video on demand) o non lineare (servizi a richiesta).
  La regolazione più consistente ed articolata riguarda le norme esclusivamente applicabili alle trasmissioni televisive lineari. Vengono disciplinati aspetti come il regime degli eventi di particolare rilevanza Pag. 7(che devono essere trasmessi su canali liberalmente accessibili); le quote di investimento e promozione di opere europee e di produzioni indipendenti; il regime della pubblicità televisiva (interruzioni e affollamenti); presidi a tutela dei minori; il regime relativo al diritto di rettifica.
  Per i servizi a richiesta, invece, la direttiva 2007/65/CE ha previsto una regolazione meno intrusiva in quanto, come ribadito dal considerando 58 della direttiva 2010/13/UE (che riproduce il considerando 42 della direttiva 2007/65/CE), «i servizi di media audiovisivi a richiesta si differenziano dalle emissioni televisive per quanto riguarda la possibilità di scelta e di controllo che l'utente può esercitare nonché in relazione all'impatto che hanno sulla società». Per i media non lineari sono comunque previste norme minime in materia di tutela dei minori, di prevenzione dell'odio razziale, di divieto della pubblicità occulta.
  In realtà, alla luce dell'evoluzione tecnologica, la disciplina dei media audiovisivi costituisce solo uno dei tre pilastri chiamati a regolamentare, in ambito UE, la circolazione dei contenuti audiovisivi in ambito digitale.
  Un secondo pilastro è rappresentato dalla disciplina dei «mezzi tecnici» vale a dire la connessione e i servizi correlati ad essa: si tratta della materia delle reti di comunicazione elettronica, la cui disciplina è ora recata del pacchetto di direttive del 2002 (direttive 2002/19/CE, «direttiva accesso»; 2002/20/CE, «direttiva autorizzazioni», 2002/21/CE, «direttiva quadro», 2002/22/CE, «direttiva servizio universale», 2002/77/CE «direttiva concorrenza»), come successivamente integrato dalla direttiva 2009/140/CE. La disciplina dell'Unione si è caratterizzata in materia per il superamento dei tradizionali monopoli pubblici nei servizi di telecomunicazione ma, dal 2002, si estende a tutte le reti e i sistemi utilizzati per la circolazione dei contenuti digitali. Finalità della disciplina risulta quella di garantire un adeguato livello competitivo dei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, a fianco di quella di garantire un accesso universale alle reti.
  L'articolo 2, primo paragrafo, lettera a) della direttiva quadro definisce reti di comunicazione elettronica tutti i sistemi di trasmissione che consentono di trasmettere segnali via cavo, via radio, a mezzo di fibre ottiche o con altri mezzi elettromagnetici, comprese le reti satellitari, le reti terrestri mobili e fisse (a commutazione di circuito o a commutazione di pacchetto, compresa Internet), le reti utilizzate per la diffusione circolare dei programmi sonori e televisivi, sistemi per il trasporto della corrente elettrica, nella misura in cui siano utilizzati per trasmettere i segnali, le reti televisive via cavo, indipendentemente dal tipo di informazione trasportato (principio di neutralità tecnologica).
  Caposaldo delle direttive del 2002 è la previsione di un'autorizzazione generale, in luogo di una concessione, per lo svolgimento dell'attività di operatore di rete (direttiva autorizzazioni). È stato inoltre stabilito (direttiva accesso) l'obbligo per i gestori di rete (in particolare per quelli che detengono un significativo potere di mercato) di offrire ad altre imprese l'accesso e l'interconnessione alla propria rete, rispettando parametri e condizioni imposte dalle autorità di regolamentazione nazionali. Con la direttiva servizio universale, infine, il legislatore dell'Unione europea ha posto alle imprese fornitrici di reti o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico l'obbligo di garantire al pubblico stesso, in tutti gli Stati membri, servizi di comunicazione elettronica di buona qualità, sulla base dei parametri individuati dalla medesima direttiva o stabiliti dalle autorità di regolamentazione nazionali.
  Un terzo pilastro è rappresentato dalla disciplina di alcune attività che si svolgono in Internet e che trovano (direttiva 2000/31/CE) una disciplina armonizzata a livello europeo: si tratta della disciplina del «commercio elettronico» che in realtà si applica a tutti i servizi della società dell'informazione, come definiti dalla direttiva: che realizzino scambi di beni e servizi dietro corrispettivo, che siano prestati a Pag. 8distanza, che avvengano su reti elettroniche, e siano forniti a richiesta.
  Per i servizi della società dell'informazione non è prevista un'autorizzazione per l'esercizio dell'attività, sono previsti alcuni requisiti per la disciplina dei contenuti (trasparenza del fornitore, trasparenza e correttezza, pubblicità) ed un regime di generale irresponsabilità per le informazioni fornite da terzi e meramente trasportate o memorizzate dagli intermediari (Internet service provider).

2.2. La normativa nazionale.

  Nel recepire la disciplina dell'Unione europea, il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005 (di seguito indicato come TUSMAR), come modificato dal decreto legislativo n. 44 del 2010, suddivide i soggetti della comunicazione in: 1) «operatori di rete», cioè titolari del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione elettronica su frequenze terrestri in tecnica digitale, via cavo o via satellite, e di impianti di messa in onda; 2) «fornitori dei servizi di media», cioè i soggetti (persone fisiche o giuridiche) cui è riconducibile la responsabilità editoriale della scelta del contenuto audiovisivo del servizio di media audiovisivo e che ne determinano le modalità di organizzazione.
  L'attività tanto di operatore di rete quanto di fornitore di servizi, compresi quelli a richiesta, è soggetta a un regime autorizzatorio e non più concessorio, come avveniva precedentemente al Testo unico. Le autorizzazioni sono rilasciate a livello nazionale dal Ministero per lo sviluppo economico sulla base dei criteri stabiliti dall'AGCOM e a livello regionale e locale dai competenti organi delle regioni e delle province; si tratta, ai sensi dell'articolo 15 (per gli operatori di rete) e 16 (per i fornitori di servizi) del TUSMAR, di autorizzazioni generali, che si esplicitano in procedure di silenzio assenso, analoghe a quelle previste per gli operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche, ai sensi dell'articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003. Le autorizzazioni generali previste dall'articolo 15 hanno durata non superiore a venti anni e non inferiore a dodici.
  Per i detentori delle autorizzazioni generali, i diritti d'uso delle frequenze elettromagnetiche vengono assegnate dal Ministero dello sviluppo economico secondo criteri che il Testo unico (articolo 42) definisce pubblici, obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Ciò avviene sulla base del piano nazionale di ripartizione delle frequenze, predisposto dal Ministero e aggiornato ogni cinque anni, e del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale, predisposto dall'AGCOM sentito il parere delle regioni.
  Il quadro legislativo italiano in materia audiovisiva è stato chiamato nello scorso decennio a disciplinare il passaggio, concluso nel luglio 2012, dalla tecnologia analogica alla tecnologia del digitale terrestre. In base alla tecnologia del digitale terrestre, il segnale radiotelevisivo, una volta digitalizzato (ossia trasformato in una sequenza numerica), può essere trasmesso «compresso» sulle frequenze terrestri: la compressione del segnale audiovisivo permette di moltiplicare il numero di canali trasmessi contemporaneamente da un'unica frequenza; conseguentemente, ogni singola frequenza (o multiplex) può trasportare un numero elevato di canali televisivi.
  Pertanto, il passaggio alla tecnologia del digitale terrestre ha determinato un «dividendo digitale esterno» e un «dividendo digitale interno».
  Il «dividendo digitale esterno» è rappresentato dalle frequenze in tecnica analogica liberate dal passaggio delle trasmissioni televisive alla tecnica digitale. I commi da 8 a 13 dell'articolo 1 della legge n. 220 del 2010 (legge di stabilità 2011) hanno destinato le frequenze nella banda da 790 a 862 Mhz (cd. «banda 800 Mhz») alla telefonia mobile. La gara, conclusasi il 29 settembre 2011, ha fatto registrare un incasso complessivo per l'Erario di quasi 4 miliardi di euro (3.945.295.100 euro).Pag. 9
  Il «dividendo digitale interno» è invece rappresentato dalle frequenze in tecnica digitale terrestre disponibili per le trasmissioni televisive, in quanto non già assegnate agli operatori nazionali esistenti. L'articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 16 del 2012 ha previsto che le frequenze siano assegnate mediante gara pubblica onerosa. Le procedure per l'espletamento della gara sono state disciplinate dall'AGCOM con la delibera 277/13/Cons dell'11 aprile 2013. La gara si è svolta nel giugno 2014 con l'assegnazione di uno dei tre lotti per un importo di poco più di 31 milioni di euro (31.626.000 euro).
  L'articolo 3-quinquies del decreto-legge n. 16 del 2012 prevede inoltre l'approvazione, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sulla base dei criteri stabiliti dall'AGCOM, di un nuovo sistema di contribuzione per i diritti d'uso delle frequenze televisive, da applicare progressivamente a partire dal 1o gennaio 2013, superando il precedente sistema previsto dalla legge n. 488 del 1999 basato su un versamento annuale legato al fatturato dell'operatore. I criteri in questione sono stati definiti dall'AGCOM con la delibera 494/14/Cons.
  Come segnalato dall'AGCOM nella delibera 277/13/Cons, i criteri di assegnazione e remunerazione delle frequenze risultano rilevanti per l'esito della procedura di infrazione dell'Unione europea n. 2005/2086, ancora aperta nei confronti dell'Italia ed avente ad oggetto l'incompatibilità di alcune disposizioni della legge n. 112 del 2004 («Norme di principio in materia di riassetto radiotelevisivo») e del TUSMAR con la direttiva 2002/21/CE («direttiva quadro»), la direttiva 2002/20/CE («direttiva autorizzazioni») e con la direttiva 2002/77/UE («direttiva concorrenza»). Al riguardo la delibera ricorda che «nel parere motivato del luglio 2007 la Commissione europea ha ritenuto la normativa nazionale in contrasto con il diritto comunitario nella misura in cui garantiva agli operatori già attivi in tecnica analogica una chiara e sostanziale protezione dalla concorrenza nel mercato radiotelevisivo digitale terrestre, escludendo la possibilità di accesso al mercato delle trasmissioni in tecnica digitale ad imprese che non fossero già operanti in analogico e concedendo agli operatori già attivi in tecnica analogica le frequenze per le trasmissioni in tecnica digitale senza procedure obiettive, proporzionate e non discriminatorie».
  In materia di assetto dello spettro frequenziale italiano sono inoltre recentemente intervenute specifiche disposizioni del decreto-legge n. 145 del 2013 (cd. «DL destinazione Italia») e della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014).
  In particolare, i commi 8, 9 e 9-bis dell'articolo 6 del decreto-legge n. 145 del 2013, come modificati da ultimo dai commi da 146 a 148 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015, prevedono l'esclusione da parte di AGCOM dalla pianificazione ed il rilascio, entro il 30 aprile 2015, delle frequenze del servizio digitale terrestre che abbiano causato situazioni di interferenza con i Paesi confinanti (comma 8), nonché un indennizzo per gli operatori interessati (comma 9) e l'obbligo dei titolari di diritti d'uso delle frequenze radio televisive locali di cedere almeno un programma agli operatori locali che abbiano volontariamente rilasciato le frequenze o a cui sia stato revocato il diritto d'uso (comma 9-bis).
  I commi 144 e 145 dell'articolo unico della legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) prevedono inoltre l'avvio da parte di AGCOM delle procedure per l'assegnazione di diritti d'uso di frequenze radioelettriche della banda 1452-1492 MHz (cd. «banda L»), banda da destinare ai servizi di comunicazione elettronica mobili per applicazioni Supplemental Down Link (cioè le tecnologie che consentono agli operatori di aumentare la velocità di download su rete mobile; attualmente la «banda L» è destinata per la TV su piattaforma mobile senza tuttavia che gli operatori la utilizzino in concreto per tale servizio).
  Il TUSMAR prevede anche una disciplina anticoncentrazione (articolo 43). Questa individua limiti al cumulo dei programmi ed alla raccolta delle risorse, questi ultimi calcolati innovativamente in rapporto Pag. 10ai ricavi dei settori che compongono il «sistema integrato delle comunicazioni» (SIC, ossia settore economico che comprende la stampa quotidiana e periodica, l'editoria annuaristica ed elettronica anche per il tramite di Internet, radio e televisione, cinema, pubblicità esterna, iniziative di comunicazione di prodotti e servizi e sponsorizzazioni). In particolare, la legge prevede che un medesimo fornitore di contenuti, anche attraverso società controllate o collegate, non possa essere titolare di autorizzazioni che consentano di diffondere più del 20% del totale dei programmi (rispettivamente, televisivi o radiofonici), irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale, mediante le reti previste dal piano nazionale di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale. Si prevede inoltre che il limite alla raccolta delle risorse del sistema integrato delle comunicazioni sia individuato nel 20% dei ricavi complessivi e che gli organismi di telecomunicazioni i cui ricavi nel mercato dei servizi di telecomunicazioni siano superiori al 40% dei ricavi complessivi di quel mercato non possano conseguire ricavi superiori al 10% dei ricavi del settore integrato delle comunicazioni. Merita segnalare che da ultimo il decreto-legge n. 63 del 2012 ha incluso nei ricavi rilevanti anche quelli derivanti dalla pubblicità on line e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta, incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione, e dalla utilizzazione delle opere cinematografiche nelle diverse forme di fruizione del pubblico. È fatto infine divieto ai soggetti che esercitano l'attività televisiva in ambito nazionale su qualunque piattaforma, i quali conseguono ricavi superiori all'8% del SIC, e alle imprese del settore delle comunicazioni elettroniche che detengono una quota superiore al 40% dei ricavi di detto settore, di acquisire partecipazioni in imprese editrici di quotidiani o partecipare alla costituzione di nuove imprese editrici di quotidiani, esclusi i quotidiani diffusi unicamente in modalità elettronica. Tale divieto, inizialmente previsto sino al 31 dicembre 2010, è stato da ultimo prorogato al 31 dicembre 2015 dall'articolo 3 del decreto-legge n. 192 del 2014.
  Il TUSMAR ha anche rivisto la disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo (articoli 45-49). Il TUSMAR (articolo 49) ha confermato l'affidamento di tale servizio mediante concessione fino al 6 maggio 2016 alla società RAI SpA (a totale azionariato pubblico: 99,56% Ministero dell'economia; parte rimanente SIAE). L'articolo 49 non fornisce peraltro indicazioni sulle modalità di rinnovo della concessione per il periodo successivo al 2016. I rapporti tra Stato e RAI per l'erogazione del servizio pubblico sono regolati da contratti di servizio pubblico di durata triennale. Il contratto di servizio pubblico radiotelevisivo per il periodo 2013-2015 (atto n. 31) è stato esaminato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza sui servizi radiotelevisivi, che ne ha concluso l'esame il 7 maggio 2014.
  In materia, il TUSMAR ha poi introdotto l'obbligo per la società concessionaria di destinare i ricavi derivanti dal gettito del canone ai soli oneri sostenuti per la fornitura del servizio pubblico, prevedendo, a tale scopo, la tenuta di una contabilità separata, soggetta al controllo di una società di revisione in posizione di indipendenza.
  Il TUSMAR è anche intervenuto in materia di organizzazione e amministrazione della società RAI, con la modifica della composizione e della procedura di nomina dei membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, nonché della procedura di nomina del presidente, prevedendo meccanismi di tutela delle minoranze. Il consiglio di amministrazione è composto da nove membri; la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi indica sette membri eleggendoli con il voto limitato a uno; i restanti due membri, tra cui il presidente, sono invece indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Il presidente del consiglio di amministrazione è nominato previo parere favorevole espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti della Commissione.Pag. 11
  Le previsioni in materia di disciplina dei servizi di media audiovisivi recate, a livello di Unione europea, dalla direttiva 2007/65/CE, sono state recepite nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 44 del 2010, che ha ampiamente modificato il TUSMAR.
  In particolare, il decreto legislativo ha previsto quote di riserva a favore della diffusione di opere europee indipendenti degli ultimi cinque anni (10% degli introiti netti annui per le emittenti televisive private, compresa la pay per view, e 15% per la RAI).
  Il decreto legislativo n. 44 del 2010 ha anche previsto la predisposizione da parte di AGCOM di un piano di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre. In materia, al termine di un lungo contenzioso, la sentenza n. 4541/2014 dell'8 settembre 2014 del Consiglio di Stato, rigettando anche i ricorsi per revocazione, ha definitivamente confermato l'annullamento del piano approvato da AGCOM con la delibera n. 366/10/Cons, che era stato disposto con la sentenza n. 4660/2012 del 31 agosto 2012. Alla predisposizione del piano dovrà ora procedere un commissario «ad acta», nominato dallo stesso Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza, con la sentenza n. 6021/2013 del 16 dicembre 2013.
  Il decreto legislativo n. 44 del 2010 ha infine previsto l'imposizione ai servizi di media audiovisivi del rispetto dei diritti di autore nonché l'attribuzione all’ AGCOM del potere di emanare disposizioni regolamentari in materia. In attuazione di tale disposizione l'AGCOM ha adottato, con la delibera 680/13/Cons del 12 dicembre 2013, il regolamento per la tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica, entrato in vigore il 1o aprile 2014.
  La questione è stata da ultimo rimessa alla Corte costituzionale dal TAR del Lazio con due diverse ordinanze pubblicate il 26 settembre 2014, nell'ambito di ricorsi con i quali veniva chiesto l'annullamento dello stesso regolamento. Il TAR, pur giudicando infondate nel merito le censure rivolte ai poteri dell'AGCOM in esso previsti, in particolare gli strumenti amministrativi di rapido intervento per le violazioni su Internet, ha tuttavia rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità in relazione ad alcuni articoli del decreto legislativo n. 70 del 2003 (decreto sul «commercio elettronico») e del TUSMAR sulla base delle quali è stato emanato il regolamento. Il TAR nelle ordinanze ritiene tra le altre cose che la legislazione vigente attribuisca ad AGCOM, in veste di amministrazione vigilante come previsto dalla legge, il potere di adottare provvedimenti recanti l'ordine di rimozione dei contenuti del web o di oscuramento dei siti immediatamente precettivi nei confronti degli operatori della rete. Le ordinanze segnalano tuttavia la tendenziale non coincidenza, rispetto ai soggetti che hanno effettivamente violato il diritto d'autore, dei soggetti destinatari del gravoso ordine amministrativo di rimozione dei contenuti dalla rete o di oscuramento dei siti (gli operatori e gli utenti del web), con il coinvolgimento di altri diritti costituzionalmente protetti, quale la libertà di manifestazione del pensiero di cui all'articolo 21 della Costituzione. In altre parole, secondo la valutazione del TAR in sede di rimessione alla Corte costituzionale, la legislazione vigente non consentirebbe un'adeguata ponderazione fra i diversi interessi costituzionalmente protetti, risultando la norma imperniata solo sulla necessità di adeguatezza e tempestività dell'intervento.

