Doc. III, N. 1-bis

RELAZIONE DELLA GIUNTA DELLE ELEZIONI

composta dai deputati:

GIUSEPPE D'AMBROSIO, Presidente; NICOLA STUMPO, Vicepresidente; MAURIZIO BIANCONI, ANTIMO CESARO e ANTONINO MOSCATT, Segretari; IGNAZIO ABRIGNANI, DEBORAH BERGAMINI, MARINA BERLINGHIERI, FRANCO BRUNO, RENZO CARELLA, DAVIDE CRIPPA, DIEGO CRIVELLARI, FABIANA DADONE, LUIGI FAMIGLIETTI, GIANNI FARINA, ADRIANA GALGANO, LUIGI LACQUANITI, ENZO LATTUCA, GIUSEPPE LAURICELLA, ELISA MARIANO, NICOLA MOLTENI, MARA MUCCI, MARTINA NARDI, TERESA PICCIONE, GIULIA SARTI, GUGLIELMO VACCARO, LAURA VENITTELLI e LILIANA VENTRICELLI, Componenti;

ALESSANDRO PAGANO, Vicepresidente e Relatore per la maggioranza;
GREGORIO FONTANA, Relatore di minoranza

Sulla elezione contestata del deputato

Giancarlo GALAN per la VII Circoscrizione Veneto 1

RELAZIONE DI MINORANZA

Relatore di minoranza: Gregorio FONTANA

Presentata alla Presidenza il 20 aprile 2016

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  Onorevoli Colleghi ! — Con lettera del 19 novembre 2015, la Presidente della Camera dei deputati deferiva alla Giunta delle elezioni copia della sentenza emessa in data 16 ottobre 2014 dal Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Venezia, irrevocabile dal 2 luglio 2015, nei confronti del deputato Giancarlo Galan, trasmessa alla Camera dei deputati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Venezia, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, 235, noto come «legge Severino», in data 11 novembre 2015 e pervenuta il 18 novembre 2015.
  Venendo specificamente alla vicenda giudiziaria del deputato Galan, ricordiamo che, nei suoi confronti, con sentenza del GUP di Venezia del 16 ottobre 2014 è stata disposta l'applicazione della pena su richiesta delle parti, in ordine ai reati ascrittigli, nella misura di due anni e dieci mesi di reclusione. I capi d'imputazione sono riconducibili essenzialmente al delitto di cui all'articolo 319 del codice penale (corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio), per il quale è prevista la pena della reclusione da sei a dieci anni. Ricordiamo altresì che lo stesso Galan è stato proclamato deputato, nella VII Circoscrizione-Veneto 1, il 5 marzo 2013, ovvero successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 235 31 dicembre 2012, ma la sentenza di condanna, pronunciata dal GUP di Venezia in data 16 ottobre 2014 e divenuta irrevocabile in data 2 luglio 2015, si riferisce a fatti risalenti, secondo gli atti giudiziari a disposizione della Giunta, dal 22 luglio 2008 al 1o gennaio 2012, quindi prima dell'entrata in vigore della legge Severino.
  Nell'Ufficio di Presidenza integrato dei rappresentanti dei Gruppi della Giunta delle elezioni nella riunione del 26 novembre 2015, l'esame della posizione del deputato Galan è stata deferita al Comitato permanente per le incompatibilità, le ineleggibilità e le decadenze, affinché svolgesse la propria attività istruttoria e presentasse una proposta alla Giunta. Il Comitato ha avviato l'istruttoria il 3 dicembre 2015 e ha tenuto riunioni il 17 dicembre 2015, il 14 gennaio, il 21 gennaio, l'11 e il 18 febbraio del 2016, concludendo i lavori nella riunione del 23 febbraio 2016. Nella predetta riunione conclusiva, il Comitato ha deliberato a maggioranza di proporre alla Giunta di accertare la sussistenza della causa di ineleggibilità sopravvenuta e quindi di decadenza del mandato parlamentare nei confronti dell'onorevole Giancarlo Galan. La Giunta s’è riunita i giorni 3 e 8 marzo, pervenendo, in quest'ultima riunione, all'approvazione a maggioranza della proposta di contestazione dell'elezione del deputato Giancarlo Galan. Nella seduta pubblica del 7 aprile 2016, la Giunta delle elezioni, udita l'esposizione del relatore e l'intervento del deputato Giancarlo Galan, riunitasi in camera di consiglio, ha ritenuto di accertare che si Pag. 3fosse in presenza di una causa sopraggiunta di ineleggibilità e ha deliberato di proporre all'Assemblea la decadenza dal mandato parlamentare, per motivi di ineleggibilità sopravvenuta, del deputato Giancarlo Galan.
