CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 25 marzo 2015
412.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per le questioni regionali
COMUNICATO
Pag. 128

SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 25 marzo 2015. — Presidenza del presidente Gianpiero D'ALIA.

  La seduta comincia alle 8.35.

Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale.
C. 2617 Governo.

(Parere alla XII Commissione della Camera).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Il senatore Roberto RUTA (PD) relatore, fa presente che la Commissione è chiamata ad esprimere il parere, per gli aspetti di competenza, alla XII Commissione (Affari Sociali) della Camera sul testo del disegno di legge C. 2617, come risultante dall'approvazione di emendamenti in sede referente, recante «Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale».
  Obbiettivo del provvedimento, che prevede il conferimento al Governo di apposite deleghe, è, da un lato, quello di introdurre misure per la costruzione di un rinnovato sistema che favorisca la partecipazione attiva e responsabile delle persone, singolarmente o in forma associata, per valorizzare il potenziale di crescita e occupazione insito nell'economia sociale e nelle attività svolte dal settore, anche attraverso il riordino e l'armonizzazione di incentivi e strumenti di sostegno, dall'altro quello di uniformare e coordinare la disciplina della materia caratterizzata da un quadro normativo non omogeneo e non più adeguato alle mutate esigenze della società civile.
  In via preliminare, ricorda che, nel maggio 2014, il Governo ha predisposto le Linee guida per una riforma del Terzo settore formulando i criteri per una revisione Pag. 129organica della legislazione riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l'associazionismo non-profit, le fondazioni e le imprese sociali. Dal 13 maggio al 13 giugno 2014, il Governo ha quindi aperto una consultazione pubblica sulle Linee guida, per confrontarsi con le opinioni degli attori del Terzo settore e dei cittadini sostenitori o utenti finali degli enti del non-profit, di cui sono stati resi pubblici i risultati definitivi nel settembre 2014.
  In seguito, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge di cui all'oggetto che, inizialmente composto da 7 articoli, a seguito dell'approvazione di emendamenti in Commissione si compone di 11 articoli.
  La Conferenza unificata ha espresso il parere di competenza in data 16 ottobre formulando parere favorevole subordinatamente all'accoglimento di alcune proposte emendative, che sono state in parte recepite.
  In particolare, l'articolo 1 individua e disciplina la finalità e le linee generali dell'intervento normativo, prevedendo che il Governo adotti, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, al fine di sostenere la libera iniziativa dei cittadini che si associano per perseguire il bene comune e di elevare i livelli di coesione e protezione sociale favorendo l'inclusione e il pieno sviluppo della persona, decreti legislativi in materia di disciplina del Terzo settore. Quest'ultimo viene contestualmente definito come il complesso degli enti privati costituiti con finalità civiche e solidaristiche che, senza scopo di lucro, promuovono e realizzano attività d'interesse generale, anche mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale conseguiti anche attraverso forme di mutualità, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con le finalità stabilite nei rispettivi statuti o atti costitutivi.
  Tra le finalità perseguite vengono specificamente enunciate quelle di procedere ad una revisione della disciplina contenuta nel codice civile in tema di associazioni e fondazioni nonché della disciplina in tema di impresa sociale e di servizio civile nazionale. Viene quindi disciplinata la procedura di emanazione dei decreti legislativi. A tale proposito, si segnala che il comma 3 prevede «ove necessario, in relazione alle singole materie» oggetto della legge, che l'adozione dei decreti legislativi avvenga previa intesa con la Conferenza unificata. Con riferimento invece ai decreti legislativi relativi alla revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale, il comma 4 prevede che essi siano adottati sentita la Conferenza unificata.
  L'articolo 2 prevede i principi e criteri direttivi generali cui devono uniformarsi i decreti legislativi, tra i quali si ricordano quelli relativi al riconoscimento ed alla garanzia del più ampio diritto di associazione, alla promozione dell'iniziativa economica privata svolta senza fini di lucro, alla garanzia della autonomia statutaria degli enti, alla semplificazione della normativa vigente.
