CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 17 febbraio 2015
389.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 109

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 17 febbraio 2015. — Presidenza del vicepresidente Paolo TANCREDI.

  La seduta comincia alle 14.10.

Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
Nuovo testo C. 2124 Governo.
(Parere alle Commissioni II e III).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Paolo ALLI (AP), relatore, ricorda che la XIV Commissione Politiche dell'Unione europea avvia l'esame, in sede consultiva, ai fini del parere da rendere alle Commissioni riunite Giustizia e Affari esteri, del disegno di legge «Ratifica ed esecuzione degli Emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005, e norme di adeguamento dell'ordinamento interno», recante l'autorizzazione alla ratifica degli Emendamenti, nonché rilevanti norme di adeguamento dell'ordinamento nazionale necessarie all'attuazione nel nostro Paese del contenuto degli Emendamenti in esame.
  Ricorda che la Convenzione, firmata a Vienna e New York il 3 marzo 1980, è l'unico strumento internazionale vincolante sulla protezione fisica del materiale nucleare e fissa misure relative alla prevenzione, alla detenzione e alla sanzione delle violazioni in tale campo. La Convenzione è in vigore internazionale dall'8 febbraio 1987, mentre è in vigore per l'Italia – che ne ha autorizzato la ratifica con legge 7 agosto 1982, n. 704 – dal 6 ottobre 1991.Pag. 110
  Gli Emendamenti, oggetto del provvedimento in esame, furono approvati da una Conferenza diplomatica convocata nel luglio 2005 allo scopo di modificare la Convenzione e rafforzarne le disposizioni, una necessità via via più sentita dopo gli avvenimenti dell'11 settembre 2001.
  Gli Emendamenti approvati sono 14 ed hanno lo scopo di estendere l'ambito della Convenzione prevedendo la protezione fisica del materiale nucleare usato per scopi pacifici, durante l'utilizzo, l'immagazzinamento o il trasporto, nonché la prevenzione e la punizione dei reati riguardanti detto materiale e i relativi impianti, come precisato nel nuovo articolo 1A introdotto nella Convenzione dopo l'articolo 1.
  Per includere nella protezione, oltre alle materie, anche le installazioni nucleari, è stato innanzitutto modificato il titolo della Convezione ed è stato aggiunto, all'articolo 1, che contiene le definizioni, anche quella di «installazione nucleare». È altresì stata introdotta la definizione di «sabotaggio».
  Gli Stati contraenti hanno l'obbligo di elaborare e attuare misure volte a garantire in modo efficace l'attuazione della Convenzione per prevenire, in particolare, il furto o la sparizione delle materie nucleari di cui sono responsabili, così come il sabotaggio degli impianti nucleari che si trovano sul loro territorio. Gli Stati parte sono interamente responsabili dell'elaborazione, dell'applicazione e della manutenzione di un sistema di protezione fisica sul proprio territorio.
  Per adempiere agli obblighi previsti dalla Convenzione, gli Stati parte devono rispettare un certo numero di «Principi di protezione», introdotti con il nuovo articolo 2A, fra i quali si menzionano quelli della responsabilità dello Stato e dei titolari di licenze e della riservatezza. Tra gli altri Principi, vi è quello della Autorità competente, istituita da ogni Stato parte per attuare il quadro giuridico e normativo, alla quale sono conferite la facoltà, le competenze e le risorse finanziarie per garantire lo svolgimento delle sue funzioni.
  È naturalmente prevista la cooperazione tra gli Stati parte in caso di furto o sabotaggio o di rischio di tali evenienze. La cooperazione avviene in forma di scambio di informazioni con la garanzia della riservatezza delle stesse in rapporto a terzi. I reati previsti dalla Convenzione possono dare luogo a procedure di estradizione tra gli Stati membri. I motivi politici dell'infrazione non possono essere causa di rifiuto dell'estradizione o dell'aiuto giudiziario.
  Il provvedimento in esame, nel testo risultante dagli emendamenti approvati, si compone di 12 articoli (11 nel testo originario); in sede referente sono stati approvati emendamenti modificativi agli articoli 8 e 10 del disegno di legge ed è stato introdotto l'articolo aggiuntivo 10-bis.
  Gli articoli 1 e 2 recano, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione degli emendamenti alla Convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari del 3 marzo 1980, adottati a Vienna l'8 luglio 2005.
  L'articolo 3 reca alcune definizioni, in aggiunta a quelle già contenute nella Convenzione. In particolare, la «protezione fisica attiva» è la protezione fornita dalle forze dell'ordine per proteggere le materie nucleari da atti di sottrazione illecita e le materie e le installazioni da atti di sabotaggio.
