CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 2 dicembre 2014
348.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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INDAGINE CONOSCITIVA

  Martedì 2 dicembre 2014. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 15.35.

Sull'attuazione e l'efficacia delle politiche UE in Italia.
(Deliberazione di una proroga del termine).

  Michele BORDO, presidente, ricorda che lo scorso 10 giugno 2014 la Commissione ha deliberato lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sull'Attuazione e l'efficacia delle politiche UE in Italia, fissando il termine per la conclusione al 30 novembre.
  Nella riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, svoltasi il 18 novembre scorso, si è convenuto sull'opportunità di prorogare il termine per la conclusione dell'indagine al 31 marzo 2015.
  Essendo stata acquisita l'intesa con il Presidente della Camera di cui all'articolo 144 del Regolamento, propone di deliberare la proroga del termine dell'indagine conoscitiva in titolo a tale data.

  La Commissione approva.

  La seduta termina alle 15.40.

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SEDE CONSULTIVA

  Martedì 2 dicembre 2014. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 15.40.

DL 168/2014: Proroga di termini previsti da disposizioni legislative concernenti il rinnovo dei Comitati degli italiani all'estero e gli adempimenti relativi alle armi per uso scenico, nonché ad altre armi ad aria compressa o gas compresso destinate all'attività amatoriale e agonistica.
C. 2727 Governo.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michele BORDO, presidente, intervenendo in sostituzione della relatrice, onorevole Berlinghieri, ricorda che il decreto-legge n. 168 si compone di tre articoli – di cui due di natura sostanziale – contenenti disposizioni di proroga o differimento di termini.
  Prima di procedere ad una sintetica illustrazione del contenuto del provvedimento, segnala che l'articolo 2, comma 75 del disegno di legge di stabilità per il 2015 (C. 2679-bis-A) – approvato dalla Camera nella seduta del 30 novembre – riproduce in maniera sostanzialmente identica l'articolo 1 del decreto-legge in esame.
  L'articolo 1 rinvia al 17 aprile 2015 le elezioni per il rinnovo dei Comitati degli Italiani residenti all'estero (COMITES), già indette per il 19 dicembre 2014, al fine di garantire la più ampia partecipazione alle votazioni da parte dei cittadini residenti all'estero e di accordare un termine più ampio per esprimere la volontà di partecipare al voto secondo la disciplina recentemente introdotta.
  In particolare, il comma 1 dispone il rinvio della data delle votazioni, posticipando ulteriormente le consultazioni programmate entro il 2014, secondo quanto previsto dal decreto-legge n. 67 del 2012 (convertito con modificazioni dalla legge n. 118 del 2012). Conseguentemente, si rinvia al 18 marzo 2015 il termine per la presentazione della domanda di iscrizione all'elenco elettorale. All'attuazione del disposto del comma 1 si provvede con gli stanziamenti disponibili a legislazione vigente, consentendo altresì che le somme non impegnate entro il 31 dicembre 2014 possano essere impegnate nell'esercizio finanziario 2015.
  Il comma 2 è volto a compensare gli effetti finanziari (pari a 1.103.191 euro per il 2015) del comma 1 sui saldi di finanza pubblica – in particolare proprio della possibilità di impegnare nel 2015 le somme non impegnate nel 2014 –: a tale scopo si provvede con utilizzo del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente e derivanti dall'attualizzazione di contributi pluriennali, Fondo previsto dal comma 2 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 154 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge 189/2008.
  Ricorda che i COMITES sono organismi rappresentativi eletti direttamente dagli italiani residenti all'estero in ciascuna circoscrizione consolare ove risiedono almeno tremila connazionali, ovvero nominati dall'autorità diplomatico-consolare nelle circoscrizioni nelle quali vivano meno di tremila cittadini italiani.
  I COMITES, istituiti originariamente dalla legge n. 205 del 1985, sono attualmente disciplinati dalla legge 23 ottobre 2003, n. 286 e dal decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2003, n. 395 (regolamento di attuazione). Tra gli elementi di maggiore rilievo della disciplina segnalo l'introduzione del voto per corrispondenza per l'elezione dei Comitati; la legge rinvia alle procedure previste dalla legge n. 459 del 2001, che ha dettato le disposizioni necessarie per la partecipazione dei cittadini italiani residenti all'estero alle elezioni politiche nazionali ed alle consultazioni referendarie.