  L'articolo 3 detta i princìpi e i criteri direttivi in tema di revisione della disciplina contenuta nel codice civile in materia di associazioni e fondazioni, mentre l'articolo 4 disciplina i principi e criteri direttivi ai quali dovranno uniformarsi i decreti legislativi preordinati al riordino e alla revisione della disciplina vigente degli enti del Terzo settore mediante la redazione di un apposito Codice in tale materia. Tra i principi enunciati si ricordano quelli relativi all'individuazione delle attività solidaristiche e di interesse generale che caratterizzano gli enti del terzo settore; alla definizione di modalità organizzative e amministrative degli enti ispirate ai princìpi di democrazia, eguaglianza, pari opportunità; alla previsione del divieto di distribuzione degli utili, anche in forma indiretta, salva la specifica previsione in tema di impresa sociale; alla disciplina degli obblighi di controllo interno, rendicontazione, trasparenza e delle modalità di verifica periodica dell'attività svolta; alla riorganizzazione del sistema di registrazione degli enti anche attraverso la messa a punto di un registro unico del terzo settore; all'attribuzione alla Presidenza Pag. 130del Consiglio, in raccordo con i Ministeri competenti, del coordinamento delle politiche di governo e delle azioni di promozione e di indirizzo delle attività degli enti del terzo settore, finalizzato a garantire l'osservanza della disciplina legislativa, statutaria e regolamentare.
  L'articolo 5 prevede e disciplina la delega finalizzata al riordino ed alla revisione della disciplina in tema di attività di volontariato, di promozione sociale e di mutuo soccorso, conformemente a specifici criteri e princìpi direttivi relativi, tra l'altro: all'armonizzazione delle diverse discipline vigenti; alla promozione della cultura del volontariato, in particolare tra i giovani; alla revisione del sistema dei centri di servizio per il volontariato, prevedendo la necessaria assunzione da parte di questi della personalità giuridica ed alcune regole per la gestione dei finanziamenti ad essi destinati; alla revisione e razionalizzazione del sistema degli Osservatori nazionali per il volontariato e per l'associazionismo di promozione sociale e all'armonizzazione dei relativi requisiti con quelli previsti a livello regionale; alla previsione di un regime transitorio per disciplinare lo status giuridico delle società di mutuo soccorso esistenti alla data di entrata in vigore della legge qualora intendano rinunciare a tale natura ed operare quali associazioni senza fini di lucro.
  In tema di impresa sociale, i decreti legislativi di cui all'articolo 6 dovranno, tra l'altro, procedere ad una precisa qualificazione dell'impresa sociale quale impresa privata con finalità di interesse generale avente come obbiettivo primario la realizzazione di impatti sociali positivi conseguiti mediante la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e che destina i propri utili prevalentemente al raggiungimento di obbiettivi sociali, e conformarsi ad una serie di princìpi e criteri direttivi tra i quali si ricordano: l'ampliamento dei settori di attività di utilità sociale; la previsione di forme di remunerazione del capitale sociale e di ripartizione di utili da assoggettare a condizioni e limiti massimi, differenziabili anche in base alla forma giuridica dell'impresa, salva la prevalente destinazione degli utili agli obbiettivi sociali; il coordinamento della disciplina dell'impresa sociale con il regime delle attività di impresa svolte dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale; la previsione della nomina di uno o più sindaci con funzioni di vigilanza.
  Viene poi previsto che le cooperative sociali ed i loro consorzi acquisiscano di diritto la qualifica di impresa sociale.
  L'articolo 7 disciplina le funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo sugli enti del terzo settore che, salvo quanto previsto all'articolo 4, sono esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con i ministeri interessati e con l'Agenzia delle entrate.
  La delega di cui all'articolo 8 è invece finalizzata a procedere al riordino ed alla revisione dell'attuale disciplina in materia di servizio civile nazionale. Si segnala che nell'esercizio della delega in oggetto il legislatore delegato dovrà attenersi, tra l'altro, al principio e criterio direttivo che richiede il coinvolgimento degli enti territoriali e degli enti pubblici e privati senza scopo di lucro nella programmazione e nell'organizzazione del servizio civile universale.
