CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 8 novembre 2017
905.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Mercoledì 8 novembre 2017. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Domenico Manzione.

  La seduta comincia alle 14.05.

Schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
Atto n. 452
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 novembre 2017.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, comunica che in data odierna è stato trasmesso il parere del Garante per la protezione dei dati personali. La Commissione può pertanto pronunciarsi definitivamente sul provvedimento entro il termine fissato per il 12 novembre prossimo.

  Paolo COPPOLA (PD), relatore, informa che sta ultimando la predisposizione di una nuova proposta di parere che depositerà Pag. 31entro la giornata odierna. Chiede che sia trasmessa ai componenti della Commissione al fine di poter votare il parere nella seduta di domani, giovedì 9 novembre.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta sospesa alle 14.10, è ripresa alle 14.15.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
Atto n. 464.

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto, rinviato, da ultimo, nella seduta del 7 novembre 2017.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ricorda che la Commissione deve esprimere il proprio parere al Governo entro il 9 novembre 2017.
  Ricorda, altresì, che il provvedimento è stato assegnato dalla Presidenza della Camera con riserva, in quanto la richiesta del Governo non era corredata del parere della Conferenza unificata, che è previsto dalla legge. La Presidente della Camera, con lettera del 2 ottobre scorso, ha pertanto ricordato che la Commissione non potrà pronunciarsi definitivamente sul provvedimento prima che il Governo abbia provveduto all'acquisizione e trasmissione del suddetto parere, il quale ad oggi non è stato trasmesso.
  Chiede quindi al rappresentante del Governo se abbia elementi utili in ordine alla data di trasmissione del suddetto atto, anche al fine di definire eventualmente una data per l'espressione del parere successiva al predetto termine, fermo restando l'impegno del Governo ad attendere per l'emanazione del decreto legislativo che la Commissione esprima il proprio parere.

  Il sottosegretario Domenico MANZIONE informa che l'espressione del parere sullo schema di decreto in esame da parte della Conferenza unificata è all'ordine del giorno della seduta della Conferenza medesima fissata per domani, giovedì 9 novembre. Assicura che sarà sua cura sollecitare una rapida trasmissione del parere alla Commissione, in modo da permettere alla Commissione medesima di esprimere il proprio parere all'inizio della prossima settimana.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, avverte che la Commissione sarà convocata per l'espressione del parere sullo schema di decreto legislativo in esame entro martedì 14 novembre prossimo.
  Comunica che il relatore ha presentato una proposta di parere (vedi allegato 1).

  Andrea GIORGIS (PD), relatore, illustra la sua proposta di parere favorevole con sette osservazioni. Si sofferma in particolare sull'osservazione di cui alla lettera a), relativa al diritto all'ascolto del minore in ogni stato e grado dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali che lo riguardano. Sottolinea che la questione è stata posta come osservazione e non come condizione perché in quest'ultimo caso si sarebbe corso il rischio di ottenere l'effetto contrario. Rileva infatti che il diritto all'ascolto del minore è già contenuto nella norma vigente, ma con l'osservazione posta si vuole eliminare qualsiasi incertezza interpretativa. Sull'osservazione di cui alla lettera b),volta a prevedere che il tribunale per i minorenni operi in forma monocratica nei casi previsti dallo schema in esame, sottolinea che si tratta di una Pag. 32disposizione contemplata per tutti i giudizi inerenti la tutela.

  Il sottosegretario Domenico MANZIONE, condivide le osservazioni poste dal relatore, ma desidera fare una precisazione rispetto all'osservazione di cui alla lettera a), in particolare riguardo al riferimento a ogni stato e grado dei procedimenti che riguardano il minore. Ricorda che il decreto-legge n. 13 del 2017 ha previsto il solo ricorso in Cassazione per questioni di legittimità avverso l'atto di primo grado. Con l'estensione del diritto all'ascolto del minore in ogni stato e grado del giudizio si andrebbe quindi a creare una nuova fattispecie di giudizio. Ritiene quindi opportuna una specificazione e una modifica del parere nel senso da lui indicato.

