Doc. XVI, n. 2

RELAZIONE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE

(AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI)

(Relatore: SISTO)

su

TUTTI GLI ASPETTI RELATIVI AL FENOMENO DELLA DECRETAZIONE D'URGENZA

Presentata alla Presidenza il 21 luglio 2015

Approvata dalla Commissione nella seduta del 15 luglio 2015, a conclusione di una procedura di esame svolta ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del regolamento.

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I N D I C E

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Premessa 5
1. Introduzione alla relazione 7
2. La «fisiologia» dell'istituto nella Costituzione e nella attività delle prime legislature repubblicane 10
3. Il fenomeno dell'abuso della decretazione d'urgenza: dimensione del fenomeno e dati di tendenza 12
  3.1 Profilo diacronico del numero dei decreti-legge 12
  3.2 L'incidenza dei decreti-legge sul totale delle leggi 14
  3.3 La dimensione dell'attività emendativa e le disposizioni aggiunte in sede di conversione 15
  3.4 Il numero di deleghe legislative disposte o prorogate con decreto-legge o con legge di conversione 16
  3.5 I provvedimenti attuativi previsti dai decreti-legge 17
  3.6 Il fenomeno della reiterazione 19
  3.7 Il numero di decreti-legge convertiti con voto di fiducia 20
  3.8 La presentazione di maxiemendamenti per la conversione dei decreti-legge 21
  3.9 Il fenomeno del cosiddetto «bicameralismo alternato» 21
  3.10 L'innesto dei contenuti di decreti-legge sul testo di altri decreti in corso di conversione 22
  3.11 I tempi di adozione dei decreti-legge 23
  3.12 L'adozione di decreti-legge nel periodo di scioglimento delle Camere 25
4. Le principali cause del fenomeno 27
  4.1 La difficoltà del sistema istituzionale disegnato dalla Costituzione del 1948 di rispondere tempestivamente alle domande di regolazione provenienti da una società in continua trasformazione 27
  4.2 La «lentezza» del Parlamento e l'assenza in via generale di «corsie preferenziali» per i disegni di legge del Governo 27
  4.3 La scarsa coesione delle maggioranze di governo 28
  4.4 La crisi della legge, intesa come progressiva incapacità dell'ordinamento di mantenere un assetto stabile e coerente 29
5. Le principali conseguenze del fenomeno 30
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  5.1 Gli effetti sul funzionamento del sistema democratico e sui suoi equilibri 30
  5.2 Gli effetti sulla forma di governo 31
  5.3 Gli effetti sul funzionamento del procedimento legislativo 33
  5.4 Le ripercussioni sugli assetti regolativi nei diversi settori a danno dei singoli, delle imprese, delle pubbliche amministrazioni 35
6. Le «reazioni» all'abuso della decretazione d'urgenza 36
  6.1 La Corte costituzionale 36
  6.2 Il Presidente della Repubblica 39
  6.3 Il Parlamento 43
7. Conclusioni 48
Appendice 51
Tabelle 52
  Tab. n. 1: Profilo diacronico del numero dei decreti-legge 52
  Tab. n. 2: L'incidenza delle leggi di conversione sulla produzione legislativa 53
  Tab. n. 3: Gli spazi legislativi 54
  Tab. n. 4: I tempi di adozione dei decreti-legge nell'esperienza dei governi più recenti 55
  Tab. n. 5: Decreti-legge emanati nei periodi di scioglimento delle Camere 56
Dati e statistiche 57
  Questioni di fiducia poste su decreti-legge 57
  Quadro riepilogativo dei decreti-legge su cui è stata posta la questione di fiducia da parte del Governo a partire dalla VIII legislatura 58
  Elenco dei decreti-legge su cui è stata posta la questione di fiducia da parte del Governo a partire dalla VIII legislatura 59
Bibliografia 108
Legislazione comparata 168
  Albania 168
  Danimarca 168
  Estonia 168
  Grecia 168
  Islanda 169
  Portogallo 169
  Romania 169
  Spagna 169
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Resoconti sommari del dibattito in I Commissione 171
  Resoconti stenografici delle audizioni svolte e memorie depositate nell'ambito dell'indagine conoscitiva 190
  Resoconto stenografico della seduta del 19 giugno 2014:
   audizione di esperti 191
   Memoria depositata dal prof. Gaetano AZZARITI 220
   Memoria depositata dal prof. Alfonso CELOTTO 226
   Memoria depositata dal prof. Antonio D'ANDREA 237
   Memoria depositata dal prof. Claudio DE FIORES 244
   Memoria depositata dal prof. Francesco Saverio MARINI 253
   Memoria depositata dal prof. Giulio SALERNO 260
   Memoria depositata dal prof. Gino SCACCIA 264
   Memoria depositata dal prof. Mauro VOLPI 290
  Resoconto stenografico della seduta dell'11 marzo 2015:
   audizione di esperti 297
   Memoria depositata dalla prof.ssa Ginevra
CERRINA FERONI 311
  Resoconto stenografico della seduta del 18 marzo 2015:
   audizione della Ministra per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena BOSCHI 318
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Premessa

  La Conferenza dei Presidenti di gruppo, nella riunione del 9 gennaio 2014, ha convenuto di chiedere alla Commissione Affari costituzionali di predisporre una relazione all'Assemblea, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
  La Commissione Affari costituzionali ha avviato i suoi lavori per la predisposizione della relazione nella seduta del 27 marzo 2014, con l'intervento introduttivo del Presidente, on. Francesco Paolo Sisto.
  Nella seduta del 3 giugno 2014 la Commissione ha deliberato, nell'ambito del lavoro istruttorio sulla relazione, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva. Il termine per la conclusione dell'indagine, inizialmente fissato per la fine del mese di giugno 2014, è stato prorogato una prima volta al 30 settembre 2014 e successivamente al 31 marzo 2015.
  Nelle sedute del 19 giugno 2014 e dell'11 marzo 2015 la Commissione ha proceduto all'audizione di esperti della materia.
  In particolare, nella seduta del 19 giugno 2014 sono stati ascoltati: Gaetano Azzariti, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università «La Sapienza» di Roma; Beniamino Caravita di Toritto, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università «La Sapienza » di Roma; Alfonso Celotto, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Roma Tre; Antonio D'Andrea, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università di Brescia; Claudio De Fiores, professore straordinario di diritto costituzionale presso la II Università di Napoli; Giovanni Guzzetta, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Tor Vergata di Roma; Francesco Saverio Marini, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Tor Vergata di Roma; Giulio Salerno, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Macerata; Gino Scaccia, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Teramo; Mauro Volpi, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Perugia.
  Nella seduta dell'11 marzo 2015 la Commissione ha proceduto all'audizione dei seguenti esperti: Ginevra Cerrina Feroni, professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze; Nicola Lupo, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma; Antonio Felice Uricchio, professore ordinario di diritto tributario presso l'Università di Bari.Pag. 7
  Infine, a conclusione dell'indagine conoscitiva, nella seduta del 18 marzo 2015 ha avuto luogo l'audizione della Ministra per le riforme costituzionali e per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi.
  La Commissione ha proseguito i suoi lavori nelle sedute del 25, 26 e 31 marzo e 1o aprile 2015 e ha approvato la relazione in data 15 luglio 2015. La relazione si articola in una parte introduttiva e in una serie di capitoli in cui viene illustrata la «fisiologia» dell'istituto della decretazione d'urgenza nella Costituzione e nell'attività delle prime legislature repubblicane; di seguito viene analizzato il fenomeno dell'abuso dell'istituto, le sue principali cause, le principali conseguenze e le reazioni al dilagare del fenomeno. La relazione contiene, infine, alcune considerazioni conclusive. Nell'appendice sono riportati dati statistici e documentali, una ampia bibliografia, una scheda di diritto comparato, i resoconti del dibattito svoltosi in Commissione, gli stenografici delle audizioni svolte e le memorie depositate. I dati citati nella relazione e le statistiche e i documenti riportati in appendice sono aggiornati al 31 marzo 2015.

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1. Introduzione alla relazione

  La I Commissione è stata chiamata dalla Conferenza dei presidenti di gruppo a riferire all'Assemblea, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento della Camera, su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza. Una relazione, come sottolineato dal Presidente della I Commissione, Francesco Paolo Sisto, nel suo intervento introduttivo del 27 marzo 2014, che riguarda «l'insieme delle questioni politiche, costituzionali e tecniche relative all'esercizio della potestà normativa primaria in una società complessa come l'attuale e che rappresenta uno dei temi più rilevanti per lo sviluppo ordinato di una democrazia moderna».
  L'attualità del tema, per la Camera dei deputati e per tutto l'assetto istituzionale della Repubblica italiana, nasce dal massiccio ricorso allo strumento del decreto-legge, che anche nel primo anno della legislatura attuale ha raggiunto un livello particolarmente elevato: il dato percentuale delle leggi di conversione sul totale delle leggi approvate (con esclusione delle leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali) riferito a quel periodo è stato infatti pari al 60 per cento. Una situazione che ha spinto la Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, a manifestare le proprie preoccupazioni sia all'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, in una lettera del 31 gennaio 2014 sia al Presidente del Consiglio in carica, Matteo Renzi, in lettera del 14 ottobre 2014.
  La Presidente della Camera esprimeva la sua «forte preoccupazione istituzionale derivante dalle oggettive difficoltà – se non impossibilità – di organizzare i lavori della Camera dei deputati a causa del ricorso sempre più frequente allo strumento del decreto-legge da parte del Governo». E aggiungeva: «È noto che tale situazione, unita al carattere spesso eterogeneo del contenuto dei decreti, genera tensioni nel rapporto tra maggioranza e gruppi di opposizione; essa incide anche [...] molto negativamente sull'ordinato svolgimento dei lavori parlamentari, rendendo di fatto assai difficile una razionale programmazione dei lavori stessi».
  Il problema posto dalla Presidente della Camera non è nuovo nel quadro istituzionale repubblicano se già nella VII legislatura il Presidente della Camera, Pietro Ingrao, nella seduta del 13 gennaio 1977, nel ricordare il numero di disegni di legge di conversione all'esame del Parlamento, informava l'Assemblea di aver richiamato l'attenzione del Presidente del Consiglio sul problema. Il Presidente della Camera osservava che in alcuni casi «non sembrava emergere in modo netto [...] quella immediata operatività di effetti che è nella logica del decreto-legge». E nella seduta del 25 luglio 1977 specificava che il senso del suo intervento era «non già di sindacare nel merito le scelte governative, cosa che non spetta in alcun modo al Presidente della Camera [...] ma di richiamare l'attenzione [...] sull'incidenza che il numero divenuto così grande dei decreti-legge ha sulla programmazione dei lavori parlamentari, cioè su un diritto e un potere autonomo del Parlamento».
  In seguito all'intervento del Presidente della Camera, l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Giulio Andreotti, sentì il dovere di emanare una circolare, rivolta a tutti i ministri, in cui si avvertiva testualmente che «la Presidenza del Consiglio non potrebbe ulteriormente accogliere proposte di decreti-legge non legate strettamente a materie imprevedibili o da catenaccio» e questo per «un doveroso autolimite nei confronti del Parlamento».
  La questione dell'incidenza dell'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge sui lavori delle Assemblee parlamentari si lega a quella dell'uso dello strumento dei decreti-legge in modo non Pag. 9conforme alla lettera dell'articolo 77 della Costituzione. Si tratta di un dibattito che ha interessato molte legislature repubblicane.
  È però da tenere presente che dalla I alla IV legislatura l'uso del decreto-legge si è mantenuto nell'alveo dettato dalla Costituzione ed è stato – si potrebbe dire di conseguenza – anche «contenuto» sotto il profilo numerico. Ad esempio, vi fu un solo caso di reiterazione: il decreto-legge 23 dicembre 1964, n. 1351, in materia di prelievi nel settore agricolo, che reiterava le disposizioni del decreto-legge 29 ottobre 1964, n. 1014. Ma proprio questo caso aiuta a comprendere come ci si muovesse all'interno del dettato costituzionale. Nella seduta del 18 febbraio 1965 veniva infatti presentata una questione pregiudiziale, fondata proprio sulla non conformità al dettato costituzionale della reiterazione dei provvedimenti d'urgenza. Il Ministro senza portafoglio con delega ai rapporti con il Parlamento, Giovanni Battista Scaglia, nell'evidenziare l'eccezionalità del provvedimento – che reiterava un decreto non convertito solo a causa dell'impedimento dovuto al protrarsi delle sedute del Parlamento in seduta comune per l'elezione del Presidente della Repubblica – osservava che «nessuno ha diritto di pensare che si voglia instaurare una prassi o che l'iniziativa possa costituire un precedente».
  La situazione inizia a mutare, per alcuni aspetti, a partire dalla V legislatura, nella quale si verifica il primo vero caso di reiterazione (il decreto-legge 26 ottobre 1970, n. 745, il cosiddetto «decretone Colombo» concernente provvedimenti per la ripresa economica, un provvedimento omnibus di 65 articoli), e ha inizio quella prassi tesa a trasformare nei fatti la decretazione d'urgenza in una «iniziativa legislativa rinforzata», come già la definiva Alberto Predieri nel 1973 (v. bibliografia in Appendice), e anche in uno strumento per l'attuazione del programma di governo. Di conseguenza si registra un aumento costante del numero di decreti-legge, stabilmente superiori a 100 per legislatura.
  L'attenzione del Parlamento verso il problema si è mantenuta sempre costante, ad iniziare dai numerosi interventi dei Presidenti della Camera nei confronti del Governo. Oltre ai già citati interventi del Presidente Pietro Ingrao, giova ricordare gli interventi in Assemblea della Presidente Nilde Iotti del 4 settembre 1984 sulla reiterazione dei decreti-legge e del 18 marzo 1987 sulla decretazione d'urgenza in periodo di crisi di governo.
  Con l'esplosione del problema della decretazione d'urgenza, l'attenzione della Camera si è concentrata sulle necessarie misure di modifica al Regolamento. Nel 1981 viene così introdotto l'articolo 96-bis, volto a definire da una parte procedure di garanzia dei tempi di esame del provvedimento, dall'altra procedure di valutazione, da parte prima della Commissione Affari costituzionali e poi dell'Assemblea, della sussistenza dei requisiti di costituzionalità.
  Il tema della decretazione d'urgenza rimase, anche dopo tale riforma, di viva attualità, tanto che la I Commissione della Camera nella IX legislatura affrontò il problema tra il 6 ottobre e il 17 novembre 1983, con un dibattito seguito alle comunicazioni del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Oscar Mammì. Nella sua relazione introduttiva, nella seduta del 6 ottobre 1983, il Presidente della I Commissione, Silvano Labriola, affermava che il fine dei lavori della Commissione era quello «di dare un contributo per correggere una prassi che non può non allarmare seriamente la Commissione stessa ed il Parlamento nel suo complesso». Con l'auspicio di una collaborazione del Governo «per giungere a un corretto uso dei poteri previsti dall'articolo 77 della Costituzione; e che si possano, altresì, individuare le modifiche costituzionali, legislative e regolamentari idonee a sciogliere quei nodi che sono oggi all'attenzione non solo del Parlamento, che si trova nell'impossibilità di dare un assetto ordinato e compiuto alla propria attività legislativa, ma anche del Governo, che è interessato a una produzione normativa organica, nonché della collettività nel suo insieme e dei Pag. 10singoli cittadini, che versano in una situazione di grave disagio di fronte ad una produzione normativa frammentaria, disorganica e, troppo spesso, anche precaria». Il dibattito non si concluse con delle relazioni o con delle iniziative legislative che invece erano state auspicate.
   La 1a Commissione del Senato nella IX legislatura affrontò il problema della decretazione d'urgenza tra il 19 marzo e il 17 luglio 1985 con un ampio dibattito che, però, anche in questa occasione non sfociò in iniziative specifiche.
  Ci sono stati poi diversi tentativi di regolamentazione del fenomeno della decretazione d'urgenza sul piano normativo, che hanno portato come risultato la disciplina dettata dall'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Tale articolo, in particolare, prevede dei limiti all'uso dello strumento del decreto-legge da parte del Governo: non si possono conferire deleghe legislative, né provvedere nelle materie indicate nell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione né rinnovare le disposizioni di decreti-legge non convertiti in legge per il voto negativo di una delle due Camere. Inoltre, viene sancito il principio della specificità e omogeneità del contenuto del decreto-legge. Le disposizioni della legge n. 400 del 1988, come si vedrà più avanti, se hanno inciso in senso ristrettivo sui criteri di ammissibilità degli emendamenti adottati alla Camera non hanno, peraltro, ottenuto effetti risolutivi.
  La rilevanza del problema della decretazione d'urgenza si è mantenuta costante, anche dopo l'approvazione di una legge elettorale di tipo maggioritario nel 1993. E costante è rimasta l'attenzione del Parlamento che ha più volte convocato sul tema i rappresentanti del Governo. Nella XII legislatura, la 1a Commissione del Senato, nella seduta del 3 agosto 1994, ha ascoltato in audizione l'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, mentre presso la I Commissione della Camera, nelle sedute del 6 e 12 ottobre 1994, ha avuto luogo l'audizione dell'allora Ministro per i rapporti con il Parlamento, Giuliano Ferrara.
  Nella XIII legislatura la Camera pone mano all'articolo 96-bis, che viene modificato in quanto ritenuto non idoneo a contenere e disciplinare adeguatamente il fenomeno. Nel contempo viene istituito il Comitato per la legislazione, cui sono attribuite – come si vedrà oltre – specifiche funzioni in ordine alla verifica sui caratteri di specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto dei decreti-legge e che peraltro ha svolto ripetutamente attività conoscitive e di monitoraggio del fenomeno. Inoltre, con la circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997, viene reso più stringente il criterio di ammissibilità degli emendamenti, collegato non solo alla materia, ma anche alla stretta attinenza con l'oggetto proprio delle disposizioni contenute nel decreto.
  Nel medesimo periodo non può non essere sottolineato un orientamento decisivo della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 360 del 1996, ha sancito l'illegittimità della reiterazione – già messa in dubbio nella sentenza n. 302 del 1988 –, determinando la fine dell'uso di questo strumento, a parte alcune eccezioni (v. infra, ad esempio, i cosiddetti decreti-legge «salva-Roma»).
  Nella XVI legislatura, le due Commissioni Affari costituzionali hanno svolto, nelle sedute del 24 settembre e 30 ottobre 2008, l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento Elio Vito, vertente sulle linee programmatiche, ma che ha interessato in parte rilevante la decretazione d'urgenza. Infine, in questa legislatura la 1a Commissione del Senato ha svolto l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento del Governo Letta, Dario Franceschini.
  Ed è da sottolineare come nella legislatura corrente si sia posta particolare attenzione a un fenomeno, come la decretazione d'urgenza, che assorbe ancora una parte preponderante dell'attività legislativa. Sono da evidenziare, infatti, da un lato il processo in atto di riforma dei regolamenti parlamentari e dall'altra il processo di revisione della parte II della Costituzione. Come si vedrà nel dettaglio più avanti, nel novellato articolo 77 sono Pag. 11limitate le materie sulle quali il Governo può intervenire con lo strumento del decreto-legge, mentre viene stabilita, con la modifica dell'articolo 72, una corsia preferenziale con voto a data certa per i provvedimenti ritenuti essenziali dal Governo per l'attuazione del proprio programma.
  In questo quadro generale si inseriscono l'iniziativa della Conferenza dei presidenti di gruppo e il lavoro svolto della I Commissione, che ha avuto come risultato questa relazione la quale, nella storia parlamentare italiana, è la prima sul tema della decretazione d'urgenza ad essere presentata all'Assemblea.

2. La «fisiologia» dell'istituto nella Costituzione e nella attività delle prime legislature repubblicane

  L'atteggiamento dell'Assemblea costituente nei confronti dell'istituto del decreto-legge e, più in generale, nei confronti della decretazione legislativa d'urgenza, fu ispirato ad una grande diffidenza. Tale diffidenza trovava fondamento nell'uso che del decreto-legge fu fatto sia nel periodo statutario – dove si raggiunse l'apice di 1043 decreti emanati nel 1919 – sia sotto il regime fascista che, seppur in misura inferiore rispetto alla predetta fase statutaria, finì ugualmente per ricorrere abitualmente a tale strumento (350 decreti solo nell'anno 1938).
  All'interno della seconda Sottocommissione dell'Assemblea costituente si giunse, quindi, ad approvare all'unanimità la proposta dell'onorevole Bulloni la quale affermava a chiare lettere che «non è consentita la decretazione d'urgenza da parte del Governo». Tuttavia, non appena questa parte del progetto costituente fu portata all'attenzione dei lavori dell'Assemblea, le posizioni maggioritarie si indirizzarono verso un diverso orientamento.
  Alla base di tale orientamento vi era, da una parte, la presa d'atto della impossibilità di eliminare tout court l'istituto dei decreti-legge, dall'altra parte la limpida volontà di dare all'istituto medesimo una rigorosa regolamentazione che avrebbe dovuto consentire di limitare drasticamente il suo utilizzo rispetto al passato.
  L'articolo 77 detta, pertanto, una disciplina della decretazione d'urgenza che è figlia, come sopra ricordato, della necessità di circoscrivere con efficacia il potere dell'Esecutivo ed evitarne, di conseguenza, l'abuso.
  In primo luogo milita, in questo senso, la disposizione di cui al primo comma del citato articolo 77 secondo cui il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Si tratta di una disposizione di chiusura perché la formula costituzionale esclude che il Governo possa esercitare la funzione legislativa con atti diversi dai decreti legislativi delegati con le garanzie previste per questi ultimi.
  Il secondo comma dell'articolo 77 definisce poi nel dettaglio lo strumento della decretazione d'urgenza che costituisce una ipotesi eccezionale di attribuzione di potestà normativa con valore primario ad un organo esecutivo, che va a rompere la tradizionale divisione dei poteri tra gli organi dello Stato, per far fronte a casi extra ordinem di straordinarietà, di necessità, di urgenza.
  Al riguardo si ricorda che la discussione, in Assemblea costituente, si incentrò sulla necessità di scegliere se individuare la fattispecie legittimante il ricorso al decreto-legge mediante una «clausola in bianco» oppure se ricorrere ad una puntuale e tassativa regolazione casistica delle ipotesi in cui il Governo può emanare atti normativi primari d'urgenza.
  Giova sottolineare che secondo alcuni componenti dell'Assemblea costituente sarebbe stato opportuno cristallizzare nella Carta costituzionale le ipotesi specifiche nelle quali poteva essere riconosciuta all'Esecutivo la potestà della decretazione d'urgenza. Il riferimento era ai casi dei cosiddetti «decreti catenaccio» in materia fiscale, ai decreti-legge giustificati da calamità naturali e a quelli causati da motivi di ordine pubblico. Prevalse, invece, la tesi secondo cui sarebbe stato impossibile tipizzare tutti i casi in cui si possa ammettere Pag. 12il ricorso al decreto-legge, considerato che la necessità, per sua natura, si può presentare negli aspetti più diversi e imprevedibili.
  Tale tesi divenne oggetto dell'emendamento dell'On. Codacci Pisanelli che definì il testo dell'attuale articolo 77 della Costituzione, finalizzato a riconoscere i decreti-legge come fonti normative equiparate alle leggi formali, e stabilì che il Governo potesse adottare tali provvedimenti «in casi straordinari di necessità e d'urgenza». Nel testo della Costituzione la straordinarietà allude a situazioni oggettivamente eccezionali generanti uno stato di emergenza imprevedibile; la necessità rappresenta l'inevitabilità dell'atto e non la sua mera opportunità, mentre l'urgenza è sinonimo di esigenza di immediata ed integrale applicazione di tutte le disposizioni contenute nel decreto-legge in quanto indifferibile.
  Un ulteriore confine alla possibilità di abuso da parte dell'Esecutivo della decretazione d'urgenza, era rappresentato, nell'intenzione dei padri costituenti, dalla previsione della mera temporaneità della fonte. Fu poi l'emendamento proposto dall'on. Tosato a stabilire la decadenza ex tunc, in luogo dell'abrogazione per il solo futuro, dei decreti non convertiti in legge nei sessanta giorni successivi alla loro pubblicazione.
  Se a ciò si aggiunge la circostanza che l'emanazione del decreto-legge avrebbe comportato la necessità di convocare le Camere anche se sciolte, al fine di procedere alla loro conversione, si può affermare come il Costituente abbia voluto tracciare una disciplina della decretazione d'urgenza di assoluto rigore circa le condizioni e i limiti di utilizzo dell'istituto da parte del Governo.
  In altre parole, si trattava, come affermato dall'On. Ruini, di una disciplina che contemplava sicuri freni all'emanazione dei decreti-legge che, pertanto, sarebbero stati adottati dal Governo solo in casi di vera e propria «necessità».
  L'articolo 77 della Costituzione stabilisce, infatti, che, prima di poter esercitare il potere previsto dal medesimo articolo 77, il Governo dovrebbe in ogni caso procedere ad almeno tre rigorose valutazioni preliminari: alla constatazione che, rispetto alla situazione di fatto venutasi a creare, sia necessaria una regolamentazione normativa nel più breve tempo possibile; all'accertamento dell'impossibilità di ricorrere all'ordinario procedimento legislativo; alla determinazione di utilizzare l'atto derogatorio delle competenze precostituite ex lege.
  Tracciata, seppur sinteticamente, la cornice entro cui l'Assemblea costituente aveva inteso contenere lo strumento del decreto-legge e ricordate brevemente le principali caratteristiche della disciplina dettata dall'articolo 77 della Costituzione, si evidenzia che, in linea con gli auspici della medesima Assemblea costituente, la decretazione d'urgenza, nei primi anni della Repubblica, fu utilizzata, come sopra ricordato, nel rispetto delle condizioni e dei limiti definiti dalla Costituzione.
  Al riguardo, anticipando quanto emerge dall'analisi dei dati che saranno illustrati nel capitolo successivo, si ricorda che le prime cinque legislature furono caratterizzate, rispettivamente, dall'emanazione di trentuno, sessanta, trenta, novantaquattro e sessantanove decreti-legge che, peraltro, rappresentavano una percentuale limitata dell'intera produzione normativa. Basti pensare al dato della frequenza mensile media dei decreti-legge pari a 0,47 nella I legislatura, a 1 nella II, a 0,50 nella III, a 1,5 nella IV e, infine, a 1,4 nella V.
  Dalla VI legislatura in poi aumenta sensibilmente il numero dei decreti-legge, che passa a 126 incidendo in tal modo per una percentuale pari al 10 per cento della produzione legislativa totale. Parallelamente cresce anche il numero delle mancate conversioni e delle corrispondenti reiterazioni, nonché il numero di emendamenti presentati nel corso dell’iter parlamentare di conversione.
  In tal modo si avvia quel processo di deformazione e di stravolgimento del significato e della funzione del decreto-legge che, lungi dal connotarsi quale forma eccezionale di esercizio del potere esecutivo Pag. 13– come era nelle intenzioni dell'Assemblea costituente – diventa strumento nelle mani del Governo per dare risposta a problemi politici urgenti, in virtù della sua immediata operatività.

