CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 16 aprile 2015
426.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 46

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 16 aprile 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 10.10.

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2014.
C. 2977 Governo.
(Parere alla XIV Commissione).
(Seguito dell'esame e conclusione – Nulla osta).

Pag. 47

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 15 aprile 2015.

  Donatella FERRANTI, presidente, avverte che non sono stati presentati emendamenti e che il relatore ha presentato una proposta di relazione (vedi allegato 1).

  Giuseppe GUERINI, relatore, dichiara di aver presentato una proposta di relazione con la quale si esprime il nulla osta considerato che il disegno di legge non contiene disposizioni di stretta competenza della Commissione Giustizia.

  La Commissione approva la proposta di relazione del relatore.

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2013.
Doc. LXXXVII, n. 2.
(Parere alla XIV Commissione).
(Seguito dell'esame e conclusione – Nulla osta).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 15 aprile 2015.

  Donatella FERRANTI, presidente, avverte che il relatore ha presentato una proposta di parere (vedi allegato 2) e che il gruppo Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta alternativa di parere, che sarà posta in votazione ove venisse respinta la proposta del relatore (vedi allegato 3).

  Giuseppe GUERINI, relatore, dichiara di aver presentato una proposta di parere con la quale si esprime il nulla osta considerato che il documento in esame si riferisce ad un periodo di tempo anteriore a quello di un ulteriore documento in corso di presentazione.

  La Commissione approva la proposta di parere del relatore, risultando preclusa la proposta alternativa presentata.

  La seduta termina alle 10.20.

SEDE REFERENTE

  Giovedì 16 aprile 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 10.25.

Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio.
C. 3008, approvata dal Senato.
(Esame e rinvio. Abbinamento delle proposte di legge C. 1194 Colletti, C. 2165 Ferranti, C. 2771 Dorina Bianchi e C. 2777 Formisano).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  David ERMINI (PD), relatore, osserva che la Commissione giustizia avvia oggi l'esame del cosiddetto «testo anticorruzione» approvato dal Senato dopo un lungo ed approfondito esame. Il provvedimento è volto contrastare la corruzione attraverso una serie di misure che vanno dall'adeguamento delle sanzioni penali, comprese quelle accessorie, alla riformulazione di alcuni reati, come quelli che puniscono il falso in bilancio, per delimitare la eventuale area di non punibilità. Il provvedimento, composto di 12 articoli si suddivide sostanzialmente in due parti: la prima riguarda i reati contro la pubblica amministrazione e disposizioni sempre relative a tali reati, la seconda parte invece ha per oggetto i delitti di false comunicazioni sociali. L'attenzione sul fenomeno corruttivo in Italia non si limita all'opinione pubblica ma coinvolge anche gli organismi internazionali europei. Questo provvedimento mira a dare una risposta anche a tali organismi. Il 3 febbraio 2014 la Commissione europea ha pubblicato la prima relazione dell'Unione europea sulla lotta alla corruzione. La relazione illustra Pag. 48lo stato della corruzione nei vari Stati membri, indicando le misure anticorruzione esistenti, valutandone l'efficacia, e suggerendo gli spunti per un miglioramento dell'attività di contrasto a tale fenomeno. Secondo la Commissione, la corruzione interessa tutti gli Stati membri e costa all'economia europea circa 120 miliardi di euro all'anno. La relazione espone anche i risultati di due sondaggi Eurobarometro sulla percezione della corruzione tra i cittadini e le imprese europei. Da tali rilevazioni tra l'altro risulta che la percezione della diffusione della corruzione in Italia registra il dato del 97 per cento, che è il più alto nell'Unione europea dopo quello della Grecia. Nel capitolo dedicato al nostro Paese, la Commissione ripete il dato indicato dalla Corte dei conti secondo il quale costi diretti totali della corruzione ammonterebbero a 60 miliardi di euro l'anno (pari a circa il 4 per cento del PIL). Secondo la Relazione, il 92 per cento delle imprese italiane partecipanti al sondaggio Eurobarometro 2013 sulla corruzione nel mondo imprenditoriale ritiene che favoritismi e corruzione impediscano la concorrenza commerciale in Italia (contro una media UE del 73 per cento), il 90 per cento pensa che la corruzione e le raccomandazioni siano spesso il modo più facile per accedere a determinati servizi pubblici (contro una media UE del 69 per cento), mentre per il 64 per cento le conoscenze politiche sono l'unico modo per riuscire negli affari (contro una media UE del 47 per cento). Secondo il Global Competitiveness Report 2013-2014, la distrazione di fondi pubblici dovuta alla corruzione, il favoritismo dei pubblici ufficiali e la progressiva perdita di credibilità etica della classe politica agli occhi dei cittadini sono le note più dolenti della governance in Italia. La Commissione europea rileva tuttavia che l'adozione nel 2012 di una legge anti-corruzione rappresenta un significativo passo avanti nella lotta contro la corruzione in Italia, in particolare sul lato delle politiche di prevenzione. La Commissione suggerisce le seguenti misure per la riduzione del fenomeno: il rafforzamento dei regime di integrità delle cariche elettive e di governo nazionali, regionali e locali, attraverso codici etici, strumenti di rendicontazione, sanzioni dissuasive in caso di violazione; il potenziamento del quadro giuridico e istituzionale sul finanziamento dei partiti; l'eliminazione delle lacune circa il regime di prescrizione; il rafforzamento dei poteri e della capacità dell'autorità nazionale anticorruzione CIVIT; un quadro uniforme per i controlli interni con l'affidamento della revisione contabile della spesa pubblica a controllori esterni indipendenti a livello regionale e locale, soprattutto in materia di appalti pubblici; un sistema uniforme, indipendente e sistematico di verifica del conflitto di interessi e delle dichiarazioni patrimoniali dei pubblici ufficiali, con relative sanzioni deterrenti; una maggiore trasparenza nel settore degli appalti pubblici, ad esempio ponendo l'obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online i conti e i bilanci annuali, insieme alla ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa anticorruzione. In tale ambito la Commissione suggerisce anche di conferire alla Corte dei conti il potere di effettuare controlli senza preavviso, nonché di garantire il pieno recepimento ed attuazione della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato. Come si diceva, il provvedimento in esame si può considerare una risposta, naturalmente non l'unica, alle richieste che provengono dall'Europa affinché il fenomeno corruttivo in Italia possa sensibilmente diminuire. In merito ai delitti contro la pubblica amministrazione, all'articolo 1 si è proceduto ad un innalzamento delle pene in maniera coordinata andando ad incidere sui delitti di corruzione per l'esercizio delle funzioni, di corruzione per atto contrario ai doveri dell'ufficio, di corruzione in atti giudiziari, di induzione indebita a dare o promettere utilità e di peculato. L'esigenza di un inasprimento sanzionatorio è nata dal reato di corruzione per il quale si è ritenuto di innalzare sia il minimo che il massimo, portandoli da 4 a 8 anni, come previsto dalla normativa Pag. 49vigente, a da 6 a 10 anni. Una volta innalzata tale pena si è reso necessario, per ragioni di coordinamento, un intervento anche su altri reati contro la pubblica amministrazione. Come è stato già sottolineato nel corso dei lavori preparatori del Senato, l'inasprimento della pena del reato di corruzione non deve essere letto unicamente in una ottica di prevenzione, essendo ben chiaro che la prevenzione non si ottiene unicamente attraverso pene più severe, ma anche e soprattutto rendendo più trasparente l'azione della pubblica amministrazione o con strumenti premiali, come ad esempio apposite circostanze attenuanti. Come vedremo, queste misure sono presenti nel testo in esame. Ritornando all'aumento di pena per il reato di corruzione, l'esigenza di procedere in tal senso deve essere ricondotta al profilo retributivo della pena: rispetto alla gravità del fatto corruttivo la pena attualmente prevista appare troppo esigua. La pena di quattro anni prevista come pena minima non corrisponde assolutamente all'alto grado di disapprovazione sociale del fenomeno corruttivo. La stessa considerazione vale per la pena massima di 8 anni. L'innalzamento della pena massima ha poi un effetto indiretto che non possiamo considerare secondario: l'innalzamento dei termini di prescrizione. Non è questa l'occasione per soffermarci sui tempi di prescrizione del reato, considerato che il tema, anche con particolare riferimento ai reati di corruzione, è oggetto di una proposta di legge approvata dalla Camera che ora si trova all'esame del Senato, tuttavia non posso non segnalare che i termini vigenti troppo spesso portano alla prescrizione dei reati corruzione, i cui processi soventemente iniziano a pochi anni dalla scadenza della prescrizione, in quanto vi è una concreta difficoltà a far emergere il fatto corruttivo che è celato dal patto tra corrotto e corruttore. Una volta individuate in 6 e 10 anni la pena minima e massima del reato di corruzione propria, sono state declinate le pene previste per gli altri reati sopra citati. A titolo di esempio, la corruzione in atti giudiziari viene punita, nella ipotesi base, con la pena da 6 a 12 anni anziché da 4 a 10, mentre la pena minima di ipotesi aggravate è stata portata da 6 ad 8. Come si è accennato, sono state inasprite anche le pene accessorie connesse ai reati contro la pubblica amministrazione. In questo caso il profilo preventivo ha sicuramente una maggiore valenza. In particolare, è stato portato da 3 a 5 anni il termine massimo di durata del periodo in cui vi è l'incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione. È stato invece portato da 3 a 2 anni il periodo della condanna di reclusione per reati contro la pubblica amministrazione che determina l'estinzione del rapporto di lavoro od impiego. Nel testo vi sono altre misure preventive, come ad esempio l'articolo 7 che prevede a carico del pubblico ministero che esercita l'azione penale per delitti contra la pubblica amministrazione l'obbligo di informare il presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione. Anche l'articolo 8, che attiene ai compiti dell'Autorità nazionale anticorruzione, ha una natura prevalentemente preventiva. In particolare, intervenendo sulla cosiddetta legge Severino si attribuisce all'Autorità nazionale anticorruzione anche l'esercizio della vigilanza e del controllo sui contratti esclusi in tutto o in parte dall'ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici (ad esempio contratti segretati o che esigono particolari misure di sicurezza; appalti aggiudicati in base a norme internazionali, particolari contratti di servizi) di cui agli articoli 17 e seguenti del Codice degli appalti (D.Lgs. 163 del 2006). Si prevedono altresì specifici obblighi informativi verso l'Autorità nazionale anticorruzione, prevedendo che, in riferimento ai procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, le stazioni appaltanti debbano trasmettere all'Autorità nazionale anticorruzione una serie di informazioni relative all'appalto (la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate). Nell'ottica dell'articolo Pag. 507, si prevede che nelle controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica, il giudice amministrativo trasmette all'Autorità nazionale anticorruzione ogni informazione