CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 11 luglio 2012
680.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Mercoledì 11 luglio 2012. — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Salvatore Mazzamuto.

  La seduta comincia alle 14.

Schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente il regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali.
Atto n. 488.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Roberto CASSINELLI (PdL), relatore, illustra lo schema di decreto in esame anche a nome della correlatrice, onorevole Siliquini.
   Lo schema di regolamento di delegificazione in esame, che si compone di 14 articoli, dà attuazione ai principi dettati dall'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, e successive modificazioni, in materia di professioni regolamentate Pag. 103e si applica a tutte le professioni ordinistiche, fatte salve in particolare le specificità di quelle sanitarie (e per molti aspetti la specificità della professione notarile).
  Si ricorda che con l'entrata in vigore del regolamento – e comunque dal 13 agosto 2012 – saranno abrogate tutte le norme incompatibili con i principi contenuti nel decreto-legge. Successivamente, il Governo, entro il 31 dicembre 2012, dovrà raccogliere in un testo unico le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate.
  La Commissione giustizia deve esprimere il proprio parere entro il prossimo 27 luglio.
  In linea generale si osserva che lo schema di regolamento non presenta un contenuto normativo particolarmente più ricco rispetto alla disposizione di autorizzazione di rango legislativo (articolo 3, comma 5, decreto-legge n. 138 del 2011). Anzi, in alcune parti si limita a riprodurne il contenuto.
  L'articolo 1 definisce le professioni regolamentate.
  In via preliminare si osserva che la definizione proposta dal Governo non è molto dissimile da quella già contenuta nel decreto legislativo n. 206 del 2007, sul riconoscimento delle qualifiche professionali.
  Il regolamento definisce la professione regolamentata come l'attività o l'insieme delle attività, riservate o meno, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in ordini, collegi, albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici, quando l'iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità. Il tratto saliente è dunque quello della necessità di una formazione specifica per esercitare un insieme di attività.
  Si osserva inoltre che il regolamento prevede una riserva di attività esclusivamente prevista dalla legge; l'attività professionale, dunque, o è riservata dalla legge o non può essere riservata.
  Peraltro occorre valutare se questo meccanismo consenta di ricomprendere tra le professioni regolamentate anche elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni che possono non coincidere con gli Albi gestiti da Ordini.
  L'articolo 2, che dà attuazione al principio contenuto nella lettera a) della norma di autorizzazione alla delegificazione, ribadisce che l'accesso alle professioni regolamentate è libero, fatto salvo l'esame di Stato, e che libero è l'esercizio della professione.
  In particolare, il comma 1 vieta ogni limitazione all'iscrizione negli albi professionali, consentendo esclusivamente le limitazioni fondate: sul possesso di titoli richiesti espressamente dalla legge per la qualifica e l'esercizio professionale; sulla mancanza di condanne penali o disciplinari irrevocabili; su altri motivi imperativi di interesse generale (si osserva che nessun esempio è indicato nella relazione illustrativa di quali possano essere i motivi imperativi di interesse generale).
  Il comma 2 disciplina l'esercizio della professione, che deve essere fondato su «autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico» (la disposizione riproduce quanto già affermato nella disposizione legislativa di autorizzazione alla delegificazione). Questi concetti sono ripresi anche dall'articolo 8 dello schema, che afferma l'incompatibilità con l'esercizio della professione con tutte le attività che possono pregiudicare l'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico.
  All'interno degli albi è possibile formare sezioni speciali, riservate a coloro che abbiano ulteriori requisiti professionali e che possano dunque esercitare la professione in diversi ambiti, solo in presenza di una apposita disposizione di legge.
  Si osserva che né nel testo né nella relazione si dà conto di quali siano le disposizioni di legge in questione. Tanto più ciò potrebbe determinare problemi applicativi nelle more dell'adozione del testo unico delle disposizioni legislative non abrogate che, come già rilevato, dovrà essere adottato entro la fine del 2012. Pag. 104
  Sempre in relazione al concreto esercizio della professione, il comma 3 esclude il cosiddetto numero chiuso, consentendo limitazioni del numero di persone autorizzate ad esercitare una professione, in tutto il territorio nazionale ovvero in parte di esso, soltanto in presenza di ragioni di pubblico interesse.
  Si osserva che la disposizione esclude che eventuali limitazioni all'esercizio della professione possano essere introdotte attraverso norme deontologiche, ma non indica – con una sola eccezione – i casi in cui ricorrano le ragioni di pubblico interesse né richiede espressamente che a ciò provveda la legge.
  Tra le ragioni di pubblico interesse, che giustificano una limitazione all'esercizio delle professioni, il regolamento individua la tutela della salute, peraltro già richiamata anche dal decreto-legge.
  Sul punto lo schema di regolamento non reca specificazioni ulteriori rispetto a quanto già affermato dalla disposizione legislativa.
  Per quanto riguarda il personale sanitario, attualmente il legislatore limita, sulla base di esigenze del sistema sanitario nazionale, l'accesso ai corsi universitari di specializzazione, ma non il concreto esercizio della professione da parte di coloro che si siano già iscritti agli ordini. Si può allora ipotizzare che la deroga valga a confermare le limitazioni all'apertura di nuove farmacie, consentendola soltanto in presenza di particolari requisiti di popolazione.
  Un'ulteriore deroga espressa al principio del libero esercizio della professione viene dettata per i notai; anche in questo caso le ragioni sono connesse all'interesse pubblico.
  Appare utile verificare se sussistano ulteriori limitazioni previste attualmente dagli ordinamenti professionali, al fine di valutare se tali limitazioni siano comunque ascrivibili alla tutela di un interesse pubblico – e dunque sopravvivano alla delegificazione – ovvero se siano da ritenere in contrasto con il principio del libero esercizio delle professioni – e dunque abrogate per effetto della delegificazione.
  L'ultimo periodo del comma 3 consente limitazioni spaziali all'esercizio della professione alle dipendenze di enti o di altri professionisti, che siano funzionali «alle finalità degli enti e al rapporto contrattuale con i professionisti».
  Appare opportuno che venga specificata la portata applicativa della disposizione.
  Infine, il comma 4 riprende quanto già disposto dalla disposizione legislativa di autorizzazione vietando, nell'accesso e nell'esercizio della professione, ogni discriminazione.
  L'articolo 3 prescrive che ciascuna professione sia organizzata in albi a livello territoriale e nazionale.
  Si osserva che il decreto-legge n. 138 del 2011 non contiene su questo aspetto uno specifico criterio per la delegificazione.
  A livello territoriale, l'albo è pubblico e deve essere tenuto dal consiglio o dal collegio territoriale. Ciascun albo deve contenere l'anagrafe di tutti gli iscritti con l'annotazione degli eventuali provvedimenti disciplinari subiti.
  L'albo unico nazionale è la somma degli albi territoriali ed è tenuto dal consiglio nazionale competente. Spetterà ai consigli territoriali aggiornare in tempo reale e per via telematica l'albo unico nazionale.
  Diversamente dall'albo territoriale, per il nazionale non è prevista espressamente la pubblicità.
  L'articolo 4 attua il principio contenuto nella lettera g) dell'articolo 3, comma 5 del decreto-legge n. 138 del 2011, di autorizzazione alla delegificazione, in tema di pubblicità informativa.
  Si osserva che la rubrica dell'articolo 4 fa riferimento anche al principio della libera concorrenza, che non trova nella disposizione uno svolgimento ulteriore rispetto alla pubblicità informativa.
  Lo schema di regolamento riprende integralmente il contenuto della norma di autorizzazione, che già si caratterizzava Pag. 105per l'innovativa previsione di un'informazione pubblicitaria sui compensi delle prestazioni.
  Rispetto alla lettera g), l'articolo 4 del regolamento specifica alcune caratteristiche dell'informazione pubblicitaria che deve (comma 1): essere funzionale all'oggetto (la relazione illustrativa chiarisce che «le informazioni rese mediante pubblicità devono essere strettamente funzionali all'oggetto, in tal modo assorbendosi ogni necessità di riferimenti ambigui alla dignità e al decoro professionale»); non violare l'obbligo del segreto professionale (conseguentemente, non sarà consentita, ad esempio, un'informazione pubblicitaria che riveli il nome dei clienti del professionista).
  Il regolamento non chiarisce quale sia la sorte della pubblicità comparativa; è però la relazione illustrativa ad affermare che «nel concetto di pubblicità informativa, previsto dalla norma di delega, deve comprendersi, logicamente, la pubblicità comparativa in termini assoluti e non quella comparativa in senso stretto, tradotta con raffronti relativi ad altri specifici professionisti».
  Il comma 2 aggiunge che la violazione delle disposizioni sulla pubblicità costituisce illecito disciplinare. Conseguentemente, è da ritenere che competa all'organo disciplinare – come già affermato dal decreto-legge n. 223 del 2006 – il compito di verificare il rispetto dei requisiti imposti al messaggio pubblicitario.
  Si osserva che nell'articolo 4 non è chiarito se risultino abrogate le disposizioni in materia di pubblicità contenute nel cosiddetto decreto-Bersani.
  L'articolo 5, attuando la lettera e) dell'articolo 3, comma 5 del decreto-legge 138, afferma l'obbligo per il professionista di stipulare un'assicurazione per i danni derivanti dall'esercizio dell'attività professionale.