  S’è ritenuto, dunque, di applicare al deputato Galan le disposizioni del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, recante Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi.
  Tale decreto è stato adottato in attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, che delegava il Governo all'emanazione di un testo unico della normativa in materia di incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e di divieto di ricoprire le cariche di presidente e di componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, di presidente e di componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, di consigliere di amministrazione e di presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, di presidente e di componente degli organi esecutivi delle comunità montane.
  In particolare, la legge Severino prevede la nuova fattispecie della «incandidabilità» come effetto automatico che si produce ex lege nei confronti di tre categorie di condannati, ovvero: a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale (ovvero, rispettivamente, delitti di stampo mafioso e con finalità di terrorismo); b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale (ovvero delitti contro la pubblica amministrazione); c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale. Il deputato Galan rientra nella categoria di soggetti di cui al punto c).
  Con la presente relazione di minoranza si intende proporre all'Assemblea di esprimersi in senso opposto rispetto a quanto deliberato dalla Giunta.
  Onorevoli colleghi, è la prima volta che la Camera dei deputati si trova a deliberare in merito all'applicazione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 ai membri del Parlamento.
  Vale la pena ricordare, a tale proposito, come, nell'ottobre del 2016 la Corte costituzionale sia chiamata a decidere in merito a questioni rilevanti ai fini dell'inquadramento costituzionale del caso del deputato Galan. Presso il giudice delle leggi pendono, infatti, tre casi relativi, tra le altre cose, proprio al rapporto esistente tra lo status del parlamentare e quello dell'amministratore, con riferimento alla legge Severino.
  Ne diamo qui una sintetica ricostruzione.
  Si tratta delle ordinanze di remissione alla Corte costituzionale dei giudici di Napoli, Bari e Messina.Pag. 4
  Nel corso della causa civile (n. 16879 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2015) avente ad oggetto il contenzioso tra il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e la Presidenza del Consiglio dei ministri sulla decadenza dello stesso De Luca dalla carica a seguito dell'applicazione della legge Severino, il Tribunale di Napoli ha emesso un'ordinanza di remissione alla Corte costituzionale (Ordinanza del Tribunale di Napoli del 22/07/2015, Reg. ord. n. 323 del 2015 della Corte costituzionale) relativamente ad alcuni aspetti della detta legge Severino. Lo stesso hanno fatto la Corte d'Appello di Bari, nel corso del caso del Consigliere regionale Amati (Ordinanza del Corte d'appello di Bari del 27 gennaio 2015, Reg. ord. n. 278 del 2015), e il Tribunale di Messina (ordinanza del 14 settembre 2015, Reg. ord. n. 11 del 2016), nel corso del caso del consigliere comunale Lo Monte. Le udienze dovrebbero tenersi tra il 4 e il 5 ottobre di quest'anno.
  In estrema sintesi, nelle dette ordinanze vengono evidenziate soprattutto due criticità: il vizio di eccesso di delega e la disparità di trattamento nei confronti dei parlamentari nazionali ed europei (che sarebbero trattati in maniera irragionevolmente favorevole, in quanto nel loro caso, l'ineleggibilità sopraggiunge solo in caso di condanna definitiva). Per quanto riguarda il caso Galan, è il secondo caso quello che rileva in maniera specifica, in quanto la Corte è chiamata a pronunciarsi, per l'appunto, sulla natura della protezione accordata dalla Costituzione al diritto elettorale passivo per il Parlamento. Ora, nel pronunciarsi su questo punto, non è da escludere che la Corte, sia pure in maniera incidentale, si esprima sull'applicabilità o meno della legge Severino ai parlamentari. Riteniamo che anche di ciò debba tenersi conto, nel deliberare in merito al caso del deputato Galan.
  A tale proposito, ci pare opportuno ribadire come, in materia di dichiarazione di decadenza dalla carica di parlamentare, non esistano automatismi, poiché ci si muove nel perimetro dell'articolo 66 della Costituzione, in base al quale «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità».