3. Gli elementi emersi nell'indagine: il contesto tecnologico, le iniziative de jure condendo dell'Unione europea e il settore dei media audiovisivi in Italia.

3.1. Il processo di convergenza.

  Il quadro normativo che si è fin qui ricostruito appare, questa è la valutazione unanime dei soggetti auditi nel corso dell'indagine, fortemente messo in discussione dagli sviluppi della tecnologia del settore, sviluppi che appaiono caratterizzati dal fenomeno della convergenza.
  La consultazione bandita dalla Commissione europea, sopra richiamata, definisce Pag. 12la convergenza come la fusione progressiva tra i servizi tradizionali di emittenza televisiva e Internet, da cui emergono molteplici possibilità di visione: dai televisori a cui è aggiunta la connettività a Internet (entro il 2016 la maggioranza delle famiglie che vivono nell'Unione europea, secondo le indicazioni contenute nello stesso libro verde, sarà in possesso di un televisore dotato di connettività) alla fruizione dei contenuti audiovisivi mediante computer fissi e portatili, tablet, smartphone e altri dispositivi mobili.
  L'indagine conoscitiva in corso da parte di AGCOM in vista della redazione di un libro bianco sulla Televisione 2.0 nell'era della convergenza rileva come nel 2013 oltre il 30% degli apparecchi televisivi distribuiti in tutto il mondo appartenga alla categoria delle smart tv. Si tratta cioè di apparecchi con funzioni che ne rendono possibile la connessione immediata, tramite collegamento wi-fi o ethernet, a una rete a banda larga, oltre che alle reti broadcasting tradizionali. Le smart tv mettono quindi sostanzialmente sullo stesso livello la fruizione di servizi on line e di quelli televisivi tradizionali. Ciò avviene attraverso standard tecnologici, come l'MHP (Multimedia Home Platform) e l'HBBTV (Hybrid-Broadband-Broadcasting TV) che consentono la diffusione di entrambe le tipologie di contenuti (on line e broadcasting).
  In Italia, nel 2013, il 17% della popolazione risulta in possesso di una smart tv; valori analoghi si registrano nel Regno Unito (17%), in Spagna (16%) e in Germania (19%), mentre più bassa risulta la diffusione di queste apparecchiature in Francia (12%) e negli USA (12%).
  Per quanto riguarda l'utilizzo, sempre sulla base dei dati AGCOM relativi al 2013, si registra peraltro che l'85% degli utenti seguono i programmi televisivi mediante apparecchi tradizionali, il 35% utilizza la TV satellitare, il 20% dichiara di guardare la TV utilizzando un computer (fisso o portatile), mentre guardano la TV utilizzando le possibilità di connessione ad Internet delle smart tv soltanto l'8% degli utenti e usano lo smartphone o il tablet rispettivamente il 7% e il 6% degli utenti. Questi ultimi dati dimostrano, come rilevato dall'AGCOM, che un'ampia fetta di utenti, pur essendo in possesso di apparecchiature all'avanguardia, come è il caso delle smart tv, non usano o usano assai raramente le caratteristiche specifiche di tali strumenti.
  Inoltre, come segnalato nel corso dell'indagine da Fastweb, si registra un'asimmetria di sviluppo tra USA ed Europa occidentale: se negli USA il traffico video rappresenta il 78% del traffico Internet totale (con il 49% per il traffico video in alta definizione), in Europa occidentale la percentuale del traffico video scende al 59% e quella del traffico video in alta definizione è al 37%. In Italia la percentuale di traffico video in alta definizione su Internet scende al 16%.
  Il processo tecnologico di convergenza ha dato vita, osserva l'indagine AGCOM, a diverse piattaforme idonee a veicolare sia contenuti on line sia broadcasting. In particolare, Internet Protocol Television (IPTV) è il termine usato per il segnale televisivo e/o audiovisivo che viene distribuito ai sottoscrittori/utenti usando il protocollo Internet. La IPTV è trasmessa su una rete a banda larga che, controllata direttamente dal service provider (operatore delle telecomunicazioni o operatore televisivo), opera sulla base di livelli garantiti (almeno a livello minimo) di qualità del servizio.
  Dalla IPTV si distingue la Web TV che infatti è trasmessa direttamente sulla rete Internet e non può essere quindi controllata direttamente da un service provider.
  Una fattispecie ancora diversa è rappresentata dagli Over The Top television (OTT). Con questa espressione si fa riferimento a quelle piattaforme televisive o audiovisive gestite da società i cui servizi sono primariamente veicolati attraverso infrastrutture di rete di terzi e che in tal senso agiscono al di sopra (over the top) delle reti.
  A livello internazionale sono proprio gli OTT ad apparire in grande espansione, come segnalato dalla continua crescitadi Pag. 13piattaforme come Youtube (acquistata nel 2006 da Google), per la condivisione di filmati, Netflix, per la fornitura in streaming di film e altro materiale audiovisivo, Google Play, come servizio di video on demand. A questi operatori si devono aggiungere operatori over the top ibridi, come Apple, Amazon, Microsoft, Samsung, che provengono da altre attività (come la produzione di hardware o di software), ma che conseguono quote crescenti di profitto dalla diffusione di contenuti audiovisivi on line. Si tratta di un'espansione che testimonia l'affermazione di modelli di business sempre più content-oriented e volti anche allo sfruttamento dei big data e delle nuove tecniche di profilazione dell’audience, che è consentita dall'evoluzione tecnologica e dalla struttura verticalmente integrata di molte società che operano nel settore, assommando funzioni di motore di ricerca e di prestazione di servizi di diversa natura (ad esempio Google). La fornitura dei medesimi servizi su dispositivi mobili rende ancora più agevole la profilatura dell'utente.

3.2. Le risposte all'evoluzione tecnologica: la fase de jure condendo dell'Unione europea.

  Come emerso nell'indagine, l'evoluzione tecnologica in corso risulta centrale nelle proposte legislative attualmente all'esame delle istituzioni UE.
  Come già si è accennato, il recente libro verde sui media audiovisivi prospetta interventi di assoluta rilevanza come l'adattamento della definizione dei fornitori di servizi di media audiovisivi in modo da includervi i soggetti (come gli OTT) attualmente esclusi. Il Libro verde prospetta anche l'attribuzione di un significativo spazio, nella disciplina della materia, all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione. Il Libro verde invita inoltre ad approfondire se non sia opportuno un intervento delle autorità pubbliche sui meccanismi di filtraggio predefiniti, per esempio nei motori di ricerca, per evitare l'eventuale interferenza dei fornitori delle piattaforme web con le scelte degli utenti. Altri temi all'attenzione del legislatore europeo attengono alle modalità per garantire l'accesso, in un ambiente tecnologico «convergente», ai contenuti di interesse generale e per garantire un'adeguata tutela delle opere indipendenti europee.
  Alla materia audiovisiva si collegano poi le proposte legislative già in itinere contenute nel pacchetto «Continente connesso». In particolare, la proposta di regolamento che stabilisce misure riguardanti il mercato unico europeo delle comunicazioni elettroniche (articolo 23) da un lato fissa il diritto di tutti gli utenti ad un accesso aperto ad Internet, dall'altro prevede la possibilità per gli operatori di differenziare l'offerta con servizi di qualità superiore rispetto all'Internet access (paid prioritization) ma a patto che questo non pregiudichi la normale qualità di quei servizi di accesso di base. Per il traffic management, si fissa il principio dell'eguale trattamento di tutto il traffico ma al contempo si ammette la possibilità di misure ragionevoli di gestione del traffico, subordinandole però ad alcune circostanze di carattere specifico ed eccezionale. Si tratta di proposte che hanno suscitato un ampio dibattito, in particolare per quanto riguarda l'esigenza di garantire la neutralità della rete.
  Il tema della neutralità della rete è affrontato dal legislatore dell'Unione europea in connessione con quello della regolamentazione degli OTT. Il ruolo attivo delle istituzioni UE a tutela di una rete aperta, libera e non discriminatoria è infatti giustificato anche dall'esigenza di evitare che eventuali accordi diretti tra operatori e OTT creino barriere finanziarie per i nuovi entranti, a detrimento dell'innovazione che è all'origine dello sviluppo di Internet.
  Da ultimo, la Commissione europea, in data 6 maggio 2015, ha adottato la comunicazione Strategia per un mercato unico digitale in Europa, con cui si annuncia la presentazione di una riforma della direttiva sui servizi dei media audiovisivi in modo da prevedere, per tutti gli operatori del mercato audiovisivo (con una specifica Pag. 14attenzione ai nuovi modelli di diffusione dei contenuti), un unico quadro regolatorio, in particolare per quanto concerne la promozione delle opere europee, la protezione dei minori e la pubblicità.
  La strategia annuncia anche, entro la fine del 2015, la pubblicazione di un'analisi dettagliata sul ruolo delle piattaforme on line (quali motori di ricerca, social media, app store); tale analisi affronterà, tra gli altri aspetti, anche quelli relativi alla mancanza di trasparenza dei risultati di ricerca e delle politiche in materia di prezzi e alle relazioni tra piattaforme e fornitori.