  L'articolo 4, comma 1 individua le autorità competenti, in ottemperanza all'articolo 2A della Convenzione. Le autorità competenti sono: il Ministero degli esteri, che funge anche da punto di contatto, ed esplica i compiti descritti nell'articolo 5 della Convenzione; il Ministero degli interni, che collabora con il Ministero degli esteri ed è competente per la protezione fisica attiva. Tra le autorità competenti sono elencati anche il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente. Il comma 2 individua i compiti dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in relazione all'attuazione degli Emendamenti in esame, che risultano essere: controlli sulla protezione fisica passiva eseguiti dagli ispettori dell'ANPA (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente); formulazione di pareri tecnici ai quattro Pag. 111Dicasteri indicati al precedente comma 1; accertamento degli illeciti amministrativi previsti dal successivo articolo 10.
   L'articolo 5, comma 1 assegna al Ministero dell'interno il compito di definire gli scenari di riferimento della minaccia alle materie e alle installazioni nucleari al fine di predisporre i piani di protezione fisica. Tali piani devono essere comunicati al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero dell'ambiente e all'ISPRA. Il comma 2 prevede l'emanazione di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, su proposta dell'ISPRA e di concerto con i Ministri dell'interno e dell'ambiente, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica in esame. Tale decreto dovrà indicare i requisiti di protezione fisica passiva e le modalità di redazione dei relativi piani.
  L'articolo 6 sancisce la necessità per l'esercente di installazioni nucleari di ottenere un'autorizzazione (nulla osta) per la protezione fisica passiva delle materie e delle istallazioni nucleari, e definisce i termini per il suo rilascio. Analoghe disposizioni (il rilascio di un attestato da parte del Ministero dello sviluppo economico, previo parere obbligatorio dell'ISPRA) sono previste per il vettore che deve trasportare materiale nucleare. Sulla base dei piani di protezione fisica presentati dall'esercente il Ministero dell'interno stabilisce i livelli di protezione fisica attiva necessari, e, se del caso, autorizza il programma di trasporto dei materiali.
  L'articolo 7 affida al Ministero dell'interno il coordinamento dei piani di intervento per il recupero e la messa in sicurezza delle materie nucleari, anche a seguito delle comunicazioni previste dal decreto legislativo n. 230 del 1995 che reca disposizioni in merito a smarrimento, perdita, ritrovamento di materie radioattive, e che prevede appunto che il ritrovamento di materiale radioattivo deve essere comunicato immediatamente alla più vicina autorità di pubblica sicurezza. Restano fermi comunque gli obblighi di informazione alla popolazione sui rischi in caso di emergenza e sui comportamenti da mettere in atto.
  L'articolo 8 del disegno di legge, modificato nel corso dell'esame in Commissione, introduce una nuova fattispecie penale e attribuisce la relativa competenza al tribunale in composizione collegiale. In particolare, il comma 1, inserisce nel codice penale l'articolo 433-bis che disciplina il nuovo delitto di «attentato alla sicurezza delle installazioni nucleari» e lo punisce con la reclusione da 4 a 8 anni (da due a sei anni, nel testo originario). Se dalla condotta di pericolo deriva un disastro, la pena è la reclusione da 5 a 20 anni (da quattro a dodici anni, nel testo originario). Il comma 2 dell'articolo 8 modifica invece l'articolo 33-bis del codice di procedura penale per inserire il nuovo delitto tra quelli attribuiti alla competenza del tribunale in composizione collegiale.
  L'articolo 9 riguarda l'inosservanza del contenuto delle autorizzazioni: il comma 1 prevede che l'ISPRA, in caso di inosservanza delle disposizioni contenute nelle autorizzazioni, formuli specifiche prescrizioni per il ripristino delle condizioni previste nelle autorizzazioni medesime, e comunichi con tempestività al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero dell'interno e al Ministero dell'ambiente le infrazioni riscontrate e le prescrizioni impartite – ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al successivo articolo 10, comma 2. Il comma 2 stabilisce che, in difetto di adempimento delle prescrizioni impartite, il Ministero dello sviluppo economico, sentito il titolare del provvedimento autorizzativo e delle connesse prescrizioni, d'intesa con il Ministero dell'interno e su segnalazione dell'ISPRA, dispone la sospensione del provvedimento autorizzativo. Il comma 3 prevede che, qualora si sia in presenza di gravi e reiterate inosservanze, si proceda alla revoca dell'autorizzazione, che viene operata dal Ministero dello sviluppo economico, d'intesa con i Ministeri dell'interno e dell'ambiente, previo parere obbligatorio dell'ISPRA. Infine, in base al comma 4, nei provvedimenti di sospensione Pag. 112o revoca di cui ai due commi precedenti vanno indicate ove necessario le disposizioni da adottare per la protezione fisica dei materiali radioattivi, la tutela sanitaria dei lavoratori e la protezione della popolazione e dell'ambiente.
