ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00052

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 44 del 27/01/2023
Abbinamenti
Atto 1/00096 abbinato in data 05/07/2023
Atto 1/00152 abbinato in data 05/07/2023
Atto 1/00153 abbinato in data 05/07/2023
Atto 1/00157 abbinato in data 05/07/2023
Firmatari
Primo firmatario: AIELLO DAVIDE
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 27/01/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
SILVESTRI FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
BARZOTTI VALENTINA MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
CAROTENUTO DARIO MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
TUCCI RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
TORTO DANIELA MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
DELL'OLIO GIANMAURO MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
CARMINA IDA MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
DONNO LEONARDO MOVIMENTO 5 STELLE 27/01/2023
BALDINO VITTORIA MOVIMENTO 5 STELLE 04/07/2023
FENU EMILIANO MOVIMENTO 5 STELLE 04/07/2023


Stato iter:
05/07/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 15/06/2023
Resoconto AIELLO DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 15/06/2023
Resoconto MALAGOLA LORENZO FRATELLI D'ITALIA
 
PARERE GOVERNO 05/07/2023
Resoconto DURIGON CLAUDIO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (LAVORO E POLITICHE SOCIALI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 05/07/2023
Resoconto COLUCCI ALESSANDRO NOI MODERATI (NOI CON L'ITALIA, CORAGGIO ITALIA, UDC, ITALIA AL CENTRO)-MAIE
Resoconto MARI FRANCESCO ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Resoconto D'ALESSIO ANTONIO AZIONE - ITALIA VIVA - RENEW EUROPE
Resoconto TENERINI CHIARA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE
Resoconto AIELLO DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto GIAGONI DARIO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto GUERRA MARIA CECILIA PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA
Resoconto SCHIFONE MARTA FRATELLI D'ITALIA
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 15/06/2023

DISCUSSIONE IL 15/06/2023

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 15/06/2023

ATTO MODIFICATO IL 04/07/2023

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 05/07/2023

PROPOSTA RIFORMULAZIONE IL 05/07/2023

NON ACCOLTO IL 05/07/2023

PARERE GOVERNO IL 05/07/2023

DISCUSSIONE IL 05/07/2023

RESPINTO IL 05/07/2023

CONCLUSO IL 05/07/2023

Atto Camera

Mozione 1-00052
presentato da
AIELLO Davide
testo presentato
Venerdì 27 gennaio 2023
modificato
Mercoledì 5 luglio 2023, seduta n. 133

   La Camera,

   premesso che:

    1) a quasi tre anni dall'inizio della pandemia, lo scenario economico è in continua evoluzione. Come ricordato nell'ultima edizione del rapporto annuale di Istat, il Paese è attraversato da elementi di vulnerabilità che si sono ampliati durante la pandemia – benché le misure di policy adottate siano state importanti – e rischiano di aggravarsi ulteriormente con l'accelerazione dell'inflazione, che ha indotto una nuova e altrettanto significativa risposta di politica economica;

    2) l'inflazione in Italia segna +11,6 per cento a dicembre 2022, stando ai dati definitivi sull'indice nazionale dei prezzi al consumo diffusi dall'Istat a dicembre 2022. Il dato su base annua registra un lieve calo rispetto al +11,8 per cento del mese precedente, mentre è in aumento dello 0,3 per cento su base mensile. In media, l'inflazione italiana nel 2022 è cresciuta del +8,1 per cento, un aumento significativo se confrontato con il +1,9 per cento registrato nel 2021. Si tratta della crescita media annua più alta degli ultimi 37 anni: bisogna infatti risalire al 1985, quando si toccò il 9,2 per cento, per trovare un aumento del dato inflazionistico più ampio di quello osservato nell'anno appena concluso;

    3) come rivelato dall'Istat, questo rialzo è dovuto principalmente a causa dell'andamento dei prezzi dei beni energetici (+50,9 per cento in media d'anno nel 2022, a fronte del +14,1 per cento del 2021). Al netto di questi beni, nell'anno che si chiude la crescita dei prezzi al consumo è pari a +4,1 per cento (da +0,8 per cento del 2021); in base alle stime, l'inflazione acquisita per il 2023 è pari al 5,1 per cento, molto più alta di quella osservata per il 2022, quando fu pari a +1,8 per cento;