  Andrea GIORGIS (PD), relatore, condivide l'opportunità di una riflessione sul tema. Osserva però che la questione potrebbe essere posta anche sotto il profilo dell'opportunità di derogare per i minori non accompagnati alle disposizioni del decreto-legge n. 13 del 2017.

  Il sottosegretario Domenico MANZIONE, osserva che nel corso della conversione del decreto-legge n. 13 del 2017 si è stabilita la necessità di una deroga per i minori non accompagnati, ma con riferimento alla loro permanenza nei centri di accoglienza.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.35.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Mercoledì 8 novembre 2017. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 14.10.

Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato.
C. 3365-B Businarolo, approvata dalla Camera e modificata dal Senato.

(Parere alle Commissioni riunite II e XI).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazioni).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Emanuele COZZOLINO (M5S), relatore, osserva che la proposta di legge C. 3365-B – approvata dalla Camera il 21 gennaio 2016 e modificata dal Senato il 18 ottobre 2017 – riguarda il cosiddetto whistleblowing, espressione con cui si designa la segnalazione di attività illecite nell'amministrazione pubblica o in aziende private, da parte del dipendente che ne venga a conoscenza. La proposta integra la vigente normativa concernente la tutela dei lavoratori del settore pubblico che segnalino illeciti e introduce forme di tutela anche per i lavoratori del settore privato. Il profilo su cui la proposta di legge interviene è la protezione del dipendente che segnali illeciti, rispetto a misure discriminatorie o comunque penalizzanti nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente, sia pubblico che privato. Ricorda che il Comitato si è già espresso in data 20 gennaio 2016, in occasione dell'esame del provvedimento in prima lettura presso la Camera. Dà conto sinteticamente del contenuto della proposta C. 3365-B, con particolare riferimento alle modifiche introdotte dal Senato.
  Rileva che l'articolo 1 sostituisce l'articolo 54-bis del Testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, e concerne la tutela del dipendente del settore pubblico. La nuova disciplina proposta prevede, anzitutto, che colui il quale – nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione – segnali al responsabile della prevenzione della corruzione dell'ente (individuato, di norma, tra i dirigenti amministrativi di Pag. 33ruolo di prima fascia in servizio; negli enti locali, è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione, ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012) o all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) ovvero denunci all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto di lavoro, non possa essere – per motivi collegati alla segnalazione – soggetto a sanzioni, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto a altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro. L'ambito della segnalazione – comunque sottratta al diritto d'accesso agli atti previsto dalla legge n. 241 del 1990 – risulta il medesimo rispetto a quello di cui al vigente articolo 54-bis del Testo unico del pubblico impiego, riferendosi a «condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza» il dipendente pubblico. L'adozione eventuale delle misure discriminatorie va comunicata dall'interessato o dai sindacati più rappresentativi all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), la quale a sua volta ne dà comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica e agli altri organismi di garanzia, per le determinazioni di competenza. In particolare, nel nuovo testo dell'articolo 54-bis: riguardo ai possibili soggetti destinatari della segnalazione, è sostituito il riferimento al «superiore gerarchico» con quello del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (il riferimento anche alla trasparenza è frutto di una integrazione del Senato avente natura di coordinamento con la definizione dello stesso responsabile ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge anticorruzione, n. 190 del 2012 e dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 33 del 2013); resta ferma l'ipotesi di segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o di denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o contabile (comma 1); sotto il profilo soggettivo, il Senato ha soppresso l'estensione della disciplina ai «collaboratori o consulenti, con qualsiasi tipologia di contratto