CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 9 febbraio 2017
764.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per le questioni regionali
COMUNICATO
Pag. 199

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 9 febbraio 2017. — Presidenza del presidente Gianpiero D'ALIA.

  La seduta comincia alle 8.

Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, concernente l'elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, concernente l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, nonché altre norme in materia elettorale.
Nuovo testo C. 3113 Nesci.

(Parere alla I Commissione della Camera).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con condizioni e osservazioni).

  La Commissione inizia l'esame.

  La deputata Gessica ROSTELLATO (PD), relatrice, fa presente che la Commissione è chiamata a esprimere il parere, per gli aspetti di competenza, alla I Commissione Affari costituzionali della Camera, Pag. 200sulla proposta di legge C. 3113 Nesci ed altri, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, concernente l'elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, concernente l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, nonché altre norme in materia elettorale», come modificata dagli emendamenti approvati, nel corso dell'esame in sede referente.
  La proposta di legge in esame interviene principalmente sulla materia della cosiddetta legislazione elettorale «di contorno», attinente cioè ai profili preparatori ed organizzativi del procedimento elettorale.
  Tale materia è disciplinata dal testo unico per le elezioni della Camera (decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957) e dal testo unico per le elezioni comunali (decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960). Le leggi elettorali relative alle altre elezioni fanno prevalentemente rinvio alle due leggi citate; per le elezioni regionali, in particolare, si applica il testo unico per le elezioni comunali (ai sensi dell'articolo 1, sesto comma, della legge n. 108 del 1968).
  La proposta di legge interviene in primo luogo sulla disciplina delle urne elettorali, prevedendo che esse siano costituite in materiale semitrasparente, in modo da rendere possibile la verifica della presenza o meno di schede elettorali al suo interno, ma non anche l'identificazione delle stesse.
  Essa modifica anche la disciplina delle cabine elettorali prevedendo che, in caso di necessità di sostituzione, siano adottate cabine chiuse su tre lati, con il quarto lato aperto, privo di qualsiasi tipo di protezione o oscuramento, rivolto verso il muro; l'altezza delle cabine, stabilita con decreto del Ministro dell'interno, deve garantire la segretezza delle operazioni di voto riparando il solo busto dell'elettore.
  Un secondo gruppo di disposizioni riguarda l'ufficio elettorale di sezione.
  Con riferimento al presidente di seggio, è eliminata la possibilità di surroga del presidente, con il sindaco o suo delegato; viene invece previsto che la corte di appello proceda alla sostituzione mediante estrazione a sorte dall'elenco dei presidenti.
  Viene inoltre introdotto il divieto di ricoprire l'incarico di presidente per due volte consecutive presso la medesima sezione elettorale.
  Sono altresì previsti alcuni requisiti minimi per ricoprire l'incarico di presidente: il godimento dei diritti civili e politici; l'età compresa tra i 18 e i 70 anni; il titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
  Viene inoltre modificata anche la disciplina relativa ai casi di esclusione dalla carica di membro dell'ufficio elettorale.
  È in primo luogo eliminato il divieto di conferire l'incarico a coloro che hanno più di 70 anni. Tale limite resta dunque per il solo presidente; per gli scrutatori il limite è invece fissato dalla medesima proposta di legge a 65 anni.
  Viene introdotta, per le funzioni di presidente e segretario, una causa di esclusione per i parenti e affini fino al secondo grado dei candidati alle elezioni.
  È inoltre introdotta, per tutti i membri dell'ufficio elettorale, una causa di esclusione per coloro che siano stati condannati, anche in via non definitiva, per alcuni reati particolarmente gravi (delitti contro la pubblica amministrazione o delitti di mafia) o in via definitiva per reati non colposi o per reati colposi con pena detentiva uguale o superiore a due anni di reclusione.
  Le cause di esclusione sono inoltre estese ai rappresentanti di lista.
  Viene correlativamente modificata la disciplina relativa ai requisiti per gli scrutatori, attraverso novelle alla legge n. 95 del 1989, che reca norme per l'istituzione dell'albo degli scrutatori che si applicano a tutte le tipologie di elezioni.
  In primo luogo, sono anche in tal caso introdotti requisiti minimi per ricoprire l'incarico di scrutatore: il godimento dei diritti civili e politici e l'età compresa tra i 18 e i 65 anni.Pag. 201
  In secondo luogo, mutano le modalità di scelta degli scrutatori di ciascuna sezione elettorale, prevedendosi, in luogo della nomina da parte della commissione elettorale comunale, il sorteggio effettuato da parte della medesima commissione.
  È inoltre introdotta una riserva di posti pari alla metà per coloro che si trovano in stato di disoccupazione e, analogamente a quanto previsto per i presidenti di seggio, si pone divieto di svolgere la funzione di scrutatore per più di due mandati consecutivi presso la medesima sezione elettorale.
  È infine previsto che ai componenti dei seggi elettorali sia assicurata un'adeguata formazione on line e un costante aggiornamento sulle corrette procedure di spoglio, anche in relazione alla materia dello scambio elettorale.
  Alcune disposizioni modificano invece le disposizioni relative alle modalità di trasmissione dei plichi elettorali delle elezioni politiche.
  Un'altra modifica incide sull'ampiezza delle sezioni elettorali, aumentando, a decorrere dal 1o gennaio 2018, da 500 a 700 il numero minimo di elettori per sezione.
  La proposta di legge introduce inoltre un divieto di assunzioni in prossimità delle elezioni. Tale divieto riguarda le assunzioni di personale dipendente, a qualsiasi titolo, da parte delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società a partecipazione pubblica locale o regionale, totale o di controllo, nei 60 giorni antecedenti e nei 60 giorni successivi alle elezioni comunali o regionali, limitatamente ai Comuni o alle Regioni interessati.
  Viene infine prevista, per i referendum costituzionali ed abrogativi, la possibilità di votare fuori dal comune di residenza per i cittadini che si trovano temporaneamente in una Regione diversa da quella del Comune di residenza, per ragioni di lavoro, studio o cure mediche.
  Presenta e illustra quindi una proposta di parere favorevole con due condizioni e due osservazioni (vedi allegato 1).

  La Commissione approva la proposta di parere della relatrice.

Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.
C. 259 e abb.-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato.

(Parere alla XII Commissione della Camera).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame.