    4) sebbene nello scenario internazionale di fine anno si sia registrata una decelerazione delle spinte inflazionistiche innescata dall'orientamento restrittivo della politica monetaria nei principali Paesi europei e dalla moderazione dei prezzi dei prodotti energetici, l'inflazione in Italia al +8,1 per cento ha significato un aumento del costo della vita nel 2022 pari a 2.219 euro per una famiglia media, di cui oltre 500 euro solo sul carrello della spesa, ha spiegato di recente l'Unione nazionale consumatori;

    5) nel terzo trimestre 2022, sempre stando ai dati Istat più recenti, il potere d'acquisto delle famiglie è cresciuto rispetto ai tre mesi precedenti nonostante l'aumento del livello dei prezzi, mentre i consumi finali delle famiglie sono aumentati del 4,1 per cento, sostenuti anche dal ricorso delle famiglie ai risparmi accumulati. La propensione al risparmio è risultata, infatti, in calo di 1,9 punti percentuali rispetto ai tre mesi precedenti, raggiungendo livelli inferiori al periodo prepandemico;

    6) il «carrello della spesa» di dicembre, che sintetizza i prezzi dei beni alimentari per la cura della casa e della persona, ha segnato una marginale decelerazione (12,6 per cento da 12,7 per cento di novembre). Nello stesso mese, l'inflazione di fondo al netto degli energetici e degli alimentari freschi è accelerata (+5,8 per cento da 5,6 per cento) confermando la persistenza del fenomeno inflattivo;

    7) il segnale sull'andamento generale dei prezzi per l'anno in corso proviene dall'inflazione acquisita dell'indice generale che, per il 2023, continua a mostrare una dinamica crescente (+5,1 per cento), dando la misura della diffusione del fenomeno inflattivo tra le diverse tipologie di beni al consumo;

    8) come risulta dal report Istat pubblicato il 7 dicembre 2022, al 31 dicembre 2021 sono stati spesi 313 miliardi di euro per 23 milioni di prestazioni a favore di oltre 16 milioni di pensionati. Nel 2021 la spesa pensionistica è aumentata di 1,7 punti percentuali rispetto all'anno precedente (nel 2020 la variazione annua è stata di +2,3 punti percentuali) e rappresenta il 17,6 per cento del prodotto interno lordo (era il 18,5 per cento nel 2020 e il 16,7 per cento nel 2019). Dal 2000 al 2018 il rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo non ha mai superato il 17 per cento, l'aumento registrato negli ultimi due anni è il risultato della contrazione del prodotto interno lordo come riflesso della pandemia (tavola 1 in allegato);

    9) complessivamente, il 59,1 per cento delle singole prestazioni pensionistiche è di importo inferiore ai 1.000 euro lordi mensili. Considerando che il 32,1 per cento dei pensionati riceve più di una prestazione, il reddito pensionistico complessivo – dato dalla somma degli importi delle singole prestazioni – è comunque inferiore a tale soglia per un terzo dei pensionati (32,8 per cento). Nel 2021, il valore mediano dell'importo annuo delle singole prestazioni pensionistiche è di 8.897 euro, vale a dire che la metà delle pensioni prese singolarmente non supera questo importo;

    10) forti differenze si rilevano con riferimento al genere, al territorio e alla tipologia di prestazione. Le donne sono la maggioranza sia tra i titolari di pensioni (55 per cento) sia tra i beneficiari (52 per cento), ma gli uomini percepiscono il 56 per cento dei redditi pensionistici. In media, l'importo di una pensione di una donna è più basso rispetto a quello riservato agli uomini per lo stesso tipo di pensione (11 mila contro 17 mila) e i redditi mediani percepiti dalle donne sono inferiori del 28 per cento rispetto a quelli degli uomini (14.529 contro 20.106 euro);