3. Il fenomeno dell'abuso della decretazione d'urgenza: dimensione del fenomeno e dati di tendenza

3.1 Profilo diacronico del numero dei decreti-legge.

  I dati raccolti in occasione della predisposizione della presente relazione e riportati in appendice dimostrano la tendenza ad un incremento dell'utilizzo dello strumento del decreto-legge che ha cominciato a manifestarsi già all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, per assumere forme particolarmente rilevanti a partire dall'inizio degli anni Ottanta, con l'apice raggiunto a metà degli anni Novanta (in particolare, nella XI e nella XII legislatura) (v. Appendice – Tabella n. 1).
  Analizzando nel dettaglio i dati relativi al numero dei decreti-legge emanati – e fermo restando che tale analisi dovrà poi essere accompagnata da una valutazione comparativa rispetto alla percentuale di leggi approvate nella legislatura di riferimento e agli «spazi normativi» occupati da ciascun atto – si evince in primo luogo un progressivo incremento del numero dei decreti-legge che passano, nelle prime dieci legislature, dai 31 della I legislatura ai 433 della X legislatura. Viene dunque a delinearsi un trend a progressione crescente se si utilizza come parametro, più che il numero in termini assoluti, quello relativo alla media mensile dei decreti-legge emanati in ciascuna legislatura, considerata la durata variabile delle legislature. Nel dettaglio, si registra un tasso mensile di adozione pari a: 0,5 decreti-legge nella I legislatura (per un totale di 31), 1 decreto-legge nella II legislatura (per un totale di 60), 0,5 decreti-legge nella III legislatura (per un totale di 30), 1,55 decreti-legge nella IV legislatura (per un totale di 94), 1,45 decreti-legge nella V legislatura (per un totale di 69), 2,54 decreti-legge nella VI legislatura (per un totale di 126), 4,67 decreti-legge nella VII legislatura (per un totale di 166), 5,36 decreti-legge nella VIII legislatura (per un totale di 260), 6,44 decreti-legge nella IX legislatura (per un totale di 306), 7,53 decreti-legge nella X legislatura (per un totale di 433).
  Come evidenziato nel corso del dibattito parlamentare svolto nel corso della IX legislatura presso la Commissione Affari costituzionali della Camera, nelle prime tre legislature il ricorso alla decretazione d'urgenza appare eccezionale e i decreti-legge vengono quasi tutti convertiti dalle Camere, che fanno, specie nella I legislatura, un uso limitato del potere di emendamento. Il fenomeno ha un primo incremento nel corso della II legislatura, anche se nelle prime tre legislature – come sopra ricordato – non si riscontra nessun decreto reiterato e l'approvazione dei relativi disegni di legge di conversione avviene talvolta in sede legislativa.
  Nelle successive legislature (IV e V) il numero dei decreti-legge è più rilevante, ma è nella VI legislatura che si registra un dato più allarmante. In questa legislatura, infatti, si assiste, da un lato, ad una maggiore difficoltà nei rapporti tra il Governo e la maggioranza che lo sostiene, dall'altra al fenomeno – presente soprattutto nella VII legislatura – della contrattazione in sedi «esterne» al Parlamento del contenuto di molti provvedimenti, con il risultato che i decreti-legge vengono considerati lo strumento per sottoporre all'esame delle Camere i risultati raggiunti in tali sedi. Di conseguenza aumenta il numero dei decreti-legge non convertiti, come anche il numero dei provvedimenti d'urgenza emendati dalle Camere. Nel dibattito svolto nel corso della IX legislatura – sulla base dei dati da cui emerge che il numero dei provvedimenti d'urgenza continua incessantemente ad aumentare, passando dai 260 della VIII legislatura (con una media mensile di 5,36) ai 306 della IX legislatura (con una media mensile di 6,44) – si prende atto di un fenomeno, non ascrivibile ad uno o ad un altro Governo Pag. 14ma ormai entrato nella prassi, ordinaria, seppure stigmatizzata, che fa registrare «sempre più decreti-legge e meno conversioni, più emendamenti anche governativi, più eterogeneità di contenuto anche a seguito dell'esame parlamentare, più reiterazioni anche a cascata» (Camera dei deputati, La decretazione d'urgenza, Il dibattito nella I Commissione della Camera dei deputati 6 ottobre – 17 novembre 1983, pag. 19). In tali anni aumenta altresì la conflittualità politica all'interno del procedimento di conversione dei decreti-legge il cui tasso di conversione passa dall'84 per cento della VII legislatura al 53 per cento dell'VIII.
  Sono poi le legislature X, XI e XII quelle in cui il numero dei decreti-legge aumenta vorticosamente, anche considerato il sempre più frequente ricorso alla reiterazione dei decreti non convertiti, fino al picco di 669 decreti-legge adottati nella XII legislatura (con un tasso mensile di adozione pari a 27,30), preceduto dai 477 decreti-legge adottati nella XI legislatura (con un tasso mensile di adozione pari a 20,29). In tali anni, inoltre, ad una reiterazione sistematica del decreto-legge (che arriva al 90 per cento nella XII legislatura) si accompagna sovente la posizione della questione di fiducia sull'articolo unico del disegno di legge di conversione ovvero sull'emendamento governativo interamente sostitutivo dell'articolo unico, con un utilizzo, quindi, della decretazione d'urgenza come strumento «anti-ostruzionistico», e con un impegno quasi «totalizzante» del calendario d'Assemblea.
  Inevitabile è a quel punto l'intervento della Corte costituzionale in materia, intervento preannunciato dalla stessa Corte con la sentenza n. 29/1995, che ha poi avuto definitivamente seguito con le decisioni nn. 161/1995, 84/1996 e 360/1996 (sul punto v. infra, par. 6.1).
  A partire dalla XIII legislatura (1996-2001), l'analisi effettuata consente di mettere in evidenza come – a seguito delle pronunce della Corte costituzionale – il numero dei decreti-legge emanati sia certamente diminuito rispetto ai dieci anni precedenti anche se rimane comunque elevato in termini assoluti, con una tendenziale diminuzione nel corso delle legislature.
  In particolare, nella XIII legislatura il tasso mensile di adozione è stato pari a 6,11 decreti-legge (per un totale complessivo di 370), nella XIV legislatura pari a 3,66 decreti-legge (per un totale di 216), nella XV legislatura pari a 2 decreti-legge (per un totale di 48), nella XVI legislatura pari a 2,01 decreti-legge (per un totale di 118), nella XVII legislatura pari a 2,32 decreti-legge (per un totale di 57). Focalizzando i dati sui decreti-legge adottati dagli ultimi governi, emerge che sono stati approvati una media di 2,66 decreti al mese dal Governo Monti, 2,55 dal Governo Letta e 2,23 dal Governo Renzi. Risulta quindi lievemente decrescente il ricorso all'utilizzo del decreto-legge, anche con riguardo al numero dei commi ivi contenuti (v. infra).
  Un'analisi quantitativa del ricorso al decreto-legge nelle ultime tre legislature rileva dunque un andamento sostanzialmente costante del numero assoluto dei decreti-legge che si è attestato su una media mensile di circa 2; si tratta di un dato più basso rispetto a quello relativo alle precedenti legislature XIII e XIV.
  Peraltro, come già anticipato, il numero assoluto riferito a tali provvedimenti non fornisce un quadro sufficientemente significativo della reale entità del ricorso alla decretazione di urgenza e delle sue implicazioni. Come evidenziato da più parti, infatti, non tutti i decreti-legge hanno eguale «peso»: a fronte di alcuni dal contenuto circoscritto ed omogeneo o parzialmente omogeneo, se ne contano altrettanti il cui contenuto incide su settori più o meno eterogenei. Fra questi il massimo livello di eterogeneità si riscontra, ad esempio, nei decreti recanti proroghe di termini legislativi o nei provvedimenti volti all'adozione di misure urgenti per fronteggiare la crisi economica e favorire lo sviluppo.
  Da un lato, infatti, si continuano ad emanare decreti-legge in presenza di situazioni emergenziali (legate per esempio a catastrofi naturali o ad altre evenienze Pag. 15meno drammatiche); dall'altro, sono sempre più numerosi i decreti-legge con caratteristiche intersettoriali, chiamati ad agire su più fronti, la cui ratio unitaria è data dall'obiettivo di razionalizzare le spese e promuovere lo sviluppo o introdurre riforme ordinamentali. La crisi economico-finanziaria degli ultimi anni, al contempo, ha acuito questa tendenza, per la necessità di agire prontamente sul fronte della razionalizzazione della spesa e delle misure per lo sviluppo.
  Nel corso degli ultimi anni, come è stato in più sedi rilevato (v. in particolare, Rapporto 2014 sulla legislazione tra Stato, regioni ed Unione europea, Tomo II, Camera dei deputati), dunque, la decretazione d'urgenza continua ad assorbire la parte preponderante della legislazione, assumendo un ruolo di particolare rilievo per dare attuazione al programma di governo e, più in generale, per dare corso alla maggior parte delle iniziative legislative dell'Esecutivo.

3.2 L'incidenza dei decreti-legge sul totale delle leggi.

  Come già evidenziato sopra e come costantemente ribadito nei Rapporti sulla legislazione presentati alla Camera dei deputati, la decretazione d'urgenza, nel corso degli ultimi anni ha assunto un ruolo dominante per dare concreta attuazione alle iniziative legislative del Governo in carica: si è quindi affiancata – in genere con un ruolo predominante – all'iniziativa legislativa ordinaria.
  Tale tendenza è ben evidenziata dai dati sull'incidenza delle leggi di conversione sul totale delle leggi approvate dal Parlamento (v. Appendice – Tabella n. 2).
  La serie storica mostra come lo spazio normativo occupato dai decreti convertiti sia basso, fino almeno alla VI legislatura (le leggi di conversione rappresentano l'1,2 per cento delle leggi complessivamente approvate nella I legislatura ed il 9,6 per cento nella VI legislatura). Nelle legislature seguenti l'incidenza delle conversioni in rapporto alle leggi inizia a crescere (20,4 per cento nella VII legislatura e tra il 17 e il 17,8 per cento nelle legislature VIII, IX e X), sintomo di un iniziale affiancamento della decretazione rispetto alla legislazione ordinaria.
  Successivamente, l'incidenza percentuale delle leggi di conversione diventa mediamente più elevata e raggiunge il picco più alto nella XII legislatura, nella quale rappresenta il 41,4 per cento.
  Sanzionata la prassi della reiterazione, a partire dalla XIII legislatura le leggi di conversione dei decreti-legge fluttuano, in termini percentuali, tra poco meno di un quinto (XIII legislatura) ad oltre il 40 per cento delle leggi complessivamente approvate (XVII legislatura). Questo tendenziale aumento della decretazione d'urgenza rispetto alla produzione legislativa è comprovato ulteriormente se ne consideriamo l'incidenza percentuale sul totale delle leggi, al netto delle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Infatti, in questo caso, l'incidenza quantitativa delle leggi di conversione raggiunge quasi il 60 per cento (58,8) del totale (XVII legislatura).
  Riguardo alla legislatura in corso, peraltro, la Ministra dei rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, nel corso dell'audizione svolta nella seduta della I Commissione del 18 marzo 2015, ha evidenziato come nell'ultimo anno (febbraio 2014 – febbraio 2015) tale percentuale si è invertita, considerato che attualmente il 33 per cento dell'attività normativa del Parlamento deriva da conversioni di decreti-legge e il 67 per cento, invece, dall'attività parlamentare non attinente alla decretazione d'urgenza.
  L'affermazione della decretazione d'urgenza è attestata, altresì, dai dati sull'aumento degli «spazi normativi» occupati dai decreti-legge nelle ultime tre legislature, calcolato sul numero dei commi dei testi dei decreti-legge convertiti (come risultante dai testi coordinati) sul totale dei commi delle leggi approvate (v. Appendice – Tabella n. 3).
  I testi dei 47 decreti-legge convertiti nel corso della XVII legislatura – modificati ed integrati nell'esame parlamentare – Pag. 16corrispondono a 4.347 commi su un totale di 7.232 commi dato dalla somma di leggi e decreti-legge: concorrono quindi per il 60,1 per cento al totale dei commi prodotti nella legislatura stessa. Tali dati registrano una crescita degli spazi normativi occupati dalla decretazione d'urgenza rispetto alla XVI legislatura, nella quale il peso dei decreti-legge è pari al 53,5 per cento e alla XV legislatura, nella quale l'incidenza dei decreti risulta pari al 30,5 per cento.

3.3 La dimensione dell'attività emendativa e le disposizioni aggiunte in sede di conversione.

  Dalla prassi delle ultime tre legislature, nelle quali si sono succeduti cinque Governi, un dato appare evidente: nel corso dell'esame parlamentare si registra un cospicuo aumento del contenuto dei decreti-legge.
  Analizzando in particolare le ultime tre legislature, nel corso della XV legislatura (Governo Prodi II) l'incremento medio di tale contenuto, misurato in base al numero di commi, è stato di ben il 51,8 per cento.
  Nella XVI legislatura, il dato è del 45,2 per cento per il Governo Berlusconi IV e del 41,2 per cento per il Governo Monti.
  Nella legislatura in corso, durante l'esame parlamentare l'incremento medio si attesta al 48,4 per cento. In particolare, dalla lettura dei dati si constata che l'incremento medio per i decreti emanati dal Governo Letta è del 41,7 per cento, mentre per quelli del Governo Renzi risulta pari al 52,7 per cento.
  Questi dati mettono in evidenza una crescita generale della dimensione dei decreti-legge all'esito dell'esame parlamentare, nel corso del quale Parlamento e Governo mettono a punto i nodi rimasti irrisolti nella versione originaria del decreto-legge ed introducono, eventualmente, nuovi temi.
  Si può, inoltre, sottolineare come i contenuti originari del decreto-legge incidano ovviamente sulle modifiche introdotte in sede di conversione: più il contenuto è limitato ed ha carattere di urgenza più è difficilmente dilatabile: i decreti-legge che non hanno subito incrementi nel numero dei commi all'esito della conversione sono 6 nella XV legislatura, 15 nella XVI e nessuno nella XVII.
  Al contrario, i decreti-legge già all'origine corposi ed eterogenei amplificano tale caratteristica nel corso dell'esame parlamentare.

Durata mesi Commi decreti-legge originari Commi originari per mese Commi testi coordinati Commi testi coordinati per mese
Prodi 2 23,66 1.365 57,69 1.862 78,70
Berlusconi 4 42,25 3.864 91,46 5.433 128,59
Monti 15,40 3.137 203,70 4.224 274,29
Letta 9,80 1.467 149,69 1.970 201,02
Renzi 13,30 1.518 114,14 2.144 161,20

  I dati mensili e le medie dei singoli provvedimenti evidenziano ancora di più il progressivo aumento sia delle dimensioni dei testi dei decreti-legge licenziati dal Consiglio dei ministri, sia di quelle dei testi come convertiti dalle Camere: il Governo Prodi ha sottoposto al Parlamento una media di 57,59 commi al mese, che diventano 91,46 con il Governo Berlusconi e 203,70 con il Governo Monti, per poi ridimensionarsi a 149,69 con il Governo Letta e scendere ulteriormente a 114,14 con il Governo Renzi.
  Conseguentemente, ogni mese il Parlamento, lavorando sui procedimenti di conversione, ha approvato in media 78,70 commi durante il Governo Prodi; 128,59 durante il Governo Berlusconi; 274,29 durante il Governo Monti; 201,02 durante il Governo Letta e 161,20 durante il Governo Renzi.Pag. 17
  Si rileva inoltre che la decretazione d'urgenza assume caratteristiche peculiari e dimensioni molto maggiori rispetto al passato durante il Governo Monti, in una fase della vita del Paese caratterizzata dall'acuirsi della crisi economica; analogamente, gli incrementi dimensionali nell’iter parlamentare sotto questo Governo sono molto cospicui in assoluto, anche se in termini percentuali risultano i più bassi dei 4 Governi che si sono succeduti a partire dalla XV legislatura.

Decreti-legge Media commi per decreti-legge Testi coordinati Media commi per decreti-legge
Prodi 2 47 29,04 34 54,76
Berlusconi 4 80 48,30 69 78,74
Monti 41 76,51 35 120,69
Letta 25 58,68 22 89,55
Renzi 30 50,60 18 119,11

  Altrettanto eloquenti appaiono le medie relative ai singoli provvedimenti di urgenza, che crescono in maniera progressiva nel passaggio dalla XV alla XVI legislatura e dal Governo Prodi al Governo Berlusconi (da 29,04 commi di media ai 48,30), per crescere in maniera esponenziale con il Governo Monti (76,51 commi in media) e ridursi significativamente nella XVII legislatura, con il Governo Letta (58,68 commi) e con il Governo Renzi (50,60).
  Un andamento analogo si registra tenendo conto dei testi dei decreti-legge come risultanti dopo il passaggio parlamentare (testi coordinati): si passa infatti da una media di 54,76 commi del Governo Prodi ad una media di 78,74 commi con il Governo Berlusconi per arrivare ad una media di 120,69 commi con il Governo Monti e quindi ridiscendere ad una media di 89,55 commi con il Governo Letta, per risalire ai 119,11 del Governo Renzi.

3.4 Il numero di deleghe legislative disposte o prorogate con decreto-legge o con legge di conversione.

  La citata legge 23 agosto 1988, n. 400, recante disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, nel definire i limiti di contenuto della decretazione, stabilisce che il Governo non può, con decreto-legge, conferire deleghe legislative ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione (articolo 15, comma 2, lettera a)).
  Tuttavia, dall'esame della prassi, è possibile evidenziare un'ampia casistica di relazioni tra l'uso del decreto-legge e la delega legislativa da parte del Governo. Con decreto-legge, infatti, si modifica una delega esistente o si interviene su precedenti decreti legislativi ovvero si attribuisce una nuova delega.
  La prima ipotesi (modifica di leggi delega) comprende i casi in cui durante l'esame parlamentare sono state introdotte, nel corpo del decreto-legge (solo di rado) o nel disegno di legge di conversione (ipotesi più frequente), disposizioni volte ad integrare principi e criteri direttivi di deleghe già conferite, o a prorogare o differire i termini per l'esercizio delle deleghe stesse. Così, ad esempio, nel corso del procedimento di conversione del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici, sono state introdotte due disposizioni (commi 14-octies e 14-decies dell'articolo 39) volte ad integrare i principi e criteri direttivi per l'esercizio delle deleghe legislative conferite rispettivamente dalla legge n. 80 del 2003 (articolo 10) e dalla legge n. 137 del 2002 (articolo 1).Pag. 18
  La casistica è più ampia soprattutto in relazione alla proroga o al differimento di termini di delega. Quanto alle dimensioni del fenomeno, disposizioni di proroga o di riapertura di termini per l'esercizio delle deleghe sono state introdotte almeno in 9 casi nella XIV legislatura, in 6 casi nella XVI, in un caso nella XIII, nella XV e nella attuale legislatura.
  Si segnalano rari casi, peraltro significativi, nei quali, nel corso dell'esame parlamentare, i disegni di legge di conversione sono arricchiti di ulteriori disposizioni volte ad introdurre nuove deleghe legislative. Con riferimento alle ultime legislature, si riscontra comunque una tendenza declinante: a fronte di sei procedimenti di conversione in cui sono state introdotte deleghe nella XIV legislatura, nelle successive si registrano due (XV) o una (XVI e XVII) ipotesi.
  Tra i casi più recenti, a titolo esemplificativo, si ricorda l'articolo 1, comma 2, della legge n. 89 del 2014, di conversione del decreto-legge n. 66 del 2014, che ha delegato il Governo ad adottare, entro il 31 dicembre 2015, uno o più decreti legislativi per il completamento della riforma della struttura del bilancio. E prima, l'articolo 1, comma 2 della legge n. 148 del 2011, di conversione del decreto-legge n. 138 del 2011, che ha delegato il Governo alla riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari.
  Come si vedrà più analiticamente nel prosieguo dell'esposizione, si rilevano in questo caso diversi criteri di ammissibilità degli emendamenti nei due rami del Parlamento. Alla Camera il disposto dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 è assunto come parametro di valutazione nel vaglio di ammissibilità degli emendamenti e gli emendamenti che introducono nuove deleghe o modifiche di deleghe nell'ambito di disegni di legge di conversione sono conseguentemente ritenuti inammissibili. Al Senato la prassi è orientata diversamente e consente dunque la votazione di emendamenti recanti norme di delega.
  Peraltro, la legittimità dell'inserimento di nuove deleghe nel testo della legge di conversione pare trovare conforto in una recente pronuncia della Corte costituzionale (la sentenza n. 237 del 2013 sulla legge di conversione n. 148 del 2011 – Delega sulla ‘geografia giudiziaria’), che rileva la completa autonomia delle disposizioni di delega inserite nella legge di conversione rispetto al decreto-legge e alla sua conversione.

3.5 I provvedimenti attuativi previsti dai decreti-legge.

  Al riconoscimento della sussistenza di «casi straordinari di necessità e urgenza» quale presupposto indefettibile per l'adozione dei decreti-legge si connette la disposizione della legge n. 400 del 1988, secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione (articolo 15, comma 3).
  Come sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 220 del 2013, tale norma, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo. Da questo punto di vista, la verifica dei presupposti di necessità ed urgenza si interseca con la tematica dei limiti contenutistici degli interventi recati dai provvedimenti di urgenza, che non possono introdurre riforme organiche di interi settori dell'ordinamento (quale, ad esempio, la riforma delle province).
  Sotto un altro profilo, ai fini della medesima verifica della sussistenza di casi straordinari di necessità ed urgenza, deve essere valutato il sempre più frequente inserimento nei decreti-legge di disposizioni che rinviano ad atti normativi di rango subordinato o addirittura ad atti di carattere non normativo, quali i decreti di natura non regolamentare, definiti dalla giurisprudenza costituzionale atti dalla «indefinibile natura giuridica» (sentenza n. 116 del 2006).Pag. 19
  I termini indicati per la adozione di tali atti sono sempre stati pacificamente considerati come meramente ordinatori, con la conseguenza che l'attuazione delle misure, che trovano la loro giustificazione nei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza, risulta di fatto rimessa ad atti la cui emanazione è prevista in alcuni casi entro termini molto ampi o in altri casi senza indicazione di un termine.
  Tale situazione risulta poi aggravata nei casi in cui per l'attuazione delle misure è previsto non un singolo atto, ma una serie di atti fra loro concatenati.
  Possono in proposito richiamarsi, a titolo esemplificativo, i tre decreti-legge intervenuti in materia di liberalizzazione delle attività economiche e di semplificazione degli oneri delle imprese, che rinviavano l'attuazione della disciplina a successivi regolamenti di delegificazione, poi non adottati.
  Si tratta, in particolare, delle seguenti disposizioni: articolo 3 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, relativo all'abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche, che dettava i principi fondamentali della liberalizzazione rinviando a regolamenti di delegificazione, da emanarsi entro il 31 dicembre 2012, l'individuazione delle disposizioni abrogate e la definizione della nuova disciplina; articolo 1 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, relativo alla liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese, che, dopo aver dettato i principi generali della nuova disciplina, rinviava a regolamenti di delegificazione, da emanare entro il 31 dicembre 2012, l'individuazione delle attività per le quali permaneva l'atto di assenso dell'amministrazione e la disciplina dei requisiti per l'esercizio delle attività economiche; tali regolamenti dovevano essere a loro volta preceduti dall'approvazione da parte delle Camere di una relazione che specificasse periodi ed ambiti di intervento degli atti regolamentari; articolo 12 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, relativo alla semplificazione procedimentale per l'esercizio di attività economiche, che rinvia a regolamenti di delegificazione, da adottare entro il 31 dicembre 2012, la semplificazione dei procedimenti amministrativi concernenti l'attività di impresa, compresa quella agricola.
  Per quanto riguarda le legislature più recenti, al 22 febbraio 2014, data di insediamento dell'Esecutivo in carica, il Governo Renzi, erano contenuti rinvii a 889 decreti da adottare, di cui 475 recati in decreti-legge, che rinviavano dunque a norme di carattere secondario, di cui 169 già scaduti.
  Analizzando i dati relativi agli ultimi tre Governi per un periodo temporale pressoché corrispondente – e quindi i primi dodici mesi del Governo Monti, i primi dodici mesi del Governo Renzi e i dieci mesi del Governo Letta – emerge che i decreti attuativi previsti dal Governo Renzi sono 207; 278 sono quelli previsti dal Governo Letta e 567 previsti nei decreti-legge del Governo Monti. Ne deriva quindi uno sforzo – espressamente evidenziato anche dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento nel corso della sua audizione – volto a ridurre nei decreti-legge il rinvio a norme di rango secondario.
  Va altresì tenuto presente come il rinvio a decreti attuativi da adottare aumenta in sede di esame parlamentare della legge di conversione: dai dati analizzati emerge come il numero dei decreti attuativi da adottare rispetto al testo iniziale aumenta, di norma, di circa il 40 per cento a seguito dell’iter parlamentare.
  Per quanto riguarda i dati relativi ai decreti-legge che non prevedono rinvii a decreti attuativi, è emerso un trend crescente nel corso degli ultimi anni: sono infatti circa il 30 per cento del totale nel Governo Renzi rispetto al 18 per cento del Governo Letta ed al 21 per cento del Governo Monti.
  Al contempo, negli ultimi anni l'inserimento di termini per l'adozione degli atti attuativi ha costituito un ulteriore elemento che contribuisce quantomeno a temperare il difetto di connessione tra la ratio del provvedimento d'urgenza e le Pag. 20disposizioni che rinviano ad atti di attuazione.
  Nelle ultime legislature, nel Governo Monti i decreti attuativi da adottare con termini erano 273 ed erano 300 quelli senza alcun termine. Per il Governo Letta più o meno erano equivalenti quelli con termine (157) contro quelli che, invece, non prevedevano alcun termine di scadenza (155). Per il Governo Renzi sono 115 quelli che prevedono dei termini prefissati, contro 92 che non prevedono alcun termine.