  L'articolo 9 reca i principi e i criteri direttivi cui si deve uniformare il legislatore delegato, al fine di introdurre misure agevolative e di sostegno economico in favore degli enti del Terzo settore e di procedere al riordino e all'armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio. Tra i principi e criteri direttivi indicati nella norma, si rammentano: l'introduzione di una nuova definizione di ente non commerciale ai fini fiscali, anche connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall'ente; la razionalizzazione delle agevolazioni fiscali connesse all'erogazione di risorse al terzo settore; la riforma dell'istituto del cinque per mille; l'introduzione di misure per la raccolta di capitali di rischio e, più in generale, per il finanziamento del Terzo settore; l'assegnazione di immobili pubblici inutilizzati; la revisione della disciplina delle ONLUS.Pag. 131
  L'articolo 10 reca le disposizioni finanziarie e finali e, al comma 4, reca la clausola di salvaguardia delle competenze delle regioni speciali e delle province autonome.
  L'articolo 11 prevede infine che, entro il 30 giugno di ogni anno, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali trasmetta alle Camere una relazione sull'attività di vigilanza, monitoraggio e controllo sugli enti del terzo settore ai sensi dell'articolo 7, nonché sull'attuazione della riorganizzazione del sistema di registrazione di cui all'articolo 4.

  Gianpiero D'ALIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Carta europea delle lingue regionali o minoritarie.
S. 560 Palermo.

(Parere alle Commissioni riunite 1a e 3a del Senato).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazione).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Il senatore Albert LANIECE Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE), relatore, fa presente che la Commissione è tenuta a rendere, alle Commissioni riunite 1a e 3a del Senato, il parere di competenza sul disegno di legge in esame, recante Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, adottato quale testo base per il seguito dell'esame del provvedimento.
  La Carta, in vigore dal 1o marzo 1998, e finora ratificata da 25 Paesi, mira a proteggere le lingue regionali e minoritarie e a promuovere il loro utilizzo, al fine di salvaguardare l'eredità e le tradizioni culturali europee.
  La Carta è volta alla protezione ed alla promozione delle lingue regionali e minoritarie storicamente radicate: è sancito il rispetto dell'area geografica di diffusione di ciascuna di tali lingue, assieme alla necessità di una loro promozione nella vita pubblica e privata attraverso adeguati mezzi di insegnamento e studio. Inoltre, la Carta enuncia una serie di misure da adottare allo scopo di una maggiore diffusione delle lingue regionali o minoritarie nell'ambito della vita pubblica e, precisamente, nell'insegnamento, nella giustizia, nell'attività della Pubblica amministrazione. La Carta consta di un Preambolo e di 23 articoli. Nel Preambolo, il diritto all'uso delle lingue regionali o minoritarie viene inquadrato nell'ambito dei diritti fondamentali garantiti dal Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite e dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
  Tra le disposizioni contenute nella Carta, segnala l'articolo 1, che precisa che l'espressione «lingue regionali o minoritarie» si riferisce alle lingue tradizionalmente parlate nell'ambito del territorio di uno Stato da una minoranza di cittadini, con esclusione dei dialetti della lingua ufficiale e delle lingue di origine di eventuali gruppi di migranti e che per «territorio» si intende l'area in cui una certa lingua è espressione di un numero di persone «tale da giustificare» l'adozione delle misure di promozione previste dalla Carta. Il Trattato garantisce al contempo anche una tutela delle «lingue non territoriali», ovvero di quelle non ricollegabili ad un'area geografica particolare, ma comunque usate dai cittadini di uno Stato.
  Menziona inoltre l'articolo 2 che, in relazione agli impegni delle Parti contraenti, prevede che, per ciascuna lingua indicata al momento della ratifica, ogni Parte si impegni ad applicare un minimo di trentacinque paragrafi scelti tra le disposizioni della Parte III della Carta, e l'articolo 4, paragrafo 2, che prevede che le disposizioni contenute nella Carta non pregiudichino le disposizioni più favorevoli che disciplinano la situazione delle lingue regionali o minoritarie o lo statuto giuridico delle persone appartenenti a minoranze, Pag. 132che esistono già in una Parte o sono previste da relativi accordi internazionali bilaterali o multilaterali.