o notizia rilevante emersa nel corso del giudizio che, anche in esito a una sommaria valutazione, ponga in evidenza condotte o atti contrastanti con le regole della trasparenza. Una disposizione di natura preventiva, contenuta nell'articolo 1, la cui efficacia appare di tutta evidenza, è la modifica dell'articolo 323-bis del codice penale avente ad oggetto le circostanze attenuanti. In particolare, si prevede per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. La formulazione utilizzata riprende, pur con alcune variazioni, quella di altre attenuanti per collaborazione previste dalle disposizioni vigenti. Specialmente nei reati caratterizzati dal patto corruttivo questa scriminante potrà essere molto utile quale stimolo per la rottura di tale patto. Il fenomeno corruttivo viene affrontato dal provvedimento anche sotto il profilo economico, costituendo un grave danno economico per il Paese. In questo ambito deve essere inserito l'articolo 2, diretto a modificare l'articolo 165 del codice penale, relativo agli obblighi cui deve sottostare il condannato per potere accedere all'istituto della sospensione condizionale della pena. In particolare, viene subordinata la concessione della sospensione condizionale della pena al condannato per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione anche alla condizione specifica della riparazione pecuniaria nei confronti dell'amministrazione lesa (in caso di corruzione in atti giudiziari, nei confronti del Ministero della giustizia). Tale riparazione – che è sempre ordinata al condannato per un delitto contro la pubblica amministrazione in base all'articolo 322-quater c.p. (introdotto dall'articolo 4 della proposta di legge) – consiste in una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito. L'articolo 4, in particolare, disciplina la riparazione pecuniaria nei confronti dell'amministrazione lesa stabilendo, in caso di condanna per delitto contro la pubblica amministrazione, che al pubblico ufficiale, o all'incaricato di un pubblico servizio, colpevole debba essere ordinato anche il pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all'ammontare di quanto indebitamente percepito. La riparazione pecuniaria è in favore dell'amministrazione di appartenenza e, nel caso della corruzione in atti giudiziari, in favore dell'amministrazione della giustizia. Si tratta di disposizioni che hanno una valenza sia simbolica che concreta, considerato che la corruzione ha gravi effetti anche sull'economia del paese. In questa ottica si muove anche l'articolo 6 che modifica la disciplina del patteggiamento, prevedendo che quando si procede per alcuni delitti contro la pubblica amministrazione, l'accesso a questo rito speciale sia subordinato alla restituzione del prezzo o del profitto conseguito. Queste ultime disposizioni di profilo economico hanno sicuramente una forte efficacia preventiva, in quanto possono servire a dissuadere colui che intende commettere atti corruttivi. L'articolo 3 estende l'ambito della qualifica soggettiva del reato di concussione all'incaricato di pubblico servizio: al pubblico ufficiale viene infatti aggiunto anche l'incaricato di un pubblico servizio. Originariamente, infatti, il codice penale Rocco non prevedeva tra i possibili autori del reato l'incaricato di un pubblico servizio, ma solo il pubblico ufficiale. Con la legge n. 86 del 1990 è stato aggiunto il riferimento anche all'incaricato di un pubblico servizio, poi da ultimo espunto dal codice dalla recente legge Severino, che ha anche escluso da questo reato la fattispecie per induzione (collocata all'articolo 319-quater e imputabile Pag. 51tanto al pubblico ufficiale quanto all'incaricato di un pubblico servizio). La Corte di cassazione (SSUU, sentenza n. 12228 del 24/10/2013) ha chiarito che l'abuso costrittivo dell'incaricato di pubblico servizio, prima dell'entrata in vigore della legge n. 190 del 2012 sanzionato dall'articolo 317 c.p., è attualmente un illecito estraneo allo statuto dei reati contro la pubblica amministrazione ed è punibile, a seconda dei casi concreti, in base alle disposizioni incriminatrici dell'estorsione, della violenza privata o della violenza sessuale, fattispecie tutte che si pongono in rapporto di continuità normativa con la precedente norma di cui all'articolo 317 codice penale, con la conseguenza che, in relazione ai fatti pregressi, sarà compito del giudice verificare in concreto quale norma contiene la disposizione più favorevole da applicare. La reintroduzione dell'incaricato di un pubblico servizio tra i possibili autori del delitto di concussione è così motivata dalla relazione illustrativa dell'originario disegno di legge S.19 (Grasso e altri): «perché non ha senso punire soltanto il primo [pubblico ufficiale], quando lo stesso comportamento può essere posto in essere da un concessionario di un servizio pubblico (RAI, ENI, personale sanitario, eccetera) con effetti parimenti devastanti sull'etica dei rapporti». Prima di passare al cosiddetto falso in bilancio, occorre soffermarsi sull'articolo 5 che incrementa la pena di un delitto estraneo ai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ma che spesso è connesso con questi: il delitto di associazione di stampo mafioso. In particolare la disposizione, alla lettera a), interviene sul primo comma dell'articolo 416-bis c.p. elevando la pena per la partecipazione all'associazione, che passa nel minimo da 7 a 10 anni e nel massimo da 12 a 15 anni. La lettera b) della disposizione interviene sul secondo comma dell'articolo 416-bis, aumentando la pena detentiva da comminarsi a coloro che promuovono o dirigono o organizzano l'associazione. Tali condotte, attualmente sanzionate con la reclusione «da 9 a 14 anni» vengono punite con una pena detentiva «da 12 a 18 anni «La lettera c), infine, modifica il quarto comma dell'articolo 416-bis, innalzando le pene ivi previste per la fattispecie incriminatrice di associazione armata: per colui che vi partecipa, la pena – attualmente prevista da 9 a 15 anni di reclusione – è portata a 12 anni nel minimo e a 20 anni nel massimo; per colui che la promuove, dirige, organizza, la pena – attualmente prevista da 12 a 24 anni – è portata a 15 anni nel minimo e a 26 anni nel massimo. Come si è detto, la seconda parte del provvedimento attiene alla materia del falso in bilancio. La connessione con la prima parte del provvedimento è nel rapporto di propedeuticità tra la falsificazione dei bilanci al fine di creare bilanci in nero ed il fenomeno corruttivo. La riforma del 2002 aveva sostanzialmente determinato la depenalizzazione del reato che vedeva, per così come formulato, una scarsa applicazione, nonostante che il fenomeno dei bilanci in nero non fosse diminuito. Il testo trasmesso dal Senato, che è il risultato dell'approvazione di un emendamento del Governo, supera questa situazione di sostanziale depenalizzazione facendo cadere le soglie di non punibilità, prevedendo sempre, salvo un caso particolare, la perseguibilità d'ufficio, profilando un doppio binario di sanzioni legato al volume d'affari della società e parificando le società quotate ad altre società che pur non essendo quotate hanno medesima rilevanza economica. La materia è estremamente delicata in quanto il rischio di estremismi è alto: da un lato vi è l'estremismo nel quale è caduta la riforma del 2002 che ha di fatto depenalizzato il reato, dall'altro vi è l'estremismo opposto altamente pericoloso per le imprese e la stessa economia che consiste nel punire penalmente anche le violazioni del tutto formali e sostanzialmente irrilevanti delle regole di bilancio. Il testo trasmesso dal Senato non cade in nessuno dei due estremismi trovando un punto di equilibrio tra tutte le esigenze che stanno alla base del reato di falso in bilancio. Preliminarmente ci si soffermerà sulla struttura data dal Senato al reato di falso in bilancio, per poi Pag. 52procedere ad una illustrazione più dettagliata della normativa. La scelta di fondo fatta nel testo, come risulta dai lavori preparatori del Senato, è quella di considerare che i delitti di falso hanno una struttura unitaria e che il falso in bilancio non è altro che una ipotesi particolare di manifestazione dei reati di falso. Si tratta di un reato proprio, estendibile a soggetti diversi da quelli previsti come soggetti attivi attraverso il meccanismo del concorso di persone, caratterizzato dal dolo specifico («al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto») e dal fatto che le informazioni e le comunicazioni sociali oggetto del reato sono solo quelle tipicamente previste dalla legge, nel rispetto del principio costituzionale di determinatezza. Oggetto di esposizione falsa o di omessa esposizione sono solo i «fatti materiali rilevanti», affinché sia rispettato anche un altro principio costituzionale: l'offensività del reato. I fatti inoffensivi sono irrilevanti. Sempre in relazione al principio di offensività occorre tenere conto che il Senato si è fatto carico della concomitante riforma della tenuità del fatto da un alto si è prevista, salvo per le società quotate e parificate, una circostanza attenuante e, dall'altro, si è fatta una specificazione, anche in questo caso con l'esclusione delle le società quotate e parificate, sui criteri che il giudice deve valutare per applicare l'istituto della non punibilità per particolare tenuità, di cui all'articolo 131-bis del codice penale, stabilendo che il criterio prevalente da valutare debba essere quello dell'entità del danno cagionato a società soci o creditori. La struttura è, quindi, la seguente: l'ipotesi generale prevista dall'articolo 2621; la circostanza attenuante della lieve entità prevista dal primo comma dell'articolo 2621-bis; la previsione, nel successivo comma, di una presunzione ex lege di lieve entità per tutti quei fatti relativi alle società di cui al comma 2 dell'articolo 1 del regio decreto n. 267 del 1942, (la legge fallimentare), qualora