  Questa norma costituzionale ha, come è noto, il fine di tutelare l'indipendenza non tanto dei parlamentari in quanto tali, quanto delle stesse Camere, nelle persone dei loro membri, quali dirette espressioni della sovranità popolare, contro possibili ingerenze o indebite interferenze esterne. È bene, ci pare, sottolineare questo principio: oggetto della tutela è il Parlamento come tale, che deve avere piena giurisdizione sulla propria composizione. Su questo punto, si ritornerà, poi, alla fine.
  Entrando nel merito della vicenda, la prima questione che viene in rilievo riguarda la natura della declaratoria di decadenza dal mandato parlamentare, per motivi di ineleggibilità sopravvenuta, a seguito di condanna penale. Ove tale declaratoria avesse il carattere di una sanzione penale, la sua emissione, nel caso di cui ci occupiamo, sarebbe interdetta dal principio di irretroattività della sanzione penale, di cui all'articolo 25 della Costituzione. Direttamente connessa alla precedente è, poi, la questione della particolare protezione che la Costituzione accorda al diritto elettorale passivo del parlamentare. Infine, proprio trattando di quest'ultimo aspetto, emerge come l'applicazione delle disposizioni della legge Severino ai parlamentari, per il modo in cui quelle stesse disposizioni sono entrate nel nostro sistema normativo, è risultata potenzialmente lesiva del principio della separazione tra i poteri dello Stato.Pag. 5
  I primi due punti saranno trattati, innanzitutto, prima sotto il profilo del diritto interno, con riferimento ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale; successivamente, essi saranno esaminati alla luce della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  Il terzo punto, invece, sarà trattato con riferimento esclusivo al diritto interno, anche se tale trattazione non potrà che richiamare principi e valori posti a fondamento di qualunque ordinamento che si richiami alla tradizione del costituzionalismo europeo.
  Per i primi due punti, dunque, riferimento obbligato è la sentenza della Corte costituzionale n. 236 del 2015.
  In tale sentenza, la questione della retroattività della legge Severino viene affrontata in un modo tale che i dubbi circa l'applicabilità della detta legge stessa al caso Galan non solo non si sciolgono, ma si cristallizzano.
  La Corte non entra nel merito né del principio di irretroattività della legge penale, di cui all'articolo 25 della Costituzione, né dell'applicazione della legge Severino ai parlamentari, ovvero in merito al bene costituzionale di fronte al quale potrebbe cedere il diritto all'elettorato passivo di cui, rispettivamente, all'articolo 56 comma 3, per la Camera, e all'articolo 58 comma 2 della Costituzione, per il Senato.
  Per quanto riguarda il primo punto, si legge nella sentenza, la Corte ricorda che «al di fuori dell'ambito di applicazione dell'articolo 25, secondo comma, della Costituzione – al quale (...) il giudice rimettente non ha fatto riferimento – le leggi possono retroagire, rispettando «una serie di limiti che questa Corte ha da tempo individuato e che attengono alla salvaguardia, tra l'altro, di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (ex plurimis, sentenza n. 156 del 2007).
  Quanto al secondo punto, la Corte fa chiaramente riferimento all'elettorato passivo di cui all'articolo 51 («Tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive...») e all'interesse pubblico di cui all'articolo 97 della Costituzione (buon andamento della PA). Ma nessun riferimento si rinviene sul merito dell'elettorato passivo in generale. In particolare, la Corte, in un testo pur ricco di incisi, non sfiora il tema dell'elettorato passivo di tipo politico-parlamentare, che, come è noto a tutti noi, e come la stessa Corte ha evidenziato in altre occasioni, gode di una speciale protezione da parte della Costituzione, la quale, infatti, ne tratta in maniera isolata rispetto all'altro.
  Ora, nel caso di cui ci stiamo occupando, bisogna fare riferimento proprio a due principi che la Corte evita accuratamente di prendere in considerazione: la irretroattività della sanzione penale, di cui all'articolo 25 della Costituzione, e il diritto all'elettorato passivo parlamentare, di cui, rispettivamente, agli articolo 56 comma 3, per la Camera, e all'articolo 58 comma 2 della Costituzione, per il Senato.
  In merito all'irretroattività della sanzione penale, è sufficiente la lettura del citato articolo 25 della Costituzione, in base al quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata Pag. 6in vigore prima del fatto commesso». I fatti per i quali il deputato Galan è stato condannato risalgono, infatti, come precisato, a un tempo anteriore all'emanazione della disciplina in parola.