  Infine, gli articoli da 15 a 23, oltre a prevedere che le Parti debbano presentare rapporti periodici sull'attuazione della Carta, stabiliscono che, all'atto della ratifica, un Paese sottoscrittore enunci esattamente a quali lingue intenda applicare le misure contemplate dalla Carta.
  Venendo ai contenuti del disegno di legge all'esame – che ripropone, con qualche modifica, l'impianto complessivo del testo governativo (C. 5118) presentato nella XVI legislatura – fa presente che esso si compone di sei articoli e reca, oltre all'autorizzazione alla ratifica (articolo 1) e all'ordine di esecuzione (articolo 2), la previsione – contenuta all'articolo 3 – in base alla quale le lingue oggetto di tutela sono quelle delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo che, a seguito della ratifica della Carta, saranno considerate «lingue regionali o minoritarie» sul territorio della Repubblica italiana, sulla base di quanto indicato dall'articolo 2 della legge n. 482 del 1999. L'articolo 3 estende inoltre l'ambito di applicazione della Convenzione anche alle lingue delle minoranze rom e sinti.
  L'articolo 4, riguardante la programmazione radiotelevisiva, in applicazione dell'articolo 11, paragrafo 1, lettera a), della Carta, dispone che nel contratto di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo siano introdotte misure dirette ad assicurare la diffusione di programmi radiotelevisivi nelle lingue regionali o minoritarie di cui all'articolo 3, conformemente a quanto disposto dall'articolo 12 n. 482 del 1999.
  L'articolo 5 contiene infine una clausola di salvaguardia delle disposizioni nazionali vigenti eventualmente più favorevoli per la tutela delle lingue minoritarie e regionali, mentre l'articolo 6 dispone in merito all'entrata in vigore del provvedimento.
  A quest'ultimo proposito, fa presente che l'Italia, pur non avendo ancora proceduto alla ratifica della Carta, dispone di una legislazione nazionale particolarmente avanzata in materia di tutela di alcune minoranze linguistiche storiche, in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione.
  In particolare, la legge n. 482 del 1999 tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle che, nel territorio italiano, parlano il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano ed il sardo. In alcune regioni vi sono poi ulteriori previsioni di tutela. Al riguardo, si ricorda inoltre che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 159 del 2009 e n. 170 del 2010 ha sottolineato come la legge n. 482 richiamata costituisca il quadro normativo di riferimento per la disciplina e la tutela delle minoranze linguistiche.
  Quanto alle disposizioni regionali di maggior favore, esse, a norma dell'articolo 13 della legge n. 482 del 1999, prevalgono sulla normativa statale; l'articolo 18 della medesima legge mantiene inoltre ferme le norme di tutela esistenti nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.
  Per ciò che concerne l'adeguamento delle regioni alla normativa statale, le regioni a statuto ordinario, in base alla citata legge n. 482 del 1999, sono tenute nelle materie di loro competenza a conformarsi ai princìpi di detta normativa nazionale, mentre nelle regioni speciali l'applicazione delle disposizioni statali più favorevoli è disciplinata con le norme di attuazione degli statuti.
  Ricorda, infine, che in materia di tutela delle minoranze nazionali, l'Italia ha già provveduto a ratificare e rendere esecutiva (con la legge n. 302 del 1997), la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, documento che, sottoscritto nel 1995 sempre nel quadro del Consiglio d'Europa, riserva una specifica tutela proprio alle lingue minoritarie ed alla libertà per tali minoranze di farne uso.

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  Gianpiero D'ALIA, presidente, chiede un chiarimento in merito alla previsione contenuta all'articolo 3 del disegno di legge di ratifica, laddove estende l'ambito di applicazione della Convenzione anche alle lingue delle minoranze rom e sinti, che certamente non rientrano nell'ambito delle «lingue regionali o minoritarie» come definite dall'articolo 1 della Convenzione. Tali lingue potrebbero trovare dunque tutela in quanto «lingue non territoriali» ma, considerato che protezione delle popolazioni e delle lingue rom e sinti è apprestata anche da altri strumenti di diritto europeo e internazionale, si interroga sull'opportunità di prevederne la tutela anche in questa sede.