  I Comitati sono composti da 12 membri o da 18 membri, a seconda che vengano eletti, su base quinquennale in circoscrizioni Pag. 26consolari con un numero minore o maggiore di centomila connazionali residenti, quali essi risultano dall'elenco aggiornato utilizzato per eleggere i rappresentanti al Parlamento nazionale. Il Comitato, una volta eletto, può successivamente decidere di cooptare 4 o 6 componenti, cittadini stranieri di origine italiana. Elemento di particolare novità è costituito dalla legge n. 286/2003, che definisce per la prima volta i Comitati «organi di rappresentanza degli italiani all'estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari»; in tal modo, si valorizza il loro ruolo, tanto nei confronti delle collettività di cui sono espressione, tanto dell'Autorità consolare. La legge sottolinea infatti gli stretti rapporti di collaborazione e cooperazione che debbono instaurarsi fra Autorità consolare e Comitati, anche attraverso il «regolare flusso di informazioni».
  Con riguardo alle funzioni, i COMITES, anche attraverso studi e ricerche, contribuiscono ad individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento; particolare cura viene assicurata alla partecipazione dei giovani, alle pari opportunità, all'assistenza sociale e scolastica, alla formazione professionale, al settore ricreativo, allo sport ed al tempo libero. Sono anche chiamati a cooperare con le autorità consolari nella tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini italiani residenti nella Circoscrizione consolare.
  A seguito delle elezioni svoltesi il 26 marzo 2004, operano ad oggi 124 COMITES diffusi in 38 Paesi: di questi, 67 si trovano in Europa, 23 in America latina, 4 in America centrale, 16 in Nord America, 7 in Asia e Oceania e 7 in Africa.
  Dopo le elezioni per il rinnovo dei COMITES svoltesi nel 2004, lo svolgimento delle nuove elezioni è stato più volte differito. In particolare le consultazioni per il rinnovo dei COMITES che si sarebbero dovute svolgere nel marzo 2009 sono state rinviate, da ultimo, dal decreto-legge n. 67 del 2012, che ha disposto altresì che gli attuali componenti dei Comitati e del Consiglio generale degli italiani all'estero (CGIE) restino in carica fino all'insediamento dei nuovi organi. Precedenti rinvii, di durata biennale, erano stati via via disposti dal decreto-legge n. 207 del 2008 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009), e successivamente, dal decreto-legge n. 63 del 2010 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2010).
  Segnala che il decreto-legge n. 67 del 2012 ha altresì introdotto la modalità del voto informatico per questa tipologia di elezioni, rinviando ad un successivo regolamento per l'attuazione della disposizione. Successivamente, il decreto-legge n. 109 del 2014 (convertito con modificazioni dalle legge n. 141 del 2014) nelle more dell'emanazione del regolamento per il voto informatico, ha introdotto modifiche al più volte citato decreto-legge n. 67 del 2012 tali da consentire la tenuta delle elezioni con le modalità per corrispondenza già previste dalla legge n. 286 del 2003. Saranno tuttavia ammessi al voto i soli elettori che abbiano fatto pervenire le domande di iscrizione nell'elenco elettorale presso l'ufficio consolare di riferimento almeno trenta giorni prima della data stabilita per le elezioni. È in capo agli uffici consolari la responsabilità di una tempestiva comunicazione della data delle elezioni alle comunità italiane in loco, sia per mezzo di avvisi affissi nella sede della rappresentanza consolare, sia attraverso la pubblicazione dei medesimi messaggi sui rispettivi siti Internet o con qualsiasi altro mezzo idoneo di comunicazione.
  L'articolo 2 del decreto-legge in esame differisce al 31 dicembre 2015 il termine – già scaduto lo scorso 5 novembre 2014 – entro il quale le armi da fuoco ad uso scenico e le armi ad aria compressa o gas compresso per il lancio di capsule sferiche marcatrici, cosiddette paintball, avrebbero dovuto essere sottoposte alla verifica del Banco nazionale di prova, come previsto all'articolo 6 del decreto legislativo n. 121 del 2013 (cosiddetto «correttivo armi»).