quelle società ricadano entro determinati limiti quantitativi legati all'attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo, ai ricavi lordi ed all'ammontare di debiti (in questi casi il reato è perseguibile a querela); una speciale ipotesi di particolare tenuità del fatto prevista dall'articolo 2621-ter che privilegia il dato relativo all'entità del danno rispetto agli altri parametri individuati dall'articolo 131-bis del codice penale, che già caratterizzano per l'appunto quella speciale tenuità di cui all'articolo 131-bis del nostro codice penale. Questa struttura complessa non è stata riprodotta per le società quotate e parificate, che sono oggetto dell'articolo 2622. In questo ambito vi rientrano quelle società che operano all'interno di mercati regolamentati, ovvero che si trovano in una delle quattro situazioni ritenute equivalenti dal secondo comma dell'articolo 2622. Si tratta di falsità che determinano un danno maggiore rispetto a quello relativo alle società che rientrano nell'ambito dell'articolo 2621, per cui si prevede una sanzione più grave (da tre a otto anni, anziché da uno a cinque anni) e l'inapplicabilità delle ipotesi previste dagli articoli 2621-bis e 2622-ter sui fatti di lieve entità e di particolare tenuità. Si passa ora alla descrizione della normativa approvata dal Senato. L'articolo 9 riformula l'articolo 2621 del codice civile – la cui rubrica rimane inalterata – sul falso in bilancio in società non quotate. Prevede che le false comunicazioni sociali, attualmente sanzionate come contravvenzione, tornino ad essere un delitto, punito con la pena della reclusione da 1 a 5 anni. Nulla cambia in relazione ai soggetti in capo ai quali la responsabilità è ascritta (amministratori, direttori generali, dirigenti addetti alla predisposizione delle scritture contabili, sindaci e liquidatori). Nel nuovo articolo 2621 del codice civile, la condotta illecita consiste nell'esporre consapevolmente fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero od omettere consapevolmente fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore; per il reato è confermata la procedibilità d'ufficio. Oltre al passaggio da contravvenzione a delitto, Pag. 53i principali elementi di novità del nuovo reato falso in bilancio di cui articolo 2621 del codice civile sono i seguenti: scompaiono le soglie di non punibilità (previste dal terzo e quarto comma dell'articolo 2621); è modificato il riferimento al dolo (in particolare, permane il fine del conseguimento per sé o per altri di un ingiusto profitto, ma viene meno «l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico» mentre è esplicitamente introdotto nel testo il riferimento alla consapevolezza delle falsità esposte); è eliminato il riferimento all'omissione di «informazioni» sostituito da quello all'omissione di «fatti materiali rilevanti» (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene); è introdotto l'elemento oggettivo ulteriore della «concreta» idoneità dell'azione o omissione ad indurre altri in errore. L'articolo 10 introduce nel codice civile due nuove disposizioni dopo l'articolo 2621: gli articoli 2621-bis (Fatti di lieve entità) e 2621-ter (Non punibilità per particolare tenuità). L'articolo 2621-bis c.c. disciplina l'ipotesi che il falso in bilancio di cui all'articolo 2621 sia costituito da fatti «di lieve entità», salvo che costituiscano più grave reato. Tale fattispecie, punita con la reclusione da sei mesi a tre anni (fatta salva la non punibilità per particolare tenuità del fatto, v. ultra, nuovo articolo 2621-ter c.c.) viene qualificata dal giudice tenendo conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta. Il nuovo articolo 2621-ter del codice civile prevede che, ai fini della non punibilità prevista dall'articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità dell'illecito (disposizione introdotta dal recente d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28), il giudice valuta, in modo prevalente, l'entità dell'eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori dal falso in bilancio di cui agli artt. 2621 e 2621-bis. L'articolo 11 del disegno di legge modifica l'articolo 2622 del codice civile, attualmente relativo alla «fattispecie di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori». Tale fattispecie viene sostituita dal delitto di «false comunicazioni sociali delle società quotate» – individuate dal nuovo articolo 2622, primo comma, come le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese della UE – sanzionato con la pena della reclusione da tre a otto anni. Attualmente quindi, l'articolo 2622 sanziona il falso in bilancio nelle società quotate con la reclusione da uno a quattro anni. L'aumento di pena, nel massimo, da quattro ad otto anni previsto dalla nuova fattispecie rende possibile nelle relative indagini l'uso delle intercettazioni. Anche in questo caso, i soggetti attivi del reato sono gli stessi di cui all'attuale articolo 2622 ovvero amministratori, direttori generali, dirigenti addetti alla predisposizione delle scritture contabili, sindaci e liquidatori, con la differenza che qui si tratta di ruoli ricoperti in società quotate. La condotta illecita per il falso in bilancio nelle società quotate consiste nell'esporre consapevolmente fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettere fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene in modo concretamente idoneo a indurre altri in errore sulla situazione economica della società. I principali elementi di novità del nuovo falso in bilancio delle società quotate di cui articolo 2622, primo comma, del codice civile – che parzialmente coincidono con quelli di cui all'articolo 2621 – sono i seguenti: la fattispecie è configurata come reato di pericolo anziché (come ora) di danno; scompare, infatti, ogni riferimento al danno patrimoniale causato alla società; le pene sono aumentate (reclusione da tre a otto anni, anziché da uno a quattro anni); scompaiono, come nel falso in bilancio delle società non quotate, le soglie di non punibilità (previste dai commi 4 ss. del vigente articolo 2622); è modificato il riferimento al dolo (permane il fine del conseguimento per sé o per altri di un ingiusto profitto, ma viene meno «l'intenzione di ingannare i soci o il Pag. 54pubblico» mentre è esplicitamente introdotto nel testo il riferimento alla consapevolezza delle falsità esposte); è eliminato il riferimento all'omissione di «informazioni», sostituito da quello all'omissione di «fatti materiali rilevanti» (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene); è introdotto come nell'articolo 2621 l'elemento oggettivo ulteriore della «concreta» idoneità dell'azione o omissione ad indurre altri in errore. Il comma 2 del nuovo articolo 2622 c.c. equipara alle società quotate in Italia o in altri mercati regolamentati dell'UE, ai fini dell'integrazione della fattispecie penale di false comunicazioni sociali delle società quotate, le seguenti tipologie societarie: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea ovvero quelle società che, pur non essendo ancora quotate, hanno avviato le procedure necessarie); le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano; le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea; le società che fanno appello al pubblico risparmio (cd. Società aperte, che possono essere anche non quotate ma le cui azioni sono diffuse in modo rilevante tra il pubblico secondo i parametri sanciti dalla Consob) o che comunque lo gestiscono. La disciplina sanzionatoria, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo 2622 del codice civile, trova anche applicazione con riguardo alle falsità o omissioni riguardanti beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. L'articolo 12 modifica l'articolo 25-ter del D. Lgs. 231 del 2001 (responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), il quale reca una disciplina dei criteri di imputazione della responsabilità degli enti valevole per i reati societari. In particolare, la lettera a) del comma 1 dell'articolo modifica l'alinea del comma 1 dell'articolo 25-ter citato, intervenendo sui criteri soggettivi di imputazione della responsabilità e che comporta l'applicazione di sanzioni pecuniarie (per quote). La norma, nella formulazione vigente, limita per i reati societari la cerchia dei possibili autori del fatto a soggetti che ricoprono specifici ruoli nella compagine organizzativa dell'ente (amministratori, direttori generali, liquidatori o persone sottoposte alla loro vigilanza). Tale limitazione viene ora superata dalla soppressione del riferimento ai citati ruoli di vertice. La lettera b) interviene sulla lettera a) del comma 1 del citato articolo 25- ter, da un lato, sostituendo il riferimento al reato contravvenzionale con quello al «delitto di false comunicazioni sociali» di cui all'articolo 2621 c.c. e, dall'altro, elevando il limite massimo edittale della relativa sanzione pecuniaria da trecento a quattrocento quote. La lettera c) introduce una ulteriore lettera a-bis), al comma 1 dell'articolo 25-ter in conseguenza dell'introduzione del nuovo articolo 2621-bis (falso in bilancio di lieve entità) nel codice civile. In relazione a tale fattispecie la norma prevede la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote. La lettera d) del comma 1 dell'articolo 12 della proposta di legge sostituisce la lettera b) dell'articolo 25-ter, prevedendo per tale delitto la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote (attualmente, la sanzione va da trecento a seicentosessanta quote). La lettera e) del comma 1 dell'articolo 11 del disegno di legge abroga infine la lettera c) dell'articolo 25-ter citato che, a legislazione vigente, prevede per il delitto di false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori nelle società quotate (articolo 2622, terzo comma, del codice civile), la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote.