3.3. Il mercato audiovisivo in Italia.

  Nel contesto italiano, l'evoluzione tecnologica in atto si è andata a sovrapporre con la transizione della trasmissione televisiva alla tecnologia del digitale terrestre. L'indagine conoscitiva ha consentito di «fotografare» l'assetto del sistema audiovisivo all'esito di questo processo.
  In base ai dati forniti alla Commissione da Confindustria Radio TV, il settore radiotelevisivo esprime (anno 2012) un valore economico pari a 9,5 miliardi di fatturato, dà lavoro a 30.000 addetti diretti, oltre a circa 90.000 nell'indotto. Ammontano ad oltre 2 miliardi gli investimenti della TV nella produzione indipendente negli ultimi quattro anni. Sono 192 i canali/servizi nazionali. Nelle TV nazionali un dipendente su dieci è giornalista professionista, mentre nelle TV locali lo è uno su tre.
  Ulteriori dati sono stati forniti da AGCOM. Sulle dimensioni economiche complessive del settore la pubblicità raccolta attraverso i media audiovisivi e radiofonici tradizionali rappresenta ancora la quota assolutamente preponderante, mentre risulta in crescita la raccolta pubblicitaria on line (8% del totale delle risorse). Di poco inferiore è l'incidenza delle offerte a pagamento, mentre il peso del canone televisivo incide per il 20%.
  La raccolta pubblicitaria nel suo complesso incide per il 40%. Come rilevato dall'indagine conoscitiva svolta dall'Autorità nel 2012 il settore registra un elevato livello di concentrazione nella raccolta pubblicitaria per l'esistenza di un sistema di relazioni triangolari tra inserzionisti, centri media e broadcaster, che incide negativamente sul funzionamento del mercato.
  Più in generale, l'AGCOM ha segnalato l'elevato grado di concentrazione nel settore audiovisivo italiano. Oltre il 90% di tutti i ricavi televisivi risulta detenuto da tre soggetti: Sky, con una posizione di assoluta leadership nella televisione a pagamento (con una quota di mercato di oltre il 75% nella TV a pagamento), RAI e Mediaset (con una quota di mercato di oltre l'85% nella TV free). Altri operatori nuovi entranti nella TV digitale terrestre come il gruppo Cairo (La7 e La7d) e Discovery raggiungono comunque quote di ascolti non marginali, a testimonianza di un ampliamento dell'offerta conseguente all'introduzione del digitale terrestre.
  L'AGCOM ha anche segnalato alla Commissione come la televisione in chiaro si configuri ancora come l'unico mezzo in grado di raggiungere tutte le fasce della popolazione, indipendentemente dalla loro connotazione sociale, economica, culturale e geografica.
  Nel panorama italiano, il mezzo televisivo classico rimane lo strumento ancora prevalente di intrattenimento e comunicazione mentre Internet si candida ormai a diventare il secondo mezzo di intrattenimento (scavalcando la radio) e di informazione (scavalcando i giornali), in una situazione caratterizzata in particolare dalla crisi della comunicazione a stampa.
  Come già si è accennato le smart tv occupano in Italia allo stato solo il 17% del mercato (e solo il 16% del traffico Internet è rappresentato da contenuti video in alta definizione). In Italia, infatti, i tradizionali fornitori di contenuti audiovisivi, sempre in base alle risultanze dell'indagine AGCOM, appaiono ancora occupare una posizione prevalente nel panorama complessivo dell'offerta di contenuti audiovisivi. I medesimi fornitori hanno peraltro avviato iniziative nel settore delle nuove tecnologie. Attraverso IPTV Mediaset ha Pag. 15lanciato l'offerta «Infinity», svincolata dall'offerta pay-tv tradizionale e utilizzabile da qualsiasi terminale connesso ad Internet. Sky ha la propria offerta on demand e anche Telecom Italia opera mediante IPTV. Tuttavia l'offerta di IPTV in Italia appare ostacolata dalla forte offerta di televisione generalista e di televisione satellitare pay. Un riscontro di queste difficoltà può essere individuato nel fatto che nella gara indetta dalla Lega Calcio per i diritti in esclusiva relativi alla trasmissione mediante Internet delle partite del campionato per gli anni 2015-2018 non sono pervenute manifestazioni di interesse, neanche da parte degli OTT.

4. Gli elementi emersi dall'indagine: profili problematici.

  Da quanto si è fin qui esposto, emerge chiaramente come il processo di evoluzione tecnologica in atto vada nella direzione di un superamento della distinzione tra comunicazioni elettroniche e media audiovisivi, distinzione sulla quale si è invece fin qui fondato l'assetto normativo. L'indagine conoscitiva ha fatto chiaramente emergere i delicati problemi di regolazione del settore che questa evoluzione pone, in coerenza con le valutazioni delle istituzioni dell'Unione europea in materia.
  In generale, il Parlamento europeo nel suo rapporto The Challenges of connected TV (2013) ha indicato questi principali «temi regolamentari»: tutela della privacy (in relazione alla data retention, alla tutela dei minori, alla diffamazione, al diritto di replica e al diritto all'oblio); profili antitrust (possibili abusi di posizione dominante o di discriminazione di prezzo derivanti dall'integrazione verticale di fornitori di contenuti o dall'aspirazione al consolidamento sul mercato, attraverso la distribuzione di contenuti premium, dei player OTT); tutela delle produzioni comunitarie (ruolo delle produzioni originali dei player OTT non europei e capacità dei player tradizionali di investire nei contenuti alla luce della crescita del consumo non lineare); accesso e visibilità dei contenuti (listing dei contenuti e posizionamento possono influenzare, specie sui motori di ricerca, l'accesso ai contenuti da parte degli utenti finali); standard tecnici ed interoperabilità (l'alta frammentazione degli standard e delle soluzioni tecnologiche potrebbe comportare problemi di interoperabilità per le smart tv).
  Con riferimento più specifico ai temi oggetto dell'indagine, i problemi in questione sono opportunamente indicati dagli esiti della consultazione pubblica sul Libro verde Prepararsi a un mondo audiovisivo della piena convergenza: crescita, creazione e valori avviata dalla Commissione europea.
  In base a tali esiti, in realtà, solo un piccolo numero di autorità pubbliche allo stato risulta favorevole ad una revisione della differenza di regolamentazione prevista dalla direttiva per i servizi lineari e non lineari (cosiddetto approccio graduato). I favorevoli alla revisione in alcuni casi optano per una liberalizzazione dei servizi lineari (per esempio con l'eliminazione dei limiti quantitativi alla pubblicità), mentre in altri casi richiedono il livellamento verso l'alto dei servizi non lineari (per esempio aumentando gli standard di protezione per i minori). Altre autorità pubbliche sostengono l'attuale approccio graduato, non registrando distorsioni del mercato o ritenendo che servizi lineari e non lineari appartengano a mercati separati. Il settore privato ha opinioni miste, con una tendenza a sostenere l'attuale differenza di regolamentazione. Alcuni soggetti richiedono una regolamentazione più stringente del lineare da applicare soltanto a pochi servizi di interesse generale (vedi le news) o a quelli con maggiore audience.
  Sull'opportunità di un intervento delle autorità pubbliche sui meccanismi di filtraggio predefiniti, alcuni fra autorità statali, regolatori e altri soggetti interessati sono favorevoli alla possibilità di un intervento pubblico, senza tuttavia specificare nel dettaglio a quale livello debba essere condotto. In generale, gli esiti della consultazione propongono di puntare sulla Pag. 16trasparenza del meccanismo di funzionamento del filtraggio. Altri considerano il quadro giuridico attuale sufficiente. Altri ancora vedono in un'azione del genere un potenziale pericolo per la libertà dei media ed il pluralismo e suggeriscono che questi temi siano affrontati dalla comunità dei tecnici e dal mercato.

4.1. Le conseguenze della «rivoluzione tecnologica»: regolamentazione degli OTT; neutralità della rete e tutela del diritto d'autore on line.