  La disposizione riproduce il contenuto della norma di autorizzazione, specificando (comma 1): che la negoziazione di convenzioni collettive con le compagnie di assicurazione può essere effettuata dagli organismi rappresentativi della professione o dalle casse o enti di previdenza; che nelle attività coperte da assicurazione devono rientrare anche la custodia di documenti e valori ricevuti dal cliente; che il professionista deve rendere noto al cliente il massimale dell'assicurazione e gli estremi della polizza già al momento dell'assunzione dell'incarico, aggiornandolo su eventuali variazioni successive; che la violazione delle disposizioni sulla copertura assicurativa costituisce illecito disciplinare (comma 2).
  L'articolo 6 disciplina il tirocinio professionale, dando attuazione al principio di cui alla lettera c) dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011. Occorre precisare che l'articolo 6 dello schema di regolamento interviene in questo ambito in via generale, mentre il successivo articolo 11 si occupa in particolare del tirocinio degli avvocati.
  Dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 138 è però intervenuto anche il decreto-legge liberalizzazioni che, all'articolo 9, commi 4 e 6, disciplina più ampiamente il tirocinio per tutte le professioni regolamentate, eccetto quelle sanitarie.
  Si osserva che il legislatore del decreto-legge n. 1 del 2012 non ha ritenuto di dover modificare il principio di autorizzazione alla delegificazione già espresso dal decreto-legge n. 138, cosa che ad esempio è stata fatta per i compensi professionali attraverso la soppressione del principio di cui alla lettera d). Si deve desumere che le modifiche alla disciplina del tirocinio introdotte dal decreto-legge n. 1 del 2012 non abbiano prodotto effetti abrogativi nei confronti della disposizione di delegificazione recata dalla lettera c).
  Il decreto-legge n. 1 del 2012 stabilisce: che al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfetariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio (comma 4); che la durata del tirocinio previsto per l'accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a 18 mesi; che per i primi 6 mesi il tirocinio può essere svolto in concomitanza con il corso di laurea. Dovranno intervenire convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini e il Pag. 106Ministro dell'università; che, alla conclusione del corso di laurea, il tirocinio possa essere svolto anche presso pubbliche amministrazioni. Dovranno intervenire convenzioni tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione.
  Fermi questi principi, affermati direttamente dal legislatore, il regolamento di delegificazione deve limitarsi a disciplinare l'effettivo svolgimento dell'attività formativa del tirocinante e l'adeguamento costante in funzione della garanzia di adeguatezza del servizio professionale da prestare.
  Lo schema di regolamento di delegificazione: definisce il tirocinio come «l'addestramento, a contenuto teorico e pratico, del praticante, finalizzato a conseguire le capacità necessarie per l'esercizio e la gestione organizzativa della professione» (comma 1); prescrive ad ogni ordine professionale di tenere a livello territoriale un registro dei praticanti; l'iscrizione nel registro è condizione necessaria per poter svolgere il tirocinio. Il comma 2 afferma che l'iscrizione nel registro è possibile solo dopo aver conseguito «la laurea o il diverso titolo di istruzione previsti dalla legge per l'accesso alla professione regolamentata».
  Appare utile coordinare la disposizione sull'iscrizione dei laureati nel registro: con quanto disposto dall'articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2012, che – in presenza di una convenzione quadro – consente lo svolgimento dei primi 6 mesi di tirocinio in concomitanza con il corso di laurea; con il successivo comma 4 del medesimo articolo 6 che tale possibilità riconosce.
  Lo schema di regolamento, inoltre: stabilisce (comma 3) che il professionista affidatario debba avere almeno 5 anni di anzianità e non possa svolgere la funzione contemporaneamente per più di 3 praticanti (deroghe sono consentite solo previa verifica delle attività svolte dal professionista e delle caratteristiche del suo studio professionale); consente lo svolgimento dei primi 6 mesi di tirocinio in concomitanza con l'ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea necessaria (comma 4), sulla base di specifica convenzione quadro tra il consiglio nazionale, il ministro dell'istruzione, università e ricerca e il ministro vigilante; in questo ambito, i consigli territoriali e le università pubbliche e private possono stipulare convenzioni per regolare i reciproci rapporti, in conformità alla convenzione quadro.
  Si osserva che la formulazione è in parte diversa da quella contenuta nel comma 6 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 1 del 2012. Solo lo schema di regolamento, infatti, specifica che i sei mesi di tirocinio possono essere svolti esclusivamente in concomitanza con l'ultimo anno di frequenza universitaria.
  Peraltro, né il decreto-legge, né lo schema di regolamento chiariscono cosa accada se, avviato e magari anche concluso il semestre di tirocinio, il tirocinante abbia difficoltà a concludere nei tempi il percorso di studio universitario. Appare utile pertanto stabilire se i 6 mesi pre-laurea debbano essere seguiti – senza soluzione di continuità – dai successivi 12 mesi post-laurea, ovvero se operi esclusivamente la finestra di tolleranza di 6 mesi di interruzione del tirocinio, prevista dal comma 7 ovvero ancora se un'eventuale interruzione più lunga possa essere ritenuta giustificabile (sempre in base al «giustificato motivo» di cui al comma 7).
  Lo schema di regolamento consente altresì che il tirocinio possa essere svolto per 6 mesi presso enti o professionisti di altri Paesi «con titolo equivalente e abilitati all'esercizio della professione» (comma 4) (anche se non chiarisce se questo tirocinio debba essere autorizzato dal consiglio dell'ordine ovvero se debbano essere previste delle convenzioni tra i consigli nazionali e gli organismi rappresentativi delle professioni nei Paesi stranieri ovvero se debbano essere previste convenzioni con gli «enti» di tali Paesi); impone che alla pratica professionale in studio si accompagni, per almeno 6 mesi (e minimo 200 ore), la frequenza (obbligatoria e con profitto) di specifici corsi di formazione professionale (comma 9). Il contenuto formativo dei corsi e le modalità Pag. 107di frequenza, compresa la previsione di verifiche intermedie e di profitto, dovranno essere disciplinate con regolamento del ministro vigilante la professione, da emanare entro un anno dall'entrata in vigore del regolamento di delegificazione (comma 10). Il medesimo ministro dovrà poi verificare l'idoneità dei corsi organizzati dagli ordini o dai collegi, dichiarando così la data a decorrere dalla quale questa disposizione possa dirsi applicabile (comma 11).
  Si stabilisce inoltre l'incompatibilità assoluta del tirocinio con « qualunque rapporto di impiego pubblico» e l'incompatibilità relativa con il lavoro subordinato privato. In questo caso, infatti, il consiglio territoriale dell'ordine o del collegio dovranno verificare che l'attività lavorativa abbia modalità ed orari idonei a consentire l'effettivo svolgimento del tirocinio (comma 5); si afferma che il tirocinio non comporta l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, fermo il diritto del tirocinante ad ottenere – dopo sei mesi dall'avvio del tirocinio – un rimborso spese forfetariamente concordato con l'affidatario (comma 6); si dispone che l'interruzione del tirocinio per oltre 6 mesi, senza giustificato motivo, comporta l'inefficacia, ai fini dell'accesso, di quello previamente svolto (comma 7); si impone ai tirocinanti gli stessi doveri e le stesse norme deontologiche dei professionisti affidatari e li sottopone al medesimo potere disciplinare (comma 8); si affida (comma 12) al consiglio dell'ordine o collegio territoriale il compito di rilasciare il certificato di compiuto tirocinio che perde efficacia se – trascorsi 5 anni dal rilascio – non viene superato l'esame di stato (se previsto); si dispone in ordine all'entrata in vigore delle disposizioni sul tirocinio, prevedendo che le stesse si applichino ai tirocini iniziati a partire dal giorno successivo all'entrata in vigore del regolamento di delegificazione (comma 13).
  L'articolo 7 dello schema di regolamento dà attuazione al principio contenuto nella lettera b) del provvedimento di autorizzazione alla delegificazione, in tema di formazione continua dei professionisti.
  Lo schema di regolamento: conferma che la formazione continua è uno specifico dovere del professionista, la cui violazione comporta illecito disciplinare (comma 1); attribuisce al ministro vigilante sulla professione il compito, entro un anno dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica, di emanare un decreto per disciplinare modalità e condizioni dell'assolvimento dell'obbligo di formazione, requisiti dei corsi di aggiornamento e valore dei crediti formativi (comma 2); demanda a convenzioni tra i consigli nazionali e le università la possibilità di stabilire regole comuni di riconoscimento reciproco dei crediti formativi (comma 3); demanda ai diversi consigli nazionali il compito di individuare crediti formativi interdisciplinari (comma 3); consente agli ordini e ai collegi di organizzare la formazione anche in cooperazione con altri soggetti (comma 4) (si osserva che lo schema di regolamento non indica alcun requisito per i soggetti con cui gli ordini possono cooperare nell'organizzazione della formazione); consente alle regioni di disciplinare l'attribuzione di fondi per l'organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale (comma 5); ribadisce (comma 6) quanto già affermato dalle disposizioni di autorizzazione, ovvero che resta ferma la disciplina vigente sull'educazione continua in medicina (ECM).
  L'articolo 8 disciplina le incompatibilità affermando il principio per il quale lo svolgimento di una attività professionale regolamentata è incompatibile soltanto con le attività che pregiudicano autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico, del professionista.
  Si osserva che il decreto-legge n. 138 del 2011 non contiene su questo aspetto uno specifico criterio per la delegificazione; peraltro, tanto l'alinea del comma 5, quanto la lettera a) – relativa al libero accesso e libero esercizio della professione – possono essere richiamate a sostegno della legittimità di questo intervento.Pag. 108
