Doc. XVII-bis n. 11


Pag. 5

Indagine conoscitiva sul diritto di asilo, immigrazione e integrazione in Europa

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DAL COMITATO

1. Introduzione.

  Gli esiti dell'indagine conoscitiva sulle nuove Politiche europee in materia di immigrazione, conclusa dal Comitato nell'estate del 2011, apriva alcune prospettive di confronto politico e di approfondimento sui temi dell'integrazione dei flussi di migranti e in particolare sull'effettiva attuazione del diritto di asilo nel nostro Paese, in presenza di alcune criticità giuridiche e politiche riscontrate nel corso delle audizioni. L'assenza di una adeguata legislazione organica sulla materia dell'asilo, infatti, e la concomitanza di alcuni eventi di rilevanza globale, come la grave emergenza migratoria seguita alla cosiddetta primavera araba dell'inizio del 2011, avevano portato alla ribalta dell'opinione pubblica italiana ed europea nella prima metà del 2011 la necessità di conciliare – nell'immediato e per il futuro – un'adeguata tutela dei diritti dei profughi con l'esigenza di un efficace controllo delle frontiere dell'area Schengen.
  Per tale motivo, il Comitato ha deliberato il 25 ottobre 2011 lo svolgimento di una nuova indagine conoscitiva incentrata esclusivamente sui nodi irrisolti delle politiche di integrazione dei migranti e dei richiedenti asilo in particolare, che erano emersi nel corso della precedente indagine, in connessione con la questione di una efficace attuazione della normativa in materia di asilo. Su questo punto in particolare, era interesse specifico del Comitato approfondire il tema delle tutele e delle garanzie previste per l'accoglienza e il trattenimento dei richiedenti asilo e i problemi connessi alla necessità della loro identificazione con le relative garanzie di informazione, nonché la tempistica per la definizione delle domande di asilo e, in ultimo, l'attuazione delle misure previste per prevenire l'uso strumentale delle domande di asilo.
  Con questi precisi obiettivi, dal 29 novembre 2011 all'11 dicembre 2012 il Comitato ha svolto una serie di audizioni, comprendente rappresentanti del Governo e delle istituzioni nazionali, europee e internazionali, nonché esponenti della società civile e degli organismi responsabili o impegnati nel settore della tutela dei diritti dei richiedenti asilo e degli immigrati in Europa.
  In particolare sono stati auditi i seguenti soggetti: il Direttore generale dell'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani (29/11/11); il Capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione presso il Ministero dell'interno, Angela Pria (20/12/11); il Commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca (07/02/12); il Ministro per la cooperazione internazionale e l'immigrazione, Andrea Riccardi (28/02/12); il Capo missione dell'OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni)


Pag. 6

in Italia, Josè Oropeza (08/05/12); il Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, Alfonso Pironti (05/06/12); il Direttore dell'Ufficio ILO (International Labour Office) per l'Italia e San Marino, Luigi Cal (03/07/12); una delegazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome (10/07/12); il responsabile dell'Ufficio immigrazione della Caritas italiana, Oliviero Forti (24/07/12); il Ministro per gli affari europei, Enzo Moavero Milanesi (11/09/12); il Ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri (25/09/12); il Direttore del CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), Christopher Hein (23/10/12); il Capo dell'Ufficio operazioni aeronavali della Guardia di finanza, Michele Dell'Agli (06/11/12); il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero (11/12/12).
  Il Comitato ha quindi svolto le seguenti missioni: in Tunisia, il 18 e 19 gennaio 2012; in Bulgaria, il 14 e 15 marzo 2012, in Turchia, dal 16 al 18 maggio 2012, in Romania, il 10 e l'11 ottobre 2012, nei Paesi Bassi, il 5 e 6 dicembre 2012.

2. La cornice normativa del diritto di asilo.

  Una delle finalità dichiarate dell'indagine conoscitiva era quella di approfondire anzitutto il quadro normativo del diritto di asilo, soffermandosi in particolare sulle questioni connesse alla condizione giuridica dei richiedenti asilo e dei rifugiati in genere, mettendo a fuoco in particolare lo stato di attuazione e le eventuali possibilità di miglioramento di queste norme. Le audizioni svolte in questo senso soprattutto dagli esponenti del Governo hanno contribuito a fornire un quadro informativo molto esauriente sia delle norme europee e internazionali, sia della loro attuazione a livello nazionale, nonché delle prospettive di riforma a livello di Unione europea, comprendenti anche le ipotesi di revisione del sistema Schengen.

2.1. Le norme internazionali.

  Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato, per il quale non è sufficiente che nel Paese di origine siano generalmente conculcate le libertà fondamentali, ma il singolo richiedente deve aver subito, o avere il fondato timore di poter subire, specifici atti di persecuzione.
  Secondo il diritto internazionale, presupposto per l'applicazione del diritto di asilo è la nozione di rifugiato internazionale, cioè di colui che, direttamente (mediante provvedimento di espulsione o impedimento al rientro in patria) o indirettamente (per l'effettivo o ragionevolmente temuto impedimento dell'esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali), sia stato costretto dal Governo del proprio Paese ad abbandonare la propria terra e a rifugiarsi in un altro Paese, chiedendovi asilo.
  Questa nozione risulta ulteriormente specificata dall'articolo 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati, che indica i seguenti motivi per i quali si ha diritto allo status di rifugiato:


Pag. 7

discriminazioni fondate sulla razza; discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza o gruppo etnico); discriminazioni fondate sull'appartenenza ad un determinato gruppo sociale; limitazioni al principio della libertà di culto; persecuzione per le opinioni politiche. L'articolo 32 della Convenzione prevede espressamente il divieto di espulsione del rifugiato che risieda regolarmente nel territorio di uno degli Stati contraenti se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.
  L'Italia, con la L. 523/1992, ha ratificato la Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea, in ottemperanza alle statuizioni della Convenzione di Ginevra. La convenzione ora di fatto è sostituita dal c.d. Regolamento Dublino II (Regolamento (CE) n.1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo). In particolare, gli Stati membri si impegnano affinché la domanda di asilo loro presentata da parte di qualsiasi straniero sia esaminata dallo Stato competente (i criteri di individuazione della competenza sono indicati dagli artt. 5-8 della Convenzione) in conformità alla sua legislazione ed agli obblighi internazionali.

2.2. Le politiche e la normativa dell'Unione europea in materia di asilo.

  Con lo svolgimento dell'indagine il Comitato era interessato a ricostruire e seguire da vicino il processo europeo relativo alla costruzione e al completamento del Sistema europeo comune di asilo (cosiddetto SECA), anche attraverso il ruolo svolto dal Governo in occasione dei frequenti e difficili negoziati europei sulla materia.
  Già nel Consiglio europeo di Tampere, in Finlandia, dell'ottobre 1999 fu definita una politica comune dell'Unione europea in materia di immigrazione e di asilo di carattere globale, tale cioè da abbracciare le questioni della tutela dei diritti umani e dello sviluppo dei Paesi d'origine dei flussi migratori. A questa prima fase (1999-2004), che ha comportato l'adozione di un importante numero di strumenti giuridici, volti a creare norme minime comuni in settori come le condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo, le procedure di asilo, i requisiti per l'attribuzione della qualifica, è seguito il Consiglio europeo dell'Aja del novembre 2004, che ha confermato il programma di Tampere e ha posto le basi per la realizzazione di una seconda fase della politica europea in materia di asilo, volta a instaurare entro il 2010 un regime comune in materia di asilo valido nell'intera Unione.
  Il 17 giugno del 2008, la Commissione europea ha adottato la Comunicazione sulla politica di immigrazione comune e il Piano strategico per l'asilo, in cui si esponevano le misure per portare a termine la seconda fase del sistema europeo comune di asilo, migliorando a livello comunitario la definizione degli standard di protezione e prevedendo una serie di modifiche alla legislazione


Pag. 8

vigente dei singoli Stati membri per superare le disparità esistenti nell'attuazione delle politiche di asilo.
  La strategia di armonizzazione si basava in particolare su alcuni punti: garantire l'accesso all'asilo a chi ne ha bisogno; stabilire una procedura comune di asilo; individuare uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale; tenere conto della dimensione di genere e delle particolari esigenze dei gruppi vulnerabili; intensificare la cooperazione tra gli Stati membri sulle questioni pratiche; stabilire norme sulla determinazione delle responsabilità degli Stati membri e sui meccanismi di sostegno alla solidarietà; garantire la coerenza con le altre politiche che incidono sulla protezione internazionale.
  Il Fondo europeo per i rifugiati, nato originariamente per realizzare gli obiettivi del programma di Tampere, contribuisce alla realizzazione pratica del Sistema unico europeo di asilo, finanziando progetti di capacity building per creare a favore dei beneficiari soluzioni di accoglienza durature nel tempo. Rientra nel completamento del Sistema anche la recente istituzione dell'EASO (European Asylum Support Office), con compiti di sostegno alla cooperazione pratica in materia di asilo, attraverso l'individuazione di best practices e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri. Questa struttura sostiene altresì ogni azione a favore dei Paesi dell'Unione europea, i cui sistemi di asilo e accoglienza sono sottoposti a forte pressione, a causa della loro situazione geografica o demografica o di situazioni caratterizzate dall'improvviso arrivo di un vasto numero di cittadini extracomunitari.
  È stato ribadito più volte dal Consiglio dell'Unione che il 2012 avrebbe dovuto essere l'anno della compiuta realizzazione del Sistema europeo comune d'asilo, attraverso il completamento di quella che viene definita la seconda fase del progetto. Il processo avrebbe dovuto condurre al completamento del Sistema attraverso la riforma dell'intero pacchetto delle tre direttive comunitarie in materia (concernenti l'accoglienza dei richiedenti asilo, la procedura e la qualifica per la protezione internazionale), nonché del sistema Dublino, con la revisione dei regolamenti Dublino II (v. infra) e del sistema EURODAC (Dattiloscopia europea).
  Le audizioni svolte dal Comitato, in particolare quelle del Ministro degli affari europei e del Capo della Rappresentanza permanente a Bruxelles, hanno messo in luce i graduali – ma sostanzialmente lenti – progressi del negoziato europeo relativo al completamento del Sistema unico di asilo, processo che ha comportato e comporta l'adozione di un pacchetto di provvedimenti normativi volti a ravvicinare ulteriormente le legislazioni degli Stati membri in tema di condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, di procedure comuni per il riconoscimento della protezione internazionale e il ravvicinamento dei diritti garantiti dallo status di rifugiato e da quello di beneficiario di protezione sussidiaria.
  Il corpus normativo europeo sulla materia si compone delle tre direttive conosciute come direttiva «accoglienza» (direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri); direttiva «procedure» (direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre
Pag. 9

2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato); direttiva «qualifiche» (direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta).
  Lo scopo che si intende perseguire con questa normativa, in fase di continuo aggiornamento, è quello di ridurre il margine di discrezionalità degli Stati membri nel definire gli standard di accoglienza dei richiedenti asilo a livello nazionale, in uno sforzo di armonizzazione teso ad evitare la ricerca, da parte dello straniero, del cosiddetto «trattamento migliore» (direttiva «accoglienza»). La direttiva «procedure» mira a costituire una procedura unica per entrambe le forme di protezione internazionale, cioè per lo status di rifugiato e per i beneficiari di protezione sussidiaria, mentre la direttiva «qualifiche», mira a garantire standard più elevati di protezione ai richiedenti asilo, procedendo a un riavvicinamento dei diritti garantiti dai due differenti status di protezione.
  I negoziati sul Sistema comune europeo di asilo coinvolgono come si è detto anche la revisione del cosiddetto «Regolamento Dublino II», che fissa i criteri di individuazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale, nonché la revisione del regolamento Eurodac, che disciplina il sistema di raccolta e di confronto delle impronte digitali.
  In forza del Regolamento Dublino II (Regolamento (CE) n.1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi dello Stato membro competente per l'esame di una domanda d'asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo) vige il principio che competente per l'esame della domanda di asilo è un unico Paese, da individuare secondo alcuni criteri. Il primo di questi criteri fa riferimento al primo ingresso del richiedente asilo: se il richiedente ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest'ultimo è competente per l'esame della sua domanda di asilo (tale responsabilità cessa 12 mesi dopo la data di attraversamento clandestino della frontiera). Altri criteri concernono il principio dell'unità del nucleo familiare; l'eventuale rilascio di permessi di soggiorno o visti (per il quale lo Stato membro che ha rilasciato al richiedente asilo un permesso di soggiorno o un visto valido è competente per l'esame della domanda d'asilo); la cosiddetta clausola umanitaria (qualsiasi Stato membro, pur non essendo formalmente competente, può accettare di esaminare una domanda d'asilo per ragioni umanitarie).
  Le ipotesi di revisione del regolamento Dublino II, che hanno costituito l'oggetto di più di un'audizione in Comitato, originano da una iniziativa della Commissione europea, che nel 2008 ha adottato una proposta per modificare Dublino II, diretta a migliorare l'efficienza del sistema e le esigenze di tutela dei richiedenti protezione internazionale (proposta di regolamento COM(2008)820). In linea con il Piano strategico sull'asilo, la proposta, tuttora all'esame delle
Pag. 10

istituzioni europee, è finalizzata a fronteggiare non solo le circostanze di particolare pressione in cui versano i sistemi di asilo e di accoglienza degli Stati membri, ma anche le situazioni in cui è carente il livello di protezione dei richiedenti protezione internazionale. Gli aspetti più rilevanti di questa proposta di modifica riguardano i casi di particolare pressione su alcuni Stati membri che presentano capacità limitate di accoglienza e assorbimento: si propone infatti di inserire nel regolamento una nuova procedura (meccanismo di emergenza) che consente la sospensione dei trasferimenti del richiedente asilo verso lo Stato membro competente. È possibile ricorrere a tale procedura anche laddove sussista il rischio che, a seguito di un trasferimento secondo le norme di Dublino II, il richiedente non benefici di norme di protezione adeguate nello Stato membro competente, segnatamente in termini di condizioni di accoglienza e accesso alla procedura di asilo.
  Nato per limitare il fenomeno delle domande d'asilo multiple, cioè presentate in più Stati membri, il criterio del Paese di primo ingresso su cui si incentra Dublino II è sostenuto dalla maggioranza dei Paesi del centro e del nord Europa, ma non è certamente favorevole per l'Italia, Paese di frontiera esterna dell'Unione europea. È per questa ragione che proprio il nostro Governo e quelli degli altri Paesi di frontiera dell'Unione hanno più volte ribadito l'esigenza di rendere quanto mai flessibile l'applicazione di questo criterio. E tuttavia, nel quadro dei negoziati attualmente in corso per la revisione del Regolamento Dublino II, il Comitato ha potuto constatare – dalle audizioni e dalle missioni svolte – che questa esigenza non è stata accolta, prevalendo piuttosto l'orientamento dei Paesi nordeuropei a rafforzare la competenza dello Stato membro di primo ingresso di colui che chiede l'asilo.
  Se non è stato possibile ottenere un'attenuazione del principio della responsabilità del Paese di primo ingresso, che penalizza proprio i Paesi di frontiera esterna, l'Italia da tempo insiste per un rafforzamento dell'impegno per la piena attuazione del Sistema europeo di asilo, attraverso la fissazione di status, procedure e livelli di accoglienza unici. Su queste basi dovrebbero essere avviati progetti per il trattamento delle domande di protezione al di fuori del territorio dell'Unione europea, il che consentirebbe di istituire canali dedicati all'ingresso dei richiedenti asilo.
  Nell'ambito delle audizioni dirette a ricavare un quadro generale ed aggiornato sulla progressiva costruzione del Sistema europeo comune di asilo, il Comitato ha poi inteso concentrare la propria attenzione sul fronte dei negoziati europei diretti a modificare il quadro delle normative nazionali non solo in materia di asilo, ma anche sul versante dei controlli dei flussi migratori, incidenti sull'operatività del cosiddetto «Codice Schengen» (Regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone), anche a seguito degli ingenti flussi migratori della primavera del 2011 provenienti dal Nord Africa.
  Poiché per l'operatività del sistema Schengen è di cruciale importanza che, alle frontiere dei Paesi membri, il controllo delle
Pag. 11

persone provenienti dal territorio esterno all'Unione europea si svolga secondo procedure e criteri uniformi, sono state avanzate in sede europea diverse proposte in merito ad una periodica valutazione dell'efficacia e dell'uniformità di tali controlli. Sotto questo profilo rileva particolarmente la riforma del sistema di governo del meccanismo Schengen (cosiddetta riforma della governance di Schengen), resa più urgente proprio a seguito dei mutamenti politici nell'area del Mediterraneo, in particolare nei Paesi rivieraschi del Nord Africa e, in parte, anche del Medio Oriente.
  In quell'occasione infatti si è assistito alla sospensione unilaterale delle norme in materia di libera circolazione delle persone nell'area Schengen da parte di uno Stato facente parte della stessa area, che invocava la presunta incapacità o impossibilità di altro Stato parte dell'area Schengen di provvedere ad un controllo efficace delle proprie frontiere, a causa della grave emergenza migratoria in atto.
  Per far fronte ai problemi di ordine politico oltreché giuridico sollevati dalla crisi migratoria nordafricana, l'Unione europea ha ritenuto di prospettare alcune linee di intervento della riforma dei meccanismi di funzionamento dell'Accordo di Schengen. La prima linea di intervento riguarda le procedure di valutazione sulla capacità degli Stati membri di effettuare i controlli alle frontiere; la seconda coinvolge i meccanismi per attivare le misure necessarie in caso di anomalie nei flussi migratori, il citato «Codice Schengen».
  Le proposte riguardano la possibilità di reintroduzione dei controlli alle frontiere interne, in presenza di circostanze eccezionali, nonché il meccanismo di valutazione e di monitoraggio sull'applicazione dell’acquis di Schengen. Particolare attenzione è stata rivolta alla ridefinizione del meccanismo attraverso il quale procedere al ripristino dei controlli e alla connessa eventualità che il potere decisionale possa essere trasferito alla Commissione europea.
  In questo ambito, viene in rilievo anzitutto la valutazione del momento in cui si può o si deve attivare la situazione di preallarme o di intervento che consentirebbe al singolo Stato parte di Schengen di attivare meccanismi di sospensione unilaterale dell'Accordo. Le proposte avanzate a livello europeo indicano prevalentemente la necessità che non sia sufficiente un semplice aumento dei flussi migratori per permettere ad alcuni degli Stati membri di Schengen di reintrodurre dei controlli, ma occorre che esista un vero nesso di causa ed effetto tra l'aumento dei flussi e una dimostrata incapacità dello Stato di adempiere ai suoi doveri di controllo. Inoltre, non verrebbero considerate ragioni relative alla sicurezza interna o all'ordine pubblico come sufficienti, di per sé, a determinare un intervento di ulteriore sicurezza come la sospensione delle norme in materia di libera circolazione delle persone: è necessario, infatti, che ci sia una minaccia o un concreto manifestarsi di un'instabilità nel funzionamento del sistema Schengen.
  In sostanza, nel negoziato in corso su questi punti prevale l'idea in base alla quale sarebbe lo Stato membro che percepisce il rischio di una instabilità del sistema a rivolgersi alla Commissione europea, la quale può decidere di sottoporre al Consiglio, dopo una rapida istruttoria, determinate proposte di raccomandazione. Il potere di iniziativa spetta, quindi, sempre alla Commissione, su segnalazione
Pag. 12

dello Stato interessato, e poi questa sottopone la questione al Consiglio, che è l'organo abilitato a prendere le misure. Vi è perciò l'intento di «comunitarizzare» maggiormente il sistema, coinvolgendo, al di là dei vari rapporti tra le autorità degli Stati membri, sempre di più la Commissione europea come garante dell'interesse generale europeo.
  Sul medesimo versante di una revisione e di un aggiornamento delle politiche migratorie in direzione maggiormente comunitaria, rispetto agli orientamenti nazionali prevalenti, l'indagine conoscitiva ha fatto emergere – in linea con le risultanze della precedente indagine svolta dal Comitato – la necessità che l'Unione europea rilanci una visione globale di controllo dei flussi migratori attraverso la conduzione di una politica estera di conclusione di accordi economici di aiuto allo sviluppo, riprendendo la sua grande tradizione di cooperazione allo sviluppo, in particolare nei confronti di quei Paesi allora definiti dell'area Africa-Caraibi-Pacifico, oggetto delle Convenzioni di Lomé e di Yaoundé, ancora in vigore. Occorrono, inoltre, accordi bilaterali tra Europa e Paesi terzi specificamente concepiti in funzione del controllo dei flussi migratori, nonché a questo stesso scopo il consolidamento dell'area mediterranea, attraverso un rafforzamento dell'Unione per il Mediterraneo.
  Al duplice scopo di sostenere lo sviluppo delle popolazioni locali, relegando l'emigrazione e soluzione residuale, e favorire la crescita democratica, attraverso la promozione dei diritti umani e civili, il Comitato condivide l'opinione di quanti suggeriscono che per il futuro gli accordi economici e commerciali conclusi dall'Europa contengano anche clausole inerenti la sfera dei diritti umani, civili e politici e la realtà sociale delle persone nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, contribuendo a rilanciare da parte europea una visione di civiltà non solo economica ma anche sociale e politica.