3.6 Il fenomeno della reiterazione.

  Nell'ambito della riflessione sui limiti costituzionali del ricorso al decreto-legge, riveste grande importanza la citata sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996, relativa alla illegittimità della reiterazione dei decreti-legge (v. infra, par. 6.1).
  Tale sentenza ha avuto l'effetto di interrompere la formazione di «catene» di decreti-legge che si sanavano l'uno con l'altro e di diminuire il numero complessivo di decreti adottati dal Governo, che dai 669 della XII legislatura scendono ai 370 della XIII e ai 216 della XIV (v. Appendice – Tabella n. 1).
  Come sopra si è accennato, i primi decreti-legge reiterati iniziano a comparire a partire dalla IV legislatura (1 nella IV legislatura, 4 in ciascuna delle legislature V e VI, 9 nella VII legislatura) per divenire 71 nella VIII legislatura, 134 nella IX legislatura, fino ai picchi di 224 della X legislatura, 328 della XI legislatura e 546 della XII legislatura (oltre che 179 nella XIII legislatura).
  Giova altresì ricordare come il problema della legittimità della reiterazione sia tornato di recente a porsi in relazione al cosiddetto decreto-legge «salva-Roma», ossia il provvedimento d'urgenza che contiene disposizioni in ordine alla gestione commissariale di Roma capitale, accanto ad altre misure finanziarie necessarie ed urgenti. In relazione alla vicenda, il Governo ha dapprima adottato il decreto- legge 31 ottobre 2013, n. 126, recante misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio.
  Pochi giorni prima della scadenza del provvedimento, su questo è intervenuta una lettera del 27 dicembre 2013 del Presidente della Repubblica ai Presidenti delle Camere, in cui venivano avanzate forti perplessità sull'inserimento nel decreto, nel corso dell'esame parlamentare, di numerose ed eterogenee disposizioni, inserimento che avrebbe potuto determinare l'esercizio da parte del Capo dello Stato del potere di rinvio, con conseguente decadenza dell'intero decreto-legge.
  Nella medesima lettera il Presidente della Repubblica esprimeva l'avviso che in un caso del genere fosse possibile una parziale reiterazione del decreto che tenesse conto dei motivi alla base della richiesta di riesame.
  Contestualmente alla decadenza del provvedimento per mancata conversione in legge, il Governo ha emanato il decreto- legge 30 dicembre 2013, n. 151 (cosiddetto «salva-Roma 2»), con il quale sono ripresi in buona parte non solo contenuti di norme introdotte durante l'esame parlamentare del citato decreto-legge n. 126 del 2013, ma anche norme presenti nella versione licenziata dal Consiglio dei ministri del medesimo decreto-legge n. 126 del 2013. Tuttavia anche questo decreto non è stato convertito in legge nei termini costituzionali ed i suoi contenuti sono stati ripresi in buona parte con l'emanazione del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (cosiddetto «salva-Roma 3»), convertito dalla legge n. 68 del 2014; anche in questo provvedimento figurano due disposizioni presenti nei testi originari dei decreti non convertiti.
  Anche nella XV legislatura si è verificata una sostanziale reiterazione della disciplina contenuta nel decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181 (Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza), decaduto a seguito di un complesso iter parlamentare, nonché successivamente ad un intervento del Presidente della Repubblica, il quale segnalava Pag. 21errori materiali nel testo del disegno di legge di conversione.
  Prima della decadenza del decreto è stato adottato un nuovo testo, sostanzialmente analogo al primo, il decreto-legge 29 dicembre 2007, n. 249 (Misure urgenti in materia di espulsioni e di allontanamenti per terrorismo e per motivi imperativi di pubblica sicurezza), anch'esso peraltro poi decaduto a seguito della sopravvenuta crisi di governo e della conseguente fine della legislatura.

3.7 Il numero di decreti-legge convertiti con voto di fiducia.

  A seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996 è divenuto sempre più frequente il ricorso, da parte dell'Esecutivo, all'apposizione della questione di fiducia sulla conversione dei decreti-legge. Se, infatti, nella XII legislatura risulta un solo disegno di legge di conversione di decreto-legge (decreto-legge n. 41 del 1995) sul quale il Governo (Governo Dini) ha posto la fiducia, sia alla Camera, sia al Senato, nella XIII legislatura divengono 18 i disegni di legge di conversione di decreti-legge sui quali il Governo ha posto la fiducia (16 il Governo Prodi I e 2 il Governo D'Alema); di questi su 4 è stata posta la fiducia sia alla Camera, sia al Senato.
  Nella XIV legislatura il Governo Berlusconi II ha posto la fiducia alla Camera sulla conversione di 11 decreti-legge e di 4 di questi anche al Senato. Nel successivo gabinetto Berlusconi III sono 6 le leggi di conversione su cui è stata posta la fiducia di cui 3 in entrambe le Camere.
  Nella XV legislatura il Governo Prodi II, in quasi due anni, ha posto la questione di fiducia 14 volte su 10 disegni di legge di conversione, uno dei quali decaduto (n. 181 del 2007) ed uno emanato dal Governo Berlusconi III (n. 173 del 2006).
  Nella XVI legislatura, il Governo Berlusconi IV, in poco più di 42 mesi, ha posto la questione di fiducia 34 volte su 22 disegni di legge di conversione. Nell'ultimo anno della XVI legislatura, il Governo Monti ha adottato numerosi decreti-legge con ampi contenuti multisettoriali, convertiti in genere attraverso un doppio voto di fiducia, alla Camera ed al Senato. Nel dettaglio, il Governo Monti, in poco più di 15 mesi, ha posto la fiducia 29 volte su 16 disegni di legge di conversione.
  Nella XVII legislatura (aggiornamento al 31 marzo 2015) sono state 20 le votazioni di fiducia su leggi di conversione di decreti-legge alla Camera e 16 al Senato. Per quanto riguarda in particolare la Camera, 6 volte è stata posta la questione di fiducia su leggi di conversione da parte del Governo Letta e 14 volte da parte del Gabinetto Renzi.
  È emerso come sia più frequente il ricorso alla questione di fiducia alla Camera rispetto al Senato, nonostante la presenza, in genere, di maggioranze più ampie. Questo dato può essere ascritto alle diverse regole per l'esame parlamentare dei decreti-legge nei due rami del Parlamento. Presso il Senato al decreto-legge si applica, infatti, in via ordinaria l'istituto del contingentamento dei tempi e la prassi è da lungo tempo consolidata nel senso di procedere comunque alla votazione finale in tempo utile per garantire il rispetto dei termini costituzionali (cosiddetta ‘ghigliottina).
  Alla Camera invece i decreti-legge non sono soggetti al contingentamento dei tempi e per superare le pratiche ostruzionistiche si fa ricorso alla posizione della questione di fiducia (cosiddetta ‘fiducia tecnica’). La cosiddetta ‘ghigliottina’, affermata a partire dalla XIII legislatura e la cui applicazione è stata da allora preannunciata in diverse circostanze, è stata applicata una sola volta, nella seduta del 29 gennaio 2014.
  Ci sono stati anche casi – molto limitati – in cui è stata posta la fiducia ma il decreto-legge non è stato poi convertito. Ciò è avvenuto nella XVII legislatura, con il decreto-legge 31 ottobre 2013, n. 126, recante misure finanziarie urgenti in favore di regioni ed enti locali ed interventi localizzati nel territorio, che è stato approvato dal Senato in prima lettura; alla Camera, dopo l'approvazione della questione Pag. 22di fiducia, il Governo ha rinunciato alla sua conversione. Nella XV legislatura, il decreto-legge 1o novembre 2007, n. 181, recante disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza, è stato approvato in prima lettura dal Senato attraverso la posizione della questione di fiducia e trasmesso alla Camera, dove è decaduto.

3.8 La presentazione di maxiemendamenti per la conversione dei decreti-legge.

  Il ricorso alla questione di fiducia posta su emendamenti del Governo che, tenendo di norma conto anche del dibattito svolto in sede parlamentare, riscrivono l'intero contenuto del decreto-legge è divenuta nel tempo sempre più frequente in sede di conversione dei decreti-legge.
  Se, infatti, negli anni Ottanta il Governo poneva la fiducia sul testo elaborato dalla Commissione in sede referente (come avvenuto, a titolo esemplificativo, per la conversione del decreto-legge n. 697 del 1982 in materia fiscale, del decreto-legge n. 463 del 1983 sul contenimento della spesa pubblica o del decreto-legge n. 70 del 1984 in materia di tariffe, prezzi amministrati ed indennità di contingenza) ovvero sul testo risultante dalle modifiche apportate dall'altro ramo del Parlamento (è il caso, ad esempio, del decreto-legge n. 463 del 1983, recante misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica), ponendo in taluni casi la fiducia su emendamenti comunque relativi solo a porzioni di testo (come per il decreto-legge n. 953 del 1982 in materia tributaria), a partire dagli anni Novanta (è il caso del decreto-legge n. 299 del 1991 in materia di imposta comunale sull'incremento del valore degli immobili, del decreto-legge n. 307 del 1991 sul regime fiscale dei redditi da capitale o del decreto-legge n. 306 del 1992 di modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) e fino alla fine della XVI legislatura diventa sempre più ricorrente la posizione della questione di fiducia sul «maxi-emendamento» presentato dal Governo (tra i tanti, si può richiamare il decreto-legge n. 203 del 2005 sul contrasto all'evasione fiscale, collegato alla manovra di finanza pubblica), anche se non mancano casi in cui la fiducia viene posta sul testo della Commissione (come per il decreto-legge n. 35 del 2005, in materia di Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale).
  In particolare, è stata posta la questione di fiducia su nuovi maxi-emendamenti del Governo in sede di conversione di decreti-legge 6 volte nella XIII legislatura (durata 60,5 mesi), 13 volte nella XIV legislatura (durata 59 mesi), 8 volte nella XV legislatura (durata 24 mesi) e 11 volte nella XVI legislatura (durata 58,5 mesi).
  Un'inversione di tendenza si ha nella XVI legislatura, prima con il Governo Berlusconi e poi con il Governo Monti, quando riprende la prassi che porta il Governo a porre la questione di fiducia non su un proprio emendamento ma sul testo definito dalla Commissione di merito in sede referente senza rendere così necessaria la presentazione di maxiemendamenti con portata innovativa rispetto all'istruttoria svolta in sede parlamentare, in ossequio proprio al lavoro svolto in tale sede.
  Sebbene la prassi di presentazione di maxiemendamenti sia stata sostanzialmente abbandonata nelle ultime legislature, giova richiamare la sentenza della Corte costituzionale, la n. 251 del 2014, la quale dedica un passaggio che – pur non facendo parte della ratio decidendi della decisione – fa riferimento alla prassi dei maxiemendamenti in sede di conversione dei decreti-legge, qualificandola come «prassi» – quindi non come consuetudine – e affermando che è una «prassi problematica».

3.9 Il fenomeno del cosiddetto «bicameralismo alternato».

  Seppure rientrante nella «fisiologia» del sistema bicamerale, si può osservare la Pag. 23circostanza per cui, in talune occasioni e per determinate ragioni, nell'ambito dei 60 giorni di cui il Parlamento dispone per la conversione dei decreti-legge, viene dedicato un tempo maggiore ed un'istruttoria più approfondita in un ramo del Parlamento rispetto all'altro. A tal proposito, a partire dalla XVI legislatura, può ravvisarsi una vera e propria prassi che ha dato luogo ad una sorta di «bicameralismo alternato», per cui la Camera titolare dell'esame in prima lettura di un decreto-legge invia il testo all'altra Camera solo pochi giorni prima della scadenza, precludendo di fatto all'altro ramo del Parlamento la possibilità di un esame approfondito.
  Focalizzando l'attenzione sulla XVII legislatura, ai fini della conversione, (al 31 marzo 2015) in 37 casi vi è stata una sola lettura in ciascuna delle due Camere: le modificazioni, infatti, sono state apportate esclusivamente dalla Camera che ne ha iniziato l'esame (in 21 casi la Camera dei deputati e in 16 il Senato della Repubblica).
  Nei restanti 10 casi la navette ha compreso una doppia lettura in un ramo del Parlamento (in 4 casi il percorso è stato Camera-Senato-Camera, mentre in 6 casi il Senato ha effettuato una prima lettura e, dopo le modifiche della Camera, un secondo esame).

3.10 L'innesto dei contenuti di decreti-legge sul testo di altri decreti in corso di conversione.

  Un fenomeno diverso dalla reiterazione ma a questa parzialmente assimilabile, per alcuni aspetti, sviluppatosi in particolare nelle ultime legislature, è quello dell'innesto dei decreti-legge non convertiti in altri provvedimenti.
  Vi è, infatti, un consistente numero di decreti emanati e successivamente decaduti senza l'approvazione del relativo disegno di legge di conversione, il cui contenuto in molti casi viene trasfuso, prima o anche successivamente alla decorrenza del termine costituzionale per la loro decadenza, in altri disegni di legge in corso di discussione. Spesso, in particolare nella XVI legislatura, ciò è avvenuto attraverso l'inserimento delle disposizioni del decreto in disegni di legge di conversione di altri decreti-legge. In altri casi il contenuto dei decreti non convertiti è stato inserito anche in disegni di legge ordinari.
  Il fenomeno dell'accorpamento tra più decreti (ossia, quando per via emendativa viene inserito in tutto o in parte il contenuto di un decreto «in scadenza» in un diverso disegno di legge di conversione contemporaneamente in itinere) è presente nella XV legislatura in soli due casi, mentre è divenuto più frequente nella XVI legislatura, nella quale spesso i decreti che non hanno avuto una formale approvazione del relativo disegno di legge di conversione sono comunque confluiti, prima della scadenza, in altri disegni di legge di conversione in corso di discussione. Tale fenomeno, peraltro, da un lato è suscettibile di ingenerare incertezze interpretative relativamente alla disciplina concretamente operante in un dato periodo nelle materie oggetto di intervento legislativo, e, dall'altro, deve essere considerato in relazione ai caratteri di specificità, omogeneità e corrispondenza al titolo del contenuto dei decreti-legge.
  In alcuni casi, l'accorpamento attiene a decreti che hanno ad oggetto un'identica materia, ovvero in cui uno rechi sostanzialmente una sorta di «completamento» della disciplina contenuta nell'altro.
  È il caso, ad esempio, del decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157 (Ulteriori misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio), assorbito nella legge di conversione del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 (Misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali). Vi sono, inoltre, i due decreti-legge sull'emergenza rifiuti in Campania, emanati a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro (decreti-legge nn. 90 e 107 del 2008: il decreto n. 107 è stato abrogato, con contestuale salvezza degli Pag. 24effetti, dalla legge 14 luglio 2008, n. 123, di conversione del decreto-legge n. 90).
  In altri casi, l'accorpamento riguarda decreti di natura e contenuti assai diversi, ovvero vi è confluenza del contenuto di un decreto-legge nei disegni di legge di stabilità, quindi in un ulteriore provvedimento in itinere con una data di approvazione predeterminata.
  Così, sono confluiti in un unico procedimento di conversione i decreti-legge n. 97 del 2008, recante disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonché in materia fiscale e di proroga di termini, n. 113 del 2008, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e n. 114 del 2008, recante misure urgenti per fronteggiare l'aumento delle materie prime e dei carburanti nel settore della pesca, nonché per il rilancio competitivo del settore.
  Analogamente, le disposizioni del decreto-legge 27 giugno 2012, n. 87, recante misure urgenti in materia di efficientamento, valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico-finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario, sono confluite nel decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; le disposizioni del decreto-legge 16 novembre 2012, n. 194, recante disposizioni integrative per assicurare la tempestività delle procedure per la ripresa dei versamenti tributari e contributivi sospesi da parte di soggetti danneggiati dal sisma del maggio 2012 sono confluite nel decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213; le disposizioni del decreto-legge 2 novembre 2012, n. 187, recante misure urgenti per la ridefinizione dei rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina S.p.A. ed in materia di trasporto pubblico locale sono confluite nell'ambito del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; le disposizioni del decreto-legge 24 giugno 2013, n. 72, recante misure urgenti per i pagamenti dei debiti degli enti del Servizio sanitario nazionale, sono confluite nell'ambito del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.
  Più di recente, sono confluite nella legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014) i contenuti di tre decreti-legge, lasciati quindi decadere: le disposizioni del decreto-legge n. 198 del 2014, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico, nonché ad altre armi ad aria compressa o gas compresso destinate all'attività amatoriale e agonistica; le disposizioni del decreto-legge n. 165 del 2014 recanti norme in materia di bonifica e messa in sicurezza di siti contaminati e misure finanziarie relative ad enti territoriali; le disposizioni del decreto-legge n. 185 del 2014 in materia di proroga dei termini di pagamento IMU per i terreni agricoli.

3.11 I tempi di adozione dei decreti-legge.

  In base all'articolo 77 della Costituzione il Governo, quando adotta «provvedimenti provvisori con forza di legge» deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro 5 giorni.
  Nell'attuazione della previsione costituzionale, il «giorno stesso» per la presentazione alle Camere è stato riferito al giorno della pubblicazione, data da cui decorre l'entrata in vigore.
  Nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha peraltro affermato, a Pag. 25titolo di obiter dictum, che il disegno di legge di conversione deve essere presentato alle Camere «“il giorno stesso” della emanazione dell'atto normativo urgente». Nella medesima sentenza, la Corte si è soffermata sulla rapidità che caratterizza il procedimento di esame del decreto-legge, connotato dalla brevità dei termini entro cui le Camere sono chiamate a riunirsi e dalle specifiche procedure parlamentari volte ad assicurare il rispetto dei termini costituzionali.
  La procedura di adozione è inoltre delineata dalla legge n. 400 del 1988 che prevede la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri (articolo 2, comma 3) e la presentazione per l'emanazione al Presidente della Repubblica (articolo 15, comma 1). Il decreto-legge è pubblicato, senza ulteriori adempimenti, nella Gazzetta Ufficiale immediatamente dopo la sua emanazione (articolo 15, comma 4).
  Va peraltro rilevato come sempre più frequentemente tra la delibera del Consiglio dei ministri e la presentazione al Presidente della Repubblica per l'emanazione trascorra un lasso di tempo non breve.
  Analizzando i decreti-legge emanati a partire dal Governo Prodi II (17 maggio 2006) fino al Governo Renzi, raggruppati per i giorni di intervallo tra la deliberazione del Consiglio dei ministri e la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (v. Appendice – Tabella n. 4), emerge che la percentuale di decreti-legge pubblicati oltre 4 giorni dalla deliberazione del Consiglio dei ministri è aumentata nel tempo, passando dal 36,2 per cento del Governo Prodi II, al 60 per cento del Governo Berlusconi IV, al 53,7 per cento del Governo Monti, al 64 per cento del Governo Letta fino al 79,2 per cento del Governo Renzi.
  Tra questi emergono due casi limite della XVI e della XVII legislatura: il decreto-legge n. 72 del 2010, recante misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l'assegnazione di quote di emissione di CO2, pubblicato 21 giorni dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri; il decreto-legge n. 74 del 2014, recante misure urgenti in favore delle popolazioni dell'Emilia-Romagna colpite dal terremoto e dai successivi eventi alluvionali verificatisi tra il 17 ed il 19 gennaio 2014, nonché per assicurare l'operatività del Fondo per le emergenze nazionali, pubblicato 24 giorni dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri.
  In un caso, la pubblicazione del decreto-legge è stata posticipata rispetto alla emanazione da parte del Presidente della Repubblica, avvenendo a distanza di 7 giorni da tale emanazione e di 18 giorni dalla deliberazione del Consiglio dei ministri (decreto-legge 22 novembre 2004, n. 279, recante disposizioni urgenti per assicurare la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica).
  La media dell'intervallo tra la deliberazione e la pubblicazione ha subito, nel corso delle tre legislature, un progressivo incremento: dai 3,8 giorni del secondo Governo Prodi ai 6,2 del quarto Governo Berlusconi; successivamente il Governo Monti ha ridotto i tempi di pubblicazione a una media di 4,7 giorni, aumentati fino a 5,3 con il Governo Letta per toccare quota 9 giorni medi con il Governo Renzi.
  La media complessiva delle ultime tre legislature si attesta al momento sui 5,6 giorni di ritardo.
  Va in proposito considerato che l'intervallo di qualche giorno nella pubblicazione dei decreti-legge può essere fisiologico e può dipendere da ragioni tecniche o dall'evenienza che spesso le riunioni del Consiglio dei ministri si svolgono il venerdì e quindi i decreti vengono pubblicati il lunedì o il martedì successivo.
  L'intervallo può essere invece più ampio quando i decreti-legge vengono approvati dal Consiglio dei ministri in prossimità di una pausa dei lavori parlamentari. In questi casi la pubblicazione viene posticipata per evitare che il tempo di conversione di 60 giorni possa essere «scontato» dal periodo di chiusura delle Camere. Negli altri casi il ritardo, generalmente, è dovuto alla necessità di trovare l'intesa tra i Ministeri interessati (la formula «salvo intese» accompagna frequentemente Pag. 26i comunicati relativi all'approvazione di decreti-legge) o alla difficoltà di trovare l'idonea copertura finanziaria.
  Va altresì tenuto presente che l'intervallo tra la data di approvazione dei decreti-legge in Consiglio dei ministri e la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale risulta, dall'analisi svolta, minimo per i decreti emergenziali mentre tende a dilatarsi per i decreti attuativi del programma di governo.