  Tra i temi sopra richiamati, nel corso dell'indagine conoscitiva ha trovato in primo luogo spazio quello della regolamentazione degli OTT. Si tratta di un aspetto che peraltro si colloca all'interno della più ampia riflessione sulla tutela dei diritti in Internet, oggetto di riflessione nell'ambito dell'apposita Commissione di studio istituita dalla Presidenza della Camera. Questa riflessione ha un'importanza fondamentale per gli sviluppi della vita democratica, come testimoniato dalle diverse proposte, presentate su iniziativa parlamentare, di inserire nella Parte Prima della Costituzione il diritto di accesso gratuito e universale alla rete.
  Per quanto attiene agli aspetti oggetto dell'indagine conoscitiva, numerosi soggetti intervenuti nell'indagine (Rai, Mediaset, Sky, Confindustria digitale, Confindustria Radio-TV, Viacom) hanno infatti segnalato come, per quanto la televisione rimanga di gran lunga il principale mezzo di intrattenimento e di informazione, operatori OTT quali Google, Amazon, Netflix ed Apple si trovano a competere con i tradizionali operatori televisivi da una posizione di vantaggio che attiene anche a specifici aspetti regolamentari. Ciò in un contesto in cui peraltro, come rilevato da AGCOM, le condizioni di offerta mostrano anche segnali di aumento della concorrenza tra servizi lineari e non lineari, che offrono sullo stesso schermo lo stesso contenuto allo stesso pubblico. Il quadro complessivo prefigura pertanto un «abbattimento dei confini» tra le diverse modalità di diffusione di contenuti audiovisivi, con la conseguenza di rendere necessaria una nuova individuazione del «mercato rilevante» sotto il profilo della concorrenza e del pluralismo (su tale punto ha convenuto anche IT-Media Consulting).
  In proposito, Wind e Telecom hanno sottolineato come tutti i principali operatori del settore audiovisivo si stiano accordando con i principali player di telecomunicazioni per veicolare offerte cd. «4-play» (telefonia fissa, mobile, Internet e televisione), caratterizzate da contenuti via via crescenti. Esperienze in tal senso sono state citate anche nelle audizioni di Sky (che ha creato l'offerta «Sky on demand») e di Mediaset (che ha creato «Infinity»). Una valutazione critica su queste ultime offerte è stata avanzata da Fastweb che ha rilevato il rischio che si tratti di operazioni «di carattere difensivo», non finalizzate a sviluppare un mercato di video on demand, bensì ad evitare la cannibalizzazione delle proprie offerte principali e a tutelare la fonte principale di ricavo, attraverso offerte che risulterebbero spesso «timide o poco pubblicizzate, in ogni caso non finalizzate a conquistare ampie fette di pubblico ma più che altro ad occupare uno spazio di mercato».
  In questo quadro gli operatori OTT non sono vincolati dalle medesime norme previste per i broadcaster tradizionali in tema di autorizzazioni, quote di investimento e produzione, tutela dei minori e tetti pubblicitari. L'AGCOM ha segnalato, sulla base dei risultati della recente indagine conoscitiva sul settore dei servizi di Internet e sulla pubblicità on line, la struttura tendenzialmente oligopolistica dei diversi mercati ove si muovono i maggiori operatori del web, sia nei mercati a monte (sistemi operativi, browser, device fissi e mobili) sia nei mercati a valle (search, social, raccolta pubblicitaria on line, e-commerce); si registra inoltre un incessante processo di integrazione verticale che risponde ad una strategia di platform envelopment, in cui l'acquisizione dei dati personali degli utenti costituisce sempre più l’asset strategico essenziale. Più in generale, si delinea una tendenza alla creazione Pag. 17di «walled garden», di modelli chiusi basati sullo sviluppo di interfacce proprietarie, in cui coloro che creano o gestiscono i portali hanno il potere di decidere a monte quali contenuti veicolare e a quali di essi garantire priorità attraverso le funzioni di filtraggio e di ricerca.
  A questo si collegano, come evidenziato nel corso dell'indagine, in particolare dal gruppo «L'Espresso», le conseguenze sul mercato pubblicitario derivanti dalla gestione da parte di OTT, come Google o Facebook, dei dati personali degli utenti. Si tratta del programmatic advertising, o «pubblicità automatizzata», vale a dire la vendita in tempo reale attraverso aste (Real-Time Bidding) di spazi pubblicitari destinati ad utenti «profilati» (dei quali cioè si conoscono già, ad esempio attraverso le ricerche svolte dall'utente stesso su motori di ricerca, gusti e preferenze). Per gli inserzionisti il vantaggio è di pagare solo per il pubblico che vogliono raggiungere, evitando sprechi, con effetti di «spiazzamento» rispetto al tradizionale mercato pubblicitario sui media audiovisivi.
  L'AGCOM ha altresì segnalato come l'operato degli OTT ponga profili problematici anche rispetto al principio di territorialità dei contenuti audiovisivi trasmessi on line: questi infatti, anche se destinati al mercato UE sono spesso originati in mercati extra-UE, con la conseguente possibile elusione di obblighi fiscali e di altra natura.
  Al riguardo, Sky ha quindi proposto una nuova complessiva «regolamentazione leggera» che coinvolga sia gli operatori OTT sia i broadcaster tradizionali. Anche Discovery Italia ha rilevato che sia gli operatori tradizionali sia i nuovi entranti si muovono ormai in un unico mercato per il quale è necessario prevedere una nuova normativa unica.
  Sull'altro versante, Google Italy nella sua audizione ha concordato sull'esigenza di una nuova «regolamentazione leggera» per tutti i contenuti audiovisivi che si «muovono» nell'ambiente digitale, richiamando le valutazioni dell'ex-commissario Kroes sulle opportunità offerte, in un settore caratterizzato dalla rapida evoluzione tecnologica, dagli strumenti di autoregolamentazione e coregolamentazione (l'importanza della coregolamentazione è stata segnalata anche da Confindustria digitale). Google Italy ha comunque sottolineato il carattere pluralistico di Internet, per cui il motore di ricerca della società USA rappresenta comunque solo uno dei possibili strumenti di accesso ai contenuti, in concorrenza con l'accesso diretto ai siti o con le apps. Inoltre, la società ha sottolineato il valore positivo, nell'ottica di promozione del pluralismo, rappresentato dalla maggiore facilità di accesso alla produzione e diffusione di contenuti audiovisivi che Google, attraverso la sua controllata Youtube, garantisce. Nell'audizione, Google Italy si è anche espressa sulla risoluzione del Parlamento europeo del 27 novembre 2014, che ha segnalato l'esigenza, ai fini di tutelare la concorrenza sulla rete, di una separazione societaria tra l'attività di Google come motore di ricerca (settore nel quale detiene una posizione dominante) e le altre attività commerciali del gruppo. In proposito, Google Italy, nel segnalare la necessità di attendere comunque le conclusioni dell'indagine avviata dalla Commissione europea sul punto (in realtà aperta fin dal 2010), ha rilevato di non ritenere necessario l'applicazione nel settore di strumenti antitrust, sostenendo che, in un comparto caratterizzato da un alto tasso di innovazione, sono pressoché inesistenti barriere all'ingresso di nuovi operatori. Al riguardo deve essere peraltro segnalato che l'indagine nei confronti di Google ha conosciuto un significativo sviluppo il 15 aprile 2015 con l'addebito formale, da parte della Commissione europea alla società, di un presunto abuso di posizione dominante da parte dell'azienda sui mercati dei servizi generali di ricerca on line nello Spazio economico europeo (SEE). Secondo la Commissione, Google favorirebbe sistematicamente il proprio prodotto per gli acquisti comparativi nelle sue pagine generali che mostrano i risultati delle ricerche. La formalizzazione delle «accuse» nei confronti di Google non pregiudica comunque l'esito dell'indagine.Pag. 18
  Il tema della regolamentazione degli OTT si collega, come si è visto in precedenza, a quello della neutralità della rete. In proposito, l'Accademia italiana del codice di Internet ha osservato come, rispetto alla proposta di regolamento UE, un approccio più netto in difesa della neutralità della rete sia stato espresso dalla Federal Communications Commission USA che ha deciso di regolare l'accesso alla banda larga come un servizio di telecomunicazione sotto il Telecommunication Act del 1934. Questo significa il superamento della precedente regolazione USA, che invece ammetteva la paid prioritization, considerata ora contraria alla garanzia di un Internet veloce, equo e aperto per tutti.
  Sul tema, tra i soggetti auditi, Wind ha invitato ad un approccio non ideologico, segnalando la necessità di una gestione intelligente del traffico secondo logiche di ottimizzazione, mentre Confindustria digitale ha sostenuto che la fornitura attraverso la rete di livelli specifici di qualità per l'utente finale sulla base di accordi fra i diversi soggetti coinvolti nella fornitura di applicazioni/servizi/contenuti può avvenire liberamente, a condizione però che sia garantito per tutti un livello adeguato di qualità dell'accesso Internet. Assoprovider ha sottolineato invece l'esigenza di una forte difesa della neutralità della rete.
  Nell'indagine è chiaramente emersa infine la preoccupazione per la tutela del diritto d'autore nel nuovo ambiente tecnologico determinato dall’«abbattimento dei confini» tra televisione, Internet e telefonia.
  La crescita di Internet e la convergenza hanno infatti portato con sé un'esplosione della pirateria informatica e del fenomeno, diverso per dimensioni e modalità, ma altrettanto dannoso negli effetti, dello sfruttamento commerciale abusivo tramite Internet di contenuti che dovrebbero invece essere protetti sulla base della normativa a tutela della proprietà intellettuale e del diritto d'autore. Si tratta di attività che arrecano danni economici pesantissimi, in particolare, agli investimenti nella produzione di contenuti, con la conseguenza di disincentivare l'impegno del settore televisivo nella realizzazione di opere che abbiano rilevanza culturale. In base ai dati forniti alla Commissione dalla FAPAV, i ricavi persi in Italia nel 2011 a causa della pirateria informatica ammontano a 496 milioni di euro, mentre nel 2014 si sono registrate in media ogni giorno in Italia 1.239.000 visioni illecite di contenuti audiovisivi.
  L'AGCOM, sulla base di una specifica disposizione del TUSMAR che affida all'Autorità tale compito, ha adottato un regolamento volto a definire una procedura amministrativa, che, pur assistita dalle necessarie garanzie, permetta di tutelare in modo efficace e rapido il diritto d'autore on line, contrastando la pirateria digitale. Per quanto l'iniziativa adottata da AGCOM abbia ricevuto, nel corso dell'indagine conoscitiva, numerosi apprezzamenti, molti soggetti auditi (FAPAV, SIAE, FIMI, associazioni datoriali e professionali, Mediaset, Sky, Confindustria Radio-TV, Viacom, CGIL-SLC, Vodafone) hanno invitato a porre in essere gli interventi necessari perché la protezione del diritto d'autore contro ogni forma di utilizzazione abusiva a mezzo Internet possa essere resa ancora più efficace, rapida e veramente tempestiva. Si è infatti osservato che proprio sulla base del presupposto per cui le tecnologie di trasmissione devono essere considerate come mezzi alternativi per veicolare contenuti audiovisivi, occorre, quale che sia la tecnologia utilizzata, tutelare i diritti di esclusiva, a difesa di chi investe nella produzione e acquisizione di tali contenuti. Per questo, si è altresì sostenuto, che non possono essere condivise le pretese di limitazione di responsabilità di soggetti che sfruttano, per raccogliere pubblicità, contenuti audiovisivi su Internet, coperti da diritti di esclusiva.
  Al tempo stesso, come segnalato tra gli altri da AGCOM, si pone l'esigenza di un adattamento al nuovo contesto tecnologico del concetto di responsabilità editoriale: nel mondo della rete, infatti, il concetto di responsabilità editoriale tende a «sfumare» e tutta una serie di operatori tendono ad operare in «un'area grigia». Nel corso dell'indagine è stata ad esempio evidenziata Pag. 19la difficoltà di qualificare il tipo di responsabilità imputabile ad un motore di ricerca che pur non essendo editorialmente responsabile in senso tradizionale dei contenuti veicolati attraverso le ricerche, compie, attraverso i suoi algoritmi di funzionamento, scelte di priorità dei risultati della ricerca sempre più rilevanti (si consideri ad esempio la recente decisione di Google, poi ritirata, di non condividere pubblicamente immagini e video sessualmente espliciti o che mostrano nudità sulla sua piattaforma di blog, Blogger, a meno che il contenuto non risulti di pubblica utilità, in un contesto artistico, didattico, documentario o scientifico).

4.2. La regolamentazione dei contenuti audiovisivi.

  L'indagine ha fatto poi emergere profili problematici specificamente connessi con la disciplina italiana dei contenuti audiovisivi. L'Accademia italiana per il codice di Internet ha sottolineato nella sua audizione la necessità di una modifica della disciplina del sistema integrato delle comunicazioni (SIC), in modo da individuare un ambito che contempli tutte le forme di informazioni via Internet (e sopprimere la previsione che sia inclusa nel SIC solo l'editoria elettronica). Anche Confindustria Radio-TV ha segnalato la necessità di un adattamento della normativa sul SIC alle mutate condizioni tecnologiche.
  Sky ha inoltre contestato l'attuale disciplina dei tetti pubblicitari, che, in base al decreto legislativo n. 44 del 2010 prevede, senza che la direttiva 2007/65/CE lo richieda, limiti orari all'affollamento pubblicitario differenziato per gli operatori a pagamento (12%) rispetto agli altri operatori «free» (18%). La proposta di Sky al riguardo è stata quella di allineare i tetti pubblicitari di tutti gli operatori privati, a pagamento e non, al 18% o, in alternativa, di elevarlo, come misura di stimolo, finalizzata a recuperare le risorse perdute a causa della crisi, al 20% (il limite massimo consentito dalla direttiva 2007/65/CE).
  Altri soggetti intervenuti nell'indagine conoscitiva hanno invece rilevato che la differente disciplina in ordine all'affollamento pubblicitario è giustificata dal modello commerciale della televisione a pagamento, per la quale l'utente versa un corrispettivo in cambio della fruizione del servizio.
  Ad esempio, al contrario di quanto proposto da Sky, CGIL-SLC ha segnalato l'opportunità di più stringenti tetti pubblicitari, al fine di promuovere la concorrenza nel settore.
  Altro profilo oggetto di attenzione nel corso dell'indagine è stato rappresentato dalla quota di investimenti da destinare alle opere europee realizzate da produttori indipendenti. A questo proposito, alcuni soggetti intervenuti in audizione (Confindustria Radio-TV, Viacom, editore di MTV Italia, Discovery Italia) hanno rilevato un'asimmetria tra la direttiva 2007/65/CE, che fa riferimento ad una quota del 10% del bilancio destinato alla programmazione, e la normativa italiana (articolo 44 del TUSMAR), che prevede invece il vincolo più stringente del 10% degli introiti netti annui.
  Di contro, l'associazione produttori televisivi ha rilevato la necessità di un incremento del sostegno economico alle produzioni indipendenti. In questa ottica, dovrebbe ad esempio essere soppressa l'esclusione, prevista a legislazione vigente, dal computo degli introiti netti delle somme derivanti da somme televisive a pagamento di programmi di carattere sportivo.
  Sul tema l'AGCOM ha peraltro annunciato l'avvio di un'indagine conoscitiva (delibera 20/2015/Cons) per valutare l'adeguatezza e la coerenza dell'attuale quadro normativo e regolamentare in materia di «quote europee», alla luce dello sviluppo delle nuove tecnologie.
  Altro aspetto affrontato (in particolare da Fastweb e da Vodafone) è stato quello delle finestre di programmazione, ovvero il meccanismo per cui i diritti relativi a film e serie TV sono resi disponibili in periodi diversi per ciascuna piattaforma distributiva. I diritti per le piattaforme non lineari di video on demand sono messi a disposizione Pag. 20tre o anche sei mesi dopo l'uscita del film nelle sale, determinando così «un'artificiale» indisponibilità di contenuti che rischia di pregiudicare i risultati economici delle piattaforme video on demand.
  In questo ambito di riflessione, alcuni soggetti auditi hanno infine sottolineato l'esigenza di una riforma di Auditel. Sky ha segnalato come la società di rilevazione degli ascolti abbia attualmente una governance ed un assetto proprietario ritenuta eccessivamente squilibrata a vantaggio di Rai e Mediaset e ha, di conseguenza, proposto una rappresentanza paritaria, nella società, delle diverse componenti del lato della domanda e dell'offerta. A tal proposito si segnala che nel consiglio di amministrazione del 1o aprile scorso è stato deliberato l'aumento del numero dei consiglieri e l'ingresso di rappresentanti di Discovery Italia e Sky.
  Sul medesimo tema, Sky ha altresì rilevato i limiti quantitativi delle rilevazioni effettuate da Auditel. Sullo stesso tema, anche Discovery Italia, pur apprezzando la recente decisione di Auditel di triplicare il campione delle famiglie da 5.000 a 15.000, ha osservato che sarebbe opportuno affidare il rilevamento degli ascolti ad una società o un ente che siano composti unicamente da soggetti indipendenti (prospettando anche la possibilità di un coinvolgimento diretto dell'AGCOM) o, in alternativa, ad una società che veda rappresentati al suo interno tutti gli editori del mercato. Vodafone ha infine sottolineato l'esigenza di una riforma di Auditel che tenga conto dei dati di ascolto delle piattaforme tecnologiche non televisive.