  Il deputato Francesco RIBAUDO, relatore, fa presente che la Commissione è chiamata a esprimere il parere, per gli aspetti di competenza, alla XII Commissione Affari sociali della Camera sulla proposta di legge C. 259 ed abb.-B, recante «Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie», approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato.
  Ricorda che la Commissione ha già espresso parere in data 3 dicembre 2015, nel corso dell'esame del provvedimento alla Camera, e in data 2 marzo 2016, nel corso dell'esame del provvedimento al Senato.
  Il provvedimento affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria e socio-sanitaria pubblica o privata in cui opera, le modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'obbligo di assicurazione e l'istituzione del Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria.
  Il testo si compone di 17 articoli.
  L'articolo 1 qualifica la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute e precisa che essa si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e mediante l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche ed organizzative. Nel corso dell'esame al Senato, al comma 3 è stata aggiunta la Pag. 202specificazione che le attività di prevenzione del rischio – alle quali concorre tutto il personale – siano messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anziché dalle aziende sanitarie pubbliche come previsto nel testo approvato dalla Camera.
  L'articolo 2 prevede che le Regioni e le Province autonome possono affidare all'ufficio del difensore civico la funzione di Garante del diritto alla salute, disciplinandone la struttura organizzativa – al Senato è stato eliminato il riferimento alla rappresentanza delle associazioni dei pazienti – ed il supporto tecnico. In tale sua funzione il difensore civico può essere adito gratuitamente dai destinatari di prestazioni sanitarie per la segnalazione, anche anonima, di disfunzioni nel sistema dell'assistenza sanitaria e – con una previsione aggiunta al Senato – socio-sanitaria. Il difensore acquisisce gli atti e, nel caso di fondatezza della segnalazione, agisce a tutela del diritto leso. Viene poi contemplata l'istituzione in ogni Regione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, del Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, che raccoglie i dati regionali sui rischi ed eventi avversi – previsione aggiunta al Senato – e sul contenzioso e li trasmette annualmente, mediante procedura telematica unificata a livello nazionale – modalità inserita nel corso dell'esame al Senato – all'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità disciplinato dall'articolo 3. Nel corso dell'esame al Senato è stato inserito il comma 5, che inserisce, tra i compiti ai quali è finalizzata l'attività di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio sanitario da parte delle strutture pubbliche e private che erogano prestazioni sanitarie, quello della predisposizione di una relazione semestrale sugli eventi avversi verificatisi nella struttura, sulle cause che li hanno prodotti e sulle conseguenti iniziative messe in atto; tale relazione è pubblicata sul sito internet della struttura sanitaria.
  L'articolo 3 rimette ad un decreto del Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, da emanare entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, l'istituzione presso l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) dell'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità. Spetta all'osservatorio il compito di acquisire dai centri per la gestione del rischio sanitario di cui all'articolo 2, i dati regionali relativi ai rischi ed eventi avversi – locuzione introdotta al Senato in luogo di quella di «errori sanitari» – nonché alle caratteristiche del contenzioso e di individuare idonee misure, anche attraverso la predisposizione con l'ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie di cui all'articolo 5 – periodo aggiunto al Senato – di linee di indirizzo per la prevenzione e gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure, nonché per la formazione e aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie. L'Osservatorio, nell'esercizio delle sue funzioni, si avvale del sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES).
  L'articolo 4 disciplina la trasparenza dei dati, assoggettando all'obbligo di trasparenza le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003. La direzione sanitaria della struttura entro sette giorni – termine modificato nel corso dell'esame al Senato, precedentemente era di trenta giorni – dalla presentazione della richiesta fornisce la documentazione sanitaria disponibile relativa al paziente, in conformità alla disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi e a quanto previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo n. 196 del 2003). Con una disposizione aggiunta al Senato è stato previsto che le eventuali integrazioni sono fornite entro il termine massimo di trenta giorni dalla presentazione della richiesta e che, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le strutture sanitarie Pag. 203pubbliche e private adeguano i propri regolamenti interni, in attuazione della legge n. 241 del 1990, alle citate disposizioni sulla trasparenza. Viene infine previsto che le medesime strutture sanitarie pubbliche e private rendono disponibili mediante la pubblicazione sul proprio sito internet, i dati relativi ai risarcimenti erogati nell'ultimo quinquennio. Nel corso dell'esame al Senato è stato anche aggiunto il comma 4, che, modificando il regolamento di polizia mortuaria (decreto del Presidente della Repubblica n. 285 del 1990), prevede che, nel caso di decesso sia ospedaliero che in altro luogo, i familiari o gli altri aventi titolo del deceduto possono concordare con il direttore sanitario o socio-sanitario l'esecuzione del riscontro diagnostico e possono disporre la presenza di un medico di loro fiducia.
  L'articolo 5 disciplina le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida prevedendo che gli esercenti le professioni sanitarie nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e disciplinato con decreto del Ministro della salute, da emanarsi entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali. Nel corso dell'esame presso il Senato sono stati aggiunti i commi 2, 3 e 4. Il comma 2 disciplina alcuni contenuti del decreto ministeriale diretto ad istituire e disciplinare l'elenco degli enti, delle istituzioni, delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie che elaborano le raccomandazioni e le linee guida cui si attengono gli esercenti le professioni sanitarie nell'esecuzione delle relative prestazioni. Il comma 3 prevede che le linee guida ed i relativi aggiornamenti sono integrati nel sistema nazionale per le linee guida (SNLG) disciplinato con decreto del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Viene inoltre previsto che l'Istituto superiore di sanità pubblica sul proprio sito internet gli aggiornamenti e le linee guida indicati dal SNLG, previa verifica di conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dall'istituto medesimo. Il comma 4 prevede la clausola di invarianza degli oneri finanziari in relazione alle attività di cui al comma 3.
  L'articolo 6 – modificato nel corso dell'esame al Senato – introduce nel codice penale il nuovo articolo 590-sexies, che disciplina la responsabilità colposa per morte o per lesioni personali in ambito sanitario. Viene previsto (comma 1) che se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale (omicidio colposo e lesioni personali colpose) sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste in caso di condotta negligente o imprudente del medico. Solo ove l'evento si sia verificato a causa di imperizia la punibilità è esclusa, purché risultino rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. Il comma 2, infine, abroga, con finalità di coordinamento, il comma 1 dell'articolo 3 della legge n. 189 del 2012 (di conversione del decreto-legge n. 158 del 2012) che attualmente disciplina la materia. Rispetto alla vigente disciplina, le novità introdotte dall'articolo 589-sexies del codice penale per la responsabilità penale del medico riguardano, in particolare: la mancata distinzione tra gradi della colpa, con la soppressione del riferimento alla colpa lieve; stante l'esclusione dell'illecito penale nel solo caso di imperizia (sempre ove siano rispettate le citate linee guida o le Pag. 204buone pratiche), la punibilità dell'omicidio colposo e delle lesioni colpose causate dal sanitario per negligenza o imprudenza (gli ulteriori elementi del reato colposo previsti dall'articolo 43 del codice penale), indipendentemente dalla gravità della condotta, quindi anche per negligenza o imprudenza lieve.
  L'articolo 7 pone poi alcuni principi relativi alla responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria.
  L'articolo 8 prevede, invece, un meccanismo finalizzato a ridurre il contenzioso per i procedimenti di risarcimento da responsabilità sanitaria mediante un tentativo obbligatorio di conciliazione da espletare da chi intende esercitare in giudizio un'azione risarcitoria.
  L'articolo 9 reca un'ulteriore disposizione, a completamento del nuovo regime della responsabilità sanitaria, disciplinando l'azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa – questa seconda possibilità è stata aggiunta al Senato – della struttura sanitaria nei confronti dell'esercente la professione sanitaria, in caso di dolo o colpa grave di quest'ultimo, successivamente all'avvenuto risarcimento (sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale) ed entro un anno dall'avvenuto pagamento.
  L'articolo 10 mira a integrare il quadro delle tutele per il ristoro del danno sanitario in coerenza con la disciplina sulla responsabilità civile. Si prevede l'obbligo di assicurazione (o di adozione di un'analoga misura) per la responsabilità contrattuale (ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile) verso terzi e verso i prestatori d'opera, a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture medesime, compresi coloro che svolgono attività di formazione, aggiornamento nonché di sperimentazione e ricerca clinica; si specifica inoltre che l'obbligo concerne anche le strutture sociosanitarie e le prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero – come aggiunto dal Senato – in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina; con un periodo aggiunto al Senato, si prevede poi l'obbligo, per le strutture in esame, di stipulare altresì una polizza assicurativa (o di adottare un'analoga misura) per la copertura della responsabilità extracontrattuale verso terzi (ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile) degli esercenti le professioni sanitarie (con riferimento all'ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti del professionista). Tali disposizioni tuttavia non si applicano agli esercenti la professione sanitaria di cui al comma 2.
  L'articolo 11 definisce i limiti temporali delle garanzie assicurative.
  L'articolo 12 introduce un'importante novità nel sistema del contenzioso in ambito sanitario con la previsione di una ulteriore modalità di azione per il danneggiato, ossia l'azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione della struttura sanitaria e del libero professionista.
  L'articolo 13 prevede che le strutture sanitarie e sociosanitarie e le compagnie di assicurazione comunicano all'esercente la professione sanitaria l'instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato, entro dieci giorni dalla ricezione della notifica dell'atto introduttivo, mediante posta elettronica certificata o lettera raccomandata con avviso di ricevimento contenente copia dell'atto introduttivo del giudizio. In forza delle modifiche approvate al Senato, il suddetto obbligo (con i relativi effetti, in caso di inadempimento) è esteso anche alla comunicazione (all'esercente la professione sanitaria) dell'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato (comunicazione che deve recare l'invito a prendervi parte): l'omissione, la tardività o l'incompletezza delle comunicazioni preclude l'ammissibilità delle azioni di rivalsa o di responsabilità amministrativa di cui all'articolo 9.
  Un'ulteriore disposizione volta a tutelare i soggetti danneggiati è l'articolo 14, che prevede l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero della salute, di un Pag. 205fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria. Il fondo di garanzia è alimentato dal versamento di un contributo annuale dovuto dalle imprese autorizzate all'esercizio delle assicurazioni per la responsabilità civile per i danni causati da responsabilità sanitaria. A tal fine il predetto contributo è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo di garanzia. Il Ministero della salute con apposita convenzione affida alla CONSAP spa (Concessionaria servizi assicurativi pubblici) la gestione delle risorse del fondo di garanzia (tale periodo è stato aggiunto nel corso dell'esame al Senato).
  L'articolo 15 riforma la disciplina sulla nomina dei consulenti tecnici d'ufficio (CTU) in ambito civile e dei periti in ambito penale. Sono, in particolare, rafforzate le procedure di verifica delle competenze e resi trasparenti i possibili conflitti d'interesse rendendo di fatto disponibili al giudice tutti gli albi presenti a livello nazionale, da aggiornare ogni 5 anni. Una modifica introdotta al Senato ha introdotto una disciplina speciale prevedendo, in particolare: che l'autorità giudiziaria debba affidare sempre la consulenza e la perizia a un collegio costituito da un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti aventi specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento e riferite a tutte le professioni sanitarie; che i CTU da nominare nel tentativo di conciliazione obbligatoria (di cui all'articolo 8, comma 1), siano in possesso di adeguate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi; l'inapplicabilità ai componenti del collegio della disciplina dei compensi di cui all'articolo 53 del testo unico sulle spese di giustizia (secondo cui, quando l'incarico è stato conferito ad un collegio di ausiliari, il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del 40 per cento).
  L'articolo 16, non modificato nel corso dell'esame al Senato, prevede che i verbali e gli atti conseguenti all'attività di gestione del rischio clinico non possono essere acquisiti o utilizzati nell'ambito di procedimenti giudiziari e che l'attività di gestione del rischio sanitario sia coordinata da personale medico dotato delle specializzazioni in igiene, epidemiologia e sanità pubblica o equipollenti, in medicina legale, ovvero da personale dipendente con adeguata formazione e comprovata esperienza almeno triennale nel settore.
  L'articolo 17 – non modificato dal Senato – contiene una clausola di salvaguardia in base alla quale le disposizioni del provvedimento sono applicabili nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi Statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale n. 3 del 2001.
  L'articolo 18 contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria.
  Propone conclusivamente di esprimere un parere favorevole (vedi allegato 2).