o di incarico», già prevista nel testo-Camera; di converso, la disciplina dell'articolo 54-bis riguarda – oltre che i dipendenti della pubblica amministrazione, nell'accezione allargata di cui all'articolo 1, comma 2, del Testo unico del pubblico impiego, ivi compreso il personale in regime di diritto pubblico – anche i dipendenti degli enti pubblici economici, quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico (secondo la nozione di società controllata di cui all'articolo 2359 del codice civile), i lavoratori e i collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzano opere in favore dell'amministrazione pubblica (comma 2); il Senato ha soppresso la locuzione «a qualsiasi titolo», riferita ai lavoratori e collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi, e ha sostituito con la preposizione articolata «delle» la preposizione semplice «di» riferita alle stesse imprese fornitrici, utilizzata nel testo approvato dalla Camera; sotto il profilo oggettivo, si specifica che l'ambito di applicazione riguarda le segnalazioni o denunce effettuate nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione. Una modifica approvata dal Senato ha soppresso, rispetto al testo approvato dalla Camera, il requisito della «buona fede» dell'autore della segnalazione o denuncia (comma 2); quest'ultimo definiva, ai fini della nuova disciplina, la buona fede come la ragionevole convinzione, fondata su elementi di fatto, che la condotta illecita si fosse verificata e prevedeva che la buona fede fosse, in ogni caso, esclusa qualora il segnalante avesse agito con colpa grave; il Senato ha conseguentemente soppresso la definizione legislativa di «buona fede»; viene sancito il divieto di rivelare l'identità del segnalante l'illecito, oltre che nel procedimento disciplinare, anche in quello penale e contabile. Viene affidata all'ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la predisposizione di linee guida per la presentazione e gestione delle segnalazioni che garantiscano la riservatezza del dipendente segnalante; si prevedono a tal fine modalità informatiche e, «ove possibile», strumenti di crittografia a garanzia della riservatezza del segnalante (comma 5). Si ricorda che Pag. 34l'ANAC ha già adottato linee guida sui suddetti profili con la determina n. 6 del 28 aprile 2015, «Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (cosiddetto whistleblower)»; se durante l'istruttoria dell'ANAC sia accertata l'adozione di misure discriminatorie nei confronti del dipendente, l'Autorità anticorruzione irroga una sanzione amministrativa pecuniaria a carico del responsabile da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Il Senato ha sostituito il riferimento all'ente, quale soggetto che ha adottato le misure discriminatorie, con quello a «una delle amministrazioni pubbliche» o «uno degli enti di cui al comma 2». All'adozione di procedure non conformi alle citate linee guida o all'assenza di procedure per la gestione delle segnalazioni consegue una sanzione da 10.000 a 50.000 (il limite edittale è stato aumentato dal Senato ; il testo approvato dalla Camera prevedeva una sanzione da 5.000 a 20.000 euro); il Senato ha, poi, introdotto un nuovo illecito: l'ANAC applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile, nel caso di mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. L'ANAC determina la misura della sanzione, tenuto conto delle dimensioni dell'amministrazione cui si riferisce la segnalazione. Il Senato ha aggiunto due nuove disposizioni: in base al comma 7 spetta all'amministrazione o all'ente l'onere di provare che le misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione e gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli. Il comma 8, anch'esso introdotto dal Senato, prevede il diritto del segnalante licenziato alla reintegra nel posto di lavoro da parte del giudice, al risarcimento del danno subito e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dalla data di licenziamento a quella di reintegrazione; a tal fine è stabilita l'applicazione alle pubbliche amministrazioni dell'articolo 2 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 «Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183»; è prevista una clausola di esclusione, non modificata rispetto al testo della Camera, in base cui le tutele non sono garantite alle segnalazioni rispetto alle quali sia stata accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque reati commessi con la denuncia del medesimo segnalante ovvero la sua responsabilità civile, nei casi di dolo o colpa grave (comma 9, già