  La disposizione, peraltro, fa salve le norme che regolano sul punto la professione notarile nonché le eventuali incompatibilità previste dalla normativa sul pubblico impiego.
  Si osserva che la disposizione sul tirocinio (articolo 6) afferma espressamente l'incompatibilità dello svolgimento del tirocinio con qualunque rapporto di impiego pubblico. Se quindi un impiego pubblico può rappresentare un ostacolo per l'accesso alla professione, lo stesso non vale per coloro che abbiano già acquisito il titolo per l'esercizio della professione e che ben potranno, se non è pregiudicata l'autonomia e l'indipendenza, svolgere una doppia attività. A fronte di una norma come quella recata dall'articolo 8 è da valutare – nel silenzio dello schema di regolamento – l'effetto abrogativo nei confronti della disciplina attualmente prevista, ad esempio, per gli avvocati.
  L'articolo 9 dà attuazione al principio di delegificazione contenuto nella lettera f) dell'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 138 del 2011, in tema di procedimento disciplinare.
  Come già sottolineato, la disposizione sul procedimento disciplinare non solo non si applica alle professioni sanitarie (come già previsto dal decreto-legge) né alla professione notarile (come previsto dal comma 18), ma non può applicarsi neanche alle funzioni disciplinari svolte dai consigli nazionali di professioni istituite prima dell'entrata in vigore della Costituzione. In relazione a tali professioni, infatti, gli organi disciplinari di ultima istanza sono stati definiti dalla Corte costituzionale come aventi «natura giurisdizionale» e risultano pertanto garantiti nella loro struttura e nelle loro funzioni da una riserva assoluta di legge.
  Conseguentemente, l'articolo 9 si limita a istituire, per tutte le professioni diverse da quella sanitaria e dalla professione notarile, i consigli di disciplina territoriali presso i consigli dell'ordine o i collegi territoriali, garantendo che coloro che giudicano il professionista siano soggetti diversi da coloro che ne gestiscono l'iscrizione all'albo. Disciplina in modo analogo le funzioni disciplinari svolte presso i consigli nazionali, ma esclusivamente per quegli organi nazionali che «decidono in via amministrativa sulle questioni disciplinari».
  Analiticamente, per quanto riguarda le funzioni disciplinari a livello territoriale, lo schema di regolamento stabilisce: l'istituzione presso ogni consiglio dell'ordine territoriale o collegio territoriale di consigli di disciplina territoriali, competenti per l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari (comma 1); che ogni consiglio di disciplina territoriale sia di regola composto da 3 consiglieri effettivi e 2 supplenti (presidenza al componente con maggiore anzianità di iscrizione all'albo). Nel caso in cui i consigli dell'ordine o collegio siano situati nei comuni sede di Corte d'appello, la composizione dei consigli di disciplina è di 9 consiglieri e 3 supplenti ovvero, nel caso in cui i componenti del consiglio di riferimento siano meno di 12, da 6 consiglieri e 3 supplenti (comma 2); la composizione dei consigli di disciplina territoriali è effettuata mediante designazione da parte del presidente del consiglio dell'ordine (o collegio territoriale) più prossimo (viciniore), che sceglierà tra i componenti di quest'ultimo organo. Per l'individuazione del consiglio viciniore occorre attendere un regolamento deliberato dal consiglio nazionale dell'ordine o collegio che terrà conto anche della distribuzione territoriale degli iscritti all'albo. Per i consigli dell'ordine situati in comuni sedi di Corte d'appello sono individuati, per la designazione dei membri dei consigli di disciplina, i consigli dell'ordine individuati ai sensi dell'articolo 11 c.p.p. (competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati), e dunque, ad esempio, Perugia designerà i componenti del consiglio di disciplina di Roma, Firenze deciderà per Perugia etc. (comma 3); che i singoli ordinamenti professionali possano individuare ulteriori cause di incompatibilità con la carica di membro del consiglio di disciplina (comma 3); che i consigli di disciplina restino in carica per il medesimo periodo dei consigli dell'ordine territoriali (comma 6).Pag. 109
  In ordine alla formulazione del testo, si osserva che la disposizione sulla presidenza del consiglio di disciplina di cui al comma 4 è già contemplata anche dall'ultimo periodo del comma 2.
  Per quanto riguarda, invece, il livello nazionale, il comma 7 dispone che presso i consigli nazionali dell'ordine, che decidono in via amministrativa sulle questioni disciplinari, sono istituiti consigli di disciplina nazionali.
  Lo schema di regolamento stabilisce che tali organi abbiano una composizione di 9 consiglieri e 3 supplenti (con la possibilità di formazione di collegi interni all'organo composti da 3 consiglieri) e siano presieduti dal più anziano per iscrizione all'albo. Anche in questo caso il principio cardine è quello dell'incompatibilità tra la carica di consigliere nazionale dell'ordine e la corrispondente carica di membro del consiglio nazionale di disciplina (comma 8).
  L'individuazione dei componenti dei consigli nazionali di disciplina avviene attingendo dal novero dei primi non eletti alla carica di consigliere nazionale dell'ordine o collegio, in caso di parità di voti, da quelli con maggiore anzianità di iscrizione all'albo.
  La relazione illustrativa precisa che questo sistema consente di conservare la rappresentatività dei membri che compongono il consiglio di disciplina senza modificare – stanti i limiti della delegificazione che non consentirebbero di modificare il sistema elettorale dei consigli degli ordini – i meccanismi elettorali dei singoli ordini o collegi professionali.
  Per l'attuazione di queste disposizioni lo schema assegna ai Consigli nazionali dell'ordine o collegio 90 giorni dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica per emanare propri regolamenti; nelle more di questa attuazione continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti (comma 12).
  Infine, spetta al ministro vigilante sulla singola professione regolamentata procedere, secondo i principi generali, al commissariamento dei consigli di disciplina territoriali e nazionali per gravi e ripetuti atti di violazione di legge, ovvero nel caso in cui non siano in condizioni di funzionare regolarmente (comma 16).
  Il comma 18 dell'articolo 9 esclude poi che la riforma introdotta dal regolamento di delegificazione trovi applicazione nei confronti della professione notarile.
  In merito appare opportuno modificare conseguentemente la rubrica dell'articolo.
  L'esclusione della professione notarile è così motivata dalla relazione illustrativa: «per la professione di notaio, va considerata la peculiarità del sistema disciplinare vigente, che garantisce di per sé la separazione con la funzione amministrativa (oltre che ampia terzietà), in cui consiste l'essenza della di riforma sul punto: come può riscontrarsi, infatti, tutta la disciplina degli articoli 148 e seguenti della legge notarile (16 febbraio 1913 n. 89), quale modificata dal decreto legislativo 1o agosto 2006 n. 149, è conforme ai principi di delega».
  Lo schema di regolamento di delegificazione detta una disciplina specifica relativa agli avvocati, limitandosi peraltro a disciplinare due profili specifici della professione forense: il domicilio professionale e il tirocinio.
  In merito si ricorda che è in corso di esame alla Camera dei deputati l'A.C. 3900-A, recante una riforma complessiva della professione forense. Il provvedimento, che peraltro dà attuazione ad alcuni principi affermati dal decreto-legge n. 138 del 2011 (si pensi alla formazione continua, alla libera determinazione tra le parti del compenso, all'assicurazione professionale), è stato già approvato dal Senato e poi modificato in sede referente dalla Commissione giustizia ed è ora all'esame dell'Assemblea.
  L'articolo 10 disciplina il domicilio dell'avvocato.
  Attualmente, in base all'articolo 10 della legge professionale (regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), l'avvocato deve risiedere nel capoluogo del circondario del Tribunale al quale è assegnato, a meno che il Presidente del Tribunale, sentito il parere del Pag. 110Consiglio dell'ordine, non lo autorizzi a risiedere in un'altra località del circondario, purché egli abbia nel capoluogo un proprio ufficio, anche presso un altro avvocato.
  Lo schema di regolamento stabilisce che l'avvocato deve avere un domicilio professionale nell'ambito del circondario di competenza territoriale dell'ordine presso cui è iscritto, salva la facoltà di avere ulteriori sedi di attività in altri luoghi del territorio nazionale. Viene dunque esclusa l'esigenza di risiedere nel capoluogo del circondario del tribunale.
  L'articolo 10 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 è incompatibile con il regolamento di delegificazione ed è dunque destinato all'abrogazione con effetto dall'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica.
  L'articolo 11 detta disposizioni specifiche sul tirocinio degli aspiranti avvocati, che si affiancano a quanto già disposto dall'articolo 6. In particolare, il comma 1, richiama espressamente le disposizioni dei commi 3 e 4 dell'articolo 6, che dunque devono essere applicati anche alla professione forense.
  Si osserva che la clausola che fa salvo, «in particolare», quanto disposto dall'articolo 6, commi 3 e 4, non chiarisce se debbano applicarsi agli avvocati anche le restanti parti dell'articolo 6.
  Lo schema di regolamento prevede che il tirocinio può essere svolto presso (comma 1): un avvocato iscritto all'ordine (da almeno 5 anni, in base all'articolo 6); l'Avvocatura dello Stato; l'ufficio legale di un ente pubblico; l'ufficio legale di un ente privato (per gli enti privati occorre un'autorizzazione del ministro della giustizia) (la disposizione non puntualizza se il ministro debba autorizzare il singolo tirocinio ovvero debba autorizzare in generale l'ente privato); un ufficio giudiziario. Il comma 5 precisa che tale attività dovrà essere disciplinata con apposito decreto del Ministro della giustizia da emanare entro un anno. La disposizione anticipa peraltro i futuri compiti del tirocinante («l praticanti presso gli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio») e la valutazione che dovrà essere data dal magistrato («il magistrato designato ... redige una relazione sull'attività e sulla formazione professionale acquisita, che viene trasmessa al consiglio dell'ordine competente»), precisando che questo tirocinio è interamente gratuito.