  Donatella FERRANTI, presidente, osserva che vi sono delle proposte di legge Pag. 55che trattano della lotta contro la corruzione che sono state abbinate al disegno di legge C. 2798 del Governo di riforma del processo penale, in quanto l'articolo 3 del disegno di legge che ha per oggetto l'entità della pena del reato di corruzione propria. Si era deciso di accantonare tale materia in attesa del testo all'esame del Senato che trattava specificamente la materia dell'anticorruzione. Ora questo testo è giunto dal Senato. Ritiene pertanto opportuno revocare l'abbinamento di tali proposte al disegno di legge c. 2798 e disporre il loro abbinamento alle proposta di legge C. 3008. Si tratta in particolare delle proposte di legge C. 1194 Colletti, C. 2165 Ferranti, C. 2771 Dorina Bianchi e C. 2777 Formisano.

  Vittorio FERRARESI (M5S) chiede se sia possibile abbinare alle proposte di legge già abbinate anche la proposta di legge C. 1751 (Disposizioni per la protezione degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità nell'interesse pubblico) presentata dalla collega di gruppo Francesca Businarolo, la cui calendarizzazione è stata da tempo chiesta dal suo gruppo. Qualora non fosse possibile procedere all'abbinamento a causa dell'assegnazione del provvedimento alle Commissioni riunite II e XI, chiede che le Commissioni predette ne inizino quanto prima l'esame.