3.12 L'adozione di decreti-legge nel periodo di scioglimento delle Camere.

  Nel corso degli anni alcuni Presidenti del Consiglio, a partire dagli anni ’80 (si veda, ad esempio, la nota di Fanfani del 5 maggio 1983), hanno ritenuto di perimetrare l'attività consentita al Governo dimissionario, adottando apposite direttive in occasione delle dimissioni.
  L'attività consentita al Governo dimissionario (sia nel caso in cui le dimissioni avvengano nel corso della legislatura sia nel caso di conclusione naturale della stessa) non è infatti univocamente definita anche se, in massima parte, la restrizione dei poteri deriva sostanzialmente dalla prassi e dalla correttezza costituzionale.
  L'unico limite espresso concerne il fatto che il Governo dimissionario non potrebbe chiedere la registrazione con riserva degli atti che la Corte dei conti, in sede di controllo, abbia ritenuto illegittimi. Tale previsione, peraltro dalla portata limitata, è contenuta nel regio decreto n. 2441 del 1923, anteriore alla Carta costituzionale.
  Per quanto riguarda le direttive adottate dai Presidenti del Consiglio giova richiamare la più recente direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 gennaio 2008, che ha riguardato l'individuazione dei limiti che gravano sul Governo dimissionario.
  Nel preambolo si prevede che «il Governo rimane impegnato nel disbrigo degli affari correnti, nell'attuazione delle determinazioni già assunte dal Parlamento e nell'adozione degli atti urgenti. Dovrà, in particolare, essere assicurata la continuità dell'azione amministrativa, con particolare riguardo ai problemi dell'occupazione, degli investimenti pubblici ed ai processi di liberalizzazione e di contenimento della spesa pubblica». Riguardo all'attività normativa si specifica che qualora ricorrano i presupposti di cui all'articolo 77 della Costituzione potrà procedersi all'adozione di decreti-legge.
  L'attività svolta dal Governo dimissionario include dunque l'adozione di decreti-legge, nel rispetto dei vincoli fissati dalla Costituzione per tali atti.
  Specularmente, scorrendo la prassi formatasi nei periodi di prorogatio, emerge come le Camere sciolte si siano riunite per esaminare, in via prevalente, disegni di legge di conversione di decreti-legge oltre che gli altri atti consentiti in tale fase.
  Riguardo all'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, peraltro, è stato precisato dal Presidente della Camera nella seduta del 25 gennaio 1994 (anche se in una data antecedente alle riforme regolamentari del 1997) che il previsto vaglio di ammissibilità degli emendamenti a tali provvedimenti deve intendersi – con riferimento al periodo di scioglimento – «in modo ancora più rigoroso in relazione all'arresto della funzione legislativa ordinaria».
  Al tempo stesso, giova considerare come dai lavori preparatori della Costituente emerga come la principale ragione della prorogatio vada ravvisata nella salvaguardia dei meccanismi di equilibrio istituzionale, ritenendo opportuno che «non sia da togliere, nell'intervallo fra le legislature, una possibilità di controllo e di azione parlamentare; al che potrà servire non un esercizio normale di poteri e di lavori delle Camere ma il loro intervento nelle contingenze ove sia necessario».
  Focalizzando l'analisi sui dati relativi ai decreti-legge emanati durante i periodi di scioglimento delle Camere (v. Appendice – Tabella n. 5) emerge come fino alla IV legislatura, in tali periodi, non è stato adottato alcun provvedimento normativo di urgenza da parte dei Governi ad eccezione di 2 decreti-legge – adottati 4 giorni prima della prima seduta delle Camere – Pag. 27relativi, rispettivamente, agli scrutini e gli esami nelle scuole secondarie e artistiche per l'anno scolastico 1952-53 (decreto-legge 21 giugno 1953, n. 451) e all'istituzione dell'ammasso per contingente del frumento (decreto-legge 21 giugno 1953, n. 452).
  Sono stati adottati 2 decreti-legge anche dopo lo scioglimento delle Camere al termine della V legislatura mentre al termine delle legislature VI e VII sono stati adottati, in entrambi i casi, 13 decreti-legge. Il numero di provvedimenti normativi di urgenza emanati al termine della VII legislatura è ancora molto limitato, pari a 3 decreti-legge, mentre aumenta al termine della IX legislatura (43 decreti-legge). Dopo lo scioglimento delle Camere al termine della X legislatura vennero adottati 12 decreti-legge, mentre diviene allarmante il numero di decreti-legge emanati nel periodo di scioglimento delle Camere negli anni antecedenti alla sentenza n. 360 del 1996: rispettivamente 100 e 119 in un arco temporale di circa tre mesi al volgere, rispettivamente, delle legislature XI e XII.
  Tra i principali ambiti su cui tali provvedimenti sono intervenuti si richiamano, a titolo esemplificativo: settore portuale e marittimo; attuazione del piano di ristrutturazione del comparto siderurgico; istituzione dell'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica; misure in materia di dighe; partecipazione italiana a missioni di pace; prevenzione e rimozione dei fenomeni di dispersione scolastica; accelerazione della concessione delle agevolazioni alle attività e per il personale della soppressa Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno; copertura dei posti vacanti nell'organico del Corpo di polizia penitenziaria; nuova sede del circolo ufficiali delle Forze armate; rifinanziamento della disciplina del credito peschereccio di esercizio; campagna lattiero-casearia 1994-1995; accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni del Ministero del tesoro in società per azioni; disposizione a favore delle zone colpite da fenomeni alluvionali nei mesi da settembre a dicembre 1993; fissazione del termine relativo alla nuova disciplina del rapporto di impiego delle Forze di polizia anche ad ordinamento militare; disposizioni per garantire il proseguimento degli interventi in favore degli sfollati dai territori della ex Jugoslavia, dei minori soggetti a rischio di coinvolgimento in attività criminose e delle attività di volontariato; adeguamento di canoni e di contributi per l'esercizio di stazioni di radioamatore; rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali; riutilizzo dei residui derivanti da cicli di produzione o di consumo in un processo produttivo o in un processo di combustione, nonché in materia di smaltimento dei rifiuti; disposizioni urgenti concernenti l'iscrizione al registro dei revisori contabili; disposizioni urgenti in materia di avanzamento degli ufficiali delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri; utilizzazione in conto residui di fondi stanziati per interventi in campo sociale; provvedimenti urgenti per il personale dell'Amministrazione penitenziaria e per il servizio di traduzione dei detenuti.
  A seguito dell'intervento della Corte costituzionale relativo alla reiterazione, anche il numero di decreti-legge adottati nei periodi di scioglimento delle Camere si riduce di conseguenza: 13 al termine della XIII legislatura, 4 al termine della XIV legislatura e 6 al termine della XV legislatura.
  Infine, prima dell'inizio della XVII legislatura, nella fase di scioglimento delle Camere, sono stati emanati 2 decreti-legge: il decreto-legge 14 gennaio 2013, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per il superamento di situazioni di criticità nella gestione dei rifiuti e di taluni fenomeni di inquinamento ambientale» ed il decreto-legge 28 dicembre 2012, n. 227, recante «Proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il Pag. 28consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione».

4. Le principali cause del fenomeno

  Come già evidenziato, da più di quaranta anni si discute sulle cause del ricorso massiccio e sistematico alla decretazione d'urgenza. L'eziologia del fenomeno viene ricondotta a una pluralità di fattori, tra i quali spiccano: a) la difficoltà del sistema istituzionale disegnato dalla Costituzione del 1948 di rispondere tempestivamente alle domande di regolazione provenienti da una società in continua trasformazione; b) la «lentezza» del Parlamento e l'assenza in via generale di corsie preferenziali per i disegni di legge del Governo; c) la scarsa coesione delle maggioranze di governo; d) la crisi della legge, intesa come progressiva incapacità dell'ordinamento di mantenere un assetto normativo stabile e coerente. L'analisi di questi fattori causali può essere utile per mettere in luce il peso effettivo che ciascuno di essi ha avuto e ha tutt'ora rispetto al fenomeno dell'abuso della decretazione.

4.1 La difficoltà del sistema istituzionale disegnato dalla Costituzione del 1948 di rispondere tempestivamente alle domande di regolazione provenienti da una società in continua trasformazione.

  L'assetto costituzionale vigente è stato assai sovente indicato come uno dei più potenti fattori di freno ad una attività legislativa in grado di adeguarsi ai tempi e ai ritmi di una società in costante e, a volte, tumultuosa trasformazione. In particolare, il sistema bicamerale perfetto è stato considerato uno degli aspetti di maggior ostacolo alla speditezza del procedimento legislativo. Nell'indagine conoscitiva svolta dalla I Commissione nell'ambito dell'esame dei progetti di legge di riforma della seconda parte della Costituzione, e nel corso del dibattito in Commissione e in Assemblea sui medesimi progetti, è stato da più parti richiamato questo aspetto.
  In particolare è stato sottolineato come, a fronte dei modesti risultati ottenuti sul piano del rafforzamento della rappresentanza, il bicameralismo abbia costituito più che una soluzione in termini di maggiore ponderazione delle decisioni parlamentari, un fattore di rallentamento.
  Questa diagnosi è quella maggiormente condivisa e radicata, tant’è che ha portato – come si vedrà oltre nella relazione – alla proposta di riforma costituzionale attualmente in discussione che determina il superamento del bicameralismo paritario.

4.2 La «lentezza» del Parlamento e l'assenza in via generale di «corsie preferenziali» per i disegni di legge del Governo.

  Connesso con il fattore causale sopra descritto, ma distinto e separato sul piano concettuale e dell'esperienza, è il richiamo alla disciplina del procedimento legislativo. Cadenza, fasi, organizzazione e tempi sono considerati non adeguati a soddisfare la domanda di regolazione proveniente dal Governo ai fini dell'attuazione del suo programma.
  È questo un aspetto di particolare complessità e delicatezza, perché chiama in causa, per un verso, aspetti di natura regolamentare e procedurale e quindi gli assetti derivanti dai regolamenti parlamentari. Per altro verso, richiede uno sguardo più ampio sulle modalità di svolgimento della dialettica parlamentare, sulle strategie dei gruppi di opposizione e sulle capacità di tenuta dei gruppi di maggioranza.
  Non v’è dubbio che vi sia una questione relativa ai tempi del procedimento: senza entrare nella sfera di competenza della Giunta per il regolamento, che sta elaborando una serie di proposte in merito (v. infra, par. 6.3), basti qui ricordare che si pone senz'altro un problema di disciplina del procedimento, che può e deve essere razionalizzato e snellito, senza sacrificio per le garanzie delle opposizioni e delle Pag. 29esigenze istruttorie sui singoli progetti di legge.
  Al tempo stesso, occorrerebbe una riflessione più vasta, che quest'Assemblea potrebbe promuovere e sviluppare, sulle caratteristiche del nostro sistema democratico e sulle dinamiche che caratterizzano l'attività parlamentare tra istanze di rappresentazione dei conflitti e delle posizioni divergenti e istanze che spingono all'assunzione delle decisioni necessarie all'attuazione dei programmi di governo.
  Occorre considerare che la stessa Costituzione del 1948 ha previsto all'articolo 72, secondo comma, che debbano essere disciplinati dai «regolamenti» procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza. Questo significa che era ben presente all'Assemblea costituente la necessità di mettere il Parlamento nelle condizioni di rispondere con prontezza ai casi di «urgenza», pur restando nell'alveo dei procedimenti legislativi ordinari. Il ricorso all'istituto dell'abbreviazione dei tempi nella prassi dei regolamenti parlamentari non ha dato i frutti sperati, forse perché, in una prima fase dell'esperienza repubblicana, alla pressante domanda di regolazione e alla esigenza di celerità di decisione rispondeva efficacemente il ricorso alle Commissioni in sede legislativa e successivamente – allorquando l'introduzione del sistema elettorale maggioritario ha portato ad una drastica riduzione di tale istituto – il ricorso «fuori misura» al decreto-legge era ormai una criticità conclamata.
  Ad ogni modo, è innegabile che il mancato decollo di questa previsione costituzionale – che non si è tradotta nella definizione, in via generale, di «corsie preferenziali» per i disegni di legge del Governo o per i progetti di iniziativa parlamentare dichiarati urgenti – costituisca uno dei fattori che oggi viene ritenuto responsabile del massiccio ricorso alla decretazione d'urgenza.
  In realtà occorre precisare che una corsia preferenziale è disciplinata dai regolamenti parlamentari ed è costituita dal procedimento di approvazione dei provvedimenti cosiddetti «collegati alla manovra di finanza pubblica», indicati nel Documento di economia e finanza (DEF).
  Con riferimento a tali disegni di legge, infatti, il Governo può chiedere che la Camera deliberi sul progetto di legge entro un determinato termine, riferito alle scadenze della manovra finanziaria complessiva. Sulla richiesta formulata dal Governo delibera all'unanimità la Conferenza dei Presidenti di Gruppo o, in mancanza di accordo unanime, l'Assemblea. Questa procedura, per quanto utilizzata ampiamente anche nella recente esperienza, non ha una portata generale e come tale non è stata idonea nel tempo a svolgere una effettiva funzione deflattiva del numero dei decreti–legge.
  D'altro canto, non può non osservarsi come molto spesso sia proprio la compressione sugli spazi di esame parlamentare esercitata dai decreti-legge a non consentire un fisiologico svolgersi dell'attività legislativa ordinaria, la quale finisce per avere tempi molto lunghi anche a causa del troppo spazio richiesto dall'esame dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge (sul poco tempo lasciato dalla decretazione d'urgenza alla legislazione ordinaria, v. memoria depositata dal professor Volpi).
  È stato sostanzialmente innescato un circuito perverso, in forza del quale la decretazione d'urgenza assume caratteri abnormi nella misura in cui il Parlamento non è in grado di assumere decisioni rapide per via ordinaria. Ma a sua volta il Parlamento non ha spazi ordinari di agibilità a causa del numero elevatissimo di decreti-legge da convertire.
  Ad ogni modo la questione relativa alla cosiddetta «corsia preferenziale» è stata affrontata nel disegno di legge di modifica della parte seconda della Costituzione, di cui si dirà più avanti.

4.3 La scarsa coesione delle maggioranze di governo.

  Se la «lentezza» del Parlamento e l'assenza di «corsie preferenziali» per i disegni di legge del Governo sono argomenti Pag. 30per lo più invocati nell'ottica delle prerogative dell'Esecutivo, la scarsa coesione delle maggioranze di governo è fattore richiamato nella prospettiva di un uso «strumentale» della decretazione d'urgenza denunciato più volte e in diverse epoche dalle opposizioni.
  Come evidenziato già nel corso del dibattito parlamentare svolto presso la I Commissione nel corso della IX legislatura, analizzando i dati relativi al numero dei decreti-legge presentati nelle prime otto legislature in raffronto con le diverse situazioni politico-parlamentari emerge come – in tale periodo storico – le punte si siano registrate soprattutto a fronte di situazioni di difficoltà del Governo rispetto alla «tenuta» della maggioranza, non tanto in relazione alla sua ampiezza quanto alla generale situazione politico-parlamentare di volta in volta determinatasi.
  Come osservava il deputato Bassanini in occasione di quel dibattito, «il ricorso al decreto-legge è divenuto uno strumento per compattare maggioranze disomogenee, per garantire al Governo in Parlamento un consenso, che per via di spontanea convergenza politica i gruppi parlamentari della maggioranza non gli potrebbero assicurare». Ma Bassanini si spingeva oltre, chiedendosi se «costituzionalmente l'istituto del decreto-legge possa a buon diritto essere utilizzato per una finalità siffatta, che, per vero, non sembra possa essere annoverata tra i fini che hanno ispirato l'invenzione del Costituente». (La decretazione d'urgenza: il dibattito nella I Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati: 6 ottobre – 17 novembre 1983, p. 40).
  Questa opinione non fu peraltro condivisa tra tutti coloro che intervennero nel corso del dibattito in I Commissione nel 1983. In particolare il deputato Galloni affermava «non sarei d'accordo con coloro i quali dicono e hanno detto che il ricorso frequente al decreto-legge è collegato...al venir meno di maggioranze sicure: no, al contrario il fenomeno è collegato, a mio avviso, all'aprirsi – ed è stato un fatto positivo nella nostra esperienza delle legislature repubblicane che si sono susseguite dopo la VI – di un dialogo maggiore tra maggioranza e opposizione» (La decretazione d'urgenza, op. cit., pp. 66 e seg.).
  Da questo contrasto di punti di vista, emerge con chiarezza come non sia univoca la posizione sulla effettiva incidenza di questo fattore causale. Né, d'altra parte, è agevole rinvenire dati che diano ad esso riscontro oggettivo. Certo è che nella storia repubblicana, soprattutto in passato, vi sono state numerose fasi in cui hanno governato coalizioni composite, che possono aver trovato nell'uso del decreto-legge uno strumento utile per superare dissidi e contrasti politici, destinati, peraltro a riemergere nella fase di conversione del decreto. Sotto questo profilo, è significativo il dato relativo alla ampiezza e alla incisività delle modifiche apportate in sede di conversione (v. infra, par.3.3) che, se non una prova univoca, può costituire un indizio del rilievo di questo fattore causale.

4.4 La crisi della legge, intesa come progressiva incapacità dell'ordinamento di mantenere un assetto stabile e coerente.

  Un ulteriore fattore che ha accentuato nel corso del tempo la degenerazione nell'uso di un istituto voluto dalla Costituzione come «straordinario» ed «eccezionale», risiede in quel fenomeno di progressiva disgregazione e alterazione dell'ordinamento giuridico noto sotto il nome di «crisi della legge» (v. intervento del Presidente Labriola nel dibattito in I Commissione del 1982 in La decretazione d'urgenza: il dibattito nella I Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati: 6 ottobre – 17 novembre 1983).
  L'eccessiva legificazione presente in Italia, la difficoltà nel riorganizzare la legislazione in codici e raccolte organiche, il ritardo con cui si sono avviate politiche di delegificazione di settori ampi dell'ordinamento, la tendenza a legiferare attraverso leggi provvedimento sono tutti fattori che hanno generato uno snaturamento della Pag. 31funzione della legge come strumento di regolazione per disposizioni generali e astratte, a scapito del pieno e responsabile esercizio delle funzioni amministrative da parte degli organi pubblici e con forte compressione per le possibilità di garanzia e di difesa in sede giurisdizionale dei singoli incisi sfavorevolmente da quei provvedimenti-legge.
  Sono fattori che hanno legittimato l'uso dirompente della decretazione d'urgenza, unico strumento considerato in grado di recidere il «groviglio» inestricabile di un ordinamento giuridico fortemente compromesso nei suoi caratteri di coerenza, di completezza, di chiarezza.
  Naturalmente non è mancato il ricorso alla delega in importanti settori e l'uso della delegificazione, seppur, in alcuni casi, al di fuori del perimetro disegnato dalla legge n. 400 del 1988.
  Ma il dato prevalente, sotto il profilo della produzione normativa, soprattutto negli ultimi anni è inequivocabile: una grande parte delle disposizioni di rango primario è immessa nell'ordinamento mediante decreto-legge.
  Il decreto-legge – che molto spesso si giustifica con l'esigenza di intervenire in forma derogatoria su assetti di regolazione nei diversi settori – è stato considerato anche uno strumento per superare le lentezze, le difficoltà di azione di un sistema amministrativo sottoposto ad un eccesso di legislazione. Assai di frequente il decreto-legge interviene per alterare o derogare o sospendere o modificare temporaneamente assetti di regolazione stabiliti dall'ordinamento.
  In tal modo il decreto-legge si pone come uno dei fattori che incidono con maggiori effetti negativi sul sistema di regole che disciplinano i diversi settori dell'ordinamento.
  Al tempo stesso, si assiste, soprattutto negli ultimi tempi, ad un uso del decreto-legge per intervenire su aspetti ordinamentali, costringendo interventi di riforma di vasta portata entro i limiti angusti e impropri del procedimento di conversione del decreto-legge. Questa tendenza è stata, come si vedrà nel prosieguo dell'esposizione, stigmatizzata dalla Corte costituzionale in alcune recenti sentenze.

5. Le principali conseguenze del fenomeno

  Le conseguenze negative della decretazione d'urgenza costituiscono l'oggetto di un vasto dibattito, dentro e fuori dal Parlamento.
  In sede di Relazione per l'Assemblea, la I Commissione ritiene di doversi soffermare sulle ripercussioni che maggiormente incidono sul corretto funzionamento dell'intero sistema istituzionale. Le conseguenze individuabili in termini di «danni al sistema» sono le seguenti: a) effetti sul funzionamento del sistema democratico e sui suoi equilibri; b) effetti sulla forma di governo; c) effetti sul funzionamento del procedimento legislativo; d) effetti sul buon assetto regolativo nei diversi settori a danno dei singoli, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.

5.1 Gli effetti sul funzionamento del sistema democratico e sui suoi equilibri.

  Dai dati riportati in appendice e illustrati nella prima parte della Relazione emerge con chiarezza come l'abuso della decretazione d'urgenza abbia spinto le modalità di produzione di una parte significativa del diritto che vige nel nostro Paese al limite estremo, se non decisamente oltre i confini tracciati con nettezza dalla Costituzione repubblicana.
  Non sono pochi gli studiosi intervenuti in audizione che hanno stigmatizzato con forza il carattere fortemente negativo del fenomeno da un punto di vista di tenuta dell'ordine costituzionale.
  Per indicare le conseguenze del fenomeno si parla di «significatività dello scostamento della prassi dal modello costituzionale» (v. Appendice, memoria depositata dal professor F.S. Marini), di «delegittimazione dell'assetto costituzionale vigente» (v. Appendice, memoria depositata dal professor D'Andrea), di Pag. 32«prassi abusiva della decretazione d'urgenza» (v. Appendice, memoria depositata dal professor De Fiores), di «fonte di una continua serie di abusi» (v. Appendice, resoconto stenografico dell'audizione del 19 giugno 2014 del professor Caravita di Toritto).
  Queste considerazioni devono far riflettere, e devono far riflettere soprattutto l'Assemblea della Camera dei deputati, prima ancora che sui rimedi possibili o in corso di approntamento, sulla gravità della situazione che si è determinata nel corso degli anni.
  Il punto più rilevante riguarda proprio il mancato rispetto della Costituzione.
  Come giustamente si è osservato nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalla I Commissione, «la condizione ordinaria di impiego della decretazione d'urgenza è stata la violazione della ratio ispiratrice dell'articolo 77 della Costituzione, che la configura come strumento eccezionale...» (v. Appendice, memoria depositata dal professor Scaccia).
  Il Parlamento non può non prendere atto che l'abuso della decretazione d'urgenza per dimensioni e durata del fenomeno costituisce una ferita profonda del nostro assetto costituzionale.
  Come affermato nel corso delle audizioni svolte dalla I Commissione, «nell'ordinamento italiano molto più che negli altri si è verificata una netta discrasia tra le previsioni contenute nella Costituzione e la prassi che ha dato luogo ad un abuso ripetuto e costante della decretazione d'urgenza» (v. Appendice, memoria depositata dal professor Volpi).
  Prima ancora di esaminare le ripercussioni negative sulla forma di governo, sul corretto svolgimento del procedimento legislativo e sulla funzione «regolatrice» e «ordinatrice» del diritto, occorre fermarsi a riflettere su questo aspetto di fondo, che riguarda il mancato rispetto delle regole che la Costituzione ha posto per disciplinare questa fonte di produzione del diritto.
  L'abuso della decretazione d'urgenza ha rotto l'equilibrio che la Costituzione ha sancito a presidio del corretto svolgersi delle forme ordinarie di produzione della legge all'interno di un sistema parlamentare.
  Occorre ripartire da questa osservazione – di per sé piuttosto sconcertante – per recuperare il senso vivo di una riflessione che voglia penetrare la dimensione più scabrosa della decretazione d'urgenza. Senza comprendere a fondo la vastità e la profondità di questa ferita sarà difficile far funzionare in modo pieno i rimedi che il Parlamento si appresta ad approvare – sia in sede di revisione costituzionale sia in sede di riforma dei Regolamenti.
  Per ciò è necessario riflettere attentamente sulle cause profonde del fenomeno e considerare quanto rilevanti siano state le ripercussioni sugli equilibri del sistema istituzionale, che hanno visto, nel corso degli anni, una tensione costante fra Parlamento e Governo e numerosi tentativi di Parlamento e Governo per ovviare, senza successo, al fenomeno dell'abuso, come si vedrà nel capitolo seguente. Ma quelle cause hanno visto anche un ruolo di crescente monito e di intervento vieppiù incisivo della Corte costituzionale, assieme ad una sempre più acuta sensibilità del Capo dello Stato, senza che siano mancati momenti di tensione tra lo stesso Presidente della Repubblica e l'Esecutivo.
  È, quindi, di tutta evidenza come, sotto il peso dell'abuso della decretazione d'urgenza, sia stato messo a repentaglio a più riprese e in più situazioni lo stesso equilibrio e lo stesso fisiologico atteggiarsi dei rapporti tra gli organi costituzionali.