    11) in media, per l'anno 2021, secondo la rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 444 mila, in deciso aumento rispetto al 2020 (+13,3 per cento). Il gruppo è composto principalmente da uomini (in oltre tre casi su quattro), da residenti nelle regioni settentrionali (in due casi su tre) e da lavoratori non dipendenti (l'86,3 per cento) dei casi);

    12) nel 2020, il reddito medio netto (esclusi i fitti figurativi) delle famiglie con pensionati è stimato in 33.543 euro (2.795 euro mensili), in lieve riduzione rispetto al 2019 sia in termini nominali (-0,8 per cento) che reali (-0,7 per cento) e, seppur di poco, superiore a quello delle famiglie senza pensionati (2.683 euro mensili) che subiscono una maggiore contrazione nei due anni (-1 per cento e -0,9 per cento rispettivamente in termini nominali e reali). La metà delle famiglie con pensionati ha un reddito netto inferiore ai 26.412 euro (2.201 euro mensili), valore mediano che scende a 22.995 euro nel Mezzogiorno, mentre si attesta intorno a 30.017 euro nel Centro e a 27.869 euro nel Nord;

    13) le famiglie con pensionati presentano un reddito mediano lievemente più basso rispetto a quello delle famiglie senza pensionati. Tale situazione, però, si inverte se si considera il reddito netto familiare equivalente, cioè includendo l'effetto delle economie di scala e rendendo comparabili i livelli di benessere tra famiglie di diversa composizione. Infatti, il valore mediano in termini equivalenti è pari a 18.885 euro per le famiglie con pensionati contro i 17.025 euro delle restanti famiglie. Il vantaggio comparativo è ulteriormente avvalorato dal rischio di povertà che è pari al 14,6 per cento per le famiglie con pensionati e quindi di 10 punti percentuali e mezzo inferiore a quello delle restanti famiglie. Ciò conferma l'importante ruolo di protezione economico-sociale che i trasferimenti pensionistici rivestono in ambito familiare;

    14) la presenza di un pensionato all'interno di nuclei familiari «vulnerabili» (genitori soli o famiglie in altra tipologia) riduce sensibilmente l'esposizione al rischio di povertà, rispettivamente dal 31,4 per cento al 15 per cento, e dal 33,9 per cento al 12,7 per cento;

    15) in conseguenza delle marcate differenze territoriali nei livelli di reddito medio e mediano, le famiglie di pensionati del Sud e delle isole presentano nel 2020 un'incidenza del rischio di povertà due volte superiore a quella delle famiglie residenti al Centro e più che doppia rispetto a quelle del Nord. Nel 2021, l'indice di grave deprivazione materiale (presenza di almeno quattro su nove segnali di deprivazione riferiti all'indicatore Europa 2020) mostra un'inversione di tendenza rispetto all'anno precedente in linea con il quadro socio-economico fotografato dall'indicatore di rischio di povertà (anno 2020): si attenua la situazione di svantaggio delle famiglie senza pensionati rispetto a quelle in cui sono inclusi;

    16) al fine di contrastare gli effetti negativi delle recenti vieppiù maggiori tensioni inflazionistiche, il Governo ha introdotto misure di revisione del cosiddetto meccanismo di indicizzazione o perequazione delle pensioni, un meccanismo di incremento annuale della rata pensionistica erogata dall'Inps, per adeguare l'importo della prestazione previdenziale all'aumento del costo della vita. L'aumento riconosciuto è basato sull'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati e ha l'obiettivo di non rendere i pensionati «più poveri» a causa dall'inflazione;