4.3. La concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.

  Una specifica attenzione è stata rivolta, nel quadro sopra descritto, alle caratteristiche della concessione per il servizio pubblico radiotelevisivo. In proposito, RAI ha fornito elementi informativi sul processo di trasformazione della società da tradizionale broadcaster a media company centrata sui contenuti e presente su tutte le piattaforme (TV, radio, web). In questa ottica, si colloca il processo di separazione tra le funzioni della RAI come operatore di rete e quelle come fornitore di contenuti, avviato con la cessione sul mercato di quote della controllata Rai-way (l'operatore di rete dell'azienda), cessione autorizzata dall'articolo 21 del decreto-legge n. 66 del 2014 e disciplinata dal DPCM 2 settembre 2014 (che prevede che comunque almeno il 51% della società rimanga di proprietà RAI). Tale trasformazione ha luogo sulla base di linee di indirizzo gestionali finalizzate al controllo dei costi e alla concentrazione delle risorse nelle aree più strategiche in termini di impatto di servizio pubblico e di competitività di ascolti e di raccolta pubblicitaria.
  Altri soggetti auditi sono intervenuti sul tema. L'obiettivo di trasformazione della RAI in media company e la difesa del ruolo specifico del servizio pubblico sono stati evidenziati nell'audizione di Confindustria Radio-TV. Vodafone ha anche sottolineato il ruolo che la RAI potrebbe avere nella promozione dell'Internet TV. Altri soggetti che hanno partecipato all'indagine conoscitiva hanno invece auspicato modifiche profonde degli assetti della RAI, con particolare riferimento alle modalità di finanziamento. Ad esempio, Discovery Italia ha prospettato la necessità di riqualificare la RAI come media company con uno o due canali finanziati solo dal canone e non più di tre o quattro canali di genere tematico, finanziati solo con la pubblicità (in luogo degli attuali undici canali di cui la RAI dispone sulla piattaforma digitale terrestre). RAI, inoltre, secondo Discovery Italia e i rappresentanti delle associazioni professionali e datoriali, dovrebbe dotarsi di una governance idonea a sottrarre l'azienda alle pressioni della congiuntura politica.
  I rappresentanti delle associazioni datoriali e professionali hanno anche rilevato come le dimensioni della società RAI risultino in realtà (ad esempio per numero di dipendenti) paragonabili a quelle del servizio pubblico radiotelevisivo francese e più ridotte di quelle del servizio pubblico britannico (BBC e Channel Four hanno il Pag. 21doppio dei dipendenti della RAI); si tratterebbe pertanto di rivedere la mission dell'azienda piuttosto che di intervenire sulle dimensioni della stessa.

4.4. La gestione delle frequenze.

  Con riferimento alla gestione delle frequenze, una prima questione affrontata nel corso dell'indagine attiene all'eventualità della destinazione della banda 700 Mhz, attualmente utilizzata per le frequenze radiotelevisive, ai servizi di telefonia mobile, in analogia a quanto già avvenuto per la banda 800 Mhz. Si è trattato del cd. «dividendo digitale esterno», vale a dire le frequenze televisive analogiche «liberate» dal passaggio al digitale, per il quale nel 2011, sulla base di quanto previsto dalla legge di stabilità 2011, si è svolta una gara per un totale d'asta di quasi 4 miliardi di euro. Nella sua audizione, l'Accademia italiana per il codice di Internet ha ricordato che nella World Radiocommunication Conference dell'Unione internazionale delle comunicazioni (ITU) svoltasi a Ginevra nel febbraio 2012 molti Paesi in via di sviluppo della Regione 1 (della quale fa parte anche l'Europa) e in particolare i Paesi africani ed arabi hanno richiesto che la banda di frequenza 700 Mhz, generalmente assegnata alla televisione, venisse assegnata invece alla banda larga mobile.
  La richiesta di tali Paesi appare legata al fatto che la banda 700 Mhz non risulta utilizzata negli stessi, a differenza di quanto avviene in Europa, per le trasmissioni televisive (essendo maggiormente sviluppate le trasmissioni satellitari), mentre la banda 800 Mhz (che in Europa è stata destinata alla telefonia mobile di banda larga) è occupata per altri servizi e quindi non utilizzabile. La Conferenza ha quindi deciso che il passaggio di tale banda dalla trasmissione televisiva alla banda larga mobile avvenisse a partire dal 2015, su base facoltativa (utilizzo coprimario della banda). A livello di Unione europea, è prevalso l'orientamento di un passaggio graduale della banda 700 Mhz ai servizi di telefonia mobile di banda larga, da concludersi entro il 2020.
  L'AGCOM nella sua audizione ha segnalato come l'esigenza di diffusione on line di contenuti audiovisivi ad alta efficienza richieda un aumento della larghezza della banda, in coerenza con gli obiettivi dell'Agenda digitale europea (copertura totale della popolazione entro il 2020 con velocità di almeno 30 Mbps e, entro la stessa data, copertura del 50 per cento della popolazione con velocità di almeno 100 Mbps), e un aumento delle frequenze disponibili per la banda larga mobile.
  L'Accademia per il codice di Internet ha sottolineato che per l'Italia la destinazione della banda 700 Mhz alla telefonia mobile appare comunque ineludibile, posto che su tale banda persistono numerose situazioni interferenziali con trasmissioni di altri Stati. Pertanto, quando tali Stati decidessero la destinazione della banda alla telefonia mobile, le situazioni interferenziali provocherebbero danni alle trasmissioni degli operatori italiani.
  In tal senso, il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, nella sua audizione sulle linee programmatiche del Dicastero in materia di poste e telecomunicazioni del 3 luglio 2014, ha rilevato l'importanza della nuova World Radiocommunication Conference che si svolgerà nel novembre 2015 per una definizione più precisa dei tempi di liberazione della banda 700 Mhz. Il rappresentante del Governo ha anche sottolineato che per la saturazione dello spettro radioelettrico non risulta allo stato disponibile un numero tale di frequenze libere da destinare ai soggetti che attualmente operano sulla banda 700 Mhz. La necessità del passaggio della banda 700 Mhz alla banda larga di telefonia mobile è stata sostenuta anche da Confindustria digitale. Wind ha peraltro specificato che in realtà l'attuale assegnazione dello spettro ai gestori di telefonia mobile è sufficiente a soddisfare la domanda di servizi proveniente dai cittadini, rilevando al tempo stesso che entro cinque anni potrebbe risultare necessaria l'assegnazione Pag. 22di altro spettro solo se dovesse «esplodere» il video streaming in maniera diffusa. Anche Vodafone ha sottolineato l'esigenza di un maggiore efficientamento dello spettro frequenziale nell'ottica dello sviluppo dei contenuti video veicolati da Internet (un altro possibile utilizzo della banda, come segnalato dall'Accademia italiana per il codice di Internet, potrebbe essere quello per la comunicazione wireless tra oggetti, il cd. «Internet delle cose»).
  Un orientamento contrario all'utilizzo della banda 700 Mhz per la telefonia mobile è stato invece espresso da Mediaset, da Confindustria Radio-TV, da Aeranti-Corallo, mentre Persidera ha raccomandato che le decisioni sulla banda 700 Mhz non penalizzino comunque i soggetti che hanno investito.
  A livello di Unione europea, un indirizzo di programmazione, anche sotto il profilo temporale, con l'esplicito obiettivo di garantire una coesistenza duratura nell'utilizzo dello spettro frequenziale da parte delle emittenti televisive e dei fornitori di servizi mobili a banda larga, è stato definito nel rapporto del High Level Group presieduto da Pascal Lamy, consegnato alla Commissione europea il 1o settembre 2014. Nel rapporto si prospetta che la banda di frequenze 700 Mhz sia assegnata alla banda larga mobile nel 2020 (con la possibilità di anticipare o posticipare tale data di due anni), che la banda inferiore, vale a dire la banda di frequenze 470-694 Mhz, sia mantenuta per l'utilizzo radiotelevisivo fino al 2030 e che si compia una verifica intermedia sull'evoluzione delle tecnologie e del mercato nel 2025. Tale percorso è stato valutato in modo favorevole, nel corso dell'indagine, sia dagli operatori televisivi (tra cui, in particolare, Mediaset), sia anche da alcuni operatori delle telecomunicazioni (Telecom).
  Il tema della banda 700 Mhz dimostra come sia necessario avere un quadro più chiaro e definito della gestione dello spettro frequenziale. D'altra parte in tal senso si è espressa anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella sua segnalazione sulle proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza (giugno 2014), in cui ha proposto di prevedere, attraverso una modifica del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003), il periodico svolgimento dell'analisi del livello di utilizzo delle risorse frequenziali, soprattutto con riguardo alle bande di maggior interesse commerciale, e definire un percorso certo e celere in grado di assicurare, qualora venga decisa, la riallocazione delle risorse ai servizi che generano il maggior valore per la collettività. La necessità di una revisione complessiva dell'assetto delle frequenze è stata segnalata anche da CGIL-SLC.
  Peraltro la chiarezza sull'assetto frequenziale è il prerequisito essenziale, come rilevato dalla stessa CGIL-SLC, per la tutela dei livelli occupazionali nel settore, che risultano già a rischio a causa della riduzione simultanea, anche per effetto della grave crisi economica, dei ricavi da pubblicità e dei contributi pubblici.
  La situazione italiana presenta poi alcune peculiarità, come rilevato anche dalla procedura di infrazione della Commissione europea, legata alle modalità di passaggio al digitale terrestre. In proposito, nel corso dell'indagine, Sky ha rilevato che all'inizio del processo di switch-off le frequenze sono state assegnate ai broadcaster secondo un rapporto di 1 a 1 fra canale e multiplex. In questo modo RAI e Mediaset hanno ottenuto ciascuno cinque multiplex e la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo risulta presente sulla piattaforma digitale terrestre con ben 14 canali. Lo stesso numero complessivo di canali della piattaforma digitale terrestre risulta per Sky (una valutazione analoga è stata espressa dalle associazioni professionali e datoriali) in Italia particolarmente elevato (86), con una significativa presenza di canali tematici; ciò a detrimento dello sviluppo delle trasmissioni satellitari. Sky ha quindi sostenuto l'esigenza di un riequilibrio delle frequenze, riportando anche la recente esperienza spagnola dove, nel maggio 2014 sono state interrotte le trasmissioni di ben 9 dei 24 canali digitali terrestri, sulla base di una decisione del 2012 Pag. 23della Corte suprema spagnola (la Corte ha ritenuto illegittima la presenza di tali canali, non già presenti in analogico e assegnati gratuitamente agli operatori tradizionali). Anche Discovery Italia, come già sopra accennato, ha giudicato eccessiva la presenza dei canali della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sulla piattaforma digitale terreste. Una posizione diversa è stata sostenuta da Mediaset, che ha difeso il valore dell'ampia offerta garantita dalla piattaforma digitale terrestre, dove, peraltro, hanno trovato spazio operatori diversi dai due operatori tradizionali, come ad esempio proprio Discovery.
  Oggetto di attenzione da parte dell'indagine è stata anche la delibera AGCOM 494/14/Cons per la determinazione dei criteri per il pagamento dei contributi per l'uso delle frequenze da parte dei titolari dei diritti d'uso, ai sensi del decreto-legge n. 16 del 2012. La delibera, a seguito del passaggio al digitale terrestre, riferisce il pagamento dei contributi agli operatori di rete. La soluzione individuata è stata peraltro giudicata da molti soggetti auditi (H3G, Discovery Italia, Persidera, Aeranti-Corallo, Telecom) particolarmente onerosa e favorevole in maniera ingiustificata agli operatori verticalmente integrati e quindi ai principali operatori del settore (Rai, Mediaset). In particolare, H3G ha proposto che i contributi siano allineati alla capacità del multiplex di generare profitto e non parametrati sul prezzo di aggiudicazione delle frequenze TV all'asta decisa dal decreto-legge n. 16 del 2012.
  Il rappresentante del Governo, nella sua audizione del 3 luglio 2014, ha rilevato come, per ovviare a tutti i problemi fin qui evidenziati nella gestione dello spettro frequenziale italiano, si possa contare sullo sviluppo della tecnologia DVB-T2, oltre che su strumenti miranti alla riduzione della congestione dello spettro radio destinato alla radiodiffusione televisiva in Italia, definendo una serie di misure equamente bilanciate tra rispetto dei vincoli di uso efficiente dello spettro ed incentivi all'associazionismo. Anche AGCOM, Confindustria digitale e Confindustria Radio-TV hanno sottolineato che la tecnologia DVB-T2, abbinata allo standard di codifica e di compressione HEVC, potrà aumentare di oltre il 50 per cento il numero di canali trasmissibili sulla medesima frequenza.

