CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 16 dicembre 2015
563.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Mercoledì 16 dicembre 2015. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.10.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della decisione quadro 2003/577/GAI relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio.
Atto n. 229.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del Pag. 180giorno, rinviato nella seduta del 15 dicembre 2015.

  Francesca BONOMO (PD), relatrice, formula una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere formulata dalla relatrice.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2005/214/GAI sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
Atto n. 230.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Francesca BONOMO (PD), relatrice, ricorda che lo schema di decreto in esame, che la XIV Commissione affronta ai fini del parere da rendere al Governo, è volto all'attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie.
  La delega in tal senso è stata conferita al Governo dalla Legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114).
  L'obiettivo perseguito dal Governo ed esplicitato nella relazione illustrativa – così come con gli Schemi di decreto già esaminati ai fini del recepimento delle decisione quadro 2008/947/GAI e 2009/829/GAI – è quello di un rafforzamento della cooperazione giudiziaria e di polizia all'interno dell'Unione europea, a garanzia di un elevato livello di sicurezza per tutti i cittadini. Una delle pietre angolari di tale obiettivo, sottolinea il Governo, è il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, sancito dalla conclusioni del Consiglio europeo, riunitosi a Tampere il 15 e 16 ottobre 1999, e ribadito nel programma dell'Aja, del 4 e 5 novembre 2004, per il rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea.
  La normativa europea in tal modo recepita introduce nel sistema uno strumento di cooperazione giudiziaria, la cui ratio si fonda sul presupposto che le decisioni adottate in uno Stato membro (di decisione) possano a determinate condizioni, trovare riconoscimento in un altro Stato membro (di esecuzione) ed essere, per taluni effetti, equiparate alle decisioni adottate nel medesimo Stato di esecuzione. Si tratta, dunque, di una ulteriore «concretizzazione» del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
  Nella specie, lo Stato membro in cui la persona è stata condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria può trasmettere la decisione allo stato membro in cui la predetta dispone di beni o di un reddito ovvero ha la residenza o dimora abituale o, se persona giuridica, ha la sede legale, ai fini del riconoscimento e conseguente esecuzione. Il presente intervento mira, appunto, a introdurre un meccanismo per favorire, tramite una soluzione concordata fra gli Stati membri e in un'ottica di reciproca fiducia, non solo la piena attuazione dei principi di libertà e di libera circolazione, ma anche una migliore esecuzione delle sanzioni pecuniarie, tenendo così in debita considerazione le imprescindibili esigenze di giustizia. Da tempo, infatti, nell'ambito dell'Unione europea è avvertita tale esigenza posto che, in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia l'assenza della possibilità di una esecuzione all'estero delle sanzioni pecuniarie comporta evidentemente un vulnus alla libera circolazione delle persone, con pregiudizio dei diritti e degli interessi dei singoli nonché della stessa collettività.
  Lo schema di decreto legislativo è suddiviso in 4 Capi e si compone di 17 articoli.
  L'articolo 1 dello schema reca le disposizioni di principio e l'ambito di applicazione.
  L'articolo 2 reca le definizioni.Pag. 181
  L'articolo 3 individua le autorità competenti per le finalità del decreto, ovvero il Ministero ella giustizia e l'autorità giudiziaria.
  Il Capo II è dedicato alla trasmissione all'estero.
  L'articolo 4 ne individua la competenza nel pubblico ministero presso il tribunale che ha emesso la decisione sulle sanzioni pecuniari, che provvede direttamente alla trasmissione della decisione sulle sanzioni pecuniarie all'autorità competente dello Stato membro in cui la persona condannata dispone di beni o di un reddito, ovvero risiede e dimora abitualmente, ovvero, se persona giuridica, ha la propria sede legale.
  Gli articoli 5 e 6 definiscono le condizioni di tale trasmissione.
  L'articolo 7 disciplina gli effetti del riconoscimento, stabilendo che quando l'autorità competente dello Stato di esecuzione riconosce la decisione sulle sanzioni pecuniarie, dandone informazione, anche diretta, al pubblico ministero che ha disposto la trasmissione, l'autorità italiana non è più tenuta all'adozione dei provvedimenti necessari all'esecuzione. Vengono quindi individuati i casi nei quali l'autorità italiana riassume il potere di procedere all'esecuzione.
  Il Capo III riguarda invece la trasmissione dall'estero.
  L'articolo 8 individua la competenza a decidere sul riconoscimento, che spetta alla corte di appello nel cui distretto la persona condannata dispone di beni o di un reddito, ovvero risiede e dimora abitualmente, ovvero, se persona giuridica, ha la propria sede legale nel momento in cui il provvedimento è trasmesso dall'estero.
  L'articolo 9 detta le condizioni per il riconoscimento della decisione sulle sanzioni pecuniarie da parte della corte di appello, che debbono ricorrere congiuntamente: a) la persona condannata dispone nel territorio dello Stato di beni o di un reddito, ovvero risiede e dimora abitualmente, ovvero ha la propria sede legale; b) il fatto per cui è stata emessa la decisione è previsto come reato anche dalla legge nazionale, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione.
  L'articolo 10 definisce l'ambito di applicazione delle norme, specificando che si fa luogo al riconoscimento, indipendentemente dalla doppia incriminazione, se il reato per il quale è chiesta la trasmissione si riferisce ad una delle fattispecie elencate, per le quali rinvio alla lettura dello schema di decreto.
  L'articolo 11 disciplina il procedimento e la decisione di riconoscimento. Quando riceve da un altro Stato membro dell'Unione europea, ai fini dell'esecuzione in Italia, una decisione sulle sanzioni pecuniarie, il procuratore generale presso la corte di appello competente ai sensi dell'articolo 8, fa richiesta di riconoscimento alla medesima corte di appello.
  L'articolo 12 individua i motivi di rifiuto del riconoscimento da parte della corte di appello.
  L'articolo 13 specifica gli effetti del riconoscimento; in particolare, quando la corte di appello provvede al riconoscimento, l'esecuzione della decisione sulle sanzioni pecuniarie è disciplinata secondo la legge italiana. Si applicano, altresì, le disposizioni in materia di amnistia e grazia. Alla esecuzione provvede il procuratore generale presso la corte di appello che ha deliberato il riconoscimento.
  La cessazione dell'esecuzione è prevista dall'Articolo 14. L'autorità giudiziaria italiana ordina immediatamente la cessazione dell'esecuzione della decisione sulle sanzioni pecuniarie una volta informata dell'adozione da parte dello Stato della decisione di qualsiasi provvedimento che la privi di esecutività ovvero la revochi.
  L'articolo 15 pone a carico dello Stato italiano le spese sostenute nel territorio nazionale per l'esecuzione della decisione.
  Il Capo IV reca agli articoli 16 e 17 le disposizioni transitorie e finali, ivi compresa la clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

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Schema di decreto legislativo recante attuazione della decisione quadro 2009/299/GAI che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo.
Atto n. 232.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Giuseppe GUERINI (PD), relatore, fa presente che lo schema di decreto legislativo in titolo – del quale la Commissione avvia l'esame ai fini del parere da rendere al Governo – recepisce, sulla base della delega conferita dalla Legge di delegazione europea per l'anno 2014 (Legge 9 luglio 2015, n. 114), la decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, che si propone di rafforzare i diritti processuali delle persone, promuovendo al contempo l'applicazione del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato.
  L'articolato della decisione, modificando cinque precedenti decisioni, propone uno standard minimo comune, in materia di processo celebrato in assenza dell'imputato, da applicare nella valutazione della correttezza della procedura che conduce alla decisione giudiziaria presa da uno Stato membro dell'Unione.