  L'articolo 10 del disegno di legge, modificato nel corso dell'esame in Commissione, sanziona con illeciti penali e amministrativi l'uso non autorizzato di materiale nucleare, con le conseguenze che ciò può provocare nell'uomo e nell'ambiente.
  Ad oggi, si tratta di condotte riconducibili all'articolo 3 della legge n. 704 del 1982 (di ratifica della precedente Convenzione di New York del 1980 sulla protezione fisica dei materiali nucleari), che viene dunque abrogato dall'articolo 11.
   L'articolo 10, comma 1, disciplina la nuova fattispecie di illecito penale di «traffico e abbandono di materie nucleari o di materiali ad alta radioattività» (nuovo articolo 437-bis del codice penale), con cui si punisce chiunque – abusivamente o comunque in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative – utilizza, cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce o disperde nell'ambiente materie nucleari di qualsiasi tipo idoneo a cagionare la morte o lesioni personali di una o più persone o rilevanti danni alle cose o all'ambiente o comunque materiali ad alta radioattività. La pena detentiva prevista è da 2 a 6 anni e multa da 10.000 a 50.000 euro ed è applicabile anche al detentore che abbandona le materie o che se ne disfa illegittimamente. La pena detentiva è identica a quella prevista per l'attentato alle installazioni nucleari; è aggiunta la multa.
  Il comma 2 aggrava il reato quando il pericolo da astratto diviene concreto e riguarda un danno all'ambiente. In questo caso la pena è la reclusione da 8 a 20 anni (da tre a sette anni, nel testo originario) e la multa da 80.000 a 500.000 euro (da 50.000 a 300.000 euro, nel testo originario). La pena è aumentata fino alla metà se dal fatto deriva pericolo per la vita o per l'incolumità delle persone. In particolare, si applica l'aggravante quando sussiste pericolo di compromissione o deterioramento della qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque o dell'aria, dell'ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna selvatica.
  Infine, il comma 3 introduce due illeciti amministrativi a carico dei soggetti autorizzati alla gestione del materiale nucleare: in caso di mancato rispetto dell'autorizzazione, sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro (da 3.000 a 15.000 euro, nel testo originario); in caso di mancato rispetto delle prescrizioni impartite a seguito dell'accertamento dell'inosservanza dell'autorizzazione, ovvero delle disposizioni volte a ripristinare le condizioni previste nell'autorizzazione stessa (articolo 9), sanzione amministrativa pecuniaria da 8.000 a 50.000 euro (da 5.000 a 30.000 euro, nel testo originario).
  Da ultimo, il nuovo articolo 10-bis, introdotto in Commissione, modifica il decreto legislativo n. 231 del 2001 con riguardo alla responsabilità amministrativa dell'ente derivante da reati ambientali. Il nuovo «delitto di traffico e abbandono di materie nucleari o di materiale ad alta radioattività» (nuovo articolo 437-bis del codice penale) – introdotto all'articolo 10 del disegno di legge in esame – viene inserito all'articolo 25-undecies quale fattispecie di illecito punibile con sanzione pecuniaria da duecentocinquanta a seicento quote.
  Richiama in conclusione l'attenzione dei colleghi sul fatto che, a seguito della recente ratifica da parte irlandese, l'Italia è rimasta l'unico Paese dell'Unione Europea a non aver ancora ratificato l'Emendamento del 2005. Come emerso nel corso dell'esame in sede referente, evidenzia che il Ministro degli Affari esteri – in una nota trasmessa alla Camera – auspica una conclusione dell'iter legislativo prima della Conferenza di Riesame del Trattato di Non Proliferazione Nucleare in programma a New York nell'aprile 2015 e che – in ambito UE – vi è una crescente preoccupazione per il ritardo dell'Italia, in quanto si può procedere al deposito congiunto Pag. 113della ratifica solo nel caso in cui vi sia l'unanimità delle ratifiche da parte di tutti gli Stati membri dell'Unione.
  Non essendovi – oltre alla situazione testé richiamata – ulteriori questioni di specifico interesse della XIV Commissione, formula sin d'ora una proposta di parere favorevole.
  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.