  Resta da vedere se la sanzione prevista dalla legge Severino per i parlamentari condannati abbia carattere penale. Esiste, come è noto, un ampio dibattito in dottrina. Sul punto rimandiamo, in particolare, ai pareri pro veritate allegati dal deputato Galan nella sua memoria difensiva, rilasciati da costituzionalisti di chiara fama. Da tali pareri emerge, tra le altre cose, con chiarezza come la dichiarazione di incandidabilità sopraggiunta a seguito di condanna penale per determinati reati, costituisca a tutti gli effetti una sanzione penale.
  A parere prevalente degli studiosi, infatti, confortati in ciò anche dalla giurisprudenza della Corte EDU (su tale punto, poi, ritorneremo), è escluso che l'inquadramento «penale» di una disposizione sia desumibile in via esclusiva dalla qualificazione interna della sanzione stessa. Oltre alla qualificazione interna, infatti, occorre tenere presente, in alternativa, altri due criteri che consentono di ricondurre una determinata sanzione nell'ambito di applicazione del principio di irretroattività. Il primo fa riferimento alla reale natura dell'illecito da cui origina la sanzione: esso consiste, cioè, nella verifica della sussistenza nella norma stessa di finalità riconducibili al diritto penale. Il secondo fa riferimento all'afflittività della sanzione, in base al presupposto che negli ordinamenti ispirati ai principi del costituzionalismo democratico, una sanzione particolarmente afflittiva sia legittima solo nell'ambito del diritto penale.
  Se tali criteri sono ampiamente diffusi e accettati tanto in giurisprudenza che in dottrina, a maggior ragione essi debbono essere adottati dall'Assemblea legislativa per deliberare in merito alla decadenza di uno dei propri membri. Il Parlamento, infatti, quale supremo organo legislativo, è anche l'organo naturalmente deputato a chiarire il senso delle disposizioni da esso stesso emanate, in quanto l’«intenzione» del Legislatore, come è noto, è la fonte dell'interpretazione «autentica» della legge. Inoltre, se, qualunque giudice, nel dubbio, deve pronunciarsi a favore della protezione piuttosto che della limitazione di un diritto o di una libertà – e l'esercizio del mandato parlamentare, come poi meglio si dirà, può essere considerato sia sotto il primo che sotto il secondo profilo – ciò a maggior ragione vale per l'Assemblea parlamentare.
  Ora, alla luce dei predetti criteri e in una prospettiva ermeneutica di tipo garantista, come quella enunciata alla fine del paragrafo precedente, l'applicazione della legge Severino al deputato Galan si qualifica senz'altro come avente natura penale e ricadente, perciò, nell'ambito di applicazione del principio di irretroattività. In primo luogo, la legge Severino fa espresso riferimento alla disciplina penale, sia procedurale che sostanziale, in particolare prevedendo la dichiarazione di incandidabilità sopraggiunta a seguito di sanzioni e misure interdittive, comminate in conseguenza di violazione di determinati precetti di diritto, comportante responsabilità penale. In secondo luogo, le misure afflittive previste dalla legge suddetta incidono in maniera diretta sul diritto all'elettorato passivo di tipo politico-parlamentare, ovvero su un diritto fondamentale della persona, secondo i principi dello Stato liberale e di diritto.
  Basterebbe, dunque, questa considerazione per indurre la Camera a esprimersi contro la dichiarazione di decadenza del deputato Galan a seguito dell'applicazione della legge Severino.Pag. 7
  Ma veniamo al secondo punto accennato in premessa e, in qualche misura, anticipato nella trattazione finale del primo punto. Ci riferiamo alla particolare protezione che la Costituzione accorda al diritto elettorale passivo del parlamentare.
  Come si diceva, secondo la Corte costituzionale, nulla osta che il diritto all'elettorato passivo ceda di fronte all'interesse pubblico. Essa, però, fa riferimento all'elettorato passivo amministrativo e all'interesse pubblico, di cui all'articolo 97 della Costituzione (buon andamento della pubblica amministrazione). Ma, come è noto, l'elettorato passivo di tipo politico-parlamentare gode di una speciale protezione da parte della Costituzione, la quale, infatti, ne tratta in maniera isolata rispetto all'altro.
  È nota la ragione della speciale protezione che la Costituzione accorda all'elettorato passivo politico: attraverso questo, si realizza il principio della sovranità popolare, di cui all'articolo 1 della Costituzione. Ne consegue che la questione relativa all'interesse pubblico da proteggere, nel caso della limitazione dell'elettorato passivo di tipo parlamentare, si presenta in maniera molto più complessa di quanto non accada nel caso della limitazione dell'elettorato passivo amministrativo.