  La Commissione approva la proposta di parere del relatore.

  La seduta termina alle 8.10.

RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Giovedì 9 febbraio 2017. — Presidenza del presidente Gianpiero D'ALIA.

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli Statuti speciali.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento della Camera, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame.

  Gianpiero D'ALIA, presidente e relatore, fa presente che la Commissione intende avviare una riflessione sullo stato del regionalismo e, più in generale, sull'assetto degli enti territoriali del nostro Paese, Pag. 206dopo l'esito non confermativo del referendum costituzionale.
  La strada indicata dalla riforma costituzionale, con il superamento del bicameralismo paritario e la configurazione del Senato quale Camera delle autonomie e con la revisione del titolo V, non risulta allo stato più percorribile. Restano peraltro sul tappeto i problemi a cui il nuovo assetto istituzionale intendeva dare una risposta, in primis l'individuazione di forme di raccordo tra Stato ed autonomie territoriali che consentano una semplificazione del quadro dei relativi rapporti ed il superamento del contenzioso istituzionale e la ridefinizione del ruolo delle province. A quest'ultimo riguardo, la riforma avviata dalla cosiddetta «legge Delrio» deve essere completata ed adeguata alle mutate condizioni costituzionali.
  Rileva altresì come con possa tacersi di un altro grande punto incompiuto della riforma del 2001, il federalismo fiscale. Occorre in proposito affrontare il tema del riconoscimento di una vera autonomia finanziaria degli enti territoriali, che faccia leva sul principio di responsabilità, e della necessità di assicurare la corrispondenza tra funzioni esercitate e risorse a disposizione.
  Allo stesso tempo devono essere affrontati i temi dell'aggiornamento degli Statuti speciali e del «regionalismo differenziato» previsto dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Quest'ultima disposizione, che consente il riconoscimento di forme particolari di autonomia anche per le Regioni ordinarie, dovrebbe finalmente trovare compiuta attuazione nella prospettiva di una «specialità diffusa», in grado di rispondere in maniera mirata ai bisogni emergenti dai diversi territori, nell'ottica di una valorizzazione delle diversità e in un quadro concordato di responsabilità. Può dunque riflettersi sull'opportunità di una procedimentalizzazione, con legge ordinaria, dell’iter delineato dal richiamato articolo 116, terzo comma.
  La Commissione deve dunque portare a compimento il percorso intrapreso negli ultimi due anni con lo svolgimento di due indagini conoscitive – sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», e sulle problematiche concernenti l'attuazione degli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale – con una relazione all'Assemblea che individui proposte concrete su queste rilevanti tematiche.
  Il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, approvato il 13 ottobre 2016, delinea due possibili scenari, molto diversi, a seconda dell'esito, confermativo o non confermativo, del referendum costituzionale.
  Nello scenario – poi verificatosi – della Costituzione invariata, il documento conclusivo sottolinea l'ineludibilità dell'esigenza di portare a compimento la riforma costituzionale del 2001, adeguando finalmente ad essa le procedure parlamentari e riordinando il «sistema delle conferenze», tuttora regolato da una disciplina precedente alla riforma. Secondo il documento, è stata infatti proprio l'assenza di un chiaro disegno attuativo che ha in sostanza condizionato negativamente l'efficacia della riforma del 2001.
  Il riparto di competenze legislative delineato dall'articolo 117 della Costituzione ha infatti ben presto dimostrato la sua insufficienza nella composizione degli interessi nazionali, regionali e locali, anche a causa della mancata attuazione dell'autonomia finanziaria che l'articolo 119 della Costituzione riconosce sulla carta agli enti territoriali.
  Come noto, è stata conseguentemente la Corte costituzionale a dover risolvere i continui conflitti tra Stato e Regioni, svolgendo di fatto un ruolo di arbitro che non dovrebbe competere ad un giudice delle leggi. L'abnorme mole del contenzioso costituzionale sul titolo V, che non accenna a diminuire ad oltre quindici anni dalla riforma, costituisce il segno più evidente della crisi del sistema.
  La Corte costituzionale ha del resto più volte fatto riferimento, nelle sentenze volte a dirimere i conflitti tra Stato e Regioni applicando il principio di leale collaborazione, alla «perdurante assenza di una Pag. 207trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi – anche solo nei limiti di quanto previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» (sentenze n. 7/2016, n. 278/2010, n. 401/2007, n. 383/2005, n. 6/2004). In assenza di tale adeguamento dei procedimenti legislativi, la legge statale che intervenga in ambiti su cui esistono prerogative regionali, «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 7/2016; ex multis, cfr. sentenze n. 6/2004 e n. 303/2003). Deve trattarsi di «intese forti» (sentenze n. 7/2016, n. 121/2010 e n. 6/2004), non superabili con una determinazione unilaterale dello Stato se non nella «ipotesi estrema, che si verifica allorché l'esperimento di ulteriori procedure bilaterali si sia rivelato inefficace» (sentenze n. 7/2016, n. 179/2012 e n. 165/2011).
  Tali procedure concertative erano circoscritte, almeno fino alla recente sentenza n. 251 del 2016, alla fase di attuazione delle leggi. Proprio l'assenza di un coinvolgimento delle autonomie territoriali nel procedimento legislativo può contribuire a spiegare l'insorgere dell'elevato contenzioso costituzionale. In quest'ottica, nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva è stata prospettata l'attivazione dell'unico meccanismo contemplato dalle disposizioni costituzionali vigenti idoneo ad assicurare tale coinvolgimento, ovvero una modifica dei regolamenti parlamentari volta a dare attuazione all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 «al fine di assicurare “a monte”, nell'ambito del procedimento legislativo, il rispetto del quadro delle competenze delineato dal titolo V della Costituzione. Tale rispetto allo stato attuale è rimesso esclusivamente alle sentenze della Corte costituzionale, che possono intervenire solo ex post e a distanza di lungo tempo dall'approvazione della legge, collocandosi in un momento in cui la legge è spesso già in fase di avanzata attuazione e determinando frequentemente situazioni di impasse».
  Dopo l'approvazione del documento conclusivo è intervenuta la richiamata sentenza n. 251 del 9-25 novembre 2016, che ha segnato un'importante svolta nella giurisprudenza costituzionale. La Corte costituzionale, mutando il proprio precedente orientamento, ha infatti riconosciuto l'applicabilità del principio di leale collaborazione anche nell'ambito del procedimento legislativo: «là dove il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all'intesa».
  La giurisprudenza costituzionale precedente aveva invece costantemente affermato che «l'esercizio dell'attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione». Meccanismi cooperativi avrebbero potuto applicarsi ai procedimenti legislativi solo in quanto la loro osservanza fosse prevista da una fonte costituzionale, in grado di vincolare il legislatore statale (sentenza n. 250/2015; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 44/2014; n. 112/2010, n. 249/2009, n. 159/2008).
  Secondo la sentenza n. 251 del 2016, il principio di leale collaborazione «è tanto più apprezzabile se si considera la “perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi” (sentenza n. 278/2010) e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre più complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori».
  L'applicazione del principio di leale collaborazione nell'ambito del procedimento legislativo pone nuovi problemi sul piano delle fonti del diritto.
  La richiamata sentenza della Corte costituzionale – come sottolineato dal Consiglio di Stato nel parere 17 gennaio 2017, n. 83, sulle modalità di attuazione della sentenza medesima – impone il vincolo procedimentale dell'intesa nell'ambito della legislazione delegata, ma non si pronuncia sui «possibili percorsi alternativi», Pag. 208quali il procedimento legislativo ordinario. Rileva il Consiglio di Stato che «il meccanismo dell'intesa si configura come un procedimento riferito tipicamente agli organi esecutivi» e che «apparirebbe problematico individuare per il Parlamento vincoli procedimentali diversi e ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla Carta costituzionale, fermo restando, ovviamente, il limite del rispetto, sul piano sostanziale, delle regole di riparto delle funzioni legislative».
  Al fine di realizzare compiutamente il principio di leale collaborazione nel procedimento legislativo, risulta necessario individuare nell'ambito delle assemblee parlamentari la sede per l'attuazione di tale leale collaborazione, riportando nel circuito della democrazia rappresentativa l'adozione di scelte di fondamentale importanza per la vita dei cittadini.
  La via maestra da seguire appare quella indicata nel documento conclusivo della Commissione parlamentare per le questioni regionali relativa alla necessità di dare attuazione all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  Tale norma costituzionale prevede che «sino alla revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione, i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali» (comma 1) e che «quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all'introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l'esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti (comma 2).»
  Sull'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ricorda che un ampio lavoro istruttorio è stato svolto nel corso della XIV legislatura, nella quale i Presidenti delle due Camere hanno promosso a tal fine, con il consenso delle rispettive Giunte per il regolamento, la costituzione di un Comitato paritetico, composto di quattro deputati e quattro senatori.
  Il Comitato paritetico ha elaborato alcune ipotesi di modifiche regolamentari finalizzate a dare attuazione alla norma costituzionale. Successivamente, due deputati e due senatori sono stati incaricati in seno alle rispettive Giunte di approfondire ulteriormente le questioni. L'esito di tali approfondimenti è stato oggetto di discussione nella seduta della Giunta per il Regolamento della Camera del 28 novembre 2002, in allegato alla quale è pubblicata la relativa relazione, e nella seduta della Giunta per il regolamento del Senato del 28 novembre 2002. Il tema è stato quindi affrontato dalla Giunta per il regolamento della Camera nella seduta del 10 aprile 2003 e dalla Giunta per il regolamento del Senato nella seduta del 3 aprile 2003.
  Nel corso della XIV legislatura non si diede seguito a tale attività istruttoria ed alle conseguenti modifiche dei regolamenti parlamentari poiché prevalse la volontà di avviare l’iter legislativo della riforma costituzionale, che, nel trasformare il Senato in una Camera federale, faceva venir meno l'esigenza di procedere all'integrazione della Commissione, che del resto – come ricordato – era stata prefigurata dal legislatore costituzionale del 2001 nelle more della revisione delle norme del titolo I della parte II della Costituzione. Come noto, la legge costituzionale poi approvata dalle Camere venne respinta a seguito del referendum del giugno 2006.
  Il lavoro svolto dal Comitato può costituire un'utile base di partenza per riprendere le fila per l'elaborazione di una proposta di attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in Pag. 209quanto molti dei problemi che oggi si pongono sono stati già affrontati in quella sede.
  Per altro verso, occorre tenere conto del fatto che il Comitato ha lavorato subito dopo l'entrata in vigore della riforma costituzionale del 2001. L'attuazione dell'articolo 11 deve oggi invece tenere conto degli oltre quindici anni trascorsi da allora e di come nei fatti ha trovato realizzazione la riforma del titolo V, segnata dalle alterne vicende del federalismo fiscale e, soprattutto, dalla cospicua giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha concretamente ridisegnato il quadro del riparto di competenze tra Stato e Regioni.
  Con riferimento al carattere transitorio dell'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali, può ritenersi tendenzialmente consolidato il quadro delineato dalla riforma del 2001 a seguito della decisione del corpo elettorale di respingere due riforme costituzionali che proponevano modifiche di quell'assetto; quest'ultimo aspetto impone ancor più di accelerare l'attuazione dell'unico meccanismo previsto a livello costituzionale in grado di smussare il contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni.
  I punti da affrontare al fine di dare attuazione al citato articolo 11 sono i seguenti:
   1) l'individuazione della fonte cui ricorrere per l'attuazione;
   2) la composizione e l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
   3) le competenze della Commissione in composizione integrata;
   4) le modalità di deliberazione e di funzionamento della Commissione in composizione integrata;
   5) gli effetti dei pareri della Commissione nell'ambito del procedimento legislativo.