  Donatella FERRANTI, presidente, replica al deputato Ferraresi che non è possibile abbinare la proposta di legge presentata dalla deputata Businarolo essendo assegnata alle Commissioni riunite II e XI. Tuttavia, assicura che prenderà contatto con il Presidente della XI Commissione per convocare una riunione congiunta degli Uffici di Presidenza, integrati dai rappresentanti dei gruppi, delle due Commissioni per stabilire il programma dei lavori in merito all'esame della proposta di legge C. 1751. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra e modifica all'articolo 414 del codice penale.
C. 2874, approvata dal Senato.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Donatella FERRANTI, presidente, rileva che la Commissione avvia l'esame della proposta di legge, approvata dal Senato, che introduce nell'ordinamento il reato che punisce il negazionismo, proprio oggi, 16 aprile, che nel calendario ebraico è il giorno in cui si ricorda la Shoah.
  In sostituzione dei relatori, onorevoli Verini e Sarro, impossibilitati a partecipare alla seduta, illustra il provvedimento in esame, assicurando che la relazione sarà successivamente integrata dai relatori.
  L'articolo unico della proposta di legge C. 2874, approvata in prima lettura dal Senato l'11 febbraio 2015 è diretto a delimitare le ipotesi delittuose legate alla istigazione a commettere atti di discriminazione o atti di violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; ad introdurre una specifica aggravante concernente il c.d. «negazionismo» in connessione con tali atti; a ridurre da cinque a tre anni la pena massima per l'istigazione a delinquere prevista dal codice penale.
  A tali fini, oltre al codice penale, la proposta di legge modifica la legge n. 654 del 1975 (Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966), come modificata nel corso del tempo e in particolare dalla «legge Mancino» (decreto-legge n. 122/1993).
  Il provvedimento è stato approvato dal Senato dopo una complessa trattazione, in cui sono state elaborate diverse stesure del progetto.Pag. 56
  Rispetto al primo testo della Commissione Giustizia, che introduceva nell'articolo 414 del codice penale (istigazione a delinquere) un autonomo reato di negazionismo, la nuova formulazione ha inteso ovviare sia alle perplessità e criticità emerse nel corso del dibattito sul rischio di introdurre un mero reato di opinione, sia alla necessità di elaborare un testo in grado di contemperare le esigenze poste dalle fonti internazionali ed europee in materia di contrasto del negazionismo con quelle della tutela della libertà di espressione del pensiero di cui all'articolo 21 della Costituzione.
  Quanto all'utilizzazione del termine «negazionismo», va precisato che – mentre con il termine «revisionismo» si indica la tendenza storiografica a rivedere le opinioni storiche consolidate sulla base di nuove interpretazioni o valutazioni, con il risultato di operare una reinterpretazione della storia – con il «negazionismo», secondo l'accezione più ampia generalmente accolta, si esclude invece la stessa esistenza dell'olocausto facendo riferimento, di solito, a quelle dottrine secondo cui il genocidio – in particolare quello degli ebrei da parte dei nazisti – non è mai avvenuto o, nel migliore dei casi, è stato dagli storici molto sopravvalutato.
  Il fenomeno del negazionismo si è manifestato con portata e in misura diversa a seconda dei Paesi europei, i quali hanno reagito in tempi e con risposte differenti. Il negazionismo è attualmente punito espressamente in Germania, in Francia, in Austria, in Belgio, in Spagna, in Portogallo e in Svizzera.
  Sono numerose in ambito internazionale le normative che, pur affermando il diritto alla libera manifestazione del pensiero, allo stesso tempo vietano la discriminazione ed in particolare la forma della propaganda razzista, permettendo una deroga o una limitazione della libertà di opinione. Oltre alla Carta delle Nazioni Unite del 1945, ci si riferisce ad esempio alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 (articolo 19), alla Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York nel 1966, al Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (artt. 19 e 20).
  Più recentemente, e in maniera più stringente in funzione antinegazionista, su proposta degli Stati Uniti, è stata approvata (con la sola opposizione dell'Iran) il 26 gennaio 2007 dall'ONU una risoluzione la cui parte dispositiva ha soltanto due paragrafi: «Condanna senza alcuna riserva qualunque negazione dell'Olocausto» e «chiede a tutti gli stati membri di respingere senza riserve ogni negazione, totale o parziale, dell'olocausto come fatto storico e tutte le attività che hanno questo fine». La data della risoluzione non appare casuale in quanto, nel novembre del 2005, dalle Nazioni Unite fu scelto il 27 gennaio come Giornata Internazionale per la commemorazione delle vittime dell'Olocausto.
  Ricorda poi il Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest del 2001 sui crimini informatici, adottata dal Consiglio d'Europa nel 2001, già siglata e ratificata dall'Italia con legge 18 marzo 2008, n. 48.
  Il Protocollo, adottato dal Consiglio d'Europa nel 2003, è stato invece sottoscritto dall'Italia il 9 novembre 2011, ma non ancora ratificato.
  Mentre la Convenzione prevede per i crimini informatici strumenti procedurali e investigativi adeguati ad Internet, il Protocollo addizionale interessa il contrasto a forme di xenofobia e razzismo con i mezzi informatici e comporta, tra l'altro, per gli Stati aderenti l'adozione di norme di diritto interno per la repressione del negazionismo di tutti i genocidi.
  In Europa, a livello sovranazionale, va ricordato il contenuto della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che prevede sia la libertà di espressione e di opinione (articolo 10) che il divieto dell'abuso di diritto (articolo 17).
  La decisione quadro del Consiglio dell'Unione Europea sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia (ora Decisione quadro 2008/913/GAI) mira all'estensione a tutti gli Stati membri della punizione del razzismo e della negazione dei genocidi, in particolare della negazione dell'Olocausto, Pag. 57già reato in altri Paesi membri. La decisione doveva essere attuata entro il 28 novembre 2010.
  L'antecedente normativo della citata decisione quadro è costituito dall'azione comune 96/443/GAI che offre la prima definizione a livello europeo di condotte riconducibili al negazionismo ovvero gli «atti di apologia pubblica, a fini razzisti o xenofobi, dei crimini contro l'umanità e delle violazioni dei diritti dell'uomo, nonché della negazione pubblica dei crimini definiti all'articolo 6 dello Statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga». La relativa punibilità è tuttavia subordinata alla condizione che la negazione «comprenda un comportamento sprezzante e degradante» nei confronti del gruppo che ne è vittima. Il negazionismo non viene quindi punito in quanto tale, come espressione di un'opinione, bensì soltanto se si concretizza nell'indicato comportamento offensivo nei confronti delle vittime.
  In particolare, la decisione quadro prevede come punibili (con pene detentive massime da 1 a 3 anni), in quanto reati penali, determinati atti commessi con intento razzista o xenofobo, tra cui «la apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra, quali definiti agli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, dirette pubblicamente contro un gruppo di persone, o un membro di tale gruppo, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all'ascendenza o all'origine nazionale o etnica, quando i comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all'odio nei confronti di tale gruppo o di un suo membro». Analoga previsione riguarda i crimini definiti all'articolo 6 dello statuto del Tribunale militare internazionale (accordo di Londra dell'8 agosto 1945). Tuttavia, la decisione quadro permette agli Stati membri di limitare ulteriormente l'area della punibilità, potendosi perseguire soltanto i comportamenti atti a «turbare l'ordine pubblico o che siano minacciosi, offensivi o ingiuriosi».