  La differenza radicale tra i due summenzionati tipi di elettorato passivo, ovvero la loro non assimilabilità in un'operazione di «bilanciamento» tra beni costituzionali, come detto, è stata già posta in risalto dal giudice costituzionale ed è stata, non a caso, di recente sottolineata in dottrina, proprio nei primi commenti alla sentenza 235/2015 (Maria Elisabetta Cognizzoli, su Diritto penale Contemporaneo, Gianluca Marolda e Claudia Marchese, su Forum di Quaderni Costituzionali).
  Nel corso dell’iter del provvedimento in Giunta, è stato sostenuto che il «buon andamento» della pubblica amministrazione prevale sull'elettorato passivo, anche «nell'esercizio delle funzioni pubbliche svolte dagli eletti nell'interesse degli elettori». Ma questo, proprio stando alla sentenza citata, vale solo se facciamo riferimento all'elettorato passivo, di cui all'articolo 51 della Costituzione, non all'elettorato passivo parlamentare, di cui la Costituzione tratta, non a caso, a parte, vale a dire negli articoli 56 e 58. In poche parole: il parlamentare non è un pubblico amministratore e nemmeno un funzionario.
  Ora, un conto è il «bilanciamento» dell'elettorato passivo di cui all'articolo 51 della Costituzione, un altro conto è il bilanciamento dell'elettorato passivo di cui agli articoli 56 e 58 della Costituzione. La speciale protezione accordata a questo tipo di elettorato passivo è dovuta, come s’è detto, al fatto che attraverso di esso si dà immediata e concreta attuazione al principio della sovranità popolare.
  Può essere il bene costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione sufficiente a bilanciare la compressione di un diritto attraverso il quale si realizza il principio della sovranità popolare?
  La Corte non si pronuncia su questo punto. E nel dubbio, va fatta valere la grande regola democratica della eleggibilità, in base alla quale il sistema delle ineleggibilità va tendenzialmente ristretto, non esteso. Nel caso dell'elettorato passivo di tipo politico-parlamentare, a differenza di quanto accade nel caso dell'elettorato passivo di tipo amministrativo, è in gioco non la semplice «volontà» degli elettori, bensì, come si diceva, la sovranità popolare: il Parlamento non è pubblica amministrazione.
  Fin qui, colleghi, abbiamo considerato i primi due dei tre punti annunciati in premessa sotto il profilo del diritto interno, avendo il Pag. 8riferimento alla Carta EDU funzione puramente ermeneutica, rispetto alla ricostruzione dei limiti entro cui il legislatore nazionale deve muoversi per la previsione di misure incidenti sui diritti fondamentali.
  La questione di cui ci occupiamo, tuttavia, va considerata anche alla luce della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali o CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo o Corte EDU, quale organo giurisdizionale internazionale istituito per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui alla stessa CEDU.
  È pacifico, ormai, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, come «la legislazione italiana successiva all'entrata in vigore della CEDU non potrebbe derogare alle disposizioni della stessa senza violare l'obbligo assunto dallo stato italiano in sede internazionale» (G. De Vergottini, Diritto costituzionale, Padova, Cedam, 2014, 64). Anche prima della riforma del Titolo V della Costituzione e la novellazione dell'articolo 117, primo comma della Costituzione, in base alla quale la potestà legislativa dello Stato è esercitata nel rispetto «dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», «si riconosceva che le disposizioni della CEDU hanno una forza di resistenza passiva comportante la loro non abrogabilità o modificabilità da parte di leggi successive» (ivi). Sul punto, dunque, si ritiene, qui, di non svolgere ulteriori approfondimenti.
  Entrando, di conseguenza, nel merito della questione, va in primo luogo ricordato come, in base all'articolo 7 CEDU, il principio di legalità dei delitti e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege) costituisce un «elemento essenziale dello Stato di diritto» e «occupa un posto primordiale nel quadro del sistema di protezione della Convenzione», tanto che esso, ai sensi dell'articolo 15 CEDU, non consente alcuna deroga neppure in tempo di guerra o di altro pericolo pubblico (v. Scoppola c. Italia (n. 3) [GC], sentenza 17 settembre 2009, § 92, KA. e A.D. c. Belgio, sentenza 17 febbraio 2005, § 51, e Veeber c. Estonia (n. 2), sentenza 21 gennaio 2003, § 31).