  Sul tema della fonte del diritto cui ricorrere ai fini dell'attuazione all'articolo 11, occorre innanzitutto ricordare che quest'ultimo individua i regolamenti parlamentari come strumento attuativo.
  Non è peraltro da escludersi, limitatamente ad alcuni profili, il ricorso ad altre fonti, in considerazione del fatto che attualmente la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali è disciplinata, sulla base dell'articolo 126 della Costituzione, da una legge ordinaria (articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775).
  Ove si ritenesse dunque di modificare il numero dei parlamentari membri della Commissione, risulta necessario intervenire sulle corrispondenti disposizioni di legge.
  Occorre inoltre interrogarsi circa l'opportunità di un ricorso alla legge ordinaria, anziché al regolamento parlamentare, laddove si tratti di incidere su profili che non riguardano l'attività delle Camere, ma che incidono sull'organizzazione degli enti territoriali, quali l'individuazione delle modalità di scelta dei rappresentanti di questi enti.
  Alla legge ordinaria sembrerebbero inoltre riservati i profili inerenti alle ineleggibilità e alle incompatibilità, anche alla luce di quanto previsto dall'articolo 65, primo comma, della Costituzione.
  Nell'eventualità in cui intendano riconoscersi ai membri della Commissione parlamentare per le questioni regionali in rappresentanza degli enti territoriali prerogative identiche o equiparabili a quelle garantite dalla Costituzione ai membri del Parlamento, occorrerebbe invece ricorrere ad una legge costituzionale.
  La scelta di procedere all'integrazione della Commissione e gli aspetti inerenti al funzionamento ed all'organizzazione della medesima, nonché alle modifiche del procedimento legislativo dovrebbero essere invece disciplinati dai regolamenti parlamentari.
  Al riguardo va peraltro segnalato che sin dalla XIV legislatura sono stati presentati alle Presidenze di Camera e Senato disegni di legge di iniziativa parlamentare, di cui peraltro non è mai stato avviato l'esame, volti a disciplinare la modifica Pag. 210della legge n. 62 del 1953, al fine di integrare la composizione della Commissione stessa, includendo rappresentanti degli enti territoriali.
  Può anche ipotizzarsi, per alcuni di aspetti di minor rilievo procedurale, un rinvio dei regolamenti ad un regolamento interno della Commissione.
  Per ciò che attiene alla composizione ed all'integrazione della Commissione, l'articolo 11 si limita a prevedere la «partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali», senza determinare il numero né le modalità di scelta dei rappresentanti degli enti territoriali.
  Per quanto riguarda la composizione numerica, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale sul titolo V che, in relazione all'applicazione del principio di leale collaborazione, ha fatto di frequente riferimento ad un confronto paritario tra i due «grandi sistemi ordinamentali della Repubblica», appare opportuno che la Commissione sia composta da un uguale numero di membri del Parlamento e di rappresentanti degli enti territoriali.
  Mantenendo l'attuale numero di componenti parlamentari, pari a 40, la Commissione integrata sarebbe dunque composta da 80 membri.
  Ove si ritenga questo numero di componenti elevato, potrebbe ipotizzarsi una composizione ridotta, ad esempio di 60 membri, 30 parlamentari (15 deputati e 15 senatori) e 30 rappresentanti delle autonomie territoriali.
  Occorre poi soffermarsi sulla ripartizione dei rappresentanti tra i diversi livelli di governo (Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni) e sulle modalità di designazione degli stessi.
  La formulazione dell'articolo 11 non comporta necessariamente che i rappresentanti degli enti territoriali siano designati tra soggetti che rivestono cariche elettive o di governo, ma questa soluzione appare preferibile al fine di garantire la necessaria rappresentatività dei membri delle autonomie territoriali.
  Per le Regioni, dovrebbero essere riconosciuti 21 membri, uno per ciascuna Regione e Provincia autonoma. È necessario peraltro scegliere se i rappresentanti debbano essere eletti dagli organi legislativi regionali o indicati dagli esecutivi regionali.
  Il Comitato istituito nella XIV legislatura aveva ritenuto che dovessero essere gli organi legislativi, e quindi le Assemblee legislative o Consigli regionali, a designare mediante un'elezione il relativo rappresentante, consentendo peraltro una diversa previsione degli statuti (per le Regioni a statuto speciale della legge regionale o provinciale). Tale soluzione, da un lato, ha il pregio di rimettere all'autonomia di ciascuna Regione l'individuazione delle modalità di scelta del proprio rappresentante, dall'altro, potrebbe però determinare un'asimmetria nella posizione dei rappresentanti delle diverse Regioni.
  L'alternativa tra organi legislativi ed organi esecutivi potrebbe allora essere ricomposta, riproponendo il rapporto Camere/Governo già in essere in ambito parlamentare. Nel senso che, da un lato, la Commissione potrebbe essere integrata da rappresentanti eletti dai Consigli regionali tra i loro componenti, in modo tale che nell'ambito di un organo delle Assemblee legislative nazionali siedano i rappresentanti delle Assemblee legislative regionali, dall'altro, un rappresentante degli esecutivi regionali potrebbe partecipare ai lavori della Commissione con un ruolo analogo a quello del rappresentante del Governo nazionale. Il rappresentante degli esecutivi regionali potrebbe essere designato dalla Conferenza Stato-Regioni, anche in relazione all'oggetto della discussione in Commissione. Questa proposta riprende una delle soluzioni ipotizzate dal documento conclusivo della Commissione per le questioni regionali nell'ipotesi di esito confermativo del referendum costituzionale, proposta finalizzata a garantire la partecipazione degli esecutivi regionali nel nuovo Senato.
  Quanto ai rappresentanti degli enti locali, ove si propendesse per una Commissione di 60 membri, il loro numero sarebbe Pag. 211pari a 9. Lo squilibrio tra rappresentanti regionali e rappresentanti locali si giustificherebbe peraltro in considerazione del fatto che le competenze della Commissione riguardano per la maggior parte ambiti di pertinenza delle Regioni, unici enti titolari di competenze legislative costituzionalmente garantite.
  Circa le modalità di designazione dei rappresentanti degli enti locali, la soluzione più appropriata potrebbe essere quella di farli eleggere o comunque designare dai Consigli delle autonomie locali, in quanto organi direttamente previsti dalla Costituzione. Tale soluzione appare però di fatto difficilmente praticabile, sia perché bisognerebbe assicurare la presenza di 21 rappresentanti delle autonomie locali, sia perché bisognerebbe trovare una forma di coordinamento dei diversi Consigli delle autonomie locali al fine di garantire la rappresentanza di tutti i livelli di governo locale (Comune, Città metropolitana, Provincia).
  Sembrerebbe dunque preferibile rimettere la designazione dei rappresentanti degli enti locali ad un soggetto istituzionale, quale la componente degli enti locali nell'ambito della Conferenza unificata, come prospettato dal Comitato istituito nella XIV legislatura.
  Per quanto attiene alla durata del mandato dei rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali in seno alla Commissione, essa dovrebbe essere determinata in relazione alla durata degli organi ai quali appartengono, nonché della Commissione stessa: essi rimarrebbero in carica, dunque, fino al rinnovo di tali organi e comunque in ogni caso non oltre la durata delle Camere. In tal modo la Commissione dovrebbe essere integralmente rinnovata all'inizio di ogni legislatura.
  Passando alla questione delle competenze della Commissione integrata, l'articolo 11, comma 2, attribuisce alla Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata dai rappresentanti delle autonomie territoriali una competenza consultiva rinforzata in relazione ai progetti di legge riguardanti le «materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione».
  Si pone il problema se la competenza della Commissione in composizione integrata debba limitarsi a quella prevista dall'articolo 11, comma 2, o possa invece estendersi ad altri ambiti, tenendo conto che le attuali competenze della Commissione definite dai regolamenti parlamentari risultano più ampie.
  In particolare, i regolamenti parlamentari, con disposizioni precedenti alla riforma costituzionale del 2001 e mai adeguate a tale riforma, attribuiscono alla Commissione una funzione consultiva più ampia, riferita ai «progetti di legge che contengano disposizioni nelle materie indicate dall'articolo 117 della Costituzione e in quelle previste dagli Statuti speciali delle regioni adottati con leggi costituzionali, o che riguardino l'attività legislativa o amministrativa delle regioni» (articolo 102, comma 3, Reg. Camera; articolo 40, comma 9, Reg. Senato).
  Il Comitato paritetico istituito nella XIV legislatura aveva riconosciuto la competenza della Commissione in composizione integrata ad esprimere un parere non solo sui progetti di legge indicati nell'articolo 11, comma 2, ma anche su progetti di legge che contenessero comunque disposizioni riguardanti l'attività legislativa o amministrativa delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali. Tale locuzione era ritenuta comprensiva anche dei progetti di legge riguardanti le materie previste dagli Statuti speciali delle Regioni adottati con legge costituzionale, ove non già ricomprese nelle materie di cui agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione. Il Comitato aveva infatti rilevato come potessero esserci progetti di legge, diversi da quelli indicati nel comma 2 dell'articolo 11, che tuttavia potevano presentare rilevanti aspetti d'interesse delle autonomie. Già allora, ancora prima dell’«esplosione» del contenzioso costituzionale sul titolo V, il Comitato aveva rilevato la difficoltà di individuare gli esatti confini delle materie indicate nel comma terzo dell'articolo 117 della Costituzione, Pag. 212anche con riferimento al loro rapporto con alcune materie rientranti nella esclusiva potestà legislativa statale. L'interesse delle autonomie ad esprimersi era sembrato infine del tutto evidente nelle ipotesi in cui venissero presentati alle Camere progetti di legge che risultassero invasivi delle competenze regionali stabilite dalla Costituzione.