  La disposizione sul tirocinio presso gli uffici giudiziari specifica che fino all'emanazione del decreto attuativo continua ad applicarsi l'attuale disciplina del praticantato.
  Si ricorda che l'attuale disciplina del praticantato è data anche dalle disposizioni previste dall'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, in parte riprodotto nello schema di regolamento.
  Il tirocinio può inoltre essere in parte svolto attraverso la frequenza alla scuola di specializzazione delle professioni legali; il possesso del diploma di specializzazione viene infatti ritenuto equivalente a 12 mesi di tirocinio (comma 3). La frequenza a questa scuola sostituisce la frequenza ai corsi di formazione previsti in generale dall'articolo 6, comma 9. In assenza, anche per gli aspiranti avvocati dovranno essere disciplinati i corsi di formazione di durata semestrale.
  Il regolamento intende comunque assicurare che dei 18 mesi di tirocinio almeno 6 siano svolti presso un avvocato, l'avvocatura o un ufficio legale (comma 2), escludendo l'ipotesi di cumulo, ad esempio, dei 12 mesi derivanti dal diploma con i 6 mesi svolti presso un ufficio giudiziario.
  Pare pertanto che risulti escluso il tirocinio all'estero (previsto in via generale dall'articolo 6, comma 4, dello schema), sia perché il professionista estero non sarà iscritto all'ordine professionale italiano sia perché non pare possibile riferire anche a enti non italiani l'autorizzazione del ministro della giustizia.
  Infine, quanto ai possibili trasferimenti del praticante avvocato, il comma 4 dispone che il praticante può, per giustificato motivo, trasferire la propria iscrizione presso l'ordine del luogo ove intende proseguire il tirocinio, previa autorizzazione Pag. 111del consiglio dell'ordine che dovrà altresì attestare la durata del tirocinio già svolto. In queste ipotesi, il comma 6 individua la sede presso la quale l'aspirante avvocato può sostenere l'esame di stato nella sede di Corte d'appello nel cui distretto è stato svolto il più lungo periodo di tirocinio (in caso di equivalenza, prevale la prima sede di tirocinio).
  Si osserva che: appare opportuno valutare la previsione della gratuità del tirocinio presso gli uffici giudiziari alla luce della disposizione del decreto-legge n. 1 del 2012, che richiede, dopo i primi 6 mesi, un rimborso spese; analogamente, occorre chiedersi se la corresponsione del rimborso spese sia possibile presso l'Avvocatura dello Stato o gli uffici legali degli enti pubblici; appare utile valutare il rimborso spese previsto dal legislatore alla luce della possibilità offerta dal regolamento di svolgere un tirocinio «frammentato», ovvero presso soggetti diversi. Occorre considerare, in particolare, se il tirocinante – nel caso in cui si sposti ogni 6 mesi in un ufficio diverso – possa reclamare, a partire dalla seconda sede, un rimborso spese.
  L'articolo 12 detta una disposizione specifica sull'accesso alla professione notarile.
  Il comma 1 dell'articolo 12 dello schema di regolamento non innova quanto già previsto dall'articolo 5 della legge professionale. La disposizione richiama infatti tutti i requisiti dell'articolo 5, conferma che possono divenire notai tanto i cittadini italiani quanto i cittadini UE e ribadisce che per questi ultimi il titolo di studio e la pratica possono essere sostituiti dal riconoscimento del titolo professionale estero, residuando comunque il necessario superamento dell'esame di stato.
  Si osserva che il richiamo all'articolo 5 della legge professionale non consentirà l'effetto abrogativo della disposizione e si avrà la contestuale vigenza dell'articolo 5 della legge e dell'articolo 12, comma 1, del regolamento.
  Il comma 2 dispone in ordine alla pratica professionale, per equiparare il possesso del diploma di specializzazione conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali a 12 mesi di pratica notarile.
  Il conseguimento del diploma assorbe la necessità di partecipazione per sei mesi ai corsi di formazione professionale previsti dall'articolo 6, comma 9.
  L'articolo 13 reca la clausola di efficacia delle nuove disposizioni e quella di invarianza finanziaria e disciplina gli effetti abrogativi.
  In particolare, il comma 1, primo periodo, prevede che le disposizioni del regolamento si applichino dal giorno successivo alla data di sua entrata in vigore.
  Il secondo e terzo periodo recano la clausola di invarianza finanziaria e impongono ai soggetti pubblici interessati di operare nell'ambito delle risorse disponibili agli scopi a legislazione vigente.
  Il comma 2 prevede l'abrogazione di tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili, fermo quanto previsto dall'articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011 n. 148, e successive modificazioni e fatto salvo quanto previsto da disposizioni attuative di direttive di settore emanate dall'Unione europea.
  Il comma 2 dell'articolo 13 dello schema di regolamento esplicita quindi che l'effetto abrogativo interessa disposizioni sia legislative sia regolamentari.
  Si osserva in primo luogo che il regolamento non effettua una ricognizione delle disposizioni oggetto di abrogazione. Ciò potrà determinare dubbi applicativi nelle more dell'entrata in vigore del testo unico che dovrà raccogliere entro il 31 dicembre 2012 le disposizioni non abrogate.
  L'articolo 14 prevede l'entrata in vigore del regolamento il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  L'immediata entrata in vigore risulta funzionale al rispetto del termine del 13 agosto 2012, a decorrere dal quale si producono comunque gli effetti abrogativi nei confronti delle norme vigenti sugli ordinamenti professionali in contrasto con Pag. 112i principi sulle liberalizzazioni delle professioni (lettere da a) a g) del comma 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 138 del 2011).
  Conclude formulando a titolo personale alcuni rilievi in merito allo schema di decreto in esame.
  In primo luogo, ricorda che oramai da tempo la Commissione giustizia ha approvato il progetto di legge n. 3900, recante la riforma dell'ordinamento professionale forense, apportando peraltro una serie di modifiche al testo approvato dal Senato, ma che tuttavia, a causa dell'intasamento dei lavori dell'Assemblea, non si riesce ancora ad approvare in Aula al fine di trasmetterlo al Senato per una nuova lettura. Anche alla luce dell'attuazione in corso della delega relativa alla riforma degli ordinamenti professionali, ritiene opportuno che prima della pausa estiva dei lavori parlamentari si riesca ad approvare almeno alla Camera il predetto progetto di legge, senza escludere la possibilità di un rinvio in Commissione in vista del trasferimento dell'esame in sede legislativa.
  In relazione allo schema in esame, rileva che a suo parere in alcuni punti il Governo non ha rispettato i i principi di delega, mentre in altri ha adottato delle scelte che suscitano delle perplessità.
  In particolare, osserva che l'articolo 1, comma 1, lettera a) annovera nella definizione di «professione regolamentata» anche le attività esercitate dagli iscritti in «in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici»; per cui attraverso tale disposizione, si incide sulla disciplina di attività diverse da quelle organizzate negli ordinamenti professionali esistenti, e si prefigura l'introduzione di nuove figure professionali al di fuori del modello ordinistico. A suo parere, quindi, si dovrebbero sopprimere, all'articolo 1, comma 1, lettera a) le parole «o in ogni caso in albi, registri ed elenchi tenuti da amministrazioni o enti pubblici» quando la iscrizione è subordinata al possesso di qualifiche professionali o all'accertamento delle specifiche professionalità.
  Osservato che l'articolo 5 dello Schema di regolamento in esame, relativo all'obbligo di stipula di una polizza assicurativa per i rischi derivanti dall'attività professionale, riconosce anche alle associazioni professionali la legittimazione a stipulare convenzioni con le compagnie assicurative, ritiene che a tale articolo si debbano sopprimere, le parole «o da associazioni professionali».
  Rileva che l'articolo 7, comma 2, affida la disciplina attuativa dell'obbligo di formazione permanente ad Regolamento da adottarsi dal Ministro vigilante, previo parere del Consiglio nazionale, eccedendo l'ambito di autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare in delegificazione di cui all'articolo 3, comma 5, lettera b) del decreto-legge n. 138 del 2001, convertito in legge dalla legge n. 148,/ considerato che tale disposizione affida la potestà regolamentare unicamente ai Consigli nazionali.
  Si sofferma quindi sull'articolo 8 volto a disciplinare il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione, limitando, in particolare, al primo comma l'incompatibilità esclusivamente alle attività suscettibili di pregiudicare l'autonomia e indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnico del professionista, facendo salvo il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di notaio e con il pubblico impiego. Sottolinea quindi come la disciplina delle incompatibilità all'esercizio della professione non rientri nell'oggetto dell'intervento regolamentare in delegificazione autorizzato dall'articolo 3, comma 5, del predetto decreto, ritenendo che, in ogni caso, affidare la disciplina delle incompatibilità ad una formulazione di carattere generico e valida per tutte le professioni regolamentate esponga l'ambito materiale considerato al rischio di notevoli distorsioni interpretative e conseguenti gravi incertezze applicative, senza considerare adeguatamente le specificità legate alle singole professioni regolamentate.
  Non condivide assolutamente l'articolo 11 laddove reca una disciplina speciale del tirocinio per l'accesso alla professione forense introducendo la possibilità di svolgere il tirocinio presso gli uffici legali di Pag. 113enti privati autorizzati dal Ministro della Giustizia, in quanto ritiene che il tirocinio in questione non si possa svolgere in luoghi diversi dagli studi professionali.
  Auspica, infine, che i rilievi da lui appena formulati siano condivisi dalla correlatrice per poter essere inseriti poi inseriti nella proposta di parere che verrà formulata all'esito della discussione.