  Secondo consolidata giurisprudenza della Corte EDU, in forza del principio di legalità, all'accusato non può essere comminata una pena più grave rispetto a quella prevista al tempo in cui il reato è stato commesso (si veda, sul punto: Gabarri Moreno c. Spagna, sentenza 22 luglio 2003, § 23, Ecer e Zryrek c. Turchia, sentenza 27 febbraio 2001, §§ 31-36, e Valico s.r.l. c. Italia, decisione 21 marzo 2006, ricorso n. 70074/01).
  Ora, il positivo pronunciamento in merito all'applicabilità dell'interdizione di cui all'articolo 7 CEDU al caso del deputato Galan può aversi solo a seguito dell'eventuale accertamento, sulla base dei criteri elaborati dalla giurisprudenza EDU, della natura «penale» della sanzione inflitta allo stesso deputato.
  I tre criteri principali utilizzati dalla Corte per la qualificazione penalistica di una sanzione, c.d. già citati criteri Engel dal nome del caso in cui furono per la prima volta precisati (cfr. Engel e altri c. Paesi Bassi, sentenza 9 giugno 1976, §§ 82-83), sono: a) la qualificazione dell'illecito operata dal diritto interno; b) la natura dell'illecito; c) la gravità della sanzione.
  In merito al primo criterio, come si accennava nelle pagine precedenti, esso è alternativo e non cumulativo rispetto a quelli relativi alla natura dell'illecito e della gravità della sanzione, ragion per cui, la classificazione in chiave non penalistica di una determinata sanzione Pag. 9da parte del diritto interno, non ne comporta l'automatica esclusione dall'ambito di applicazione dell'articolo 7 CEDU (cfr. Jussila c. Finlandia [GC], sentenza 23 novembre 2006, §§ 30-31; Ezeh e Connors c. Regno Unito [GC], sentenza 9 ottobre 2003, §§ 82-86; Janosevic c. Svezia, sentenza 23 luglio 2002, § 67).
  Venendo al secondo criterio, questo fa riferimento alla condotta sanzionata dalla norma, alla struttura di quest'ultima, alla proiezione comparatistica della violazione e alle regole procedurali applicate per l'accertamento dell'illecito. In questo senso, possono essere considerate «penali» quelle disposizioni che, indirizzandosi ad una generalità di destinatari (cfr. Anghel c. Romania, sentenza 4 ottobre 2007, § 51), abbiano contenuti sostanzialmente punitivi (cfr. Lutz c. Germania, sentenza 25 agosto 1987, § 54, e Ozturk c. Germania, sentenza 21 febbraio 1984, § 53).
  Infine, per quel che riguarda la «gravità della sanzione», tale criterio comporta la valutazione dell'entità della sanzione inflitta e le sue ripercussioni per il soggetto che la subisce (cfr., ad es., Lauko c. Slovacchia, sentenza 2 settembre 1998, § 58, e Garyfallou Aebe c. Grecia, sentenza 24 settembre 1997, § 34).
  L'adozione di questi criteri può, dunque, portare la Corte a qualificare come «penali» determinate sanzioni qualificate, dall'ordinamento interno, come civili, amministrative o disciplinari (cfr., a titolo esemplificativo: Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, decisione 30 agosto 2007, ricorso n. 75909/01; Menarini Diagnostic s.r.l. c. Italia, sentenza 27 settembre 2011, §§ 38-45; Malige c. Francia, sentenza 23 settembre 1998, § 38 ss.).
  Ora, alla luce dei suddetti criteri della Corte EDU, possiamo senza dubbio ritenere che la previsione dell'incandidabilità per effetto di condanna definitiva rientrante tra quelle contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 235 del 2012 e la conseguente decadenza dal mandato parlamentare nel caso di incandidabilità sopravvenuta sia da qualificarsi come una disposizione di carattere penale.
  È vero, infatti, che né la legge delega, né il decreto legislativo n. 235 del 2012 qualificano come «penale» la sanzione in esame. Ma, come osservato, il valore di tale mancata qualificazione del diritto interno è reso nullo dal primo dei cosiddetti criteri Engel.
  Mentre, la qualificazione penale di suddetta sanzione, secondo quanto sopra si è dimostrato, discende automaticamente dall'applicazione del secondo e del terzo criterio Engel.