2.3. La normativa italiana.

  Il dettato costituzionale sul diritto di asilo non è stato attuato, mancando ancora una legge organica che ne stabilisca le condizioni di esercizio, anche se la giurisprudenza ha stabilito la possibilità di riconoscere il diritto di asilo allo straniero anche in assenza di una disciplina apposita. Il riconoscimento dello status di rifugiato è, invece, entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che definisce lo status di rifugiato, e alla Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità europea.
  Nella XV legislatura la materia ha avuto una regolamentazione dettagliata ad opera di due decreti legislativi, il 251/2007 e il 25/2008, entrambi di recepimento della normativa comunitaria: il primo della direttiva 2004/83/CE (la cosiddetta direttiva «qualifiche»), il secondo della direttiva 2005/85/CE (cosiddetta direttiva «procedure»). La nuova disciplina sostituisce pressoché interamente quella recata dal


Pag. 13

decreto-legge 416/1989 (cosiddetta legge Martelli) che originariamente aveva ad oggetto sia la condizione giuridica degli immigrati, sia dei rifugiati.
  Nel 1998 la parte della legge Martelli relativa all'immigrazione è stata abrogata e sostituita dal Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e le norme sulla condizione dello straniero (il D.lgs. 286 del 1998). Della legge Martelli rimaneva in vigore unicamente la parte concernente i rifugiati, contenuta nell'articolo 1, successivamente modificato dalla L. 189/2002. Quest'ultima (cosiddetta legge Bossi-Fini), oltre a intervenire sulla disciplina generale dell'immigrazione attraverso una profonda revisione del testo unico del 1998, ha integrato le disposizioni sul diritto di asilo contenute nella legge Martelli, lasciando tuttavia in vigore la parte concernente il sistema di accoglienza e protezione, sia dei richiedenti asilo, sia dei rifugiati, che continua a trovare fondamento negli articoli 1-sexies (sistema di protezione) e 1-septies (finanziamento del sistema di protezione) del decreto legge 416/1989, introdotti dalla legge Bossi-Fini. Ulteriori disposizioni in materia di accoglienza sono contenuti nel D.lgs. 140/2005, anch'esso di derivazione comunitaria. Inoltre, altre disposizioni in materia di rifugiati si rinvengono nel Testo unico sull'immigrazione, quali il divieto di espulsione e di respingimento degli stranieri (non refoulement) che possono essere oggetto di persecuzione nel proprio Paese (articolo 19 T.U.) e il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare anche per i rifugiati (articolo 29-bis del T.U., introdotto dal D.lgs. 5/2007).
  Il nuovo sistema amplia complessivamente le garanzie per i richiedenti asilo, sia sotto il profilo contenutistico della protezione riconosciuta, che sotto il profilo procedurale.
  Sotto il primo profilo, il D.lgs. 251/2007 (di attuazione della direttiva «qualifiche») disciplina, da un lato, l'insieme dei diritti e delle prerogative di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato o il riconoscimento della protezione sussidiaria e, dall'altro, le norme minime relative alla loro attribuzione. In particolare, mentre per la definizione di rifugiato si mantiene quale modello la Convenzione di Ginevra, costituisce un elemento di novità l'introduzione nell'ordinamento interno, a integrazione di quella che viene definita nel suo complesso «protezione internazionale», della figura della «persona ammissibile alla protezione sussidiaria», definita come il cittadino straniero privo dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato il quale, tuttavia, si ritiene che, se ritornasse nel Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno e che non può o (proprio a cagione di tale rischio) non vuole avvalersi della protezione del Paese di origine.
  Il Capo V del D.lgs. 251/1997 definisce nei suoi vari aspetti il contenuto sia della protezione connessa allo status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria. In particolare, l'articolo 19 introduce quale criterio generale l'obbligo di tener conto della specifica situazione delle persone vulnerabili (minori, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologia, fisica o sessuale). L'articolo 20 determina il contenuto
Pag. 14

della protezione dal respingimento, in primo luogo operando un richiamo al citato articolo 19, c. 1, del Testo unico in materia di immigrazione, che ha introdotto nell'ordinamento il principio del non refoulement.
  Si segnala che, poiché nel corso dell'indagine conoscitiva il Comitato ha dedicato largo spazio alle osservazioni e alle valutazioni degli auditi in merito all'efficacia e all'adeguatezza della normativa a presidio dei diritti dei richiedenti asilo soprattutto nella procedura di esame delle domande di protezione internazionale, appare utile soffermarsi brevemente sulle specifiche norme che regolano questa procedura nel nostro ordinamento.
  Il D.lgs. 25/2008 (di recepimento della direttiva «procedure»), disciplina appunto i procedimenti di presentazione e di esame della domanda di protezione, nonché le procedure di revoca e cessazione della protezione e le garanzie attribuite al richiedente in ogni fase del procedimento.
  Nel dare attuazione alla direttiva comunitaria, il decreto individua una autorità nazionale competente per l'esame delle domande di asilo ripartendone le funzioni su tre livelli di competenze in materia:
   a. le autorità competenti a ricevere le istanze di protezione (gli uffici della polizia di frontiera e le questure secondo le modalità indicate dall'articolo 26, c. 2);
   b. l'autorità competente ad assumere la decisione relativa alla determinazione dello Stato competente all'esame della domanda: si tratta dell'Unità Dublino (istituita in attuazione dell'articolo 22 del citato regolamento (CE) 343/2003), un ufficio operante presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, ed in particolare nell'Ufficio III della Direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo;
   c. le autorità competenti all'esame delle domande, che si identificano con le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
  In sintesi, il sistema che regola il procedimento di esame delle richieste di riconoscimento del diritto di asilo è articolato in dieci commissioni presenti su tutto il territorio nazionale, coordinate da una Commissione nazionale che ha sede a Roma. Dopo essere state presentate agli uffici di polizia di frontiera all'atto di ingresso o alle questure se il richiedente risiede già nel territorio nazionale, le domande sono trasmesse alle commissioni territoriali competenti che decidono in ordine al loro accoglimento. Nel corso dell'esame della domanda, il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio dello Stato (articolo 7 del D.lgs. 25/2008).
  Viene accolto il sistema delineato dall'articolo 23 della direttiva basato su due tipi di procedura: una ordinaria e una prioritaria o accelerata (facoltativa). Sui tempi di esame per la procedura ordinaria l'articolo 27 del D.lgs. 25/2008 dispone che entro 30 giorni dal ricevimento della domanda la commissione territoriale competente provvede al colloquio e nei successivi tre giorni decide. Tali termini tuttavia possono essere derogati se sopravvenga l'esigenza di acquisire nuovi elementi. La procedura accelerata (definita esame prioritario dall'articolo 28) si attiva in tre ipotesi: domanda palesemente fondata;
Pag. 15

domanda presentata da persone appartenenti ad una delle categorie vulnerabili minori, anziani, disabili, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, persone che hanno subito violenze gravi); domanda presentata dai richiedenti che rientrano fra coloro che sono avviati ai centri di accoglienza (ad eccezione di coloro che devono essere semplicemente identificati) o ai CIE.
  Apposite norme sono dedicate ai casi di inammissibilità delle domande, alla tipologia delle decisioni delle commissioni territoriali, alla garanzia del richiedente asilo di ricorrere avverso le decisioni delle predette commissioni, definendo altresì gli effetti della presentazione del ricorso sulla permanenza del richiedente asilo.
  L'articolo 29 del D.lgs. 25/2008 disciplina i casi di inammissibilità delle domande, mentre l'articolo 30 prevede la sospensione dell'esame delle domande per le quali è in corso la decisione in merito allo Stato competente (ai sensi del regolamento (CE) n. 343/2003). Come possibili cause di inammissibilità (o più precisamente di irricevibilità) delle domande, il decreto legislativo considera solamente due ipotesi: le domande presentate da chi è stato già riconosciuto rifugiato da uno Stato firmatario della convenzione di Ginevra; le reiterazioni di identica domanda in assenza di nuovi elementi.
  Ai sensi del medesimo decreto legislativo, la commissione territoriale, fatto salvo il caso di ritiro della domanda, di inammissibilità della stessa, o di sospensione in caso di dubbio sullo Stato competente a decidere, deve adottare una delle seguenti decisioni (articolo 32): riconoscere lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria; rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, oppure in caso di cessazione o esclusione dalla protezione ivi previste; rigettare la domanda per manifesta infondatezza (ipotesi introdotta dal D.lgs. 159/2008).
  L'articolo 35 del D.lgs. 25/2008 riconosce al richiedente asilo il diritto a ricorrere davanti al giudice nei confronti delle decisioni relative alla sua domanda, prevedendo la possibilità di impugnare le decisioni della commissione territoriale: di accoglimento o rigetto della domanda; di accordare la protezione sussidiaria in luogo dello status di rifugiato; di revocare o constatare la cessazione della protezione internazionale; nonché il provvedimento di inammissibilità della domanda. In quest'ultima ipotesi, nel caso di decisione successiva all'abbandono del richiedente del centro di accoglienza o di permanenza e qualora la domanda risulti infondata, il ricorso non comporta la sospensione della decisione (tranne per decisione del tribunale cui è presentato il ricorso per gravi motivi); sospensione che, invece, scatta per le altre ipotesi.
  Infine, nel quadro delle garanzie predisposte dalla legge, merita di essere menzionato l'articolo 36, ai sensi del quale i richiedenti che hanno fatto ricorso possono avere rinnovato il permesso di soggiorno se la decisione non interviene entro 6 mesi; inoltre, se sono ospitati nei centri di accoglienza rimangono nei medesimi centri, dove vengono anche trasferiti i richiedenti trattenuti nei CIE che hanno ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato.
  Il procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al D.lgs. 25/2008 è stato da ultimo modificato in più punti dal D.lgs. 159/2008, facente parte del «pacchetto sicurezza» approvato dal
Pag. 16

Consiglio dei ministri del 21 maggio 2008. Il provvedimento conteneva una serie di misure legislative in materia di sicurezza dove ampio spazio era dedicato alle disposizioni volte a contrastare l'immigrazione clandestina e a fare fronte a questioni di ordine e sicurezza pubblica connesse con il fenomeno migratorio. L'intervento normativo è stato predisposto anche al fine di evitare l'uso strumentale della domanda di asilo come mezzo per permanere in Italia senza essere in possesso dei requisiti.
  Tra le modifiche principali alla disciplina previgente apportate dal «pacchetto sicurezza» si ricorda l'introduzione della possibilità da parte del prefetto di stabilire un luogo di residenza ove il richiedente asilo possa circolare e il trasferimento del potere di nomina delle commissioni territoriali per l'esame delle domande dal Presidente del Consiglio al Ministro dell'interno. Inoltre, lo straniero che risulta già destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento, nel caso in cui presenti domanda di protezione internazionale, deve rimanere nel centro di identificazione ed espulsione nel quale si trova.

3. I flussi migratori misti e la gestione delle crisi umanitarie.

  Dopo essere stato per molti decenni un Paese di emigrazione, da almeno quindici anni l'Italia è diventato un Paese di immigrazione, assistendo in un periodo molto breve all'arrivo di ben cinque milioni di migranti, di cui 4,2 milioni negli ultimi quattordici anni.
  Sulle prospettive dei flussi migratori e della loro gestione su un piano europeo e globale, nel quadro di una moderna concezione delle politiche migratorie, il Comitato condivide e fa proprie le osservazioni avanzate in più sedi e da diversi soggetti circa la necessità di sganciare le politiche di gestione dei flussi migratori da approcci meramente repressivi del fenomeno o emergenziali, per trasformarle in parte integrante delle relazioni esterne dell'Unione europea e delle politiche – anche nazionali – di cooperazione economica bilaterale.
  Il sensibile incremento dei flussi di ingresso nel nostro territorio, anche a seguito delle sempre più ricorrenti catastrofi umanitarie (dovute a guerre, emergenze economiche o sconvolgimenti politico-sociali di varia natura), fa sì che le politiche migratorie, quale che ne sia il legittimo titolare, debbano essere abbinate ad un efficiente controllo delle frontiere, nel rispetto del Codice Schengen, e ad una adeguata ed efficace gestione dell'accoglienza, soprattutto nella sua fase iniziale.
  Le maggiori difficoltà nella gestione dei flussi migratori di frontiera, particolarmente in occasione di gravi emergenze umanitarie (come quella rappresentata dalle masse di profughi in fuga dalla Libia della primavera del 2011), è rappresentata infatti non tanto dalla quantità degli ingressi e della relativa difficoltà di controllarne e gestirne l'accoglienza, quanto dalla qualità mista degli stessi, composti di migranti economici e migranti «forzati», ossia persone che fuggono da gravi calamità, come la guerra, le carestie, le catastrofi naturali, in generale ogni evento incontrollabile e di grandi dimensioni che mette a rischio la loro sicurezza e incolumità.


Pag. 17


  Per questi casi di emergenze migratorie, la nostra legislazione prevede alcune misure specifiche, dette di protezione temporanea, applicabili nel caso di flussi di profughi che lasciano il proprio Paese al verificarsi di gravi eventi (guerra civile, violenze generalizzate, aggressioni esterne, catastrofi naturali ecc.). In tali circostanze, il Testo unico sull'immigrazione consente al Governo di determinare con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri gli interventi di protezione temporanea necessari per accogliere in maniera tempestiva e adeguata le popolazioni sfollate che dovessero raggiungere in massa il territorio italiano (articolo 20, D.Lgs. 286/1998).
  Tornando alla questione dei flussi misti, occorre chiarire che, poiché non esistono forme di ingresso protetto e regolare in Italia per coloro che necessitano di protezione (come potrebbe essere ad esempio un visto per richiesta asilo rilasciato dalle ambasciate italiane), occorre considerare ogni flusso di migranti in arrivo come un flusso misto, che in quanto tale impone garanzie di non respingimento.
  A questo proposito, l'articolo 6 del Regolamento 562 del 2006 (c.d. Codice delle frontiere Schengen) esplicitamente dispone che le norme relative al controllo di frontiera sulle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea si applichino senza pregiudizio «dei diritti dei rifugiati e di coloro che richiedono protezione internazionale, in particolare per quanto concerne il non respingimento».
  Sebbene nel diritto internazionale non esista un obbligo di concessione dell'asilo, è noto che la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati prevede il divieto di refoulement (respingimento), sancendo all'articolo 33 che nessuno Stato contraente espellerà o respingerà in qualsiasi modo un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della razza, della religione, della cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
  Il regolamento Regolamento (UE) n. 1168/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011 introduce taluni elementi in tema di rispetto dei diritti fondamentali che non possono essere trascurati ai fini della valutazione di compatibilità della legislazione italiana con la cornice normativa europea. Dopo aver rimarcato nel preambolo che uno degli obiettivi politici chiave dell'Unione europea è lo sviluppo di una politica migratoria fondata sui diritti dell'uomo, sulla solidarietà e sulla responsabilità, e dopo aver richiamato la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e il diritto internazionale pertinente (la Convenzione di Ginevra), all'articolo 2, paragrafo 1-bis, si dispone che nessuno può essere sbarcato in un Paese o altrimenti consegnato alle autorità dello stesso in violazione del principio di non respingimento, o in un Paese nel quale sussista un rischio di espulsione o di rimpatrio verso un altro Paese in violazione di detto principio; si impone altresì una particolare attenzione alle esigenze dei bambini, delle vittime della tratta di esseri umani e delle persone bisognose di assistenza medica ovvero di protezione internazionale.
  Recentemente, la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia (23 febbraio 2012), ha condannato il nostro Paese per un respingimento di migranti verso la Libia,
Pag. 18

dissipando ogni dubbio circa l'applicabilità extraterritoriale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In questo senso, la Corte di Strasburgo intende sottolineare che ogni politica finalizzata ad «esternalizzare» il controllo dell'immigrazione (ad es., attraverso accordi con Paesi extraeuropei, vedi Libia) dovrà attenersi scrupolosamente all'interpretazione data dalla Corte e svolgersi nel pieno rispetto dei diritti umani, in diritto e nella prassi.
  Su questo punto il Comitato ha raccolto, anche nel corso della precedente indagine conoscitiva, le valutazioni fortemente negative di molti rappresentanti di organismi internazionali, della società civile, di associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei rifugiati, che hanno stigmatizzato la prassi adottata dal Governo italiano soprattutto nel corso del 2009 dei cosiddetti respingimenti in mare. Il Comitato registra altresì che nessuna delle numerose audizioni svolte o dei sopralluoghi svolti in loco, nei Centri di accoglienza e di identificazione dei migranti, hanno condotto all'individuazione di misure chiare e univoche, in grado di risolvere il dilemma esistente fra un efficace controllo delle coste in occasione di gravi emergenze umanitarie e la tutela del diritto dei rifugiati di conoscere e disporre di quanto necessario per l'esercizio del proprio diritto di asilo, ammesso che ciò non potesse adeguatamente avvenire a bordo delle navi italiane che hanno effettuato i respingimenti stessi.
  Speculare a questo problema dei respingimenti in mare, che sottraggono a presumibili titolari del diritto di asilo l'effettivo esercizio del proprio diritto, la difficoltà di discernere le diverse tipologie di migranti all'interno dei flussi misti può creare, in alcune circostanze, il paradosso di assicurare a coloro che migrano per motivazioni palesemente economiche le tutele che la legge riserva ai rifugiati.
  Risulta infatti che nel 2011, per esempio, sono arrivati a Lampedusa 32.000 cittadini quasi tutti di nazionalità tunisina, l'80 per cento dei quali ha presentato domanda di asilo, in funzione evidentemente strumentale a prolungare la propria permanenza sul nostro territorio e ad evitare un provvedimento di espulsione, trattandosi quasi certamente di migranti economici (anche se fuggiti a condizioni di difficile sicurezza interna). Le commissioni territoriali, chiamate a definire il loro status, nel 60 per cento circa dei casi non hanno riconosciuto loro alcun tipo di protezione, denegando la tutela e costringendo queste persone al successivo ricorso giurisdizionale, con costi enormi a carico della collettività. L'immissione automatica di queste persone nella procedura di asilo, non essendo evidentemente prevista alcuna forma di screening preliminare, ha dunque determinato enormi disagi per l'intera collettività di immigrati ospitata nei Centri di accoglienza, nonché costi rilevanti per lo Stato italiano. In evenienze di questo tipo, alcuni dei soggetti auditi dal Comitato hanno prospettato l'ipotesi di riconoscere una forma di permesso temporaneo per agevolare l'uscita di queste persone da forme di accoglienza costose e prolungate nel tempo, che nella grande maggioranza dei casi non sono dovute.
  Alle difficoltà di gestione dei flussi misti al momento del loro ingresso sul nostro territorio (con la connessa questione dell'illegittimità dei respingimenti in mare), si aggiunge il fatto che la loro natura estremamente composita in occasione di gravi crisi umanitarie
Pag. 19

complica il procedimento diretto a definire lo status di tali persone, sollevando delicate questioni di diritto sostanziale.
  Una delle questioni agitate nei mesi della crisi umanitaria nordafricana ha riguardato proprio la condizione giuridica dei richiedenti asilo provenienti dalla Libia, cioè i richiedenti stanziati sul territorio libico ed emigrati in seguito alla guerra civile: la maggioranza dei migranti richiedenti asilo non erano infatti libici di nazionalità o di cittadinanza, ma provenivano dai Paesi dell'Africa sub-sahariana, a loro volta emigrati in Libia alla ricerca di migliori condizioni economiche e lavorative. Tuttavia, alla stregua delle normative non soltanto nazionali ma anche europee le condizioni per accordare lo status di rifugiato – ovvero la protezione sussidiaria, legata invece al pericolo e al rischio per la propria incolumità che corre il richiedente in ragione di situazioni di conflitto armato o di guerra civile nel suo Paese – vanno esaminate in considerazione del Paese di cittadinanza del richiedente. Diventava allora irrilevante, da un punto di vista strettamente formale, che il richiedente asilo fosse da tempo stanziato e inserito nel tessuto economico di un Paese, come la Libia, in cui si sono poi presentate le condizioni di conflitto interno, guerra civile e conflitto armato: esso risultava in ogni caso non riconoscibile come avente diritto all'asilo, in quanto nel suo Paese di cittadinanza non vi erano condizioni di guerra interna o calamità.
  L'entità e la composizione dei flussi di migranti arrivati in Italia nel corso del 2011 è stata oggetto di numerose audizioni svolte dal Comitato. In generale, si rileva che la quota dei profughi sul flusso della migrazione è sempre molto contenuta, nonostante l'incidenza sui dati del 2011 sia significativa. Anche in questo caso però sul piano generale, un'incidenza di 25.000-30.000 persone di richiedenti asilo su un totale di circa 60.000 ingressi non cambia lo scenario dei flussi migratori, che invece è influenzato prevalentemente dalla recessione economica.
  A titolo di esempio, può essere utile citare i dati sull'ultima emergenza migratoria occorsa, forniti al Comitato dal Direttore generale dell'immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, in occasione dell'audizione del 29 novembre 2011; in questa sede si informava il Comitato che dal 1o gennaio 2011 fino al novembre dello stesso anno un flusso di circa 60.000 persone si era riversato sul nostro territorio. Di questi, almeno 26.000 circa risultavano tunisini; il resto era distribuito variamente tra egiziani e sub-sahariani, con componenti di provenienza anche asiatiche, che erano prevalentemente ex-lavoratori in Libia. Da questo Paese in particolare provenivano due flussi di mobilità, uno derivante dalla destabilizzazione interna dei Paesi nordafricani (soprattutto Egitto e Tunisia), e l'altro derivante dalla destabilizzazione della Libia stessa, con esodi verso Tunisia ed Egitto.
  Ai dati forniti dal Direttore Forlani, fanno da pendant quelli aggiornati e comunicati a quasi un anno di distanza dal Ministro dell'interno Cancellieri, in occasione dell'audizione del 25 settembre 2012: nel corso del 2011, infatti, sono stati 62.692 gli stranieri sbarcati sulle coste italiane, mentre dal 1o gennaio del 2012 alla data dell'audizione sono stati 8.884. Ciò testimonia l'eccezionalità degli eventi migratori che si sono verificati nel 2011 e le conseguenti gravi
Pag. 20

difficoltà di gestire il controllo delle coste italiane nel medesimo periodo.
  Ai fini del controllo delle frontiere Schengen (che nel caso dell'Italia ormai sono soltanto frontiere marittime, avendo aderito all'area Schengen anche la Svizzera) rileva anche la distinzione fra migranti irregolari che vengono scoperti all'atto di ingresso o irregolari che si trovano all'interno del territorio statale.
  Sotto questo profilo, dai dati raccolti dal Comitato, è possibile affermare che i soggetti di Paesi extracomunitari che arrivano in Italia via mare costituiscono non più del 30 per cento di quelli che annualmente vengono trovati sul territorio nazionale. La stragrande maggioranza dei migranti irregolari presenti sul territorio dello Stato sono infatti i cosiddetti overstayers, cioè coloro che, entrati legalmente nel territorio dello Stato, quindi con un titolo di ingresso valido, vi permangono in illiceità a seguito di scadenza dello stesso.