  Maria Grazia SILIQUINI (PT), relatore, dichiara in primo luogo di condividere le osservazioni critiche appena svolte dal correlatore in merito ad uno schema di decreto che si pone così spesso in contrasto con i principi di delega da rendere anche difficile l'approvazione di un parere favorevole sia pure correlato da una cospicua serie di condizioni. A questo proposito esprime tutto il suo stupore nel vedere presentare da parte del Governo un testo che non tiene conto dell'approfondito lavoro fatto dai tecnici del Ministero e dai rappresentanti degli ordini professionali riuniti in un tavolo tecnico. In particolare, non si è tenuto conto di rilievi meramente tecnici espressi dai rappresentanti delle professioni, approvando un testo che in molti punti appare essere viziato di eccesso di delega.
  Proprio per le ragioni appena evidenziate, ritiene di estrema importanza procedere ad una serie di audizioni che consenta di sentire i rappresentanti delle aree sanitaria, tecnica, economica-sociale e giuridica del Cup, i rappresentanti del Pat nonché i rappresentanti dei sindacati, al fine di valutare in Commissione le osservazioni di natura tecnica già sottoposte al Ministro.

  Giulia BONGIORNO, presidente, fa presente che la questione dell'individuazione dei soggetti da audire sarà affrontata dall'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, convocato per oggi. Rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.15.

SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 11 luglio 2012. — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Salvatore Mazzamuto.

  La seduta comincia alle 14.15.

Decreto-legge 83/12 recante misure urgenti per la crescita del Paese.
C. 5312 Governo.
(Parere alle Commissioni riunite VI e X).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 10 luglio 2012.

  Cinzia CAPANO (PD), relatore, anche a nome del correlatore, onorevole Contento, chiede al rappresentante del Governo se, come preannunciato, il Governo abbia presentato presso le Commissioni di merito un emendamento volto a sostituire l'articolo 54, e, in caso positivo, quale sia il contenuto.

  Il sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO dichiara che l'emendamento in questione è in corso di presentazione. Quanto al contenuto, rileva che questo è volto a migliorare la disciplina del filtro in appello sotto due profili: il rafforzamento del contraddittorio e la fissazione di una griglia di valutazione da parte del giudice attraverso l'individuazione di motivi specifici di critica della sentenza di primo grado.

  Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni per favorire le transazioni commerciali tra le imprese.
Testo unificato C. 3970 Dal Lago ed abb.
(Parere alla X Commissione).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 7 giugno 2012.

Pag. 114

  Fulvio FOLLEGOT (LNP), relatore, dichiara la propria intenzione di presentare una proposta di parere che tenga conto dei rilievi formulati dall'onorevole Contento.

  Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.20.

SEDE REFERENTE

  Mercoledì 11 luglio 2012 — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. — Intervengono i sottosegretari di Stato per la giustizia Antonino Gullo e Salvatore Mazzamuto.

  La seduta comincia alle 14.20.

Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici.
C. 4041, approvata dal Senato, C. 541 Vitali, C. 2514 Galati, C. 2608 Torrisi, C. 3682 Duilio, C. 4139 Maggioni e C. 4168 Giammanco.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato il 5 luglio 2012.

  Giulia BONGIORNO, presidente, rivolge a nome della Commissione un saluto di benvenuto al Sottosegretario Antonino Gullo.
  Ricorda quindi che il relatore ed il Governo hanno espresso il parere sulle proposte emendative presentate, sulle quali avranno oggi inizio le votazioni
  Fa altresì presente che viene oggi pubblicato l'emendamento 7.200 (vedi allegato), che per errore materiale non risulta pubblicato nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 14 giugno 2012. Dichiara peraltro tale emendamento inammissibile per estraneità di materia.

  La Commissione, con distinte votazioni, respinge l'emendamento Duilio 1.1 e approva gli emendamenti Cilluffo 1.3 nonché gli emendamenti 1.4 e 1.5 del relatore (vedi allegato).

  Lino DUILIO (PD) illustra il proprio emendamento 2.1, sottolineandone la natura di emendamento di sistema, seguito da altre proposte emendative minori che ne riproducono parte del contenuto, talvolta con alcune modifiche. Rileva come la proposta preveda, tra l'altro, la possibilità, con delibera dell'assemblea approvata a maggioranza qualificata (anziché all'unanimità) di compiere atti di disposizione delle parti comuni, mutarne la destinazione d'uso e acquisire la proprietà di ulteriori beni comuni. Richiamandosi ai propri precedenti interventi in materia, rileva come il condominio non possa più essere considerato una mera sommatoria di diritti reali individuali, ma sia divenuto una realtà profondamente diversa che necessita di una disciplina evoluta e dinamica. Invita la Commissione a considerare, a titolo esemplificativo, quanto risulti inadeguata la disciplina vigente a regolare in modo efficace realtà condominiali composte da più di cinquemila unità abitative.

  Donatella FERRANTI (PD) preannuncia il proprio voto contrario sull'emendamento Duilio 2.1. Ritiene che l'esigenza di rendere il condominio più agevolmente gestibile debba tradursi in disposizioni che non creino una mutazione genetica dell'istituto, ponendo forti dubbi sotto il profilo del rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento e, segnatamente, della proprietà individuale. Evidenzia quindi come, a suo giudizio, la configurazione di un condominio titolare di autonomi diritti reali sulle parti comuni non sia compatibile con il nostro ordinamento giuridico.

  Manlio CONTENTO (PdL) pur comprendendo l'esigenza di rendere più spedita la gestione del condominio, la cui attività talvolta è ostacolata dall'opposizione di un singolo condomino, ritiene tuttavia che si debba riaffermare con forza Pag. 115il principio secondo il quale nessuno può essere espropriato del proprio diritto di proprietà. Ritiene che l'emendamento in esame stravolga questo principio, senza peraltro tenere conto che una cosa è l'utilizzo, la miglioria, il rendimento delle cose comuni, altra cosa è l'alienazione e la concessione in godimento delle parti comuni. Osserva inoltre che l'affermazione generalizzata del principio maggioritario per le decisioni di maggiore importanza è idonea a generare molta più conflittualità di quanta non ne determini attualmente l'applicazione del principio dell'unanimità. Preannuncia quindi il proprio voto contrario.

  La Commissione respinge l'emendamento Duilio 2.1.