  La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento ricorda che il nostro ordinamento riconosce dignità costituzionale al principio del contraddittorio (articolo 111 Cost.), principio che presuppone la corretta, tempestiva e compiuta comunicazione dei dati che consentono all'interessato di presentarsi in giudizio a spendere le sue difese. Si sottolinea inoltre come il cosiddetto giusto processo non possa prescindere dal diritto della persona accusata di essere tempestivamente informata della data, dell'ora e del luogo ove si svolgerà il processo, anche al fine di disporre del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa. Deve peraltro rilevarsi come tale diritto, intrinsecamente connesso con il diritto di difesa, è garantito in egual misura agli indagati e agli imputati, in base alla disposizione generale contenuta nell'articolo 61 del codice di procedura penale, che, come noto, estende i diritti e le garanzie dell'imputato alla persona sottoposta alle indagini preliminari.
  Rispondono a tali esigenze, garantendo un percorso processuale partecipato, gli articoli 420 bis, ter, quater e quinquies, 484 co. 2 bis, 604 co. 5-bis, 623 lettera b) e 625 ter del codice di procedura penale.
  Dal testo di tali articoli, precisa la relazione illustrativa, si evince come nessun adeguamento necessiti all'interno della disciplina processuale vigente, avendo il legislatore già pienamente disciplinato il percorso processuale che conduce alla decisione fair. Tuttavia, appare altrettanto evidente che le previsioni della decisione quadro sono indirizzate soprattutto a rendere effettivo tale diritto in linea con le disposizioni sovranazionali contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (artt. 47 e 48, paragrafo 2) e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (articolo 6, lett. a) nei casi in cui l'autorità giudiziaria debba decidere, in esecuzione di un mandato d'arresto europeo, della consegna di un soggetto allo Stato dell'Unione che lo ha processato in assenza.
  Con lo schema di decreto legislativo all'esame si dà, pertanto, attuazione alla disciplina europea, provvedendo a modificare sia la legge 22 aprile 2005 n. 69, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, che il decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano Pag. 183pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea.
  Il provvedimento consta di quattro articoli.
  L'articolo 1 indica sinteticamente le disposizioni di principio e l'ambito di applicazione.
  L'articolo 2 è volto ad adeguare l'ordinamento interno alle modifiche apportate alla decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, nel solco di una linea di tendenza che individua nel processo lo spazio di ascolto delle parti e di composizione di interessi confliggenti.
  La disposizione novella l'articolo 19 comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 69, mediante sostituzione della lettera a), in linea con quanto già previsto dalla disciplina del processo in absentia delineata nel codice di procedura penale, al fine di assicurare che la definizione del processo possa avvenire, in caso di assenza dell'imputato, solo laddove si accerti che l'interessato, nel non partecipare alla celebrazione del rito, ha esercitato un'opzione consapevole e volontaria, ovvero non ha usato la minima diligenza nell'informarsi sulla data ed il luogo di celebrazione del processo.
  Si provvede inoltre a modificare l'articolo 30, comma 1, della medesima legge n. 69 del 2005, al fine di modificare il modello del mandato d'arresto europeo (allegato al decreto in commento all'Allegato I), in linea con quanto previsto dalla decisione quadro, al fine di imporre all'organo giurisdizionale richiedente di indicare quali siano state le modalità concrete del procedere in absentia e quali i rimedi predisposti dall'ordinamento dello Stato richiedente per assicurare, in caso di assenza incolpevole, la riedizione del giudizio.
  L'articolo 3 modifica l'articolo, comma 1, lettera n) e l'articolo 13, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 7 settembre 2010, n. 161, al fine di adeguare l'ordinamento interno alle indicazioni contenute nella decisione quadro sull'applicazione del principio del reciproco riconoscimento, nell'Unione, delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale. Conseguentemente, il modello allegato alla decisione quadro 2009/299/GAI viene sostituito (per la parte modificata) da quello recato all'Allegato II al decreto in commento.
  L'articolo 4 reca la clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/948/GAI sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.
Atto n. 234.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Giuseppe GUERINI (PD), relatore, ricorda che lo schema di decreto in esame – del quale la Commissione avvia oggi l'esame ai fini del parere da rendere al Governo – recepisce, sulla base della delega conferita dalla Legge di delegazione europea per l'anno 2014 (Legge 9 luglio 2015, n. 114), la decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.
  La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento evidenzia come nell'ambito dell'Unione europea sia avvertita da tempo l'esigenza di prevedere meccanismi procedurali volti ad evitare che, in relazione allo stesso fatto, vengano avviati, dinanzi a diverse autorità nazionali europee, paralleli procedimenti penali. In uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia la possibilità che si duplichino le azioni penali comporta un vulnus alla libera circolazione delle persone, con pregiudizio dei diritti e degli interessi dei singoli.Pag. 184
  La decisione quadro oggetto di recepimento conferma tale impostazione, nel presentarsi quale strumento volto a «prevenire» la violazione del divieto del «ne bis in idem» attraverso la previsione di meccanismi procedurali diretti a evitare che, nei confronti della medesima persona e in relazione allo stesso fatto, vengano avviati, dinanzi alle diverse autorità nazionali europee, più procedimenti penali.
  Lo strumento normativo si concretizza nella messa a punto di un sistema di «consultazione» per pervenire, in caso di litispendenza internazionale, a una soluzione «concordata», anche con l'ausilio di Eurojust, in modo da evitare lo svolgimento di procedimenti penali paralleli.
  Il valore aggiunto della decisione quadro – rileva il Governo – risiede essenzialmente nella previsione di una procedura «obbligata», non incidendo, invece, sugli esiti delle consultazioni stesse.
  Si prevede infatti, in primo luogo, l'obbligo dell'autorità, che ha fondati motivi per ritenere che si stia conducendo un procedimento parallelo in un altro Stato membro, di «prendere contatto» con l'autorità competente dell'altro Stato membro per confermare l'esistenza di un procedimento parallelo. A tale riguardo, inoltre, vengono in considerazione i procedimenti penali in qualunque fase essi si trovino, tanto delle indagini preliminari quanto di quella propriamente processuale. Di converso, l'autorità contattata ha l'obbligo di rispondere alla richiesta entro il termine indicato dall'autorità contattante o, se non è stato indicato alcun termine, senza indebito ritardo (in ogni caso la risposta deve essere comunicata con urgenza se l'indagato, o l'imputato, è sottoposto a una misura di custodia cautelare). Una volta accertata l'esistenza di procedimenti paralleli, entrambe le autorità in questione sono tenute a procedere a «consultazioni» finalizzate al raggiungimento di un consenso su una «soluzione efficace» volta a evitare le conseguenze negative derivanti dall'esistenza di procedimenti paralleli.
  È lasciata dunque alle autorità interessate la massima flessibilità per addivenire a una soluzione «efficace», compatibilmente con i principi del proprio ordinamento, Nel preambolo si sottolinea, infatti, che «nessuno Stato membro dovrebbe essere obbligato a rinunciare o a esercitare la competenza giurisdizionale contro lo sua volontà», benché si sia rivolto un invito a modulare il principio di obbligatorietà dell'azione penale, che informa il diritto processuale in vari Stati membri, nel nuovo contesto di reciproca fiducia che lega i Paesi membri dell'Unione europea, così da ritenerlo soddisfatto quando uno tra essi garantisca l'azione penale in relazione a un determinato reato.