4. Il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo.

  Il sistema di accoglienza degli stranieri che arrivano in Italia con i flussi di migranti misti è abbastanza articolato. Esso prevede, come primo passaggio, l'accesso alle strutture di prima accoglienza, che sono diversificate sulla base dei profili dei soggetti ospitati: la ripartizione esistente ad oggi prevede la sola distinzione fra Centri di identificazione ed espulsione (CIE) e i Centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA). Su questa base si innesta, nella fase della seconda accoglienza, il modulo di accoglienza diffusa e di integrazione locale rappresentato dallo SPRAR: il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati considerato un modello di sostegno all'integrazione, riconosciuto e apprezzato in Europa come misura di capacità di accoglienza.
  La legge mantiene la distinzione prevista dal decreto-legge 416/1989 (articolo 1-bis) tra coloro che fanno richiesta di asilo dopo essere stati oggetto di un provvedimento di espulsione, da trattenere nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE), e gli altri richiedenti, da trattenere nei centri di accoglienza richiedenti asilo (CARA).
  I CARA, previsti dal già citato D.lgs. 25/2008, sono destinati ad ospitare i richiedenti asilo che si trovano in particolari condizioni: stranieri privi di documento, oppure entrati in Italia in violazione di controlli di frontiera o stranieri fermati in posizione irregolare. Questi restano nei CARA per il tempo necessario alla loro identificazione o alla decisione sulla domanda di asilo. Trascorso tale termine, senza che sia intervenuta una decisione, al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio, con una validità triennale rinnovabile, che gli permette di lasciare il centro. L'ospitalità nei CARA prosegue fino alla decisione della commissione territoriale competente, qualora il richiedente asilo risulti privo di mezzi di sostentamento, oppure non trovi posto nelle strutture facenti capo al sistema dello SPRAR. Per coloro ai quali la domanda di asilo è rigettata o per quanti la presentano dopo aver ricevuto un provvedimento di espulsione, è prevista la collocazione nei CIE, ossia i Centri identificazione ed espulsione per immigrati. A differenza dei CIE i


Pag. 21

CARA non sono luoghi di trattenimento: i richiedenti asilo sono liberi di uscire da essi e molti si disperdono sul territorio, anche perché per molti di loro l'Italia rappresenta solo un Paese di passaggio verso altre mete europee.
  Viene separata così nettamente l'ipotesi di accoglienza da quella del trattenimento. Nel primo caso, i richiedenti vengono ospitati nei centri di accoglienza quando si verificano le seguenti condizioni: necessità di determinare l'identità o la nazionalità del richiedente; presentazione della richiesta da parte di coloro che sono stati fermati dalla forza pubblica per aver eluso i controlli di frontiera o per essere in condizioni di soggiorno irregolare.
  Gli articoli 20, 21 e 22 del D.lgs. 25/2008 disciplinano invece il trattenimento del richiedente asilo per il periodo necessario all'esame della domanda. In particolare, l'articolo 21 disciplina i casi di trattenimento presso i CIE dove affluiscono: coloro che sono esclusi dai benefici della Convenzione di Ginevra, perché macchiatesi di gravi reati (crimini di guerra, contro l'umanità); coloro che sono stati condannati per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto in flagranza (articolo 380 codice procedura penale) o per reati particolarmente gravi quali quelli di droga, immigrazione clandestina, prostituzione; coloro che sono destinatari di un provvedimento di espulsione di qualsiasi natura o di respingimento. È comunque garantito l'accesso ai CIE dei rappresentanti dell'ACNUR, degli avvocati e dei rappresentanti degli organismi di tutela dei rifugiati autorizzati dal Ministero dell'interno.
  In questo quadro un primo elemento di criticità è rappresentato dal fatto che, nel sistema complessivo dell'accoglienza disposta dalla legislazione italiana a favore dei richiedenti asilo, non è data adeguata attuazione al principio (sancito dall'articolo 6, c. 1, e dell'articolo 13, c. 1, della direttiva «accoglienza») in base al quale il richiedente asilo ha diritto di accesso alle condizioni materiali di accoglienza fin dal momento in cui presenta la domanda di asilo.
  Se infatti l'articolo 5, c. 5, del D.lgs. 140/2005 (di attuazione della citata direttiva) prevede che «L'accesso alle misure di accoglienza è disposto dal momento della presentazione della domanda di asilo», nella prassi, tuttavia, si registrano casi di dilatazione significativa del tempo che intercorre fra la presentazione della domanda da parte del richiedente e la sua formalizzazione ad opera della Questura competente. Durante questo periodo di tempo, i richiedenti asilo sono del tutto privi di forme di accoglienza e rischiano pertanto di trovarsi in condizioni di estremo disagio. È importante perciò garantire, a chiunque ne manifesti la volontà, immediato accesso alla procedura di richiesta della protezione presso le Questure territorialmente competenti, nonché ridurre al minimo i tempi previsti per l'espletamento delle procedure (cfr. audizione dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, del 10 luglio 2012).
  Nella fase successiva al riconoscimento della protezione internazionale diventa invece operativo lo SPRAR, il Sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati introdotto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che coordina in rete i servizi di accoglienza e integrazione erogati dagli enti locali, in favore dei richiedenti asilo e degli stranieri che hanno ottenuto una forma di protezione internazionale.
Pag. 22


  Lo SPRAR è frutto della collaborazione tra lo Stato, gli enti territoriali e le associazioni di volontariato (vi è una stretta correlazione in modo particolare con l'ANCI e con l'OIM, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Nel sistema sono previsti servizi finanziati tramite il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (la cui ripartizione avviene con decreto del Ministro dell'interno), che consente l'erogazione di contributi atti a finanziare progetti presentati dagli enti locali sulla base di bandi di gara pubblici. In particolare, questi progetti sono volti a sostenere iniziative a tutela delle categorie di soggetti ordinari, vulnerabili (ovvero minori non accompagnati, disabili, vittime di torture o violenza, anziani, donne in gravidanza e nuclei monoparentali) e portatori di disagio mentale. In generale, il Sistema garantisce, oltre all'accoglienza in termini di vitto, alloggio e vestiario, anche l'insegnamento della lingua italiana, l'informazione legale, l'orientamento al territorio e, dove possibile, la formazione professionale; per i minori, inoltre, i progetti territoriali prevedono anche l'iscrizione in varie scuole dell'obbligo.
  Per quanto riguarda il funzionamento dello SPRAR, il Comitato ha raccolto giudizi largamente positivi, se si eccettua il fatto che ogni interlocutore interrogato sul punto ha sottolineato l'insufficiente capienza materiale del sistema, soprattutto a seguito degli eccezionali flussi migratori del 2011: ad oggi, infatti (2012), il sistema mette a disposizione solo 3.000 posti, insufficienti rispetto al numero di richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia, numero che si deve immaginare in aumento anche per il prossimo futuro.
  Appaiono su questo punto meritevoli di considerazione le valutazioni sullo SPRAR depositate dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, auditi dal Comitato il 10 luglio 2012, secondo i quali, «l'esperienza accumulata in questi anni ha dimostrato chiaramente l'inefficienza delle strutture del tipo CARA (di grandi dimensioni, avulse dal contesto territoriale, in difficoltà nel farsi carico delle specificità e vulnerabilità degli individui) nel fornire adeguati strumenti di accoglienza e integrazione ai richiedenti asilo. Al contrario, il sistema SPRAR ha fornito e fornisce tuttora servizi di elevato livello ma il suo principale limite è nella previsione di un numero fisso di posti di accoglienza (attualmente 3.000 a livello nazionale), che sono peraltro accessibili anche ai titolari di protezione, così riducendo ulteriormente la platea di richiedenti asilo all'interno del sistema».
  Da quanto esposto emerge anzitutto che la principale criticità concernente il sistema di accoglienza predisposto dal nostro ordinamento per i richiedenti asilo (o in senso atecnico «profughi») è rappresentata dal fatto che, pur prevedendo strutture distinte e separate per le due tipologie di ingressi (CIE e CARA), l'accoglienza destinata a migranti economici e rifugiati risulta spesso sovrapponibile, generando vistose promiscuità che nella prassi non si è riusciti ad evitare. Ciò principalmente a causa della natura mista dei flussi migratori, dei tempi materiali dell'identificazione e della successiva permanenza in attesa dell'accoglimento di un eventuale ricorso.
  Un altro problema centrale è costituito dai costi di tale accoglienza e dalla possibilità che le medesime risorse da destinare alla permanenza del singolo richiedente asilo possano essere più utilmente
Pag. 23

impiegate per integrarlo nel mercato del lavoro italiano e (ove possibile) rimpatriarlo con sufficienti mezzi di sostegno per reintegrarlo economicamente nel suo Paese di origine (v. infra, il paragrafo dedicato alle misure di integrazione dei richiedenti asilo).
  Secondo informazioni del Ministero dell'interno, tuttora, nelle strutture di accoglienza vi sono più di 26.000 richiedenti asilo, di cui solo pochi riconosciuti come rifugiati, con un costo per l'accoglienza fornita dall'inizio dell'anno 2011 che alla fine del 2012 potrebbe arrivare a ben 1,3 miliardi di euro, in buona parte a causa dell'emergenza immigrazione curata dalla protezione civile nel corso del 2011 (cfr. audizione del Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein, del 23 ottobre 2012).
  I servizi di assistenza e di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati sono svolti principalmente dagli enti locali. La L. 189/2002 ha soppresso la corresponsione di un contributo di prima assistenza per 45 giorni da parte del Ministero dell'interno in favore dei richiedenti asilo privi di mezzi; in luogo di tale contributo l'articolo 1-sexies del decreto-legge 416/1989 (introdotto dall'articolo 32 della L. 189/2002), disciplina un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati consentendo agli enti locali di accogliere nell’àmbito dei servizi di accoglienza da essi apprestati i richiedenti asilo privi di mezzi di sussistenza, ove non ricorrano le condizioni di trattenimento nei centri di identificazione; prevedendo forme di sostegno finanziario apprestate dal Ministero dell'interno e poste a carico di un fondo ad hoc (Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo) istituito dal successivo articolo 1-septies; prevedendo l'attivazione (ad opera del Ministero dell'interno) e l'affidamento, mediante convenzione, all'ANCI di un servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza.
  Il decreto-legge 195/2002, articolo 2, c. 8, chiarisce che i soggetti destinatari dei servizi di accoglienza richiamati all'articolo 1-sexies del decreto-legge 416/1989, sono gli stranieri titolari di permesso umanitario di cui all'articolo 5, comma 6, del testo unico. Si ricorda che, ai sensi del citato articolo 5, comma 6, è possibile disporre il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno sulla base di convenzioni o accordi internazionali quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, «salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano».

5. Le tutele del richiedente asilo nella procedura di presentazione ed esame della domanda.

  Nel corso dell'indagine conoscitiva, molte osservazioni sono state presentate dagli auditi e discusse in seno al Comitato in merito alla effettività delle tutele accordate ai richiedenti asilo nella fase della procedura di esame delle domande di protezione internazionale. Il Comitato ha pertanto deciso di acquisire tutti gli elementi informativi necessari a formulare una valutazione quanto più possibile aderente


Pag. 24

alla realtà sul funzionamento del sistema e sull'adeguatezza della normativa vigente.
  Le garanzie predisposte dalla legge (D.lgs. 25/2008) a favore del richiedente asilo nel corso della procedura di esame della domanda di protezione internazionale sono assicurate fin dal momento dell'accesso alla procedura stessa. Come si è detto (v. supra), è sancito il principio in base al quale il richiedente ha diritto a rimanere nel territorio nazionale per tutto il tempo necessario all'esame della domanda. Peraltro il prefetto stabilisce il luogo di residenza o una area dove i richiedenti possono circolare (come precisato dal D.lgs. 159/2008). La permanenza è finalizzata unicamente allo svolgimento della procedura, anche se viene fatto salvo il diritto del richiedente di svolgere una attività lavorativa nel caso in cui la decisione sulla domanda di asilo non venga adottata entro sei mesi dalla presentazione, senza che il ritardo possa essere attribuito al medesimo richiedente asilo. Infine, la commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, qualora non riconosca lo status di rifugiato o quello di persona ammessa alla protezione sussidiaria, può chiedere al questore il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
  Sono altresì definite dalla legge a tutela del richiedente asilo una serie di garanzie informative sulla procedura da seguire e sull'esito della domanda.
  Oltre a esser garantita la possibilità di comunicare con l'ACNUR e l'assistenza di interpreti, è regolato anche il colloquio personale che il richiedente può sostenere davanti alla commissione territoriale, momento centrale della procedura. Il D.lgs. 25/2008 prevede ulteriori garanzie in favore del richiedente asilo, quali il diritto all'assistenza legale e, nel caso di ricorso, al gratuito patrocinio, il diritto all'accesso alle informazioni relative alla procedura, il diritto all'accesso agli atti amministrativi e più in generale alle tutele connesse all'azione amministrativa. La Commissione nazionale ha il compito di curare la formazione e l'aggiornamento dei propri componenti e di quelli delle commissioni territoriali. Una speciale tutela è assicurata ai minori non accompagnati (articolo 19) ai quali deve essere garantita l'assistenza del tutore in ogni fase del procedimento. In caso di dubbio sull'età, il richiedente può essere sottoposto, previo consenso, ad accertamenti medici, ma il mancato consenso non pregiudica il proseguimento della procedura, né il suo esito.
  Da quanto emerso nel corso delle audizioni e da una valutazione complessiva del sistema di riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale, nelle sue varie articolazioni, il Comitato ritiene di poter condividere l'osservazione in base al quale esso è globalmente ben congegnato, ma alquanto frammentato nell'attribuzione delle competenze.
  Si nota anzitutto la compresenza di strutture distinte e piuttosto eterogenee nell'ambito dello stesso Ministero dell'interno: nell'esame delle domande di asilo intervengono da una parte l'amministrazione civile (costituita dalle commissioni, dalle prefetture e dal Dipartimento delle libertà civili e immigrazione), dall'altra l'amministrazione della pubblica sicurezza, rappresentata a sua volta dal dipartimento della pubblica sicurezza, dalle questure e dagli altri organi di polizia.
Pag. 25

Nell'ambito dell'amministrazione civile, la Commissione nazionale per il diritto d'asilo, il suo presidente e le commissioni territoriali si occupano esclusivamente della procedura d'asilo. L'unità Dublino a sua volta è un ufficio che fa capo al dipartimento delle libertà civili, nel quale operano, a parte la Commissione nazionale (che formalmente, pur trattandosi di un collegio, rientra nel medesimo Dipartimento), la direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo, che gestisce i CARA e il sistema dell'intera accoglienza, e la direzione centrale per le politiche dell'immigrazione e dell'asilo.
  Anche in questo caso risultano interessanti alcune osservazioni depositate dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, in occasione della già citata audizione del 10 luglio 2012, da cui emergono alcuni punti salienti.
  In primo luogo, viene espressa la valutazione per la quale è necessario che le decisioni dell'Unità Dublino presso il Ministero dell'interno di rinviare i richiedenti asilo verso altri Paesi UE debbano accuratamente considerare le conseguenze sui soggetti coinvolti, onde evitare il rischio di condanne da parte della Corte europea dei diritti umani e/o di violazioni del diritto dell'Unione (sanzionabili dalla Corte di Giustizia dell'UE).
  L'osservazione in sé richiama i contenuti della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 21 dicembre 2011, in cui si dice che quando gli Stati membri «non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo [...] costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti», essi sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente. La Corte ha dunque rifiutato l'esistenza di una presunzione assoluta che lo Stato membro individuato come competente dall'applicazione dei criteri del Regolamento Dublino rispetti i diritti fondamentali. Questa osservazione sembra corroborata anche dalla famosa sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Belgio per aver rinviato in Grecia un richiedente asilo, nonostante le autorità belghe conoscessero le condizioni a cui tale richiedente sarebbe stato esposto in Grecia: questa sentenza dovrebbe perciò essere considerata anche in relazione ai respingimenti verso la Grecia dai porti adriatici di richiedenti protezione.
  In secondo luogo, appare necessario garantire un contesto di elevata competenza/qualità all'interno delle commissioni territoriali rispetto alle decisioni assunte in prima istanza sulle domande di protezione internazionale.
  L'articolo 8, c. 2, lett. c), della direttiva «procedure» dispone che «il personale incaricato di esaminare le domande e decidere in merito abbia una conoscenza dei criteri applicabili in materia di asilo e di diritto dei rifugiati». L'articolo 13, c. 3, lett. a), prevede poi che gli Stati «provvedono affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza sufficiente per tener conto del contesto personale o generale in cui nasce la domanda, compresa l'origine culturale o la vulnerabilità del richiedente, per quanto ciò sia possibile». La normativa italiana, al contrario, non prevede criteri di qualità per il reclutamento dei membri delle commissioni. Né esiste
Pag. 26

un ufficio al servizio delle commissioni territoriali per reperire informazioni sui Paesi di origine dei richiedenti asilo.
  Pertanto si ritiene opportuno individuare specifici criteri per il reclutamento dei membri delle commissioni territoriali, anche in rappresentanza degli enti locali, che tengano in considerazione sia la conoscenza della situazione generale e specifica del Paese di provenienza dei richiedenti protezione, sia le modalità di ascolto con particolare attenzione alle categorie vulnerabili, alle vittime di tortura, alle donne ed alle persone perseguitate per motivi di orientamento sessuale.
  Un ultima questione, ugualmente sollevata dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, riguarda il diritto ad un ricorso con effetti sospensivi contro la decisione assunta sulla domanda di asilo, diritto che la nostra legislazione non garantisce sempre.
  Infatti, secondo quanto prevede l'articolo 19, c. 4, lett. a), b), c), d), del D.lgs. 150/2011, la presentazione del ricorso può, in determinati casi, non sospendere l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (ad es. per le persone nei CIE o nei CARA). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo ha in più occasioni ripetuto che, per essere «effettivo», come richiesto dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo, un ricorso in materia di asilo deve avere effetto sospensivo.
  Su questo punto, tuttavia, il Comitato non ha assunto una specifica posizione, come invece suggerito dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che chiede espressamente al Governo di modificare la normativa vigente prevedendo l'automatico effetto sospensivo per tutti i ricorsi avverso le decisioni negative delle commissioni territoriali, al fine di riallineare l'Italia con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
  Un discorso specifico riguarda l'attuazione delle norme in materia di asilo per quanto riguarda i tempi effettivi di esame delle domande di asilo.
  Qui il Comitato rileva un'oscillazione che va dai 150 giorni delle commissioni di Milano e di Roma (le meno «virtuose» perché hanno un carico notevole – su Roma convergono il Lazio, la Sardegna, l'Umbria e, fino a poco tempo fa, anche la Toscana) fino ai 20-30 giorni della commissione di Foggia. Facendo una media dei tempi di esame delle domande di asilo fra tutte le commissioni territoriali ci si attesta sui 50-60 giorni.
  Nel 2011, la percentuale di accoglimento delle richieste di asilo è stata del 40 per cento, mentre le risposte negative sono state del 44 per cento. Il residuo del 16 per cento rappresenta ciò che viene accomunato sotto la voce unica di «altro esito», in cui sono compresi gli irreperibili, gli assenti, coloro che non si presentano e quelli in attesa delle determinazioni dell'Unità Dublino. Non sono invece stati resi disponibili i dati relativi agli altri Paesi europei con un'antica tradizione in materia di asilo, come la Francia, la Germania e il Regno Unito, e in cui le percentuali di accoglimento sono più basse.
  Fino al 2010, la percentuale di riconoscimento dei tre status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria si aggirava intorno al 50 per cento di tutti i richiedenti asilo in prima istanza:
Pag. 27

si tratta di un dato di tutto rispetto, nel contesto dell'Unione europea. La situazione è parzialmente cambiata a causa dell'emergenza nordafricana del 2011 lo scorso anno: come è stato detto infatti, molti dei richiedenti asilo provenienti dalla Libia non erano né rifugiati né bisognosi di protezione internazionale, poiché la normativa europea e nazionale prendono in esame solamente la condizione del Paese di origine, non quella del Paese di provenienza.
  Occorre anche aggiungere che negli ultimi anni i Paesi che hanno ricevuto il maggior numero di richieste di asilo non sono stati né l'Italia, né la Grecia, né la Spagna – cioè quelli maggiormente esposti, nel Mediterraneo, a frontiere esterne – ma la Francia, la Germania, la Svezia e la Gran Bretagna.
  Per quanto riguarda le misure che l'ordinamento prevede per evitare un uso strumentale della domanda di asilo, fra cui le nozioni di domanda manifestamente infondata e di domanda reiterata, il Comitato ha registrato alcune opinioni discordanti in merito.
  La nozione di domanda manifestamente infondata, introdotta nell'ordinamento nel 2008, doveva rappresentare un deterrente contro la presentazione di domande fittizie da parte da migranti economici, tuttavia, le commissioni ne hanno fatto un uso estremamente ridotto, principalmente perché i richiedenti asilo che presentano una domanda manifestamente infondata hanno poco da perdere sotto il profilo procedurale. Per quanto concerne la reiterazione della domanda di asilo, il D.lgs. 25/2008 prevede che il richiedente asilo possa ripetere la domanda solo si vi è un quid novi, ossia dei fatti aggiunti, sopravvenuti o da lui stesso trascurati nella prima domanda: la norma nasce per scoraggiare la ricerca di asylum shopping – questa volta all'interno del territorio nazionale – per la quale era invalso l'uso di reiterare la domanda d'asilo a una diversa commissione, rispetto a quella già adita.