  In linea con quanto già rilevato dal Comitato paritetico istituito nella XIV legislatura, l'articolo 11, comma 2, non può dunque essere letto come limitativo delle competenze della Commissione integrata, in quanto esso si limita ad attribuire un particolare effetto procedurale ai pareri adottati dalla Commissione su determinati progetti di legge. I progetti di legge indicati dal citato comma 2 non risultano infatti esaustivi degli ambiti di interesse delle Regioni e degli enti locali. Inoltre, la oramai copiosissima giurisprudenza costituzionale sul titolo V dimostra come questioni di riparto di competenza tra Stato e Regioni possano porsi con riguardo alla maggior parte dei progetti di legge, al di là del formale riparto delle materie tra i commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 117. In tal senso depongono anche i pareri attualmente espressi sul punto dalle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato.
  Appare dunque preferibile la soluzione che attribuisce alla Commissione in composizione integrata potere consultivo su tutti i progetti di legge di interesse per gli enti territoriali, mantenendo dunque una competenza inalterata rispetto a quella della attuale Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  Gli effetti rinforzati dei pareri riguarderebbero comunque solo gli ambiti di cui all'articolo 11, comma 2, mentre per gli altri pareri si applicherebbe la disciplina ordinaria prevista per i pareri delle Commissioni permanenti.
  Può inoltre prospettarsi, anche alla luce della recante sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016, che, con una giurisprudenza innovativa, ha riconosciuto l'applicabilità del principio di “leale collaborazione” anche nell'ambito dei procedimenti legislativi di delega, un'attività consultiva della Commissione in composizione integrata sugli schemi di decreto legislativo e sugli altri atti assegnati per i pareri alle Commissioni parlamentari.
  Continuerebbe invece a spettare alla Commissione parlamentare non integrata il parere sugli atti di scioglimento dei Consigli regionali e di rimozione del Presidente della Giunta regionale, in quanto l'articolo 126 Cost. e gli Statuti delle Regioni speciali attribuiscono espressamente tale parere ad una «Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica.».
  Quanto allo svolgimento di attività conoscitiva, i regolamenti parlamentari potrebbero consentire lo svolgimento di tale attività alla Commissione in composizione integrata, anche per favorire un approccio condiviso tra Stato centrale ed autonomie a problematiche di interesse comune.
  Quanto all'individuazione delle modalità di deliberazione e funzionamento della Commissione in composizione integrata, essa costituisce uno dei punti più delicati dell'attuazione dell'articolo 11. Si tratta infatti del primo caso in cui una Commissione parlamentare assume deliberazioni con la partecipazione di soggetti non parlamentari. L'unico caso di partecipazione di soggetti non parlamentari alle deliberazioni delle Camere è la partecipazione dei delegati regionali al Parlamento in seduta comune per l'elezione del Presidente della Repubblica.
  L'alternativa che si pone è tra il considerare tutti i membri della Commissione in composizione integrata sullo stesso piano ai fini delle deliberazioni e l'attribuire una valenza alla provenienza istituzionale dei membri, introducendo meccanismi che differenzino la componente parlamentare da quella di rappresentanza territoriale.
  Devono in proposito essere considerati i notevoli poteri riconosciuti alla Commissione dall'articolo 11 nell'ambito del procedimento legislativo e, in particolare, la previsione secondo cui il parere contrario o il parere con condizioni specificamente Pag. 213formulate può essere superato dall'Assemblea solo con votazione a maggioranza assoluta, quindi con una maggioranza più ampia di quella prevista per la fiducia al Governo (maggioranza semplice).
  Al fine di assicurare il corretto funzionamento del sistema costituzionale con riguardo al rapporto Parlamento/Governo, appare necessario adottare dei correttivi che evitino che la Commissione parlamentare per le questioni regionali integrata possa assumere strutturalmente decisioni sulla base di maggioranze occasionali, indotte da ragioni di mero opportunismo politico più che di merito, che risultino diverse o addirittura opposte alle proposte della maggioranza di Governo. Si tratta infatti di un organo che, sia per la sua natura bicamerale sia per la presenza di membri non parlamentari in rappresentanza degli enti territoriali, risulta in ultima analisi esterno al circuito fiduciario.
  Ciò può affermarsi anche sulla base della ratio dell'articolo 11, come ricostruita anche dalla giurisprudenza costituzionale, volta a far sì che il procedimento legislativo sia integrato con la partecipazione degli enti territoriali, cui la riforma del titolo V ha assegnato rilevanti competenze legislative di cui occorre tener conto già nell'ambito dell’iter parlamentare di approvazione delle leggi. Estranea alla logica dell'articolo 11 risulta invece l'introduzione di meccanismi o procedure che consentano pesanti condizionamenti dell’iter legislativo senza il consenso della maggioranza parlamentare, finendo in ultima istanza per incidere sulla stessa forma di governo.
  Tali problematiche risultano affrontate nel corso dei lavori istruttori svolti nella XIV legislatura.
  Come risulta dalla relazione allegata alla seduta della Giunta per il regolamento della Camera del 28 novembre 2002, una prima soluzione proposta dal Comitato paritetico (quorum strutturale per ciascuna componente e approvazione del parere a maggioranza dei presenti, computati indistintamente) non è apparsa idonea ad evitare l'insorgenza di strumentalizzazioni. È apparso infatti ben possibile, nonostante l'alto quorum strutturale previsto, che i voti della componente delle autonomie potessero sommarsi alla minoranza parlamentare costituendo un elemento di alterazione del rapporto tra maggioranza e opposizione parlamentare. Si è dunque profilata la soluzione del sistema di voto per componenti (due componenti: quella parlamentare e quella delle autonomie considerate nel loro complesso): il parere si intende approvato quando, a seguito dell'effettuazione di un'unica votazione cui partecipino contestualmente sia i parlamentari sia i rappresentanti delle autonomie, esso abbia ottenuto la maggioranza dei voti della componente parlamentare e di quella delle autonomie (complessivamente considerata), distintamente computate. Tale soluzione presenta il pregio di incentivare la ricerca di soluzioni concordate tra la componente parlamentare e il sistema delle autonomie e di promuovere il raggiungimento di intese tra i diversi livelli di rappresentanza istituzionale, in quanto l'intesa costituisce l'unico modo per assicurare il funzionamento della Commissione. Il mancato raggiungimento dell'accordo e la conseguente inerzia della Commissione costituisce, inoltre, un deterrente capace di innescare la ricerca di un meccanismo virtuoso di composizione preventiva dei conflitti. Al contempo sono neutralizzati non solo il pericolo di formazione di maggioranze occasionali, accidentalmente aggregate, ma soprattutto quello di utilizzazione strumentale dei rappresentanti delle istituzioni territoriali nell'ambito della deliberazione di un organo parlamentare, evitando che essa avvenga scavalcando la naturale maggioranza del Parlamento, espressione diretta della sovranità popolare.
  La proposta del voto per componenti – che richiede, per l'approvazione dei pareri e, più in generale, delle deliberazioni della Commissione, il consenso della maggioranza dei parlamentari e della maggioranza dei rappresentanti delle autonomie – appare condivisibile. In tal modo, oltre ad essere scongiurata l'eventualità di pareri adottati da maggioranze occasionali o non omogenee a quella di Governo, sarebbe Pag. 214altresì favorita un'effettiva composizione tra interessi nazionali ed interessi territoriali, in quell'ottica di leale collaborazione ampiamente valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale sul titolo V.
  Il mancato raggiungimento della doppia maggioranza comporterebbe l'impossibilità di esprimere i pareri e tale eventualità dovrebbe fungere da stimolo per la ricerca di soluzioni concordate.
  In quest'ottica deve peraltro essere affrontato il problema del termine per l'espressione dei pareri, dovendosi garantire tempi congrui che tuttavia non costituiscano un eccessivo aggravio del procedimento legislativo. In assenza di tempi congrui, deve essere consentita la possibilità per la Commissione di esprimere il proprio parere direttamente all'Assemblea.
  Occorre inoltre considerare le modalità di funzionamento della Commissione per la sua attività principale, consistente nell'espressione dei pareri, e verificare se l'ordinaria procedura adottata per le Commissioni in sede consultiva, che prevede la nomina da parte del Presidente della Commissione di un relatore che presenta una proposta di parere, risulti la più idonea o se invece non possano essere individuate diverse modalità.
  A tal proposito, al fine di favorire il raggiungimento di una posizione concordata tra parlamentari nazionali e rappresentanti delle autonomie, potrebbe prospettarsi come modalità ordinaria di lavoro della Commissione la nomina di due relatori, un parlamentare ed un rappresentante delle autonomie.
  Ulteriore questione assolutamente rilevante riguarda gli effetti nell'ambito del procedimento legislativo dei pareri espressi dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  L'articolo 11, comma 2, dispone in proposito che «quando un progetto di legge riguardante le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione contenga disposizioni sulle quali la Commissione parlamentare per le questioni regionali, integrata ai sensi del comma 1, abbia espresso parere contrario o parere favorevole condizionato all'introduzione di modificazioni specificamente formulate, e la Commissione che ha svolto l'esame in sede referente non vi si sia adeguata, sulle corrispondenti parti del progetto di legge l'Assemblea delibera a maggioranza assoluta dei suoi componenti.».
  Si pongono in proposito una serie di problemi interpretativi:
   a) l'individuazione degli ambiti in cui le condizioni, specificamente formulate della Commissione per le questioni regionali integrata, determinano l'effetto procedurale del voto a maggioranza assoluta dell'Assemblea;
   b) le modalità di esame e votazione delle condizioni specificamente formulate della Commissione;
   c) l'eventuale esame da parte della Commissione degli emendamenti presentati in Assemblea;
   d) il rapporto tra le condizioni specificamente formulate della Commissione e la posizione della questione di fiducia da parte del Governo;
   e) l'effetto delle condizioni nell'ambito dei procedimenti in sede legislativa o deliberante e in sede redigente.