DL 3/2015: Misure urgenti per il sistema bancario e gli investimenti.
C. 2844 Governo.
(Parere alle Commissioni VI e X).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 10 febbraio 2015.

  Chiara SCUVERA (PD) premesso che il provvedimento in esame è volto ad adeguare il sistema bancario nazionale al contesto europeo, ricorda che la riforma prevista interviene in particolare sulle banche popolari, trasformandole in società per azioni, democratizzandone la governance e rendendo maggiormente incisiva la vigilanza su tali Istituti.
  Richiama tuttavia l'attenzione dei colleghi sull'articolo 3 del decreto-legge, che attribuisce a SACE S.p.a. – che attualmente opera a supporto dell’export e dell'internazionalizzazione dell'economia italiana – una competenza creditizia. Nasce in tal modo una nuova banca pubblica. Si tratta di una novità che non valuta pregiudizialmente e che richiama il sistema pubblico di investimenti statunitense. Ove, tuttavia, vi fosse accesso al credito pubblico per le piccole e medie imprese, occorre comprendere se non si determini un problema di compatibilità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Ritiene opportuna una riflessione sul punto.
  Si sofferma quindi sulle disposizioni recate dall'articolo 4 in materia di piccole e medie imprese innovative. Si istituisce presso le Camere di Commercio una apposita sezione speciale del Registro delle imprese, a cui le PMI innovative debbono essere iscritte per l'utilizzo di strumenti e agevolazioni già previste per le startup innovative, quali ad esempio il crowdfunding.
  I requisiti per l'iscrizione a tale registro sono un determinato volume di spesa in ricerca e sviluppo, l'impiego di personale qualificato e l'avvenuto deposito di un brevetto industriale direttamente afferente all'attività di impresa. Rileva come tale disposizione – seppure meritoria, in quanto volta a favorire le PMI innovative – rischi in realtà di irrigidire ulteriormente il sistema. L'istituzione di un'apposita sezione del Registro delle imprese, cui accedere mediante il possesso di requisiti che potrebbero essere interpretati in maniera formalistica, non garantisce infatti l'innovatività effettiva di un'impresa. La nuova disciplina pone peraltro interrogativi, a suo avviso, rispetto al rispetto del principio della concorrenza e riterrebbe opportuno verificare cosa avviene negli altri paesi europei, al fine di valutare se altrove siano adottati modelli più flessibili di incentivi. Ricorda che l'innovazione è una qualità delle imprese, non sempre riconducibile a rigidi criteri formali.

  Rocco BUTTIGLIONE (AP) richiama in primo luogo la relazione illustrativa del Governo al provvedimento, laddove si dice che «sia il Fondo monetario internazionale, sia l'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica, sia le Istituzioni dell'Unione europea da tempo caldeggiano la trasformazione delle Banche popolari maggiori in società per azioni». Sarebbe curioso di conoscere le fonti di tale affermazione, poiché personalmente non è mai stato a conoscenza del fatto che l'Europa chiedesse un intervento in tal senso.
  Quanto alle motivazioni addotte per sostenere l'opportunità di una trasformazione delle banche popolari in società per azioni, sono sostanzialmente due. La prima è la necessità di un consolidamento Pag. 114patrimoniale di tali istituti; eppure le banche popolari hanno tutte – benché la relazione non ne faccia parola – superato lo stress test sulla solidità delle banche italiane condotto dalla BCE.
  La seconda motivazione è che si debba migliorare la quantità di credito erogato: in realtà, i dati ci dicono che negli ultimi anni le banche popolari hanno ampliato del 15 per cento la quantità di credito concesso. Anche su ciò invita i colleghi ad una riflessione, ritenendo che vi sia poca chiarezza politica sugli interventi prospettati.
  Si sofferma poi sulle disposizioni recate dall'articolo 5 che, lodevolmente, intendono valorizzare il sistema brevettuale italiano. A tal fine, ai commi 2 e 3, si prevede di assegnare alla Fondazione Istituto italiano di tecnologia compiti per la commercializzazione dei brevetti. Esprime perplessità circa il fatto che l'Istituto sia il soggetto adeguato per svolgere tali funzioni, né è chiaro se di tale attribuzione l'Istituto medesimo sia soddisfatto.

  Gea SCHIRÒ (PD) ricorda che nel corso dell'audizione del Prof. Cingolani, Direttore scientifico dell'Istituto, questi si era dichiarato particolarmente orgoglioso dei compiti di gestione dei brevetti, sebbene consapevole delle complessità di tali funzioni.

  Marco BERGONZI (PD) esprime alcune perplessità in ordine al superamento degli otto miliardi di attivo quale criterio previsto per selezionare gli Istituti che debbono trasformarsi in società per azioni. Si chiede in proposito perché si sia scelta una cifra e non piuttosto una situazione oggettiva, quale ad esempio quella della quotazione o meno in borsa, per individuare gli Istituti. Si sarebbe a suo avviso trattato di un discrimine ben più incisivo e pertinente.