6. Politiche di integrazione per i beneficiari di protezione internazionale.

  Nonostante il nostro Paese, per la sua stessa collocazione geografica, risulti un indubbio crocevia di flussi migratori ripetuti e difficili da controllare, tuttavia l'Italia non dispone, a livello di politiche migratorie e sociali, di un modello di integrazione individuato, paragonabile all'inglese o al francese. La sua debolezza, e al tempo stesso la sua forza, è proprio quella di essere un Paese senza modello, con una platea di immigrati estremamente particolare. Proprio per questa ragione è di cruciale importanza impostare correttamente per il futuro adeguate politiche di integrazione degli stranieri che si insediano a vario titolo sul nostro territorio, tali da garantire una armoniosa e civile convivenza fra tutti.
  Poiché il Comitato nella prima parte della legislatura ha dedicato una apposita indagine conoscitiva alle politiche dell'immigrazione, all'interno della quale largo spazio è stato destinato alla questione dell'integrazione dei lavoratori immigrati, il campo della presente indagine è volutamente limitato alle misure di integrazione dei soli richiedenti asilo.


Pag. 28


  Pertanto, si segnala che, pur essendo state svolte alcune audizioni anche sul tema dell'integrazione sociale e lavorativa degli stranieri immigrati principalmente per ragioni economiche (v. in particolare le audizioni del Direttore generale immigrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Natale Forlani, del 29 novembre 2011, e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Elsa Fornero, dell'11 dicembre 2012), il documento conclusivo si concentrerà esclusivamente sugli esiti concernenti le politiche di integrazione dei richiedenti asilo, riconfermando le conclusioni già elaborate nel corso della precedente indagine per quanto riguarda invece i migranti economici.
  La necessità di elaborare una strategia per mettere i rifugiati e titolari di protezione internazionale in condizioni di intraprendere un percorso di definitiva integrazione nella nostra società e nel mercato del lavoro riguarda sia la fase che accompagna l'esame della loro domanda di asilo, sia quella successiva all'accoglimento della stessa (mentre invece, per i casi di rigetto dell'istanza, vengono in rilievo strategie alternative, come il rimpatrio assistito).
  Un primo significativo elemento di garanzia per una buona integrazione sia dei rifugiati sia dei titolari di protezione sussidiaria è rappresentato dalla protezione del loro nucleo familiare: i familiari dei beneficiari di protezione, qualora non venga loro estesa la protezione, possono essere ricongiunti, mentre, se si trovano già in Italia, possono ottenere un permesso per motivi di famiglia. Il protetto sussidiario invece, a differenza del rifugiato, pur beneficiando delle facilitazioni per l'accertamento della parentela, deve comunque dimostrare di possedere ai fini del ricongiungimento quelli che vengono definiti i requisiti minimi, cioè alloggio e reddito minimo.
  Il Ritorno Volontario Assistito, conosciuto anche con l'acronimo RVA, consiste nella possibilità di ritorno, che include un aiuto logistico e finanziario, offerta ai migranti che non possono o non vogliono restare nel Paese ospitante e che desiderano, in modo volontario e spontaneo, ritornare nel proprio Paese d'origine. Attualmente in Italia si realizzano vari programmi di ritorno volontario assistito, approvati con il Fondo europeo rimpatri.
  Ai sensi del c. 5, lett. e), dell'articolo 1-sexies, del decreto-legge 416/1989 tra i compiti del servizio centrale di informazione, promozione, consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di accoglienza dei richiedenti asilo e alla tutela dei rifugiati e degli stranieri destinatari di altre forme di protezione umanitaria, vi è quello di promuovere e attuare, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, programmi di rimpatrio attraverso l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni o altri organismi, nazionali o internazionali, a carattere umanitario.
  L'audizione del Capo Missione dell'OIM in Italia, Josè Oropeza, ha utilmente contribuito a illustrare al Comitato l'attività che l'organismo svolge in collaborazione con le autorità italiane per l'attuazione di questo interessante strumento, facente capo a progetti che prevedono anche la reintegrazione del migrante nel suo Paese di origine.
  Il progetto PARTIR prevede ad esempio un supporto per la realizzazione di piani di reintegrazione socio-economica in patria, attraverso colloqui individuali con i beneficiari, mirati ad accertare la fattibilità del rientro. L'OIM, sulla base di una valutazione caso per
Pag. 29

caso del migrante e del progetto di reintegrazione, può fornire un contributo, sotto forma di beni e/o servizi e fino ad un massimo di 1100 euro, utile a rendere sostenibile il rientro nel Paese di origine. L'entità del contributo sarà stabilita a seconda dei bisogni dell'interessato e del grado di vulnerabilità, in stretto coordinamento con gli uffici OIM nei paesi di origine. Gli uffici OIM hanno altresì il compito di assistere i beneficiari all'arrivo, predisporre l'accoglienza iniziale e seguirli nella realizzazione e gestione del loro progetto individuale di reinserimento socio-lavorativo.
  I programmi di rimpatrio volontario sono principalmente rivolti a richiedenti protezione internazionale (anche chi ha ricevuto diniego e presentato ricorso); cittadini di Paesi terzi che beneficiano di forme di protezione internazionale o con permesso di soggiorno per motivi umanitari; vittime di tratta; migranti che vivono in Italia in situazione di estrema vulnerabilità e grave disagio (disabili, donne sole con bambini, anziani, persone con gravi problemi di salute fisica e/o mentale, senza fissa dimora); cittadini di Paesi terzi che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso e/o soggiorno in uno Stato membro (o che non soddisfano più le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno ai fini della permanenza sul territorio italiano).
  Il Comitato valuta positivamente questo tipo di strumenti nel campo delle politiche di reintegrazione dei richiedenti asilo nei propri Paesi di origine, mentre ne riconosce la limitata efficacia se usati come strumento di controllo dei flussi migratori. Sono però certamente interessanti le valutazioni in termini di costi dello strumento del rimpatrio volontario assistito, che, come è emerso nel corso delle audizioni svolte (cfr. soprattutto l'audizione del Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati, Christopher Hein, del 23 ottobre 2012), ha un costo sensibilmente inferiore alla prolungata permanenza del richiedente asilo nelle strutture di accoglienza finanziate dallo Stato in attesa del responso delle commissioni territoriali e dell'esito di un eventuale appello.
  L'audizione del Direttore del CIR (Consiglio Italiano Rifugiati) ha posto in luce la necessità di incentivare ulteriormente, oltre a misure di reintegrazione nei Paesi di origine, attraverso il rimpatrio volontario, anche misure di integrazione in Italia, per chi trova un lavoro regolare (per esempio includendo prospettive di lavoro autonomo, possibilità di creazione di microimprese ed altro). Questo tipo di provvedimenti, come si è detto, ha un costo di molto inferiore alla semplice accoglienza, che costa 46 euro a persona al giorno: moltiplicando questa cifra per l'intero periodo medio di permanenza nei CARA – ormai, più di un anno e mezzo, includendo il periodo di attesa per i ricorsi – e per 26.000 persone (cifra stimata dei richiedenti asilo nell'ultimo anno), si arriva infatti ad una somma enorme, superiore al costo di interventi di concreto sostegno economico ai migranti in questione. Inoltre, sempre secondo l'esperienza del CIR, mediamente con 2.500 euro a persona è possibile favorire l'integrazione lavorativa e alloggiativa di un rifugiato in Italia, fornendogli un posto di lavoro, una formazione professionale, un aiuto iniziale per un alloggio autonomo, con meccanismi di garanzia anche per il datore di casa (ad esempio, una fideiussione). Il rimpatrio
Pag. 30

volontario assistito con una misura di reintegrazione nel Paese di origine ha pressappoco lo stesso costo, se non meno: si tratta anche in questo caso di una cifra abbastanza modesta, se confrontata con il costo dell'accoglienza.
  Il Comitato ha altresì potuto constatare che, una volta che la persona ha faticosamente ottenuto un permesso di soggiorno per protezione internazionale o per protezione umanitaria, non esiste un programma nazionale che favorisca l'integrazione del rifugiato: si tratterebbe di investimenti relativamente poco costosi, in confronto a quanto costa affrontare le devianze sociali e il degrado di queste persone, una volta abbandonate al loro destino sul nostro territorio.
  Nel corso dell'audizione del Direttore dell'Ufficio ILO per l'Italia e San Marino, Luigi Cal, del 3 luglio 2012, questi ha però ha espresso apprezzamento per il piano di integrazione approvato nel 2010 dal Governo italiano sul tema della sicurezza e dell'accoglienza, che riguarda cinque aree tematiche, tra le quali la formazione e l'apprendistato; l'occupazione degli immigrati in Italia; l'alloggio e la governance locale (quindi il ruolo dei comuni e delle regioni); l'accesso ai servizi sanitari e sociali essenziali; gli immigrati di seconda generazione. A questo proposito si ricorda che il 10 marzo 2012 è entrato in vigore l'accordo di integrazione, in base al quale al momento dell'arrivo nel nostro Paese l'immigrato accetta l'impegno di rispettare tutte le nostre regole di civile convivenza, mentre dal canto suo lo Stato italiano si impegna a somministrare una serie di servizi, tra i quali l'insegnamento della lingua italiana e dell'educazione civica.

7. Conclusioni.

  Le conclusioni elaborate dal Comitato sulla base dei contributi ricevuti e delle osservazioni emerse nel corso dei dibattiti svolti si riferiscono a molte delle questioni esaminate nel corso dell'indagine, coprendo così un ampio ventaglio di argomenti. Esse possono essere così sintetizzate.

A. Sul piano della normativa europea e del ruolo dell'Unione nella gestione delle politiche migratorie e delle crisi umanitarie.

  Il Comitato auspica fortemente un rinnovato e rafforzato impegno dell'Unione europea sul fronte dei negoziati per la creazione di un Sistema europeo comune di asilo, affinché si giunga con la massima urgenza a definire un compiuto quadro normativo in grado di regolare efficacemente e uniformemente su tutto il territorio dell'Unione lo status giuridico dei richiedenti asilo, anche e soprattutto in occasione di flussi misti ed emergenze umanitarie.
  Tale Sistema deve mirare a fornire soluzioni concrete e comuni a tutta l'Unione europea per il caso dei respingimenti in mare, ammissibili solo quando venga assicurata la tutela effettiva e sostanziale, non solo formale, del diritto del migrante di avanzare domanda di asilo. Alcuni membri del Comitato ritengono, peraltro, che non sia possibile assicurare tale tutela nel caso dei respingimenti in mare.


Pag. 31


  Al centro delle preoccupazioni del Comitato è stata posta la delicata questione della gestione di flussi improvvisi e incontrollati che si riversano su Paesi di frontiera dell'area Schengen, in presenza dei quali è necessario conciliare le necessarie tutele dei diritti riconosciuti allo straniero a livello internazionale con le esigenze di regolazione e gestione dei flussi migratori da parte dei singoli Stati membri dell'Unione.
  Il Comitato ritiene prioritario che l’acquis di Schengen in materia di libera circolazione vada tutelato come una conquista di primario valore. Molti componenti del Comitato chiedono, tuttavia, che l'Unione tenga nella dovuta considerazione le esigenze di quei Paesi che per ragioni geografiche si trovano fortemente esposti alle emergenze migratorie. Ogni eventuale cautelativa sospensione dell'Accordo di Schengen deve essere effettivamente giustificata dall'assoluta eccezionalità e temporaneità del fenomeno – valutata su criteri oggettivi – nella convinzione che la libera circolazione assicurata dall'Accordo non sia in alcun modo posta in discussione.
  Il Comitato sollecita anche e soprattutto in sede europea la conclusione non solo di accordi di riammissione, ma soprattutto di accordi di cooperazione economica, volti a realizzare programmi di sviluppo nei Paesi d'origine dei più consistenti flussi migratori diretti verso l'Unione europea, per alleviare la pressione migratoria esercitata su questa sponda del Mediterraneo.

B. Sul sistema generale delle tutele normative predisposte a livello nazionale.

  Il Comitato è favorevole alla promozione di una risposta legislativa complessiva di attuazione della Costituzione sulla condizione del rifugiato nella forma di una legge organica, che regoli tutta il percorso che lo riguarda, dal momento della presentazione della richiesta d'asilo (che non necessariamente deve avvenire solo sul territorio della Repubblica), fino alla sua piena integrazione nella nostra società e, a conclusione di questo iter di inserimento, fino all'eventuale ottenimento della cittadinanza italiana in via di naturalizzazione.
  Il sistema generale dell'accoglienza e dell'integrazione dei richiedenti asilo nella legislazione italiana appare sostanzialmente ben congegnato, anche per quanto concerne la previsione di misure in grado di contrastare l'abuso dello strumento dell'asilo. Si rileva, tuttavia, che il sistema è caratterizzato da una strutturale carenza di risorse. Alcune criticità emergono poi nella prassi della gestione delle emergenze migratorie, durante le quali risulta molto difficoltoso separare nettamente il trattamento riservato ai richiedenti asilo (probabili, ma spesso incerti titolari del diritto) da quello destinato invece agli stranieri irregolari. Ciò ha determinato situazioni di promiscuità all'interno degli stessi Centri di identificazione ed espulsione (v. il caso di Lampedusa), cosa che per il futuro deve essere assolutamente evitata.
  Il principale nodo critico del sistema è costituito dal fatto che mancano a tutti gli effetti canali legali di presentazione della domanda di asilo, che non prevedano come condizione l'arrivo (quasi sempre


Pag. 32

irregolare) sul nostro territorio. Il Comitato ritiene essenziale che il Governo studi, in collaborazione con gli organismi internazionali deputati alla tutela dei rifugiati, l'eventuale possibilità di istituire Uffici all'estero in grado di raccogliere ed esaminare le domande di asilo già al di fuori del territorio dell'Unione europea, in modo da abbattere le difficoltà e i costi della gestione degli ingressi misti e dell'accoglienza dedicata, e soprattutto in modo da evitare che molti aspiranti all'asilo si imbarchino per le nostre coste a costo di enormi rischi per la propria incolumità.

C. Sull'accoglienza predisposta a favore dei richiedenti asilo.

  Come obiettivo generale il Comitato rileva la necessità di ricondurre a sistema le varie strutture di accoglienza a favore dei richiedenti asilo presenti sul territorio (Servizio protezione richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR, Centri assistenza richiedenti asilo – CARA, nonché i CIE per la parte che interessa la permanenza occasionale e temporanea di richiedenti asilo, ed ogni altra risorsa disponibile). In particolare, sembra opportuna una razionalizzazione dei soggetti responsabili coinvolti nell'assistenza e nell'espletamento delle procedure di esame delle domande di asilo, realizzando più marcate forme di coordinamento al vertice, come un centro unico di gestione dei vari centri e soggetti: CARA, attualmente sotto diretta gestione del Ministero dell'interno, SPRAR, gestito dall'ANCI, e un'altra tipologia di centri nelle città metropolitane, il tutto in connessione con il sistema emergenziale della protezione civile. Quest'ultima, pur caratterizzata da una notevole efficacia e capacità organizzativa, non è per sua natura adatta a gestire interventi di natura prettamente sociale.
  In particolare, il Comitato, pur mostrando grande apprezzamento per il lavoro continuamente svolto dal Ministro dell'interno e da tutti gli Uffici coinvolti nella gestione dei richiedenti asilo, particolarmente dal Dipartimento libertà civili e immigrazione, conviene sul fatto che alcuni aspetti nella gestione dei rifugiati potrebbero forse essere meglio collocati presso il Ministero delle politiche sociali o necessiterebbero di un coordinamento ad hoc, di livello superiore (come potrebbe essere un Ministero con specifiche competenze di gestione dei flussi migratori di ogni tipo).
  Anche in considerazione dei giudizi largamente positivi raccolti sull'esperienza dello SPRAR, il Comitato condivide l'opinione degli auditi circa la necessità di allargarne la capacità complessiva di accoglienza per i richiedenti asilo, sia dal punto di vista dell'accoglienza abitativa (aumentando la rete SPRAR di 2.000 posti), sia sotto il profilo dei percorsi di inserimento socio-lavorativo dei richiedenti asilo.
  All'allargamento della capacità dello SPRAR potrebbe altresì corrispondere, ad opinione del Comitato, l'introduzione di un più intenso criterio di responsabilizzazione di tutti gli enti regionali, nonché un rafforzamento della cooperazione regionale in questo ambito, eventualmente creando un tavolo di coordinamento a livello centrale e vari tavoli di coordinamento regionali.


Pag. 33


  Il Comitato ha raccolto le osservazioni avanzate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nelle quali si rimarca la necessità che sia garantita integralmente da parte del Governo la copertura finanziaria di tutti gli interventi già attuati o da attuare.
  Sull'attività delle commissioni territoriali per l'asilo, sono riscontrabili numerosi progressi, conseguenti, tra l'altro, al loro decentramento sul territorio. Alcune criticità riguardano qualche carenza nell'opera di formazione continua degli operatori, la scarsità dei mediatori culturali, la necessità di operare per accorciare le procedure. Queste criticità si sono aggravate durante il periodo emergenziale del 2011. Un maggiore investimento per aggiungere efficienza all'attività delle Commissioni può, tra l'altro, generare risparmi per quanto attiene ai costi di trattenimento nei CARA.

D. Sulla gestione dei flussi migratori misti e delle crisi umanitarie.

  Sulla gestione dei flussi migratori misti in occasione di gravi crisi umanitarie, il Comitato ha registrato le numerose proposte tendenti a individuare nel rilascio di un permesso umanitario per tutti i migranti provenienti dalla Libia (a prescindere dalla rispettiva nazionalità) una delle possibilità per accelerare l'uscita dallo stato emergenziale susseguente alla guerra in Libia e favorire un percorso di normalizzazione e di integrazione dei rifugiati nel tessuto sociale e lavorativo italiano. Prevale tuttavia l'opinione che una sistematica e generalizzata regolarizzazione dei flussi misti in occasione di gravi emergenze migratorie non costituisca una sufficiente ed efficace misura di contenimento e di regolazione dei flussi stessi. Anche il controllo delle frontiere, nel quadro di una rigorosa ottemperanza all’acquis di Schengen e considerata la particolare posizione dell'Italia come frontiera esterna dell'Unione, appare insufficiente in situazioni emergenziali.
  Per una migliore gestione delle rilevanti «bolle di irregolarità» che si costituiscono periodicamente nel Paese, e altrettanto periodicamente risolte mediante sostanziali sanatorie, alcuni componenti del Comitato suggeriscono di introdurre meccanismi di regolare emersione (fondati su una valutazione caso per caso). L'esistenza di un canale di questo tipo potrebbe risultare utile per ricondurre a un livello fisiologico la presenza degli stranieri in posizione di irregolarità in Italia.
  Sulle procedure di identificazione condotte all'interno dei CIE, il Comitato condivide (con vari gradi di dissenso rispetto all'attuale situazione) l'opinione che la permanenza all'interno di questi centri eccessivamente lunga e disagiata. La situazione è poi particolarmente insostenibile per i richiedenti asilo effettivamente titolari dello status di rifugiati e per coloro che hanno diritto alla protezione sussidiaria, considerato che le strutture appaiono insufficienti a gestire questi soggetti sia dal punto di vista della tutela dei loro diritti, sia dal punto di vista materiale dell'abitabilità e della ristrettezza degli spazi, che rischia di farli somigliare a centri di detenzione.
  Il Comitato rileva altresì che un ulteriore elemento di criticità all'interno dei CIE è costituito da un persistente grado di promiscuità


Pag. 34

dell'accoglienza, per la quale spesso convivono nella stessa struttura immigrati in possesso di un permesso di soggiorno scaduto (ma che magari hanno seguito un percorso di integrazione regolare), immigrati entrati illegalmente, ma con una lecita aspirazione lavorativa, insieme a soggetti caratterizzati da un'esperienza criminale a volte molto grave. Tutto questo rende la convivenza all'interno dei CIE difficoltosa e talvolta pericolosa. È infine inaccettabile che nei CIE vengano immessi soggetti in uscita dal carcere, dove hanno scontato una pena ma per i quali non si sia proceduto all'identificazione. Il Comitato è unanime nel ritenere che tale identificazione debba essere fatta nel carcere e non nei CIE, ad evitare intollerabili promiscuità e conflittualità all'interno dei medesimi.