comma 7 del testo approvato dalla Camera; disposizione analoga è contenuta nel vigente articolo 54-bis del Testo unico del pubblico impiego, dove, tuttavia, è necessaria la definitività della sentenza e non è presente il richiamo ai reati commessi con la denuncia); è stata soppressa dal Senato la disposizione (ex comma 8) secondo la quale, ove al termine del procedimento (penale, civile o contabile) o all'esito dell'attività di accertamento dell'ANAC risulti l'infondatezza della segnalazione e l'assenza di buona fede da parte del segnalante, questi è sottoposto a procedimento disciplinare che, secondo quanto previsto dai contratti collettivi, può concludersi anche con il licenziamento senza preavviso.
  L'articolo 2 della proposta di legge estende al settore privato, attraverso modifiche al decreto legislativo n. 231 del 2001 (Responsabilità amministrativa degli enti), la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti (o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell'ente) di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio. L'articolo 2 consta di un'unica disposizione di modifica dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 231, con riguardo ai modelli di organizzazione e di gestione dell'ente idonei a prevenire reati. In particolare, sono aggiunti all'articolo 6 tre nuovi commi: 2-bis, 2-ter e 2-quater. Il comma 2-bis, relativo ai requisiti dei modelli di organizzazione e gestione dell'ente, Pag. 35è stato complessivamente riformulato dal Senato e prevede uno o più canali che, a tutela dell'integrità dell'ente, consentano a coloro che a qualsiasi titolo rappresentino o dirigano l'ente (e a coloro che da questi siano sottoposti a direzione o vigilanza), segnalazioni circostanziate di condotte costituenti reati o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte. Rispetto al testo trasmesso dalla Camera, il Senato: ha escluso i collaboratori a qualsiasi titolo dell'ente dagli obblighi di segnalazione; ha previsto che i modelli di organizzazione dell'ente – anziché l'obbligo dei dirigenti e loro sottoposti di presentare direttamente le segnalazioni – debbano prevedere l'attivazione di uno o più canali che consentano la trasmissione delle segnalazioni stesse a tutela dell'integrità dell'ente; tali canali debbono garantire la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione. Mentre il testo della Camera richiedeva che i modelli di organizzazione debbano prevedere canali alternativi di segnalazione, di cui almeno uno idoneo a garantire la riservatezza dell'identità del segnalante «anche» con modalità informatiche, il testo del Senato prevede che vi debba essere «almeno un canale» alternativo, idoneo a garantire la riservatezza con modalità informatiche (nel testo del Senato la modalità informatica è dunque uno strumento necessario, e non eventuale, del canale alternativo a tutela della riservatezza dell'identità del segnalante); ha precisato che le segnalazioni circostanziate delle condotte illecite (o della violazione del modello di organizzazione e gestione dell'ente) – escluso anche qui il requisito della buona fede – debbano fondarsi su elementi di fatto che siano precisi e concordanti (è espunto il riferimento alla «ragionevole convinzione» dell'illiceità delle condotte); ha soppresso la previsione secondo cui i modelli di organizzazione debbono prevedere misure volte a tutelare l'identità del segnalante e a mantenere in ogni contesto la riservatezza dell'informazione dopo la segnalazione, nei limiti in cui l'anonimato e la riservatezza siano opponibili per legge (tali misure sono infatti ricondotte al sistema disciplinare previsto dall'articolo 6, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 231); è stabilito, quindi, che i modelli di organizzazione debbano prevedere sanzioni disciplinari nei confronti di chi violi le misure di tutela del segnalante (il testo-Camera prevedeva, in tale ambito, di sanzionare – oltre che la violazione degli obblighi di riservatezza – anche gli atti ritorsivi o discriminatori nei confronti del segnalante, ipotesi che sono evidentemente state ritenute estranee all'ambito disciplinare); ha introdotto l'obbligo di sanzionare chi effettua, con dolo o colpa grave, segnalazioni che si rivelino infondate; confermando il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione, ha soppresso la previsione che fa salvo il diritto degli aventi causa a tutelarsi quando siano accertate responsabilità penali o civili a carico del segnalante relative alla falsità della dichiarazione. Non sono, invece, stati oggetto di modifiche da parte