  Quanto alla procedura, la decisione quadro non va oltre la fase delle consultazioni. Pertanto, tutto il sistema prefigurato poggia essenzialmente sulla facoltatività della decisione assunta agli esiti delle riunioni di consultazione, Né, inoltre, sono previsti correttivi, nell'ipotesi di mancato accordo, se non prevedendo l'ausilio opzionale di Eurojust, al quale, come è noto, è istituzionalmente demandato il compito di «assicurare un coordinamento ottimale delle indagini e delle azioni penali» in relazione alle forme gravi di criminalità, specie se organizzata, in stretta connessione con la generale competenza già delineata per l'Europol.
  Lo schema di decreto si compone di dodici articoli, suddivisi in due Capi.
  Il Capo I è dedicato all'introduzione nell'ordinamento interno delle disposizioni previste dalla decisione quadro (obbligo a carico degli Stati membri di prendere contatto e di rispondere per accertare l'esistenza di un procedimento parallelo; obbligo di procedere a consultazioni dirette per addivenire a un consenso; coinvolgimento di Eurojust per la risoluzione del conflitto di giurisdizione; obbligo di informazione sull'esito del procedimento).
  Il Capo II disciplina l'adeguamento dell'ordinamento interno alle nuove previsioni di fonte europea.
  L'articolo 1 contiene le disposizioni di principio e individua l'ambito di applicazione del decreto legislativo in oggetto.
  L'articolo 2 definisce i termini e i riferimenti normativi utilizzati nel testo. Pag. 185
  L'articolo 3 individua nel Ministro della giustizia e nell'autorità giudiziaria le autorità competenti per lo scambio di informazioni e per le consultazioni con le rispettive autorità degli altri Stati membri coinvolti nella risoluzione dei conflitti sulla giurisdizione.
  L'articolo 4 definisce la procedura finalizzata a risolvere l'eventuale conflitto di giurisdizione tra Stati membri. In particolare, viene prevista come obbligatoria una prima fase di presa di contatto tra gli Stati membri ogni qual volta vi sia il fondato motivo di ritenere che presso uno di essi penda un procedimento parallelo al fine di ottenerne la conferma.
  Gli articoli 5, 6 e 7 provvedono a disciplinare la tempistica, le modalità e il contenuto della richiesta e della risposta durante la fase della presa di contatto.
  L'articolo 8 prevede per gli Stati, presso i quali pendono procedimenti penali paralleli, l'obbligo di procedere a consultazioni finalizzate al raggiungimento di un consenso per la concentrazione dei procedimenti in un unico Stato. In assenza di una indicazione tassativa nella parte precettiva della decisione quadro di criteri oggettivi e predeterminati per la risoluzione «caso per caso» del conflitto di giurisdizione, come sopra evidenziato, il comma 4 del decreto riprende i criteri illustrati nel considerando numero 9 della decisione stessa. Vengono, pertanto, indicati i seguenti parametri:
   a) luogo in cui è avvenuta la maggior parte dell'azione, dell'omissione o dell'evento;
   b) luogo in cui si è verificata la maggior parte delle conseguenze dannose;
   c) luogo in cui risiede, dimora o è domiciliato l'indagato o l'imputato;
   d) prognosi maggiormente favorevole di consegna o di estradizione in altre giurisdizioni;
   e) maggiore tutela delle parti offese e minor sacrificio dei testimoni;
   f) omogeneità del trattamento sanzionatorio.

  La presa di contatto e le consultazioni sono affidate, rispettivamente, all'autorità giudiziaria procedente e al procuratore generale della corte di appello territorialmente competente, in linea con la volontà di agevolare contatti immediati e diretti tra le diverse autorità giudiziarie dei Paesi dell'Unione.
  L'articolo 9 prevede il coinvolgimento di Eurojust per il raggiungimento del consenso, qualora non sia stato conseguito all'esito delle consultazioni dirette tra le autorità competenti dei diversi Stati membri.
  L'articolo 10 disciplina gli effetti delle consultazioni sul procedimento pendente nel nostro Paese, prevedendo un meccanismo che comporta la sospensione unicamente dell'attività decisoria, conformemente al considerando n. II della decisione quadro e in armonia con i principi costituzionali in materia processuale penale. La durata di tale sospensione – da comunicarsi al procuratore generale – è limitata ad un massimo di venti giorni, trascorso il quale il giudice emette la sua decisione.
  L'articolo 11 contiene le disposizioni relative agli effetti della concentrazione dei procedimenti. Nell'ipotesi in cui il consenso sia raggiunto sulla giurisdizione italiana, si tiene conto del periodo di custodia cautelare eventualmente sofferta all'estero dall'indagato o dall'imputato, ai fini del computo della durata massima della custodia cautelare, della sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare e della pena espiata senza titolo. Gli atti probatori compiuti mantengono la loro efficacia conformemente alla legislazione nazionale. Viceversa, qualora il procedimento penale venga concentrato in altro Stato membro, il giudice dichiara la sopravvenuta improcedibilità, sulla falsariga di quanto contemplato dalla legge di ratifica n. 367/2001 dell’«Accordo italo-svizzero che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959 e ne agevola l'applicazione, fatto a Roma il 10 settembre Pag. 1861998, nonché conseguenti modifiche al codice penale ed al codice di procedura penale».
  L'articolo 11 reca le disposizioni di natura finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/51/Euratom che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano.
Atto n. 236.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Massimiliano MANFREDI (PD), relatore, rileva che lo schema di decreto legislativo in esame è inteso al recepimento della direttiva 2013/51/Euratom del Consiglio, del 22 ottobre 2013, che stabilisce requisiti per la tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano. Lo schema è stato predisposto in base alla disciplina di delega di cui agli artt. 1 e 15 della L. 9 luglio 2015, n. 114 (Legge di delegazione europea 2014).
  Tale disciplina di delega reca (nell'articolo 15) due criteri direttivi specifici.
  Il primo criterio direttivo specifico prevede l'introduzione, «ove necessario e in linea con i presupposti della direttiva 2013/51/Euratom», di misure di protezione della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime stabilite dalla direttiva medesima, fatto salvo il rispetto della libera circolazione delle merci.
  Il secondo criterio direttivo specifico richiede che, nel caso di esenzione dai controlli – ai sensi dell'articolo 3 della direttiva in oggetto – di alcune tipologie di acque, sia stabilito, oltre all'obbligo di informazione alle popolazioni interessate sulla presenza di acque esentate da controlli, anche l'obbligo di informazione sul diritto ad ottenere dalle autorità competenti lo svolgimento di verifiche, atte ad escludere, in concreto, rischi per la salute, connessi all'eventuale presenza di sostanze radioattive.
  Ricorda che, in base all'articolo 3 della direttiva, gli Stati membri possono prevedere esenzioni per acque destinate esclusivamente ad usi per i quali le autorità competenti ritengano che la qualità delle acque non abbia ripercussioni, dirette o indirette, sulla salute della popolazione interessata, nonché per le acque destinate al consumo umano e provenienti da singole fonti che eroghino in media meno di 10 metri cubi di acqua al giorno o che riforniscano un'utenza inferiore a cinquanta persone. In questa seconda ipotesi di esenzione (relativa alle acque destinate al consumo umano), la popolazione interessata (ai sensi del citato articolo 3 della direttiva) deve essere debitamente informata. Non sono, in ogni caso, ammesse esenzioni per acque fornite nell'ambito di un'attività commerciale o pubblica.