  Più specificamente, la misura dell'incandidabilità sopravvenuta è riconducibile in via diretta e in maniera univoca alla pronuncia di una condanna per reati sanzionati dal codice penale italiano. La dichiarazione di incandidabilità, infatti, consegue all'accertamento di colpevolezza operato dal giudice penale.
  Venendo, dunque, al criterio della gravità della sanzione, può senza dubbio dirsi che l'incandidabilità sopravvenuta prevista dalla legge Severino, in conseguenza di un giudizio di colpevolezza in un processo penale, si presenta come particolarmente afflittiva, dal punto di vista della Carta EDU e della relativa giurisprudenza.
  L'incandidabilità si protrae per un periodo minimo di sei anni, indipendentemente dalla durata dell'interdizione dai pubblici uffici, incidendo, così, sul diritto di elettorato passivo per la durata media di due Legislature nazionali consecutive.
  A tale riguardo, va ricordato come la Corte abbia affermato che «il divieto di praticare certe professioni (politiche o giuridiche) per un Pag. 10lungo periodo di tempo può avere un impatto molto grave sulla persona, privandola della possibilità di continuare la sua vita professionale. Ciò potrebbe essere meritato (...), ma non altera la valutazione della gravità della sanzione inflitta», ragion per cui detta sanzione «deve essere considerata come avente almeno in parte un carattere punitivo e deterrente» (cfr. Malyjk c. Polonia, decisione del 30 maggio 2006, ricorso n. 38184/03, §§ 55-56).
  La stessa Corte, poi, ha qualificato come avente natura «essenzialmente afflittiva» la perdita dei diritti elettorali conseguente alla dichiarazione di fallimento, essendo essa diretta a «devalorizzare e punire il fallito in quanto individuo indegno e coperto di infamia» (cfr. Taiani c. Italia, sentenza 20 luglio 2006, § 40). In questo caso, ci troviamo di fronte alla medesima ratio legis della legge Severino, che, per l'appunto, è stata emanata dal Legislatore allo scopo di squalificare pubblicamente comportamenti ritenuti indegni per chi ricopre cariche pubbliche.
  È noto, al riguardo, come la Corte, in un caso, si sia espressa nel senso di ritenere l'ineleggibilità sopravvenuta come una sanzione non avente carattere penale (caso Pierre-Bloch c. Francia, 21 ottobre 1997). Tuttavia, trattasi di caso, per l'appunto, estremamente particolare. La misura colpì un candidato all'Assemblea Parlamentare di Francia a seguito di un procedimento non penale, tenuto di fronte al Conseil constitutionel, in conseguenza della violazione delle norme concernenti i limiti di spesa della campagna elettorale, e comportò l'ineleggibilità di un anno, per una legislatura e per una sola delle due Camere, di cui si compone il Parlamento francese.
  Su questa base, dunque, possiamo dire che la declaratoria dell'incandidabilità sopravvenuta, nel caso del deputato Galan, avrebbe il carattere di sanzione penale, come tale ricadente nell'ambito di applicazione dell'articolo 7 CEDU.
  Veniamo, ora, alla questione relativa all'incidenza della dichiarazione di incandidabilità sopravvenuta sul diritto di elettorato passivo, considerata alla luce della CEDU.
  Viene, qui, in rilievo l'articolo 3 del Protocollo n. 1 alla CEDU, secondo il quale «le Alte Parti Contraenti si impegnano ad organizzare, ad intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell'opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo».
  Pare fuori discussione il fatto che tale disposizione sia posta a presidio della libera formazione dei «corpi legislativi», intesa dal punto di vista dell'esercizio dell'elettorato passivo e dal punto di vista dell'esercizio del mandato elettorale fino alla sua scadenza (si veda, ad esempio a titolo esemplificativo, Paksas c. Lituania [GC], sentenza 6 gennaio 2011, § 96; Hirst c. Regno Unito, sentenza 6 ottobre 2005, §§ 57-58; Zdanoka c. Lettonia, sentenza 6 marzo 2006, §§ 102-103; e Tanase c. Moldova [GC], sentenza 26 maggio 2009, §§ 154-155).
  Secondo nota giurisprudenza della Corte EDU, sia il diritto all'elettorato passivo sia il diritto all'esercizio del mandato elettorale fino alla sua scadenza possono essere soggetti a limitazioni da parte delle autorità statuali a condizione che dette limitazioni siano emanate nel rispetto del principio di legalità e a condizione che esse perseguano uno scopo legittimo, siano proporzionate e non siano di pregiudizio all'essenza stessa di menzionati diritti, compromettendo di fatto la libera espressione della volontà popolare nella scelta dei corpi legislativi Pag. 11(cfr. Labita c. Italia, sentenza 6 aprile 2000, § 201, Gilonas e altri c. Grecia, sentenza luglio 1997, § 39).