  La Relazione del 27 gennaio 2014 (COM(2014)27) della Commissione Europea (al Parlamento e al Consiglio) sull'attuazione della decisione quadro 2008/913/GAI ha evidenziato che «diversi Stati non hanno recepito in pieno o correttamente tutte le disposizioni della decisione quadro». Eccezion fatta per le previsioni riguardanti le sanzioni penali, per le quali le misure nazionali risultano in linea con quelle contenute nella decisione quadro, la Commissione riferisce che esistono evidenti lacune nell'attuazione delle misure riguardanti soprattutto i reati di negazione, apologia, o minimizzazione grossolana dei crimini previsti, la motivazione razzista e xenofoba dei reati, la responsabilità delle persone giuridiche e la giurisdizione. In particolare, per quanto riguarda la negazione, l'apologia o la minimizzazione del genocidio, dei crimini contro l'umanità e di quelli di guerra definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale(6), a fronte di 8 Stati membri (tra cui Bulgaria, Ungheria, Lettonia Cipro e Slovacchia) che considerano reati questi tre tipi di comportamento, ben 13 Stati (tra cui Regno Unito, Belgio, Germania e Olanda) non prevedono disposizioni penali al riguardo. In altri Stati si menzionano espressamente solo alcuni di questi comportamenti (l’«apologia» in Francia, Spagna, Italia e Polonia, la «negazione» in Portogallo, e in Romania entrambe, seppur con limitazioni(8)). Inoltre, in Spagna e in Italia si fa riferimento al solo crimine di genocidio. Per quanto riguarda i crimini definiti dallo Statuto del Tribunale militare internazionale solo sei Stati membri (tra cui Belgio, Repubblica ceca, Germania, Ungheria e Lettonia), fanno riferimento al «regime nazista» e alla «Germania nazista», come autori dei crimini. In particolare, il Belgio menziona solo il «genocidio», mentre la Repubblica ceca e l'Ungheria il «genocidio» e altri crimini di guerra. Ben quindici Stati membri (tra cui Belgio, Danimarca, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Portogallo, Finlandia) non prevedono disposizioni specifiche che qualifichino come reato l'apologia, la negazione o la minimizzazione dell'Olocausto. Pag. 58In alcuni di essi (Paesi Bassi, Finlandia e Regno unito), tali comportamenti sono oggetto di condanna sulla base di disposizioni di diritto penale riferite in generale all'istigazione, ai contrasti etnici o all'incitamento all'odio.
  L'articolo unico della proposta di legge è suddiviso in due commi.
  Il comma 1 modifica anzitutto l'articolo 3, comma 1, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, che – nel testo modificato da ultimo dalla legge 85 del 2006 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione) – attualmente punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato: alla lett. a), con la pena della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; alla lett. b), con la reclusione da sei mesi a quattro anni, chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
  Il comma 3 dell'articolo 3 della legge n. 654 (il secondo comma è stato soppresso dalla legge Mancino n.  205/1993) vieta, inoltre, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e ne sanziona con pene detentive la partecipazione (da sei mesi a quattro anni) e la promozione o direzione (da uno a sei anni).
  Sul piano nazionale, oltre alla citata normativa, va ricordata la legge 9 ottobre 1967, n. 962 (Prevenzione e repressione del delitto di genocidio) il cui articolo 8 punisce con la reclusione da tre a dodici anni la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli artt. da 1 a 5 della legge). L'articolo 1 punisce gli atti «concreti» volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime; l'articolo 2 punisce la deportazione a fini di genocidio; l'articolo 3 prevede un'aggravante in caso di morte; gli artt. 4 e 5 puniscono il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori.
  Le modificazioni introdotte dalla proposta di legge all'articolo 3 della legge n. 654/1975: circoscrivono – alle lettere a) e b) del comma 1 – la rilevanza penale della istigazione alle sole condotte commesse «pubblicamente»; pertanto in entrambe le lettere, dopo la parola «istiga» è inserita la parola «pubblicamente».
  Le due modificazioni interessano quindi le fattispecie di carattere generale per gli atti discriminatori o di violenza, indicate dalle citate lettere a) e b) della legge 654 di cui è delimitato il campo di applicazione. Prevedono – con un comma aggiuntivo 3-bis - un aumento di pena, nei casi in cui la propaganda, la pubblica istigazione e il pubblico incitamento si fondino «in tutto o in parte sulla negazione della Shoah ovvero dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra» come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (artt, 6, 7 e 8), ratificato dall'Italia con la legge 232 del 1989. Si ricorda che l'utilizzo del termine «Shoah» è già utilizzato dal legislatore italiano.
  La punizione del negazionismo a titolo di aggravante del reato presupposto, come emerge chiaramente dai lavori parlamentari, è mirata ad evitare l'introduzione di un reato di opinione, suscettibile di confliggere con il diritto di manifestazione del pensiero garantito dall'articolo 21 della Costituzione.
  Il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge poi, – secondo quanto emerge dal dibattito svolto al Senato – ha l'obiettivo di assicurare una coerenza sistematica sul piano sanzionatorio. Esso modifica il numero 1) del primo comma dell'articolo 414 del codice penale, riducendo da cinque a tre anni di reclusione il limite massimo di pena previsto per il reato di istigazione a commettere un delitto.
  La giurisprudenza della CEDU individua questioni centrali nell'ambito della riflessione sul reato di negazionismo, come Pag. 59ipotesi in cui si ammette una limitazione della libertà di espressione, tutelata dall'articolo 10 Cedu.
  Con riferimento al provvedimento in esame, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo non pare ostativa rispetto alla modifica proposta.
  Si può, anzi, osservare che vi sono precedenti giurisprudenziali che hanno ritenuto la sanzione imposta dagli ordinamenti degli Stati membri del Consiglio d'Europa all'espressione di opinioni offensive della memoria e dell'identità dei sopravvissuti dell'Olocausto non in contrasto con l'articolo 10 della CEDU. Si consideri, per esempio, la sentenza sul caso Peta Deutschland contro Germania dell'8 novembre 2012, in cui la Corte ha ritenuto che una campagna d'opinione – lanciata da un'associazione per la tutela dei diritti degli animali, nella quale si equiparava la tortura e la strage di animali a quella di persone umane e nella quale entrambe venivano definite «olocausto» – non fosse tutelata dall'articolo 10.
  Con riferimento diretto alla questione del negazionismo, è di particolare rilievo la nota sentenza Garaudy c. Francia del 1998, in cui la Corte dichiara irricevibile la richiesta presentata dal ricorrente (autore di un libro in cui propugnava tesi negazioniste), ritenendo possibile per gli Stati, in presenza di certe condizioni, una limitazione della libera manifestazione del pensiero. La Corte, nella sentenza Garaudy, di fronte alle affermazioni rispetto a cui i ricorrenti lamentano, in particolare, una violazione della libera manifestazione del pensiero, effettua una distinzione che merita di essere ricordata perché citata come precedente in altre sentenze sul negazionismo. I giudici individuano una categoria di fatti storici chiaramente stabiliti – come l'Olocausto – e una categoria di fatti rispetto a cui «è tuttora in corso un dibattito tra gli storici circa come sono avvenuti e come possono essere interpretati». La CEDU affronta la questione dei limiti al dibattito storico sugli avvenimenti della seconda guerra mondiale e, pur considerando necessario per qualsiasi paese il dibattito aperto e sereno sulla propria storia, afferma l'esclusione della garanzia dell'articolo 10 CEDU per il discorso revisionista o negazionista sull'esistenza dell'Olocausto. Secondo tale interpretazione spetta alla Corte, a partire dall'obiettivo perseguito, dal metodo utilizzato e dal contenuto delle affermazioni, valutare se vengono o meno rimessi in discussione dei «fatti storici». Ed è in base a tale ragionamento che la Corte dichiara la richiesta del ricorrente irricevibile, ritenendo che il libro pubblicato da Garaudy avesse come obiettivo di rimettere in discussione l'Olocausto, visto che propugnava tesi negazioniste. Lo scopo – secondo la Corte – non sarebbe dunque la ricerca di una verità, ma riabilitare il regime nazionalsocialista e, di conseguenza, accusare di falsificazione storica le stesse vittime di questo regime. Affermazioni di questo genere, secondo la Corte, «mettono in discussione i valori che fondano la lotta contro il razzismo e l'antisemitismo e sono tali da turbare gravemente l'ordine pubblico. Offendendo i diritti altrui, questi comportamenti sono incompatibili con la democrazia e con i diritti umani e i loro autori perseguono obiettivi, quali quelli vietati dall'articolo 17 CEDU». Pertanto queste affermazioni non rientrano nella tutela dell'articolo 10 CEDU e contrastano con i valori fondamentali della Convenzione, espressi nel Preambolo, ovvero la giustizia e la pace.
  Ulteriormente rilevante è la vicenda che ha formato oggetto della recente sentenza della CEDU nel caso Perin ek c. Svizzera (la pronunzia è del 17 dicembre 2013): il ricorrente Dogu Perin ek era stato condannato dal Tribunale federale svizzero per le sue affermazioni a proposito dei crimini commessi nel 1915 dall'Impero ottomano contro il popolo armeno (il ricorrente non aveva negato tali crimini, ma aveva sostenuto che non si trattasse di genocidio e che si trattasse di uno sterminio giustificato da ragioni belliche). Il codice penale svizzero prevede espressamente come reato (articolo 261 bis, 4o alinea) la condotta di chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo Pag. 60comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l'umanità La Corte EDU ha, in questo caso, adottato una decisione favorevole al ricorrente, sostenendo che la condanna subìta dal Perin ek per contestazione di crimini di genocidio o contro l'umanità è in contrasto con la libertà di espressione.