  Riguardo alla direttiva, ricorda che:
   il termine per il recepimento della stessa è scaduto il 28 novembre 2015;
   secondo il considerando numero 6 della direttiva, si intende che gli Stati membri siano liberi di adottare o mantenere misure più rigorose, fatta salva la libera circolazione delle merci nel mercato interno;
   la direttiva sostituisce in sostanza (senza operare novelle) le norme in materia poste dalla direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998, «concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano». Quest'ultima è recepita dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31; per le sostanze radioattive.

  L'articolo 1 dello schema di decreto reca l'oggetto del provvedimento. Pag. 187
  L'articolo 2 reca le definizioni di alcuni termini, in conformità con le nozioni della citata direttiva 2013/51/Euratom.
  L'articolo 3 definisce l'ambito di applicazione delle norme dello schema in esame. Si specifica che l’àmbito è costituito dalle acque destinate al consumo umano, con esclusione delle acque minerali naturali riconosciute e delle acque medicinali. Riguardo alla suddetta facoltà (per lo Stato membro) di esenzione per le acque provenienti da singole fonti che eroghino in media meno di 10 metri cubi di acqua al giorno o che riforniscano un'utenza inferiore a cinquanta persone, l'articolo 3 dello schema demanda a decreti del Ministro della salute l'eventuale determinazione di esenzioni (resta fermo che esse non possono riguardare acque fornite nell’àmbito di un'attività commerciale o pubblica). A queste eventuali esenzioni sono connessi gli obblighi di informazione – da parte delle regioni e delle province autonome – alla popolazione interessata stabiliti dal comma 4.
  Lo schema non sembra recepire, almeno in modo esplicito, il criterio di delega (sopra menzionato) concernente, per i casi di esenzione in oggetto, l'obbligo di informazione sul diritto ad ottenere dalle autorità competenti lo svolgimento di verifiche, atte ad escludere, in concreto, rischi per la salute, connessi all'eventuale presenza di sostanze radioattive – criterio di delega concernente, quindi, anche il medesimo diritto di richiedere verifiche.
  L'articolo 4 prevede appositi programmi di controllo delle sostanze radioattive nelle acque destinate al consumo umano, al fine di garantire, per l'ipotesi di superamento di uno o più dei suddetti valori di parametro, la valutazione dei rischi e l'eventuale adozione di interventi (per il rispetto dei medesimi valori) e di misure cautelative per la salute pubblica. I programmi di controllo sono definiti ed attuati dalle regioni e dalle province autonome, anche avvalendosi delle aziende sanitarie locali, ovvero di altri enti pubblici – individuati da leggi regionali – competenti a svolgere controlli sulla salubrità delle acque e sugli alimenti e bevande per scopi di tutela della salute pubblica.
  L'articolo 5 specifica, insieme con l'allegato I, i valori di parametro e i punti in cui essi devono essere rispettati.
  L'articolo 6 prevede due tipologie di controlli:
   quelli cosiddetti esterni, che vengono effettuati (nell'ambito del programma di controllo di cui all'articolo 4 ed in conformità con le prescrizioni di cui agli allegati II e III) dalle aziende sanitarie locali territorialmente competenti, ovvero da altri enti pubblici competenti, avvalendosi delle «ARPA/APPA, anche in forme consortili»;
   i controlli cosiddetti interni, che sono effettuati dal gestore del servizio idrico integrato (mediante un laboratorio diverso da quello impiegato per i controlli esterni, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 5).

  Le norme inerenti alla conservazione dei dati (derivanti dai controlli esterni ed interni) ed alla trasmissione o consultazione degli stessi sono poste dai commi 1, 3 e 6. Si prevede, tra l'altro, che i risultati dei controlli esterni siano raccolti in un archivio nazionale, gestito dal Ministero della salute, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità (comma 3).
  L'articolo 7 disciplina i provvedimenti e le misure da adottare in caso di non conformità dei parametri indicatori, nonché gli obblighi inerenti alla relativa informazione alla popolazione. In particolare, si prevede che, nell'ambito dei controlli esterni, in caso di superamento, come misura media annua, di uno dei valori di parametro, le aziende sanitarie locali (o gli altri enti pubblici competenti) comunichino tale superamento al gestore e, «avvalendosi delle ARPA/APPA»: valutino i rischi per la salute; esaminino i dati, per comprendere la causa del superamento; individuino, ove necessario, gli interventi correttivi e le misure cautelative per la salute pubblica. La procedura contempla anche un parere del Ministero della salute (formulato avvalendosi della Pag. 188collaborazione dell'Istituto superiore di sanità). Il comma 5 definisce gli obblighi di informazione alla popolazione interessata (per il caso di superamento in oggetto).
  Riguardo ai controlli interni, qualora si riscontri il superamento di un valore di parametro in un dato campione, il gestore del servizio idrico integrato ne dà comunicazione all'ente o azienda pubblici competenti, ai sensi del comma 6, «al fine di procedere con le conseguenti valutazioni e gli eventuali interventi».
  L'articolo 8 demanda ad un decreto del Ministro della salute, da adottarsi, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, la definizione delle indicazioni tecniche ed operative – elaborate in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità – intese a garantire uniformità e coerente applicazione del medesimo decreto legislativo sul territorio nazionale.
  L'articolo 9 disciplina la procedura di diffida da parte dello Stato ed i relativi termini temporali (decorsi i quali essa deve essere attivata), nonché i poteri sostitutivi, esercitati dallo Stato, per le regioni o province autonome inadempienti riguardo agli obblighi stabiliti dalla presente normativa.
  Osserva che, per gli obblighi richiamati dal comma 1, i termini temporali per l'esercizio della diffida sono posti esclusivamente per la prima fase di attuazione della disciplina.
  Il comma 2 di quest'ultimo articolo, inoltre, prevede, per i casi di violazione della normativa europea, che la proposta di delibera (sull'esercizio dei poteri sostitutivi) sia presentata (al Consiglio dei Ministri) dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per le politiche europee e dal Ministro competente per materia, mentre il comma 3 in esame fa riferimento soltanto alla proposta del Ministro della salute. Sembrerebbe opportuna una definizione più chiara di tali profili.
  L'articolo 10 reca le sanzioni amministrative, a carico dei gestori del servizio idrico integrato, per i casi di violazione degli obblighi posti dal provvedimento in esame. Le sanzioni di natura pecuniaria sono irrogate dalla regione o provincia autonoma, ai sensi del successivo articolo 11.
  I commi 1 e 2 dell'articolo 12 recano le clausole di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica. Il successivo comma 3 specifica che il provvedimento in esame sostituisce la disciplina di cui al citato D.Lgs. n. 31 del 2001, relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni sanzionatorie per la violazione del regolamento (UE) n. 29/2012 relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva e del regolamento (CEE) n. 2568/91 relativo alle caratteristiche degli oli d'oliva e degli oli di sansa d'oliva nonché ai metodi ad essi attinenti.
Atto n. 248.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Marina BERLINGHIERI (PD), relatrice, evidenzia che la XIV Commissione avvia l'esame – ai fini del parere da rendere al Governo – dello schema di decreto legislativo n. 248 recante disposizioni sanzionatorie per la violazione del regolamento (UE) n. 29/2012 relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva e del regolamento (CEE) n. 2568/91 relativo alle caratteristiche degli oli d'oliva e degli oli di sansa d'oliva nonché ai metodi ad essi attinenti.
  Ricorda che lo schema di decreto da attuazione alla delega contenuta nell'articolo 2 della legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre (legge n. 154 del 2014), ed introduce nell'ordinamento sanzioni amministrative per la violazione di Pag. 189due regolamenti europei in tema di caratteristiche degli oli di oliva e di sansa d'oliva e di commercializzazione dell'olio d'oliva.