E. Sulle procedure di esame delle domande di asilo.

  Per quanto concerne l'ipotesi di un primo screening del richiedente asilo in fase di presentazione della domanda, alcuni membri del Comitato valutano con interesse il fatto che in altri Paesi europei si faccia ricorso alle cosiddette «procedure preliminari» (anche dette «procedure accelerate» o «procedure aeroportuali»), finalizzate a individuare domande manifestamente infondate, evitando così di ingorgare gli organi decisori – soprattutto in periodi di forti flussi di entrata. In Francia sono addirittura in vigore procedure aeroportuali che trattengono il richiedente asilo all'aeroporto in attesa di questo rapido esame preliminare, dopo il quale, se il richiedente non lo supera, viene immediatamente rispedito nel Paese di origine. Altri membri del Comitato ritengono che queste procedure non tutelino adeguatamente i diritti dei migranti e si prestino ad abusi.
  Sembra opportuno che il Governo valuti con maggiore attenzione l'eventuale richiamo alla cosiddetta clausola della sovranità di cui all'articolo 3, c. 2, del Regolamento Dublino II, in base alla quale uno Stato può decidere autonomamente di esaminare una domanda di asilo di competenza di altro Stato. Ciò consentirebbe infatti in certi casi di fissare tempi certi per lo svolgimento della procedura, contribuendo contestualmente ad abbattere i costi della prolungata permanenza del richiedente asilo in attesa della decisione sullo Stato competente.
  A giudizio del Comitato, influisce sull'efficacia e sulla razionalità della procedura anche la già citata caratteristica di frammentarietà del nostro sistema d'asilo, che, già rilevata nell'ambito del Ministero dell'interno, si proietta anche nella fase successiva all'accoglienza: il rigetto della domanda d'asilo comporta conseguenze che sfuggono sia alle commissioni territoriali o alla Commissione nazionale, sia al dipartimento delle libertà civili, essendo completo appannaggio della pubblica sicurezza.
  Entrando nel merito specifico della procedura, il Comitato constata che se sono stati snelliti i tempi di esame delle domande presso le commissioni territoriali, non sono stati potenziati a sufficienza né i servizi di supporto della pubblica sicurezza né i servizi di segreteria tecnica, impedendo una ulteriore accelerazione delle procedure.


Pag. 35


  Il Comitato rileva la persistente difficoltà di eseguire le espulsioni (con accompagnamento), procedura tuttora complessa e onerosa, che presuppone uno specifico accordo con il Paese di provenienza, in assenza del quale si ricorre all'espulsione per intimazione. L'inefficacia anche di quest'ultima tipologia di provvedimento crea grossi bacini di irregolarità, anch'essi misti (cioè formati da persone entrate irregolarmente, o il cui permesso di soggiorno è scaduto, o la cui domanda d'asilo è stata rigettata, che non ha le condizioni per lavorare e non è entrato attraverso i flussi programmati, ecc.), con pesanti ricadute anche sul sistema dell'accoglienza per i richiedenti asilo.


Pag. 36

RELAZIONI
SULLE MISSIONI SVOLTE DAL COMITATO

Allegate al documento conclusivo
dell'indagine conoscitiva
sul diritto di asilo, immigrazione e integrazione in Europa

Relazione sulla missione svolta in Tunisia
(18 e 19 gennaio 2012)

  Mercoledì 18 e giovedì 19 gennaio 2012 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, guidata dalla Presidente Margherita Boniver (PdL) e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dalla senatrice Diana De Feo (PdL) e dal senatore Massimo Livi Bacci (PD), si è recata in missione a Tunisi, per incontrare i massimi rappresentanti delle autorità locali e del nuovo Governo tunisino, risultante dalle elezioni per l'Assemblea Nazionale Costituente del 23 ottobre 2011.
  Nel corso della visita la delegazione del Comitato ha incontrato il Segretario di Stato agli Affari Esteri della Repubblica tunisina Touhami Abdouli; il Ministro degli esteri, Rafik Abdessalem; il Sottosegretario agli affari sociali e emigrazione, Hassine Jaziri; il Ministro dei diritti umani, giustizia transitoria e Portavoce del Governo della Repubblica tunisina, Samir Dilou; infine il Ministro degli interni, Ali Laaridh.
  La missione rispondeva all'interesse primario del Comitato di stabilire un primo e tempestivo contatto con i rappresentanti del nuovo Governo tunisino nato dagli esiti di quella che i media hanno chiamato la «rivoluzione dei gelsomini», i moti di protesta iniziati alla fine del 2010 che in pochi mesi hanno completamente trasformato il volto politico del Paese.
  A seguito della rapida evoluzione della protesta di carattere inizialmente socio-economico, ma successivamente estesasi a tutto il Paese in forma di rivendicazioni anche politiche, il Presidente tunisino Ben Ali ha abbandonato il territorio tunisino il 14 gennaio 2011, dopo aver tentato inutilmente di riprendere il controllo del Paese. Successivamente alla formazione di un Governo di unità nazionale sotto la guida del Primo Ministro uscente Gannouchi, la situazione politica del Paese ha subito ulteriori rivolgimenti, che hanno progressivamente condotto all'accantonamento di tutte le personalità politiche connesse al vecchio regime di Ben Ali e all'affermazione del Governo di Caid Essersi, garante della transizione del Paese verso le elezioni dell'Assemblea Nazionale svoltesi il 23 ottobre del 2011. Da queste elezioni, caratterizzate da una notevole parcellizzazione del voto, è emerso maggioritario il partito di ispirazione islamica moderata Ennhada, di cui è espressione il Primo Ministro Hamadi Jebali.
  La delegazione del Comitato nel corso degli incontri ha avuto l'opportunità di incontrare i massimi rappresentanti delle nuove istituzioni tunisine emerse dai rivolgimenti politici e sociali del 2011,


Pag. 37

espressione in particolare del partito emergente e maggioritario di Ennhada. La tempestività della visita (la seconda visita istituzionale italiana in ordine di tempo a partire dalla formazione del nuovo Governo tunisino) ha garantito il massimo interesse e una grande visibilità degli incontri svolti, consentendo alla delegazione del Comitato di svolgere una significativa funzione di trait d'union in rappresentanza dell'Italia nei confronti di un Paese che necessita di legittimazione internazionale e di stabilizzazione, anche sul fronte estero oltre che sul piano interno.
  Il processo di transizione verso nuove elezioni ha visto prolungati momenti di criticità economica in un quadro di sicurezza interna permanentemente instabile: tali condizioni, all'origine del sensibile incremento dei flussi migratori verso Lampedusa già dalla primavera del 2011, hanno ulteriormente consigliato lo svolgimento di una visita tempestiva della delegazione del Comitato, non solo per acquisire elementi di conoscenza nello specifico ambito di competenza sull'immigrazione, ma anche per rafforzare e incoraggiare le autorità tunisine preposte al controllo delle coste e instaurare quanto prima proficui rapporti di collaborazione su questo versante, anche in vista del prossimo futuro.
  Gli incontri svolti dalla delegazione del Comitato hanno evidenziato una perdurante condizione di criticità dell'economia, caratterizzata da un forte tasso di disoccupazione, un significativo calo del PIL e delle principali fonti di reddito del Paese (principalmente legate al turismo), un preoccupante deterioramento delle condizioni di sicurezza interna.
  Il quadro politico economico tunisino è caratterizzato da un sensibile calo del turismo (solo verso l'Italia nell'ordine del 67 per cento), un calo generale del 7 per cento del PIL, 800.000 disoccupati (di cui 200.000 laureati) su una forza lavoro di 3.700.000 persone. A ciò si aggiungono alcuni problemi di sicurezza e microcriminalità, in precedenza sconosciuti alla Tunisia, dovuti anche ad un insufficiente controllo del territorio da parte delle autorità di polizia tunisine, oltre che probabilmente alla volontà – da parte del nuovo governo – di accreditarsi come espressione di democrazia e non come strumento di repressione, in rapporto di evidente discontinuità rispetto all’ancien régime. Non mancano in questo contesto alcuni rigurgiti di matrice salafita, soprattutto nelle scuole e nelle università, che tuttavia restano ai margini di un quadro politico dominato dalla matrice islamica moderata e tollerante di Ennhada, sulla quale gli interlocutori tunisini hanno più volte posto l'accento.
  In tutti gli incontri del Comitato sono emerse chiaramente le tre priorità individuate dal Governo tunisino come base per la propria azione: stabilizzazione della situazione politica, rilancio dell'economia e miglioramento della sicurezza interna. Al primo obiettivo gli interlocutori tunisini hanno sin dall'inizio attribuito grande importanza, chiarendo come il rafforzamento e la conferma dei rapporti bilaterali esistenti (particolarmente con l'Italia) rientrino nel quadro della stabilizzazione politica, attraverso il recupero della credibilità del Paese a livello internazionale, e costituiscano anche la premessa essenziale per il ristabilimento dell'equilibrio economico e della sicurezza.
Pag. 38


  Nell'incontro con il Sottosegretario agli Affari esteri Touhami Abdouli, la Presidente Boniver ha invitato la controparte tunisina a formulare gli auspici del Governo in materia di cooperazione bilaterale finalizzata al controllo dei flussi migratori: in questa sede è emerso che il Governo tunisino auspica la conclusione di accordi di cooperazione allo sviluppo finalizzati ad alleviare il forte tasso di disoccupazione (particolarmente giovanile) delle regioni più disagiate della Tunisia, da cui proviene la gran parte dei flussi migratori verso l'Italia, con l'obiettivo di una gestione concordata del fenomeno migratorio.
  Sul fronte del controllo dei flussi migratori i tunisini hanno sottolineato che il loro concetto di politica migratoria poggia su tre pilastri: lotta contro l'immigrazione clandestina, gestione coordinata dell'immigrazione regolare e cooperazione economica con l'estero. Il Sottosegretario ha evidenziato che i danni del precedente regime sono ancora visibili nell'alto tasso di corruzione della vita pubblica e nella presenza di forti masse di giovani disoccupati, per troppo tempo trascurati dal regime. Il Governo attuale è dunque concentrato sulla necessità di attirare gli investimenti stranieri, di favorire processi di migrazione «circolare», riducendo quanto prima il tasso di disoccupazione, e di controllare i flussi migratori evitando tuttavia che la Tunisia si trasformi nel «poliziotto» del Maghreb.
  Il Sottosegretario ha anche ventilato l'ipotesi che la Tunisia possa essere con qualche formula associata al Trattato di Schengen, come soluzione strategica per tamponare i flussi migratori incontrollati provenienti dall'Africa sub sahariana; ha sottolineato la priorità della stabilizzazione politica del Paese da raggiungere anche attraverso il ristabilimento dei rapporti bilaterali pregressi; ha infine espressamente chiesto che il Governo italiano consideri l'opportunità di rinnovare i permessi di soggiorno degli 11.000 tunisini attualmente presenti sul nostro territorio per alleviare la tensione interna della disoccupazione giovanile.
  Il Comitato ha avuto poi l'opportunità di incontrare fuori programma il neo Ministro degli esteri Rafik Abdessalem, con il quale la Presidente Boniver ha potuto congratularsi per il modello di cambiamento politico ed epocale che la Tunisia ormai incarna nei confronti di tutto il Maghreb dall'inizio della primavera araba. Il Ministro per parte sua ha ribadito più volte la priorità di stabilizzare il Paese sul fronte interno, rafforzando la sua immagine all'estero, in modo da ripristinare le condizioni per l'afflusso dei capitali stranieri e per una ripresa immediata del turismo, fonte essenziale di reddito per il Paese.
  L'incontro con il Sottosegretario agli Affari Sociali e Emigrazione, Hassine Jaziri, si è incentrato prevalentemente sulle cause economiche dei grandi flussi migratori, menzionando anche la questione dei centinaia tunisini scomparsi nel canale di Sicilia, questione che nell'opinione pubblica locale è fortemente sentita. La delegazione del Comitato ha assicurato anche in questo frangente l'impegno italiano a sostenere il processo di transizione della Tunisia verso la democrazia e la stabilizzazione politica, anche attraverso il rafforzamento dei rapporti economici bilaterali.
  In particolare la Presidente Boniver ha sottolineato la necessità di affrontare l'agenda dell'immigrazione clandestina in modo diverso a causa della crisi economica globale, affiancando al controllo di questi
Pag. 39

flussi un adeguato aiuto allo sviluppo diretto verso i Paesi di origine dei migranti. Il senatore Livi Bacci ha invece avanzato l'ipotesi che i tunisini predispongano strutture adeguate affinché i migranti provenienti dall'Africa sub sahariana possano presentare domanda di asilo in territorio tunisino invece di affrontare la rischiosa traversata del Mediterraneo, che ha visto più di 1500 perdite di vite umane nei soli primi sei mesi del 2011.
  I tunisini hanno auspicato il potenziamento degli strumenti di cooperazione con l'OIM, FRONTEX e l'UNHCR, applicando concretamente gli strumenti internazionali esistenti per la gestione dei flussi migratori e il controllo delle frontiere marittime. È stato messo in rilievo anche il grave problema relativo alla presenza di più di 4000 immigrati libici nei centri di raccolta ai confini con la Libia, che non possono essere rinviati nel loro Paese, né istradati verso l'Unione europea.
  Il Ministro dei diritti umani, Giustizia transitoria e Portavoce del Governo Samir Dilou ha assicurato che il risultato delle urne in Tunisia non può in alcun modo alimentare il timore – diffuso all'estero – di una possibile deriva politica verso l'integralismo islamico. Ha anche ammesso che la situazione economica e sociale è ancora estremamente fragile, così come deve essere ancora avviato il processo di radicamento di una nuova cultura dei diritti umani e civili, da estendere anche ai settori della sicurezza pubblica e del trattamento carcerario.
  Particolarmente denso di contenuti politici e umani è stato l'incontro con il Ministro degli interni Ali Laaridh, il quale ha definito la condizione in cui attualmente versa la Tunisia come un immenso cantiere economico, sociale e politico, cui occorre mettere mano quanto prima.
  Da ex militante oppositore di Ben Ali (detenuto per 15 anni nelle carceri del regime) e alla luce delle umiliazioni e delle violazioni subite in quella veste, il Ministro si è detto consapevole della cruciale importanza del Ministero degli interni per la vita politica del Paese, dichiarando il suo impegno a trasformarlo in un punto di riferimento amato dalla popolazione, anziché identificato (come invece avveniva in precedenza), con la longa manus di uno stato poliziesco responsabile di gravi violenze e sistematiche violazioni di diritti umani. La sensibilità e l'attenzione al rispetto della dignità della persona e dei diritti umani, con l'obiettivo di evitare i gravi errori del passato, sono stati perciò da lui individuati come il cardine fondamentale nella conduzione del Ministero e nella costruzione della nuova democrazia tunisina.
  Il Ministro ha evidenziato la necessità di un cambiamento della mentalità nel Paese sotto il profilo politico, culturale: nel tempo necessario a questo salto qualitativo la Tunisia potrà diventare un Paese nel quale gli oppositori di altri Paesi potranno trovare rifugio.
  Ricordando che il Paese è passato da un regime sostanzialmente dittatoriale ad una nuova realtà politica fondata su libere elezioni e sulla manifestazione del dissenso, il Ministro ha fatto intendere che il Governo è molto attento a mantenere un giusto equilibrio fra ordine pubblico e libertà di manifestazione anche nelle piazze, nella consapevolezza che alle origini del malcontento sociale e popolare – così come dell'immigrazione di massa verso l'estero – vi sono sempre ragioni economiche su cui è necessario intervenire adeguatamente.
Pag. 40

Nonostante ciò il Ministro ha voluto sottolineare che in questa fase storica la Tunisia necessita prioritariamente di una radicale riforma a livello politico generale, prima di procedere ad un altrettanto ampio programma di riforme economico-sociali.
  Il Ministro ha dichiarato che, contrariamente alle notizie diffuse dai mass media all'estero, la Tunisia intende aprirsi al mondo esterno – europeo e non europeo – non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello culturale. Esiste la ferma volontà di consolidare e rafforzare i rapporti con i Paesi dell'Unione europea, che stanno accompagnando la Tunisia nel percorso di democratizzazione; è necessario snellire la burocrazia e affrontare quanto prima le ripercussioni che l'attuale congiuntura mondiale avrà sull'economia del Paese, ripristinando al più presto la piena funzionalità dell'industria turistica.
  In replica alla senatrice Diana De Feo, che poneva alcuni quesiti sulla sicurezza interna della Tunisia e sull'opportunità di estendere i permessi di soggiorno per lavoro stagionale, i tunisini hanno assicurato che i siti turistici tunisini in particolare non sono mai stati a rischio criminalità o terrorismo e che il flusso di lavoro stagionale verso l'Italia non è sufficiente ad alleviare il problema della disoccupazione interna.
  Per quanto concerne il controllo delle frontiere marittime verso l'Italia, è stata ribadita la volontà del nuovo Governo tunisino di mantenere e rafforzare gli impegni presi nell'ambito dell'accordo bilaterale con l'Italia, stipulato con il Ministro Maroni il 5 aprile 2011.
  Esponenti dello staff del Ministro hanno confermato la volontà nel perseguire la lotta all'immigrazione irregolare, a partire dalla terraferma, specificando che i rimpatri finora effettuati sono stati 4.000, al ritmo di due voli a settimana. I tunisini hanno confermato la necessità che gli aiuti promessi dall'Italia nell'ambito dell'accordo del 2011 siano erogati con tempestività, essendo essenziali al controllo dell'immigrazione irregolare già sul suolo tunisino.
  Sul fronte della gestione dei flussi migratori provenienti dall'esterno della Tunisia e diretti verso l'Italia, invece il Ministro ha messo in evidenza il grave impegno rappresentato per le forze di polizia tunisine dal controllo degli oltre 500 km di frontiera con la Libia, da cui continua a provenire una forte pressione migratoria, mentre è stata indicata come comparativamente più agevole la gestione della frontiera con l'Algeria.
  Su questo punto, l'Ambasciatore Pietro Benassi ha ricordato che l'Italia ha contribuito alla lotta all'azione di controllo delle frontiere con 4 motovedette, 14 pezzi di ricambio delle stesse, 600 vetture terrestri e materiale informatico.
  Il Vice Presidente Ivano Strizzolo ha sottolineato il comune interesse italo-tunisino ad una efficiente gestione del fenomeno migratorio nel rispetto dei diritti umani, della legalità e della trasparenza, assicurando che l'Italia apprezza la nuova fase politica della Tunisia ed ha interesse a rafforzare il percorso di transizione democratica in atto, come modello per gli altri Paesi nordafricani.
  Il Ministro, nel ringraziare l'Italia per l'assistenza sinora prestata alla Tunisia anche in virtù degli speciali legami tra i Paesi, ha poi espresso una precisa richiesta affinché il nostro Paese riservi agli immigrati tunisini un trattamento rispettoso dei loro diritti, poiché
Pag. 41

sono pervenute lamentele da cittadini tunisini ospitati nei centri di accoglienza italiani. Su questo punto la Presidente Boniver ha dato ampie assicurazioni, respingendo ogni ipotesi di violenza sugli immigrati tunisini o di violazione dei loro diritti all'interno dei CIE: ha chiarito con fermezza che le delegazioni del Comitato, che hanno più volte visitato i Centri per immigrati sparsi sul territorio italiano nell'ultimo anno, hanno spesso riscontrato carenze di spazi e di risorse, ma mai violazioni di diritti umani o trattamenti degradanti a danno degli immigrati ospitati.

