CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 9 giugno 2015
459.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 240

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 9 giugno 2015. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 12.40.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Moldova, dall'altra, fatto a Bruxelles il 27 giugno 2014.
C. 3027 Governo.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Pag. 241

  Marina BERLINGHIERI (PD), relatrice, ricorda che la strategia del cosiddetto Partenariato orientale (PO) costituisce il versante est della Politica europea di vicinato (PEV): il Partenariato orientale è stato formalmente lanciato nel maggio 2009 al vertice europeo di Praga, ed è inteso a stimolare processi di avvicinamento all'Europa da parte dell'Ucraina, della Bielorussia, della Moldova, dell'Armenia, della Georgia dell'Azerbaijan. 
  Strumento essenziale del Partenariato orientale sono gli Accordi di associazione – che comprendono la creazione di aree di libero scambio ampie ed approfondite tra ciascuno di questi paesi e l'Unione europea – nonché i negoziati per la facilitazione nel rilascio dei visti (nella prospettiva di una loro eventuale liberalizzazione), e una cooperazione energetica strutturata, allo scopo tra l'altro di fornire all'Unione europea più elevate garanzie nella regolarità dei flussi di approvvigionamento energetico.
  Per quanto riguarda specificamente le relazioni tra l'Unione europea e la Moldova, rispetto all'Accordo di partenariato e cooperazione in vigore dal 1998, queste hanno conosciuto un ampliamento e un arricchimento, così da indurre le Parti nel 2010 a iniziare i negoziati per un nuovo Accordo, da stipulare appunto alla luce della nuova strategia europea del Partenariato orientale. La novità principale del nuovo Accordo, oltre alle forme più strette di cooperazione previste e all'ampliamento della gamma di settori della cooperazione medesima, sta nella previsione della creazione di un'area di libero scambio ampia e approfondita. Nel suo complesso l'accordo va inteso alla stregua di una vera e propria agenda per le riforme, volta a stimolare l'adeguamento della Moldova agli standard normativi europei in tutti i campi. Come evidenziato dalla relazione introduttiva al provvedimento, va tenuto presente che nella terminologia europea la definizione di «area di libero scambio ampia e approfondita» allude rispettivamente all'inclusione nell'Accordo delle politiche nazionali in tema di appalti, concorrenza, proprietà intellettuale e sviluppo sostenibile; e di previsioni specifiche volte a incidere sulla modernizzazione dell'economia della Moldova.
  Dal punto di vista più strettamente commerciale l'Accordo prevede norme per l'eliminazione dei dazi su importazioni ed esportazioni da parte dell'Unione europea – fatte salve alcune categorie del settore agricolo e zootecnico considerate sensibili dall'Unione europea –, mentre da parte moldova è contemplata la riduzione dei dazi all'importazione sulla maggior parte dei prodotti, mentre per quelli maggiormente sensibili – anche qui prevalentemente di carattere agricolo e del settore dell'abbigliamento – è prevista una gradualità da tre a dieci anni. Altri prodotti zootecnici e dell'agroalimentare non vedranno alcuna liberalizzazione dei relativi dazi, ma l'utilizzazione di regimi di quote tariffarie. Tali liberalizzazioni commerciali sono naturalmente facilitate dalla già consolidata appartenenza della Moldova all'Organizzazione mondiale del commercio, sin dal 2001.
  Nel suo complesso l'Accordo si articola attorno a cinque fulcri fondamentali: la condivisione di valori e principi – quali la democrazia, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, lo Stato di diritto, lo sviluppo sostenibile e l'economia di mercato; una cooperazione più forte nella politica estera e di sicurezza, con particolare riguardo alla stabilità della regione – al proposito l'Accordo sancisce l'impegno per UE e Moldova a cercare una soluzione praticabile alla questione della Transnistria, regione secessionista moldova sotto la protezione di fatto della Russia, non riconosciuta dal governo di Chisinau né tantomeno dalle Nazioni Unite; creazione di un'area di libero scambio ampia e approfondita; spazio comune di giustizia, libertà e sicurezza – con particolare riguardo ai profili migratori, alla lotta al riciclaggio, ai traffici illegali di droga e al crimine organizzato; cooperazione in 28 settori chiave.
  Con riferimento al contenuto, rileva che il testo dell'Accordo si compone di un preambolo, 465 articoli organizzati in 7 Titoli, 35 Allegati relativi a questioni tecniche Pag. 242e ad aspetti normativi della UE soggetti a progressivo adeguamento da parte moldova, e 4 protocolli riguardanti: la definizione della nozione di «prodotti originari» e i metodi di cooperazione amministrativa; l'assistenza amministrativa reciproca nel settore doganale; la partecipazione della Moldova ai programmi dell'Unione europea.
  Al preambolo, che contiene le premesse sugli aspetti salienti delle relazioni bilaterali e dell'approccio generale dell'Accordo, fa seguito l'articolo 1, che istituisce un'associazione tra l'Unione ed i suoi Stati membri e la Moldova, e ne enumera quindi le finalità.
  Il Titolo I (Princìpi generali), composto dal solo articolo 2, richiama, quali elementi basilari delle politiche interne ed esterne delle Parti, nonché dell'Accordo, il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani quali proclamati nella Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo del 1948, nella Convenzione europea (CEDU) del 1950, nell'Atto finale di Helsinki del 1975 e nella Carta di Parigi del 1990. Anche la lotta alla proliferazione delle armi di distruzione di massa costituisce elemento essenziale dell'Accordo. L'impegno delle Parti si estende a favorire i principi dell'economia di mercato, lo sviluppo sostenibile e un effettivo multilateralismo sul piano delle relazioni internazionali. Infine le Parti si impegnano a promuovere la cooperazione con la finalità di contrastare la corruzione, la criminalità organizzata anche transnazionale e il terrorismo, nel quadro delle attività essenziali per contribuire alla pace e alla stabilità regionale.
  Il Titolo II (Dialogo politico e riforma, cooperazione in materia di politica estera e di sicurezza) è costituito dagli articoli 3-11. Le disposizioni prevedono l'approfondimento del dialogo politico per facilitare una progressiva convergenza nei campi della sicurezza e della politica estera.