  Tale differimento è motivato dalle difficoltà operative rilevate e dall'esigenza di consentire la prosecuzione dell'attività dei settori interessati. In particolare, la relazione Pag. 27illustrativa e la relazione sull'analisi di impatto della regolamentazione, evidenziano come il differimento della scadenza dell'adempimento per le armi sceniche si renda necessario al fine di consentire la prosecuzione dell'attività dei titolari delle armerie che cedono armi per uso scenico e dell'industria cinematografica che le utilizza. Analoga finalità è indicata per le armi per il lancio delle cosiddette paintball per impedire l'interruzione degli esercizi che svolgono attività che usano tali armi a fini amatoriali e sportivi. Per quanto riguarda queste ultime, il differimento è anche correlato alla mancata adozione del decreto del Ministro dell'interno che dovrà definire le modalità di acquisto, detenzione, trasporto, porto e utilizzo di tali armi.
   Ricorda che il decreto legislativo n. 121 del 2013 (cosiddetto «correttivo armi») ha apportato diverse modifiche alla disciplina delle armi contenuta nel decreto legislativo n. 204 del 2010, con cui è stata data attuazione alla direttiva 2008/51/CE in materia di controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi. Il recepimento della direttiva, che modificava la precedente direttiva in materia (n. 91/477/CEE, attuata in Italia con il decreto legislativo n. 527 del 1992), ha costituito attuazione della delega prevista nella legge comunitaria 2008 (legge n. 88 del 2009).
  Segnala inoltre che fino al 2010, la legge si limitava a consentire la locazione e il comodato delle armi da guerra e delle armi comuni da sparo se destinate esclusivamente all'uso scenico, e le modalità di utilizzo di tali armi erano definite a livello di prassi amministrativa. Successivamente, il decreto legislativo n. 204 del 2010 ha introdotto alcune specifiche tecniche per le armi sceniche, prevedendo che esse debbano avere occlusa parzialmente la canna, in modo tale da impedire l'espulsione del proiettile, e che il loro impiego debba avvenire costantemente sotto il controllo dell'armaiolo che le ha in carico. Il decreto correttivo n. 121 del 2013, da un lato, ha introdotto in legge l'obbligo per le armi sceniche della verifica da parte del Banco nazionale di prova di Gardone Val Trompia (obbligo precedentemente riconosciuto in via applicativa) e dall'altro ha prorogato il termine di tale verifica al 5 novembre 2014. Relativamente alle armi tipo paintball, ricordo che esse sono state riconosciute nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 121 del 2013, in considerazione della nascita di numerose associazioni che promuovono questa pratica ludico-sportiva. Tale provvedimento ha definito queste armi quali strumenti ad aria compressa o gas compresso a canna liscia e a funzionamento non automatico, destinati al lancio di capsule sferiche marcatrici biodegradabili, non contenenti sostanze pericolose (infiammabili, tossiche o comunque nocive), che erogano una energia cinetica non superiore a 12,7 joule e di calibro compreso tra 12,7 e 17,27 mm. Pur non essendo considerate armi comuni da sparo, esse devono ugualmente essere controllate dal Banco nazionale di prova che verifica la conformità dei prototipi. Inoltre, il decreto pone un vincolo all'utilizzo di dette armi: quelle che erogano energia cinetica superiore a 7,5 joule possono essere utilizzati esclusivamente per l'attività agonistica, consentendo per l'utilizzo ludico-amatoriale solamente le armi di energia inferiore.
  L'articolo 3, infine, dispone l'entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Revisione della parte seconda della Costituzione.
Testo base C. 2613 cost. Governo, approvato, in prima deliberazione, dal Senato, e abb.
(Parere alla I Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michele BORDO, presidente e relatore, sottolinea che – come è noto a tutti – il Pag. 28disegno di legge del Governo di riforma costituzionale, presentato al Senato l'8 aprile 2014, reca disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione. Nella seduta dell'8 agosto 2014 il Senato ha approvato in prima lettura il provvedimento, apportando diverse modifiche al testo del Governo.