    17) a tale riguardo, si noti che, fino a prima della più recente cosiddetta riforma Fornero, la legge 23 dicembre 2000, n. 388, aveva suddiviso – a partire dal 1° gennaio 2001 – la perequazione in tre fasce all'interno del trattamento pensionistico complessivo del regime generale Inps e l'adeguamento veniva concesso in misura piena, cioè al 100 per cento per le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo; scendeva al 90 per cento per le fasce di importo comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo; e ancora calava al 75 per cento per i trattamenti superiori a cinque volte il minimo; dal 1° gennaio 2012, il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, come noto, ha introdotto un blocco temporaneo, nel biennio 2012-2013, dell'indicizzazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo di allora (ossia 1.405,11 euro nel 2011), rivisto poi parzialmente dal decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2015, n. 109, per rispondere ai rilievi della sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale. In quella sede era stata prevista una rivalutazione parziale anche degli assegni inferiori a sei volte il trattamento minimo, confermando il blocco totale di quelli superiori a tale soglia. La stessa Corte costituzionale, con la successiva sentenza n. 250 del 2017, ha riconosciuto legittimo il decreto-legge n. 65 citato, poiché «ha introdotto una nuova non irragionevole modulazione del meccanismo che sorregge la perequazione»;

    18) dal 1° gennaio 2014, poi, la legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha introdotto un nuovo strumento perequativo che, abbandonando i criteri di progressività, ha optato per una rivalutazione unica applicata direttamente sull'importo complessivo del trattamento pensionistico. Il meccanismo ha previsto altresì indici di perequazione meno favorevoli per i trattamenti superiori a tre volte il trattamento minimo;

    19) la menzionata disciplina è rimasta in vigore, con limitate modifiche, sino al 31 dicembre 2021, allorché si è tornati ad una rivalutazione per scaglioni d'importo (cioè progressiva), che però, con la legge di bilancio 2023, è già tornata invero a calcolarsi sull'importo complessivo del trattamento per il biennio 2023-2024;

    20) in particolare, la legge 29 dicembre 2022, n. 197, all'articolo 1, comma 309, reca, per gli anni 2023-2024, una disciplina speciale in materia di indicizzazione dei trattamenti pensionistici (ivi compresi quelli di natura assistenziale), prevedendo, rispetto alla disciplina a regime, una perequazione in termini più restrittivi per i casi in cui il complesso dei trattamenti pensionistici di un soggetto sia superiore a quattro volte il trattamento minimo del regime generale Inps (la perequazione è riconosciuta nella misura del 100 per cento della variazione dell'indice del costo della vita) e confermando, per i casi in cui il valore complessivo sia pari o inferiore al suddetto quadruplo, il relativo criterio vigente a regime (la perequazione è riconosciuta in misura variabile da 85 a 32 punti percentuali);

    21) il successivo comma 310 prevede, per i trattamenti pensionistici (ivi compresi quelli di natura assistenziale) e in via aggiuntiva rispetto alla summenzionata perequazione automatica, un incremento transitorio – con riferimento esclusivo alle mensilità relative agli anni 2023 e 2024 – per i casi in cui il complesso dei trattamenti pensionistici di un soggetto sia pari o inferiore al trattamento minimo del regime generale Inps. Tale incremento è pari a 1,5 punti percentuali per l'anno 2023 – ovvero a 6,4 punti (in base alla modifica operata in sede di esame del provvedimento citato presso la Camera dei deputati, per i soggetti di età pari o superiore a 75 anni) – e a 2,7 punti per l'anno 2024, e la seconda percentuale non si somma alla prima; l'incremento per il 2024 si applica, dunque, sulla base di calcolo al netto del primo incremento (fermo restando il previo adeguamento della medesima base in virtù della perequazione automatica);

    22) nell'ambito della disciplina generale della perequazione, si fa riferimento (in via interpretativa) all'importo del trattamento minimo Inps nell'anno precedente a quello di applicazione della perequazione medesima, e gli incrementi a titolo di perequazione si basano sulla variazione dell'indice del costo della vita, decorrendo dal 1° gennaio dell'anno successivo a quello di riferimento. Più in particolare, la decorrenza dal 1° gennaio dell'anno successivo concerne sia l'incremento riconosciuto in base alla variazione dell'indice del costo della vita relativa all'anno precedente e provvisoriamente accertata, ai sensi dell'articolo 24, comma 5, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, con decreto ministeriale (nel caso più recente, si veda il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 10 novembre 2022), sia l'eventuale conguaglio, relativo alla differenza tra il valore – definitivamente accertato con il suddetto decreto – della variazione dell'indice relativo al penultimo anno precedente e il valore provvisoriamente accertato con il precedente decreto annuo. Tale eventuale conguaglio comprende il ricalcolo, in via retroattiva, dei ratei di pensione decorrenti dal 1° gennaio dell'anno precedente;