  Il Titolo III (Libertà, sicurezza e giustizia) comprende gli articoli 12-20. Le disposizioni attribuiscono particolare importanza, nella cooperazione in materia di giustizia, libertà e sicurezza, al consolidamento dello Stato di diritto ed al rafforzamento delle istituzioni a tutti i livelli, con particolare riguardo all'indipendenza della magistratura e alla possibilità di effettivo ricorso alla giustizia. Le Parti ribadiscono inoltre (articolo 14) l'importanza di una congiunta gestione dei flussi migratori dai rispettivi territori, in tutti i loro aspetti, ivi inclusi la lotta contro il traffico illegale di esseri umani. In tale quadro le Parti (articolo 15) assicureranno la piena attuazione dell'Accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare tra la Comunità europea e la Moldova in vigore dal 1o gennaio 2008 e dell'Accordo di facilitazione nel rilascio dei visti tra la CE e la Moldova nella versione da ultimo modificata del 27 giugno 2012. A condizione di una mobilità sicura e ben gestita le Parti stabiliscono l'obiettivo comune, a tempo debito, di una liberalizzazione dei visti.
  Il Titolo IV, rubricato Cooperazione economica e in altri settori, comprende gli articoli da 21 a 142, e contiene gli impegni delle Parti in 28 settori chiave, corrispondenti ad altrettanti Capi in cui il Titolo IV si articola:
  Capo 1: Riforma della pubblica amministrazione.
  Capo 2: Dialogo economico – è qui contenuto il fondamentale articolo 24, con il quale la Moldova si impegna ad instaurare un'economia di mercato funzionante e una governance macroeconomica e fiscale appropriata, che consenta la stabilità dei prezzi, l'indipendenza della Banca centrale e l'equilibrio della finanza pubblica e dei conti con l'estero.
  Capo 3: Diritto societario, contabilità e revisione contabile e governance societaria.
  Capo 4: Occupazione, politica sociale e pari opportunità.
  Capo 5: Protezione dei consumatori.
  Capo 6: Statistiche.
  Capo 7: Gestione delle finanze pubbliche: politiche di bilancio, controllo interno, controllo finanziario e revisione contabile esterna – è qui presente il principio della necessità dello sviluppo di un moderno sistema di gestione delle finanze Pag. 243pubbliche nella Repubblica di Moldova, compatibile con i fondamentali principi vigenti a livello internazionale e in particolare nell'Unione europea, e ispirati alla trasparenza, responsabilità, economicità, efficienza ed efficacia.
  Capo 8: Fiscalità – da notare soprattutto l'articolo 53, in base al quale le Parti riconoscono i principi della buona governance in materia fiscale, soprattutto con il dare valore alla trasparenza e allo scambio di informazioni, impegnandosi altresì ad agevolare a livello internazionale la riscossione del gettito fiscale legittimo.
  Capo 9: Servizi finanziari.
  Capo 10: Politica industriale e delle imprese.
  Capo 11: Prodotti minerari e materie prime.
  Capo 12: Agricoltura e sviluppo rurale.
  Capo 13: Politica della pesca e marittima.
  Capo 14: Cooperazione nel settore dell'energia.
  Capo 15: Trasporti.
  Capo 16: Ambiente.
  Capo 17: Iniziative in materia di clima.
  Capo 18: Società dell'informazione.
  Capo 19: Turismo.
  Capo 20: Sviluppo regionale, cooperazione transfrontaliera e regionale.
  Capo 21: Sanità pubblica.
  Capo 22: Protezione civile.
  Capo 23: Cooperazione in materia di istruzione, formazione, multilinguismo, gioventù e sport.
  Capo 24: Cooperazione in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione.
  Capo 25: Cooperazione in materia di cultura, politica audiovisiva e media.
  Capo 26: Cooperazione con la società civile.
  Capo 27: Cooperazione in materia di tutela e promozione dei diritti del bambino.
  Capo 28: Partecipazione alle agenzie e ai programmi dell'Unione.
  Il Titolo V, rubricato Scambi e questioni commerciali, comprende gli articoli da 143 a 412, che delineano i confini dell'area di libero scambio ampia e approfondita, e si articola in 15 Capi, come segue:
  Capo 1: Trattamento nazionale e accesso al mercato delle merci – l'articolo 143 prevede l'impegno delle Parti a istituire, in un periodo transitorio di non oltre dieci anni dall'entrata in vigore dell'Accordo, una zona di libero scambio secondo le disposizioni dell'Accordo in esame e dell'articolo XXIV dell'Accordo GATT del 1994 (c.d. Uruguay Round). L'articolo 147 prevede che ciascuna Parte dell'Accordo riduce o sopprime i dazi doganali sulle merci originarie dell'altra Parte conformemente all'Allegato XV all'Accordo in esame. Lo stesso articolo prevede che le Parti possano consultarsi per un'eventuale accelerazione del processo di riduzione dei dazi commerciali.
  Capo 2: Misure di difesa commerciale – l'articolo 158 prevede che le Parti si attengano ai diritti e agli obblighi sanciti, in materia di misure di salvaguardia commerciale, dall'articolo XIX del GATT 1994 e dall'allegato 1o dell'Accordo istitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio.
  Capo 3: Ostacoli tecnici al commercio, normazione, metrologia, accreditamento e valutazione della conformità.
  Capo 4: Misure sanitarie e fitosanitarie.
  Capo 5: Dogane e facilitazione degli scambi.
  Capo 6: Stabilimento, scambi di servizi e commercio elettronico – in materia di servizi finanziari, l'articolo 261 stabilisce che fatto salvo l'obbligo di non applicare provvedimenti in senso discriminatorio, nessuna disposizione del Capo 6 può impedire alle Parti di adottare provvedimenti necessari per tutelare: la sicurezza, la morale o l'ordine pubblico; la vita o la salute di persone, animali e vegetali; la conservazione di risorse naturali esauribili; la tutela del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale. Il successivo articolo 262 contiene una clausola di salvaguardia degli accordi bilaterali delle Parti volti a evitare la doppia imposizione, alle cui condizioni non si estenderà il trattamento della nazione più favorita Pag. 244accordato in campo fiscale dalle disposizioni del Capo 6 in commento.
  Capo 7: Pagamenti correnti e movimenti di capitali.
  Capo 8: Appalti pubblici.
  Capo 9: Diritti di proprietà intellettuale.
  Capo 10: Concorrenza.
  Capo 11: Energia nell'ambito degli scambi.
  Capo 12: Trasparenza.
  Capo 13: Commercio e sviluppo sostenibile.
  Capo 14: Risoluzione delle controversie.
  Capo 15: Disposizioni generali in materia di ravvicinamento a norma del Titolo V.