del Senato i commi 2-ter e 2-quater dell'articolo 6. Il comma 2-ter prevede che l'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti segnalanti possa essere oggetto di denuncia all'ispettorato Nazionale del Lavoro per i provvedimenti di competenza, oltre che da parte dell'interessato, anche da parte dell'organizzazione sindacale indicata dal medesimo (non è, quindi, previsto un obbligo di denuncia); non è invece prevista la denuncia relativa a misure di ritorsione. Il comma 2-quater sancisce la nullità del licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante. Sono altresì nulli il mutamento di mansioni ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. Come nel settore pubblico è onere del datore di lavoro – in caso di controversie legate all'irrogazione di sanzioni Pag. 36disciplinari o all'adozione di misure con effetti negativi sulle condizioni di lavoro (siano esse demansionamento, licenziamento, trasferimento, altra misura organizzativa), successive alla segnalazione – dimostrare che l'adozione di tali misure siano estranee alla segnalazione mossa dal dipendente.
  L'articolo 3 è stato introdotto nel corso dell'esame al Senato. La nuova disposizione – con riguardo alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nel settore pubblico (articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001) o privato (articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001) introduce come giusta causa di rivelazione del segreto d'ufficio (articolo 326 del codice penale ), del segreto professionale (articolo 622 del codice penale), del segreto scientifico e industriale (articolo 623 del codice penale) nonché di violazione dell'obbligo di fedeltà all'imprenditore da parte del prestatore di lavoro (articolo 2105 del codice civile) il perseguimento, da parte del dipendente pubblico o privato che segnali illeciti, dell'interesse all'integrità delle amministrazioni (sia pubbliche che private) nonché alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni. La giusta causa della rivelazione sembra sostanzialmente operare come scriminante, nel presupposto che vi sia un interesse preminente (in tal caso l'interesse all'integrità delle amministrazioni) che impone o consente tale rivelazione. Rammenta che la Corte costituzionale (sentenza 5/2004) ha affermato che «formule quali «senza giustificato motivo», «senza giusta causa», «senza necessità», «arbitrariamente» e formule ad essa equivalenti od omologhe sono destinate in linea di massima a fungere da «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti – in assenza di cause di giustificazione vere e proprie – allorché l'osservanza del precetto appaia concretamente «inesigibile» in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare gli interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori. Nella giurisprudenza di merito si afferma che affinché sussista la giusta causa della rivelazione di segreti professionali è necessario sussista un interesse positivamente valutato sul piano etico- sociale, proporzionato a quello posto in pericolo dalla rivelazione, e che la rivelazione costituisca l'unico mezzo per evitare il pregiudizio dell'interesse riconoscibile in capo all'autore della stessa». La giusta causa non opera ove l'obbligo di segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l'ente, l'impresa o la persona fisica interessata (comma 2). Si prevede, infine, che, quando notizie e documenti che sono comunicati all'organo deputato a riceverli siano oggetto di segreto aziendale, professionale o d'ufficio, costituisce violazione del relativo obbligo di segreto la rivelazione con modalità eccedenti rispetto alle finalità dell'eliminazione dell'illecito e, in particolare, la rivelazione al di fuori del canale di comunicazione specificamente predisposto a tal fine (comma 3). Il comma 3 costituisce quindi una eccezione rispetto alla sussistenza della giusta causa. In presenza di modalità eccedenti rispetto alle finalità della eliminazione dell'illecito non troverebbe più applicazione la giusta causa e sussisterebbe la fattispecie di reato a tutela del segreto.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, il contenuto della proposta di legge può essere ricondotto alle materie di potestà legislativa esclusiva statale «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» e «ordinamento civile e penale» di cui all'articolo 117, secondo comma, lettere g) ed l), della Costituzione.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole con due osservazioni (vedi allegato 2.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