  Quanto al punto sub a), ossia l'individuazione degli ambiti in cui le condizioni specificamente formulate della Commissione determinano l'effetto procedurale del voto a maggioranza assoluta dell'Assemblea, possono essere prospettati due percorsi applicativi: un primo percorso si inserisce nel solco della giurisprudenza costituzionale sul titolo V; un secondo percorso, più aderente alla formulazione testuale dell'articolo 11, fonda sull'elencazione delle «materie» il riparto di competenza tra Stato e Regioni.
  Il primo percorso considera che l'attuazione dell'articolo 11, comma 2, avviene dopo oltre 15 anni dall'approvazione della riforma del 2001 e deve dunque tenere conto della oramai stratificata giurisprudenza costituzionale sul titolo V, che ha dato una lettura fortemente innovativa Pag. 215rispetto alla lettera del testo costituzionale delle elencazioni di materie ivi contenute.
  La Corte costituzionale ha infatti più volte sottolineato che la complessità dei fenomeni sociali oggetto di disciplina legislativa rende nella maggior parte dei casi difficile la riconduzione sic et simpliciter di una normativa ad un'unica materia, determinandosi invece un intreccio tra diverse materie e diversi livelli di competenza che la Corte stessa non ha esitato a definire «inestricabilmente commiste» (sentenza n. 250/2015; ex plurimis, sentenze n. 278/2010; n. 213/2006, n. 133/2006, n. 431/2005, n. 231/2005; n. 219/2005, n. 50/2005, n. 308/2003). Gli interventi del legislatore sono infatti frequentemente volti «a disciplinare, in maniera unitaria, fenomeni sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sarà possibile isolare un singolo interesse, quanto piuttosto interessi distinti che ben possono ripartirsi diversamente lungo l'asse delle competenze normative di Stato e Regioni corrispondenti alle diverse materie coinvolte» (sentenza n. 251/2016).
  La Corte ha dunque elaborato una serie di canoni ermeneutici (la «concorrenza di competenze», l’«attrazione in sussidiarietà», le «materie-funzioni» o «materie trasversali»), che fanno molto spesso leva, per risolvere le inevitabili sovrapposizioni tra competenze statali e competenze regionali, sul principio di leale collaborazione, che richiede adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni, ravvisando «nell'intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione» (sentenza n. 251/2016).
  In questo quadro deve essere letto il riferimento dell'articolo 11, comma 2, alle «materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione». Si tratta delle materie nelle quali, in base ad una lettura puramente testuale della riforma del 2001, si sarebbe potuta determinare una sovrapposizione di competenze statali e regionali (materie di competenza concorrente e materia dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, che avrebbe dovuto svilupparsi sulla base dei principi di coordinamento della finanza pubblica rimessi alla legge statale).
  L'evoluzione della giurisprudenza costituzionale ha peraltro dimostrato come non sia possibile una chiara distinzione tra le materie di cui ai commi secondo, terzo e quarto comma dell'articolo 117 della Costituzionale.
  Può dunque accedersi ad un'interpretazione evolutiva del riferimento alle materie di cui all'articolo 11, comma 2, ricomprendendovi tutte le materie suscettibili di determinare un'intersezione tra ambiti materiali di pertinenza statale ed ambiti di pertinenza regionale.
  Si tratta di un'interpretazione estensiva, necessaria peraltro per allineare la formulazione dell'articolo 11, comma 2, alla consolidata giurisprudenza costituzionale. Tale interpretazione apre tuttavia un'ulteriore delicata questione procedurale, ossia l'esatta individuazione dei casi in cui le condizioni specificamente formulate della Commissione sortiscono l'effetto procedurale della maggioranza assoluta previsto dal medesimo articolo 11, comma 2.
  Sono in proposito possibili due diverse soluzioni:
   1) ammettere le condizioni in tutti i casi in cui vengano in questione competenze regionali o si incida in qualsiasi modo sull'autonomia finanziaria degli enti territoriali, con un'interpretazione estensiva molto forte dell'articolo 11, comma 2;
   2) individuare limitazioni alla possibilità per la Commissione di porre condizioni specificamente formulate, ammettendole solo nei casi in cui sia necessario assicurare il rispetto del riparto costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni delineato dal titolo V. In tal modo l'effetto procedurale della maggioranza assoluta si produrrebbe al fine di assicurare il rispetto del quadro costituzionale delle competenze, introducendo uno strumento di leale collaborazione già nell'ambito del procedimento legislativo, in funzione di prevenzione del contenzioso costituzionale. È la stessa giurisprudenza costituzionale, del resto, che ritiene il mancato Pag. 216coinvolgimento delle autonomie territoriali nell'ambito del procedimento legislativo uno degli elementi su cui fondare le pronunce di incostituzionalità delle leggi statali. Si creerebbe così una sorta di parallelismo con le attuali competenze delle Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, cui spetta di pronunciarsi sul rispetto del titolo V, competenze che dovrebbero considerarsi assorbite in quella della Commissione per le questioni regionali integrata. Sulla base di questa soluzione, si disinnescherebbe un altro problema procedurale, che riguarda la sottoposizione delle condizioni della Commissione per le questioni regionali al parere della Commissione bilancio, riducendosi notevolmente la possibilità che le due Commissioni assumano decisioni contrastanti, competendo a ciascuna la verifica del rispetto dei parametri costituzionali nella propria sfera di competenza. Rimane fermo naturalmente il potere della Commissione di proporre condizioni anche sul merito del provvedimento, non determinandosi peraltro il particolare effetto procedurale della maggioranza assoluta.