  Paolo TANCREDI, presidente, ritiene utile ed opportuno il dibattito svoltosi, sebbene si sia spesso andati oltre le competenze della XIV Commissione.
  Concorda con le argomentazioni dei colleghi Scuvera e Buttiglione e ritiene, con riferimento alla riforma delle banche popolari, che ciò che manca nell'iniziativa del Governo è una prospettiva di scenario. Se è vero, infatti, che l'intervento proposto consente una maggiore liberalizzazione dei capitali bancari, esso tuttavia, contemporaneamente, ridurrà fatalmente il credito dei dieci istituti coinvolti. Per sua natura, la banca popolare è portata ad agire maggiormente sul credito rispetto ad una società per azioni che ha più ampie modalità di intervento. Non vi è quindi dubbio che questo provvedimento diminuirà, almeno nel medio termine, l'erogazione di credito.
  Più in generale ritiene che occorra comprendere in quale direzione ci si muova, ovvero che cosa si voglia fare della cosiddetta banca di territorio che nasce, come è noto, da un'iniziativa sociale, dall'aggregazione di persone, aziende, professioni. È questo il tema che deve interessare e preoccupare il legislatore e che è strettamente connesso alle tematiche europee dell'unione bancaria e della vigilanza. Ritiene che in realtà l'intervento prospettato, attraverso la lotta al voto capitario, sia l'espressione di un attacco indiscriminato, che ormai avviene in molti ambiti, al principio della rappresentanza, del quale le banche popolari sono senz'altro espressione.
  È una scelta che si può o meno condividire, ma che presuppone e necessità l'individuazione di un'alternativa, di un disegno più ampio dello scenario che si vuole configurare.
  Anche sul tema del criterio degli otto miliardi di attivo condivide le perplessità manifestate dai colleghi poiché, così come definito, tale discrimine non appare integrato ad una logica europea né con le politiche di vigilanza.
  Invita in conclusione i colleghi a seguire il dibattito che su questi argomenti si sta svolgendo presso le commissioni di merito, anche attraverso le numerose audizioni in programma.

Pag. 115

  Marina BERLINGHIERI (PD), relatore, prende atto dei numerosi spunti di riflessione emersi nel corso del dibattito, che meritano adeguato approfondimento.

  Paolo TANCREDI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.55.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 17 febbraio 2015. — Presidenza del vicepresidente Paolo TANCREDI.