  Il Titolo VI – Assistenza finanziaria e disposizioni antifrode e in materia di controllo (articoli 412-432) tratta in sostanza (Capo 1) delle modalità con cui verrà erogata alla Moldova l'assistenza finanziaria da parte della UE, attraverso gli appropriati meccanismi e strumenti di finanziamento. La Repubblica di Moldova potrà altresì beneficiare dei prestiti erogati dalla Banca europea per gli investimenti, dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e da altre istituzioni finanziarie internazionali (articolo 413). Il Capo 2 è dedicato alle disposizioni contro le frodi e in materia di controllo: in particolare l'articolo 422 prevede che le Parti adottino efficaci misure per la prevenzione e la lotta alle frodi, alla corruzione e ad ogni altra attività illegale, anche mediante la reciproca assistenza amministrativa e giudiziaria nei settori contemplati dall'Accordo in esame.
  Il Titolo VII – Disposizioni istituzionali, generali e finali comprende gli articoli 433-465, e contiene le misure finalizzate ad inquadrare il nuovo corso delle relazioni tra la UE e la Repubblica di Moldova.
  Il Capo 1 delinea il quadro istituzionale e prevede lo svolgimento (articolo 433) di vertici a diversi livelli, destinati a fornire indicazioni generali per l'attuazione dell'Accordo, mentre i contatti a livello ministeriale si svolgono nell'ambito del Consiglio di associazione, istituito ai sensi dell'articolo 434, incaricato di svolgere le funzioni di vigilanza e controllo sull'applicazione dell'Accordo. Con l'articolo 437 viene istituito un Comitato di associazione con funzioni di assistenza al Consiglio, assistito da sottocomitati (artt. 438-39). L'articolo 440 prevede l'istituzione di un Comitato parlamentare di associazione volto a consentire scambi di vedute fra membri del Parlamento europeo e del Parlamento della Moldova.
  Il Capo 2, infine, detta le disposizioni generali e finali.
  Dell'Accordo fanno parte integrante, ai sensi dell'articolo 459, i 35 Allegati e i 4 Protocolli.
  Quanto al disegno di legge di autorizzazione alla ratifica dell'Accordo di associazione, si compone di quattro articoli: i primi due contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo e l'ordine di esecuzione del medesimo.
  L'articolo 3 reca la copertura degli oneri finanziari, valutati in 6.360 euro annui a decorrere dal 2016.
  L'articolo 4, infine, dispone l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica per il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
  Tenuto conto dei contenuti del provvedimento, formula sin d'ora una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dalla relatrice.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996.
C. 1589-B Governo, approvato dal Senato.
(Parere alle Commissioni II e III).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Chiara SCUVERA (PD), relatrice, rileva che il disegno di legge in esame, sul quale Pag. 245la XIV Commissione deve rendere un parere alle Commissioni riunite II (Giustizia) e III (Affari esteri), è stato approvato con modifiche dal Senato il 15 marzo 2015, e detta disposizioni di ratifica ed esecuzione della Convenzione de L'Aja del 19 ottobre 1996 sul riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori.
  Segnala, preliminarmente, che il testo approvato in prima lettura dalla Camera il 25 giugno 2014 prevedeva anche una serie di norme di adeguamento dell'ordinamento interno che, tuttavia, sono state oggetto di stralcio da parte del Senato.
  Il provvedimento autorizza pertanto la sola ratifica della Convenzione, alla quale sarà necessario dare esecuzione in un secondo momento con una disciplina di adeguamento interno.
  La necessità di un approfondimento della disciplina attuativa confligge con quella di una rapida approvazione del provvedimento, derivante dal ritardo del nostro Paese nell'adempiere a tale impegno internazionale. Si ricorda, sul punto, che con due lettere del 23 maggio 2012 e 14 giugno 2013, la Commissione europea ha già chiesto all'Italia di far conoscere le motivazioni del grave ritardo nella ratifica della Convenzione, prospettando la possibile apertura di una procedura d'infrazione. Con successiva missiva del 18 luglio 2014, è stato nuovamente chiesto di conoscere il calendario preciso di adozione del disegno di legge di ratifica in esame.
  Ricorda inoltre che la Convenzione de l'Aja – che interviene in un ambito già trattato dalla precedente Convenzione dell'Aja del 1961 di cui intende superare alcune difficoltà applicative – è stata firmata dall'Italia il 1o aprile 2003 e consta di 63 articoli.
  Gli articoli 1-4 (capitolo I) ne delineano il campo di azione. In particolare, l'articolo 1 della Convenzione ne individua le finalità. L'articolo 2 dispone l'applicazione della Convenzione ai minori dal momento della nascita fino al compimento dei 18 anni. Ai sensi dell'articolo 3 rientrano nel campo di applicazione della Convenzione l'attribuzione, l'esercizio e la revoca – totale o parziale – della responsabilità genitoriale; il diritto di affidamento; la tutela, la curatela e gli istituti analoghi; la designazione e le funzioni di qualsiasi persona od organismo incaricato di occuparsi del minore o dei suoi beni; il collocamento del minore in famiglia di accoglienza o in istituto anche mediante kafala o istituto analogo; la supervisione da parte delle autorità pubbliche dell'assistenza fornita al minore da qualsiasi persona se ne faccia carico; l'amministrazione, conservazione o disposizione dei beni del minore (articolo 4).
  Gli articoli 5-14 (capitolo II) della Convenzione riguardano la competenza. In particolare, l'articolo 5 individua nelle autorità giudiziarie ed amministrative dello Stato contraente di residenza abituale del minore quelle competenti all'adozione di misure tendenti alla protezione della sua persona e dei suoi beni.
  Con gli articoli 15-22 (capitolo III) si dettano disposizioni in materia di legge applicabile. Gli articoli 23-28 (capitolo IV) si incentrano su riconoscimento ed esecuzione. In particolare con l'articolo 23 è stabilito che le misure adottate dalle autorità di uno Stato contraente saranno riconosciute di pieno diritto negli altri Stati contraenti. La cooperazione è considerata dagli articoli 29-39 (capitolo V). L'articolo 29 prevede che ogni Stato contraente designi un'autorità centrale incaricata di adempiere gli obblighi derivanti dalla Convenzione. Gli articoli 40-56 (capitolo VI) recano le disposizioni generali. Gli articoli 57-63 (capitolo VII) contengono le clausole finali.
  Il provvedimento in esame, di ratifica della Convenzione dell'Aja – che in particolare intende dare veste giuridica alla cd. kafala (istituto affine all'adozione di tradizione islamica) – è stato profondamente modificato nel corso dell'esame al Senato, essendo state – come detto – stralciate tutte le norme di adeguamento interno ai principi convenzionali optando, così, per una semplice ratifica della Convenzione. Pag. 246