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Disposizioni in materia di equo compenso e clausole vessatorie nel settore delle prestazioni legali.
Nuovo testo C. 4631 Governo ed abb.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e rinvio).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD) relatrice, osserva che l'obiettivo del disegno di legge in esame è, in particolare, quello di riequilibrare la posizione contrattuale del professionista avvocato nei confronti di soggetti economicamente forti. Il testo del disegno di legge, come risultante dall'esame degli emendamenti da parte della Commissione Giustizia, consta di 6 articoli.
   L'articolo 1, comma 1, esplicita che il provvedimento tutela l'equità del compenso corrisposto all'avvocato nei rapporti regolati da convenzioni relative allo svolgimento anche in forma associata o societaria dell'attività professionale in favore di imprese bancarie e assicurative nonché di imprese non rientranti nella categoria delle piccole o medie imprese e delle microimprese. Il comma 2 definisce equo il compenso dell'avvocato quando è «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» nonché «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale», anche tenendo conto dei parametri determinati dal decreto del Ministro della giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquidazione giudiziale. Il comma 3 introduce una presunzione legale relativa stabilendo che, fino a prova contraria, le convenzioni tra professionisti e imprese si presumono predisposte unilateralmente da queste ultime.
  L'articolo 2, comma 1, qualifica come «clausole vessatorie» le clausole contrattuali che, nei rapporti tra l'avvocato e il cliente diverso dal consumatore e dall'utente, determinano un significativo squilibrio contrattuale a svantaggio dell'avvocato, anche determinato dal compenso non equo. Si osserva che si presume la natura vessatoria di alcune categorie di clausole, che vengono elencate. La presunzione è, tuttavia, relativa e fa sì che spetti alle parti fornire la prova contraria della specifica trattativa ed approvazione della clausola, cioè dimostrare che quella disposizione contrattuale non viola il principio dell'equo compenso. Ai sensi del comma 2, si presumono vessatorie, a meno che non siano stato oggetto di specifica trattativa e approvazione, le clausole che: consentono al cliente la facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto; prevedono che l'avvocato debba anticipare le spese della controversia; impongono all'avvocato di rinunciare al rimborso delle spese direttamente connesse allo svolgimento della prestazione professionale oggetto della convenzione; prevedono termini di pagamento della fattura, o analoga richiesta di pagamento, emessa dal professionista superiori a sessanta giorni; prevedono, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, che all'avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto in convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state in tutto o in parte corrisposte o recuperate dalla parte; nel caso di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, prevedono che la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati; prevedono che il compenso pattuito per l'assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti unicamente in caso di sottoscrizione del contratto. Il comma 3 prevede, invece, che è assoluta la presunzione di vessatorietà delle clausole della convenzione che riservano al cliente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto e che attribuiscono al cliente la facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l'avvocato deve esercitare a titolo gratuito. Tali clausole sono, quindi, considerate vessatorie anche ove siano stato oggetto di specifica trattativa e approvazione. Il comma 3-bis precisa che non costituiscono Pag. 38prova delle citate trattativa e dell'approvazione le dichiarazioni della convenzione che, genericamente, attestano dell'avvenuto svolgimento delle trattative senza indicarne le specifiche modalità di svolgimento.
  L'articolo 3, commi 1 e 2, prevede la nullità delle clausole vessatorie; la nullità – che opera solo a vantaggio dell'avvocato, a cui, quindi, è esclusivamente riservata la relativa azione – riguarda tuttavia la sola clausola e non coinvolge l'intero contratto. Il comma 2-bis introduce un termine di 24 mesi, al cui decorso decade l'azione da parte del professionista volta alla dichiarazione di nullità di una o più clausole: si prevede che il termine decorre dalla data di sottoscrizione della convenzione tra cliente e avvocato.
  L'articolo 4 prevede la determinazione dell'equo compenso da parte del giudice. Quando, infatti, sia dichiarata la nullità della clausola e accertata l'iniquità del compenso dell'avvocato, il giudice individua il compenso sulla base dei parametri forensi previsti dal Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, emanato con decreto del Ministro della Giustizia 10 marzo 2014, n. 55.
  L'articolo 5 del provvedimento rinvia, per quanto non previsto dalla disciplina in esame, alle disposizioni del codice civile.
  L'articolo 6 prevede la clausola di invarianza finanziaria.
  Sotto il profilo del rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, la disciplina delle professioni rientra, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, nell'ambito della competenza legislativa concorrente. Conseguentemente, spetta alla legislazione dello Stato determinare i principi fondamentali, in conformità con i quali le regioni potranno esercitare la propria potestà legislativa.

  Alessandro NACCARATO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia l'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.15.

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