  Giulia BONGIORNO, presidente, ricorda che il Governo ha proposto di riformulare l'emendamento Cilluffo 2.3 nel senso di prevedere che le modificazioni delle destinazioni d'uso e gli atti dispositivi delle parti comuni siano approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i quattro quinti del valore dell'edificio

  Francesca CILLUFFO (PD) accetta la proposta di riformulazione (vedi allegato).
  Osserva come il proprio emendamento 2.3 ponga problematiche tecnico-giuridiche analoghe a quelle dell'emendamento Duilio 2.1 e ritiene infondate le preoccupazioni manifestate dai colleghi Ferranti e Contento, sottolineando peraltro come si debba distinguere la proprietà dei beni comuni dalla proprietà individuale. Ricorda come nel nostro ordinamento vi siano vari esempi di discipline nelle quali, ad esempio in materia di consorzi, la proprietà comune è subordinata al principio maggioritario. Non ritiene quindi che sussista alcun pericolo di incostituzionalità sia con riferimento all'emendamento Duilio 2.1 sia con riferimento al proprio emendamento 2.3. Non comprende per quale motivo non si debba introdurre nell'ordinamento una disciplina che agevoli le attività rivolte a rendere economicamente utile una proprietà comune del condominio che non lo è più, come, ad esempio, nel caso del locale portineria quando il portiere sia stato licenziato. In questo caso una maggioranza qualificata potrebbe deliberare la modifica della destinazione d'uso e il locale potrebbe essere alienato, nell'interesse di tutti i condomini e senza che vi sia danno per alcuno di essi.

  Cinzia CAPANO (PD) ritiene che la Costituzione non configuri una proprietà individuale «forte» e una proprietà comune «debole», ma tuteli la proprietà privata senza distinzioni, prevedendo che la legge possa prevedere dei limiti al solo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. Sottolinea quindi come, con riferimento agli emendamenti in questione, manchi proprio il presupposto della funzione sociale, ovvero la giustificazione dei limiti che si vorrebbero imporre alla proprietà. Rileva come, andando oltre l'esempio del locale portineria, le norme che si vorrebbero introdurre nell'ordinamento consentirebbero di modificare a maggioranza la destinazione d'uso di grandi aree condominiali, come un parcheggio o un giardino, che potrebbero essere poi destinate, ad esempio, ad uso commerciale e, in ipotesi, alla costruzione di un centro commerciale. Il che potrebbe avvenire contro la volontà non solo del singolo proprietario, ma di una consistente minoranza di proprietari di unità immobiliari, che eventualmente hanno scelto di acquistare l'immobile proprio in considerazione del pregio attribuito dalla presenza di un parcheggio, o di un giardino, e dall'assenza di un centro commerciale. In sostanza, a suo giudizio, si vorrebbero imporre alla proprietà dei limiti che possono condurre a forme di espropriazione privata, non assistita di un interesse pubblico. Preannuncia quindi il proprio voto contrario.

  Luca Rodolfo PAOLINI (LNP) condivide l'emendamento della collega Cilluffo sul quale preannuncia il voto favorevole, non ravvisando alcuna lesione del diritto di Pag. 116proprietà del singolo. Ritiene, anzi, che l'innovazione proposta sia perfino troppo timida, dovendosi assolutamente trovare un rimedio per superare il veto di quei condomini che si oppongono a qualsiasi iniziativa, tenendo un comportamento che si avvicina molto agli atti di emulazione di cui all'articolo 833 del codice civile.

  Lino DUILIO (PD) sottolinea come, prima ancora che da solide ragioni giuridiche, gli emendamenti in questione siano animati dal «buon senso», essendo del tutto evidente che la disciplina vigente non consente una gestione adeguata della realtà condominiale, così come si è evoluta e trasformata nel tempo. Invita quindi i colleghi ad abbandonare una visione dogmatica dell'assolutezza del diritto di proprietà. Illustra i propri emendamenti 2.4. e 2.5 sottolineando come questi rappresentino soluzioni ragionevoli per contemperare il diritto di proprietà e l'interesse comune. Preannuncia il proprio voto favorevole sull'emendamento Cilluffo 2.3, come riformulato.

  Donatella FERRANTI (PD) dichiara di condividere gli interventi dei colleghi Capano e Contento. Esprime forti perplessità sull'emendamento Cilluffo 2.3, anche nella nuova formulazione, che rappresenta un elemento di rottura del sistema. In particolare, ritiene che siano equiparate situazioni molto diverse perché un conto è modificare la destinazione d'uso o disporre l'alienazione a maggioranza quando è cessata l'utilità del bene comune; altra cosa, molto più delicata e problematica, è modificare la destinazione d'uso o disporre l'alienazione a maggioranza quando «è altrimenti realizzabile l'interesse comune»: espressione, questa, molto generica che attribuisce alla maggioranza assembleare il potere di intervenire sulle destinazioni d'uso in modi che possono riflettersi sostanzialmente sul valore e sul pregio delle singole unità immobiliari, determinando una sorta di esproprio privato non giustificato da alcun interesse pubblico. L'ultimo comma dell'emendamento, che prevede l'intervento del notaio, in realtà non garantisce in alcun modo che non si verifichi la lesione del diritto del singolo proprietario. Ritiene pertanto che sia un errore di prospettiva voler considerare una proprietà comune distinta dalla proprietà individuale. Fa presente che sugli emendamenti in questione i commissari del Gruppo del PD voteranno secondo coscienza e preannuncia, a titolo personale, il voto contrario sull'emendamento in questione.

  Lorenzo RIA (UdCpTP) preannuncia il voto favorevole sull'emendamento Cilluffo 2.3, come riformulato, ritenendo che la sua formulazione ponga dei limiti e delle condizioni tali da scongiurare le paventate lesioni al diritto di proprietà dei singoli condomini.

  Francesca CILLUFFO (PD) sottolinea come l'ultimo comma del proprio emendamento contenga una clausola di salvaguardia molto importante. In ogni caso il condomino dissenziente potrà sempre impugnare la delibera assembleare ex articolo 1137 del codice civile.

  Il Sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO dichiara di poter comprendere talune perplessità manifestate circa l'opportunità di deliberare l'alienazione di un bene comune a maggioranza, ma ritiene che non sussistano valide ragioni ostative per quanto concerne la modifica della destinazione d'uso decisa a maggioranza.

  La Commissione, con distinte votazioni, respinge gli emendamenti Cilluffo 2.3 (Nuova formulazione), Duilio 2.4 e 2.5.

  Lino DUILIO (PD) illustra il proprio emendamento 2.6 ed auspica che la celebrazione dell'assolutezza ed intangibilità del diritto di proprietà, nonché del principio unanimistico che ne consegue, non si pongano quale ostacolo anche all'acquisizione di nuovi beni da parte del condominio, posto che ciò avverrebbe evidentemente nell'interesse comune.

Pag. 117

  Mario CAVALLARO (PD) invita la Commissione a riflettere sul fatto che tutte le questioni sinora trattate possono essere risolte in base a norme già vigenti e comunque in base ai principi generali dell'ordinamento. Anche in caso di proprietà di un bene comune la Costituzione pone un limite, nel senso che anche l'ablazione di una quota di proprietà è tutelata dalla Costituzione: l'effetto ablatorio è ammesso solo se vi è la pubblica utilità. Resta peraltro impregiudicato il diritto del comproprietario di domandare lo scioglimento della comunione, seguendo la relativa procedura, dettagliatamente prevista dalla legge. Ricorrere alla deliberazione assembleare a maggioranza per ottenere questo effetto significa ricorrere ad uno strumento improprio, diverso da quello previsto dalla legge.

  Salvatore TORRISI (PdL), relatore, dichiara di condividere pienamente l'intervento dell'onorevole Cavallaro. Sul tema in discussione, nel pieno rispetto dei colleghi con diverse opinioni, ribadisce come la propria posizione contraria agli emendamenti in questione sia coerente con l'impostazione data sin dall'inizio all'esame del provvedimento, rispettosa di principi consolidati e della configurazione tradizionale dell'istituto del condominio, la cui disciplina deve essere certamente migliorata e modernizzata, ma sotto altri profili e con disposizioni che non rischino di mettere in discussione un modello che trova tutela nella Costituzione.