  Gli articoli stralciati sono gli artt. da 4 a 12, più l'articolo 14, recante una norma transitoria. Le disposizioni stralciate sono ora confluite in un nuovo disegno di legge (S. 1552-bis). Si segnala che, nella seduta del 10 marzo 2015, il Governo ha accolto un ordine del giorno delle relatrici Filippin e Fattorini (G3.700) che lo impegna – nell'ottica delle previsioni della Convenzione – a valutare la compatibilità dei provvedimenti di assistenza legale tramite kafala o istituto analogo ai principi costituzionali e del nostro ordinamento.
  Nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame biologico di discendenza che derivi da un rapporto sessuale lecito. La legge islamica, inoltre, vieta l'adozione. Per evitare che figli senza genitori restino del tutto sprovvisti di tutela, il diritto islamico prevede la kafala, un istituto tramite il quale è garantita la protezione ai minori orfani, abbandonati o, comunque, privi di un ambiente familiare idoneo alla loro crescita: un adulto musulmano (o una coppia di coniugi) ottiene la custodia del minorenne in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell'ambito della famiglia estesa.
  Il rapporto che si instaura tra affidatario (kafil) e minore (makfoul) non crea vincoli ulteriori rispetto all'obbligo del primo di provvedere al mantenimento e all'educazione del secondo, fino a quando questi raggiunga la maggiore età. Tra i due non si determina alcun rapporto di filiazione e, quindi, non si producono effetti legittimanti: il bambino non assume il cognome di chi ne ha ottenuto la custodia; non acquista diritti né aspettative successorie nei suoi confronti; non instaura legami giuridici con la famiglia di accoglienza, né interrompe i rapporti con il proprio nucleo familiare di origine.
  La kafala è in sostanza un affidamento che si protrae fino alla maggiore età, e non trova ad oggi espresse corrispondenze nell'ordinamento giuridico italiano.
  Per questo la Corte di Cassazione, anche di recente con la sentenza della Sez. I, n. 19450 del 23 settembre 2011, ha affermato che «Deve essere dichiarata inammissibile la domanda, proposta ai sensi degli artt. 66 e 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riconoscimento in Italia del provvedimento di affidamento in «kafala» di un minore in stato d'abbandono, ad una coppia di coniugi italiana, emessa dal Tribunale di prima istanza di Casablanca (in Marocco), atteso che l'inserimento di un minore straniero, in stato d'abbandono, in una famiglia italiana, può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina dell'adozione internazionale regolata dalle procedure richiamate dagli artt. 29 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, di ratifica ed attuazione della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993), con la conseguenza che, in tale ipotesi, non possono essere applicate le norme generali di diritto internazionale privato relative al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ma devono essere applicate le disposizioni speciali in materia di adozione ai sensi dell'articolo 41, secondo comma, della legge n. 218 del 1995».
  La giurisprudenza non è peraltro univoca, in quanto se da una parte si registrano pronunce analoghe a quella del 2011, che negano il riconoscimento alla kafala nel nostro ordinamento, come ha fatto il Tribunale di Torino (Sez. IX), con la pronuncia del 4 maggio 2007, dall'altro la stessa Corte di Cassazione, nel 2008 era andata in contrario avviso (Sezione I, sentenza n. 7472 del 20 marzo 2008) riconoscendo nella kafala di diritto islamico, come disciplinata dalla legislazione del Marocco, il presupposto per il ricongiungimento familiare, ai sensi dell'articolo 29, comma 2, T.U. immigrazione, poiché l'istituto è equiparabile all'affidamento.
  Le motivazioni sottese allo stralcio da parte del Senato derivano, da quanto si evince dai lavori parlamentari (v. intervento della relatrice Filippin, Assemblea 5 marzo 2015) dalla «ambiguità del testo normativo approdato all'esame del Senato. Infatti, da un lato, si tenta di introdurre una normativa differenziata rispetto agli istituti interni dell'affidamento e dell'adozione nell'apparente rispetto delle caratteristiche Pag. 247dell'istituto islamico e non si sceglie la via semplice di prevedere l'affidamento internazionale per i minorenni non in stato di abbandono o l'adozione internazionale per quelli in stato di abbandono. Ma, dall'altro canto – e di qui l'ambiguità del testo – non si articola la disciplina in modo tal da renderla effettivamente conforme alle caratteristiche della kafala attribuendo, ad esempio, ai kefalin, cioè la famiglia o la persona singola che si prende cura del minore nel caso di stato di abbandono, una responsabilità genitoriale piena e propria, ad esempio dei tutori, e, quindi, comprensiva anche del potere di rappresentanza che invece resta in capo all'autorità consolare del Paese di origine del minorenne. Serve, dunque, un ulteriore esame di questa parte e la riformulazione del disegno di legge al fine di evitare che queste innovazioni, che vi sono previste e che hanno lo scopo di assicurare al minore la tutela del suo superiore interesse quando vengano a trovarsi in situazioni familiari e personali di particolare disagio e sofferenza, possano determinare disarmonie con la normativa interna italiana e, in particolare, con i principi vigenti in materia di adozione e affidamento aprendo di fatto la strada ad un sistema che aggira la nostra normativa, quella che era stata introdotta grazie alla Convenzione dell'Aja del 1993 sulle adozioni internazionali».
  Il disegno di legge C. 1589-B all'esame delle Commissioni riunite Esteri e Giustizia si compone ora soltanto 5 articoli (15 nel testo trasmesso al Senato).
  Dallo stralcio della disciplina di attuazione deriva anzitutto l'adeguamento del titolo del disegno di legge che ora non fa più riferimento alle norme di adeguamento interno.
  In relazione al residuo contenuto, l'articolo 1 del provvedimento riguarda l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione mentre l'articolo 2 concerne l'ordine di esecuzione della stessa.
  L'articolo 3 – dedicato alla definizioni – è stato modificato dal Senato, individuando l'Autorità centrale italiana nella Presidenza del Consiglio dei ministri anziché nel Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile. L'articolo 4 riguarda la clausola di invarianza finanziaria e l'articolo 5 concerne l'entrata in vigore.
  In considerazione dei contenuti del provvedimento, che adotta la normativa di attuazione il più adeguata possibile, formula una proposta di parere favorevole.