    23) riguardo alla giurisprudenza costituzionale in materia di perequazione, si noti che la Corte costituzionale con la già citata sentenza n. 70 del 2015 ha stabilito che: «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata»;

    24) la Corte costituzionale ha altresì più volte ammesso la legittimità di interventi legislativi che incidono sull'adeguamento degli importi dei trattamenti pensionistici, a condizione che vengano rispettati limiti di ragionevolezza e proporzionalità: in questa ottica, quindi, non riconoscere la rivalutazione automatica a trattamenti pensionistici superiori di un certo numero di volte il trattamento minimo Inps può tradursi quale misura di bilanciamento tra diritti di prestazione sociale ed equilibrio economico-finanziario;

    25) che sia necessaria «gradualità nell'attuazione dei valori costituzionali che imponga rilevanti oneri a carico del bilancio statale», come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 260 del 1990, appare un principio da tenere in debito conto soprattutto a seguito della riforma dell'articolo 81 della Costituzione e dell'approvazione della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, sull'introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale;

    26) in tal senso, il meccanismo di perequazione automatica delle pensioni va valutato alla luce degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale secondo i quali se è vero che occorre assicurare una ragionevole corrispondenza tra dinamica delle pensioni e dinamica delle retribuzioni (si confronti Corte costituzionale, sentenze n. 226 del 1993 e n. 42 del 1993), è altrettanto vera l'esclusione di un diritto automatico e totalizzante alla rivalutazione del trattamento pensionistico, soprattutto quando tale diritto possa essere diversamente modulato, per fasce di reddito e limitato temporalmente;

    27) esemplare in questo senso è la sentenza n. 316 del 2010, secondo la quale «dal principio enunciato nell'articolo 38 della Costituzione non può farsi discendere, come conseguenza costituzionalmente necessitata, quella dell'adeguamento con cadenza annuale di tutti i trattamenti pensionistici. E ciò, soprattutto ove si consideri che le pensioni incise dalla norma impugnata, per il loro importo piuttosto elevato presentano margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo. L'esigenza di una rivalutazione sistematica del correlativo valore monetario è, dunque, per esse meno pressante di quanto non sia per quelle di più basso importo»;

    28) similmente, la sentenza della Corte costituzionale n. 234 del 2020, facendo riferimento anche a precedenti sentenze della stessa Corte di costituzionale, ha rilevato che il carattere parziale, per alcuni trattamenti pensionistici, della rivalutazione al costo della vita non costituisce, di per sé, una violazione del principio di adeguatezza dei trattamenti previdenziali (principio di cui all'articolo 38, secondo comma, della Costituzione) e che, nella valutazione del rispetto o meno (da parte di normative che presentino il suddetto effetto) di tale principio, sono fondamentali «la considerazione differenziata dei trattamenti di quiescenza in base al loro importo», nonché la sussistenza di una «motivazione sostenuta da valutazioni della situazione finanziaria basate su dati oggettivi, emergenti, ad esempio, dalle relazioni tecniche di accompagnamento delle misure legislative»;

    29) stante sin qui premesso, appare molto grave che, recentissimamente, sui cedolini delle pensioni di luglio 2023, la quattordicesima mensilità si sia come tradotta in un aumento delle pensioni minime, almeno nella percezione di chi scorre le voci. Migliaia di pensionati cui è già arrivato il cedolino contenente un'informazione palesemente sbagliata, infatti, sono stati indotti a pensare che il Governo abbia aumentato l'assegno di centinaia di euro;