5.2 Gli effetti sulla forma di governo.

  È difficile dire se l'abuso della decretazione d'urgenza abbia semplicemente determinato un mutamento della forma di governo o se in qualche misura non sia stato il fenomeno stesso una conseguenza inevitabile – in assenza di riforme tempestive e adeguate – della esigenza di ridefinire gli equilibri nella distribuzione del potere di decisione e di indirizzo tra Parlamento e Governo.Pag. 33
  Le opinioni al riguardo sono molteplici e molto spesso non convergenti.
  Così, accanto a chi sottolinea che «il Parlamento è stato trasformato ...in organo meramente correttivo della volontà legislativa primaria espressa dal Governo» (v. Appendice, memoria depositata dal professor Salerno), c’è chi mette l'accento sulla necessità per il Governo di avere tempi certi per poter vedere approvati i disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di governo: «non c’è altra soluzione che quella di prevedere tempi certi...il Governo fa la sua proposta, sa che essa verrà decisa e che avrà un punto finale il giorno stabilito e poi se la vede con la sua maggioranza» (v. Appendice, resoconto stenografico dell'audizione del 19 giugno 2014 del professor Guzzetta).
  Al di là delle diverse posizioni che naturalmente implicano sensibilità diverse non solo sul piano delle riflessioni degli studiosi ma anche sul piano delle diverse opzioni politiche, rimane il fatto che il profilo relativo al legame tra uso del decreto-legge e forma di governo ha rappresentato una costante nel dibattito sul tema.
  Il punto che la Commissione intende portare all'attenzione dell'Assemblea non può ovviamente riguardare le opzioni di fondo su un tema così fortemente connotato da implicazioni e scelte di natura politica, ma riguarda da un lato le conseguenze innegabili che l'abuso della decretazione ha portato sull'assetto della forma di governo così come delineata dalla Costituzione, dall'altro riguarda l'individuazione degli aspetti fondamentali da tenere presenti per una corretta impostazione dell'analisi del problema.
  Per quanto riguarda le conseguenze, è innegabile, dai dati sopra riportati, che l'iniziativa legislativa si sia concentrata negli ultimi decenni fondamentalmente nelle mani dell'Esecutivo. È altrettanto innegabile che vi sia una massiccia partecipazione del Parlamento in sede di approvazione della legge di conversione, ma il dato qualificante, ai fini delle ripercussioni sulla forma di governo, è dato dal netto prevalere dell'iniziativa dell'Esecutivo. A questo dato si accompagna una sostanziale marginalizzazione, in termini sia quantitativi che qualitativi, della iniziativa legislativa parlamentare. Sotto questo aspetto, il fatto che vi sia un elevato numero di emendamenti di iniziativa parlamentare, approvati durante l’iter di conversione dei decreti, non consente di riequilibrare il rapporto tra Parlamento e Governo soprattutto in termini di capacità di elaborazione di soluzioni organiche, coerenti e adeguate ai problemi del Paese. L'attività emendativa del Parlamento, oltre a essere costretta nell'alveo tracciato dal Governo, ha molto spesso carattere micro settoriale e parcellizzato, essendo ben difficile impostare soluzioni di respiro nel contesto angusto e limitato dell'esame del disegno di legge di conversione.
  Questi sono dati oggettivi che non sembrano ininfluenti rispetto alla definizione della forma di governo.
  Inoltre, il ricorso sistematico alla posizione della questione di fiducia sulla conversione in legge dei decreti comporta una alterazione oggettiva della natura di un istituto che in un sistema di governo parlamentare dovrebbe fisiologicamente avere una funzione assai circoscritta.
  L'apposizione sistematica della questione di fiducia forza il rapporto fra Governo e Parlamento e, al di là di tutte le implicazioni sul piano del corretto svolgersi della dinamica parlamentare, reca con sé l'effetto di riportare tempi, modi e contenuti della produzione normativa in capo ad un organo che per definizione costituzionale non ha alcuna titolarità originaria della funzione legislativa (articolo 77, comma primo).
  Sotto questo aspetto, non si può non osservare che ci troviamo di fronte ad una forma di governo parlamentare nella quale l'attività legislativa primaria è sistematicamente e massicciamente ricondotta all'iniziativa e alle condizioni di esame e di decisione stabiliti dall'Esecutivo.
  Al tempo stesso, occorre sottolineare che il peso che gli Esecutivi hanno progressivamente assunto nella seconda metà Pag. 34del Novecento nei processi decisionali delle democrazie parlamentari europee è un peso crescente e sempre più rilevante, a causa di dinamiche proprie delle società post-industriali.
  Non si tratta, quindi, di escludere dai termini del problema questo fondamentale aspetto che riguarda il funzionamento «efficiente» del sistema di decisione. Il punto è che questa maggiore capacità di decisione deve svilupparsi nell'alveo dei confini stabiliti dai diversi assetti costituzionali.
  Nel caso italiano, l'abuso dello strumento del decreto-legge, oltre a «forzare» la forma di governo, non ha prodotto risultati positivi in termini di maggiore efficacia e di maggiore capacità di guida, di programmazione e di realizzazione di politiche pubbliche su vasta scala.
  È stato, in sostanza, un gioco a somma negativa, nel quale l'abuso della decretazione, pur spostando l'asse di impulso e di decisione sull'Esecutivo, non ha portato a risultati apprezzabili in chiave di buon funzionamento del sistema di decisione.
  Più che di una «forzatura» sulla forma di governo, dovrebbe forse parlarsi di una sua «deformazione», che lascia attualmente in una condizione squilibrata tanto i «diritti» del Parlamento, quanto i «diritti» del Governo. Se il Parlamento rischia di essere per certi versi svuotato e indebolito, il Governo è solo in parte rafforzato, perché a sua volta imbrigliato nell'uso di uno strumento di decisione che per definizione è di corto respiro e che non consente la realizzazione di riforme meditate, adeguatamente discusse, destinate a durare e a generare certezza e basi normative solide per i singoli, le associazioni, le imprese, le pubbliche amministrazioni, gli investitori internazionali.

5.3 Gli effetti sul funzionamento del procedimento legislativo.

  Gli effetti negativi che l'abuso della decretazione d'urgenza produce sul corretto funzionamento degli organi parlamentari e sul fisiologico svolgersi della funzione legislativa si appuntano su diversi aspetti.
  Innanzitutto, come è stato anche di recente sottolineato nel Rapporto sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea presentato nel marzo 2015 alla Camera dei deputati, il fenomeno della decretazione d'urgenza, per le caratteristiche che ha assunto negli ultimi decenni, provoca una rilevante alterazione del sistema di funzionamento delle Commissioni parlamentari.
  Sul piano delle funzioni attribuite alle Commissioni in sede referente si registra come il ricorso a decreti-legge multisettoriali, che molto spesso introducono vere e proprie riforme ordinamentali in molteplici settori, produce la impossibilità che sia svolta una corretta istruttoria legislativa nella Commissione di merito. In tali casi, infatti, il disegno di legge di conversione viene assegnato a una o al massimo due Commissioni riunite, mentre le altre Commissioni – che pur in astratto avrebbero titolo per la rilevanza della materia trattata ad essere competenti in sede referente – si vedono confinate ad una mera funzione «consultiva». È evidente, infatti, che un disegno di legge di conversione non può essere assegnato a un numero di Commissioni superiore a due (vi sono rarissimi e piuttosto remoti casi di assegnazione a tre Commissioni riunite).
  Questo aspetto, proprio per i caratteri «endemici» che assume la decretazione d'urgenza, ha finito per scardinare il sistema delle competenze disegnato dai Regolamenti parlamentari e dalle circolari dei Presidenti, che hanno disciplinato una articolazione basata sulle competenze materiali di ciascuna Commissione proprio perché potesse essere assolta nel modo più accurato la attività istruttoria di esame imposta dall'articolo 72 della Costituzione.
  Rilevanti riforme di settore sono state approvate senza il vaglio preventivo della competente Commissione di merito. Questo non può non avere ricadute sul corretto esercizio delle funzioni parlamentari, sia in termini di rispetto dell'assetto organizzativo del Parlamento, sia in termini di qualità dell'attività da esso svolta.Pag. 35
  L'attività in sede consultiva, per converso, è aumentata di intensità, sebbene i tempi ristretti di esame da parte delle Commissioni di merito non sempre consentano un vaglio accurato dei pareri espressi, tant’è che una parte significativa delle osservazioni e delle condizioni contenute nei pareri espressi nell'ambito dei procedimenti di conversione dei decreti-legge non vengono né discussi, né recepiti. A ciò si deve aggiungere la circostanza che, in ragione dei tempi di esame del disegno di legge di conversione, molto spesso il parere delle Commissioni in sede consultiva viene espresso sul testo iniziale del provvedimento e non sul testo eventualmente emendato.
  Un ulteriore rilevante squilibrio si determina nei rapporti fra Commissione e Assemblea, soprattutto a seguito della apposizione della questione di fiducia da parte del Governo.
  Nell'assetto costituzionale e regolamentare vigente, la Commissione in sede referente ha una funzione essenziale nel procedimento legislativo che peraltro si connota per la sua natura istruttoria. Il testo predisposto dalla Commissione è destinato ad essere esaminato, discusso, modificato in Assemblea, con le forme e i limiti stabiliti dal Regolamento.
  Accade invece che il Governo – come già accennato – con frequenza assai elevata ponga la questione di fiducia in Assemblea sull'approvazione senza emendamenti del testo approvato in sede referente in Commissione.
  Questa pratica altera il rapporto tra Commissione ed Assemblea, perché di fatto conferisce alla deliberazione sul mandato al relatore il carattere di deliberazione sostanzialmente «definitiva» sul testo, senza che l'Assemblea possa apportare modifica alcuna.
  Questa alterazione non riguarda solo la menomazione del ruolo dell'Assemblea, ma comporta anche una impropria attribuzione di funzioni e di responsabilità alla Commissione, in assenza di adeguate forme di garanzia.
  In particolare, ai lavori della Commissione si applica un regime di pubblicità molto diverso da quello proprio dell'Assemblea. In sede referente, infatti, è possibile l'attivazione del circuito chiuso quando non vi sono obiezioni da parte dei deputati componenti ed è prevista la stesura di un resoconto sommario, mentre in Assemblea è prevista la ripresa televisiva diretta sul sito web della Camera dei deputati, la redazione del resoconto sommario e del resoconto stenografico della seduta. Inoltre, nelle Commissioni, per ragioni proprie e peculiari della sede referente, non sono ammesse in linea generale votazioni nominali: non è pertanto possibile ricostruire la volontà manifestata dai singoli deputati e dai singoli gruppi se non in caso di dichiarazione di voto riportate nel resoconto sommario dei lavori.
  Si tratta di aspetti «distorsivi» della massima rilevanza, perché di fatto attengono al principio di pubblicità e di piena conoscibilità dei lavori parlamentari. Di per sé, un rafforzamento del ruolo delle Commissioni e una razionalizzazione del rapporto fra Commissione e Assemblea al fine di evitare inutili duplicazioni e ridondanze procedurali sarebbe positivo e infatti la proposta di riforma del Regolamento in discussione è impostata su questa falsariga. È, peraltro, chiaro che tutto questo non può essere in alcun modo «anticipato» dalla pratica sopra descritta, proprio per l'assenza delle condizioni e delle garanzie che devono accompagnare questo passaggio.
  Un ulteriore effetto negativo prodotto sul piano del procedimento legislativo riguarda il fenomeno – cui si è già accennato sopra – del cosiddetto «bicameralismo alternato». Accade, spesso, infatti che il disegno di legge assegnato ad un ramo del Parlamento sia trattenuto in sede di esame fino a ridosso della scadenza, per essere poi trasmesso all'altra Camera che si trova di fatto nelle condizioni di non poterlo modificare. Questo fenomeno porta ad una evidente alterazione delle prerogative del ramo del Parlamento che interviene in seconda lettura e snatura pesantemente il ruolo e il significato che la Costituzione vigente assegna al sistema parlamentare bicamerale.

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5.4 Le ripercussioni sugli assetti regolativi nei diversi settori a danno dei singoli, delle imprese, delle pubbliche amministrazioni.

  Quando si parla di problemi connessi all'abuso del decreto-legge, si pensa comunemente alle conseguenze negative che l'eccessivo ricorso a tale strumento normativo produce nell'ambito dei rapporti tra Governo e Parlamento e, soprattutto, a un progressivo e inesorabile processo di spoliazione delle prerogative di quest'ultimo.
  Non meno rilevanti, invece, sono le ripercussioni negative che il ricorso alla decretazione d'urgenza produce sui diversi soggetti chiamati, a vario titolo, a dare applicazione alle norme contenute nei decreti-legge. In questo senso, è innegabile che la decretazione d'urgenza abbia inciso fortemente sulla certezza e sull'effettività del diritto, oltre che sull'autorevolezza dello stesso, come è stato fatto notare nel corso delle audizioni svoltesi all'interno dell'indagine conoscitiva (v. Appendice, memoria depositata dal professor Salerno).
  In quella sede è stato messo in luce, in particolare, come il decreto-legge sia talvolta fondato sulla necessità di annunciare l'iniziativa governativa, per cui attraverso tale strumento si darebbe «veste legale» a ciò che si è annunciato quale proposta del Governo al momento della deliberazione del Consiglio dei ministri.
  Un altro problema evidenziato attiene ad un possibile «deficit di effettività» del decreto-legge fino all'approvazione della legge di conversione: sempre più frequentemente, infatti, si determinerebbe una frattura tra il dettato legislativo vigente, costituito dai decreti-legge, e il dettato legislativo effettivamente applicato dalla collettività, dal momento che i destinatari attendono la pubblicazione della legge di conversione prima di applicare il decreto-legge, per cui il diritto prodotto da quest'ultimo soffre di un forte deficit di effettività (v. Appendice, memoria depositata dal professor Salerno). Conseguentemente, dato che il diritto prodotto è quasi interamente frutto della decretazione d'urgenza, dall'applicazione del predetto assunto si arriva alla conclusione che il diritto nel suo complesso ha perso effettività.
  Analogamente, a proposito dell'abuso del decreto-legge si è parlato di «caos amministrativo insuperabile» in quanto l'amministrazione, i giudici, i soggetti privati, gli operatori industriali, gli operatori economici, i cittadini, di fronte al decreto-legge non sanno se prendersi il rischio di attuarlo o se aspettare la legge di conversione (v. Appendice, resoconto stenografico dell'audizione del 19 giugno 2014 del professor Caravita di Toritto). Questo significa che il Paese vive sessanta giorni – ma tempo addietro ancora di più – nell'incertezza dei comportamenti delle proprie istituzioni. Questo problema è considerato ancora più grave rispetto a quello del raccordo fra Governo e Parlamento nell'esercizio del potere legislativo, in quanto equivale sostanzialmente a porre il Paese in una situazione di «caos amministrativo».
  Inoltre, la proliferazione abusiva della decretazione d'urgenza è considerata causa della sfiducia dei cittadini nei confronti dell'autorevolezza del diritto, come fonte dotata della capacità di orientare i comportamenti secondo modalità pressoché stabilizzate nel tempo (v. Appendice, memoria depositata dal professor Salerno).
  Con riferimento al problema degli effetti del decreto-legge, si rileva altresì che non infrequentemente sulla medesima disciplina o anche sulla medesima disposizione intervengono in successione più decreti-legge, anche a distanza ravvicinata, dando così luogo a una serie di modifiche «a catena» che pure deve essere valutata alla luce dei presupposti di necessità e urgenza.
  Possono citarsi, a titolo di esempio, i molti provvedimenti di urgenza che sono intervenuti in poco meno di due anni in merito all'Expo Milano 2015, spesso con interventi reiterati su norme di recente approvazione, e le numerose modifiche cui Pag. 37è stato soggetto l'articolo 357 del regolamento di attuazione del codice dei contratti pubblici.

6. Le «reazioni» all'abuso della decretazione d'urgenza

6.1 La Corte costituzionale.

  Dopo aver evidenziato le cause e le conseguenze dell'esercizio del potere di decretazione d'urgenza, saranno esaminate le reazioni poste in essere, nel corso degli anni, dalle istituzioni al fine di contenere il descritto fenomeno.
  In primo luogo, assume rilievo la giurisprudenza costituzionale, che nel corso degli ultimi decenni ha subito una lunga evoluzione, con un'ampia estensione del sindacato sulla decretazione d'urgenza e sulle relative leggi di conversione.
  Ad una prima fase risalgono le sentenze «inibitrici» della Corte costituzionale (sentenze nn. 108 del 1986, 243 del 1987, 808 e 810 del 1988, 263 del 1994) assolutamente refrattarie ad ammettere ogni possibilità di controllo sulla sussistenza dei presupposti del decreto, il più delle volte schermendosi dietro le cosiddette virtù sananti della legge di conversione. La conversione in legge, per la dottrina prevalente degli anni Ottanta, producendo la «novazione della fonte», faceva scattare per la Corte una vera e propria preclusione nei confronti dei vizi del decreto-legge dopo la sua conversione (l'orientamento, avviato dalla sentenza n. 108 del 1986, è poi proseguito dalla pronuncia n. 243 del 1987 e da numerose altre).
  Questo orientamento è stato tuttavia modificato a metà degli anni Novanta, sotto la spinta della prassi sempre più «degenerata» e delle sollecitazioni della dottrina.
  È con la sentenza n. 29 del 1995 che, per la prima volta, la Corte costituzionale ha ammesso la sindacabilità del difetto della necessità e dell'urgenza: con tale sentenza la Corte ha, in particolare, chiarito che «l'evidente mancanza» di tali presupposti prefigurerebbe non solo un vizio di legittimità costituzionale del decreto-legge, ma anche un vizio in procedendo della stessa legge di conversione, negando l'efficacia «sanante» di quest'ultima.
  La Corte, pertanto, ha preferito riservarsi una forte discrezionalità di intervento, affermando che non una «qualsiasi» mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza può costituire vizio in procedendo della legge di conversione, bensì solo una «evidente» mancanza di tali requisiti. Si è venuta cosi a creare la singolarissima situazione – ancor oggi persistente – per cui la Corte continua ad affermare che, mentre per tutti gli articoli della Costituzione basta la violazione per dichiarare un atto avente forza di legge incostituzionale, per l'articolo 77 occorre che tale violazione sia «evidente».
  Tale impostazione – pur non avendo mai portato ad annullare un decreto-legge – è stata successivamente ribadita sia rispetto a decreti-legge ancora in corso di conversione (si vedano le sentenze n. 161 del 1995 e n. 270 del 1996) sia rispetto a decreti-legge convertiti in legge (si veda la sentenza n. 330 del 1996), mentre è stata coerentemente esclusa rispetto a disposizioni aggiunte in sede di conversione (si veda la sentenza n. 391 del 1995) e rispetto a disposizioni di «sanatoria», che si limitano a far salvi gli effetti di decreti non convertiti (si veda la sentenza n. 84 del 1996).
  La Corte dunque, se da un lato ha affermato il suo potere di controllo dal punto di vista «potenziale», dall'altro lato non aveva mai spinto tale potere fino alle estreme conseguenze, ovvero fino all'annullamento di un decreto per mancanza dei presupposti, per cui l'affermazione di un controllo giurisdizionale sui vizi propri del decreto-legge e, in particolare, sulla sussistenza dei presupposti, continuava a restare una mera affermazione teorica.
  Dopo un ventennio in cui la predetta impostazione resta immutata, si registra un cambiamento significativo con le sentenze nn. 171 del 2007 e 128 del 2008, con Pag. 38le quali la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una legge di conversione per evidente carenza dei presupposti di alcune disposizioni del decreto convertendo. In particolare, la sentenza n. 171 del 2007, per la prima volta, conclude per la illegittimità della norma per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita. Nel caso di specie, la Corte sanziona la disposizione che introduce una nuova disciplina in materia di cause di incandidabilità e di incompatibilità in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale.
  Nella successiva sentenza n. 128 del 2008, la Corte, per valutare la sussistenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere, si rivolge agli «indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata», constatando, nel caso di specie, sia il difetto di collegamento tra la disposizione censurata (previsione dell'esproprio del teatro Petruzzelli) con le altre disposizioni inserite nel decreto, che, nella loro eterogeneità, concorrono alla manovra di finanza pubblica, in quanto intervengono in materia fiscale e finanziaria a fini di riequilibrio di bilancio, sia anche l'assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con riguardo alla finalità pubblica dichiarata.
  La svolta è rappresentata da altre due sentenze, le nn. 22 del 2012 e 32 del 2014: in questi due casi la Corte non sottopone a scrutinio la disomogeneità originaria del decreto-legge, bensì la disomogeneità «sopravvenuta». Non è in discussione, dunque, il potere del Parlamento di modificare il decreto in sede di conversione; il punto è piuttosto l'ampiezza di questo potere. Prima di queste pronunce, la posizione della Corte riguardo al potere di emendamento era quella per cui gli emendamenti erano ammissibili solo se persistevano le ragioni di necessità ed urgenza che sostenevano le norme emendate. Nulla si diceva, però, degli emendamenti disomogenei, facendoli ritenere implicitamente sempre ammissibili in quanto espressivi della ordinaria potestà legislativa (sentenze nn. 391 del 1995, 355 e 367 del 2010, 93 del 2011), suscitando così forti perplessità da parte della dottrina.
  La posizione che invece emerge dalle due sentenze n. 22 e 32 è del tutto opposta: gli emendamenti parlamentari disomogenei sono del tutto inammissibili dal punto di vista costituzionale durante la procedura di conversione.
  In particolare, con la sentenza n. 32 del 2014 sulla cosiddetta legge «Fini-Giovanardi», la Corte, confermando un orientamento emerso nella sentenza n. 22 del 2012 sul decreto-legge «Milleproroghe», evidenzia come le Camere non possano introdurre emendamenti che siano estranei all'oggetto o alla finalità del decreto, proprio perché altrimenti si finirebbe per sfruttare abusivamente l’iter semplificato per scopi diversi rispetto «a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare».
  Nel caso di specie, la Corte era chiamata ad esercitare il proprio sindacato di costituzionalità del decreto-legge n. 272 del 2005, recante disposizioni eterogenee, relative alla sicurezza e al finanziamento delle allora imminenti Olimpiadi invernali di Torino, all'amministrazione dell'Interno e al recupero di tossicodipendenti recidivi. In sede di conversione del decreto-legge, fu introdotto un insieme di articoli aggiuntivi, riscriventi il testo unico sugli stupefacenti (di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) e il trattamento sanzionatorio dei reati in esso previsti (nonché le correlative tabelle delle sostanze stupefacenti o psicotrope).
  Alla Corte costituzionale è giunta la questione di legittimità costituzionale relativa alle disposizioni – tra le numerose inserite nel corso della conversione – parificanti il trattamento sanzionatorio delle droghe «leggere» (tabelle II e IV) e delle droghe «pesanti» (tabelle I e III).
  La Corte ha accolto la questione «per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione». Infatti «l'inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del Pag. 39decreto-legge, o alle finalità di quest'ultimo, determina un vizio della legge di conversione».
  Nella sentenza n. 32 la Corte richiama peraltro le pronunce sopracitate che hanno impresso una svolta nella giurisprudenza costituzionale in tema di omogeneità della legge di conversione rispetto al decreto-legge. Omogeneità che si configura quale requisito di costituzionalità della legge di conversione, stretta come essa è da un «nesso di interrelazione funzionale» al decreto-legge.
  La legge di conversione segue infatti, a detta della Corte nella sentenza n. 32 del 2014, un iter parlamentare semplificato e «accelerato», costituzionalmente ritagliato sulla «sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge, emanato provvisoriamente dal Governo e valido per un lasso temporale breve e circoscritto». «Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge. La legge di conversione non può, quindi, aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore. Diversamente, l’iter semplificato potrebbe essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano l'atto con forza di legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare».
  Dunque la legge di conversione risulta avere una competenza tipica e limitata, non «libera» ma «funzionalizzata» alla conversione, e deve porsi in termini di coerenza con il decreto-legge, contenutistica o teleologica.
  A livello sistematico, va sicuramente posto in evidenza come la Corte si sia per la quarta volta pronunciata nel senso della incostituzionalità di una norma di un decreto convertito, le prime volte affermandone anche la carenza dei presupposti, ora concentrandosi sulla natura della legge di conversione.
  A ben vedere, la Corte non ha mai dichiarato incostituzionale un intero decreto-legge per carenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, ma piuttosto ha – in quattro diverse fattispecie – dichiarato incostituzionale una singola norma intrusa (peraltro in sede di conversione) in un decreto-legge avente per gran parte altro oggetto e quindi sorretto da altri presupposti.
  Come è stato fatto notare nel corso delle audizioni svoltesi nell'ambito dell'indagine conoscitiva, la Corte ha sempre scelto la via più agevole di ritenere incostituzionale una norma intrusa in un decreto-legge anziché confrontarsi con il vero punto nodale della decretazione d'urgenza da almeno quaranta anni a questa parte, cioè non ha mai portato alle estreme conseguenze lo scrutinio sulla reale sussistenza di quella fattispecie straordinaria che nell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, legittima il Governo ad autoassumersi il potere legislativo (v. Appendice, memoria depositata dal professor Celotto). Al riguardo, è stato evidenziato che la maggior parte dei decreti-legge sembra ormai non sorretta da quei rigorosi presupposti giuridici richiesti in Costituzione, ma tutt'al più da una straordinaria necessità ed urgenza di carattere «politico» e – come tale – sempre di più si atteggia ad una sorta di disegno di legge «rinforzato», così definito da Alberto Predieri (v. anche introduzione). Tuttavia, è stato fatto notare come la Corte costituzionale non abbia certo il compito di convalidare gli scostamenti imposti dal diritto vivente alla forma della Costituzione, dovendo invece – sapientemente – rilevare quando tali scostamenti si siano fatti troppo ampi e rischiosi per la stessa forma di Stato (come avvenuto per la reiterazione e come sta avvenendo ormai anche per l'abuso delle forme della conversione, oltre che per la cronica carenza dei presupposti).
  Sotto un altro aspetto, un significativo freno all'indiscriminato uso del decreto-legge è stato posto negli anni Novanta, allorché il giudice delle leggi ha censurato la prassi della reiterazione dei decreti. La gravità di questa prassi era stata evidenziata già nella sentenza n. 302 del 1988, nella quale la Corte costituzionale aveva affermato che «la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, Pag. 40tanto più gravi allorché gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (...) o allorché gli effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti». Negli anni successivi la Consulta aveva continuato a indirizzare una serie di moniti al Governo, tanto accorati, quanto improduttivi (sentenze nn. 808 del 1988, 161 e 391 del 1995), finché, con la sentenza n. 360 del 1996, si è giunti all'esplicita dichiarazione di illegittimità costituzionale della reiterazione che – secondo la Corte – «altera la natura provvisoria della decretazione d'urgenza (...), toglie valore ai requisiti della necessità e dell'urgenza, (...) attenua la sanzione della perdita retroattiva di efficacia del decreto non convertito (...), incide sugli equilibri istituzionali, alterando i caratteri della stessa forma di governo», oltre a pregiudicare seriamente la certezza del diritto.
  Se, a seguito della sentenza n. 360, che ha censurato la reiterazione dei decreti-legge, quest'ultima si è consistentemente ridotta, lo stesso non può però dirsi per l'uso massiccio e disinvolto della decretazione d'urgenza (v. Appendice, memoria depositata dal professor De Fiores).
  Ripercorrendo l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale negli ultimi venti anni, è manifesta, quindi, la tendenza a un'estensione del sindacato sulla decretazione d'urgenza e sulle relative leggi di conversione, che va dalla sussistenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza, all'omogeneità del decreto, al divieto di inserire emendamenti estranei all'oggetto del decreto in sede di conversione, al divieto di reiterazione o, infine, al divieto di inserire norme di carattere ordinamentale o, comunque, destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo.
  Nella ricostruzione del progressivo ampliamento dello scrutinio della Corte costituzionale sui decreti-legge, molto significativa è la sentenza n. 220 del 2013, in cui la Corte – chiamata a valutare il decreto-legge con cui il Governo Monti aveva riformato le province, disposizioni poi confluite nella legge n. 56 del 2014, la cosiddetta legge «Delrio» – si è spinta sino a sindacare il modo d'uso del decreto-legge, ritenendone incostituzionale l'utilizzo per adottare norme stabili, di carattere ordinamentale, e non solo provvedimenti provvisori, come pure recita il testo dell'articolo 77 della Costituzione.
  Con tale sentenza, la Corte ha, dunque, censurato l'inserimento nei decreti-legge e nelle relative leggi di conversione di norme a carattere ordinamentale, le quali per loro natura «non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'articolo 77 della Costituzione, concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di casi straordinari di necessità e d'urgenza».
  Considerazioni in parte analoghe sono svolte nella già richiamata sentenza n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'incostituzionalità della nuova disciplina dei reati in materia di stupefacenti, di cui al decreto-legge n. 272 del 2005, per difetto di omogeneità con le altre disposizioni del decreto stesso, in cui era stata inserita nel corso dell’iter parlamentare. In tale sentenza, la Corte rileva infatti che «una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge, ex articolo 72 della Costituzione».