  Roberto OCCHIUTO (FI-PdL) condivide il parere favorevole formulato dalla relatrice, e ritiene inoltre opportuno lo stralcio delle norme di adeguamento interno ai principi della Convenzione effettuato dal Senato. Sono state in tal modo espunte le disposizioni volte a regolare la cosiddetta kafala, ma nello stesso tempo, mediante l'approvazione di un apposito ordine del giorno, il Parlamento si è impegnato ad affrontare la questione con un apposito provvedimento.
  Preannuncia quindi il voto favorevole del suo gruppo sul provvedimento.

  Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dalla relatrice.

DL 65/2015: Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR.
C. 3134 Governo.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Gessica ROSTELLATO (PD), relatrice, rileva che il decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 – del quale la XIV Commissione avvia oggi l'esame ai fini del parere da rendere alla Commissione Lavoro – si compone di 8 articoli.
  L'articolo 1 determina la misura della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo pari o inferiore a sei volte il trattamento minimo INPS, relativamente agli anni 2012 e 2013 e con Pag. 248effetti anche sugli anni successivi, al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, nella parte in cui prevede la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS.
  Con tale pronuncia la Corte ha ritenuto che «sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento» pensionistico siano stati «valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività». La Corte fa presente che «non è stato ascoltato il monito indirizzato al legislatore con la sentenza n. 316 del 2010», con cui aveva segnalato che «la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni». Richiamata l'esigenza che il legislatore operi un corretto bilanciamento dei valori costituzionali ogniqualvolta si profili l'esigenza di un risparmio di spesa, la Corte osserva, poi, che la disposizione censurata «si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi» (aggiungendo «che in sede di conversione non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate»). «L'interesse dei pensionati», prosegue la Corte, «in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, Cost.).
  L'articolo 2 incrementa di 1.020 milioni il Fondo sociale per occupazione e formazione al fine di finanziare gli ammortizzatori sociali in deroga per il 2015 (comma 1).
  Il comma 2 dispone che alla copertura degli oneri derivanti dal suddetto incremento si provveda mediante corrispondente riduzione del Fondo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della legge delega 183/2014 (cd Jobs act) di riforma del mercato del lavoro, di cui all'articolo 1, comma 107 della L. 190/2014 (Stabilità 2015).
  L'articolo 3 incrementa di 5 milioni di euro, per il 2015, le risorse già destinate per il medesimo anno dall'articolo 1, comma 109, della L. 190/2014 (Stabilità 2015) al riconoscimento della cassa integrazione in deroga per il settore della pesca. Il suddetto incremento attinge alle risorse di cui al Fondo sociale per occupazione e formazione, come rifinanziato dal presente decreto legge.
  L'articolo 4 autorizza la spesa di 70 milioni di euro per il 2015 al fine di finanziare i contratti di solidarietà stipulati dalle imprese con l'obiettivo di evitare o ridurre le eccedenze di personale, a carico del Fondo sociale per occupazione e formazione come rifinanziato dall'articolo 2, comma 65, della L. 92/2012 e dal precedente articolo 2 del provvedimento in esame.Pag. 249
  Secondo la relazione illustrativa, la misura serve a garantire la continuità nel 2015 per i richiamati contratti, «in attesa della messa a regime della misura, ai sensi della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183». Si ricorda, al riguardo, che la L. 183/2014 all'articolo 1, comma 2, lettera a), n. 8, tra i criteri di delega per la riforma degli ammortizzatori sociali in costanza di lavoro, ha disposto anche la revisione dell'ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riguardo a quelli cosiddetti espansivi ed alla messa a regime delle norme transitorie (in genere, oggetto di successive proroghe), le quali estendono alle imprese non rientranti nell'ambito di applicazione della disciplina dei contratti di solidarietà difensivi la possibilità di stipulare tali contratti, con il riconoscimento di determinate agevolazioni (in favore delle stesse imprese e dei lavoratori interessati. Allo stesso tempo, ha previsto l'accesso alla cassa integrazione solo in caso di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell'orario di lavoro, eventualmente destinando ai contratti di solidarietà una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione.