    30) in particolare, la «svista» dell'Inps – denunciata dalla Cgil, che ha ricevuto centinaia di segnalazioni da parte dei propri iscritti – è apparsa sui cedolini del mese di luglio 2023, anticipatamente disponibili on line già a fine giugno 2023. Molti pensionati che ricevono il trattamento minimo hanno quindi ricevuto un cedolino che, rispetto a quello dell'anno 2022, riporta la dicitura «aumento pensioni basse 2023» per centinaia di euro e che, invero, come spiegato da una nota richiamata con asterisco nello stesso cedolino, altro non è che la quattordicesima mensilità ex legge 3 agosto 2007, n. 127;

    31) si noti che tale quattordicesima mensilità, pari ad un importo di 437 euro, è esattamente identica a quello dell'anno precedente ed è valida in virtù di una disposizione normativa vigente a favore dei pensionati, a determinate condizioni di reddito e a partire dai 64 anni, sin dal 2007 e non certo dalla legge di bilancio del Governo Meloni;

    32) si noti altresì che, poiché la dicitura «aumento delle pensioni basse 2023» è totalmente erronea, la disinformazione di cui sono stati oggetto molti pensionati è tale non solo per il mese di luglio 2023, ma ragionevolmente produttiva di un'aspettativa infondata per un paventato aumento dell'assegno pensionistico di pari a 437 euro anche per i restanti mesi di tutto l'anno 2023;

    33) l'Inps ha minimizzato l'«errore» e ha dichiarato che correggerà la dicitura,

impegna il Governo:

1) al fine di contrastare gli effetti negativi delle tensioni inflazionistiche, nel pieno ed effettivo rispetto del principio costituzionale di adeguatezza dei trattamenti previdenziali, e in ogni caso sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali:

  a) ad adottare le iniziative di competenza, volte a prevedere che il trattamento minimo del regime generale Inps sia almeno pari a 1.000 euro nella misura netta;

  b) al fine di proseguire nel tentativo di attenuare l'impatto della tassazione attraverso la previsione di una detrazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) da applicare in misura progressiva, fino a determinate soglie, ai redditi derivanti da pensione, ad adottare le opportune iniziative di carattere normativo volte a riorganizzare e armonizzare le detrazioni per redditi da pensione, estendendo la misura di cui all'articolo 1, comma 2, capoverso lettera b), della legge 30 dicembre 2021, n. 234;

  c) ad adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, volte alla definizione di un diverso indice per la rivalutazione delle pensioni, maggiormente rappresentativo della struttura dei consumi dei pensionati e volto a proteggere il potere d'acquisto del trattamento previdenziale degli stessi, tenendo conto delle sostanziali differenze che li caratterizzano con riferimento al genere, al territorio e alla tipologia di prestazione;

  d) a definire una revisione del meccanismo di indicizzazione che garantisca nel tempo l'altezza del trattamento pensionistico minimo, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona;

  e) a valutare l'opportunità di separazione contabile tra previdenza e assistenza, tra spesa per le pensioni maturate a fronte di contributi versati e spesa di pura assistenza, a tale scopo anche adottando le opportune iniziative di carattere normativo volte alla ricostituzione della commissione tecnica incaricata dello studio sulla classificazione e comparazione, a livello europeo e internazionale, della spesa pubblica nazionale per finalità previdenziali e assistenziale, di cui all'articolo 1, comma 475, della legge 27 dicembre 2019, n. 160;

  f) ad adottare con solerzia e tempestività ogni provvedimento opportuno affinché sia chiarito l'errore sui cedolini delle pensioni di luglio 2023 come riportato in premessa e sia esplicitato in modo inequivocabile che l'importo effettivo dell'aumento pensionistico 2023, previsto dal Governo Meloni, corrisponde a circa 8 euro per i pensionati sotto ai 75 anni e a poco più di 30 euro per gli over 75, cui al più si sommano gli arretrati dei primi sei mesi del 2023 liquidati nella pensione di luglio.
(1-00052) (Nuova formulazione) «Aiello, Francesco Silvestri, Barzotti, Carotenuto, Tucci, Torto, Dell'Olio, Carmina, Donno, Baldino, Fenu».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

pensionato

inflazione

prestazione sociale