  In particolare, la norma di delega autorizza il Governo ad adottare, entro 2 anni dall'entrata in vigore, disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi contenuti in regolamenti dell'Unione europea pubblicati alla data dell'entrata in vigore della stessa legge, per i quali non sono già previste sanzioni penali o amministrative, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, che operano «al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti».
  Lo schema di decreto legislativo si compone di 12 articoli attraverso i quali vengono sanzionate a titolo di illecito amministrativo le condotte di violazione della disciplina europea vigente e viene contestualmente abrogato il decreto legislativo n. 225 del 2005 che attualmente contiene le disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alla commercializzazione dell'olio d'oliva.
  L'articolo 1 individua l'oggetto della disciplina, consistente nell'introduzione della disciplina sanzionatoria per la violazione di quanto disposto dal regolamento (UE) n. 29/2012, relativo alle norme di commercializzazione dell'olio di oliva e dall'articolo 7-bis del regolamento (CEE) n. 2568/91 che, nell'ambito della regolamentazione delle caratteristiche degli oli d'oliva e degli oli di sansa d'oliva, prevede l'obbligo di tenere registri di entrata e di uscita per tutte le categorie di olio di oliva.
  L'articolo 2 introduce sanzioni amministrative per la violazione delle disposizioni sugli imballaggi destinati al consumatore finale o alla preparazione dei pasti nelle collettività, che riguardano la capacità dei recipienti e la loro chiusura (articolo 2 del Regolamento (UE) 29/2012). Lo schema di decreto legislativo prevede per la violazione delle disposizioni sulla capacità massima dei recipienti la sanzione amministrativa pecuniaria da 300 a 600 euro, mentre per la violazione delle disposizioni sul sistema di chiusura degli imballaggi la sanzione amministrativa pecuniaria da 800 a 4.800 euro.
  L'articolo 3 sanziona la violazione delle disposizioni sulle informazioni da inserire nell'etichetta dell'olio con la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 a 9.500 euro.
  Si tratta delle indicazioni obbligatorie previste all'articolo 3 del regolamento n. 29/2012, in cui si prevede che l'etichetta degli oli rechi in caratteri chiari e indelebili, tra l'altro, l'informazione seguente sulla categoria di olio: per l'olio extra vergine di oliva: «olio d'oliva di categoria superiore ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici»; per l'olio di oliva vergine: «olio d'oliva ottenuto direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici»; per l'olio di oliva composto da oli d'oliva raffinati e da oli d'oliva vergini: «olio contenente esclusivamente oli d'oliva che hanno subito un processo di raffinazione e oli ottenuti direttamente dalle olive»; per l'olio di sansa di oliva: «olio contenente esclusivamente oli derivati dalla lavorazione del prodotto ottenuto dopo l'estrazione dell'olio d'oliva e oli ottenuti direttamente dalle olive»; oppure «olio contenente esclusivamente oli provenienti dal trattamento della sansa di oliva e oli ottenuti direttamente dalle olive».
  L'articolo 4 dispone in ordine al mancato rispetto degli obblighi di indicazione dell'origine dell'olio, quando si tratti di «oli extra vergini di oliva» e di «olio di oliva vergine»; tali obblighi sono stati introdotti, per la prima volta, dal Regolamento UE 29/2012, in sostituzione della precedente indicazione di carattere facoltativo. Al comma 1, salvo che il fatto costituisca reato, viene prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 a 9.500 euro in caso di mancata o erronea indicazione, anche attraverso segni, figure o altro, della designazione d'origine in etichetta e nei documenti commerciali. Al comma 2 si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.500 a 18.000 euro per coloro che indicano in etichetta, nei documenti commerciali, nella presentazione e pubblicità, l'indicazione di origine dell’«olio di oliva-composto Pag. 190da oli di oliva raffinati e da oli di oliva vergini» e nell’«olio di sansa di oliva». Infine, al comma 3 viene prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 600 a 3.500 euro per coloro che non indicano nei documenti che accompagnano i movimenti di olive destinate alla produzione di olio, se le stesse sono state raccolte nell'Unione europea, in uno Stato membro o in uno Stato terzo, o se rientrino in una DOP/IGP.
  L'articolo 5 dello schema di decreto legislativo sanziona chi utilizza le indicazioni facoltative previste dall'articolo 5 del reg. (UE) n. 29/2012 senza averne titolo o senza aver rispettato gli obblighi previsti, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da 3.500 a 18.000 euro (comma 1). Il comma 2 sanziona chi riporta sugli oli preimballati e nella documentazione commerciale le indicazioni facoltative in modo difforme dall'articolo 5 del reg. (UE) n. 29/2012, oppure le riporta senza averle comunicate al Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN) o non esibisce la documentazione attestante l'effettuazione dell'esame organolettico o dell'esame chimico. Per tali comportamenti si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 3.000 euro.
  Gli obblighi che devono essere rispettati per l'utilizzo di alcune indicazioni facoltative che possono figurare sull'etichetta dell'olio di oliva e dell'olio di sansa riguardano: l'indicazione «prima spremitura a freddo»; l'indicazione «estratto a freddo»; le indicazioni delle caratteristiche organolettiche relative al gusto e/o all'odore; l'indicazione dell'acidità e dell'acidità massima; per alcuni tipologie di olio, può inoltre figurare l'indicazione della campagna di raccolta.
  L'articolo 6 disciplina il mancato rispetto dell'obbligo di raggruppare nel campo visivo principale degli imballaggi la «denominazione di vendita» e, quando obbligatoria, l’«origine», nonché dell'obbligo di riportare le medesime indicazioni integralmente e in un corpo di testo omogeneo, di cui all'articolo 4-ter del regolamento n. 29/2012. Per i trasgressori si introduce la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 a 9.500 euro.
  L'articolo 7 sanziona la violazione delle norme sulla tenuta dei registri previste dall'articolo 7-bis del regolamento (CEE) n. 2568/1991, prevedendo la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 1.000 a 6.000 euro per colui che, essendo obbligato, non istituisce il registro nell'ambito del SIAN, nonché la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 300 a 1.200 euro per chi non rispetta le modalità di tenuta telematica del predetto registro, stabilite nell'ambito del SIAN.
  L'articolo 8 sanziona le violazioni inerenti i recipienti di stoccaggio (comma 1) del prodotto che non riportano in maniera chiara e leggibile la categoria dell'olio, le indicazioni sulla designazione dell'origine e, se utilizzate, sulle indicazioni facoltative, ovvero siano privi di un codice identificativo, della indicazione della capacità totale e di un dispositivo di misurazione per la valutazione della quantità dell'olio contenuto. Al comma 2 viene sanzionato chi non identifica le partite di olio confezionate, ma non ancora etichettate, mediante un cartello recante il lotto, il numero di confezioni, la loro capacità, la categoria dell'olio, le indicazioni obbligatorie e facoltative. In tutti i predetti casi è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 a 3.000 euro.
  L'articolo 9 articola in modo diverso le sanzioni previste dagli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8, a seconda che si tratti di piccoli o grandi quantitativi. Le sanzioni sono dimezzate se le violazioni riguardano quantitativi di prodotto non superiori a 200 chilogrammi/litri di olio o a 1.000 chilogrammi di olive (comma 1, lettera a)). Le sanzioni sono raddoppiate qualora le violazioni riguardano quantitativi di prodotto superiori a 30.000 chilogrammi/litri di olio o a 150.000 chilogrammi di olive (comma 1, lettera b)). Il comma 2 chiarisce che, nei casi di prodotto preconfezionato, il quantitativo di olio a cui rapportare la sanzione è determinato dal quantitativo del lotto di produzione.