  Il senatore Albert LANIECE Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE), relatore, precisa che la tutela delle lingue rom e sinti può essere ricollegata alla disposizione di cui all'articolo 7, paragrafo 5, della Convenzione che, in relazione alle «lingue non territoriali», che, secondo l'articolo 1, lettera c), «...non possono essere ricollegate a un'area geografica particolare dello Stato», prevede che la natura e la portata delle misure da adottare per rendere effettiva la Carta debbano essere determinate in modo flessibile, tenendo conto dei bisogni e dei desideri e rispettando le tradizioni e le caratteristiche dei gruppi che usano le lingue in questione.
  Formula quindi una proposta di parere favorevole con un'osservazione (vedi allegato).

  La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti.
S. 1687 Governo.

(Parere alle Commissioni riunite 1a e 2a del Senato).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Gianpiero D'ALIA, presidente e relatore, ricorda che la Commissione è chiamata a rendere il parere – per i profili di competenza – sul disegno di legge n. 1687, di iniziativa del Governo, recante «Misure volte a rafforzare il contrasto alla criminalità organizzata e ai patrimoni illeciti», adottato dalle Commissioni riunite 1a e 2a del Senato quale testo base per il seguito dell'esame.
  Il provvedimento in titolo – che si compone di 32 articoli – introduce rilevanti modifiche ai codici penale e di procedura penale, al codice civile, al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, al Testo unico degli enti locali e ad altri testi normativi, allo scopo di consolidare l'azione di prevenzione e di repressione del fenomeno della illecita accumulazione di ricchezza e di capitali ad opera della criminalità organizzata, anche e soprattutto di origine mafiosa, e di rafforzare le misure volte a contrastare l'infiltrazione di essa nei circuiti dell'economia legale e delle istituzioni di governo locale.
  Tra le principali misure introdotte dal testo a modifica dei codici penale, di procedura penale e civile, segnala: l'obbligo per il pubblico ministero di informare il Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione in merito all'esercizio dell'azione penale per i fatti di corruzione (articolo 1); l'inasprimento del quadro sanzionatorio previsto per il reato di associazione di tipo mafioso (articolo 2); l'introduzione nel codice penale della nuova fattispecie delittuosa dell'autoriciclaggio (articolo 3); la modifica della disciplina del falso in bilancio, con la configurazione di due distinte ipotesi delittuose – una per le società non quotate, l'altra per le società quotate – con prolungamento dei tempi di prescrizione, tendenziale aggravamento del quadro sanzionatorio e ricomprensione, nella formulazione delle condotte, del cosiddetto «falso qualitativo» (articolo 4); la modifica della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti in relazione ai reati societari, con interventi sui criteri soggettivi di imputazione della responsabilità (articolo Pag. 1345); la modifica della disciplina della partecipazione dell'interessato al procedimento di esecuzione (articolo 6) e della partecipazione al dibattimento a distanza, con un ampliamento dell'ambito di operatività della videoconferenza (articolo 7).
  Le disposizioni recate dagli articoli da 8 a 18 intervengono invece sul codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011.
  In particolare, l'articolo 8 introduce nel codice antimafia il nuovo articolo 5-bis che prevede un limite temporale alla eccepibilità dell'incompetenza per territorio, con la relativa preclusione se non proposta entro la conclusione della discussione di primo grado, ed alla rilevabilità di ufficio non oltre la decisione di primo grado.
  L'articolo 9 modifica invece l'articolo 19 del codice antimafia, in materia di indagini patrimoniali, consentendo alle autorità titolari del potere di proposta sulle misure di prevenzione patrimoniali, come individuati dall'articolo 17, commi 1 e 2 dello stesso codice, di accedere anche al Sistema di interscambio flussi dati (SID) dell'Agenzia delle entrate.
  L'articolo 10 modifica il comma 1 dell'articolo 81 del codice antimafia relativo ai registri delle misure di prevenzione, mentre l'articolo 11 interviene in materia di sequestro e di confisca. In particolare, la disposizione prevede che il tribunale possa, anche di ufficio, ordinare il sequestro dei beni sin dalla presentazione della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, ove ne ricorrano i presupposti di legge.