Relazione sulla missione svolta in Bulgaria
(14 e 15 marzo 2012)

  Mercoledì 14 e giovedì 15 marzo 2012 una delegazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, guidata dalla Presidente Margherita Boniver (PdL) e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dall'onorevole Teresio Delfino (UdC) e dal senatore Massimo Livi Bacci (PD), si è recata in missione a Sofia in Bulgaria, per incontrare i rappresentanti delle istituzioni e delle autorità locali, con l'obiettivo di approfondire la questione del prossimo ingresso della Bulgaria nell'area Schengen e verificare sul posto lo stato di preparazione del Paese sul fronte del controllo delle frontiere.
  Nel corso della visita, la delegazione ha incontrato la Presidente dell'Assemblea Nazionale Tsetska Tsacheva; il Vice Presidente dell'Assemblea Nazionale e Presidente della Commissione per la sicurezza interna e l'ordine pubblico Anastas Anastasov; il Ministro della giustizia Diana Kovacheva; il Vice Ministro degli interni Dimitar Georgiev; il Vice Ministro degli esteri Konstantin Dimitrov; i Presidenti ed alcuni membri delle Commissioni del parlamento bulgaro competenti per gli affari interni, l'immigrazione, gli affari esteri ed europei, la sicurezza; la Signora Megleva Kuneva, ex Ministro degli affari europei ed ex Commissario europeo per la tutela dei consumatori.
  La visita aveva un preminente carattere di studio, volto ad approfondire la concreta situazione della Bulgaria in vista del suo prossimo ingresso nell'area di libera circolazione di Schengen, confermando contestualmente la posizione dell'Italia che ha sempre manifestato il suo aperto sostegno alla Bulgaria in tal senso (a differenza di alcuni partner europei, come i Paesi Bassi, che si oppongono all'accesso di Sofia). Da parte bulgara tuttavia, l'accoglienza riservata alla delegazione, con la predisposizione di un programma molto fitto e di minuziose presentazioni tecniche, ha lasciato intendere la preoccupazione delle autorità bulgare di accreditare presso il Comitato e il Parlamento italiano in generale l'immagine di una Bulgaria perfettamente pronta, sotto ogni profilo politico e tecnico, a sostenere il ruolo di custode delle frontiere esterne dell'Unione europea, una volta entrata a pieno titolo nell'area Schengen.
  Nell'incontro con la Presidente dell'Assemblea Nazionale Tsetska Tsacheva sono stati immediatamente affrontati i nodi politici del


Pag. 42

ritardato ingresso della Bulgaria nell'area Schengen, che a giudizio della parte bulgara dipenderebbero principalmente da problemi di politica interna di alcuni Paesi aderenti all'Accordo che si oppongono attualmente all'ingresso di Romania e Bulgaria (in particolare i Paesi Bassi). Su questo punto la Presidente Tsacheva ha criticato apertamente la commistione di criteri tecnici e politici nella valutazione del grado di preparazione della Bulgaria a questo ingresso e il moltiplicarsi di richieste che l'Unione europea avanza al Governo bulgaro per accordare ai cittadini bulgari la libera circolazione in Europa.
  La posizione bulgara in particolare insiste sul fatto che la valutazione del soddisfacimento dei criteri tecnici fissati per l'ingresso della Bulgaria nell'area di libera circolazione a livello europeo si sovrappone, quando non si confonde, con i rapporti di monitoraggio (interim report) che la Commissione europea pubblica (dal gennaio 2007, a seguito dell'adesione del Paese all'UE) nel quadro del Meccanismo di Cooperazione e Verifica e che nulla dovrebbero avere a che fare con la capacità tecnica delle autorità bulgare di garantire la tenuta delle frontiere. La Presidente Boniver in questa occasione ha ribadito la posizione fin all'inizio apertamente favorevole dell'Italia rispetto al processo di adesione della Bulgaria prima all'Unione europea ed ora all'area Schengen, specificando che l'Italia ha appena proceduto (gennaio 2012) ad abolire il regime transitorio in precedenza previsto per la circolazione dei lavoratori bulgari nei territori di alcuni Stati membri di Schengen. Ha tuttavia suggerito di contestualizzare il processo di ingresso di Bulgaria e Romania nell'area Schengen in presenza di significativi fattori geopolitici, come la recente insorgenza di eccezionali flussi migratori provenienti dal Medio Oriente che in questo momento inducono a riconsiderare attentamente la fissazione di nuovi confini esterni dell'Unione europea.
  Gli incontri con i rappresentanti delle principali Commissioni dell'Assemblea Nazionale bulgara competenti per i temi dell'immigrazione, degli affari europei e della sicurezza hanno confermato i timori dei bulgari di essere oggetto di un monitoraggio politico troppo penetrante da parte dell'Unione europea e la loro diffidenza nei confronti della progressiva moltiplicazione dei criteri da soddisfare in vista dell'entrata nello Spazio Schengen. Tale moltiplicazione non si spiega a loro avviso con l'esigenza, asseritamente tecnica, di verificare l'effettiva capacità del Paese di tutelare adeguatamente le proprie frontiere – capacità a giudizio dei bulgari ampiamente accertata – ma piuttosto con un atteggiamento diffidente, se non apertamente sfavorevole verso il Paese, che va superato attraverso l'applicazione imparziale dei criteri tecnici già stabiliti a questo scopo in sede europea. Per questo la Bulgaria si aspetta che nella riunione del Consiglio Giustizia e Affari interni prevista per settembre 2012 sia deliberato definitivamente il suo ingresso in Schengen, senza ulteriori condizionalità.
  In risposta ai bulgari, i quali ponevano l'accento sul fatto che «solo» all'interno di Schengen la Bulgaria potrà pienamente ed efficacemente assolvere al compito di tutelare le frontiere europee verso l'Asia minore (in particolare sulla linea di confine con la Turchia) e sull'opportunità di favorire l'adesione all'Unione europea di tutti i Paesi balcanici, l'onorevole Strizzolo è intervenuto per manifestare
Pag. 43

la convinzione che la Bulgaria, opportunamente sostenuta in questo processo di inclusione nell'area Schengen, potrà costituire un potente elemento di stabilizzazione dell'area balcanica, contribuendo al rafforzamento delle frontiere esterne dell'Unione europea, piuttosto che al loro indebolimento. L'onorevole Delfino ha invece posto l'accento sulla necessità di fare pressione sull'Unione europea, con la collaborazione di Sofia e di Tirana, per accelerare la realizzazione dei corridoi paneuropei, in particolare del Corridoio 8. Il senatore Livi Bacci ha infine concluso manifestando la sua solidarietà per le preoccupazioni bulgare, ma sottolineando che anche il processo di adesione dell'Italia all'area Schengen non è stato né breve né agevole e che proprio per questo occorre avere pazienza e resistere ai rigurgiti di nazionalismo e xenofobia che in alcuni Paesi europei rischiano di mettere in pericolo la preziosa conquista di civiltà rappresentata dall'Accordo di Schengen.
  Nell'incontro con il Ministro della giustizia Diana Kovacheva, i colloqui si sono incentrati quasi esclusivamente sui contenuti del disegno di legge sul sequestro dei beni di provenienza illecita che l'Assemblea Nazionale bulgara dovrebbe approvare entro la fine di marzo, per ottemperare a quanto richiesto nell'ultimo rapporto di monitoraggio periodico effettuato dalla Commissione europea, che insiste sulla necessità che la Bulgaria acceleri il processo di revisione della legislazione in materia di lotta contro la corruzione e il riciclaggio.
  Questo disegno di legge contiene norme particolarmente stringenti volte al sequestro di beni probabile frutto di attività illecite o di reati come associazione a delinquere, corruzione, appalti truccati, reati tributari, contrabbando o riciclaggio. Poiché nel progetto si prevede che la confisca del bene avvenga con procedimento civile, indipendentemente da una sentenza penale passata in giudicato, sulla base dell'indagine condotta da un'apposita Commissione (di nomina sostanzialmente politica), sono stati posti seri dubbi di legittimità costituzionale all'interno delle stesse forze politiche bulgare, soprattutto per quanto concerne la tutela dei diritti individuali e della proprietà privata. Sul piano della politica europea, che qui interessa, è stata rilevata anche dalla delegazione del Comitato la delicatezza di un intervento legislativo dettato dall'esterno (nella fattispecie dalla Commissione europea), che rischia di comprimere i diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini bulgari, sotto la minaccia virtuale di escludere il Paese dai benefici dell'appartenenza all'Unione europea e all'area Schengen. Si tratta di un vulnus alla sovranità nazionale che non solo pone seri interrogativi sulla legittimità democratica di tali imperativi europei, ma rischia anche di sollevare nelle forze politiche e nell'opinione pubblica bulgare (come già in altri Paesi europei) spinte fortemente antieuropee o derive nazionaliste, di cui è opportuno che le istituzioni europee tengano debitamente conto.
  Alcune serie critiche a questo disegno di legge sono state avanzate, nel corso dell'incontro avuto con la delegazione del Comitato, anche dalla Signora Megleva Kuneva, personalità emergente nel quadro politico interno bulgaro, che raccoglie la vecchia opposizione al regime comunista rappresentata dal partito dell'ex-sovrano ed ex Premier
Pag. 44

Simeone II e che sta per formare un proprio raggruppamento politico in vista delle prossime elezioni previste per il 2013.
  L'incontro con la Signora Kuneva ha evidenziato davanti al Comitato le diverse sfaccettature del panorama politico bulgaro, dominato dall'agenda dei temi europei (di cui l'attuale Governo fa un punto di onore), ma in realtà assillato dai molti problemi derivanti da un apparato giudiziario ancora scarsamente indipendente, da un tessuto economico relativamente fragile e da una debole coesione sociale. Il colloquio non ufficiale con Megleva Kuneva ha indirettamente posto il luce – ancora una volta – il potenziale conflitto esistente in alcuni Paesi membri dell'Unione europea fra obiettivi di armonizzazione dettati da un'agenda esterna europea (spesso frettolosamente realizzati dai Governi nazionali sotto pena di essere esclusi dal nucleo qualificante dell'Unione stessa) e più urgenti esigenze democratiche di Paesi – come la Bulgaria – che ancora attraversano una difficile fase di transizione politica ed economica.
  Il Vice Ministro degli interni Dimitar Georgiev ha concentrato l'attenzione del Comitato sulla presentazione tecnica dell'attività e delle strutture del Ministero dell'interno, volta ad illustrare diffusamente lo stato dei progressi compiuti dalla Bulgaria nella predisposizione di tutte le misure atte a garantire l'assoluta impermeabilità dei suoi confini esterni, in ottemperanza a quanto richiesto per la sua entrata nello Spazio Schengen. Sono anche emersi tuttavia, su richiesta specifica della delegazione, alcuni problemi irrisolti relativi alla criminalità organizzata, nonché una situazione ancora embrionale per quanto riguarda la gestione e l'organizzazione dei Centri di accoglienza per gli immigrati e i richiedenti asilo, che evidentemente rappresentano ancora numeri troppo limitati per consentire di valutare la reale capacità delle autorità di frontiera bulgare di gestire efficacemente eventuali emergenze migratorie.
  Delle condizionalità che sono ancora al centro del sofferto processo di avvicinamento della Bulgaria all'area Schengen (lotta alla corruzione, riforma della giustizia e rafforzamento dei controlli alle frontiere), l'incontro con il Vice Ministro si è incentrato quasi esclusivamente sullo stato di avanzamento dei controlli tecnici e delle procedure di identificazione dei migranti alle frontiere (marittime e terrestri), piuttosto che su una esposizione politica degli altri profili rilevanti per il Consiglio Giustizia e Affari Interni del prossimo settembre (che dovrebbe deliberare sull'idoneità della Bulgaria ad entrare in Schengen). In questo incontro, ulteriormente supportato dalle successive presentazioni tecniche illustrate al Comitato dagli organi della polizia di frontiera, è emersa ancora una volta la preminente preoccupazione dei bulgari di accreditare un'immagine efficiente e affidabile anzitutto sul piano burocratico e tecnico, ancor prima che politico, nella convinzione che la delegazione del Comitato svolgesse una attività di verifica per conto delle istituzioni europee piuttosto che di studio per la propria funzione parlamentare di indirizzo.
  Le dettagliate presentazioni tecniche che la Polizia di frontiera bulgara ha svolto davanti al Comitato per illustrare le modalità del monitoraggio tecnico sui confini di terra e di mare (in particolare sul confine con la Turchia) hanno evidenziato una preparazione tecnica
Pag. 45

presumibilmente adeguata ad affrontare un prevedibile aumento dei flussi migratori provenienti dall'Asia minore, una volta che la Bulgaria sarà entrata nell'area Schengen.
  I dati acquisiti dalla delegazione in questi incontri parlano di 1170 ingressi sul territorio bulgaro nel corso del 2011, provenienti in ordine decrescente da Iraq, Turchia, Siria, Palestina, Marocco ed altri Paesi. Dal novembre 2010 la polizia di frontiera bulgara utilizza il sistema SIS e nelle procedure di identificazione opera secondo le best practices già in uso presso gli altri Stati membri di Schengen.
  Il Vice Ministro degli esteri Konstantin Dimitrov è ritornato sul punto politico più qualificante, già emerso negli altri incontri svolti dalla delegazione, cioè sulla necessità di non sovrapporre la valutazione meramente tecnica del soddisfacimento dei requisiti per l'ingresso della Bulgaria nello Spazio Schengen con il rapporto di monitoraggio che la Commissione redige nel quadro del Meccanismo di Cooperazione e Verifica, di carattere squisitamente politico, che coinvolge profili più ampi di politica europea e di armonizzazione delle legislazioni. Se sotto quest'ultimo profilo la Bulgaria deve ancora percorrere una parte della strada che la separa dalla piena integrazione europea, il profilo relativo alla sua idoneità a far parte dell'area Schengen è – almeno a giudizio della parte bulgara – pienamente acclarato.
  La delegazione del Comitato Schengen si reputa soddisfatta del bagaglio di informazioni acquisite nel corso della missione di studio a Sofia, prendendo atto che per le istituzioni bulgare l'ingresso della Bulgaria a pieno titolo nell'area Schengen rappresenta un punto di onore, che l'Unione europea non può trascurare senza urtare la sensibilità di un Paese che molto ha fatto (e ancora farà) per venire incontro alle difficili condizioni di volta in volta poste per la sua adesione.
  Permangono tuttavia alcune perplessità che riguardano una possibile sottovalutazione da parte della Bulgaria del carico di responsabilità e di oneri materiali che potrebbe verosimilmente comportare lo slittamento dei confini esterni dell'Unione europea sulla frontiera turco-bulgara. Questo slittamento potrebbe a sua volta indurre un aumento della pressione migratoria proveniente dall'Asia e far emergere complicati problemi di gestione di masse di migranti all'interno dei pochi centri di accoglienza bulgari, con le connesse difficoltà relative all'eventuale respingimento o espulsione di molti di essi e soprattutto – punto non sufficientemente chiarito nel corso dei colloqui – all'espletamento delle procedure di identificazione dei richiedenti asilo.
  La delegazione del Comitato si è trovata altresì d'accordo sulla funzione politicamente stabilizzante e di controllo che la Bulgaria potrebbe svolgere sull'intera area balcanica, una volta ammessa nello Spazio Schengen, considerato che nei Balcani operano attualmente le più grandi reti della criminalità transnazionale impegnate nel traffico di droga e di persone, sulle quali sarebbe perciò opportuno stabilire un'adeguata attività di contenimento.
  Infine, la delegazione ha rilevato la necessità di procedere quanto più speditamente possibile nel percorso di armonizzazione legislativa fra i vari Stati membri dell'Unione europea, evitando tuttavia l'effetto perverso in base al quale i Governi dei Paesi maggiormente svantaggiati
Pag. 46

– come Bulgaria e Romania – rischiano di comprimere i diritti dei loro cittadini, se non addirittura lo stesso interesse nazionale, nello sforzo di corrispondere a richieste onerose in termini di adeguamento della legislazione interna e di rispetto del Patto di stabilità, avanzate dalle istituzioni europee.

Relazione sulla missione svolta in Turchia
(dal 16 al 18 maggio 2012)

  Conformemente a quanto deliberato dall'Ufficio di Presidenza del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, da mercoledì 16 a venerdì 18 maggio 2012 una delegazione del Comitato, guidata dalla Presidente Boniver e composta dall'onorevole Ivano Strizzolo e dai senatori Massimo Livi Bacci e Diana De Feo, si è recata in missione in Turchia, per incontrare i rappresentanti delle istituzioni competenti per le politiche europee e il controllo dell'immigrazione.
  Il primo giorno, giunta ad Ankara, la delegazione del Comitato ha incontrato il sottosegretario per gli Affari Europei Mehmet Haluk Ilicak.
  Il sottosegretario ha espresso gratitudine nei confronti dell'Italia per l'appoggio che il nostro Paese ha manifestato in relazione al processo di adesione della Turchia all'Unione europea, che ha espresso il suo interesse ad entrare in Europa fin dal 1959. Sottolineando che una buona parte dell'economia turca dipende dai rapporti con i Paesi dell'Unione europea, si è augurato che l'Europa esca presto dalla crisi economica in cui si trova: un crisi che ha ridotto il volume delle esportazioni dalla Turchia verso i Paesi europei dal 50 per cento del 2010 al 41 per cento del 2011, rischiando così di ripercuotersi negativamente anche sulla bilancia commerciale turca.
  Quanto alle questioni più strettamente connesse all'accordo di Schengen, è emerso fin dal principio che il nodo cruciale dei rapporti fra Turchia ed Unione europea attualmente è rappresentato dal duplice scoglio della politica europea di concessione dei visti di ingresso sul territorio dell'Unione a cittadini turchi (sempre più restrittiva) e delle contemporanee negoziazioni della stesse istituzioni di Bruxelles con la Turchia per la conclusione di accordi di riammissione relative ai migranti che varcano le frontiere clandestinamente le frontiere dell'Unione provenendo dal territorio turco.
  Su questo punto il Sottosegretario agli Affari europei ha subito chiarito la ferma posizione della Turchia, in base alla quale le due negoziazioni devono procedere parallelamente: nella fattispecie, la Turchia è disponibile alla conclusione degli accordi di riammissione (che l'Europa considera essenziali per esercitare un efficace controllo delle frontiere europee) solo a patto che l'Unione europea riveda la sua politica di concessione dei visti ai cittadini turchi, che allo stato attuale i turchi considerano del tutto immotivata, se non addirittura punitiva nei confronti del loro Paese. In particolare, l'introduzione del visto, avvenuta dopo il colpo di stato militare del 1980, contrasterebbe con un processo di segno opposto che ha visto il progressivo


Pag. 47

avvicinamento della Turchia all'Europa, sia in termini di progresso politico e civile, sia in termini economici e di flussi migratori: da Paese di emigrazione la Turchia si è infatti trasformata in Paese di immigrazione per una vasta area che va dal Caucaso al Medio Oriente e che rappresenta oggi il principale bacino di influenza economica e politica della Turchia stessa, senza menzionare il fatto che molti dei flussi di uscita di lavoratori turchi verso l'Europa si sono radicalmente ridotti, a causa dell'alto tasso di disoccupazione attualmente esistente nei Paesi dell'Unione.
  Sotto questo profilo, i rappresentanti delle istituzioni e delle autorità competenti per l'immigrazione che il Comitato ha avuto modo di incontrare nel corso della visita hanno ripetutamente manifestato la loro contrarietà a quello che viene considerato un atteggiamento di chiusura pregiudiziale dell'Unione europea – se non di vera e propria diffidenza – nei confronti della Turchia, la quale, oltre a non essere più per parte sua un Paese di origine di immigrazione clandestina, ha anche dimostrato di essere un valido partner nel controllo delle frontiere dell'Unione. La ricorrente espressione di questo malumore da parte degli interlocutori turchi (fondamentalmente da attribuire allo stallo che sta scontando il processo di adesione della Turchia, soprattutto se confrontato, ad esempio, con i negoziati intrapresi con Paesi dell'area balcanica giunti molto più tardi alla richiesta di adesione), ha trovato un appiglio concreto nel fatto che l'Unione europea sta effettivamente avviando una politica dei visti molto più favorevole nei confronti di alcuni Paesi emergenti (Russia e Brasile), trascurando il ruolo chiave della Turchia in questo ambito, nonché sottovalutando quella che i turchi hanno definito come una maggiore efficienza delle autorità turche rispetto alla stessa Grecia nel controllo dei confini. Per questi motivi, la delegazione del Comitato ha ritenuto di esprimere in più occasioni il fermo sostegno italiano ai negoziati di adesione della Turchia e la volontà delle autorità diplomatiche e consolari italiane di garantire la massima flessibilità possibile nella concessione di visti a cittadini turchi che si recano in Italia per turismo o affari e che pertanto non meritano di essere discriminati rispetto a cittadini di altri Paesi terzi.
  In particolare, il Sottosegretario ha fatto presente che il rischio di una migrazione di massa dalla Turchia verso l'Europa è da considerare infondato, mentre invece i dati statistici confermano piuttosto un'inversione di tendenza del fenomeno.
  Da sondaggi effettuati da istituti universitari risulta ad esempio che la percentuale degli studenti turchi che si trasferirebbero in Europa ammonta attualmente al 25 per cento, grazie al basso tasso di disoccupazione della Turchia odierna, contro il 75 per cento registrato negli anni passati. Fonti tedesche hanno dimostrato che nel 2011 27.000 cittadini turchi si sono trasferiti in Germania, mentre dalla Germania in Turchia il flusso registrato è stato di 35.000 unità.
  Sul versante degli accordi di riammissione, il Sottosegretario ha chiarito che la copertura finanziaria di questi accordi costituisce un forte onere per la Turchia, rispetto al quale i finanziamenti offerti da parte europea appaiono del tutto insufficienti. Ha ricordato che se l'Europa continua a non rispettare le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di concessione di visti ai cittadini turchi
Pag. 48

sarà difficile trovare un accordo anche sui temi della riammissione dei migranti. Peraltro, ha fatto presente che, nonostante i suoi confini non siano quelli dell'area Schengen, la Turchia intercetta molti più clandestini rispetto alla Grecia: l'Unione europea dovrebbe allora domandarsi perché continua a servirsi di un partner – la Grecia – che non è in grado di bloccare il traffico di migranti irregolari in entrata nel proprio territorio, anziché usufruire del sostegno e dell'efficace azione di contenimento che ha dimostrato di poter esercitare in questo ambito la Turchia.
  Secondo il Vice Presidente Ivano Strizzolo la Turchia ha una funzione strategica per il Medio oriente e l'area del Mediterraneo soprattutto in relazione ai Paesi protagonisti della «Primavera araba», rispetto ai quali la Turchia rappresenta un modello politico ed economico; pertanto è auspicabile e necessaria la collaborazione tra la Turchia e l'Italia e gli altri Paesi dell'Unione europea, più nell'interesse di questi ultimi che della Turchia stessa. L'Italia del resto ha sempre sostenuto l'ingresso della Turchia nel contesto europeo e l'accelerazione del processo di adesione.
  Nel suo intervento il senatore Massimo Livi Bacci ha dichiarato che l'Italia – a differenza dell'Unione europea – non è intimorita dallo divario demografico con la Turchia (la cui popolazione nel 2050 sarà il doppio di quella italiana), ma piuttosto preoccupata dell'aumento della migrazione irregolare di transito sul territorio turco: in vista di un suo ingresso in Europa, la Turchia dovrebbe necessariamente rafforzare le proprie frontiere con la Siria e l'Iraq, in modo sufficiente a rassicurare anche gli altri Paesi europei sulla questione del controllo dei flussi migratori.
  La senatrice Diana De Feo ha sostenuto che alla base dell'atteggiamento europeo vi sono, oltre che differenze di natura religiosa e culturale, preoccupazioni che derivano dall'importante peso anche economico che la Turchia avrà in futuro in termini di dimensioni e popolazione.
  Il sottosegretario ha replicato che la Turchia è fonte di ispirazione per i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente in virtù del proprio modello politico in cui Islam e democrazia possono pacificamente convivere: la dimostrazione è nella realizzazione delle riforme attuate, anche nel campo della giustizia e del rispetto dei diritti umani. Rappresenta, in ordine di grandezza, il secondo esercito dei Paesi aderenti alla Nato ed il primo in Europa. Nel processo di adesione della Turchia nell'Unione europea ogni ostacolo e offesa frapposte non sono solo dirette alla Turchia, ma ad ogni Paese che ad essa si ispira: per evitare un conflitto tra civiltà occorre dimostrare che al rispetto delle regole consegue un uguale trattamento.
  Per quanto concerne i traffici illeciti connessi ai flussi dell'immigrazione clandestina, anche la Turchia è seriamente preoccupata dal fenomeno, aggravato anche dal fatto che in molti i casi i migranti che arrivano in Turchia decidono di rimanervi, anziché defluire verso altri Paesi. Per rafforzare i confini turchi sono stati pianificati investimenti per 6.500 milioni di euro fino al 2018.
  In particolare, per quanto concerne il contrabbando di armi, l'immigrazione clandestina e il terrorismo, il Sottosegretario ha posto in rilievo quelle che a suo giudizio sono pesanti responsabilità del
Pag. 49