  L'articolo 10 disciplina l'autorità competente all'accertamento e all'irrogazione Pag. 191della sanzione a amministrativa e le modalità di pagamento. In particolare, la competenza all'irrogazione delle sanzioni viene affidata al Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Mipaaf (ICQRF). Restano ferme le competenze spettanti, ai sensi della normativa vigente, agli organi preposti accertamento delle violazioni (comma 1). Il pagamento delle somme dovute per le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto viene effettuato presso le Tesorerie dello Stato competenti per territorio su apposito capitolo del capo XVII dello stato di previsione dell'entrata del bilancio dello Stato (comma 2). Al fine di migliorare l'efficacia e l'efficienza delle attività di controllo e di vigilanza nel settore oleario, al comma 3 si prevede la riassegnazione della metà dei proventi conseguenti al pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie ad un apposito capitolo dello stato di previsione del Mipaaf, per essere assegnato al Dipartimento dell'ICQRF per le attività di controllo e di vigilanza nel settore oleario.
  L'articolo 11 dispone l'abrogazione espressa del D.lgs. 225/2005, recante «Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alla commercializzazione dell'olio d'oliva», che viene superato dal sistema sanzionatorio introdotto dal presente schema di decreto legislativo.
  L'articolo 12 contiene la consueta clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.35.

SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 16 dicembre 2015. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.35.

DL 191/2015: Disposizioni urgenti per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo ILVA.
C. 3481 Governo.
(Parere alle Commissioni VIII e X).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Marina BERLINGHIERI (PD), relatrice, fa presente che il decreto legge in esame si compone di soli due articoli.
  L'articolo 1 interviene sulla procedura di cui al decreto-legge n. 347/2003 (Misure urgenti per la ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza) relativa alla cessione dei beni aziendali delle imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi del decreto-legge n. 207/2012.
  Le disposizioni del decreto-legge n. 347/2003 si applicano alle imprese soggette alle disposizioni sul fallimento in stato di insolvenza che intendono avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria, ovvero del programma di cessione dei complessi aziendali, di cui all'articolo 27 del D.Lgs. n. 270/1999, purché abbiano, singolarmente o, come gruppo di imprese, da almeno un anno, entrambi i seguenti requisiti: lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiori a cinquecento da almeno un anno; debiti, inclusi quelli derivanti da garanzie rilasciate, per un ammontare complessivo non inferiore a trecento milioni di euro.
  L'articolo 2 dispone che per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 207/2012 (tra cui ILVA S.p.A.), è disposta con D.P.C.M. o con decreto ministeriale del Ministro dello sviluppo economico l'ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria e la nomina del commissario.Pag. 192
  A tale ultimo riguardo, ricorda che, a seguito dell'istanza presentata dal Commissario Straordinario dott. Piero Gnudi, con Decreto del Ministro dello sviluppo economico 21 gennaio 2015, la società ILVA S.p.A. è stata ammessa in via immediata alla procedura di amministrazione straordinaria di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 347, anche ritenuta la necessità di «assicurare la prosecuzione dell'attività in vista della cessione dei complessi aziendali». Con il medesimo decreto il Ministro dello Sviluppo Economico ha nominato Commissari Straordinari della procedura il dott. Piero Gnudi, il prof. Enrico Laghi e l'avv. Corrado Carrubba. In data 28 gennaio 2015 il Tribunale di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza di Ilva S.p.A., nominando il giudice delegato per la procedura e fissando l'adunanza dei creditori per l'esame dello stato passivo in data 29 giugno 2015. In data 19 febbraio 2015 il Ministro dello Sviluppo Economico ha altresì nominato il Comitato di Sorveglianza.
  In particolare, l'articolo 1 del decreto legge, al comma 1, novella in più punti l'articolo 4, comma 4-quater, del decreto-legge n. 347/2003, il quale demanda al commissario straordinario l'individuazione dell'affittuario o dell'acquirente, a trattativa privata.
  Le novelle sono finalizzate a:
   specificare che – tra le garanzie che debbono essere valutate dal Commissario ai fini della designazione dell'affittuario o dell'acquirente – la garanzia della rapidità e dell'efficienza dell'intervento debba concernere anche i profili di tutela ambientale (lettera a));
   ad introdurre la previsione che la perizia sul prezzo di mercato dei beni sia effettuata, con funzione di esperto indipendente, oltre che da primaria istituzione finanziaria, in alternativa, da una primaria istituzione di consulenza aziendale sempre designata dal MISE (lettera b)). La relazione illustrativa al provvedimento afferma che tale modifica si rende necessaria al fine di evitare l'eccessiva restrizione dei soggetti legittimati, atteso che le «istituzioni finanziarie» sono in larga parte da escludere in quanto coinvolte in rapporti e relazioni di natura istituzionale con ILVA;
   ad introdurre la previsione che le offerte sono corredate da un piano industriale e finanziario nel quale devono essere indicati gli investimenti, con le risorse finanziarie necessarie e le relative modalità di copertura, che si intendono effettuare per garantire le predette finalità nonché gli obiettivi strategici della produzione industriale degli stabilimenti del gruppo (lettera c)). Tale modifica viene qualificata dalla relazione illustrativa come un adeguamento sul piano tecnico della disposizione che regola i contenuti inderogabili delle offerte di acquisto.

  Il comma 2 fissa al 30 giugno 2016 il termine entro il quale i commissari del Gruppo ILVA in amministrazione straordinaria debbono espletare – nel rispetto dei principi di parità di trattamento, trasparenza e non discriminazione – le procedure per il trasferimento dei complessi aziendali individuati dal programma commissariale.
  I commissari devono assicurare la discontinuità, anche economica, della gestione da parte del o dei soggetti aggiudicatari. La relazione illustrativa afferma che la norma si rende necessaria al fine di sancire l'inderogabilità della tempestiva riallocazione sul mercato dei complessi aziendali di ILVA, ai fini della definizione di una sua prospettiva di stabilità industriale finanziaria e gestionale.
  Ricorda sul punto che il disegno di legge di stabilità 2016, già approvato dal Senato e attualmente in corso d'esame presso la Camera, interviene – attraverso l'introduzione di un nuovo comma 2-bis all'articolo 27 del citato D.Lgs. n. 270 – sui programmi di amministrazione straordinaria per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali, ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, disponendo, per dette imprese, che il programma di amministrazione straordinaria, sia esso di cessione dei complessi aziendali Pag. 193o di ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, possa avere una durata fino a 4 anni (in luogo degli attuali ordinari uno o due anni), decisa da un'autorizzazione del Ministro dello sviluppo economico. La norma, nella sostanza, consente un'estensione per tali imprese della durata dei programmi di amministrazione straordinaria.
  Il comma 3 dispone l'erogazione in favore dell'amministrazione straordinaria del Gruppo ILVA della somma di 300 milioni di euro. La somma viene indicata come indispensabile per fare fronte alle indilazionabili esigenze finanziarie del Gruppo. L'erogazione della somma opera nelle more del completamento delle procedure di trasferimento e ha il solo scopo di accelerare il processo di trasferimento e conseguire la discontinuità gestionale ed economica di cui al comma 2, garantendo contemporaneamente la prosecuzione dell'attività, in modo da contemperare le esigenze di tutela dell'ambiente, della salute e dell'occupazione. L'erogazione è disposta con decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. Il comma 3 dispone inoltre che l'aggiudicatario dei beni aziendali provvederà alla restituzione allo Stato dell'importo erogato, maggiorato degli interessi, entro 60 giorni dal decreto di cessazione dell'esercizio dell'impresa di cui all'articolo 72 del D.Lgs. 270/1999.