6.2 Il Presidente della Repubblica.

  Il ruolo del Presidente della Repubblica nella decretazione d'urgenza si evince dal combinato disposto del quarto e quinto comma dell'articolo 87 e dell'articolo 74 della Costituzione. All'articolo 87, al quarto comma, si stabilisce che il Presidente della Repubblica «autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo», mentre al quinto comma è statuito che «promulga le Pag. 41leggi ed emana i decreti avente valore di legge e i regolamenti». A questo si aggiunge il dettato dell'articolo 74 che dà al Presidente della Repubblica la facoltà di rinviare una legge alle Camere, con messaggio motivato, prima della loro promulgazione. Il tutto ovviamente inserito nel quadro generale del ruolo di garanzia assegnato dalla Costituzione al Presidente della Repubblica. Ruolo di garanzia che prima di tutto si esplica nell'autorizzazione alla presentazione dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, autorizzazione che per prassi consolidata presuppone il controllo dei requisiti costituzionali. Tale controllo, condotto spesso in forma preventiva di moral suasion o di inviti informali a correzioni nei confronti del Governo è talvolta sfociato in interventi formali – ad iniziare dalla Presidenza Pertini che coincide con l'incremento del fenomeno della decretazione d'urgenza – che hanno in prevalenza avuto ad oggetto le distorsioni delle prassi applicative dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione.
  Infatti il Presidente Sandro Pertini, con una lettera del 24 giugno 1980, rifiutò l'emanazione di un decreto-legge a lui sottoposto per la firma in materia di verifica delle sottoscrizioni delle richieste di referendum abrogativo; successivamente con lettera del 3 giugno 1981, invitava il Presidente del Consiglio dei ministri a considerare la congruità dell'uso dello strumento del decreto-legge per emanare norme per la disciplina delle prestazioni di cura erogate dal Servizio sanitario nazionale.
  Durante la sua Presidenza, Francesco Cossiga rinviò alle Camere ben cinque disegni di legge di conversione di decreti-legge (il n. 882 del 1986, il n. 48 e il n. 442 del 1987, il n. 196 del 1989), tutti per mancanza di copertura finanziaria. Il Presidente Cossiga rinviò alle Camere anche il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 285 del 1991, recante criteri di applicazione dell'IVA e delle imposte sui redditi, non solo per mancanza di copertura finanziaria ma anche per motivi di carattere ordinamentale. Il decreto-legge successivamente decadde.
  Con lettera del 10 luglio 1989 all'allora Presidente del Consiglio Ciriaco De Mita, lo stesso Presidente Cossiga manifestò la sua riserva in ordine alla presenza dei presupposti costituzionali di necessità e urgenza ai fini dell'emanazione di un decreto-legge in materia di profili professionali del personale dell'ANAS. In quella stessa lettera e successivamente nella lettera al Presidente del Consiglio Andreotti del 6 febbraio 1990, il Presidente Cossiga richiamò all'osservanza delle specifiche condizioni di urgenza e necessità che giustificano il ricorso alla decretazione di urgenza, ritenendo legittimo da parte sua – in caso di non soddisfacente e convincente motivazione del provvedimento – il puro e semplice rifiuto di emanazione del decreto-legge.
  Con un comunicato del 7 marzo 1993, il Presidente Oscar Luigi Scalfaro, in rapporto all'emanazione di un decreto-legge in materia di finanziamento dei partiti politici, invitò il Governo a riconsiderare l'intera questione, ritenendo più appropriata la presentazione alle Camere di un provvedimento in forma diversa da quella del decreto-legge. 
  Lo stesso Presidente Scalfaro rinviò alle Camere tre disegni di legge di conversione di decreti-legge di cui due (il n. 545 del 1994 e il n. 28 del 1995) per mancanza di copertura finanziaria. Un altro decreto-legge, il n. 401 del 1994 recante disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle unità sanitarie locali fu rinviato alle Camere per motivi di carattere ordinamentale, legati a questioni di costituzionalità tra le quali il contrasto del provvedimento con una costante giurisprudenza costituzionale che il Presidente Scalfaro sottolineava che va considerato «alla stregua di un vero e proprio contrasto con la Costituzione».
  Ma senza dubbio è specialmente a partire dalla Presidenza Ciampi, per proseguire più intensamente con la Presidenza Napolitano, che si è registrata una maggiore frequenza degli interventi presidenziali sull'utilizzo dello strumento della decretazione d'urgenza come conseguenza della prassi di utilizzare il decreto-legge Pag. 42come strumento di legislazione governativa concorrente a quella del Parlamento.
  Molti degli interventi dei Presidenti Ciampi e Napolitano hanno avuto come oggetto il principio della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione di un decreto-legge.
  Tale principio è stato richiamato innanzitutto nel messaggio del 29 marzo 2002, con il quale il Presidente Ciampi ha rinviato alle Camere il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002 recante disposizioni urgenti finalizzate a superare lo stato di crisi per il settore zootecnico, per la pesca e per l'agricoltura, poi decaduto per decorrenza dei termini. Nel messaggio, il Presidente lamentava che il testo fosse stato aggravato da tante norme disomogenee da dar vita ad un provvedimento “di difficile conoscibilità del complesso della normativa applicabile". Da qui, si richiamava il Governo non soltanto a seguire criteri rigorosi nella predisposizione dei decreti-legge, ma, insieme con gli organi delle Camere specificamente preposti alla produzione legislativa, a vigilare successivamente, nella fase dell'esame parlamentare, allo scopo di evitare che il testo originario venga trasformato fino a diventare non più rispondente ai presupposti costituzionali. Inoltre richiamò il Governo al rispetto della legge n. 400 del 1988, la quale «pur essendo una legge ordinaria, ha valore ordinamentale in quanto è preposta all'ordinato impiego della decretazione d'urgenza e deve quindi essere, del pari, rigorosamente osservata», nonché all'osservanza di quella regola di mera correttezza – invalsa dalla Presidenza Pertini, ma poi rinnovata dalla Presidenza Scalfaro nel 1998 – secondo cui i decreti-legge devono essere trasmessi alla Presidenza della Repubblica almeno cinque giorni prima dell'esame in Consiglio.
  Sui temi della decretazione d'urgenza, l'attenzione del Presidente Giorgio Napolitano è stata costante in tutto il primo settennato a partire dalla nota del 18 maggio 2007, con la quale si auspicava la rapida conclusione dei lavori avviati nelle rispettive Giunte per il Regolamento ai fini della necessaria armonizzazione e messa a punto delle prassi seguite nei due rami del Parlamento per la valutazione di ammissibilità degli emendamenti in sede di conversione in legge dei decreti-legge.
  Con lettera del 25 giugno 2008, in occasione dell'emanazione del decreto-legge n. 112 del 2008, il Capo dello Stato scriveva ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio esprimendo preoccupazioni per il fatto che una manovra finanziaria sia costretta nei tempi di esame di un disegno di legge di conversione di un decreto-legge, con una notevole riduzione dei tempi che la sessione di bilancio garantisce per l'esame degli strumenti ordinari in cui è articolata ogni anno la manovra economico-finanziaria. Il Presidente Napolitano chiedeva a tal fine un'intensificazione dei lavori parlamentari per assicurare comunque un esame completo ed approfondito del provvedimento, a tutela delle prerogative del Parlamento medesimo.
  In un'altra occasione il Presidente Napolitano rifiutò di emanare un decreto-legge varato dal Governo, in occasione della vicenda di Eluana Englaro, rifiuto esplicitato in una lettera del 6 febbraio 2009 al Presidente del Consiglio. In quell'occasione il Presidente Napolitano ritenne il ricorso al decreto-legge soluzione inappropriata, in considerazione di elementi di merito, collegati alla specifica vicenda, ed al tempo stesso di motivi di illegittimità connessi all'assenza dei presupposti per l'adozione del decreto.
  Sui limiti all'emendabilità dei decreti-legge nel corso dell’iter di conversione, il Presidente Napolitano interveniva con una lettera inviata il 9 aprile 2009 ai Presidenti di Senato e Camera, al Presidente del Consiglio e al Ministro dell'economia. Nella medesima lettera il Presidente della Repubblica rilevava, inoltre, che sottoporre al Presidente della Repubblica per la promulgazione, in prossimità della scadenza del termine costituzionalmente previsto, una legge che converte un decreto-legge notevolmente diverso da quello a suo tempo emanato, non consente al Presidente Pag. 43medesimo l'ulteriore, pieno esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione gli affida, con particolare riguardo alla verifica sia della sussistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza sia della correttezza della copertura delle nuove o maggiori spese, ai sensi degli articoli 77 e 81 della Costituzione, per la necessità di tenere conto di tutti gli effetti della possibile decadenza del decreto in caso di esercizio del potere di rinvio ai sensi dell'articolo 74 della Costituzione. Tale appello viene rinnovato in occasione della promulgazione della legge di conversione del decreto-legge in materia di pubblica sicurezza, con la lettera del 15 luglio 2009, inviata al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell'interno e della giustizia.
  Nel novembre 2009 il Presidente Napolitano procedeva alla promulgazione della legge di conversione del decreto-legge n. 134 del 2009 solo dopo che il Consiglio dei ministri aveva preso l'impegno, nella riunione del 19 novembre, di disporre un intervento normativo per espungere una disposizione introdotta nel corso dell’iter parlamentare, tesa a sanare la situazione di dirigenti scolastici siciliani, disposizione che contrastava con una decisione della giustizia amministrativa.
  Le osservazioni critiche sull’iter di conversione sono ancora ribadite sia nella lettera del 22 maggio 2010, sia nella lettera del 22 febbraio 2011, inviate dal Capo dello Stato ai Presidenti delle Camere e al Presidente del Consiglio dei ministri contestualmente alla promulgazione delle leggi di conversione, rispettivamente, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40 (il cosiddetto decreto «incentivi») e del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 recante proroga di termini di disposizioni legislative). In tali lettere il Presidente Napolitano ha rinnovato le proprie valutazioni critiche sull'inserimento di numerose disposizioni estranee ai contenuti del decreto e tra loro eterogenee in sede di conversione per l'incidenza negativa sulla qualità della legislazione, per la violazione dell'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988 e, infine, per la possibile violazione dell'articolo 77 della Costituzione allorché comporti l'inserimento di disposizioni prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, eludendo la valutazione spettante al Presidente della Repubblica in vista della emanazione dei decreti-legge. Rilevava, altresì, che in presenza di una marcata eterogeneità dei testi legislativi e della frequente approvazione degli stessi mediante ricorso alla fiducia su maxi-emendamenti, si realizza una pesante compressione del ruolo del Parlamento, specialmente allorché l'esame da parte delle Camere si svolga con il particolare procedimento e nei termini tassativamente previsti dalla Costituzione per la conversione in legge dei decreti. Il Capo dello Stato concludeva affermando che se tali rilievi avrebbero potuto giustificare il ricorso alla facoltà di rinvio prevista dall'articolo 74 della Costituzione per una nuova deliberazione, tuttavia egli aveva preferito evitare tale ricorso per la preoccupazione per i rischi che può comportare la decadenza di un determinato decreto-legge. Più in generale, il Presidente della Repubblica sottolineava che sulla base delle norme costituzionali vigenti e della costante prassi applicativa formatasi in conformità all'interpretazione largamente prevalente, non sono configurabili altri strumenti, come il rinvio parziale delle leggi, neppure nel caso in cui le stesse abbiano ad oggetto la conversione di decreti-legge, ovvero una rimessione in termini delle Camere in caso di richiesta di riesame delle leggi di conversione da parte del Capo dello Stato. Tali modifiche nella prassi e nella normativa vigente sono state peraltro auspicate, insieme ad una rigorosa disciplina del regime di emendabilità dei decreti-legge, al fine di realizzare un migliore equilibrio tra i poteri spettanti al Governo, alle Camere e al Presidente della Repubblica nell'ambito del procedimento legislativo.
  Siffatte considerazioni sono state successivamente ribadite nella lettera del 23 febbraio 2012, nella quale il Capo dello Stato richiama l'attenzione sulla sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e, dunque, sulla necessità di attenersi, nel Pag. 44valutare l'ammissibilità degli emendamenti riferiti a decreti-legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando – se ritenuto necessario – le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari. Ciò al fine di non esporre disposizioni, anche quando non censurabili nel merito, al rischio di annullamento da parte della Corte costituzionale per ragioni esclusivamente procedimentali ma di indubbio rilievo istituzionale.
  Il Presidente Napolitano è da ultimo intervenuto sulla questione con una lettera del 27 dicembre 2013, inviata ai Presidenti delle Camere, relativa all’iter parlamentare di conversione in legge del decreto-legge n. 126 del 2013 (il cosiddetto decreto ‘salva-Roma’) nel corso del quale erano stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi. Il Capo dello Stato, richiamando ancora una volta la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012 e i propri precedenti interventi, sottolineava nuovamente la necessità di verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione e dichiarava di non poter più rinunciare ad avvalersi della facoltà di rinvio, pur nella consapevolezza che ciò avrebbe potuto comportare la decadenza dell'intero decreto-legge. A seguito della lettera, il Governo ha rinunciato alla conversione, annunciando il ritiro del provvedimento nella seduta della Camera dello stesso 27 dicembre.

6.3 Il Parlamento.

  Diversi strumenti volti a limitare l'abuso del decreto-legge sono stati introdotti a livello parlamentare, sia sul piano legislativo sia su quello dei regolamenti parlamentari.
  Per quanto concerne i limiti individuati attraverso la fonte legislativa, viene in rilievo l'articolo 15 della legge n. 400 del 1988, che per un verso ha esplicitato limiti ritenuti già impliciti nell'articolo 77 della Costituzione, per un altro ha indicato limiti ulteriori, ma derogabili in quanto contenuti in una legge ordinaria.
  Al riconoscimento della sussistenza di «casi straordinari di necessità e urgenza» quale presupposto indefettibile per l'adozione dei decreti-legge si connette il comma 3 di tale articolo, ai sensi del quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione.
  Il comma 2 del medesimo articolo 15 reca, invece, i limiti contenutistici, prevedendo, in particolare, che il Governo non può, mediante decreto-legge: a) conferire deleghe legislative; b) provvedere nelle materie per le quali la Costituzione (articolo 72, quarto comma) richiede la procedura normale di esame davanti alle Camere, ossia materia costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi; c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti; e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.
  Un'intensificazione delle forme di controllo si riscontra, parallelamente, nei regolamenti delle Camere.
  Per quanto riguarda la Camera dei deputati, con la riforma regolamentare del 1981 venne introdotta una procedura pregiudiziale che affidava alla Commissione Affari costituzionali il parere sulla sussistenza dei presupposti (articolo 96-bis, del Regolamento della Camera). Con la riforma del 1997, tale filtro di costituzionalità è stato tuttavia eliminato, in considerazione del fatto che rischiava di riprodurre la discussione di merito.
  Diversamente, al Senato permane il vaglio preliminare di costituzionalità dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge affidato alla Commissione Affari costituzionali, che si esprime entro cinque giorni dal deferimento. In questo caso, l'esame ha ad oggetto non solo i presupposti dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione ma anche i requisiti Pag. 45stabiliti dalla legislazione vigente. Qualora la Commissione esprima parere contrario, questo viene rimesso al voto dell'Assemblea entro cinque giorni. Se l'Aula vota per la mancanza dei presupposti costituzionali o legislativi, il disegno di legge di conversione si intende respinto. L'Assemblea può pronunciarsi anche per la insussistenza parziale, con l'effetto in tal caso di sopprimere solo le parti o disposizioni prive dei requisiti (articolo 78 del Regolamento del Senato).
  Ma è, soprattutto, con la riforma regolamentare del 1997 – che ha modificato l'articolo 96-bis – che sono stati rafforzati alla Camera i meccanismi di controllo. Tra gli strumenti previsti si ricorda, in particolare, la possibilità di presentare una questione pregiudiziale riferita al contenuto del disegno di legge di conversione o del decreto, che deve essere posta in votazione separatamente dai provvedimenti e in tempi brevi rispetto all'annuncio; peraltro, solo in pochissimi casi la Camera ha approvato questioni pregiudiziali che hanno comportato la reiezione del decreto stesso.
  Un altro strumento di controllo è costituito dal parere del Comitato per la legislazione alla Commissione competente in sede referente, con il quale può essere proposta la soppressione delle disposizioni del decreto che contrastino con le regole sulla specificità e omogeneità e sui limiti di contenuto dei decreti-legge previste dalla legislazione vigente.
  Si ricorda, altresì, nell'ambito della riforma regolamentare del 1997, la disposizione recata dall'articolo 24, in tema di programmazione dei lavori, che, al fine di contenere il ricorso da parte del Governo alla decretazione d'urgenza, al comma 3 pone un limite quantitativo all'inserimento di disegni di legge di conversione di decreti-legge in uno stesso calendario, nella misura massima pari alla metà del tempo complessivamente disponibile.
  Sempre in tema di meccanismi di controllo parlamentare, si annoverano anche l'obbligo per il Governo di motivare, nella relazione al disegno di legge di conversione, in merito ai presupposti costituzionali, a cui si affianca la possibilità per la Commissione di merito di chiedere integrazioni al Governo, anche in relazioni a singole disposizioni del decreto.
  A ciò si aggiunge un vaglio sempre più severo sul regime di ammissibilità degli emendamenti presentati nel procedimento di conversione.
  Con riferimento a quest'ultimo punto, si rileva che i regolamenti di Camera e Senato recano una disciplina diversa. Infatti, l'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento della Camera, soprattutto alla luce di una prassi applicativa oramai ventennale (consolidatasi a partire dalla XII legislatura), è assolutamente univoco: gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge devono essere dichiarati inammissibili, laddove per i progetti di legge ordinari è prevista l'inammissibilità degli emendamenti estranei per materia.
  La circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 precisa inoltre che la materia «deve essere valutata con riferimento ai singoli oggetti ed alla specifica problematica affrontata dall'intervento normativo».
  Alla luce di tali principi e criteri costituisce prassi consolidata quella di non ritenere ammissibili emendamenti che si pongano in contrasto con i parametri della legge n. 400 del 1988 e, in particolare, emendamenti che contengano deleghe legislative o vi incidano, o si presentino privi del carattere di omogeneità rispetto al contenuto del decreto.
  La valutazione di ammissibilità degli emendamenti, con riferimento alla loro stretta attinenza alla materia trattata nel decreto, è effettuata sulla base del contenuto proprio di ciascun decreto-legge, come definito dal Governo in sede di emanazione dello stesso (o, se approvato dal Senato, sulla base del testo da questo trasmesso).
  Le questioni di ammissibilità degli emendamenti che eventualmente insorgano nel corso dell'esame in sede referente di disegni di legge di conversione dei Pag. 46decreti-legge devono essere sottoposte al Presidente della Camera.
  Tale prescrizione – già stabilita nella Giunta per il Regolamento del 9 marzo 1982 – è stata ribadita nella citata circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997, che esclude espressamente la possibilità di votare in Commissione emendamenti di cui appaia comunque dubbia l'ammissibilità. Ciò in quanto spetta alla Presidenza della Camera far sì che le decisioni in materia di ammissibilità si conformino alla prassi costantemente seguita, volta a garantire una uniforme applicazione dei criteri di ammissibilità in tutte le fasi del procedimento di conversione in legge dei decreti-legge.
  Come precisato già nella seduta della Giunta per il Regolamento del 23 marzo 1988, «i poteri del Presidente della Camera sull'ammissibilità degli emendamenti trovano esplicazione sia sulle questioni sottopostegli dal Presidente della Commissione e sugli emendamenti presentati direttamente in Assemblea, sia sulle disposizioni introdotte dalla Commissione in sede referente senza il vaglio preventivo del Presidente della Camera».
  Dopo la rilevante sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2012, si è ribadita l'esigenza di un vaglio particolarmente severo per i decreti-legge. In questa direzione si muove anche il parere della Giunta per il Regolamento del 26 giugno 2013, che ha evidenziato l'inammissibilità degli emendamenti recanti norme di copertura che intervengono su materie non strettamente attinenti a quelle oggetto di un decreto-legge. Ciò al fine di evitare un utilizzo strumentale delle disposizioni di copertura finanziaria per introdurre nuove materie nel contenuto del decreto-legge.
  Al Senato la situazione è alquanto diversa. In assenza di una specifica disciplina in tema di ammissibilità degli emendamenti ai decreti-legge, si applica la regola generale posta nell'articolo 97 del Regolamento, secondo cui sono improponibili gli emendamenti «estranei all'oggetto della discussione». Il controllo di ammissibilità è quindi, per prassi consolidata, meno rigoroso, in particolare per quanto riguarda la votazione di emendamenti recanti norme di delega, che sono solitamente considerati ammissibili (al contrario della Camera).
  Tuttavia, l'articolo 78, comma 6, stabilisce che «gli emendamenti proposti in Commissione e da questa fatti propri debbono essere presentati come tali all'Assemblea»: essi cioè, a differenza che alla Camera, non entrano a far parte integrante del testo del decreto, ma devono essere nuovamente votati dall'Assemblea.
  Tale circostanza, come emerge dai lavori preparatori sulla riforma dell'articolo 78 (e in particolare nella relazione presentata dalla Giunta per il Regolamento il 4 marzo 1982), costituisce un indice del rilievo assegnato, da quel Regolamento, al testo originario del decreto-legge nel corso del procedimento di conversione in legge, evidenziando l'esigenza di una disciplina restrittiva dell'ammissibilità degli emendamenti. Esigenza che, peraltro, ha trovato conferma nella pronuncia della Giunta per il Regolamento dell'8 novembre 1984 (secondo cui il criterio generale di ammissibilità «in sede di conversione dei decreti-legge (...) deve essere interpretato in modo particolarmente rigoroso») e nella circolare del Presidente del Senato del 10 gennaio 1997 sull'istruttoria legislativa (contestuale a quella del Presidente della Camera sopra citata), che connette tale valutazione rigorosa alla necessità di «tener conto della indispensabile preservazione dei caratteri di necessità e urgenza già verificati con la procedura prevista dall'articolo 78 del Regolamento, con riferimento sia al decreto-legge che al disegno di legge di conversione».
  Nella prassi applicativa, peraltro, al Senato è sempre stata riconosciuta una maggiore estensione del potere di emendamento rispetto alla Camera.
  Questa divergenza delle prassi è stata ben ricostruita dalla Giunta per il Regolamento della Camera nella XV legislatura, quando si è cercato di avviare un percorso di armonizzazione delle discipline dei due rami del Parlamento.Pag. 47
  Le evidenziate differenze di disciplina fra Camera e Senato si sono, pertanto, in parte attenuate nella prassi più recente. In particolare, l'imporsi dell'omogeneità come criterio di legittimità costituzionale del decreto-legge e della legge di conversione ha indotto il Presidente del Senato (lettera del 28 dicembre 2013) a raccomandare a tutti i Presidenti di Commissione (e in particolare alla Commissione Affari costituzionali in sede consultiva) di svolgere un controllo penetrante sulla proponibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge. Questo nuovo indirizzo restrittivo della Presidenza del Senato dovrebbe, tra l'altro, portare al superamento della prassi secondo la quale il controllo di ammissibilità del Presidente è escluso in caso di posizione della questione di fiducia su un maxi-emendamento al decreto-legge; e conseguentemente a far venire meno l'uso strumentale, da parte del Governo, di questa asimmetria fra le due Camere del Parlamento.
  Pur con i rilevati accostamenti fra le prassi delle due Camere, permangono comunque delle significative diversità.
  Per quanto riguarda la previsione di deleghe nell'ambito dei provvedimenti di urgenza, il problema si pone esclusivamente con riferimento alla possibilità di inserire nel corso dell'esame parlamentare norme di delega nell'ambito del disegno di legge di conversione, essendo pacifico che nel testo del decreto-legge non possono essere inserite norme di questo tipo, riservando gli articoli 76 e 77 della Costituzione il potere di conferire deleghe esclusivamente alle Camere.
  Si rilevano anche in questo caso diversi criteri di ammissibilità degli emendamenti nei due rami del Parlamento. Alla Camera il disposto dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 è assunto come parametro di valutazione nel vaglio di ammissibilità degli emendamenti e gli emendamenti che introducono nuove deleghe o modifiche di deleghe nell'ambito di disegni di legge di conversione sono conseguentemente ritenuti inammissibili. Al Senato la prassi è orientata diversamente e consente dunque la votazione di emendamenti recanti norme di delega. (v. par. 3.4)
  Di fatto, numerosissimi sono i casi di previsioni di deleghe inseriti in disegni di legge di conversione.
  Per quanto concerne l'obiettivo della certezza dei tempi di esame dei decreti-legge, va, in particolare, evidenziata l'assenza alla Camera dei deputati di norme regolamentari volte a perseguirlo, stante la non applicazione ai disegni di legge di conversione del contingentamento dei tempi, che costituisce il principale strumento attraverso cui si realizza, in generale, la programmazione dei lavori parlamentari. Ciò deriva da una certa interpretazione, prevalsa fino ad oggi, dell'articolo 154, comma 1, del Regolamento della Camera, che esclude, in via transitoria, l'esame dei disegni di conversione dalla disciplina del contingentamento dei tempi, che si applica invece alla generalità dei progetti di legge.
  Al Senato, sulla base del disposto degli articoli 78, comma 5, e 55, comma 5, del Regolamento, si è stabilito che, al trentesimo giorno dal deferimento, ove il disegno di legge di conversione sia stato presentato al Senato, oppure entro sessanta giorni complessivi se trasmesso dalla Camera, il Presidente può porre in votazione la conversione del decreto con l'automatica decadenza di tutti gli emendamenti non esaminati.
  In assenza di una norma simile, di fronte all'ostruzionismo parlamentare che rischia di impedire la conversione di un decreto-legge entro il termine costituzionale, più volte il Presidente della Camera ha affermato che «il problema di assicurare il voto della Camera sui decreti-legge è una responsabilità che, in primo luogo, compete al Presidente», preannunciando, pertanto, la possibilità, alla scadenza del decreto, di chiamare l'Assemblea a pronunziarsi direttamente sul voto finale, applicando il metodo della cosiddetta «ghigliottina». In particolare, nella seduta della Giunta per il Regolamento del 12 settembre 2001, il Presidente della Camera (richiamando enunciazioni della Presidenza della precedente legislatura, v. seduta Pag. 4811 maggio 2000) rilevava che «a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 1996, la mancata deliberazione di una delle Camere equivale alla bocciatura di un decreto-legge, poiché ne è stata dichiarata incostituzionale la reiterazione. Nel caso di comportamenti dilatori dell'opposizione tali da poter impedire la pronuncia sulla conversione di un decreto, se non si adottassero adeguate contromisure si finirebbe per ammettere che a deliberare sia la minoranza. Ciò configura una violazione dell'articolo 64 della Costituzione, in base al quale le deliberazioni delle Camere sono adottate a maggioranza». Da questa enunciazione di principio deriva che, qualora in prossimità della scadenza di un decreto-legge risulti evidente l'impossibilità di procedere alla deliberazione del relativo disegno di conversione secondo le modalità ordinarie, il Presidente potrebbe annunziare il ricorso a misure eccezionali, volte a porre la Camera in condizione di deliberare entro il termine costituzionale.
  Tuttavia, nonostante la rivendicazione del predetto ruolo da parte del Presidente della Camera (anche negli anni successivi), solo nella XVII legislatura è stato fatto effettivamente ricorso al meccanismo antiostruzionistico della «ghigliottina». In tale circostanza, la Presidente della Camera, nella seduta del 29 gennaio 2014, per superare l'ostruzionismo delle opposizioni, ha sottoposto a votazione finale (mentre erano in corso le dichiarazioni di voto finale) il disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 133 del 2013 (cosiddetto «Imu-Bankitalia») entro i sessanta giorni prescritti dall'articolo 77 della Costituzione (che sarebbero scaduti il giorno successivo, ossia il 30 gennaio 2014).
  De jure condendo, si rileva che la proposta di riforma regolamentare presentata dal gruppo di lavoro istituito presso la Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati nella seduta della stessa Giunta del 12 dicembre 2013, poi adottata come testo base per il prosieguo dei lavori nella successiva riunione della Giunta dell'8 gennaio 2014, interviene, fra l'altro, sull'istituto della decretazione d'urgenza.
  In tal senso, si introduce un regime più rigoroso di ammissibilità degli emendamenti sia sui decreti-legge, codificando i vincoli posti dalla legge n. 400 del 1988, ma anche prevedendo l'inammissibilità in Aula degli emendamenti non presentati e respinti in Commissione, salvo quelli riferiti alle parti nuove. Inoltre, si rafforza il controllo del Comitato per la legislazione, prevedendo che una minoranza qualificata di componenti della Commissione possa richiedere al Comitato un «secondo parere» sul testo del disegno di legge di conversione e del relativo decreto-legge risultante dall'approvazione degli emendamenti in Commissione.
  Altro tema oggetto di riforma regolamentare, potenzialmente volto ad incidere sul fenomeno oggetto della presente Relazione, è la disciplina della procedura d'urgenza, avendo il Governo evidenziato in molteplici sedi l'esigenza di disporre di procedure e tempi certi e rapidi di approvazione dei disegni di legge funzionali all'attuazione del suo programma, anche al fine di limitare il ricorso allo strumento del decreto-legge.
  In questo senso, viene individuata una procedura d'urgenza più efficace e certa, con alcune garanzie sia per le opposizioni (tempi molto superiori a quelli della maggioranza nel contingentamento; possibilità di ottenere una dichiarazione d'urgenza nel programma successivo se la maggioranza, in quello precedente, raggiunge il numero massimo di urgenze stabilito dal Regolamento) sia per la qualità legislativa dei testi (parere obbligatorio del Comitato per la legislazione).
  Si prevede che la dichiarazione d'urgenza – la cui richiesta è stata ulteriormente qualificata, prevedendosi che possa essere avanzata dal Governo o da un Presidente di gruppo, ma non più da 10 deputati (articolo 69, comma 1, del Regolamento della Camera) – comporti anzitutto la fissazione di un termine per la deliberazione finale, termine che dovrà essere compatibile con i tempi stabiliti per l'esame in sede referente (che sono ridotti Pag. 49dagli attuali 30 a 25 giorni dall'inizio dell'esame; si stabilisce comunque che dalla dichiarazione d'urgenza debbano essere garantiti alle Commissioni almeno dieci giorni – articolo 81, comma 2, del Regolamento della Camera) e con quelli necessari per la discussione in Assemblea (a tal fine si potrà eventualmente prevedere un numero minimo di giorni da riservare ad essa), oltre a comportare l'obbligo per la Commissione di esaminare il progetto in via prioritaria.
  Il tema della decretazione d'urgenza è stato affrontato, altresì, nel disegno di legge di riforma costituzionale. Il testo approvato dal Senato e modificato dalla Camera, infatti, introduce in Costituzione alcuni limiti, previsti dalla normativa ordinaria, disponendo che il decreto-legge non può provvedere nelle materie indicate nell'articolo 72, quinto comma, della Costituzione, ossia in materia costituzionale, di delegazione, di ratifica di trattati internazionale e di approvazione del bilancio. Non possono, inoltre, essere adottati decreti-legge in materia elettorale, ad eccezione della disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni, né si possono reiterare disposizioni di decreti-legge non convertiti o regolare i rapporti giuridici sorti sulla loro base ovvero ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento. Si prevede, altresì, che i decreti-legge debbano recare misure di immediata applicazione e di contenuto specifico, omogeneo e corrispondente al titolo. Infine, nel corso dell'esame di disegni di legge di conversione in legge dei decreti-legge non possono essere approvate disposizioni estranee all'oggetto o alle finalità del decreto.
  Si rileva, inoltre, che, al fine di rafforzare l'incidenza del Governo nel procedimento legislativo, la riforma riconosce all'Esecutivo il potere di chiedere che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all'ordine del giorno della Camera e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della stessa entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione, ulteriormente prorogabili per non oltre quindici giorni (cosiddetto istituto del voto a data certa). Al riguardo, si osserva che il medesimo testo di riforma costituzionale, così come approvato dalla Camera, affida al Regolamento della Camera dei deputati il compito di stabilire le modalità e i limiti del procedimento – si pensi, ad esempio, alla possibilità di prevedere un numero massimo di provvedimenti da esaminare attraverso tale istituto – al fine di garantirne un'attuazione rispettosa delle prerogative del Parlamento.