  Ricorda quindi che il testo, originariamente composto da 35 articoli, contiene – nel testo all'esame della Camera – 40 articoli, ripartiti in sei Capi, di cui 37 articoli recanti novelle alle disposizioni della Costituzione e gli ultimi 3 articoli (artt. 38, 39 e 40), che prevedono, rispettivamente, norme transitorie (articolo 38), disposizioni finali (articolo 39), e norme sull'entrata in vigore (articolo 40).
  Non si soffermerà in questa sede su una descrizione puntuale dell'articolato, che è in gran parte noto ai colleghi e per il quale rinvia alla documentazione predisposta dal Servizio Studi della Camera (dossier n. 216 Schede di lettura e n. 216/1 Sintesi del contenuto).
  Intende invece richiamare gli aspetti di più diretto interesse per la XIV Commissione.
  Innanzitutto, ricorda che il progetto di riforma sancisce la fine del bicameralismo paritario, delineando un diverso assetto costituzionale caratterizzato da un bicameralismo differenziato, in cui il Parlamento continua ad articolarsi in Camera dei deputati e Senato della Repubblica, ma i due organi hanno composizione diversa e funzioni in gran parte differenti.
  Ciò determina modifiche significative sul rapporto esistente tra Parlamento italiano e Unione europea, e sui rispettivi ordinamenti.
  In particolare, il nuovo testo dell'articolo 55 della Costituzione – sul quale si soffermerà più avanti per il rilievo che assume – attribuisce espressamente al Senato l'esercizio di funzioni di raccordo tra l'Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
  Inoltre, il nuovo quinto comma dell'articolo 55 inserisce, tra le specifiche funzioni attribuite al Senato, la partecipazione alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea e la valutazione del relativo impatto.
   Ricorda che per quanto riguarda le norme dei Trattati che stabiliscono direttamente funzioni e poteri dei Parlamenti, gli articoli 5 e 12 del Trattato sull'Unione Europea (TUE), «i Parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione» attraverso l'esercizio di poteri di informazione, di valutazione, di cooperazione interparlamentare e, soprattutto, di partecipazione alle procedure di revisione dei Trattati. In base all'articolo 48, paragrafo 7, TUE, inoltre, è sufficiente l'opposizione di uno solo dei Parlamenti nazionali, espressa entro il termine di sei mesi, per bloccare la decisione del Consiglio europeo di passare, in una data materia, dalla regola dell'unanimità alla maggioranza qualificata (cosiddette, norme «passerella», le quali costituiscono la più semplificata delle procedure di revisione). In tal caso si attribuisce quindi un potere di veto alle assemblee legislative nazionali, che possono efficacemente contrastare il consenso espresso dai rispettivi governi.
  Le predette funzioni – di cui sono titolari, in base agli atti richiamati, i «Parlamenti nazionali o ciascuna Camera di uno di questi Parlamenti» – spettano dunque al Senato, così come alla Camera, per forza diretta dei Trattati.
  In merito alle disposizioni modificative che incidono sulla partecipazione al procedimento legislativo, osserva che il progetto di riforma costituzionale investe direttamente gli aspetti procedurali connessi alla partecipazione dell'Italia all'attuazione della normativa europea.
  Il primo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione prevede un procedimento bicamerale paritario – cioè un procedimento attraverso il quale le due Camere esercitano collettivamente e con gli stessi poteri la funzione legislativa – per determinate tipologie di leggi, tra cui Pag. 29le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all'appartenenza dell'Italia all'UE (nuovo articolo 80 della Costituzione).
  Il comma quarto introduce un effetto rafforzato delle «proposte» di modificazione formulate dal Senato, per alcune categorie di leggi per le quali la Camera, se non intende conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato, deve pronunciarsi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei suoi componenti.
  Tra le materie su cui è richiesta la maggioranza assoluta nella votazione finale della Camera dei deputati, nel caso in cui essa intenda discostarsi dalle proposte del Senato il nuovo testo dell'articolo 70 inserisce la legge che stabilisce le forme e i termini per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.
  Tale formulazione sembra pertanto riferirsi tanto alla disciplina generale del recepimento della normativa comunitaria – attualmente recata dalla legge 234 del 2012 – quanto alla legge di delegazione europea e alla legge europea.