  L'articolo 5 modifica la disciplina del coefficiente di rivalutazione del montante contributivo utilizzato per il calcolo del valore della pensione con il sistema contributivo (di cui all'articolo 1, comma 9, della L. 335/1995).
  In particolare, il comma 1 prevede che in ogni caso il richiamato coefficiente non possa essere inferiore ad un valore pari a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive. Tale disposizione trae origine dal fatto che nel 2014 il tasso di capitalizzazione ha avuto per la prima volta segno negativo (sia in valore assoluto sia al netto dell'inflazione), determinando una rivalutazione negativa riferita solo alla quota di lavoratori già nello schema contributivo a capitalizzazione simulata (che riguarda tutti i contributi versati dopo il 1996 ad eccezione dei lavoratori che all'epoca avevano più di 18 anni di versamenti), con ciò riducendo le aspettative pensionistiche dei lavoratori attivi.
  La disposizione introduce, inoltre, un meccanismo di recupero degli effetti negativi, da bilanciare però sulle rivalutazioni successive.
  Il successivo comma 2 dispone la copertura degli oneri finanziari.
  L'articolo 6 detta norme volte a uniformare le procedure di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall'INPS.
  Il comma 1 dispone che, a decorrere dal 1o giugno 2015, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento pagate agli invalidi civili, e le rendite vitalizie dell'INAIL, dovranno essere corrisposti il 1o giorno di ogni mese (o il giorno successivo se festivo o non bancabile), con un unico mandato di pagamento (ove non sussistano cause ostative); il pagamento è invece differito al secondo giorno bancabile per il solo mese di gennaio 2016 e per ciascun mese a decorrere dal 2017.
  Il comma 2 detta disposizioni in merito alla copertura degli oneri derivanti dall'uniformazione dei termini di pagamento.
  Infine, il comma 3 dispone che l'INPS riversi strutturalmente all'entrata del bilancio dello Stato, a decorrere da giugno 2015, l'importo di spesa corrispondente alle riduzioni di spesa ottenute.
  L'articolo 6 unifica i termini di pagamento di tutte le prestazioni erogate dall'INPS, attualmente previsti in tre differenti date (1o del mese per tutte le prestazioni previdenziali erogate dall'INPS già prima del 2012; 10 del mese per quelle erogate dall'ex ENPALS e 16 del mese per quelle erogate dall'ex INPDAP).
  L'articolo 7 modifica la disciplina (introdotta dalla legge di stabilità 2015) relativa alle corresponsione nella busta paga dei lavoratori delle quote del trattamento di fine rapporto maturando, in via sperimentale e per un periodo limitato.
  In particolare, la suddetta disciplina viene modificata nella parte in cui istituisce un finanziamento bancario, assistito da speciali garanzie (tra cui quella di ultima istanza dello Stato), cui possono accedere i Pag. 250datori di lavoro che non intendono corrispondere immediatamente con risorse proprie la quota maturanda del TFR.
  Il comma 1, sostituisce dunque la previsione secondo cui tale finanziamento è assistito dal privilegio speciale di cui all'articolo 46 del Testo Unico Bancario – T.U.B. (D.Lgs. n. 385/1993) con l'assistenza del privilegio generale, di cui all'articolo 2751-bis, numero 1, del codice civile, previsto tra l'altro anche per garantire la corresponsione del TFR.
  La richiamata disposizione del codice civile prevede che siano assistiti da privilegio generale sui beni mobili, tra gli altri, anche i crediti riguardanti le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile.
  Le norme in commento precisano inoltre che sia il finanziamento, sia le formalità ad esso connesse nell'intero svolgimento del rapporto sono esenti dall'imposta di registro, dall'imposta di bollo e da ogni altra imposta indiretta, nonché da ogni altro tributo o diritto.
  Di conseguenza, con le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo in esame si apportano le opportune modifiche di coordinamento al successivo comma 32 della richiamata L. 190/2014, che ha istituito presso l'I.N.P.S. un Fondo di garanzia per l'accesso ai finanziamenti per i datori di lavoro con meno di 50 dipendenti che non intendano erogare immediatamente le quote di TFR maturando con risorse proprie, con dotazione iniziale pari a 100 milioni per il 2015 e a carico del bilancio dello Stato.
  La garanzia del Fondo è a prima richiesta esplicita, incondizionata, irrevocabile ed onerosa; gli interventi del Fondo sono assistiti da garanzia dello Stato, come prestatore di ultima istanza.
  L'articolo 8 dispone l'entrata in vigore il giorno stesso della pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.