  Ora, è pacifico che la condizione del principio di legalità non può ritenersi soddisfatta solo con riferimento alla normativa interna. Come s’è visto, la dichiarazione di incandidabilità sopravvenuta a seguito dell'applicazione della legge Severino, nel caso di cui ci stiamo occupando, rientra nell'ambito di applicazione dell'irretroattività della sanzione penale, che è corollario irrinunciabile del principio di legalità.
  Venendo, invece, ai requisiti della «proporzionalità», va osservato come il diritto di un membro del Parlamento di esercitare il mandato elettorale fino alla scadenza di quest'ultimo goda di una protezione rafforzata nel quadro dell'articolo 3 del Protocollo n.  1, in quanto rispondente all'esigenza di preservare l'integrità della volontà del corpo elettorale. La destituzione dal mandato parlamentare, secondo la giurisprudenza EDU, incide, infatti, negativamente non solo sull'interesse e i diritti in capo al titolare della carica, ma anche sugli interessi e i diritti dell'elettorato, pregiudicando, per questa via, anche il rispetto dei valori della rappresentatività democratica e della sovranità popolare (cfr. Kavakci c. Turchia, sentenza 5 aprile 2007, § 41, Lykourezos c. Grecia, sentenza 15 giugno 2006, § 50, e Selim Sadak c. Turchia, sentenza 11 giugno 2002, § 33).
  Insomma, anche sotto il profilo della giurisprudenza EDU, la declaratoria di decadenza del deputato Galan, a seguito dell'applicazione della corte EDU, aprirebbe gravi vulnera sia nel sistema di protezione dei diritti fondamentali sia nell'esercizio della sovranità popolare.
  Veniamo infine, e brevemente, al terzo punto accennato in premessa, vale a dire l'equilibrio tra i poteri dello Stato.
  S’è molto discusso, in merito alla legge Severino, sul problema del rapporto tra potere legislativo e potere giudiziario, nel senso che, secondo alcuni commentatori, detta legge inciderebbe in senso sfavorevole al potere legislativo. Ma tale questione, a ben vedere, rileva solo in maniera indiretta rispetto alla materia su cui siamo chiamati a decidere. O, per meglio dire, essa è del tutto assorbita dalla questione, affrontata nelle pagine precedenti, dell'ampia discrezionalità di cui il Parlamento gode nell'applicazione della legge Severino e della responsabilità che grava sul Parlamento stesso, nel momento in cui è chiamato a decidere in merito al carattere penale dell'istituto della incandidabilità sopraggiunta a seguito di condanna penale.
  Qui rileva, invece, il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo.
  Come è noto, la tendenza a un certo schiacciamento del Parlamento sul Governo è abbastanza diffusa, ormai, nelle democrazie parlamentari ed è oggetto di studi da decenni. Non è un fenomeno solo italiano. Se ne cominciò a parlare nel Regno Unito, diversi decenni fa. Se ne sta parlando in Francia, che pure ha un sistema semipresidenziale e non parlamentare. Il tema è dibattuto un po’ ovunque, insomma. E i rimedi si conoscono: lo Statuto dell'opposizione, il Governo ombra e così via. Anche in Italia ci stiamo muovendo in questa direzione.
  È di tutta evidenza, tuttavia, come nessun rafforzamento del potere esecutivo possa considerarsi legittimo ove esso vada a discapito dell'autonomia del Parlamento, a maggior ragione ove tale autonomia venga in rilievo con riferimento alla composizione stessa delle Camere. Il principio pare fin troppo ovvio, per essere ulteriormente illustrato.Pag. 12
  Ebbene, ove ci si pronunciasse a favore dell'applicazione della legge Severino al deputato Galan, si permetterebbe a un decreto legislativo, vale a dire a un atto del Governo, emanato dal Governo, sia pure su delega del Parlamento, ma che reca la firma del Governo di incidere sulla composizione del Parlamento.
  Per tutte queste ragioni, la Camera dei deputati dice «no» a ogni ipotesi di applicazione della controversa legge Severino ai parlamentari e, di conseguenza, si esprime contro la decadenza del deputato Giancarlo Galan.