PKK, il movimento politico clandestino armato incluso nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'UE. Ha stigmatizzato l'atteggiamento tollerante di alcuni Paesi membri dell'UE nei confronti del PKK (in Danimarca ad es. l'organizzazione dispone addirittura di un canale televisivo tuttora attivo, nonostante sia stato riconosciuto in sedi giudiziali che si tratta di un mezzo di propaganda), rimarcando come in generale la cooperazione giudiziaria con i Paesi europei sul fronte della lotta al PKK sia insoddisfacente.
  Sulla questione siriana, il Sottosegretario ha tenuto a sottolineare che la Turchia ha cambiato il proprio iniziale atteggiamento nei confronti di Assad, divenendo capolista del blocco antisiriano, ma solo per ragioni umanitarie. La Siria resta un interlocutore importante per i turchi, anche perché rappresenta il Paese con il confine più lungo (800 chilometri), ma la Turchia non interverrà mai nel conflitto interno, se non per legittima difesa, e comunque non prima di una decisione multilaterale. Ha infine segnalato che attualmente il Governo turco sta sostenendo la permanenza di circa 35.000 rifugiati siriani all'interno di campi di accoglienza considerati tra i migliori al mondo, dotati di strutture come scuole, ospedali, luoghi di culto, servizi di vario genere.
  Il secondo giorno della missione (17 maggio 2012) ha avuto luogo l'incontro con il Vice Ministro degli affari esteri Naci Koru, il quale ha immediatamente affrontato la questione dei flussi migratori successivi alla crisi nordafricana diretti verso la Turchia: il Governo turco sta predisponendo nuove misure amministrative e legislative per garantire un approccio più efficace nella gestione dell'immigrazione irregolare e nel controllo delle frontiere, anche in ragione del lunghissimo confine asiatico – marittimo e terrestre – che fa della Turchia la porta di comunicazione fra Europa ed Asia.
  Su questo punto in particolare, il Vice Ministro ha segnalato il progressivo incremento dei centri di accoglienza per immigrati irregolari, che richiede molte risorse. Ha informato che dal 2010 è in uso il passaporto biometrico, che l'80 per cento dei passaporti in uso sono stati rinnovati e 5 milioni di nuovi passaporti sono stati rilasciati. È anche all'esame del Parlamento un disegno di legge sullo status degli stranieri in Turchia.
  Tornando sulla questione dei visti, il Vice Ministro ha definito inconcepibile la politica che alcuni Paesi dell'Unione europea perseguono nei confronti dei cittadini turchi (artisti ed intellettuali compresi), in tempi in cui non esiste più il rischio che essi entrino clandestinamente in territorio europeo.
  Sul fronte dei rapporti con in Paesi dell'area, questione sollevata dall'Onorevole Strizzolo, il Vice Ministro ha tenuto a sottolineare il clima di buona collaborazione e gli ottimi rapporti di vicinato non solo con i Paesi caucasici (con la Georgia – oltre che con la Russia – è stato abolito l'obbligo di visto), ma anche con la Grecia e tutta l'area balcanica, legata alla Turchia da profondi legami culturali e storici da più di 400 anni. Esistono consistenti minoranze turche in tutti i Paesi balcanici (solo in Grecia vi sono 750.000 cittadini di origine turca); in Macedonia sono ancora evidenti le opere dell'Impero ottomano; in Romania la popolazione ha intensi rapporti con la Turchia.
Pag. 50


  Sul tema dei visti è intervenuto il senatore Livi Bacci, per il quale l'accordo sui visti e quello sulle riammissioni rappresentano priorità da risolvere in tempi brevi, ma occorre trovare una ragionevole forma di compromesso perché la contemporaneità auspicata dalla Turchia non è praticabile. Il Senatore ha poi chiesto delucidazioni sulle procedure di espulsione e sulle modalità di trattenimento dei circa 50.000 immigrati irregolari fermati dalle autorità turche, chiedendo altresì conferma del reale numero di immigrati irregolari sul territorio turco (che a seconda degli studi effettuati oscillano fra i 200.000 e il milione di unità).
  Il Vice Ministro degli affari esteri Koru non ha fornito dati numerici precisi sul numero di immigrati clandestini presenti in Turchia, ma ha parlato di una drastica riduzione del flusso irregolare diretto in Grecia, ribadendo la ferma intenzione della Turchia di combattere il fenomeno anche per motivi di sicurezza interna.
  L'efficiente attività di controllo di sicurezza dei confini svolta dalla Guardia Costiera, continue consultazioni con le autorità greche e scambi tra le rispettive intelligence hanno ridotto del 70 per cento il fenomeno degli ingressi clandestini dalla Turchia verso la Grecia. Nel contempo è aumentato il numero dei centri di accoglienza ed è prevista l'apertura di altri centri, mentre è in corso uno sforzo per migliorare le condizioni di tali strutture di accoglienza per risolverne il problema di sovraffollamento, sempre nell'ambito di stretti rapporti i cooperazione con i Paesi confinanti.
  Il 17 maggio si è svolto l'incontro con il Presidente della Commissione Affari Interni del Parlamento Turco, Muammer Guler, che si è principalmente incentrato sul problema dell'immigrazione clandestina in transito sul territorio turco, proveniente non solo dall'Ucraina e dai paesi caucasici limitrofi ma anche dall'Africa. Poiché la Presidente del Comitato, Onorevole Boniver, ha tenuto a sottolineare che la gestione dell'immigrazione richiede il massimo rispetto dei diritti dei migranti e del loro bisogno di trovare – ove possibile – un ragionevole inserimento lavorativo, il Presidente Guler ha assicurato che la Turchia garantisce il pieno rispetto dei diritti umani nella gestione dell'immigrazione irregolare. La maggiore criticità nella lotta a tale fenomeno è comunque rappresentata dalla loro identificazione, necessaria per un eventuale rimpatrio, dato che quasi sempre mancano i documenti di identità che accertino il Paese di origine al quale poter reindirizzare i soggetti irregolari.
  In questo quadro è particolarmente importante intercettare e controllare le navi in transito nelle acque territoriali turche: negli ultimi anni numerose navi provenienti dall'India, transitando dal Canale di Suez ed attraversando il Mar Egeo dirette verso la Grecia, sono state intercettate grazie all'azione di contrasto della Guardia Costiera turca.
  Nel corso dell'incontro il Vice Presidente Strizzolo ha evidenziato la difficoltà dell'Italia nel far comprendere ai Paesi del centro e nord Europa l'importanza e la necessità di una politica comune di contrasto al complesso problema dell'immigrazione irregolare (anche alla luce dei recenti fatti che hanno interessato il Nord Africa e il Medio Oriente), anche ai fini dell'ordine pubblico. Ha rimarcato che se la Turchia fosse già nell'Unione europea sarebbero possibili azioni più coordinate ed
Pag. 51

incisive nel Mediterraneo. Anche per questa ragione l'Italia auspica che l'ingresso della Turchia nel contesto europeo avvenga in tempi brevi.
  L'incontro successivo si è svolto con il Presidente della Commissione Affari Esteri Volkan Bozkir, il quale ha preliminarmente rimarcato come le recenti modifiche del Codice Penale turco abbiano inasprito le pene per l'ingresso illegale nel territorio turco. Fornendo un ampio quadro degli attuali flussi migratori che interessano il territorio turco, conseguentemente minacciando anche le frontiere di Schengen, il Presidente Bokzir ha parlato di 870.00 migranti fino al 2011 (in media 50.00 all'anno), soffermandosi sugli enormi profitti che questo traffico rappresenta per la criminalità organizzata e le organizzazioni terroristiche (fra cui naturalmente il PKK).
  Sottolineando come i suoi predecessori che la maggiore difficoltà di gestione dell'immigrazione irregolare consiste nel fatto che molti migranti distruggono i propri documenti di identità per impedire la loro identificazione (e conseguente espulsione verso il Paese di origine) Bokzir si è particolarmente soffermato sulla questione dei costi relativi alla gestione degli immigrati irregolari in caso di conclusione degli accordi di riammissione con l'Unione europea.
  A questo proposito, chiarendo che i costi da prevedere (circa 7 miliardi di dollari, secondo i turchi) riguardano non solo il trattenimento e l'accoglienza a tempo indeterminato di un numero crescente di migranti clandestini, ma anche il controllo materiale dei confini e l'addestramento delle forze dell'ordine, il Presidente Bokzir ha fatto presente che per la Turchia è essenziale che si trovi un accordo per un'equa condivisione di questi oneri (burden sharing), versante sul quale le proposte dell'Unione europea appaiono del tutto inadeguate. Per illustrare la disparità finanziaria, il Presidente Bokzier ha affermato che in base ad un accordo di riammissione con la Grecia la Turchia riceve 70 euro per ogni clandestino rimpatriato, mentre la Turchia nell'ambito di un analogo accordo con il Pakistan paga a questo Paese ben 1000 dollari per ogni migrante riammesso. È altresì necessario quindi, secondo i turchi, concludere preliminarmente adeguati accordi di riammissione fra la Turchia stessa e i Paesi confinanti, sui quali l'Ue potrebbe opportunamente esercitare la propria influenza politica in tal senso.
  Sul punto, il Presidente Bokzir, pur riconoscendo che la negoziazione con l'Unione europea sul fronte dell'accordo di riammissione sta portando i suoi frutti, pervenendo ad un testo condiviso, ha esplicitamente subordinato la firma di questo stesso accordo da parte turca ad una precisa svolta nella politica dei visti dell'area Schengen nei confronti dei cittadini turchi, nonché ad un'accelerazione del processo di adesione della Turchia all'Unione europea.
  Questo processo agli occhi degli interlocutori turchi che il Comitato ha avuto modo di incontrare appare infatti pretestuosamente rallentato, se non bloccato, dalle continue richieste rivolte dall'UE alla sola Turchia volte a soddisfare sempre nuovi requisiti per l'adesione, requisiti che invece – secondo i turchi – la stessa UE non ha il coraggio o l'intenzione di chiedere ad altri Paesi aspiranti all'adesione. Paesi che per dimensioni e peso strategico o economico non possono competere con la Turchia, ma che evidentemente, secondo i turchi, godono di un trattamento di favore motivato dalla
Pag. 52

sola contiguità geografica o – peggio – da una presunta maggiore omogeneità storica o religiosa.
  Inoltre, ha proseguito Bokzir, con lo sblocco della questione dei visti non sarebbe da escludere, a suo giudizio, un'inversione di tendenza del flusso migratorio non più dalla Turchia all'Europa, ma nella direzione inversa, a causa del crescente tasso di disoccupazione dei Paesi europei.
  Infine ha avuto luogo l'incontro della delegazione del Comitato con il Ministro degli interni Idris Naim Sahin, reduce dal vertice intergovernativo italo-turco di Roma, nel corso del quale è stato concluso un significativo Accordo di cooperazione contro la criminalità, come il Ministro stesso ha tenuto a sottolineare. In questa sede è stato altresì evidenziato il ruolo crescente della Turchia nella lotta contro l'immigrazione clandestina, in collaborazione con l'Unione europea e la Nato, nonché il rilevante numero di centri di accoglienza per i migranti costruiti dalle autorità turche (più di 40 su tutto il territorio turco). Il Ministro ha poi sottolineato la difficoltà di controllare un confine terrestre di circa 2.700 km (di cui 400 con l'area Schengen), cui si aggiungono altri 2.500 km di confini marittimi, riaffermando la necessità di garantire prioritariamente la sicurezza dei confini in un quadro di gestione integrata con l'Unione europea, cioè compatibile fin d'ora con l’acquis europeo.
  Il Ministro in particolare ha fornito alcuni dati sull'afflusso di immigrati clandestini sul territorio turco, specificando che negli ultimi 12 anni sono stati fermati sul suolo turco circa 850.000 clandestini, dei quali 33.000 nel 2010 e 41.000 nel 2011. Le autorità di pubblica sicurezza turche si concentrano maggiormente sull'attività di contrasto e cattura dei trafficanti, piuttosto che sui respingimenti: negli ultimi quindici anni sono state perciò arrestate 11.000 persone coinvolte nei traffici di persone connessi all'immigrazione clandestina, contemporaneamente sono state sensibilmente inasprite le sanzioni a carico dei trafficanti, motivo per cui attualmente la Turchia non rappresenta più una base operativa per il traffico di immigrati clandestini come in passato. Il Ministro ha altresì contestato le stime relative al numero di immigrati irregolari presenti sul territorio turco riferite dal senatore Livi Bacci (tra i cinque e i dieci milioni), affermando che il numero complessivo di queste persone non supera i 150.000 (di 1 o 2 immigrati irregolari al massimo per ogni 1000 abitanti). Ha inoltre precisato che il maggior numero di immigrati irregolari sul suolo turco si concentra nelle aree metropolitane, dove il controllo sociale è normalmente più alto: a Istanbul ad esempio sarebbero presenti non più di 70.000 immigrati irregolari. A domanda del senatore Livi Bacci, ha poi risposto che l'abolizione dei visti d'ingresso in Turchia con i Paesi limitrofi non ha aggravato la presenza di immigrati irregolari, ma al contrario ha consentito un più corretto monitoraggio del fenomeno. In particolare, ha chiarito che le autorità turche non hanno registrato significativi flussi da e per la Siria negli ultimi otto mesi.
  Il 18 maggio, in conclusione della missione, la delegazione parlamentare si è recata a visitare la frontiera con la Grecia, in località Edirne, attraverso la quale transitano circa 65.000 autovetture l'anno. Si tratta di una piccola dogana per la quale non passano mezzi pesanti. La frontiera terrestre misura 13 chilometri, mentre quella naturale, delineata
Pag. 53

dal fiume Evros misura 190 chilometri. Attraverso questo punto del confine transita ogni anno l'80 per cento del traffico di migranti irregolari diretto verso l'area Schengen (25.000 persone nel 2011).
  Sulla questione della costruzione da parte della Grecia di una frontiera artificiale con la Turchia (un muro di 12 chilometri per 3 metri di altezza), gli interlocutori si sono dichiarati contrari perché convinti, da un lato, dell'incisività della sorveglianza messa in atto dalle forze di polizia turche e, dall'altro, dell'inefficacia di tale tipo di misura per fermare il traffico di esseri umani. Ai fini dei controlli vengono utilizzati pattugliamenti organizzati da cinque posti di Polizia e telecamere sensibili termiche. Gli immigrati fermati lungo questa frontiera rappresentano un decimo rispetto a quelli intercettati nelle altre postazioni della frontiera greca. Secondo le autorità greche gli irregolari transitano per lo più attraverso Edirne.
  Nell'incontro con il Governatore di Edirne, è emerso quindi che i Paesi di maggiore provenienza dei migranti irregolari sono la Palestina, la Birmania, l'Afghanistan e la Somalia. Anche il Governatore, come gli altri interlocutori si è detto certo che l'adesione della Bulgaria all'area Schengen comporterà un aumento del flusso di clandestini in transito per la Turchia.
  Infine la delegazione ha brevemente visitato il centro di accoglienza situato nel Governatorato di Edirne, costruito con fondi turchi, che ha una capienza di 656 posti, dei quali attualmente sono occupati solo 400.

Relazione sulla missione svolta in Romania
(10 e 11 ottobre 2012)

  Il 10 e 11 ottobre 2012 una delegazione del Comitato Schengen guidata dalla Presidente Margherita Boniver e composta dei deputati Ivano Strizzolo, Teresio Delfino e Vincenzo Taddei, si è recata in missione a Bucarest, in Romania, per svolgere incontri con le autorità locali di livello parlamentare e governativo, con lo scopo di approfondire i temi di competenza del Comitato e di reciproco interesse bilaterale, in vista del previsto ingresso della Romania nell'area Schengen.
  Nel corso della visita, che si è incentrata su una fitta agenda di incontri al massimo livello istituzionale, la delegazione del Comitato ha potuto incontrare in ordine di tempo il Ministro dell'interno e dell'amministrazione pubblica, Mircea Dusa; il capo del Dipartimento Schengen, affari europei e relazioni internazionali, Marian Tutilescu; il Presidente della Romania, Traian Basescu; il Presidente della Camera dei deputati, Valeriu Zgonea; il Vice Presidente del Senato, Petru Filip; i Presidenti ed i membri della Commissione per la politica estera del Senato e della Camera dei deputati e della Commissione difesa, ordine pubblico e sicurezza nazionale del Senato e della Camera dei deputati; il Primo Ministro, Victor Ponta; il Segretario della Commissione romeni all'estero, Senatore Viorel Badea; il Vice Ministro degli affari esteri con delega agli affari europei, Luminita Odobescu; il Ministro della giustizia, Mona Pivniceru.