4.5. L'emittenza locale e la numerazione automatica dei canali (LCN).

  Parti significative dell'indagine conoscitiva sono state dedicate a due temi che, nell'ambito del sistema radiotelevisivo, si caratterizzano per la loro specificità: l'emittenza locale e l'emittenza radiofonica.
  Per quanto concerne l'emittenza locale, l'indagine ha permesso di evidenziare le difficoltà di varia natura che affliggono il settore. A giudizio di ALPI, infatti, il passaggio al digitale terrestre si è risolto in un rafforzamento del duopolio televisivo esistente, con una tutela smisurata per le reti nazionali a danno dell'emittenza locale. Secondo ALPI (ma valutazioni analoghe sono state espresse anche da Aeranti-Corallo), se il testo unico dei media audiovisivi (articolo 8) prevede che un terzo di capacità trasmissiva sia assegnato, nell'ambito del piano nazionale di assegnazione delle frequenze, all'emittenza locale, l'AGCOM (delibera 300/10/Cons) ha calcolato il terzo facendo riferimento al complesso delle frequenze disponibili e non al complesso delle frequenze coordinate a livello internazionale, con la conseguenza che all'emittenza locale sono state assegnate in molti casi frequenze interessate da situazione interferenziali con l'estero, conducendo alla necessità dell'intervento legislativo previsto dal decreto-legge n. 145 del 2013. La gravità della situazione determinatasi con l'attribuzione a molte emittenti locali di frequenze caratterizzate da problemi di interferenze con l'estero è stata evidenziata anche da CGIL-SLC. ALPI e Aeranti-Corallo hanno proposto che le emittenti interessate dalle procedure di rilascio previste dal decreto-legge n. 145 del 2013 possano avere accesso, come misura compensativa, al «dividendo digitale interno», attualmente oggetto di gara ai Pag. 24sensi del decreto-legge n. 16 del 2012. Più in generale, ALPI (ma sul punto valutazioni analoghe sono state proposte anche da Aeranti-Corallo) ha sottolineato l'opportunità di ripristinare il livello di finanziamento del settore previsto dall'articolo 10 della legge n. 422 del 1993, rilevando come attualmente gli stanziamenti previsti risultino meno di un quarto degli stanziamenti degli anni 2008-2009.
  Anche i rappresentanti di REA (Radiotelevisioni europee associate) hanno segnalato l'opportunità di assegnare all'emittenza locale almeno un terzo della capacità trasmissiva effettivamente coordinata a livello internazionale, da utilizzare prioritariamente nelle aree di confine, e di assicurare il diritto d'uso di un programma a tutte le emittenti ex analogiche con reti gestite da consorzi o da intese. REA ha anche contestato la procedura in corso, ai sensi del decreto-legge n. 145 del 2013, per il rilascio delle frequenze interessate da situazioni interferenziali con l'estero.
  In materia di emittenza locale, Confindustria Radio-TV ha prospettato l'esigenza che sia disposta la revoca delle autorizzazioni all'esercizio nei confronti di quei soggetti che non abbiano attivato nei tempi previsti dalla legge gli impianti/frequenze loro assegnati. Ha altresì osservato che la proliferazione del numero delle emittenti locali rappresenta un elemento di debolezza del settore. Per questo ha auspicato che siano adottate misure per favorire la riduzione degli operatori di rete in ambito locale, anche mediante compensazioni di natura economica finalizzate a liberare parte delle frequenze. Confindustria Radio-TV ha altresì prospettato l'adozione di norme per favorire la condivisione, su base volontaria, da parte di più soggetti in ambito locale, di porzioni della banda trasmissiva dello stesso multiplex, in modo da liberare un consistente numero di frequenze e risolvere le problematiche interferenziali con i Paesi confinanti. Ha infine segnalato l'opportunità di prevedere forme di defiscalizzazione per le imprese che intendono investire in pubblicità sulle emittenti televisive locali (proposta analoga è stata avanzata anche da Aeranti-Corallo).
  Nel corso dell'indagine conoscitiva è intervenuta la sentenza del Consiglio di Stato dell'8 settembre 2014 che (come segnalato nel paragrafo 2.2) ha definitivamente rimesso al commissario ad acta il compito di completare il piano di numerazione automatica dei canali (usualmente indicata con l'acronimo inglese LCN, Logical Channel Number). Soddisfazione per la sentenza del Consiglio di Stato è stata espressa da alcuni soggetti auditi, quali Terzo polo digitale e CONNA. Si tratta di un tema strettamente connesso a quello dell'emittenza locale. REA (Radiotelevisioni europee associate) ha contestato il piano originariamente predisposto da AGCOM (delibera 366/10/Cons) perché, ignorando i dati degli ascolti, aveva assegnato i numeri immediatamente successivi a quelli delle emittenti analogiche «storiche», cioè i numeri 8 e 9, a due emittenti non generaliste come MTV e Deejay TV. Anche ALPI ha richiesto che all'emittenza locale siano assegnate posizioni nel primo arco di numerazione, da 1 a 9.
  Viacom, editore di MTV, ha in proposito osservato che il posizionamento di MTV al numero 8 è conseguente ai rilevamenti compiuti da AGCOM sulle abitudini di sintonizzazione degli utenti, dalle quali è risultato che la quasi totalità degli utenti visualizzava l'emittente appunto sul numero 8. Anche Discovery Italia ha giudicato un'incongruenza il numero eccessivo di posizioni LCN assegnato alle emittenti locali nel primo arco di numerazione, invocando in materia un intervento legislativo di modifica del Testo unico.
  Per Confindustria Radio-TV il dato degli ascolti deve essere criterio prioritario per il posizionamento nel piano LCN. Persidera ha auspicato un intervento legislativo volto a garantire un sistema di numerazione capiente e rispettoso delle preferenze e delle abitudini espresse dagli utenti. In proposito, H3G ha infine proposto la messa a gara dei posizionamenti successivi ai primi sei.
  Da ultimo il commissario ad acta, con propria determinazione del 27 aprile 2015, ha confermato la pianificazione dei numeri LCN 7, 8 e 9 già adottata dall'Autorità con Pag. 25la delibera n. 366/10/Cons, riservando pertanto tali numeri ad emittenti nazionali.

4.6. La radio digitale.

  Oggetto di attenzione nel corso dell'indagine è stato anche il tema della radio digitale. Come è noto, si tratta dei servizi di radiodiffusione che utilizzano la tecnologia T DAB e la banda di frequenza VHF III. Il digitale radiofonico è stato regolamentato dall'AGCOM con la delibera 664/09/Cons.
  Attualmente sono previsti tre multiplex nazionali, ciascuno gestito da una società consortile (RAI-Way, Club DAB Italia, EuroDAB Italia) e fino a undici multiplex locali.
  Nel 2013, come previsto dalla delibera AGCOM, è stata avviata la sperimentazione del servizio in provincia di Trento, poi estesa alla provincia di Bolzano. Gli operatori del settore intervenuti (Club DAB Italia, Terzo polo digitale, WRA), così come altri soggetti auditi (Confindustria Radio-TV, Aeranti-Corallo), hanno sottolineato l'esigenza di una maggiore spinta allo sviluppo del settore. Per il passaggio alla radio digitale non è previsto, infatti, a differenza di quanto avvenuto per la televisione, un esplicito switch off, ma avrà luogo piuttosto una coesistenza delle due modalità di trasmissione (switch over).
  Con la finalità di sostenere la diffusione della radio digitale, l'AGCOM ha segnalato che, intervenendo a livello normativo, potrebbero essere destinate alla radiofonia digitale le frequenze della banda 230-240 Mhz, che attualmente il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze attribuisce alle telecomunicazioni e assegna al Ministero della difesa (una proposta analoga è stata avanzata anche da Aeranti-Corallo).
  Gli operatori hanno quindi evidenziato l'opportunità di forme di incentivazione, come quella di vincolare al passaggio al digitale l'erogazione dei finanziamenti di sostegno all'emittenza radiofonica locale. Peraltro, come rilevato da AGCOM, lo sviluppo della radio digitale risulta necessario anche per poter poi affrontare la necessaria modifica della pianificazione della banda FM, che risulta attualmente affetta da notevoli problemi di qualità del servizio, dovuti alla congestione di utilizzazioni.

5. Conclusioni.

  Il settore radiotelevisivo, come attestano anche i dati forniti nel corso dell'indagine conoscitiva, ha grande rilevanza dal punto di vista economico e anche occupazionale. Al di là di questo, è un settore che riveste un ruolo essenziale in relazione sia al pluralismo dell'informazione, sia alla produzione e alla diffusione della cultura. Il ruolo sociale e culturale del sistema radiotelevisivo si esplica, per un verso, nella capacità di trasmettere contenuti, in modo omogeneo, in tutto il Paese e, per l'altro, nello spazio che può offrire alle specificità culturali e informative dei singoli territori.
  Gli anni recenti sono stati caratterizzati per il sistema radiotelevisivo da poderose e rapide trasformazioni tecnologiche, che ne stanno modificando in profondità gli assetti fondamentali. Nel 2012 si è conclusa, con sei mesi di anticipo rispetto al calendario originario, la transizione dalla trasmissione con modalità analogica a quella mediante segnale digitale terrestre. Il passaggio al digitale ha moltiplicato i canali e l'offerta televisiva e ha comportato la netta distinzione tra la figura del «fornitore di servizi di media audiovisivi» e quella dell’«operatore di rete». In una prospettiva assai ravvicinata, lo standard di diffusione del digitale terrestre DVB-T2 e lo standard di codifica video di nuova generazione HEVC permetteranno di aumentare di circa il 50% la capacità trasmissiva di un singolo multiplex e di supportare in modo assai più adeguato la trasmissione di programmi HD e ultraHD.
  Per altro verso, è in pieno dispiegamento il processo di convergenza tecnologica tra televisione, telecomunicazioni e Internet, in virtù del quale i contenuti audiovisivi sono diventati fruibili, attraverso Internet, anche su strumenti diversi dal televisore, quali pc, tablet, smartphone, Pag. 26ecc... e, viceversa, i televisori smart sono il terminale per ricevere non soltanto i programmi delle emittenti televisive, ma i contenuti audiovisivi presenti in Internet.
  L'indagine conoscitiva svolta dalla IX Commissione della Camera ha tratto origine dalla consapevolezza delle radicali trasformazioni che gli sviluppi della tecnologia stanno determinando nel settore radiotelevisivo e dalla volontà, oltre che di disporre di un'analisi tecnicamente puntuale ed esauriente, di trarre alcune indicazioni sugli interventi, anche di carattere normativo, che possono essere posti in atto per governare nel modo migliore queste trasformazioni.

5.1. Ripensare il quadro normativo complessivo del settore radiotelevisivo.

  Di fronte agli effetti della convergenza tecnologica, dall'indagine conoscitiva sono emersi due distinti ordini di valutazioni.
  Da una parte, come evidenziato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la televisione, alla quale accede il 95% della popolazione italiana, rappresenta lo strumento ancora largamente prevalente di intrattenimento e di informazione. La televisione in chiaro, in particolare, costituisce l'unico mezzo in grado di raggiungere tutte le fasce della popolazione.
  La prevalenza della trasmissione attraverso il digitale terrestre è determinata anche dalla minore competitività di altre piattaforme, dal momento che il satellite registra, con Sky, una posizione di preminenza delle trasmissioni a pagamento e la televisione attraverso Internet risente in negativo della scarsa diffusione della banda larga, come si ricava dai dati in base ai quali l'Italia risulta in forte ritardo rispetto agli obiettivi previsti dall'Agenda digitale europea.
  D'altra parte, nonostante queste difficoltà a livello infrastrutturale, la crescita dell'utilizzo di Internet è un processo che si dispiega con forza sempre maggiore, per cui già adesso Internet è diventato o sta per diventare il secondo mezzo più diffuso di intrattenimento e di informazione.
  La convergenza tecnologica ha l'effetto di «abbattere i confini» nella diffusione dei contenuti audiovisivi tra le diverse piattaforme tecnologiche, con la conseguenza di modificare la stessa fisionomia del settore radiotelevisivo. L'attività «tradizionale» delle emittenti televisive si trova collocata in un mercato ben più ampio, in cui competono con nuovi soggetti (tra i quali i cosiddetti Over the top), che si sono sviluppati e operano in Internet, e che, nei casi più rilevanti, si caratterizzano per la dimensione globale della loro attività.
  L'unicità del mercato trova riscontro sia sul piano normativo sia sul piano economico. Per il primo aspetto, la direttiva sui servizi di media audiovisivi (direttiva SMAV), a livello di Unione europea, e il TUSMAR, a livello nazionale, già definiscono i servizi di media audiovisivi a prescindere dalla tecnica di trasmissione.
  Per l'aspetto economico, i «nuovi» operatori offrono contenuti video e vendono al mercato pubblicitario i contatti ottenuti dalla visione di tali contenuti, entrando così in competizione con le emittenti televisive, sia per quanto riguarda il tempo dedicato alla visione dei video, sia per quanto riguarda la raccolta pubblicitaria, di cui stanno acquisendo quote crescenti (probabilmente sottostimate a causa dell'incompletezza dei dati disponibili).
  Gli stessi operatori cosiddetti «tradizionali» hanno sviluppato e stanno sviluppando importanti attività di offerta dei propri contenuti mediante Internet. Durante l'indagine conoscitiva, i principali protagonisti del settore televisivo in Italia hanno rivendicato con forza il fatto di configurarsi oggi come media company, che operano in una logica multipiattaforma e che individuano l'elemento centrale della propria attività nell'offerta di contenuti, quale che sia la modalità di trasmissione.
  Questi processi rendono necessario un ripensamento complessivo del quadro normativo che regola il settore radiotelevisivo. Dall'indagine conoscitiva è emersa l'esigenza di una disciplina più omogenea in Pag. 27relazione ai diversi soggetti che operano nel settore, semplificata rispetto all'eccessivo dettaglio che caratterizza per molte parti la normativa vigente e, al tempo stesso, più idonea ad affrontare le questioni di fondo poste dall'evoluzione tecnologica.