  La seduta comincia alle 14.55.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della decisione quadro 2006/960/GAI relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence tra le autorità degli Stati membri dell'Unione europea incaricate dell'applicazione della legge.
Atto n. 136
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Marco BERGONZI (PD), relatore, ricorda che la Commissione avvia l'esame, ai fini del parere da rendere al Governo, dello schema di decreto legislativo n. 136 volto a dare attuazione alla decisione quadro 2006/960/GAI del 18 dicembre 2006 relativa alla semplificazione dello scambio di informazioni e intelligence in ambito europeo (la cosiddetta «Iniziativa svedese» in quanto derivante da una proposta del Governo svedese).
  Ricorda inoltre che lo schema di decreto in esame è adottato in base all'articolo 6 della legge n. 154 del 2014 (legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre), che delega il Governo ad attuare la Decisione quadro 2006/960/GAI, riproducendo l'articolo 51 della legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009) che prevedeva analoga delega al Governo, mai esercitata.
  Nel dare attuazione a quanto disposto dalla decisione quadro 2006/960/GAI, il Governo deve attenersi – oltre che ai principi ed ai criteri direttivi generali di cui alla legge n. 234 del 2012 – anche ai principi e criteri direttivi specifici, individuati al comma 3 dell'articolo 6 della legge n. 154 del 2014.
  La decisione quadro prevedeva che gli Stati membri adottassero le misure necessarie per conformarsi entro il 19 dicembre 2008. Tuttavia, in base delle disposizioni del Trattato di Lisbona (Protocollo n. 36), fino al termine del periodo transitorio (1o dicembre 2014), relativamente agli atti adottati nell'ambito del c.d. terzo pilastro (come quello in esame) non erano disponibili meccanismi coercitivi nei confronti degli Stati membri inadempienti. A partire dal 1o dicembre 2014, invece, la Commissione europea ha facoltà di avviare procedure di infrazione (ex articolo 258 TFUE) e la Corte di Giustizia ha piena competenza nel settore della cooperazione di polizia e della cooperazione giudiziaria in materia penale.
  Il termine per l'esercizio della delega previsto dalla legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre è di sei mesi dall'entrata in vigore della medesima legge (12 novembre 2014), ossia entro il 12 maggio 2015.
  Prima di procedere all'esame del contenuto del provvedimento, intende ricordare che la condivisione di informazioni costituisce uno degli elementi principali della cooperazione di polizia tra i Paesi membri dell'Unione europea e che il recepimento della decisione consente di reimpostare la cooperazione di polizia utilizzando i canali di comunicazione esistenti con l'introduzione di una procedura unica e di termini stringenti per lo scambio di informazioni. A tale proposito richiamo il Modello europeo di scambio di informazioni (European Information Exchange Model – EIXM) basato sul Trattato di Prüm del 2005 (ratificato dall'Italia Pag. 116con la legge 30 giugno 2009, n. 85) e sull'iniziativa svedese. Del modello fa parte anche la raccolta dei dati dei passeggeri dei voli aerei (Passenger Name Record – PNR) tuttora in fase di proposta.
  Per quanto riguarda i profili attinenti alla compatibilità comunitaria del provvedimento, richiama alcuni documenti, attualmente all'esame delle istituzioni dell'Unione europea, riguardanti temi connessi con il provvedimento in esame.
  In particolare, ricorda la proposta di regolamento COM(2013)173 volta a fornire un nuovo quadro giuridico all'Ufficio europeo di polizia (Europol) per renderlo più efficace nelle attività di raccolta e analisi delle informazioni e nella condivisione di tali analisi con gli Stati membri.
  Inoltre, è in via di ridefinizione il quadro giuridico di Eurojust con la proposta di regolamento COM(2013)535 presentata dalla Commissione europea nel luglio del 2013, volta a aumentare l'efficienza e l'efficacia operativa di Eurojust.
   È inoltre all'esame delle Istituzioni legislative europee una proposta di direttiva COM(2012)10, concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, volta a sostituire la decisione quadro 2008/977/GAI. La proposta fa parte di un pacchetto normativo che include anche una proposta di regolamento COM(2012)11, concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati, volta a sostituire la direttiva 95/46/CE.
  Nel 2011 è stata presentata dalla Commissione europea la proposta di direttiva COM(2011)032 sull'uso dei dati del codice di prenotazione (Passenger Name Record – PNR) – alla quale accennavo prima – a fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei reati gravi.
   Passando allo schema di decreto in esame, ricorda che il provvedimento si compone di 23 articoli suddivisi in sei capi, che illustro sinteticamente, rinviando alla scheda predisposta dal Servizio Studi per un'analisi più dettagliata.
  Il Capo I contiene disposizioni di carattere generale, attinenti principalmente agli obiettivi del decreto e alla introduzione di norme definitorie.
  Lo scopo del decreto è di semplificare lo scambio di informazioni e intelligence (articolo 1, comma 1), per una più incisiva cooperazione nel contrasto ai fenomeni delinquenziali più pericolosi, quali il terrorismo e la criminalità organizzata.