7. Conclusioni

  Ad una analisi attenta del dilagare del fenomeno della decretazione d'urgenza, non può sfuggire una dimensione meno frequente nelle analisi degli studiosi e nel dibattito parlamentare e tuttavia fondamentale per una compiuta e non superficiale rappresentazione del problema.
  Non può trascurarsi, infatti, come l'abuso della decretazione nella sua forma patologica ampiamente e profondamente cronicizzata – come i dati sopra esposti dimostrano – rimandi direttamente a una difficoltà nel porre «rimedi di natura strutturale» ai gravi difetti che generano forme così profondamente distorsive nella produzione del diritto nel nostro Paese.
  Da questo punto di vista, si è osservato come sia alcune riforme regolamentari (l'introduzione dell'articolo 96-bis sul controllo dei presupposti di necessità e urgenza; l'istituzione del Comitato per la legislazione) sia alcune importanti riforme legislative (la legge n. 400 del 1988 sulla Presidenza del Consiglio dei ministri), sia gli stessi ripetuti e, da ultimo, incisivi interventi della Corte costituzionale non abbiano avuto la forza di costringere il fenomeno della decretazione a rientrare nell'alveo della fisiologia costituzionale.
  Le cause di questa situazione risiedono probabilmente in due ordini di ragioni.
  La prima riguarda l'adeguatezza degli strumenti prescelti. Probabilmente il ricorso alla modifica dei regolamenti o i Pag. 50limiti posti con legge ordinaria non sono stati in grado di intervenire efficacemente sul problema, in quanto non accompagnati da una nuova cornice costituzionale. Sotto questo aspetto, il disegno di legge costituzionale all'esame del Parlamento – al di là delle singole soluzioni che sono in discussione – rappresenta il metodo giusto, perché affronta in radice la questione dei limiti da porre alla decretazione d'urgenza, insieme alla esigenza di individuare nuove forme per assicurare tempi certi di esame per le proposte di legge volte ad attuare il programma di governo.
  La seconda ragione è più complessa, perché riguarda non i fattori legati all'assetto normativo e giuridico istituzionale, ma gli elementi più direttamente riconducibili alle caratteristiche dei sistemi decisionali che nel tempo si sono consolidati nelle diverse dimensioni della comunità nazionale.
  È evidente che questo campo di analisi nella sua portata analitica e valutativa sta ai margini di questa relazione che la I Commissione ha elaborato per l'Assemblea.
  È chiaro, infatti, che questo tipo di analisi richiama – data la durata e l'intensità del fenomeno – giudizi e considerazioni che non possono che collocarsi nello sfondo della storia delle istituzioni politiche e delle vicende che hanno caratterizzato l'evoluzione del quadro politico in epoca repubblicana.
  Tuttavia, alcune circoscritte valutazioni possono essere svolte in ordine alla oggettiva difficoltà che fino a questo punto le parti politiche hanno incontrato nell'approntare soluzioni adeguate che si riferissero non tanto alla dimensione istituzionale o procedurale, quanto alla forza delle diverse culture politiche di reagire compiutamente alla crisi del sistema di rappresentanza e decisione.
  Fin dal dibattito svoltosi nella I Commissione nel 1983 sul problema della decretazione, emerse chiaramente come occorresse «riportare il fenomeno alle implicazioni di carattere generale sia sotto il profilo giuridico-costituzionale, sia sotto quello politico-costituzionale» (v. intervento Gitti in La decretazione d'urgenza: il dibattito nella I Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati: 6 ottobre – 17 novembre 1983, p. 81).
  Su questa dimensione più propriamente «politica «e «culturale» del problema hanno insistito anche alcuni degli studiosi intervenuti nell'indagine conoscitiva svolta dalla I Commissione nel corso dell'attività istruttoria che ha preceduto la stesura della presente relazione. È infatti da ricondurre a un dato di cultura politico-istituzionale la difficoltà a impostare le azioni del Parlamento e del Governo in modo razionale, attraverso un'attenta e sistematica valutazione dei tempi e dei contenuti della decisione legislativa.
  Questa dimensione più ampia nelle analisi sul problema consente di non lasciare in ombra un aspetto di contesto, rappresentato dalla necessità per il sistema politico di costruire forme di discussione, di rappresentanza e di decisione fondate su basi pienamente razionali, in grado di mettere insieme il rilievo «assoluto» del fattore «tempo» nel decidere, unitamente agli altri fattori fondamentali costituiti dal fattore «qualità della decisione» e dal fattore «solidità e durata» della decisione.
  È così accaduto che in passato vi sia stato in qualche modo un «abuso» della necessità e urgenza, della straordinarietà, dell'emergenza. La progressiva espansione di tali concetti – costituzionalmente scolpiti, come si è visto sopra, in modo chiaro e rigoroso – è andata di pari passo con una condizione di difficoltà del sistema politico di generare una «fisiologia della rappresentanza e della decisione», una fisiologia dei processi di produzione normativa, una fisiologia nell'analisi e nella prospettazione di soluzioni di lungo respiro – da qualunque parte politica provenissero – rispetto ai problemi di crescita, di sviluppo sociale e civile e di modernizzazione dell'Italia.
  Come è stato osservato nel corso del dibattito del 1983 in I Commissione «ci troviamo costantemente indietro rispetto all'urgenza dei problemi, i Governi sono sempre all'inseguimento della urgenza dei Pag. 51problemi e in questo modo l'urgenza di procedere è diventata costante modo di governare il Paese» (v. intervento Fusaro in La decretazione d'urgenza: il dibattito nella I Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati: 6 ottobre – 17 novembre 1983, p.18).
  I dati sopra esposti sulla decretazione d'urgenza con riguardo al suo uso sistematico, ordinario che investe pressoché tutti i settori dell'ordinamento – con caratteri di pervasività e intensità che portano alla sostanziale emarginazione del procedimento legislativo ordinario – costituiscono una sorta di «cartella clinica dettagliata» sulle patologie di un Paese che negli ultimi quaranta anni ha vissuto costantemente «in emergenza» e «di emergenza», in una cronica incapacità di uscire da uno stato «alterato» di organizzazione della vita politica e parlamentare.
  I «casi straordinari di necessità e urgenza» diventano una categoria politica, un canone dell'azione di governo e dell'attività parlamentare completamente scisso dal significato e dai limiti della Costituzione.
  La decretazione d'urgenza ha finito così per costituire un terreno sul quale si è costruita – in modo distorto e negativamente «adattivo» – una fabbrica di produzione legislativa di bassa qualità, costantemente criticata e peraltro mai abbandonata, nonostante, da un certo punto in poi, vi sia stata una alternanza delle diverse parti politiche alla guida dell'Esecutivo.
  Questa conclusione deve far riflettere sulle carenze profonde che caratterizzano l'Italia come «sistema» e deve spingere positivamente le forze politiche e il Parlamento a costruire le condizioni di cultura istituzionale e politica nelle quali possano attecchire e portare buoni frutti le soluzioni individuate nei progetti di riforma regolamentare e costituzionale attualmente in discussione.

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APPENDICE
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RESOCONTI SOMMARI DEL DIBATTITO IN I COMMISSIONE

RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Giovedì 27 marzo 2014. – Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 15.15