  L'articolo 12 introduce nel codice antimafia il nuovo istituto del controllo giudiziario. L'applicazione di tale misura non determina lo spossessamento della gestione dell'attività di impresa e configura, per un periodo minimo di un anno e massimo di tre, un intervento meno invasivo, di «vigilanza prescrittiva», affidato ad un commissario giudiziario nominato dal tribunale, con il compito di monitorare, dall'interno dell'azienda, l'adempimento delle prescrizioni dell'autorità giudiziaria.
  L'articolo 13 reca modifiche normative e organizzative, oltre che al codice antimafia, anche al Regio decreto sull'ordinamento giudiziario, finalizzate ad assicurare la trattazione prioritaria dei procedimenti volti all'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali.
  L'articolo 14 interviene sulle norme del codice antimafia che definiscono i criteri per la scelta degli amministratori giudiziari dei beni sequestrati e regolano gli adempimenti connessi alla cessazione del loro incarico.
  L'articolo 15 introduce nel codice antimafia il nuovo articolo 41-bis, che istituisce Tavoli permanenti sulle aziende sequestrate e confiscate.
  L'articolo 16 – che reca disposizioni di interesse per la Commissione – interviene sull'articolo 48 del Codice antimafia, novellando (per alcuni circoscritti profili) i criteri di destinazione degli immobili dei quali sia venuta a disporre l'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
  La novella disposta è triplice. In particolare, si prevede che l'immobile possa essere assegnato agli enti locali per lo svolgimento non solo di attività istituzionali o sociali, ma anche di natura economica; si amplia il novero degli enti cooperativi cui possono essere assegnati gli immobili confiscati e si prevede che la destinazione impressa ai beni immobili assegnati dall'Agenzia sia pubblicata sul sito dell'Agenzia medesima.
  L'articolo 17 incide invece sull'assetto organizzativo dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, prevedendo, tra l'altro, l'istituzione di un Comitato consultivo, presieduto dal Direttore dell'Agenzia e composto da vari soggetti, tra i quali «un rappresentante delle regioni designato dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome».
  L'articolo 18 interviene sulla dotazione organica dell'Agenzia, mentre gli articoli 19 e 20 intervengono sull'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 in materia di confisca cosiddetta allargata ed introducono due nuove disposizioni volte a Pag. 135disciplinare il regime della confisca allargata in esito all'estinzione del reato per prescrizione, amnistia o morte del condannato, verificatesi successivamente alla pronuncia di sentenza di condanna in uno dei gradi di giudizio.
  Gli articoli da 21 a 24 sono volti a rafforzare le misure a tutela delle vittime innocenti di mafia, di terrorismo e di strage. In particolare, l'articolo 21 introduce una giornata nazionale – il 21 di marzo – «della memoria e dell'impegno» in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.
  L'articolo 22 prevede che le vittime di reati di tipo mafioso, degli atti di terrorismo ed i familiari possano ottenere un attestato di «testimone della memoria storica» e che da esso possa conseguire nel pubblico impiego il diritto di fruire di permessi lavorativi straordinari.
  L'articolo 23 prevede l'applicabilità del cambiamento di generalità (con garanzia della riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione) ai testimoni di giustizia.
  L'articolo 24 reca modifiche alla legge n. 512 del 1999, intervenendo sui requisiti soggettivi e oggettivi per l'accesso al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime della mafia.
  L'articolo 25 reca modifiche all'articolo 101 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, allo scopo di obbligare gli enti locali, i cui organi sono stati sciolti in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di loro competenza, per l'intera durata della gestione straordinaria e per i cinque anni successivi al rinnovo degli organi elettivi. Sono nulli i contratti conclusi dall'ente in violazione dell'obbligo di avvalimento della stazione unica appaltante.
  Le disposizioni di cui agli articoli 26 e seguenti incidono invece sul Testo unico degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
  In particolare, l'articolo 26 novella l'articolo 143 del Testo unico in materia di scioglimento dei consigli degli enti locali infiltrati da organizzazioni mafiose e di responsabilità degli amministratori.
  La novella prevede che la Commissione di indagine nominata dal prefetto per accertare i collegamenti malavitosi degli amministratori locali, debba essere composta («ove possibile», quale uno dei componenti sui tre già previsti) anche da un dirigente del ministero dell'interno in servizio presso la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo che dispone l'indagine.