  Per quanto riguarda i soggetti tenuti a trasmettere e a richiedere le informazioni, essi sono individuati nelle forze di polizia di cui al comma 1 dell'articolo 16 della legge n. 121 del 1981 (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza) restando invece escluse le forze di polizia di cui al secondo comma del medesimo articolo (Polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato). Sono espressamente esclusi i servizi di informazione e sicurezza.
  Il decreto si applica non solamente nei confronti dei Paesi dell'Unione europea (articolo 1, comma 1), ma anche dei Paesi associati all'acquis di Schengen, che attualmente sono Svizzera, Islanda, Norvegia e Liechtenstein (articolo 2, comma 5). Inoltre, le disposizioni del decreto non pregiudicano l'applicazione di accordi o intese sottoscritte con altri Paesi, anche non appartenenti all'Unione europea, in materia di reciproca assistenza giudiziaria o il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale, purché queste non siano in contrasto con la decisione quadro (articolo 1, comma 2).
  Le informazioni sono scambiate anche con Europol e Eurojust (articolo 2, comma 4).
  A tale riguardo, ricordo che Europol (operativa dal 1999) è l'Agenzia europea finalizzata alla lotta al crimine nell'Unione europea con l'obiettivo di migliorare l'efficienza dei servizi competenti degli Stati membri e la loro cooperazione, nella prevenzione e nella lotta contro specifici reati. Diversamente, Eurojust (istituita nel 2002) promuove il coordinamento di indagini e procedimenti giudiziari fra gli Stati membri Pag. 117dell'Unione europea nella loro azione contro le forme gravi di criminalità organizzata e transfrontaliera.
  I commi 3 e 4 dell'articolo 1 recano le definizioni degli istituti e fattispecie disciplinate dal provvedimento. Di particolare rilievo appare l'introduzione del concetto di «mezzi coercitivi» di reperimento delle informazioni, consistenti nelle attività di reperimento di informazioni sia nell'ambito del procedimento penale, sia fuori, che devono essere disposti dall'Autorità giudiziaria (o altra autorità amministrativa), e che altrimenti non sono acquisibili dalle forze di polizia. Un'altra definizione riguarda il «catalogo dei reati» per i quali si applica la decisione quadro sullo scambio di informazioni.
  Il Capo II disciplina in concreto le modalità attraverso le quali le forze di polizia italiane presentano richiesta di informazioni alle autorità competenti di altri Paesi.
  In particolare, l'articolo 3 individua i soggetti competenti e i presupposti della richiesta di informazioni: si tratta delle autorità nazionali competenti, ossia, come si è detto, le forze di polizia. La richiesta deve essere finalizzata all'individuazione, la prevenzione o l'indagine su un reato. L'articolo 4 (corrispondente agli articoli 5 e 6 della decisione) reca le modalità di presentazione della richiesta di informazioni, distinguendo una procedura ordinaria e una di urgenza. L'articolo 5 (corrispondente ai paragrafi 3 e 4 dell'articolo 8 e all'articolo 9 della decisione quadro), recepisce il principio che le informazioni ricevute dallo Stato italiano sono utilizzate esclusivamente per le finalità per cui sono richieste e disciplina le eventuali deroghe a tale principio. Inoltre, le eventuali e ulteriori condizioni e restrizioni che le legislazioni possono imporre (come previsto dalla decisione quadro all'articolo 8, paragrafo 4) sono derogabili (comma 3) esclusivamente in presenza di obblighi di informazione, sanciti da disposizioni del nostro ordinamento, nei confronti di: Parlamento (e quindi, anche le commissioni di inchiesta); Autorità giudiziaria; e organismi indipendenti, istituiti per legge, competenti ad esercitare compiti di controllo sulle autorità nazionali competenti (ossia sulle forze di polizia).
  Segnalo che tale ultima fattispecie, prevista dall'articolo 8, paragrafo 4, della decisione quadro, non sembra avere riscontro nell'ordinamento italiano.
  L'articolo 6 disciplina l'utilizzabilità delle informazioni così acquisite da Stati esteri nell'ambito di procedimenti penali interni.
   Il Capo III dello schema di decreto disciplina la richiesta di informazioni o intelligence avanzata da parte di altro Stato membro o associato Schengen nei confronti delle competenti autorità italiane.
  La sezione I, in particolare, è dedicata alle condizioni di ammissibilità della richiesta, che sono di tipo soggettivo (la richiesta di informazioni deve provenire dall'autorità competente incaricata dell'applicazione della legge o dal punto di contatto dello Stato membro, articolo 7) e di tipo oggettivo (le informazioni suscettibili di essere comunicate devono essere nella disponibilità delle autorità nazionali competenti, anche se acquisite con mezzi coercitivi precedentemente alla richiesta). Viene inoltre specificato che uno Stato membro non può liberamente utilizzare le informazioni comunicate come prove dinanzi ad un'autorità giudiziaria, in quanto è necessaria una preventiva autorizzazione da parte dello Stato informatore, disciplinata ai sensi del successivo articolo 15 (articolo 8). L'articolo 9 individua i casi in cui le autorità nazionali competenti possono rifiutare la comunicazione delle informazioni richieste da un altro Stato (ove sussista il segreto di Stato sulle informazioni o intelligence richiesti; ove, pur non sussistendo il segreto di Stato, le informazioni, se comunicate, sono suscettibili di recare un danno per la sicurezza della Repubblica; ove sussista il segreto relativo allo svolgimento di indagini penali ai sensi del codice di procedura penale).