  La Commissione respinge l'emendamento Duilio 2.6.

  Lino DUILIO (PD) illustra il proprio emendamento 2.7, volto a consentire al condominio l'erogazione di specifici servizi quale, ad esempio, la baby-sitter condominiale ed auspica che l'assolutezza del diritto di proprietà non ponga ostacoli almeno in questo settore delle attività condominiali. Rileva quindi come, mantenendo la disciplina vigente, non si adatti il diritto alla realtà, ma si costringa la realtà ad adattarsi al diritto.

  Luca Rodolfo PAOLINI (LNP) invita la Commissione a non temere le innovazioni, sottolineando come l'emendamento in questione possa essere utile anche per facilitare la creazione di asili nido condominiali.

  Giulia BONGIORNO, presidente, pur condividendo la ratio dell'emendamento 2.7, osserva come già oggi la normativa vigente non precluda la possibilità di organizzare servizi specifici all'interno del condominio.

  Manlio CONTENTO (PdL) dichiara di condividere l'intervento del presidente Bongiorno.

  Lino DUILIO (PD) rileva come anche per il sito internet del condominio non sarebbe necessaria una espressa previsione normativa, eppure è stato presentato un emendamento in tal senso, perché è evidente che la previsione di una norma espressa può incentivare e facilitare determinati comportamenti. Lo stesso ragionamento deve allora valere anche per i servizi condominiali, alcuni dei quali di grande utilità, che tuttavia non trovano ancora adeguata diffusione sul territorio.

  La Commissione respinge l'emendamento Duilio 2.7.

  Enrico COSTA (PdL) fa proprio l'emendamento Cassinelli 2.8 e accetta la proposta di riformulazione del relatore che, sostanzialmente, assorbe il contenuto dell'emendamento Baccini 2.9.

  La Commissione approva l'emendamento Cassinelli 2.8 (Nuova formulazione), fatto proprio dall'onorevole Costa (vedi allegato).

  Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che in seguito all'approvazione dell'emendamento Cassinelli 2.8 (Nuova formulazione), non sarà posto in votazione l'emendamento Baccini 2.9.

Pag. 118

  Rita BERNARDINI (PD) raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 3.3, volto a sopprimere il quarto comma del nuovo articolo 1118 del codice civile, rilevando come il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato, per come è formulata la disposizione, contrasta con le direttive europee sull'efficienza energetica e l'emissione di anidride carbonica.

  Fulvio FOLLEGOT (LNP) raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 3.4, anch'esso soppressivo del quarto comma del nuovo articolo 1118 del codice civile.

  Giulia BONGIORNO, presidente, fa presente che l'onorevole Cassinelli ha presentato l'emendamento 3.5, volto a riformulare la norma in questione al fine di renderla compatibile con le citate direttive europee.

  La Commissione respinge gli identici emendamenti Paniz 3.1, Vitali 3.2, Bernardini 3.3 e Follegot 3.4.

  Enrico COSTA (PdL) fa proprio l'emendamento Cassinelli 3.5.

  La Commissione, con distinte votazioni, approva gli emendamenti Cassinelli 3.5, fatto proprio dall'onorevole Costa, D'Ippolito Vitale 4.1, 4.2 del relatore, Cilluffo 4.3, 5.1. del relatore, D'Ippolito Vitale 5.2 (vedi allegato); respinge l'emendamento Bernardini 5.3; approva l'emendamento 6.1. del relatore (vedi allegato).

  Lorenzo RIA (UdCpTP) accetta la proposta di riformulazione dell'emendamento 6.2., del quale è cofirmatario.

  La Commissione approva l'emendamento D'Ippolito Vitale 6.2. (Nuova formulazione) (vedi allegato).

  Francesca CILLUFFO (PD) non comprende per quale motivo gli emendamenti che prevedevano deliberazioni a maggioranza siano stati valutati con sfavore in quanto si è asserito che mortificassero la proprietà, mentre sembra essere valutato con favore l'emendamento 6.3 che contiene, al secondo comma, una disposizione fortemente invasiva della proprietà individuale.

  Il Sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO invita alla riformulazione dell'emendamento 6.3, nel senso di sopprimere il secondo comma.

  Lorenzo RIA (UdCpTP) accetta la proposta di riformulazione dell'emendamento 6.3, del quale è cofirmatario (vedi allegato).

  Manlio CONTENTO (PdL) ritiene insoddisfacente l'emendamento 6.3, anche nella nuova formulazione, perché aumenta in modo ingiustificato gli adempimenti burocratici a carico del proprietario.

  Fulvio FOLLEGOT (LNP) si dichiara contrario all'emendamento in questione, anche nella nuova formulazione.

  Donatella FERRANTI (PD) esprime forti perplessità sull'emendamento 6.3 (nuova formulazione).

  Lorenzo RIA (UdCpTP) precisa che non si tratta di aumentare gli adempimenti burocratici ma di disciplinare i rapporti tra condomini in modo più trasparente.

  Salvatore TORRISI (PdL) preso atto di quanto emerso dal dibattito, si rimette alla Commissione sull'emendamento D'Ippolito Vitale 6.3 (nuova formulazione).

  Il Sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO si rimette anch'egli alla Commissione.

  La Commissione, con distinte votazioni, respinge l'emendamento D'Ippolito Vitale 6.3 (nuova formulazione), approva gli emendamenti Cilluffo 7.1 e 7.2 (vedi allegato) e respinge l'emendamento D'Ippolito Vitale 7.3.

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  Giulia BONGIORNO, presidente, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali.
C. 2519-3184-3247-3516-3915-4007-4054-B.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 20 giugno 2012.

  Giulia BONGIORNO, presidente, rilevando che non risultano iscritti a parlare, avverte che nella prossima seduta si concluderà l'esame preliminare e sarà fissato il termine per la presentazione di emendamenti. Rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.35.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.35 alle 15.45.

INTERROGAZIONI

  Mercoledì 11 luglio 2012. — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Antonino Gullo.

  La seduta comincia alle 15.45.

5-06747 Bernardini: Sul decesso di un detenuto nel carcere di Campobasso.

  Il sottosegretario Antonino GULLO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Rita BERNARDINI (PD), replicando, si dichiara insoddisfatta della risposta, dalla quale emerge la grave sottovalutazione dei problemi di salute rappresentati dal detenuto, che hanno condotto, tra l'altro, al suo ricovero nel reparto penitenziario anziché in ospedale.

5-06751 Bernardini: Sul suicidio di un detenuto nel carcere di Opera di Milano.

  Il sottosegretario Antonino GULLO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

  Rita BERNARDINI (PD), replicando, si dichiara insoddisfatta della risposta, dalla quale emerge il grave ritardo nell'avvio di una indagine amministrativa. Più in generale, sul tema dei suicidi in carcere, ritiene che sia sostanzialmente superflua la parte della risposta che si riferisce alle circolari emanate per affrontare il problema, che appaiono inutili in considerazione degli ingenti tagli di risorse e del gravissimo sovraffollamento carcerario.

5-06736 Bernardini: Sul suicidio di un detenuto nel carcere Gozzini di Firenze.

  Il sottosegretario Antonino GULLO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

  Rita BERNARDINI (PD), replicando, si dichiara insoddisfatta della risposta, non essendo dato conto degli esiti dell'indagine amministrativa aperta. Sottolinea come il ruolo fondamentale dello psicologo nelle carceri sia sostanzialmente vanificato dai tagli delle risorse.

  Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 16.

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