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, segnala che i problemi in discussione riguardano l'insieme delle questioni politiche, costituzionali e tecniche relative all'esercizio della potestà normativa primaria in una società complessa come l'attuale e fa presente la Commissione affari costituzionali è chiamata a dare un contributo centrale in materia, perché viene in considerazione uno dei temi più rilevanti per lo sviluppo ordinato di una democrazia moderna.
  Auspica che possa aversi da parte del Governo una collaborazione per giungere ad un corretto uso dei poteri previsti dall'articolo 77 della Costituzione; e che si possano, altresì, individuare le modifiche costituzionali, legislative e regolamentari idonee a sciogliere quei nodi che sono oggi all'attenzione non solo del Parlamento, che si trova nell'impossibilità di dare un assetto ordinato e compiuto alla propria attività legislativa, ma anche del Governo, che è interessato ad una produzione normativa organica, nonché della collettività nel suo insieme e dei singoli cittadini, che versano in una situazione di grave disagio di fronte ad una produzione normativa frammentaria, disorganica e, troppo spesso, anche precaria.
  Evidenzia che le parole da lui appena ricordate, che suonano di scottante attualità, sono state pronunciate dal Presidente della Commissione Affari costituzionale della Camera, onorevole Silvano Labriola, nella seduta del 6 ottobre 1983. Sottolinea che in quella sede la Commissione avviava un nutrito dibattito sul tema del corretto uso della potestà legislativa d'urgenza. Le questioni che sono oggi sul tappeto appaiono già compiutamente individuate in quella sede.
  Rileva che, passando ai giorni nostri, per una valutazione complessiva del fenomeno della decretazione di urgenza, occorre innanzitutto partire dai dati.
  In proposito risulta utile, a suo avviso, un confronto tra i dati delle ultime 3 legislature: la XV legislatura, che ha occupato un arco temporale di due anni (2006-2008), la XVI legislatura, della durata di 5 anni (2008-2013) e la XVII legislatura in corso, iniziata da un anno. Segnala un primo dato significativo rappresentato dal fatto che, nella legislatura in corso, il dato percentuale delle leggi di conversione sul totale delle leggi approvate ha subito una brusca impennata, passando dal 28,6 per cento della XV legislatura e dal 27,1 per cento della XVI legislatura all'attuale 60 per cento.
  Osserva che questa evidenza deve peraltro essere considerata congiuntamente al dato sui cosiddetti «spazi normativi», misurati in numero di commi, occupati dalla decretazione di urgenza (considerando i testi coordinati dei decreti-legge – che includono le modificazioni apportate Pag. 172dalle Camere – e le leggi di conversione). In tal caso, a fronte di un 32,5 per cento di «spazi normativi» occupati dai provvedimenti di urgenza nella XV legislatura, si è saliti al 54,8 della XVI legislatura e al 65,8 per cento della legislatura in corso. Nel corso della XVI legislatura, si è dunque registrato un incremento significativo, pari al 22,3 per cento, degli «spazi normativi» occupati dai decreti-legge, a fronte di una leggera riduzione (-1,46per cento) del numero delle leggi di conversione in rapporto al numero complessivo delle leggi. Questo dato può spiegarsi alla luce del progressivo aumento di dimensione dei singoli decreti-legge, che hanno via via ampliato i loro ambiti di intervento, incidendo su una pluralità di settori fino a divenire veri e propri decreti «omnibus», fenomeno quest'ultimo particolarmente accentuato nella parte finale della scorsa legislatura, sotto il governo Monti.
  Ricorda che nella legislatura in corso la decretazione di urgenza si è indiscutibilmente affermata come lo strumento normativo principale, sia perché l'incidenza quantitativa delle leggi di conversione sul totale delle leggi è più che raddoppiata, attestandosi al 60 per cento ( 32,9per cento rispetto alla precedente legislatura), sia perché gli «spazi normativi» dei provvedimenti di urgenza hanno raggiunto il 65,8 per cento del totale ( 10,9per cento rispetto alla precedente legislatura). Aggiunge peraltro un'avvertenza di carattere metodologico: i dati della legislatura in corso sono comunque da considerare come provvisori, dato l'arco temporale circoscritto cui essi fanno riferimento.
  Altra considerazione che, a suo avviso, emerge è che la decretazione di urgenza ha nelle ultime due legislature eroso «spazi normativi» dapprima di pertinenza delle leggi finanziarie (ora di stabilità) e di bilancio, che hanno perso di peso sul totale della legislazione, precipitando dal 49,3 per cento della XV legislatura al 12,1 per cento della XVI legislatura per poi risalire al 26,7 per cento nella legislatura in corso.
  Fa presente, infine, che nella attuale legislatura si è ulteriormente accentuata la tendenza secondo cui una parte assolutamente preponderante di legislazione è approvata attraverso la decretazione di urgenza o attraverso leggi di stabilità o di bilancio, ossia attraverso strumenti normativi che godono di un iter parlamentare accelerato, dai tempi ben definiti: nella XV legislatura l'81,8 per cento degli spazi normativi è stato occupato da questa tipologia di leggi, nella XVI legislatura il 66,9 per cento, nella legislatura in corso addirittura il 92,5 per cento.
  Osserva che il peso sempre più rilevante assunto dalla decretazione di urgenza nel complesso dell'attività legislativa ha delle ricadute sull'andamento dei lavori parlamentari, provocando alterazioni e talora disfunzioni rispetto al procedimento legislativo ordinario.
  In primo luogo, occorre rilevare, a suo avviso, come si sia affermata una prassi, sviluppatasi soprattutto nel corso della XVI Legislatura, per cui la Camera titolare dell'esame in prima lettura di un decreto-legge invia il testo all'altra Camera solo pochi giorni prima della scadenza, precludendo all'altro ramo del Parlamento la possibilità di un esame approfondito. Si è così affermato, nei fatti, una sorta di «bicameralismo alternato». Nella legislatura in corso, infatti, su un totale di 24 leggi di conversione sinora approvate, in ben 17 casi è stata sufficiente una sola lettura in ciascun ramo del Parlamento; le modificazioni sono state apportate esclusivamente dalla Camera che ne ha iniziato l'esame (in 10 casi la Camera e in 7 il Senato).
  Evidenzia che un secondo aspetto di cui tenere conto è che gli ampi ed eterogenei contenuti dei decreti-legge comportano di fatto una alterazione del ruolo svolto dalle Commissioni parlamentari, spesso «espropriate» dell'esame in sede referente di normative, anche di notevole rilievo, che rientrano nella loro competenza. Se nel corso della scorsa legislatura, soprattutto nella parte finale, sotto il Governo Monti, si sono verificati diversi casi di veri e propri decreti «omnibus», nel corso dell'attuale legislatura la prassi si è orientata nel senso di adottare provvedimenti d'urgenza Pag. 173per lo più macrosettoriali – che si occupano cioè , con multiformi interventi, di vasti settori dell'ordinamento, quali la pubblica amministrazione – oppure intersettoriali, investendo una pluralità di settori, non sempre affini tra di loro. Ricorda, al riguardo, che, nell'attuale legislatura, su 24 leggi di conversione, ben 11, vale a dire il 45,8 per cento, sono state assegnate a due Commissioni riunite; in 16 casi su 24, inoltre, il procedimento di conversione ha interessato almeno 10 commissioni, tra sede referente e sede consultiva.
  Merita in proposito di essere richiamata, a suo avviso, l'esperienza maturata da questa Commissione per l'esame del cosiddetto «decreto del fare» (decreto-legge n. 69 del 2013), assegnato alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio. Si è infatti sperimentata per l'esame di questo decreto, che rientrava a tutti gli effetti nella categoria dei decreti «omnibus» l'introduzione di un'innovazione procedurale a regolamento invariato, mirata al rafforzamento del ruolo delle Commissioni competenti in sede consultiva.
  Osserva che nella fase istruttoria, le due Commissioni hanno stabilito di non svolgere audizioni per l'approfondimento delle diverse questioni poste dal testo, rimettendo l'attività conoscitiva alle Commissioni in sede consultiva. Nell'esame degli emendamenti, un apposito spazio è stato riservato agli emendamenti riproduttivi di condizioni od osservazioni contenute nei pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva e dal Comitato per la legislazione. Nel corso dell'esame degli emendamenti, molti di questi emendamenti sono stati illustrati da deputati appartenenti alle rispettive Commissioni o dai loro Presidenti, che, attraverso apposite sostituzioni, hanno anche potuto partecipare alle votazioni. Ciò ha consentito un reale coinvolgimento di tutte le Commissioni competenti sulle singole materie e ha determinato un notevole e positivo arricchimento della discussione sul testo.
  Desidera poi svolgere una terza considerazione sull'impatto della decretazione d'urgenza sull'iter parlamentare che riguarda il non infrequente ricorso alla posizione della questione di fiducia, al fine di assicurare la conversione nei tempi ristretti previsti a livello costituzionale. Il ricorso alla questione di fiducia è in genere stato maggiormente utilizzato alla Camera che al Senato. Nell'attuale legislatura, in particolare i 7 casi di posizione della questione fiducia nell'ambito di procedimenti di conversione sono avvenuti tutti alla Camera.
  Questo dato può essere ascritto alle diverse regole per l'esame parlamentare dei decreti-legge nei due rami del Parlamento. Presso il Senato al decreto-legge si applica in via ordinaria l'istituto del contingentamento dei tempi e la prassi è da lungo tempo consolidata nel senso di procedere comunque alla votazione finale in tempo utile per garantire il rispetto dei termini costituzionali (cosiddetta «tagliola»). Alla Camera invece i decreti-legge non sono soggetti al contingentamento dei tempi e per superare le pratiche ostruzionistiche si fa dunque ricorso alla posizione della questione di fiducia (cosiddetta «fiducia tecnica»). La cosiddetta «tagliola» è stata applicata una sola volta, nella seduta del 29 gennaio 2014.
  Fa presente che il quarto dato, probabilmente, a suo avviso, il più rilevante, su cui occorre riflettere, riguarda il cospicuo aumento dei contenuti dei decreti-legge nel corso dell'esame parlamentare. Al riguardo segnala che nel corso della XV legislatura (secondo governo Prodi) l'incremento medio di tale contenuto, misurato in base al numero di commi, è stato di ben il 51,8 per cento. Nella legislatura successiva, il dato è del 45,2 per cento per il governo Berlusconi 4 e del 41,2 per cento per il governo Monti, mentre nella legislatura in corso il dato, relativo al Governo Letta, si attesta al 41,9 per cento.
  Rileva inoltre che la decretazione d'urgenza ha assunto caratteristiche peculiari e dimensioni molto maggiori rispetto al passato durante il Governo Monti. I dati mensili medi, basati sul numero dei Pag. 174commi, evidenziano come si registri un progressivo aumento sia delle dimensioni dei testi dei decreti-legge licenziati dal Consiglio dei ministri, sia di quelle dei testi come convertiti dalle Camere: il Governo Prodi sottopone al Parlamento una media di 57, 6 commi al mese, che diventano 91,5 con il Governo Berlusconi e 203,7 con il Governo Monti, per poi ridimensionarsi a 149,7 con il Governo Letta e a 95 con il Governo Renzi. Conseguentemente, ogni mese il Parlamento, lavorando sui procedimenti di conversione, produce in media 78,7 commi durante il Governo Prodi; 128,6 durante il Governo Berlusconi; 274,3 durante il Governo Monti; 198,8 durante il Governo Letta. La questione delle modifiche introdotte in sede parlamentare deve inoltre essere a suo avviso valutata alla luce dei più recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale.
  Fa presente che un secondo ordine di questioni riguarda appunto i limiti costituzionali alla decretazione di urgenza. Si tratta di un tema molto delicato in quanto negli ultimi anni sono aumentati gli interventi della Corte costituzionale volti a censurare l'uso improprio dello strumento del decreto-legge. Basti pensare che per vizi di carattere procedimentale inerenti proprio all'utilizzo di questo strumento in assenza dei presupposti richiesti dall'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, sono state dichiarate incostituzionali due riforme rilevanti quali quella delle province e quella della disciplina dei reati in materia di stupefacenti, quest'ultima a distanza di 8 anni dalla sua approvazione.
  Per quanto riguarda i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza 29 del 1995, mutando il proprio precedente orientamento, ha riconosciuto la possibilità di verificare in sede di giudizio costituzionale la sussistenza di tali presupposti, affermando che tale sindacato può essere esercitato soltanto in caso di «evidente mancanza» dei requisiti prescritti dall'articolo 77 della Costituzione.
  Tali premesse sono state successivamente sviluppate nella sentenza n. 171 del 2007, con la quale, per la prima volta, la Corte ha dichiarato incostituzionale un decreto-legge per mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza, sanzionando la disposizione che introduceva una nuova disciplina in materia di cause di incandidabilità negli enti locali in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale.
  Evidenzia che nella successiva sentenza n. 128 del 2008, la Corte, per valutare la sussistenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere, si è rivolta agli «indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata», constatando sia il difetto di collegamento tra la disposizione censurata, relativa all'esproprio del teatro Petruzzelli di Bari, con le altre disposizioni inserite nel decreto – che, nella loro eterogeneità, concorrevano alla manovra di finanza pubblica, intervenendo a fini di riequilibrio di bilancio – sia anche l'assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con riguardo alla finalità pubblica dichiarata.
  Ricorda che, al riconoscimento della sussistenza di «casi straordinari di necessità e urgenza» quale presupposto indefettibile per l'adozione dei decreti-legge, si connette la disposizione della legge n. 400 del 1988, secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione (articolo 15, comma 3).
  Osserva che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 220 del 2013, ha riconosciuto che tale norma, pur non avendo sul piano formale rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo. Alla luce di questa affermazione deve essere valutato, a suo avviso, il sempre più frequente inserimento nei decreti-legge di disposizioni che rinviano ad atti normativi di rango subordinato o addirittura ad atti di carattere non normativo. I termini indicati per la adozione di tali atti sono sempre stati pacificamente considerati come meramente ordinatori, con la conseguenza che Pag. 175l'attuazione delle misure, che trovano la loro giustificazione nei presupposti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza, risulta di fatto rimessa ad atti che possono intervenire a distanza di molto tempo o addirittura possono non essere emanati mai.
  Rileva che il monitoraggio effettuato sull'attuazione dei decreti-legge adottati e convertiti sotto il Governo Monti ha mostrato che, su 606 provvedimenti attuativi previsti, ne risultano adottati poco più della metà (51,7 per cento), ossia 313. Dei restanti 293 provvedimenti, solo per 13 i termini di emanazione non risultano scaduti. Per 97 adempimenti, invece, i termini sono scaduti, per 135 adempimenti non erano previsti termini espliciti e 48 provvedimenti risultano addirittura «non adottabili». Sotto un altro profilo, in connessione con la previsione di casi straordinari di necessità ed urgenza quali presupposti per l'adozione dei decreti-legge, l'articolo 77, comma secondo della Costituzione prevede una procedura molto celere per la presentazione e la convocazione delle Camere, secondo la quale i decreti-legge sono presentati per la conversione alle Camere il giorno stesso dello loro adozione; le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni.
  Segnala peraltro che è invalsa una prassi per la quale tra la delibera del Consiglio dei ministri e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale può trascorrere un lasso di tempo non breve, non di rado dovuto ad esigenze di coordinamento del testo.
  A titolo esemplificativo ricorda, tra i casi più recenti, il decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, relativo all'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, deliberato dal Consiglio dei ministri il 13 dicembre 2013 e pubblicato a quindici giorni di distanza.
  Evidenzia che la questione della sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza si interseca con quella dell'omogeneità e specificità del contenuto dei decreti-legge, che di essa costituisce una sorta di corollario.
  Rileva che nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha infatti collegato il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La Corte ha affermato che l'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, che prescrive che il contenuto del decreto-legge deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo, pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione, il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al caso straordinario di necessità e urgenza. Sulla base di queste premesse è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di disposizioni introdotte nel corpo del decreto-legge per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione.
  In particolare, la Corte ha affermato che la legge di conversione deve osservare la necessaria omogeneità del decreto-legge. È infatti, lo stesso articolo 77 secondo comma, della Costituzione., ad istituire «un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario», in base al quale è esclusa la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario. Rappresenta che l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione; in tal caso, la violazione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, deriva dall'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce. Nel caso di specie, la Corte ha precisato in ordine ai cosiddetti decreti «milleproroghe», che, «sebbene attengano ad ambiti materiali Pag. 176diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale». Ed ha conseguentemente ritenuto estranea a tali interventi «la disciplina a regime di materie o settori di materie» (la protezione civile).
   Ricorda che tale orientamento è stato successivamente confermato con l'ordinanza n. 34 del 2013 e la sentenza n. 32 del 2014, nella quale sono svolte ulteriori argomentazioni a sostegno della coerenza tra decreto legge e legge di conversione. Quest'ultima segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge. Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge; ne consegue che la legge di conversione non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore.
  La sentenza n. 32 del 2014 ha dunque dichiarato l'illegittimità costituzionale della nuova disciplina dei reati in materia di stupefacenti, che introduceva tra l'altro l'equiparazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette «pesanti» e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette «leggere». Tale disciplina, composta di ben 25 articoli, era stata inserita nel corso dell'iter parlamentare del decreto-legge n. 272 del 2005, composto di 5 articoli concernenti, rispettivamente, l'assunzione di personale della Polizia di Stato, la funzionalità dell'Amministrazione civile dell'interno, finanziamenti per le olimpiadi invernali, recupero dei tossicodipendenti detenuti e diritto di voto degli italiani all'estero. La questione della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione è stata inoltre affrontata in interventi ripetuti della Presidenza della Repubblica.
  Segnalando i più rilevanti, ricorda che con messaggio del 29 marzo 2002, il Presidente Ciampi, ha rinviato alle Camere il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4, in materia di agricoltura, perché il testo era stato aggravato nel corso dell'iter parlamentare da tante norme disomogenee, che rendevano il provvedimento "di difficile conoscibilità del complesso della normativa applicabile. Evidenzia che su questo tema l'attenzione del Presidente Napolitano è sempre stata costante. In una nota del 18 maggio 2007, il Presidente auspicava la rapida conclusione dei lavori avviati nelle rispettive Giunte per il regolamento ai fini della necessaria armonizzazione delle prassi seguite nei due rami del Parlamento per la valutazione di ammissibilità degli emendamenti in sede di conversione dei decreti-legge.
  Sui limiti all'emendabilità dei decreti-leggi, ricorda che il Presidente Napolitano è ripetutamente tornato con le lettere inviate il 9 aprile 2009, il 15 luglio 2009, il 22 maggio 2010, il 22 febbraio 2011, il 23 febbraio 2012 e, da ultimo, con lettera del 27 dicembre 2013, inviata ai Presidenti delle Camere, relativa all’iter parlamentare di conversione del cosiddetto decreto «salva-Roma», nel corso del quale erano stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi. Il Capo dello Stato ha sottolineato nuovamente la necessità di verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione, dichiarando di non poter più rinunciare ad avvalersi della facoltà di rinvio. A seguito della lettera, il Governo ha rinunciato alla conversione del provvedimento.
  Fa presente che, al fine di evitare l'inserimento nei decreti-legge di disposizioni di carattere eterogeneo, risulta fondamentale il vaglio di ammissibilità degli emendamenti affidato ai Presidenti delle Camere. Rileva che si registra sul punto una asimmetria nella prassi dei due rami del Parlamento, dal momento che presso la Camera sono seguiti criteri molto rigorosi per il vaglio di ammissibilità, laddove al Senato tali criteri sono – o perlomeno Pag. 177sono stati per lungo tempo – meno stringenti. Al Senato è sempre stata riconosciuta infatti una maggiore estensione del potere di emendamento rispetto alla Camera. Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare della sentenza n. 22 del 2012, e dei richiami del Capo dello Stato, questa prassi applicativa appare peraltro destinata a mutare.
  Sottolinea che nella seduta del 9 luglio 2013 la Commissione Affari costituzionali del Senato, ha adottato specifiche linee guida sulla qualità della legislazione, in particolare sottolineando, con riferimento alla decretazione d'urgenza, che «l'omogeneità è ormai da considerarsi, a seguito della più recente giurisprudenza costituzionale, un parametro di costituzionalità che può orientare l'attività consultiva della Commissione affari costituzionali in sede di esame degli emendamenti ai decreti-legge». Ricorda che in data 28 dicembre 2013, ossia il giorno successivo all'ultimo richiamo del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato ha inviato una lettera ai Presidenti delle Commissioni parlamentari permanenti, esprimendo una forte raccomandazione per il più rigoroso rispetto dei principi costituzionali, affinché il vaglio sulla proponibilità degli emendamenti riferiti ai decreti-legge sia particolarmente scrupoloso e attento. Sottolinea che a questi rigorosi criteri la Presidenza del Senato si è attenuta nella seduta del 20 febbraio 2014, in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 151 del 2013 (cosiddetto Salva-Roma 2).
  Passando poi al problema dei limiti contenutistici alla decretazione di urgenza, ricorda che l'articolo 77 della Costituzione non esplicita tali limiti, che sono invece individuati, a livello di legislazione ordinaria, dall'articolo 15, comma 2, della legge n. 400 del 1988. Questa disposizione prevede, in particolare, che il Governo non può, mediante decreto-legge: a) conferire deleghe legislative; b) provvedere nelle materie per le quali la Costituzione (articolo 72, quarto comma) richiede la procedura normale di esame davanti alle Camera, ossia materia costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi; c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti; e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.
  Ricorda che un'ulteriore limitazione è contenuta nella legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, secondo cui non si può disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi né prevedere l'applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti. Nella prassi, la questione è stata affrontata soprattutto con riferimento al conferimento di deleghe e alla materia elettorale, mentre ampiamente disatteso è risultato il limite delineato dallo statuto dei diritti del contribuente. Un ulteriore limite costituzionale implicito è stato individuato dalla Corte costituzionale nella fondamentale sentenza n. 220 del 2013, con cui è stato dichiarato illegittimo l'uso del decreto-legge per introdurre riforme di carattere ordinamentale, come, nel caso di specie, la riforma delle province prevista dall'articolo 23-bis del decreto legge n. 201 del 2011. Evidenzia che, secondo il ragionamento svolto dalla Corte, tali materie non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'articolo 77 della Costituzione concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di «casi straordinari di necessità e d'urgenza».
  In secondo luogo, sottolinea che la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione Pag. 178radicale dell'intero sistema e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d'urgenza».
  Rileva che considerazioni in parte analoghe sono svolte nella già richiamata sentenza n. 32 del 2014, sui reati in materia di stupefacenti. In tale sentenza, la Corte rileva infatti che «una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge. Per quanto riguarda la previsione di deleghe nell'ambito dei provvedimenti di urgenza, sottolinea che il problema si pone esclusivamente con riferimento alla possibilità di inserire nel corso dell'esame parlamentare norme di delega nell'ambito del disegno di legge di conversione. Rileva anche in questo caso diversi criteri di ammissibilità degli emendamenti nei due rami del Parlamento. Alla Camera il disposto dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 è assunto come parametro di valutazione nel vaglio di ammissibilità degli emendamenti e gli emendamenti che introducono nuove deleghe o modifiche di deleghe nell'ambito di disegni di legge di conversione sono conseguentemente ritenuti inammissibili. Al Senato la prassi è orientata diversamente e consente dunque la votazione di emendamenti recanti norme di delega. Di fatto numerosissimi sono i casi di previsioni di deleghe inseriti in disegni di legge di conversione.
  Sul punto sottolinea che la Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi recentemente con la sentenza n. 237 del 2013 che contiene affermazioni parzialmente difformi da quelle delle sentenze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014. In tale sentenza la Corte rileva la completa autonomia delle disposizioni di delega inserite nella legge di conversione rispetto al decreto-legge e alla sua conversione. Essa riconosce dunque alla legge di conversione un duplice contenuto con diversa natura ed autonomia: l'uno di conversione del decreto-legge, con le modificazioni introdotte, adottato in base alla previsione dell'articolo 77, terzo comma, della Costituzione; l'altro, di legge di delega ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione. La sentenza conclude dunque nel senso che «il Parlamento, nell'approvare la legge di conversione di un decreto-legge, possa esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti normativi ulteriori, peraltro con il limite [...] dell'omogeneità complessiva dell'atto normativo rispetto all'oggetto o allo scopo (sentenza n. 22 del 2012).». Ampiamente discussa è anche la possibilità che il decreto-legge intervenga in materia elettorale.
  Osserva che la Corte costituzionale ha affrontato la questione nella sentenza n. 161 del 1995, relativa ad un conflitto di attribuzione sollevato da un comitato promotore del referendum avverso la disciplina recata da un decreto-legge. In tale sentenza la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un divieto di provvedere con decreti-legge in materia elettorale, sancito dall'articolo 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall'articolo 15, secondo comma, lettera b), della legge n. 400 del 1988, e ha rilevato che, anche ammettendo una piena equiparazione tra materia elettorale e materia referendaria, la disciplina posta dal decreto non incideva né sul voto né sul procedimento referendario in senso proprio – in cui va identificato l'oggetto della materia – ma solo sulle modalità della campagna referendaria.
  Da tale affermazioni può, a suo avviso, desumersi che il divieto di intervenire con decreto-legge in materia elettorale riguardi, per così dire, il «nucleo duro» della legge elettorale, essenzialmente quello che regola la determinazione della rappresentanza politica in base ai voti ottenuti, e non incida invece sulla cosiddetta legislazione elettorale di contorno o sulla disciplina di aspetti di carattere procedimentale o organizzativo. La prassi è orientata in questo senso.
  Sottolinea che merita infine ricordare che in diversi casi, particolarmente delicati, il Capo dello Stato ha ritenuto di Pag. 179esercitare le proprie prerogative di garanzia istituzionale mediante il formale diniego di emanazione del decreto-legge, ravvisando un uso improprio da parte del Governo di tale strumento legislativo. Tra i casi meno risalenti ricorda che, con un comunicato del 7 marzo 1993, il Presidente Scalfaro, in rapporto all'emanazione di un decreto-legge in materia di finanziamento dei partiti politici, ha invitato il Governo a riconsiderare l'intera questione, ritenendo più appropriata la presentazione alle Camere di un provvedimento in forma diversa da quella del decreto-legge. Ritiene si debba inoltre richiamare il rifiuto del Presidente Napolitano di emanare il decreto-legge varato dal Governo in occasione della dolorosa vicenda di Eluana Englaro, esplicitato in una lettera del 6 febbraio 2009 al Presidente del Consiglio, ritenendo il ricorso al decreto legge soluzione inappropriata, in considerazioni di elementi di merito, collegati alla specifica vicenda, ed al tempo stesso di motivi di illegittimità connessi all'assenza dei presupposti per l'adozione del decreto.
  Completa il quadro della giurisprudenza costituzionale, la nota sentenza n. 360 del 1996 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della reiterazione dei decreti-legge. La Corte ha ritenuto violato l'articolo 77 della Costituzione quando i decreti-legge reiterati, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, riproducono sostanzialmente, in assenza di nuovi e sopravvenuti presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che ha perso efficacia a seguito della mancata conversione. La sentenza, ha avuto l'effetto di impedire la formazione di «catene» di decreti-legge che si sanavano l'uno con l'altro e di diminuire il numero complessivo di decreti adottati dal Governo, che dai circa 600 della XII legislatura scendono ai 204 della XIII (il dato è depurato dalle reiterazioni consentite fino all'ottobre 1996) e ai 216 della XIV.
  Ricorda che un fenomeno diverso da quello della reiterazione, sviluppatosi nelle ultime legislature è quello della confluenza dei decreti-legge non convertiti in altri provvedimenti. Vi è infatti un consistente numero di decreti emanati e successivamente decaduti senza l'approvazione del relativo disegno di legge di conversione, il cui contenuto in molti casi viene trasfuso, prima o anche successivamente alla decorrenza del termine costituzionale per la loro decadenza, in altri disegni di legge in corso di discussione. Tale fenomeno, da un lato, è suscettibile di ingenerare incertezze interpretative relativamente alla disciplina concretamente operante in un dato periodo nelle materie oggetto di intervento legislativo, e, dall'altro, deve essere valutato in relazione ai caratteri di specificità, omogeneità e corrispondenza al titolo del contenuto dei decreti-legge.
  Conclude ricordando come il problema della decretazione d'urgenza sia stato ripetutamente affrontato nell'ambito del più ampio dibattito sulle riforme costituzionali. La relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali istituita dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, trasmessa alle Camere il 18 settembre 2013, al fine di garantire tempi certi ai disegni di legge ritenuti dal Governo urgenti e allo stesso tempo di evitare abusi nel ricorso alla decretazione d'urgenza, propone il conferimento di veste costituzionale o di legge organica, resistente a modifiche con legge ordinaria, ai limiti ai decreti-legge stabiliti dall'articolo 15 della legge 400 del 1988, prevedendo in ogni caso il divieto di introdurre disposizioni aggiuntive al disegno di legge di conversione. Contestualmente essa prevede un procedimento che inizia presso la Camera, su richiesta del Presidente del Consiglio a seguito di delibera del Consiglio dei ministri, subordinato al voto favorevole della stessa Camera per l'approvazione di un disegno di legge a data fissa, applicabile ad un numero limitato di provvedimenti.
  Proposte sostanzialmente analoghe erano state elaborate nel documento del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito dal Presidente della Repubblica Napolitano il 30 marzo 2013. Evidenzia Pag. 180che nella bozza di disegno di legge costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione del Titolo V, presentata dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento dell'attuale Governo nel Consiglio dei ministri del 12 marzo 2014 non sono previste modifiche specifiche dell'articolo 77 della Costituzione. È invece introdotta la disciplina del cosiddetto voto a data fissa, ossia la possibilità per il Governo di fissare un termine certo per l'esame dei disegni di legge, che rappresenta una delle novità più rilevanti nell'articolo 70 sul procedimento legislativo. Nel mettere a disposizione dei colleghi il testo appena illustrata, auspica che sul tema in discussione possa svilupparsi un ampio e approfondito dibattito in vista della relazione da presentare all'Assemblea.
  Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.20.

Pag. 181

Nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Deliberazione).

  Roberta AGOSTINI, presidente, propone, sulla base di quanto convenuto in sede di Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ed essendo stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera dei deputati ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
  L'indagine conoscitiva si concluderà entro la fine del mese di giugno 2014.
  Nell'ambito dell'indagine conoscitiva la Commissione procederà all'audizione di esperti della materia.

  La Commissione approva la proposta di deliberazione dell'indagine formulata dal presidente.

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INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 19 giugno 2014. – Presidenza del vicepresidente Roberta AGOSTINI e del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 11.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  Roberta AGOSTINI, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Svolgimento e conclusione).

  Roberta AGOSTINI, presidente, introduce l'audizione.

  Alfonso CELOTTO, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Roma Tre, Gaetano AZZARITI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università «La Sapienza» di Roma; Beniamino CARAVITA DI TORITTO, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università «La Sapienza» di Roma, Antonio D'ANDREA, ordinario di diritto pubblico presso l'Università di Brescia, Claudio DE FIORES, straordinario di diritto costituzionale presso la II Università di Napoli, Giovanni GUZZETTA, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Tor Vergata di Roma, Francesco Saverio MARINI, ordinario di istituzioni di diritto pubblico, presso l'Università Tor Vergata di Roma, Giulio SALERNO, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Macerata, Gino SCACCIA, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Teramo e Mauro VOLPI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Perugia, svolgono relazioni sui temi oggetto dell'audizione.

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni, i deputati Giuseppe LAURICELLA (PD), Enzo LATTUCA (PD) e Emanuele COZZOLINO (M5S).

  Rispondono ai quesiti posti i professori Giovanni GUZZETTA, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Tor Vergata di Roma, Gaetano AZZARITI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università «La Sapienza» di Roma; Beniamino CARAVITA DI TORITTO, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università «La Sapienza» di Roma, e Mauro VOLPI, ordinario di diritto costituzionale presso l'Università di Perugia.

  Interviene, per una precisazione, Giuseppe LAURICELLA (PD).

  Francesco Paolo SISTO, presidente, ringrazia i professori e dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.50.

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INDAGINE CONOSCITIVA

  Mercoledì 11 marzo 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.20.

Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Deliberazione di una proroga del termine).

  Francesco Paolo SISTO, presidente, ricorda che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto sull'opportunità di richiedere una proroga del termine per la conclusione dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza, il cui termine è scaduto il 30 settembre 2014. Essendo stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera dei deputati, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, propone, quindi, di deliberare la proroga al 31 marzo 2015 del termine dell'indagine.

  La Commissione approva la proposta del Presidente.

  La seduta termina alle 14.25.

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INDAGINE CONOSCITIVA

  Mercoledì 11 marzo 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.30.

  Sulla pubblicità dei lavori.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna, sarà assicurata, oltre che attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.

Audizione di esperti.
(Svolgimento e conclusione).

  Francesco Paolo SISTO, presidente, introduce l'audizione.

  Ginevra CERRINA FERONI, professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze, Nicola LUPO, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma, e Antonio Felice URICCHIO, professore di diritto tributario presso l'Università di Bari, svolgono relazioni sui temi oggetto dell'audizione.

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni, Enzo LATTUCA (PD) e Rocco BUTTIGLIONE (AP).

  Antonio Felice URICCHIO, professore di diritto tributario presso l'Università di Bari, Nicola LUPO, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università LUISS di Roma, e Ginevra CERRINA FERONI, professoressa ordinaria di diritto pubblico comparato presso l'Università di Firenze, rispondono ai quesiti posti e rendono ulteriori precisazioni.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, ringrazia i professori per il loro intervento. Dichiara quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

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INDAGINE CONOSCITIVA

  Mercoledì 18 marzo 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi.

  La seduta comincia alle 20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna, sarà assicurata mediante la trasmissione in diretta web-tv della Camera dei deputati.

Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, di tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
Audizione del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi.
(Svolgimento e conclusione).

  Francesco Paolo SISTO, presidente, introduce l'audizione.

  Il ministro Maria Elena BOSCHI svolge una relazione sul tema oggetto dell'audizione.

  Intervengono, per porre quesiti e formulare osservazioni, i deputati Mara MUCCI (Misto-AL), Andrea CECCONI (M5S), Stefano QUARANTA (SEL), Dorina BIANCHI (AP), Marilena FABBRI (PD), Emanuele FIANO (PD), Teresa PICCIONE (PD), Francesco Paolo SISTO, presidente.

  Il ministro Maria Elena BOSCHI risponde ai quesiti posti e rende ulteriori precisazioni.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, ringrazia il ministro Boschi e dichiara quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 21.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

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RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Mercoledì 25 marzo 2015 – Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene la sottosegretaria di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Sesa Amici.

  La seduta comincia alle 14.35.

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 27 marzo 2014.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, ricorda che si sono concluse le audizioni previste dal programma dell'indagine conoscitiva e che, pertanto, prima di procedere alla predisposizione di una proposta di relazione per l'Assemblea da sottoporre alla Commissione, sarebbe auspicabile lo svolgimento di interventi da parte dei rappresentanti di tutti i gruppi. A tal proposito, chiede ai gruppi di comunicare i nominativi dei colleghi che vorranno intervenire.

  Danilo TONINELLI (M5S) chiede se la relazione che sarà predisposta dal presidente terrà conto delle posizioni politiche di tutti i gruppi.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, replicando al deputato Toninelli, evidenzia che nella relazione per l'Assemblea, nella quale saranno affrontati i diversi aspetti problematici relativi alla decretazione di urgenza, terrà certamente conto delle posizioni espresse da tutti i gruppi nel dibattito che è in corso di svolgimento in Commissione. Auspica che sulle conclusioni del documento, che verrà sottoposto all'esame e al voto della Commissione, si possa addivenire ad una posizione il più possibile condivisa.

  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.40.

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RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

Giovedì 26 marzo 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.40.

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 25 marzo 2015.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.45.

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RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Martedì 31 marzo 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.15.

Variazioni nella composizione della Commissione.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che, per il gruppo Lega Nord e Autonomie, è entrato a far parte della I Commissione il deputato Giancarlo Giorgetti e che il deputato Cristian Invernizzi ricoprirà l'incarico di capogruppo. Comunica, inoltre, che il deputato Matteo Bragantini ha aderito al gruppo Misto.

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 26 marzo 2015.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.20.

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RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Mercoledì 1o aprile 2015. – Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 15.20.

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 31 marzo 2015.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.25.

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RESOCONTI STENOGRAFICI DELLE AUDIZIONI
da pag. 190 a pag. 332 (Formato PDF)