  La sezione II disciplina il procedimento da seguire in caso di richiesta di informazioni o intelligence alle autorità italiane. L'articolo 10 subordina la risposta Pag. 118delle autorità nazionali al rispetto di alcune forme della richiesta, nei termini temporali definiti dall'articolo 11. Se la richiesta di informazioni ha carattere d'urgenza, l'articolo 12 delinea una procedura speciale in base alla quale la risposta è trattata dal Dipartimento di Pubblica sicurezza del Ministero, ed è data entro 8 ore. Se il Dipartimento di Pubblica Sicurezza non è in condizione di rispondere nei termini previsti dovrà darne comunicazione al richiedente, specificando le ragioni del ritardo. La disposizione specifica che comunque la comunicazione dovrà essere effettuata entro 3 giorni dalla richiesta.
  Segnalo in proposito che il testo dello schema di decreto non chiarisce se l'autorità nazionale sia obbligata entro 3 giorni a rispondere alla richiesta fornendo le informazioni, come richiede l'articolo 4, paragrafo 2, della decisione-quadro, ovvero a comunicare le ragioni della mancata risposta o del ritardo.
  Se la richiesta di informazioni attiene ad atti d'indagine coperti dal segreto (in base al codice di procedura penale), le informazioni potranno essere comunicate solo con il consenso dell'autorità giudiziaria competente; quest'ultima, in base all'articolo 13, potrà negare l'autorizzazione con decreto motivato.
  Gli articoli 14 e 15 attengono all'utilizzazione, da parte dello Stato estero richiedente, delle informazioni acquisite in Italia. In particolare, l'articolo 14 stabilisce che le informazioni dovranno essere utilizzate esclusivamente per le finalità per le quali sono state fornite, nonché, eventualmente, per la prevenzione di un pericolo grave e immediato per la sicurezza pubblica. Se le informazioni acquisite in Italia dovranno essere utilizzate come prove in un procedimento penale nello Stato membro richiedente, in base all'articolo 15 l'autorizzazione dovrà essere rilasciata dall'autorità giudiziaria, con gli strumenti previsti dalla cooperazione giudiziaria.
  Il Capo IV attiene allo scambio spontaneo di informazioni o intelligence.
  L'articolo 16 prevede in quali ipotesi le competenti autorità nazionali di polizia possono procedere di propria iniziativa allo scambio di informazioni con le omologhe autorità straniere.
  Il Capo V detta disposizioni in materia di protezione dei dati personali, specificando, all'articolo 17, che i dati trattati in attuazione del decreto legislativo sullo scambio di informazioni e intelligence devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità connesse alle indagini penali e alle operazioni di intelligence criminale. Si applicano le disposizioni del Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003) relative al trattamento dati da parte delle forze di polizia e si individuano nelle forze di polizia e nel Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell'Interno i titolari dei trattamenti (articolo 18). L'articolo 19 disciplina la procedura da seguire in presenza di informazioni errate, ovvero quando le autorità nazionali competenti si accorgono che i dati trasmessi all'estero, ovvero i dati ricevuti da altro Stato membro, sono inesatti. L'articolo 20 riconosce ai soggetti interessati dai trattamenti di dati personali i diritti previsti dalla legge n. 121 del 1981 relativamente alle attività effettuate attraverso il CED Interforze, ossia la banca dati delle forze di polizia. Per quanto riguarda le modalità tecniche di archiviazione dei dati, l'articolo 21 rimanda alle disposizioni del Codice della privacy che regolano la sicurezza dei dati e dei sistemi ma stabilisce anche che tanto la polizia quanto il Dipartimento di Pubblica Sicurezza debbano registrare, per quanto di rispettiva competenza, le comunicazioni di informazioni o intelligence in appositi «file di log». Dal richiamo al Codice della privacy deriva anche la previsione dell'articolo 22 dello schema, che individua nel Garante per la protezione dei dati personali l'autorità competente ad effettuare il controllo sul trattamento dati.
  Infine, nel Capo VI contenente le norme finali, l'articolo 23 reca la clausola di neutralità finanziaria, per cui le amministrazioni competenti devono provvedere all'attuazione delle disposizioni con le risorse disponibili a legislazione vigente.

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  Rocco BUTTIGLIONE (AP) richiama l'attenzione dei colleghi sul fatto che la Commissione sta oggi esaminando uno schema di decreto volto a dare attuazione ad una decisione quadro risalente al 2006. Ritiene che sarebbe opportuno valutare la possibilità di una attivazione, all'interno dei Trattati, di una passerella per procedere alla comunitarizzazione di questo tipo di decisioni. In tal senso il Governo dovrebbe farsi parte diligente in seno al Consiglio europeo, anche alla luce dei gravi fatti di terrorismo che hanno di recente colpito l'Europa.

  Chiara SCUVERA (PD) condivide il rilievo formulato dall'onorevole Buttiglione e ritiene che il rafforzamento della cooperazione tra Stati equivalga a rafforzare politiche di pace.

  Marco BERGONZI (PD), relatore, sottolinea il rilievo del provvedimento in esame. Prende quindi atto delle osservazioni formulate, delle quali terrà senz'altro conto nella stesura della proposta di parere.

  Paolo TANCREDI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.10.