  Il comma 10 dell'articolo 1 dispone che le procedure di cui si tratta debbano svolgersi nel rispetto della normativa europea. Rilevano, a questo proposito le norme generali in tema di aiuti di Stato, anche in considerazione del fatto che il settore siderurgico presenta una specifica disciplina, e gli obblighi di notifica di tali aiuti alle istituzioni europee.
  Al riguardo, ricorda che gli Orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese non finanziarie in difficoltà (2014/C 249/01), adottati ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, lettera c), del TFUE, rilevano che gli aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione figurano tra i tipi di aiuti di Stato che presentano i maggiori effetti distorsivi, e pertanto le imprese possono essere ammesse a ricevere aiuti ai sensi dei presenti orientamenti solo una volta ogni dieci anni (principio dell'aiuto «una tantum»). L'aiuto che viene concesso sotto forma di sostegno alla liquidità, limitato sia nell'ammontare che nella durata, suscita – secondo gli Orientamenti della Commissione – molte meno preoccupazioni riguardo ai suoi potenziali effetti nocivi e viene quindi approvato a condizioni meno rigide. Per incoraggiare l'uso di forme meno distorsive di aiuto gli orientamenti introducono la nuova nozione di «sostegno temporaneo per la ristrutturazione», il quale, come gli aiuti per il salvataggio, può esso concesso solo sotto forma di sostegno alla liquidità con un importo e una durata limitati. Si deve trattare di un aiuto sotto forma di garanzie su prestiti o di prestiti. Il sostegno temporaneo per la ristrutturazione può essere concesso per un periodo non superiore a 18 mesi, dal quale va detratto qualsiasi periodo immediatamente precedente di aiuti per il salvataggio. Prima della fine di tale periodo lo Stato membro deve approvare un piano di ristrutturazione, o un piano di liquidazione, o i prestiti devono essere rimborsati o le garanzie revocate. La remunerazione per il sostegno temporaneo per la ristrutturazione deve essere fissata a un tasso non inferiore al tasso di riferimento indicato nella Comunicazione della Commissione relativa alla revisione del metodo di fissazione dei tassi di riferimento e di attualizzazione per le imprese deboli che presentano un livello di garanzia normale. Nel valutare gli aiuti di Stato a favore dei fornitori di SIEG-servizi di interesse economico generale in difficoltà, la Commissione terrà conto della natura specifica dei SIEG e, in particolare, della necessità di garantire la continuità della fornitura del servizio.
  Si osservi peraltro che i predetti Orientamenti, relativamente al settore siderurgico, richiamano il piano d'azione della Commissione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile Comunicazione della Commissione (COM(2013) 407), il quale stabilisce una serie di azioni intese a promuovere un settore siderurgico forte e Pag. 194competitivo ed una serie di ambiti in cui le imprese del settore siderurgico possono usufruire di aiuti di Stato in conformità delle norme in materia di aiuti di Stato. Tuttavia, gli Orientamenti rilevano che – nella presente situazione di notevole sovra capacità a livello europeo e mondiale – gli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese siderurgiche in difficoltà non sono giustificati e dunque escludono il settore siderurgico dal campo di applicazione degli Orientamenti stessi. La Commissione applica dunque gli orientamenti agli aiuti concessi a tutte le imprese in difficoltà, ad eccezione di quelle che operano nel settore del carbone o dell'acciaio, come definito nell'allegato IV della Comunicazione della Commissione, Orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale 2014-2020. Occorre ricordare, inoltre, che, la Commissione europea in via generale, ai fini della valutazione della riconducibilità ad aiuto di Stato di un intervento di finanziamento di un'attività produttiva, applica il principio del «normale investitore di mercato» (market economy investor principle). In estrema sintesi, si esclude che possa essere considerato un aiuto di Stato soltanto un finanziamento (ma il criterio ha anche portata più generale ed è applicabile anche ad altre forme di aiuto, quali, ad esempio la partecipazione al capitale di rischio) che sarebbe stato reso alle medesime condizioni e con le medesime aspettative di ritorno economico da parte di un operatore di mercato (decisione 2001/621/UE).
  Da ultimo, segnala che l'articolo 2 del regolamento UE n. 2015/1589, recante modalità di applicazione dell'articolo 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dispone che, salvo disposizione contraria dei regolamenti adottati a norma dell'articolo 109 TFUE o di altre disposizioni pertinenti dello stesso, qualsiasi progetto di concessione di un nuovo aiuto deve essere notificato tempestivamente alla Commissione dallo Stato membro interessato. La Commissione informa immediatamente lo Stato membro interessato della ricezione della notifica.
  Il comma 4 dispone che alla copertura finanziaria dell'onere derivante dal comma 3 – pari come detto a 300 milioni di euro – si provveda mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato, per un importo corrispondente, delle somme giacenti sulla contabilità speciale istituita per le operazioni di ristrutturazione del debito regionale (riacquisto da parte delle regioni dei titoli obbligazionari da esse emessi) dall'articolo 45, comma 2, del decreto-legge n. 66/2014 e non utilizzate per le predette finalità.
  Il comma 5 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze – ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni recate dal decreto-legge in esame ad apportare con propri decreti, da adottare entro il 14 dicembre 2015 (10 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame), le occorrenti variazioni di bilancio. Inoltre, ove necessario, previa richiesta dell'amministrazione competente, il MEF può disporre il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, la cui regolarizzazione avviene tempestivamente con l'emissione di ordini di pagamento sul pertinente capitolo di spesa.
  Il comma 6 dispone che l'organo commissariale del Gruppo ILVA in Amministrazione Straordinaria provveda al pagamento dei debiti prededucibili contratti nel corso dell'amministrazione straordinaria. Il commissario provvede a ciò anche in deroga al disposto dell'articolo 111-bis, ultimo comma, della legge fallimentare (R.D. n. 267/1942), ai sensi del quale se l'attivo è insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all'ordine assegnato dalla legge. La relazione illustrativa afferma che tale previsione si rende indispensabile per realizzare l'obiettivo di cui al comma 3 (accelerare la dismissione dei complessi aziendali di ILVA) ed è ritenuto in linea con i principi a presidio dell'amministrazione straordinaria del gruppo ILVA. In relazione alle condotte poste in essere – in esecuzione a quanto sopra disposto – dall'organo commissariale del gruppo ILVA e dai soggetti da esso funzionalmente delegati, trova applicazione, anche con riguardo alla responsabilità civile, l'esonero Pag. 195dalla responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati.
  Il comma 7 fissa al 31 dicembre 2016 il termine ultimo per l'attuazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (cd. piano ambientale), che è stato approvato con il D.P.C.M. 14 marzo 2014, comprensivo delle prescrizioni di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 3 febbraio 2014, n. 53. La disposizione in commento precisa che resta fermo il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla normativa europea, ovvero il termine dell'8 marzo 2016 per l'applicazione della decisione 2012/135/UE relativa alle conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (BAT, Best Available Techniques) per la produzione di ferro ed acciaio.
  Il comma proroga, inoltre, al 31 dicembre 2016 il termine – di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 207/2012 – fino al quale la società ILVA S.p.A. di Taranto è immessa nel possesso dei beni dell'impresa ed è in ogni caso autorizzata, nei limiti consentiti dall'autorizzazione integrata ambientale (rilasciata in data 26 ottobre 2012), alla prosecuzione dell'attività produttiva nello stabilimento e alla commercializzazione dei prodotti, ivi compresi quelli realizzati antecedentemente alla data di entrata in vigore del predetto decreto n. 207, ferma restando l'applicazione di tutte le disposizioni contenute nel medesimo decreto n. 207.