Pag. 54


  Nell'incontro con il Ministro dell'interno Mircea Dusa, cui è intervenuto anche il capo del Dipartimento Schengen, Affari europei e Relazioni internazionali, Tutilescu, sono stati preliminarmente sottolineati gli sforzi compiuti dalla Romania per ottemperare a tutti i requisiti – non solo tecnici – necessari per l'ingresso nell'area Schengen, inclusa la costruzione di infrastrutture e la conclusione di Accordi di riammissione con la Serbia e la Bosnia-Erzegovina, In questo frangente è stato chiarito che i richiedenti asilo in Romania (tra cui molti Serbi, anche se questi ultimi sono per lo più senza titolo a richiedere l'asilo) sonno stati nel 2011 circa 800, in prevalenza provenienti da Afghanistan, Iraq e Palestina.
   Il Direttore Tutilescu in particolare ha fatto presente che la difficoltà nell'assorbimento dei Fondi europei di coesione manifestata dalla Romania è spesso dipesa, oltre che per l'inesperienza delle autorità rumene competenti, dalle scadenze talora molto brevi di utilizzo degli stessi Fondi, che perciò non sono stati adeguatamente sfruttati (questo è vero soprattutto per la costruzione di aeroporti, come invece si sperava che fosse). Sono invece stati acquisiti gli strumenti e le strutture tecnologicamente più avanzate per l'ammodernamento dei sistemi di sorveglianza delle frontiere, inclusi macchinari molto sofisticati in grado di rivelare il passaggio di persone sul confine terrestre.
  Il Ministro Dusa ha assicurato che la cooperazione di polizia con i Paesi circostanti per il controllo delle frontiere è particolarmente intensa: il modello di cooperazione trilaterale promosso dalla Romania nei confronti di Grecia e Turchia sembra aver portato dei buoni risultati finora, in termini di controllo dei flussi e soprattutto di lotta alle reti internazionali della criminalità organizzata e del traffico di persone. Il Ministro ha perciò posto l'accento sul ruolo essenziale svolto dalla cooperazione giudiziaria e di polizia a livello regionale, soffermandosi particolarmente sul recente sviluppo di un rapporto privilegiato fra Romania e Turchia, Paese da cui proviene il maggior numero di migranti che entrano in Unione europea attraverso il territorio greco.
  La Romania ha anche previsto un pacchetto di misure compensative, consistenti in un rafforzamento delle forze di polizia sui confini interni (particolarmente con la Bulgaria), nel momento in cui venissero meno i controlli di polizia a seguito dell'ingresso nello spazio Schengen (e sarà comunque opportuno non abbassare la guardia sul quel tratto di territorio), o nel caso di eventi eccezionali che comportino ingenti flussi migratori. Rimane in ogni caso un fondamentale interesse nazionale rumeno quello di mettere in sicurezza i propri confini terrestri, marittimi e fluviali.
  Il Ministro Dusa ha infine espresso la contrarietà all'ipotesi – ventilata in sede europea – di consentire alla Romania un ingresso in due tempi nell'area Schengen, riguardante cioè separatamente le frontiere marittime e quelle terrestri.
  Nell'incontro con il Primo Ministro Victor Ponta ci si è anzitutto soffermati sul principale ostacolo politico che si frappone all'ingresso della Romania nell'area Schengen, rappresentato dall'opposizione della Germania e dei Paesi Bassi, e soprattutto sull'indebito (secondo i rumeni) collegamento, operato dalle autorità europee, fra l'ingresso della Romania in Schengen e il soddisfacimento di condizioni eminentemente
Pag. 55

politiche, rappresentate dal Meccanismo di cooperazione e verifica con il quale la Commissione europea monitora periodicamente lo stato di avanzamento delle riforme nei Paesi di recente adesione. Si tratta infatti di un monitoraggio politico, che di fatto esula dalle regole concordate in precedenza per l'ingresso del Paese nell'area Schengen (consistenti nel soddisfacimento di requisiti meramente tecnici), e che invece costituisce un corpo di consistenti condizioni politiche aggiuntive. La Romania – come è emerso ripetutamente anche nel corso dei colloqui successivi – respinge decisamente questo mutamento di linea dell'Unione europea, interpretandolo come una mancanza di fiducia, se non addirittura come una forma di discriminazione nei confronti dei rumeni, che ne ricavano anzitutto ingenti danni economici.
  Il Primo Ministro ha fatto presente che la Romania ha investito ben due miliardi di euro (di cui uno proveniente da fondi europei) nella costruzione delle infrastrutture e per l'acquisizione dei macchinari necessari alla soddisfazione dei requisiti tecnici per il controllo delle frontiere: un ulteriore ritardo del suo ingresso nello spazio Schengen a questo punto non è più frutto di una valutazione tecnica, ma è una decisione chiaramente politica, che si auspica possa essere presa il prima possibile in sede europea.
  La delegazione del Comitato è stata poi ricevuta dal Presidente della Repubblica, Traian Basescu, protagonista nella scorsa estate un scontro istituzionale che lo ha posto in conflitto con il Primo Ministro e il partito di riferimento dell'attuale Governo. A seguito delle gravi forzature costituzionali che sono derivate da questo scontro per opera di entrambe le parti è scaturita da parte della Commissione europea la richiesta di adempiere ad una specifica agenda di avanzamento delle riforme istituzionali, che si è concretata in una lettera del Presidente Barroso contenente undici specifiche condizioni politiche da soddisfare (concernenti principalmente il rispetto della separazione dei poteri, la garanzia dell'indipendenza della magistratura, un maggiore efficacia nella lotta alla corruzione).
  Il Presidente Basescu si è detto consapevole delle preoccupazioni che il grave conflitto istituzionale rumeno ha destato in sede europea e ha affermato la necessità di fugare questo tipo di timori attraverso un rapido ritorno alla normalità costituzionale (già realizzatosi peraltro) e un forte recupero di credibilità, volto a rassicurare i partner europei sulla effettiva rispondenza della Romania all’acquis europeo. Anche Basescu tuttavia ha stigmatizzato la decisione europea di trasformare i requisiti tecnici di ingresso della Romania nello spazio Schengen in condizioni aggiuntive di natura politica da soddisfare per il futuro immediato, condizioni del tutto estranee al testo del Trattato di adesione all'Unione europea firmato dalla Romania e che pertanto sono interpretate dai rumeni alla stregua di vere e proprie «sanzioni» nei confronti del loro Paese.
  Il Presidente si è poi diffuso sulla situazione economica del Paese, all'origine anche delle tensioni politiche dell'estate: l'adozione di misure anticrisi estremamente impopolari (dai tagli alla spesa pubblica all'introduzione di nuove tasse) ha scatenato una forte reazione popolare, che ha messo in crisi la maggioranza di governo e innescato una sensibile instabilità politica. Gli alti tassi di interesse seguiti alla
Pag. 56

crisi del 2008 hanno determinato un ridotto ricorso al mercato, da cui è scaturita la necessità di ulteriori tagli al bilancio dello Stato, per i quali i partiti del momento hanno pagato un alto prezzo politico. Pur in presenza di un sensibile calo degli investimenti esteri, il processo di modernizzazione del Paese tuttavia è proseguito, con misure di liberalizzazione del mercato del lavoro (maggiore flessibilità in entrata nel mercato del lavoro), con una riduzione del livello di welfare (giudicato troppo alto dal Presidente Basescu). La crescita del PIL nel 2012 si è attestata all'1 per cento, il debito pubblico ha raggiunto il livello del 30 per cento in rapporto al PIL e l'inflazione è intorno al 3 per cento.
  L'incontro con il Presidente della Camera dei deputati rumena Valeriu Stefan Zgonea ha ancora una volta sottolineato gli enormi sforzi compiuti dalla Romania per adeguarsi ai requisiti tecnici di accesso all'area Schengen, rispetto ai quali un ulteriore decisione di ritardarne l'ingresso è percepita come una forma di sanzione ingiustificata. L'Unione europea rappresenta per il mondo un modello sociale ed economico da emulare, ma proprio per questo le regole per entrare a farne parte devono essere uguali per tutti e rispettate nello stesso modo: un dossier eminentemente tecnico come quello di adesione all'area Schengen non deve diventare uno strumento di pressione politica nei confronti della Romania, che ha compiuto e sta ultimando importanti progressi in campo economico, di consolidamento fiscale, di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
  Il Vice Presidente del Senato Petru Filip si è invece soffermato nei colloqui con la delegazione sul problema dell'immagine e della credibilità della Romania in Unione europea, che a suo giudizio risulta particolarmente danneggiata da isolati episodi di criminalità commessi da alcuni cittadini rumeni, nonché dalla presenza di consistenti insediamenti di rom in molti Paesi membri dell'UE. Di fronte al timore che in conseguenza di ciò possa diffondersi in Europa un atteggiamento ingiustificatamente ostile o addirittura discriminatorio nei confronti dei cittadini rumeni, la Presidente Boniver ha rassicurato il Vice Presidente Filip sul fatto che in Italia alcune manifestazioni di ostilità presenti sul web nei confronti dei cittadini rumeni sono attribuibili ad una ristretta minoranza di persone, mentre il pessimismo che si diffonde sul futuro dell'Europa in alcuni Paesi membri dipende largamente dalla crisi economica e dalla percezione del pericolo rappresentato da alcune ridottissime frange di immigrazione islamica non sufficientemente integrata, problema che ovviamente non riguarda la Romania.
  La delegazione del Comitato ha quindi incontrato alcuni membri e i rispettivi presidenti delle Commissioni esteri e difesa della Camera e del Senato rumeni, in un ampio colloquio che ha avuto principalmente ad oggetto la qualità eccezionale delle relazioni italo-rumena e lo stato di avanzamento del dossier Schengen, ulteriormente rallentato dai recenti sommovimenti politici rumeni.
  In particolare il Presidente della Commissione esteri del Senato Mircea Geoana ha parlato di una strategia politica nazionale rumena di integrazione delle minoranze rom, che costituiscono oggettivamente anche un problema di visibilità all'estero della Romania; dell'obiettivo nazionale di potenziare la lotta alle reti della criminalità organizzata,
Pag. 57

in considerazione della posizione geografica che fa della Romania un crocevia fra traffici criminali da est verso ovest e viceversa; della necessità che l'Unione europea sia fondata anche sul principio della solidarietà, fra Sud e Nord, fra vecchi e nuovi membri.
  Il presidente della Commissione difesa del Senato (ed ex Ministro dell'interno) Cristian David si è invece soffermato sul ruolo svolto dalla numerosa comunità rumena presente in Italia, fattore di importante sviluppo economico che non può essere messo in ombra da isolati episodi di criminalità; nonché sulle prospettive di accesso all'eurozona, attualmente previsto per il 2015, ma obiettivamente ancora piuttosto lontano da raggiungere, soprattutto in ragione dell'ancora limitato livello di competitività dell'economia rumena.
  La delegazione del Comitato ha poi chiesto ai propri interlocutori di esprimere un'opinione in merito al ruolo e al futuro di FRONTEX: tutti si sono trovati d'accordo nella necessità di potenziare l'Agenzia sia sotto il profilo tecnico e delle risorse, sia sul versante istituzionale, rimarcando l'opportunità di una reale interoperabilità delle forze di polizia di tutti i Paesi UE sui confini dell'Unione, in modo che il carico del controllo delle frontiere non ricada unicamente sui governi dei Paesi membri periferici.
  Nell'incontro con il Ministro degli esteri con delega agli Affari europei Luminita Odobescu si è ritornati sulla questione dell'opposizione politica di alcuni Paesi membri dell'UE (segnatamente della Germania e dei Paesi Bassi) all'ingresso della Romania nello spazio Schengen e del sopravvenuto collegamento fra il soddisfacimento dei requisiti tecnici di adesione e l'esito dei Report della Commissione europea in base al Meccanismo di cooperazione e verifica. L'applicazione di questo Meccanismo infatti, a giudizio della parte rumena, non dovrebbe influire sulla tempistica di abolizione dei controlli alle frontiere già prevista per la Romania e ripetutamente spostata in avanti proprio in ragione del prolungarsi di queste verifiche di natura eminentemente politica.
  Il Ministro ha fatto presente che, in vista dell'obiettivo temporale di marzo 2013, che il Governo rumeno si è posto per entrare a far parte dello spazio Schengen (e che si auspica possa essere la data definitiva), è stato deciso di adottare alcune misure supplementari (cd. flanking measures), per confermare la volontà della Romania di ottemperare a tutti i requisiti dell’acquis di Schengen. Sono stati così ricevuti esperti provenienti da vari Paesi membri dell'Unione europea (tra cui i Paesi Bassi), per consentire loro di verificare sul posto il grado di preparazione raggiunto dal sistema rumeno di controllo delle frontiere (in particolare negli aeroporti e al confine con la Serbia). Anche le verifiche aggiuntive di questi esperti hanno dato esito positivo. Contemporaneamente è stata rafforzata la cooperazione di polizia e giudiziaria con Grecia, Bulgaria e Turchia, nella consapevolezza che il punto debole da potenziare non è il confine con la Bulgaria sul Danubio, ma quello che corre fra Grecia e Turchia.
  I rapporti con la Bulgaria confermano, secondo le dichiarazioni del Ministro, il comune intento di Romania e Bulgaria di entrare contemporaneamente nello spazio Schengen, rigettando ogni ipotesi di ingresso separato di uno dei due Paesi. Per quanto invece riguarda un futuro accesso all'eurozona, i principali indicatori macroeconomici
Pag. 58

della Romania confermano che il Paese si sta preparando all'adesione: il Governo prevede di farcela per il 2015, pur nella consapevolezza che occorre ancora fare molti passi sulla via della completa integrazione economica. Da parte italiana si è sottolineata anche in questo frangente la necessità che si proceda ad una profonda e completa integrazione economica europea nell'interesse del futuro della stessa Unione europea, che solo così potrà fare fronte alla concorrenza dell'economia globale.
  Da ultimo la delegazione del Comitato ha incontrato il Ministro della giustizia, Mona Pivniceru, la quale ha fornito un ampio ed esaustivo quadro del complesso processo di transizione che la Romania sta sperimentando nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento giuridico, richiesto dal Trattato di adesione all'Unione europea. In particolare, è in atto nel sistema giuridico rumeno una colossale operazione di revisione dei quattro codici (penale, civile, di procedura penale e civile), che implica una rifondazione completa dei rapporti giuridici nella società rumena per adeguarli all’acquis europeo. Questa grande opera di trasformazione sta richiedendo un enorme dispendio di energie e risorse, lungo un arco temporale molto ampio, che deve tenere conto delle difficoltà connesse all'esame e alla revisione delle cause e dei processi in corso, della grande volatilità di molte norme giuridiche emanate dopo la rivoluzione (con grave danno alla credibilità internazionale del Paese), del pesante sovraccarico di lavoro che pesa su ogni giudice, considerata anche la (preesistente) notevole lunghezza dei processi. Si tratta di uno straordinario sforzo di adeguamento, di cui occorre rendere merito alla Romania, che richiede un tempo commisurato alla difficoltà di riconvertire le cause pendenti e di condurre le necessarie campagne informative per aiutare la popolazione in questo senso.
  Il Ministro si è poi soffermato sullo stato di avanzamento degli adempimenti richiesti alla Romania nel quadro del Meccanismo di cooperazione e di verifica, per quanto concerne non soltanto la revisione dei quattro codici, ma anche l'efficienza dell'intera macchina giudiziaria, l'inasprimento delle misure contro la corruzione, la garanzia di indipendenza dei giudici, la situazione delle carceri. Ha contestualmente auspicato che la severità con cui la Commissione europea ha attivato il Meccanismo di cooperazione e verifica nei confronti della Romania sia analoga a quella applicata per tutti i Paesi membri, consentendo altresì alla Romania di giungere quanto prima ad una definitiva normalizzazione dell'attività giudiziaria a tutti i livelli come presupposto di progresso giuridico e sociale.
  Nel corso dei diversi incontri la delegazione italiana ha sempre fermamente espresso l'incondizionato sostegno italiano alla posizione della Romania per quanto riguarda un suo rapido ingresso nello spazio Schengen: sostegno, che – come ha ripetutamente sottolineato la Presidente Boniver – è tanto più solido in quanto è condiviso da tutte le forze politiche.
  Gli altri componenti della delegazione hanno più volte posto l'accento sul prezioso apporto che la Romania all'interno di Schengen può fornire non solo alla messa in sicurezza dei confini dell'Unione, ma anche alla stabilizzazione democratica dell'area balcanica e alla lotta alle reti della criminalità organizzata che transitano per il suo
Pag. 59

territorio (onorevole Strizzolo). In particolare, il processo ineludibile che condurrà la Romania all'interno dell'area Schengen accrescerà il peso politico ed economico dell'Unione europea, accelerando il passaggio verso quelli che dovrebbero diventare gli Stati Uniti d'Europa (onorevole Delfino). Semplificando ed abbattendo i costi degli scambi commerciali interni, si rafforzerà sensibilmente anche la fiducia reciproca fra gli Stati membri dell'Unione, contribuendo così a fare dell'Europa un soggetto politico ed economico più adeguato ad affrontare la competizione globale e la concorrenza dei mercati emergenti (onorevole Taddei).
  La Presidente ha altresì auspicato che al convinto sostegno politico italiano alla posizione rumena possano corrispondere più intensi legami economici e commerciali fra i due Paesi, anche considerato il grande numero di imprese italiane da tempo stabilmente insediate in Romania.

Relazione della missione svolta nei Paesi Bassi
(5 e 6 dicembre 2012)

  Una delegazione del Comitato, guidata dalla Presidente Boniver e composta dal Vice Presidente Ivano Strizzolo (PD), dall'onorevole Ida D'IPPOLITO VITALE (UdCpTP) e dal senatore Massimo LIVI BACCI (PD), si è recata in missione a L'Aja per incontrare esponenti del Parlamento e del Governo dei Paesi Bassi, con lo scopo di approfondire temi di comune interesse relativamente alla gestione delle politiche migratorie e alla tutela dei diritti dei richiedenti asilo.
  Era altresì intenzione del Comitato visitare la sede e incontrare il Presidente ed altri esponenti della Corte penale internazionale, istituzione di grande rilievo internazionale e di particolare interesse per il Comitato, data anche la recente nomina a Vice Presidente del giudice italiano Cuno Tarfusser.
  Infine il Comitato ha avuto la possibilità di visitare la sede di Europol e confrontarsi con i rappresentati di vertice dell'organismo, sulla cui attività il Comitato esercita le sue funzioni di vigilanza per espressa attribuzione di legge.
  Oltre a questo duplice obiettivo di confronto su temi di comune interesse e di approfondimento di questioni di livello internazionale, il programma della visita era concepito con l'intento di rafforzare la cooperazione parlamentare tra Italia e Paesi Bassi nel contesto di generale interdipendenza delle politiche migratorie fra Stati membri dell'Unione europea, anche in considerazione delle diverse posizioni sostenute dai rispettivi Governi. La visita assumeva una valenza speciale in considerazione della ventilata revisione del Regolamento Dublino II, del dibattito sulle linee di riforma della governance di Schengen, nonché per orientare in generale il perdurante negoziato sulla costruzione del Sistema europeo comune di asilo.
  Il primo incontro del Comitato si è svolto presso la sede del Parlamento con l'onorevole Sharon Gesthuizen, membro della Commissione parlamentare per la Sicurezza e la Giustizia e componente del Partito socialista.


Pag. 60


  Il colloquio ha riguardato i temi dell'asilo politico e dell'immigrazione, con uno scambio reciproco di opinioni – anche informali – e di valutazioni sulle rispettive situazioni interne in materia di gestione ed integrazione degli stranieri immigrati. Una particolarità da sottolineare in questa occasione: è emerso che il modello olandese di integrazione sociale e culturale degli immigrati, conosciuto in Europa per la sua particolare apertura alle culture straniere e per la grande tolleranza che lo caratterizza, sembra essere in progressivo declino, almeno nella percezione dei cittadini olandesi, (alcuni dei quali lo valutano addirittura come «fallimentare», secondo l'onorevole Gesthuizen). A questi orientamenti non sarebbe però estranea, a suo giudizio, l'influenza esercitata particolarmente sull'opinione pubblica dal Partito per la libertà di Geert Wilders, conosciuto in Europa per essere fortemente contrario alle politiche di integrazione degli immigrati stranieri sia nei Paesi Bassi che in generale in Unione europea.
  Alla domanda avanzata dal senatore Livi Bacci sulla posizione olandese nei confronti delle ipotesi di revisione del Regolamento Dublino II, la deputata olandese ha assicurato che il suo partito (socialista) si è dichiarato favorevole alla costruzione di Centri di accoglienza per i rifugiati nei Paesi di frontiera dell'Unione europea, prima di reindirizzarli fra i vari Paesi membri dell'UE in base al principio di burden sharing. Ha altresì aggiunto che il suo partito sarebbe favorevole ad una revisione in senso restrittivo della normativa europea in materia di ricongiungimenti familiari per gli immigrati; è inoltre a favore di una politica di relazioni esterne diretta ad esercitare pressioni sui Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, per limitarne l'impatto sulle frontiere Schengen, attraverso la conclusione di opportuni accordi di riammissione e di cooperazione economica.
  L'onorevole Gesthuizen non ha mancato di illustrare con esempi molto concreti tratti dall'attualità politica e sociale olandese alcuni problemi di convivenza fra olandesi e specifiche comunità di immigrati non integrate o particolarmente problematiche.
  Nella visita alla sede della Corte penale internazionale, il Comitato ha avuto l'opportunità di incontrare sia il Presidente Sang-Hyun Song, sia i due Vice presidenti, fra cui il giudice altoatesino Cuno Tarfusser. In questa occasione, sono stati forniti interessanti delucidazioni e aggiornamenti su alcune questioni giuridiche (fra cui la recente evoluzione del diritto penale internazionale e la natura non politica ma tecnica della Corte) e, nel contempo, un aggiornamento su alcuni dei casi di maggiore attualità, fra cui quello che concerne la posizione internazionale del Presidente sudanese Bashir.
  Nel corso della visita alla sede di Europol il Comitato ha incontrato sia il Direttore di Europol, Rob Wainwright, sia il Vice Direttore del Capabilities Department, Eugenio Orlandi, con i quali sono stati affrontati i temi relativi alla natura e al funzionamento della struttura, definibile come una vera e propria Law Enforcement Agency dell'Unione europea.
  L'organizzazione di Europol, che risulta priva di funzionari esecutivi, si fonda sull'attività di 150 funzionari di collegamento con le autorità di polizia nazionali, che hanno la missione di contrastare il crimine internazionale attraverso lo scambio di informazioni e la
Pag. 61

cooperazione fra le forze di polizia dei Paesi membri dell'Unione europea. Dall'incontro con il Direttore Wainwright in particolare è emerso che la cooperazione con le forze di polizia italiane soffre di una certa frammentazione di competenze, dipendente in gran parte dal fatto le singole indagini sul territorio italiano sono coordinate da magistrati del tutto indipendenti fra di loro. In questo senso il Direttore ha auspicato che migliori anche l'informazione preventiva che proviene ad Europol dalle autorità nazionali italiane. Funziona invece molto bene la cooperazione a livello di lotta al crimine organizzato di stampo mafioso, particolarmente per quanto concerne il riciclaggio di denaro sporco.
  L'ultimo incontro ufficiale della missione si è svolto infine con il Ministro della giustizia, Ivo Opstelten, rappresentante del Partito conservatore liberale, durante il quale il focus dei colloqui ha nuovamente riguardato le politiche migratorie, nel confronto reciproco fra esperienza italiana e olandese. In questa occasione, il Ministro ha chiarito che il Governo olandese non fa uso di politiche di controllo dei flussi migratori attraverso la fissazione di quote annuali, ma sta modificando le linee della politica dell'immigrazione in senso maggiormente restrittivo rispetto al passato. In particolare, saranno a breve modificate le norme che fissano i requisiti di età per poter usufruire del ricongiungimento familiare, su imitazione del modello danese; il Governo attualmente in carica ha anche intenzione di trasformare l'ingresso clandestino di uno straniero sul territorio olandese in un reato penale, seguendo l'esempio della legislazione italiana. A precisa richiesta della Presidente Boniver, il Ministro ha infine confermato l'atteggiamento ancora molto prudente – per non dire diffidente – dei Paesi Bassi nei confronti del previsto ingresso della Romania e della Bulgaria nell'area Schengen.