  Al fine di evitare soluzioni che potrebbero ampliare eccessivamente gli ambiti di intervento dei pareri rinforzati della Commissione, può accedersi al secondo percorso attuativo, più aderente alla formulazione testuale dell'articolo 11, che limiti l'intervento alle materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione da esso espressamente richiamate. Occorre peraltro in proposito individuare criteri che consentano, nell'ambito del procedimento legislativo, di individuare chiaramente tali ambiti di competenza. In tale ipotesi, il parere rinforzato della Commissione potrebbe essere limitato ai soli progetti di legge che riguardino esclusivamente le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione.
  Quanto al punto sub b), ossia alle modalità di esame e votazione delle condizioni specificamente formulate dalla Commissione e non recepite dalla Commissione in sede referente, queste dovrebbero essere trasformate in emendamenti da sottoporre al voto dell'Assemblea.
  Secondo la proposta del Comitato paritetico istituito nella XIV legislatura, dovrebbe in tal caso essere prevista, la votazione della condizione trasformata in emendamento e, in caso di reiezione della stessa, la necessità di approvare a maggioranza assoluta l'articolo nel testo della Commissione di merito (o, eventualmente, il comma, richiedendo una votazione per parti separate).
  Tale soluzione non esclude peraltro la possibilità di uno stallo del procedimento legislativo nel caso in cui, dopo la reiezione della condizione della Commissione per le questioni regionali, non si raggiunga la maggioranza assoluta per l'approvazione dell'articolo (o del comma) formulato dalla Commissione di merito, con il rischio di avere un testo di legge privo di una parte che potrebbe risultare essenziale.
  Potrebbe allora ipotizzarsi una soluzione differente, più complessa dal punto di vista procedurale, con la previsione di un'unica votazione, da cui consegua o l'approvazione della condizione della Commissione per le questioni regionali integrata o il mantenimento del testo della Commissione di merito.
  Per quanto riguarda la votazione finale, non sembra invece poter essere condivisa la soluzione prospettata dal Comitato paritetico istituito nella XIV legislatura, che richiede anche per la votazione finale la maggioranza assoluta in caso di mancato adeguamento alle condizioni della Commissione per le questioni regionali. L'articolo 11, comma 2, prescrive infatti la maggioranza assoluta dell'Assemblea solo sulle parti del progetto di legge corrispondenti alle condizioni formulate dalla Commissione, senza far riferimento alla votazione finale. L'articolo 64, terzo comma, della Costituzione prevede che le deliberazioni delle Camere non sono valide se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. Pur potendosi ammettere in via interpretativa che la Pag. 217maggioranza speciale sia richiesta non direttamente dalla Costituzione ma da una legge costituzionale, le relative ipotesi devono intendersi di stretta interpretazione.
  L'unica ipotesi prospettabile di maggioranza assoluta sulla votazione finale conseguente al parere della Commissione dovrebbe essere quella del parere contrario sull'intero testo, che peraltro, al fine di evitare sconfinamenti della Commissione, dovrebbe determinare tale effetto procedurale solo nell'ipotesi in cui l'intero testo risulti lesivo di prerogative degli enti territoriali.
  Quanto al punto sub c), al fine di evitare l'elusione del parere espresso dalla Commissione per le questioni regionali sul testo della Commissione di merito attraverso l'approvazione di emendamenti nel corso dell'esame in Assemblea, appare necessario che la Commissione possa esprimersi anche sugli emendamenti presentati in Assemblea, come del resto già avviene per le Commissioni Affari costituzionali proprio al fine del rispetto del titolo V e per le Commissioni Bilancio per la verifica della copertura finanziaria ai sensi dell'articolo 81, terzo comma, della Costituzione.
  In caso di parere contrario, diversamente da quanto proposto dal Comitato paritetico istituito nella XIV legislatura, non sembra peraltro potersi richiedere la maggioranza assoluta per l'approvazione dell'emendamento su cui la Commissione per le questioni regionali abbia espresso parere contrario, in quanto l'articolo 11, comma 2, riferisce tale approvazione solo al testo della Commissione di merito. Deve inoltre essere tenuto presente che la Commissione avrà in ogni caso la possibilità di pronunciarsi sul testo emendato in Assemblea nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento.
  Quanto al punto sub d), relativo alla posizione della questione di fiducia, occorre considerare che per la reiezione delle condizioni specificamente formulate dalla Commissione è necessaria la maggioranza assoluta.
  Sorge dunque questione sulla procedura da seguire e la maggioranza da adottare nel caso in cui il Governo intenda porre la questione di fiducia, per la quale è sufficiente la maggioranza semplice, su un testo non adeguato alla condizione della Commissione, questione non affrontata dal Comitato istituito nella XIV legislatura.
  Escludendo la necessità di ottenere la maggioranza assoluta per la questione di fiducia, stante il disposto dell'articolo 94 della Costituzione, poco plausibile appare l'ipotesi di una votazione sul testo non adeguato che avrebbe come effetto, in caso di approvazione a maggioranza semplice, il mantenimento della fiducia e la reiezione del testo (o eventualmente la sua approvazione incorporando le modifiche della Commissione).
  In considerazione della ineludibile necessità della maggioranza assoluta per non adeguarsi alle condizioni della Commissione, potrebbe prevedersi che esse siano comunque votate come emendamenti prima del testo su cui viene posta la questione di fiducia (o eventualmente anche come subemendamenti in caso di questione di fiducia su un maxiemendamento interamente sostitutivo del testo).
  In tal modo, effettivamente sulle condizioni della Commissione non potrebbe essere posta la questione di fiducia, ipotesi che peraltro non appare eccessivamente limitativa della prerogativa del Governo di porre la fiducia ove le condizioni siano limitate alla necessità di garantire il rispetto del titolo V (del resto, di prassi, quando il Governo pone la questione di fiducia vengono generalmente adottati particolari accorgimenti procedurali, quali ad esempio il rinvio in Commissione, al fine di assicurare comunque il rispetto dell'articolo 81, terzo comma, Cost., mediante il recepimento delle condizioni poste dalla Commissione bilancio).
  Per quanto attiene infine al punto sub e), relativo all'effetto delle condizioni nell'ambito dei procedimenti in sede legislativa o deliberante e in sede redigente, può riprendersi la proposta del Comitato istituito di applicare al parere della Commissione per le questioni regionali la disciplina prevista per i pareri delle cosiddette Pag. 218Commissioni «filtro», prevedendo la rimessione in Assemblea nel caso in cui la Commissione che procede in sede legislativa o deliberante ovvero in sede redigente non ritenga di aderire al parere della Commissione per le questioni regionali.
  L'attuazione della disposizione costituzionale relativa all'integrazione della Commissione per le questioni regionali potrebbe peraltro rappresentare l'occasione per una riflessione organica sulle attuali forme di raccordo fra Stato ed autonomie territoriali, nell'ottica di una razionalizzazione complessiva del «sistema delle conferenze», mai adeguato alla riforma del titolo V.
  Come evidenziato nel documento conclusivo, una delle principali criticità delle attuali Conferenze intergovernative è costituito dall'eterogeneità delle attività poste in essere e dalla conseguente difficoltà di potersi concentrare sulle attività qualificanti, che sono quelle connesse al rapporto diretto fra Governo nazionale ed esecutivi degli enti territoriali. Con l'integrazione della Commissione, quest'ultima potrebbe attrarre su di sé, anche al fine di evitare duplicazioni, l'attività svolta dalla Conferenze nel procedimento legislativo.
  Nell'ambito di una riflessione più generale del riordino del sistema di raccordo, il citato documento conclusivo suggerisce di procedere alla razionalizzazione del numero delle Conferenze intergovernative, auspicando la riduzione delle tre attuali a due (in sostanza corrispondenti alla Conferenza Stato-Regioni e alla Conferenza unificata) o, in alternativa, l'istituzione di una Conferenza unica, articolata in una sede plenaria e in due distinte sezioni (regionale e locale).
  Nell'ambito delle Conferenze, dovrebbe essere poi favorita una maggiore bilateralità, attenuando la posizione di supremazia del Governo, con la previsione di forme di rotazione nella Presidenza o di una co-Presidenza ed assicurando una maggiore partecipazione degli enti territoriali alla formazione dell'ordine del giorno.
  Auspicabile è anche l'introduzione di più ampie forme di trasparenza e di pubblicità degli atti e delle sedute delle Conferenze, al fine di rendere conoscibile la posizione dei vari soggetti per una corretta assunzione di responsabilità.
  L'attività potrebbe essere poi maggiormente procedimentalizzata, rispondendo alla più volte richiamate esigenze di razionalizzazione e velocizzazione. Ad esempio, gli atti di natura più squisitamente tecnica potrebbero essere esaminati adottando iter specifici semplificati, quale quello attualmente riservato alla materia agricoltura, con riferimento alla quale opera efficacemente il Comitato tecnico permanente di coordinamento, istituito già nel dicembre 1997 presso la Conferenza Stato-Regioni con funzioni istruttorie, di raccordo, collaborazione e concorso alle attività della Conferenza.
  Nell'ambito delle Conferenze potrebbero poi essere individuate apposite procedure per i casi in cui occorra procedere all'adozione di atti di rilevanza sovraregionale che però interessino solo alcune Regioni o per i casi in cui debba essere presa in considerazione la diversa posizione istituzionale delle Regioni ad autonomia speciale.
  Sotto diverso profilo, il documento conclusivo registra l'assenza di una vera sede politica in cui il Governo nazionale e gli Esecutivi territoriali si confrontino sulle grandi scelte strategiche per il Paese e richiama la proposta di istituzione di una Conferenza degli esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, che si riunisca una o due volte l'anno per delineare un'agenda politica condivisa tra Governo centrale e territori.
  In un'ottica di più ampia razionalizzazione, dovrà inoltre essere valutata l'opportunità di una disciplina anche delle conferenze orizzontali e dovrà essere affrontata la questione della rappresentanza del sistema delle autonomie locali, anche con riguardo allo specifico ruolo delle Città metropolitane e degli altri enti di area vasta.Pag. 219
  Passa infine ad esaminare l'ultima questione oggetto della relazione, relativa all'attuazione degli statuti delle Regioni ad autonomia speciale.
  Richiama anche in tal caso la conclusione del documento conclusivo della relativa indagine conoscitiva, approvato dalla Commissione il 6 novembre 2015.
  Il documento auspica un approccio comune delle cinque autonomie speciali nei confronti della revisione, al fine di rinsaldare il pluralismo costituzionale e rileggere i fondamenti della specialità in chiave di responsabilità e solidarietà.
  A tal proposito viene proposta la prosecuzione del confronto unitario – con il coinvolgimento delle Assemblee elettive regionali – avviato tra Regioni speciali, Province autonome e Stato, che possa concludersi con una convenzione che tracci le linee procedurali per un percorso comune di revisione degli statuti, come già accaduto nell'esperienza conclusasi con l'approvazione della legge costituzionale n. 2 del 2001.
  In tale sede possono essere delineate soluzioni comuni concernenti le problematiche messe a fuoco nel corso dell'indagine conoscitiva:
   l'aggiornamento degli statuti;
   l'armonizzazione della disciplina della composizione e del funzionamento delle Commissioni paritetiche;
   la regolamentazione del procedimento di adozione degli schemi dei decreti legislativi di attuazione degli statuti;
   la definizione di principi e criteri direttivi comuni nella disciplina dei rapporti finanziari con lo Stato.