  Il comma 8 introduce una nuova procedura per la modifica o l'integrazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria o di altro titolo autorizzativo necessario per l'esercizio dello stabilimento siderurgico ILVA S.p.A. qualora si renda necessario in relazione alla realizzazione del piano industriale e finanziario proposto dall'aggiudicatario ai sensi del citato articolo 4, del decreto legge n. 347 del 2003. Si prevede, infatti, che le modifiche o le integrazioni al piano sono autorizzate, su specifica istanza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e del Ministro della salute, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, che tiene luogo, ove necessario, della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). Il comma 8 prevede, inoltre, che la relativa istruttoria e quella per l'attuazione delle modifiche del piano sono effettuate ai sensi dei commi 5 e 9 dell'articolo 1 del decreto-legge 61/2013, ove compatibili, che rispettivamente disciplinano le procedure per l'approvazione del piano e per lo svolgimento della conferenza di servizi nella realizzazione delle opere e dei lavori previsti dall'A.I.A. e dal piano medesimo.
  In conseguenza di quanto disposto dal comma 8, che consente di modificare il Piano con un D.P.C.M., il comma 9 sopprime il riferimento alle procedure di cui agli articoli 29-octies e 29-novies del D.Lgs. 152/2006 (norme in materia ambientale) per il rinnovo, il riesame o l'aggiornamento dell'autorizzazione integrata ambientale, che erano richiamate – nel comma 7 dell'articolo 1 del decreto-legge 61/2013 – per la modifica dei contenuti del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria.
  Ricorda che la valutazione di impatto ambientale è disciplinata nella parte seconda del d.lgs. 152/2006 (cd. Codice ambientale) in attuazione della normativa europea. Il Titolo I della parte seconda comprende i principi generali per lo svolgimento della valutazione di impatto ambientale e dell'autorizzazione integrata ambientale. In merito al rapporto tra i due procedimenti, l'articolo 10, comma 1, del d.lgs. 152/2006 dispone, tra l'altro, che il provvedimento di valutazione d'impatto ambientale fa luogo dell'autorizzazione integrata ambientale per i progetti per i quali la relativa valutazione spetta allo Stato e che ricadono nel campo di applicazione dell'allegato XII alla medesima parte seconda.
  Merita segnalare che l'articolo 2 della direttiva 2011/92/UE dispone, ai paragrafi 4 e 5, tra l'altro, che gli Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni della direttiva, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalità del progetto, a Pag. 196condizione che siano rispettati gli obiettivi della direttiva medesima e che, qualora un progetto sia adottato mediante un atto legislativo nazionale specifico, gli Stati membri hanno facoltà di esentare tale progetto dalle disposizioni in materia di consultazione pubblica di cui alla direttiva, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della stessa direttiva. Gli Stati membri informano la Commissione, ogni due anni a decorrere dal 16 maggio 2017 in merito ad ogni applicazione dell'esenzione.
  Il comma 10, infine, dispone che le disposizioni di cui all'articolo 1 si svolgono nel rispetto della normativa europea.
  L'articolo 2 dispone, infine, che il provvedimento in esame entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale (G.U. n. 283 del 4 dicembre 2015).
  Rileva infine che la Commissione europea ha emesso il 16 ottobre 2014 un parere motivato nei confronti dell'Italia nell'ambito della procedura di infrazione n. 2177/2013, avviata il 26 settembre 2013, contestando in relazione allo stabilimento ILVA di Taranto la violazione della direttiva 2008/1/CE (cd. Direttiva IPPC) sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento fino al 7 gennaio 2014, e della direttiva 2010/75/UE, relativa alle emissioni industriali, a decorrere da tale data. Nel parere motivato, la Commissione, pur riconoscendo i progressi conseguiti dalla data di costituzione in mora, contesta la violazione delle direttive sopra richiamate con riferimento a tre diversi ambiti: anzitutto, essa ritiene il gestore dello stabilimento ILVA di Taranto inadempiente in relazione a numerose prescrizioni previste nell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) rilasciata a ottobre 2012.
  Le inadempienze ancora riscontrate riguardano:
   la mancata copertura dei siti di stoccaggio dei minerali e dei materiali polverulenti;
   la mancata adozione di provvedimenti volti alla minimizzazione delle emissioni gassose dagli impianti di trattamento dei gas;
   la mancata adozione di misure per il controllo dell'emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita dalle torri di spegnimento;
   la mancata adozione di provvedimenti per la riduzione delle emissioni di polveri dalle acciaierie.

  In secondo luogo, non sarebbero state adottate misure in grado di garantire che non si verifichino fenomeni di inquinamento significativi. Dai dati ufficiali delle competenti autorità italiane, risulta che, sebbene nel 2013 la qualità dell'aria a Taranto sia migliorata rispetto al 2012, lo stabilimento ILVA continua a causare un inquinamento significativo non solo dell'aria ma anche del suolo e delle acque.
  Il terzo ambito di contestazioni si riferisce – oltre che al mancato aggiornamento dell'AIA nel 2013 – alla mancanza di misure relative all'arresto definitivo dell'impianto nonché di disposizioni per la protezione del suolo e delle acque sotterranee, per la verifica periodica del loro stato e per la prevenzione delle emissioni nel suolo e nelle acque sotterranee.

  Florian KRONBICHLER (SI-SEL) chiede chiarimenti in ordine alla valutazione di impatto ambientale, sulla quale non ricorda che la relatrice si sia soffermata nel corso dell'illustrazione del provvedimento.

  Marina BERLINGHIERI (PD), relatrice, precisa che a tale aspetto è dedicata parte della relazione, depositata agli atti della Commissione, che ha omesso di leggere per esigenze di brevità.

  Cosimo PETRAROLI (M5S) sottolinea come il provvedimento in esame si limiti a rinviare la soluzione dei problemi, senza affrontarli. Sulla base della tempistica delineata dal decreto-legge, entro il 30 giugno 2016 dovrebbe verificarsi il trasferimento della proprietà dell'Ilva a terzi ed entro la fine del 2016 la nuova proprietà Pag. 197dovrebbe adempiere alle prescrizioni dell'AIA. Si tratta di obiettivi a suo avviso irrealizzabili e ritiene che l'unica effettiva soluzione sia la chiusura definitiva dell'azienda che, lo ricorda ai colleghi, ha sinora provocato 350 decessi accertati per inquinamento e determinato una media di 3 morti l'anno per incidenti sul lavoro. Occorre prendere atto della drammatica situazione che investe anche l'area circostante l'azienda, ivi compresi i diversi ettari destinati a parchi minerari, niente affatto bonificati. Ribadisce quindi l'opportunità di interrompere quanto prima la produzione, almeno per quanto riguarda l'area a caldo.
  Il problema che il Governo dovrebbe affrontare non è dunque quello della vendita dell'Ilva ma quello di risollevare l'intera area jonica e di provvedere alle circa 20 mila famiglie attualmente occupate dall'azienda e dal suo indotto. A tal fine occorrerebbe estendere la zona franca doganale, attualmente riconosciuta all'area portuale di Taranto, così da favorire sviluppo e investimenti, ma non prima di aver chiuso l'Ilva, in presenza della quale l'area di Taranto non potrà mai essere effettivamente attrattiva.

  Michele BORDO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.50.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.50 alle 14.55.