5.2. Parità di regole in un mercato unico.

  Frequentemente e con grande nettezza nell'indagine conoscitiva è stata avanzata la richiesta di un quadro normativo che sia comune, vale a dire che assicuri parità di regole e di condizioni per tutti i soggetti che concorrono nello stesso mercato, al fine di evitare che la disparità normativa produca di per se stessa un'alterazione della concorrenza e vanifichi gli strumenti a tutela dei consumatori e della produzione nazionale ed europea.
  La vigente normativa, a livello europeo e nazionale, prevede, con prescrizioni anche molto articolate nel dettaglio, molteplici obblighi e vincoli a carico delle emittenti televisive, quali quelli in materia di protezione dei minori, limiti alla pubblicità, regole sulle comunicazioni commerciali, promozione di opere audiovisive europee, par condicio dell'informazione. Queste prescrizioni non si estendono, o si estendono in misura assai più limitata, a chi diffonde contenuti audiovisivi tramite Internet.
  Questa premessa induce a porre in discussione alcuni degli elementi portanti della disciplina del settore radiotelevisivo, come è definita attualmente.
  Uno di questi elementi è la netta differenziazione normativa tra servizi lineari, vale a dire servizi forniti sulla base di un palinsesto di programmi, e servizi non lineari (in sostanza «i servizi a richiesta»). È vero, come è stato osservato da AGCOM, che il servizio a richiesta costituisce una condizione di maggiore tutela per l'utente, che può rendere non necessarie tutte le prescrizioni previste a tal fine per la programmazione lineare. Tuttavia, con il progressivo ampliamento del consumo dei prodotti audiovisivi digitali anche tramite strumenti diversi dal televisore o tramite smart TV, la rilevanza della differenza tra le due tipologie di servizi si sta attenuando e il processo è destinato ad accentuarsi in tempi rapidi. Occorre pertanto interrogarsi sulle misure più idonee per assicurare che anche nei confronti dei servizi non lineari e, in generale, di qualunque offerta con finalità commerciali di contenuti audiovisivi siano rispettati alcuni princìpi fondamentali, quali quelli relativi alla tutela di categorie deboli, in primo luogo i minori, o siano perseguite finalità irrinunciabili, come la promozione dell'identità culturale europea.
  Ad un livello ancor più basilare, lo stesso concetto di «responsabilità editoriale», che è elemento essenziale della definizione di «fornitore di servizi di media audiovisivi», deve essere oggetto di un'approfondita riflessione e deve essere rideterminato in termini che tengano conto anche delle modalità di fornire contenuti attraverso Internet. Se appare controversa l'imputazione di una piena responsabilità editoriale per i contenuti veicolati, si avverte l'esigenza di introdurre disposizioni che comunque garantiscano forme di trasparenza e di neutralità riguardo al funzionamento degli algoritmi di ricerca, pur tenendo conto del fatto che gli algoritmi stessi in alcuni casi rappresentano un asset fondamentale per le imprese in questione.
  Dovrebbe essere altresì definita in modo più netto la linea di demarcazione, già individuata dalla direttiva 2007/65/CE, relativa al carattere commerciale o meno dell'attività svolta, in modo da ricondurre alle attività di fornitura di servizi di media audiovisivi e alla relativa disciplina tutte le attività di produzione e immissione di contenuti video on line che si pongano finalità commerciali.
  In una prospettiva generale si potrebbe perfino valutare se i tempi non siano maturi per integrare la disciplina del settore televisivo in quella delle comunicazioni elettroniche, in modo che la prima diventi una sezione, caratterizzata da un numero limitato di specificità, della seconda.

5.3. Un quadro normativo semplice e di principio.

  In secondo luogo, un ripensamento complessivo della disciplina che riguarda Pag. 28l'offerta di servizi audiovisivi deve tener conto del fatto che, come molti dei soggetti auditi nel corso dell'indagine conoscitiva hanno evidenziato, la normativa attuale relativa all'attività televisiva risulta eccessivamente rigida e dettagliata e il sistema di monitoraggio e di sanzioni da essa previsto macchinoso e inefficace. Ciò risulta ancor più evidente in confronto a una sostanziale assenza di vincoli per chi opera su Internet.
  Una richiesta comune di tutti gli operatori del settore è stata pertanto quella di pensare un assetto normativo più leggero, che sia costituito principalmente da una normativa di principio e che demandi la disciplina di numerosi aspetti specifici a forme di autoregolamentazione e coregolamentazione.
  Come è stato osservato nell'indagine conoscitiva, la sfide che gli sviluppi della tecnologia pongono in termini di ripensamento complessivo del quadro normativo non devono essere intese nel senso di imbrigliare i nuovi operatori.
  Devono invece rappresentare uno stimolo positivo per una nuova legislazione, che, disciplinando in modo più equilibrato l'attività di tutti gli operatori che offrono servizi di media audiovisivi, individui le regole fondamentali, di cui deve comunque essere garantito il rispetto da parte di tutti, senza un eccesso di prescrizioni di dettaglio che interferiscono con le modalità tecniche di svolgimento dell'attività. Si tratterà di regole che, tra l'altro, potranno risultare più facili da controllare e da applicare.

5.4. Affrontare a livello di Unione europea alcune questioni fondamentali.

  Paradossalmente, l'eccesso di dettaglio che caratterizza la normativa sul settore radiotelevisivo non impedisce che questa stessa normativa risulti palesemente carente e inidonea, quando si tratta di affrontare alcune questioni di fondo che, per effetto dell'innovazione tecnologica, hanno assunto una portata e un'urgenza sconosciute in passato.
  Su tali questioni il silenzio o la lacunosità della normativa di rango primario ha l'effetto di demandare scelte di fondo alle pronunce giurisprudenziali o all'intervento delle autorità di regolazione del settore, con la conseguenza di determinare un assetto regolatorio comunque debole, proprio perché non sorretto adeguatamente a livello legislativo.
  Un tema emblematico è da questo punto di vista la tutela del diritto d'autore e, più in generale, dei diritti esclusivi relativi a servizi audiovisivi. In relazione al regolamento adottato dall'AGCOM sulla tutela del diritto d'autore on line, in attuazione di una apposita disposizione del TUSMAR che affida all'Autorità tale compito, è stato osservato, anche dalla stessa AGCOM, come sarebbe auspicabile (al di là di quanto deciderà sul punto la Corte costituzionale) che, proprio per le dimensioni e la stessa rilevanza economica dei fenomeni in questione, tali fenomeni fossero affrontati a livello legislativo in modo più articolato.
  Occorre infatti che le scelte fondamentali su come tutelare il diritto d'autore e contrastare lo sfruttamento abusivo di contenuti audiovisivi protetti siano effettuate a livello legislativo, proprio per definire a quel livello i confini dell'ambito dell'intervento e, al tempo stesso, assicurare la massima efficacia degli strumenti di tutela. Occorre altresì che, a fronte della dimensione globale di Internet, anche le regole e le modalità di intervento siano condivise quanto più ampiamente possibile su scala internazionale.
  Un secondo aspetto di grande rilievo e complessità evidenziato nell'indagine, risiede nel fatto che gli operatori in Internet svolgono attività che hanno una capacità, di cui naturalmente sono privi i tradizionali operatori televisivi, di acquisire dati inerenti al profilo personale degli utenti, che risultano particolarmente pregiati per il mercato pubblicitario. Come già indicato in questo documento, si tratta di potenzialità già adesso ampiamente sfruttate attraverso strategie operative (integrazione di attività diverse nell'ambito del medesimo gruppo) e commerciali (programmatic Pag. 29advertising, programmatic marketing platform).
  Anche in questo caso si è in presenza di processi che hanno rilevante impatto non solo dal punto di vista commerciale. Per quanto riguarda l'aspetto commerciale, come si è detto, possono determinarsi effetti di «spiazzamento» rispetto al tradizionale mercato pubblicitario sui media audiovisivi.
  Al tempo stesso notevolissime sono le implicazioni che la raccolta dei dati relativi al profilo personale di chi accede a un determinato sito Internet, assai spesso per fruire di contenuti audiovisivi, comporta sotto il profilo di tutela della privacy. È necessario regolare questi temi con un'apposita legislazione, sulla base di scelte che dovranno essere condivise a livello sovranazionale.
  È a livello di Unione europea, infatti, che potranno essere adottate misure come quelle finalizzate a introdurre forme di separazione tra le attività di motori di ricerca e altre attività commerciali svolte dal medesimo soggetto. Il primo destinatario di simili decisioni non potrebbe che essere Google e, proprio per questo, risulteranno decisivi gli esiti dell'indagine in corso da parte della Commissione europea sul rispetto da parte di Google delle norme europee sulla concorrenza.
  Un ulteriore aspetto che, pur assumendo caratteristiche specifiche, risulta connesso all'esigenza di una competizione equa, è quello della tassazione dei soggetti che sviluppano la propria attività in Internet. È stata infatti segnalata l'esigenza di contrastare fenomeni per cui gruppi imprenditoriali che, tramite Internet, operano su scala globale, pur traendo profitti di dimensioni assai rilevanti dai singoli territori, li convogliano negli Stati a più bassa tassazione, con l'effetto di ridurre considerevolmente le ricadute positive della loro attività, in termini di risorse economiche impiegate, occupazione prodotta, tasse pagate, nei singoli Paesi in cui operano. Si è in proposito auspicato che si proceda, a livello sovranazionale, e specificamente di Unione europea, a una revisione dei criteri sulla base dei quali viene individuata l'imponibilità delle prestazioni, ad esempio adottando il criterio del luogo di fruizione del servizio.
  I temi cruciali che sono stati evidenziati (tutela del diritto d'autore, tutela della privacy, tutela della concorrenza, criteri di definizione dell'imponibilità delle prestazioni) mostrano come qualunque intervento legislativo, a livello nazionale, che interessi il settore radiotelevisivo non possa prescindere dalle scelte che saranno adottate, su queste e su altre questioni, a livello di Unione europea. Proprio le dimensioni globali dei processi che sono stati richiamati impongono, come è stato in più punti evidenziato, che un'adeguata regolazione sia stabilita a livello sovranazionale. Per quanto attiene agli aspetti tecnici, la definizione di standard omogenei e le connesse decisioni possono essere assunte dai competenti organismi internazionali. Si tratta di una attività decisiva, in quanto può promuovere la definizione di soluzioni che favoriscano la standardizzazione e l'interoperabilità, contrastando l'orientamento verso modelli di business di tipo walled garden. Per quanto concerne invece gli aspetti che coinvolgono scelte di carattere politico, la sede in cui fissare regole adeguate ad affrontare le questioni sopra indicate risulta essere in primo luogo l'Unione europea.
  Le indicazioni formulate in questo documento trovano significativo e positivo riscontro nella recentissima adozione, da parte della Commissione europea, in data 6 maggio 2015, della comunicazione Strategia per un mercato unico digitale in Europa, con cui si annuncia la presentazione di una riforma della direttiva sui servizi dei media audiovisivi (si veda il paragrafo 3.2).
  Sulle questioni evidenziate nella comunicazione della Commissione europea, il Parlamento dovrebbe intervenire, oltre che attraverso l'esame «in fase ascendente» delle proposte della stessa Commissione europea, attivando tutti gli strumenti disponibili per definire precisi indirizzi per il Governo sulle posizioni da assumere nel Consiglio dell'Unione europea in materie strategiche quali quelle della neutralità della rete e della regolamentazione degli OTT.

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5.5. Specifiche questioni del settore radiotelevisivo da affrontare a livello legislativo e amministrativo.

  Una riflessione sull'intera disciplina che concerne il settore radiotelevisivo non esime dall'affrontare, a livello legislativo e normativo, alcune specifiche questioni evidenziate nel corso dell'indagine, sia al fine di dare certezza su temi che sono o sono stati oggetti di contenzioso, sia al fine di superare alcune asimmetrie regolatorie.
  Un primo tema è rappresentato dagli obblighi relativi alla destinazione di quote di programmazione e di investimento alle opere europee realizzate da produttori indipendenti. È stato più volte sottolineato nell'indagine conoscitiva, e affermato con chiarezza dalla stessa AGCOM, che gli obblighi in questione rappresentano uno strumento efficace per promuovere la produzione di contenuti di qualità, idonei ad esprimere la specificità culturale europea.
  Proprio per queste ragioni obblighi analoghi dovrebbero essere estesi a tutti gli operatori che offrono al pubblico, con finalità commerciali, servizi di media audiovisivi.
  Un carattere particolarmente puntuale e rigido assume la disciplina relativa alla pubblicità televisiva dettata dal TUSMAR, come modificato dal decreto legislativo n. 44 del 2010, con riferimento alle emittenti televisive sia nazionali, sia locali. Le inserzioni pubblicitarie on line in connessione con l'offerta di servizi audiovisivi risultano invece sottoposte a una disciplina lacunosa e scarsamente applicata. In questo ambito è particolarmente forte l'esigenza di una regolazione omogenea, che semplifichi la disciplina e, al tempo stesso, ne garantisca l'applicazione a tutte le forme di offerta, anche attraverso Internet, di servizi di media audiovisivi.
  Occorrerà altresì valutare se mantenere le previsioni in merito ai tetti pubblicitari, introdotte nel TUSMAR dal decreto legislativo n. 44 del 2010, sia per quanto riguarda la differenziazione tra televisione a pagamento e televisione in chiaro, sia per quanto riguarda la definizione di tetti comunque più bassi rispetto al limite massimo previsto, a livello di Unione europea, dalla direttiva sui servizi di media audiovisivi.
  Anche le regole particolarmente dettagliate e vincolanti a tutela dei minori sono riferite esclusivamente alle emittenti televisive. Al contrario l'offerta di contenuti audiovisivi attraverso Internet non è soggetta ad alcun tipo di filtro all'accesso. La revisione della disciplina in materia e, in particolare, del Codice di autoregolamentazione media e minori dovrà tener conto dell'ampliamento e della diversificazione dell'offerta di servizi di media audiovisivi.
  Per quanto concerne la definizione del Sistema integrato delle comunicazioni (SIC), connesso alla disciplina volta ad evitare, a tutela del pluralismo, la formazione di posizioni dominanti, un recente intervento normativo (articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge n. 63 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 103 del 2012, che ha modificato il comma 10 dell'articolo 43 del TUSMAR) ha previsto che in esso siano compresi anche i ricavi «da pubblicità on line e sulle diverse piattaforme anche in forma diretta, incluse le risorse raccolte da motori di ricerca, da piattaforme sociali e di condivisione». Dai dati emerge, come più volte sottolineato nel corso dell'indagine, che la pubblicità on line ha già raggiunto una dimensione superiore a quella del cinema (l'8% del totale). È stato tuttavia segnalato che i dati sono incompleti e sottostimati, proprio con riferimento all'attività degli OTT e ai limiti molto ristretti con cui tale attività risulta fiscalmente imponibile nel territorio nazionale.
  Potrebbe pertanto risultare opportuna l'adozione di misure finalizzate ad assicurare la piena inclusione dei servizi digitali, come le piattaforme di distribuzione dei contenuti audiovisivi su Internet, nell'ambito del SIC. Una simile opzione andrebbe bilanciata con la previsione di soglie anticoncentrazione più basse, per impedire che l'ampliamento del mercato di riferimento si traduca in un «annacquamento» della disciplina antitrust.
  Un'altra questione che attiene specificamente all'ambito regolatorio riguarda l'ordinamento Pag. 31automatico dei canali (usualmente indicato, come detto, con l'acronimo inglese LCN, Logical Channel number). Si è dato conto degli esiti del lungo e complesso contenzioso in sede amministrativa su questa materia e, da ultimo, della determinazione assunta dal commissario ad acta in data 27 aprile 2015. In ogni caso dall'indagine è emersa l'esigenza di pervenire, eventualmente anche con interventi normativi di rango primario, ad un quadro regolatorio relativo allo specifico punto in questione che sia stabile e certo.
  Un ultimo problema specifico del sistema radiotelevisivo concerne la governance e le modalità di funzionamento di Auditel, anche per le ricadute sui ricavi pubblicitari. È stata auspicata, in particolare da Sky Italia, una governance ispirata al criterio della terzietà ed è stato ritenuto assolutamente opportuno l'ampliamento del campione delle rilevazioni.