  Roberto OCCHIUTO (FI-PdL) sottolinea la contrarietà del suo gruppo sul provvedimento in titolo.
  Chiede quindi chiarimenti alla relatrice, per quanto di competenza della XIV Commissione, sulle disposizioni recate dall'articolo 2, relative al rifinanziamento del Fondo sociale per l'occupazione. Rileva infatti che alla copertura degli oneri derivanti da tale incremento si provvede mediante riduzione del Fondo per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della legge delega 183/2014 (Jobs Act), a sua volta alimentato dall'ex Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS), che tuttavia era vincolato nella destinazione. Occorre pertanto comprendere se si continuino a sostenere gli oneri per gli ammortizzatori sociali in deroga con fondi con destinazione vincolata alla territorialità.

  Michele BORDO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 9 giugno 2015. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 13.

Schema di decreto legislativo recante attuazione dell'articolo 11 del regolamento (UE) n. 260/2012 che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e disposizioni sanzionatorie per le violazioni del regolamento (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità.
Atto n. 164.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del Pag. 251giorno, rinviato nella seduta del 4 giugno 2015.

  Vanessa CAMANI (PD), relatrice, richiama i contenuti dell'atto illustrati nella seduta dello scorso 4 giugno e formula quindi una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dalla relatrice.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull'ADR per i consumatori).
Atto n. 165.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno, rinviato nella seduta del 4 giugno 2015.

  Tea ALBINI (PD), relatrice, chiede, al fine di svolgere alcuni approfondimenti, di rinviare alla giornata di domani l'espressione del parere sull'atto in esame.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2006/783/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.
Atto n. 166.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Giuseppe GUERINI (PD), relatore, rileva che lo schema di decreto legislativo in esame – che la XIV Commissione esamina ai fini del parere da rendere al Governo – recepisce nel nostro ordinamento la Decisione quadro 2006/783/GAI, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca, in attuazione della delega contenuta nell'articolo 9 della legge n. 154 del 2014.
  Il quadro della normativa europea in tema di confisca è oggi particolarmente articolato e incentrato su una serie di decisioni quadro, adottate quando la cooperazione in materia penale rientrava nel c.d. terzo pilastro ed era dunque oggetto di cooperazione internazionale e non di diritto comunitario. Si tratta delle seguenti decisioni quadro:
   decisione quadro 2001/500/GAI, concernente il riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato;
   decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri;
   decisione quadro 2005/212/GAI, relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato;
   decisione quadro 2006/783/GAI, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca).

  Alle decisioni quadro si è poi aggiunta la direttiva 2014/42/UE, adottata a seguito del Trattato di Lisbona, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione Europea.
  Il legislatore italiano si trova dunque oggi a dare attuazione ad una decisione quadro del 2006 sul reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. L'Unione Europea ha da poco emanato la Direttiva del 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea, per la cui attuazione il Governo è stato delegato Pag. 252dalla legge n. 154 del 2014: la direttiva è stata infatti inserite nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre.
  Scopo della decisione quadro 2006/783/GAI è stabilire le norme in base alle quali uno Stato membro riconosce ed esegue nel proprio territorio una decisione di confisca emessa da un'autorità giudiziaria competente in materia penale, appartenente a un altro Stato membro: con questo strumento la cooperazione viene concepita in termini di rapporti non tra Stati sovrani (lo Stato richiedente e lo Stato richiesto), ma tra autorità giudiziarie (di emissione e di esecuzione), e dunque le relazioni intergovernative (estradizione e rogatorie) sono sostituite dalla cooperazione giudiziaria diretta, basata sulla cosiddetta eurordinanza, emessa dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro e trasmessa direttamente all'organo competente di un altro Stato membro, per l'esecuzione.
  Il termine per l'adozione, da parte degli Stati membri, delle misure necessarie per conformarsi alla decisione quadro è il 24 novembre 2008.
  Come già ricordato, a distanza di alcuni anni dall'adozione della decisione quadro, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona la cooperazione giudiziaria penale è divenuta materia di competenza UE, che dunque può essere disciplinata con gli strumenti normativi europei; ciò ha consentito l'adozione della direttiva 2014/42/UE, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea. La direttiva stabilisce norme minime in materia.
  La delega per l'attuazione della direttiva è già stata conferita al Governo, con l'inserimento della direttiva nell'allegato B della legge n. 154 del 2014 (Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre).
  La direttiva dovrà essere attuata dagli Stati entro il 4 ottobre 2016.
  Lo schema di decreto legislativo si compone quindi di 17 articoli, suddivisi in 4 capi.
  Il Capo I attiene alle disposizioni generali. In particolare, l'articolo 1 precisa in primo luogo, al comma 1, che l'attuazione della decisione quadro è effettuata nei limiti in cui l'applicazione delle misure di cooperazione di cui alla decisione quadro non sia incompatibile con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e di giusto processo.
  Lo stesso articolo 1 contiene poi le definizioni, mutuandole in parte dalla decisione quadro.
  L'articolo 2 designa le autorità competenti, individuando:
   nel Ministro della giustizia il responsabile della ricezione e della trasmissione delle decisioni di confisca e di ogni informazione pertinente;
   nella Corte d'appello territorialmente competente (individuata dal successivo articolo 4), l'autorità preposta agli adempimenti esecutivi nella procedura passiva, ovvero quanto una decisione di confisca deve essere riconosciuta e eseguita in Italia;
   nel pubblico ministero competente (individuato dal successivo articolo 10), l'autorità preposta, nella procedura attiva, a trasmettere ad altro Stato membro la decisione di confisca da eseguire sul suo territorio.

  Il Capo II disciplina la procedura passiva, ovvero la procedura che devono seguire le autorità italiane quando una decisione di confisca è emessa da altro Stato membro e deve essere eseguita in Italia.
  L'articolo 3, in particolare, riporta l'elenco dei reati per i quali le autorità italiane non devono verificare la doppia incriminabilità, ma solo accertare che il reato per il quale si procede sia punito con pena detentiva non inferiore nel massimo a 3 anni nello Stato che richiede la misura. L'elenco, come richiesto dalla norma di delega, è mutuato da quello contenuto nell'articolo 6 della decisione quadro. In tutti gli altri casi la Corte d'appello dovrà verificare che i fatti per i quali si procede all'estero siano qualificati come reati anche nel nostro ordinamento, Pag. 253salva l'eccezione – richiesta dalla norma di delega – per le condotte in materia di tasse, imposte o dogana, rispetto alle quali anche l'assenza di una disciplina italiana analoga non pregiudica l'esecuzione della decisione di confisca.
  L'articolo 4 chiarisce che la Corte d'appello competente è quella:
   del luogo dove si trovano i beni da confiscare, o in alternativa;
   del luogo ove l'interessato dispone di beni o di un reddito, o in alternativa;
   del luogo ove l'interessato risiede (o ha la propria sede sociale), o in alternativa;
   del luogo ove si trova il bene di maggior valore, in caso di beni dislocati in diverse zone, o in alternativa;
   di Roma, se è impossibile determinare la Corte d'appello competente in base ai suddetti criteri.