  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 10.55.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 10.55 alle 11.15.

INDAGINE CONOSCITIVA

  Giovedì 16 aprile 2015. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. – Interviene il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  La seduta comincia alle 13.10.

Indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2798, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all'ordinamento penitenziario per l'effettività rieducativa della pena, e delle abbinate proposte di legge C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti, C. 408 Caparini, C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C.1957 Ermini, C. 1966 Gullo, C. 1967 Gullo, C. 2771 Dorina Bianchi e C. 2777 Formisano.
Audizione di Edmondo Bruti Liberati, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, di Gabriella Manfrin, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano, di Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma e di Fabrizio Gentili, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Roma.

(Svolgimento e conclusione).

  Donatella FERRANTI, presidente, avverte che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  Svolgono una relazione sui temi oggetto dell'audizione Giuseppe PIGNATONE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Fabrizio GENTILI, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Roma, Gabriella MANFRIN, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano e Edmondo BRUTI LIBERATI, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

  Intervengono per porre quesiti e formulare osservazioni i deputati Vittorio FERRARESI (M5S), Anna ROSSOMANDO (PD), Jole SANTELLI (FI-PdL), Alessandro PAGANO (AP), Donatella FERRANTI, presidente, Stefano DAMBRUOSO (SCpI), il sottosegretario di Stato alla giustizia Cosimo Maria Ferri.

  Rispondono ai quesiti posti dell'audizione Giuseppe PIGNATONE, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Fabrizio GENTILI, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Roma, Gabriella MANFRIN, Presidente della Sezione G.I.P. del Tribunale di Milano e Edmondo BRUTI LIBERATI, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano.

  Donatella FERRANTI, presidente, ringrazia gli auditi e dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.35.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

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