5.6. L'assegnazione delle frequenze.

  La convergenza tecnologica rende ancora più rilevanti le decisioni in merito all'allocazione delle frequenze. L'indagine conoscitiva ha confermato il rilievo assolutamente strategico che assumeranno le decisioni in merito alla ripartizione tra l'utilizzo radiotelevisivo e quello per telefonia mobile a banda larga, con particolare riferimento alla banda 700 Mhz (dopo che, in conformità con quanto previsto a livello di Unione europea, la banda 800 Mhz è stata destinata in via definitiva al radiomobile).
  La fruizione ottimale di contenuti video tramite Internet richiede infatti requisiti di connessione sempre più elevati, che comportano, tra l'altro, l'assegnazione di quote dello spettro frequenziale adeguate alla domanda crescente di banda larga in mobilità.
  Le emittenti televisive hanno d'altra parte osservato come la revisione dell'assegnazione delle frequenze non può assumere semplicemente come criterio la riduzione di un'ulteriore porzione dello spettro da esse utilizzato.
  Un indirizzo di programmazione, anche sotto il profilo temporale, con l'esplicito obiettivo di garantire una coesistenza duratura, è stato definito nel rapporto del High Level Group presieduto da Pascal Lamy, consegnato alla Commissione europea il 1o settembre 2014. Nel rapporto si prospetta che la banda di frequenze 700 Mhz sia assegnata alla banda larga mobile nel 2020 (con la possibilità di anticipare o posticipare tale data di due anni), che la banda inferiore, vale a dire la banda di frequenze 470-694 Mhz, sia mantenuta per l'utilizzo radiotelevisivo fino al 2030 e che si compia una verifica intermedia sull'evoluzione delle tecnologie e del mercato nel 2025.
  Per quanto riguarda, in particolare la gestione delle frequenze in Italia, occorre tener conto che l'assegnazione delle frequenze ha lasciato molti problemi aperti per quanto concerne le emittenti radiotelevisive locali, per cui sono stati sollecitati interventi di razionalizzazione ulteriori rispetto a quelli di recente adottati, anche al fine di ridurre problemi di interferenza con Stati confinanti (commi da 8 a 9-septies dell'articolo 6 del decreto-legge n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014, come successivamente modificato dal comma 147 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014). L'attuazione delle misure già adottate dovrebbe accompagnarsi alla realizzazione di un catasto delle frequenze che offra finalmente una chiara rappresentazione delle effettive modalità di utilizzo delle frequenze, eliminando le molte situazioni «grigie» che ancora sussistono.
  In quest'ottica appare altresì condivisibile la proposta dell'AGCOM in ordine alla necessità di introduzione di disposizioni legislative che comportino il periodico svolgimento dell'analisi del livello di utilizzo delle risorse frequenziali, soprattutto con riguardo alle bande di maggior interesse commerciale, e la riallocazione delle risorse ai servizi che generano il maggior valore per la collettività.
  Una tale attività di analisi permetterebbe, tra l'altro, di valutare le possibilità di una razionalizzazione dell'utilizzo delle Pag. 32frequenze connessa con l'aumento delle capacità trasmissive derivante dal passaggio alla tecnologia DVB-T2.

5.7. L'emittenza televisiva locale.

  Le emittenti locali rappresentano una realtà che in Italia, anche per le caratteristiche geografiche e la pronunciata articolazione territoriale, ha dimensioni assai più ampie di quanto non accada in altri Stati europei. Con il passaggio dall'analogico al digitale terrestre, il numero dei programmi trasmessi dalle emittenti televisive locali si è ulteriormente accresciuto.
  Ciò ha creato, per numerose di queste realtà, condizioni di difficoltà e di precarietà che la crisi economica, di cui le piccole e medie emittenti locali hanno risentito in misura assai accentuata, ha gravemente inasprito.
  Da qui l'esigenza di una politica specificamente rivolta all'emittenza locale, che valorizzi la capacità di quest'ultima di rappresentare adeguatamente il territorio in cui opera. A tal fine devono essere individuati e posti in essere interventi che, riservando una specifica disciplina alle emittenti locali comunitarie, promuovano, quanto alle emittenti commerciali, la concentrazione del numero dei soggetti operanti, rafforzando quelli che, in termini di struttura di impresa, consistenza patrimoniale, occupazione, livello di ascolti, offrono le maggiori garanzie di solidità.
  In questo modo sarà possibile favorire la qualità della programmazione delle emittenti locali e consentire ad esse di svolgere effettivamente quella funzione di «voce del territorio» che giustifica anche il sostegno economico pubblico.

5.8. L'emittenza radiofonica.

  Come l'emittenza locale, anche il settore radiofonico ha subito le pesanti conseguenze della crisi, che si sono manifestate attraverso una forte riduzione degli investimenti pubblicitari. Il sostegno alle emittenti radiofoniche può passare attraverso una revisione delle modalità di attribuzione dei contributi pubblici.
  Dal punto di vista tecnologico, è importante favorire, anche tenendo conto di quanto accaduto in altri Paesi europei, il processo di digitalizzazione della radio, accelerandone i tempi e promuovendo iniziative che valorizzino la radio digitale. La digitalizzazione del segnale potrà, oltre a migliorare la qualità del servizio, permettere un riassetto del settore radiofonico, anche con riferimento alla pianificazione della banda FM.
  A tal fine, anche superando resistenze che finora si sono registrate, la pianificazione del servizio di radiodiffusione sonora in tecnica digitale dovrà essere rapidamente estesa all'intero territorio nazionale, favorendo in particolare la copertura delle grandi direttrici di traffico automobilistico.
  Sotto il profilo normativo, come suggerito dall'AGCOM, potrebbero essere destinate alla radiofonia digitale le frequenze della banda 230-240 Mhz, che attualmente il Piano nazionale di ripartizione delle frequenze attribuisce alle telecomunicazioni e assegna al Ministero della difesa.

5.9. Il servizio pubblico radiotelevisivo.

  La consapevolezza del ruolo che il sistema radiotelevisivo riveste dal punto di vista sociale, culturale e informativo ha indotto ad affrontare anche il tema del servizio pubblico. Dall'indagine conoscitiva sono state confermate le ragioni che giustificano l'individuazione di un servizio pubblico radiotelevisivo. Si è al tempo stesso osservato che la scadenza della concessione del servizio pubblico (6 maggio 2016) può offrire l'occasione per un ripensamento del modo con cui il servizio stesso è organizzato e fornito. È senz'altro opportuno anticipare, rispetto a tale scadenza, la riflessione sulla materia, tanto più che a luglio 2015 si conclude anche il mandato del consiglio di amministrazione della RAI.
  Come è risultato con chiarezza, il mondo delle comunicazioni è sempre più al centro della vita democratica. Si stanno Pag. 33imponendo le condizioni per immaginare una nuova responsabilità pubblica. I doveri di regolazione e di indirizzo crescono enormemente.
  La Costituzione già afferma all'articolo 21 che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Nella società dell'informazione nella quale viviamo, tuttavia, non è un principio fondamentale soltanto la libertà di espressione, ma lo è anche il poter comunicare «in entrata e in uscita». L'accesso al mondo delle comunicazioni è diventato un diritto analogo a quello per l'istruzione e per la salute. Al punto che non sarebbe né stravagante né inopportuno inserire nella Carta, come è stato già suggerito da proposte di iniziativa parlamentare, questo nuovo diritto, come diritto meritevole di riconoscimento costituzionale. Analogamente a quanto la Costituzione già prevede per le «cure agli indigenti» e per l'istruzione obbligatoria, si potrebbe stabilire a livello costituzionale il diritto all'accesso alla rete gratuito e universale.
  Ritornando al tema del servizio pubblico, le modalità di esercizio di tale servizio non potranno non tenere conto delle evoluzioni tecnologiche in atto. In tal senso, la concessionaria del servizio pubblico dovrà qualificarsi principalmente per i contenuti che trasmetterà sulle diverse piattaforme. Il servizio pubblico del prossimo decennio dovrà essere crossmediale e dovrà rappresentare il Paese in un contesto diventato ormai internazionale. Non basta più produrre e diffondere programmi per il mercato interno. In rapporto con i produttori indipendenti, il servizio pubblico sempre più deve essere il volano di un'industria produttiva nazionale capace di esportare e di essere presente su tutte le piattaforme internazionali.
  Da qui l'esigenza di impegnarsi in un progetto motivato e coerente di nuovo servizio pubblico. Occorre che la RAI diventi una media company in grado di fornire un servizio pubblico delle comunicazioni crossmediale e interattivo, presente su tutte le piattaforme con contenuti sia lineari sia a richiesta, nel contesto di una riorganizzazione del sistema delle comunicazioni nazionali.
  Per raggiungere questo obiettivo è preliminare prendere in considerazione il tema della governance della RAI. Proprio nella prospettiva dell'evoluzione che dovrà interessare la RAI, c’è bisogno di una governance più snella dell'attuale e più rispondente ad obiettivi di efficienza gestionale ed efficacia delle prestazioni. Il tema della governance permette tra l'altro di affrontare una delle cause a cui sono ricondotte in larga misura le criticità che presenta oggi il servizio pubblico, vale a dire l'intervento diretto e l'eccessiva interferenza della classe politica nella gestione della RAI.
  Deve essere valutata in relazione a queste considerazioni anche l'iniziativa del Governo di intervenire con un proprio disegno di legge su quelli che sono gli elementi essenziali della disciplina della governance della RAI. Si tratta, in particolare, della composizione e delle modalità di nomina del consiglio di amministrazione; dell'istituzione della figura dell'amministratore delegato e della definizione del suo ruolo, in linea con le attribuzioni che sono proprie di tale figura nelle società per azioni; dei compiti della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi; delle necessarie misure di semplificazione, con particolare riferimento alla gestione dei contratti e al reclutamento del personale.
  Le soluzioni da adottare rispetto ai singoli aspetti emergeranno dall'esame delle proposte del Governo da parte dell'uno e dell'altro ramo del Parlamento. È comunque innegabile l'esigenza di una profonda revisione della governance della RAI, che, avvicinandola al modello ordinario delle società per azioni, oltre a favorire una maggiore efficienza ed efficacia attraverso una gestione di carattere manageriale, permetta anche risposte pronte e adeguate rispetto alle sollecitazioni di enorme portata alle quali la RAI, come prima industria culturale del Paese, è chiamata a rispondere.
  La riforma, a livello legislativo, della governance della RAI dovrebbe associarsi a una proposta di riorganizzazione complessiva dell'azienda, che indichi quale ruolo Pag. 34essa intenda svolgere rispetto ai temi che sono stati al centro dell'indagine conoscitiva – l'innovazione tecnologica, la convergenza, le diverse piattaforme di trasmissione dei contenuti radiotelevisivi – , approfondisca il rapporto con i territori e con le televisioni di prossimità, riveda il sistema di relazioni fra azienda e produttori indipendenti dell'audiovisivo, ponendo in atto le condizioni per un'industria dell'audiovisivo italiana in grado di crescere e di esportare prodotti di qualità, riorganizzi una filiera produttiva dell'informazione, considerando quali sono oggi le modalità più adeguate di ricerca e di presentazione delle news.
  In relazione a queste decisioni di fondo, potrà essere affrontato anche il tema delle risorse finanziarie da destinare al servizio pubblico. Soltanto se si definiranno con chiarezza, attraverso una riflessione ampia, le caratteristiche di organizzazione e di funzionamento e la missione del servizio pubblico e il ruolo che può svolgere per il Paese in relazione alla produzione di contenuti, all'informazione e alla cultura, si potrà considerare adeguatamente anche la questione di come finanziare tale servizio. In questo contesto potrebbe essere infatti ripensato lo strumento del canone, che, da un lato, dovrebbe risultare più strettamente correlato ai costi effettivi del servizio pubblico e, dall'altro, dovrebbe essere riscosso con modalità che permettano di ridurre entro dimensioni fisiologiche il fenomeno dell'evasione.