  L'articolo 5 disciplina il procedimento per il riconoscimento della decisione e la sua esecuzione. In particolare, la disposizione prevede l'applicazione del rito camerale in Corte d'appello e che la sentenza di riconoscimento sia poi trasmessa per l'esecuzione al procuratore generale presso la stessa Corte. Quando la confisca abbia ad oggetto beni culturali appartenenti al patrimonio culturale nazionale, nel procedimento deve essere coinvolto anche il Ministro dei beni e delle attività culturali.
  L'articolo 6 disciplina i casi in cui la Corte d'appello può rifiutare il riconoscimento e l'esecuzione della decisione di confisca. Lo schema di decreto legislativo riprende i contenuti della legge delega (in particolare le ipotesi disciplinate dalla lettera n), ai quali aggiunge il rifiuto quando il certificato non è stato trasmesso ovvero è incompleto o non corrisponde manifestamente alla decisione di confisca. Si segnala, inoltre, che l'ipotesi di rifiuto per mancata partecipazione dell'interessato al procedimento che si è concluso con la decisione di confisca, pur non previsto dalla legge delega, è prevista, con formulazione pressoché identica, dall'articolo 8 della decisione quadro.
  L'articolo 7, in attuazione del principio di delega di cui alla lettera p), individua i motivi che giustificano un rinvio dell'esecuzione della confisca: il provvedimento è stato impugnato in Cassazione; il bene è già oggetto di confisca in Italia; l'esecuzione potrebbe pregiudicare un procedimento penale in corso (rinvio per max 6 mesi); la confisca riguarda una somma di denaro che, per la simultanea esecuzione in più Stati, potrebbe superare il valore da confiscare.
  Il mezzo di impugnazione della sentenza con la quale la Corte d'appello riconosce la decisione di confisca e dispone di darle esecuzione è individuato dall'articolo 8 nel ricorso per cassazione. Possono promuoverlo, entro 10 giorni dalla sentenza, il procuratore generale presso la Corte d'appello, l'interessato e il terzo intestatario dei beni da confiscare.
  A chiusura di questo capo, l'articolo 9 disciplina il concorso di decisioni di confisca in attuazione dell'articolo 11 della decisione quadro, rimettendo alla Corte d'appello la decisione su quale richiesta eseguire, tendendo conto della gravità del reato, del luogo di commissione e delle date delle rispettive decisioni.
  Il Capo III disciplina la procedura attiva, ovvero le modalità attraverso le quali le autorità italiane possono chiedere alle autorità di altro Stato UE di riconoscere ed eseguire la decisione di confisca italiana.
  Il potere di chiedere il riconoscimento è attribuito dall'articolo 10 al pubblico ministero presso il giudice dell'esecuzione o presso il tribunale competente per la misura di prevenzione patrimoniale.
  Gli articoli 11 e 12 risolvono il problema dell'individuazione dello Stato competente distinguendo a seconda che si debbano apprendere beni specifici o somme di denaro; ricorrendo anche al criterio della residenza abituale del soggetto contro il quale si agisce; disciplinando l'ipotesi di richiesta rivolta a più Stati.Pag. 254
  Il Capo IV detta le disposizioni finali.
  In particolare, l'articolo 13 individua le norme applicabili, che vengono individuate, per quanto non espressamente disciplinato dallo schema di decreto, nel codice di procedura penale.
  L'articolo 14 disciplina la destinazione delle somme e dei beni confiscati in Italia sulla base di una decisione di confisca adottata da altro Stato UE (procedura passiva), in attuazione dell'articolo 16 della decisione quadro, prevedendo che:
   se è recuperata una somma di denaro pari o inferiore a 10 mila euro, la stessa sia interamente versata al Fondo Unico Giustizia (FUG);
   se è recuperata una somma superiore a 10 mila euro, il 50 per cento sia versato al FUG e la restante metà sia restituita allo Stato di emissione;
   se è confiscato un bene (mobile o immobile), i proventi della relativa vendita siano versati integralmente al FUG – se la somma ricavata non supera i 10 mila euro – o ripartiti tra FUG e Stato di emissione – per somme più elevate;
   se è confiscato un bene che non può essere venduto né trasferito, e comunque un bene aggredito con l'applicazione di poteri estesi di confisca (che consentono la confisca di beni di un soggetto condannato, sul presupposto che essi rappresentino in qualche modo il provente di un'attività illecita), si applicano le disposizioni del Codice antimafia sull'amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni confiscati.

  In base all'ultimo comma dello schema, l'Italia, quale Stato di esecuzione, non è tenuta a vendere o restituire il bene specifico oggetto della decisione di confisca quando esso costituisce bene culturale appartenente al patrimonio culturale nazionale. Rispetto a tali beni restano applicabili le norme vigenti.
  L'articolo 15 riguarda il risarcimento dovuto dallo Stato italiano a seguito dell'esecuzione di una decisione di confisca proveniente da altro Stato UE. La disposizione – analogamente a quanto previsto dall'articolo 18 della decisione quadro – prevede che la restituzione delle somme versate dall'Italia a titolo di risarcimento sia richiesta dal Ministro della Giustizia allo Stato di emissione, salvo che il danno sia dovuto esclusivamente allo Stato italiano quale Stato di esecuzione.
  Gli importi di denaro ottenuti a titolo di rimborso affluiscono al Fondo Unico Giustizia. Infine, l'articolo 16 salvaguarda eventuali accordi già conclusi tra il nostro Paese e gli altri Stati membri, se riconducibili agli obiettivi della decisione quadro, e l'articolo 17 reca la clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.10.

COMITATO DEI NOVE

  Martedì 9 giugno 2015.

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2014.
C. 2977-A Governo.

  Il Comitato si è riunito dalle 14.20 alle 14.50.