  Per il dipendente (dirigente e non) dell'Amministrazione locale per cui sia stata accertata dal prefetto (pur senza che si ricorra allo scioglimento) la sussistenza dell'infiltrazione o condizionamento malavitosi, può essere disposta (nei casi più gravi, con decreto del ministro dell'interno, su proposta prefettizia) la mobilità obbligatoria presso altro ente o il licenziamento.
  L'obbligo (qualora non sussistano i presupposti dello scioglimento) di concludere il procedimento di accertamento dell'infiltrazione o condizionamento mafiosi con un provvedimento che dia conto degli «esiti dell'attività di accertamento», è poi esteso anche ai casi in cui non vi siano provvedimenti a carico dei dipendenti dell'Amministrazione locale.
  La norma interviene quindi ad ampliare il regime di pubblicità del provvedimento di conclusione dell'accertamento, esplicativo della complessiva attività d'indagine condotta, nonché della proposta ministeriale o della relazione prefettizia allegati al decreto di scioglimento deliberabile dal Consiglio dei ministri.
  La norma prevede infine l'incandidabilità per sei anni (decorrenti dalla data in cui diventi definitivo il provvedimento giurisdizionale che la dichiari) per gli amministratori responsabili delle condotte che abbiano portato allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali nelle elezioni amministrative (incluse quelle regionali) su tutto il territorio nazionale.
  L'articolo 27 modifica invece l'articolo 144 del Testo unico degli enti locali, prevedendo che la Commissione straordinaria per la gestione dell'ente (e per il ripristino Pag. 136della legalità) sia composta da due prefetti e da un terzo esponente scelto tra funzionari dello Stato in possesso di specifiche esperienze in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti locali.
  Per gli enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti, si prevede che la componente prefettizia della Commissione (due su tre dei suoi membri, dunque) sia individuata all'interno di un nucleo appositamente costituito presso il Ministero dell'interno.
  L'articolo 28 novella l'articolo 145 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di Gestione straordinaria degli enti locali oggetto di scioglimento per infiltrazione o condizionamento mafioso o similare.
  La novella precisa che tale gestione debba essere volta al ripristino della legalità, in via prioritaria in alcuni settori, quali quelli dei tributi, dell'edilizia, dell'urbanistica, del commercio, dello smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, degli altri servizi pubblici locali e dei servizi sociali.
  La novella interviene poi sulla programmazione e sui contenuti dell'attività della commissione straordinaria preposta alla gestione che si prevede debba trasmettere al prefetto il piano priorità degli interventi definito dalla medesima.
  La disposizione prevede infine che, in relazione alle procedure di aggiudicazione o di affidamento di contratti pubblici, lavori, servizi e forniture, qualora vi ravvisi «gravi anomalie, pregiudizievoli dell'interesse pubblico», la commissione straordinaria di gestione possa avvalersi di personale delle forze dell'ordine e delle amministrazioni, previa richiesta motivata al prefetto.
  Rimane ferma per la commissione straordinaria la potestà, già prevista dalla norma vigente, di revocare le delibere già adottate o di rescindere contratti già conclusi, in qualsiasi momento e fase della procedura contrattuale.
  L'articolo 29 amplia poi il novero degli enti nei cui confronti possono essere effettuati i controlli sulle infiltrazioni mafiose e la gestione straordinaria, con esplicita previsione delle società partecipate o dei consorzi pubblici, anche a partecipazione privata.
  L'articolo 30 apporta modifiche al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231 al fine di uniformare la normativa italiana agli standard internazionali in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, adottati dal Gruppo d'Azione Finanziaria Internazionale (GAFI) e ripresi dalla Commissione europea.
  L'articolo 31 reca modifiche al decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109, volte ad adeguare la normativa italiana concernente le misure restrittive di prevenzione, contrasto e repressione del finanziamento del terrorismo, della proliferazione delle armi di distruzione di massa e delle attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale a quanto previsto dalla normativa internazionale ed europea.
  Infine, l'articolo 32 introduce una disciplina transitoria relativamente all'attività dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.

  Gianpiero D'ALIA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 9.10.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 9.10 alle 9.15.

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