  Su questi punti, il documento conclusivo già propone soluzioni immediatamente operative, alle quali può farsi rinvio.
  Nell'ambito di procedure concordate, ciascuna autonomia speciale, in base alle proprie caratteristiche, alle proprie esigenze, alla propria cultura politica, economica e sociale, potrà organizzarsi ed autodeterminarsi in un quadro condiviso di responsabilità nazionale.

  Il senatore Albert LANIÈCE (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE) sottolinea l'importanza di affrontare la questione dell'attuazione degli Statuti speciali e del ruolo delle Commissioni paritetiche dopo l'esito negativo del referendum costituzionale. La reiezione della riforma costituzionale, che sanciva il principio dell'intesa, sta infatti creando problemi nel percorso di aggiornamento degli Statuti. In Valle d'Aosta, ad esempio, è stata sciolta la Commissione istituita per la riforma dello Statuto.
  Rileva dunque che la relazione all'assemblea dovrà soffermarsi su questo tema, riprendendo l'importante lavoro dell'indagine conoscitiva.

  Gianpiero D'ALIA, presidente e relatore, si dichiara pienamente d'accordo con le affermazioni del Vicepresidente Lanièce ed evidenzia che il tema della revisione degli Statuti speciali ha sempre rivestito un carattere di centralità nei lavori della Commissione.

  Il deputato Francesco RIBAUDO (PD) richiama l'attenzione sul tema dell'autonomia differenziata prevista dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Ritiene che sul punto la Commissione debba lavorare per elaborare una propria proposta di legge ordinaria o anche, ove necessario, costituzionale. Occorre infatti evitare che la vicenda del referendum sull'autonomia della Regione Veneto inneschi reazioni a catena di emulazione da parte delle altre Regioni a Statuto ordinario, senza che sia individuato un percorso unitario e condiviso.
  Chiede infine chiarimenti sull'integrazione della Commissione con i rappresentanti degli enti territoriali.

  Gianpiero D'ALIA, presidente e relatore, dopo avere rilevato l'importanza dell'attuazione del regionalismo differenziato, ricorda che la Commissione parlamentare Pag. 220per le questioni regionali è l'unica Commissione ad essere prevista a livello costituzionale. Ciò avviene per ben due volte: all'articolo 126 della Costituzione e all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

  Il deputato Florian KRONBICHLER (SI-SEL) rileva che il dibattito testé svoltosi potrebbe ingenerare l'impressione che con la riforma costituzionale sia stato bocciato anche il regionalismo italiano. Ricorda che la riforma costituzionale ridimensionava il ruolo delle Regioni ordinarie e rinviava il rafforzamento dell'autonomia delle Regioni speciali. Sottolinea dunque che l'esito negativo del referendum costituzionale non può considerarsi in alcun modo limitativo dell'autonomia delle Regioni.

  Gianpiero D'ALIA, presidente e relatore, ricorda che il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sul raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali delineava correttamente due diversi scenari in relazione al futuro del regionalismo italiano, il primo a Costituzione invariata, il secondo a Costituzione riformata, individuando in proposito due percorsi da intraprendere. La Commissione sta dunque procedendo in maniera assolutamente coerente con il lavoro in precedenza svolto.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito del dibattito ad altra seduta.

  La seduta termina alle 8.25.

INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 9 febbraio 2017. — Presidenza del presidente Gianpiero D'ALIA.

  La seduta comincia alle 8.25.

Deliberazione di un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli Statuti speciali.
(Deliberazione).

  Gianpiero D'ALIA, presidente, sulla base di quanto convenuto in sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ed essendo stati acquisiti, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento della Camera, l'intesa della Presidente della Camera e, ai sensi dell'articolo 48, comma 1, del Regolamento del Senato, il consenso del Presidente del Senato, propone lo svolgimento di un'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame della relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli Statuti speciali.
  La durata dell'indagine sarà di tre mesi.
  Nel corso dell'indagine saranno auditi i rappresentanti del Governo per materia, i rappresentanti, della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e delle associazioni rappresentative degli enti locali, nonché professori universitari esperti in materia.

  La Commissione approva la proposta del presidente.

  La seduta termina alle 8.30.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 8.30 alle 8.35.

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