  Rientra inoltre in questo ambito la legge dello Stato che disciplina la partecipazione delle regioni alla formazione del diritto europeo, all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, definendo il potere sostitutivo dello Stato in caso di inadempienza (nuovo articolo 117, comma quinto).
  In tema di procedure non legislative, il sesto comma attribuisce al Senato la facoltà, secondo le norme che saranno previste dal suo regolamento, di «svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati».
  Rientrerebbe in questa formulazione la facoltà, per il Senato, di esprimere osservazioni sugli atti del Governo all'esame della Camera, così come sugli atti dell'Unione europea. Inoltre, la formulazione sembra indicare che l'attività conoscitiva possa esplicarsi indipendentemente dall'attività della Camera per quanto concerne lo svolgimento di indagini conoscitive, mentre la formulazione di osservazioni su atti e documenti riguarderebbe quelli all'esame della Camera dei deputati.
  Infine, le disposizioni di revisione del titolo V della Costituzione contenute nel progetto di riforma costituzionale introducono novità significative in merito al rapporto intercorrente tra le regioni e l'Unione europea. Oltre a sostituire i vari riferimenti all'ordinamento «comunitario» con i riferimenti all'ordinamento «dell'Unione europea», al fine di adeguare la denominazione al nuovo assetto istituzionale europeo (articolo 117, primo e quinto comma), il disegno di legge in esame riscrive ampiamente l'articolo 117 della Costituzione, in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare tra Stato e regioni.
  Il catalogo delle materie è ampiamente modificato ed è soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle materie tra competenza esclusiva statale e competenza regionale.
  Tale modifica incide direttamente sulla materia dei rapporti internazionali e con l'Unione europea delle regioni che – in base all'attuale assetto delle competenze – rientra tra le materie di competenza concorrente, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma.
  La competenza concorrente in materia di rapporti internazionali e con l'Unione europea delle regioni viene meno tout court. Soccorre in tal caso l'articolo 117, nono comma, Costituzione – non modificato dal disegno di legge in esame – secondo il quale nelle materie di sua competenza la regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. Richiamo proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 378 del 2007, che, in base al principio della unitarietà della rappresentazione della posizione italiana nei confronti dell'Unione europea, ha negato che una provincia autonoma potesse ascrivere direttamente alla propria competenza il potere di mantenere «rapporti» con l'Unione europea, prescindendo dalle leggi dello Stato.Pag. 30
  Come anticipato, la questione di fondo di maggiore rilievo per la XIV Commissione attiene alla distribuzione delle funzioni di raccordo con l'UE tra le due Camere.
  Il nuovo testo dell'articolo 55 della Costituzione, quale prospettato dal provvedimento in esame, presenta infatti forti elementi di ambiguità che potrebbero configurarne l'incoerenza con il nuovo assetto costituzionale e con l'esigenza di un'efficace partecipazione del Parlamento alla formazione della normativa e delle politiche europee.
  In base al nuovo testo dell'articolo «La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo».
  Il Senato della Repubblica, invece, oltre a partecipare, «nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione, alla funzione legislativa» esercita funzioni di raccordo tra l'Unione europea, lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea e ne valuta l'impatto».
  Va sottolineato che il testo del ddl approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato, stabiliva addirittura che il Senato esercitasse «la funzione di raccordo con l'UE», indicando in modo chiaro la volontà di concentrare in capo a tale Camera l'intervento in materia europea.
  La formulazione dell'articolo 55 della Costituzione approvata poi dall'Assemblea del Senato, che ha sopra richiamato, costituisce dunque un progresso ma insoddisfacente.
  Infatti, si riconosce, da un lato, alla sola Camera l'esercizio di funzioni di indirizzo e controllo di portata generale nei confronti del Governo; funzioni che dovrebbero dunque poter essere esercitate pienamente anche in materia europea.
  Dall'altro lato, l'attribuzione espressa al Senato delle «funzioni di raccordo» tra l'Unione europea, lo Stato e gli enti territoriali e del potere di partecipare alla formazione e attuazione di normativa e politiche europee potrebbe indurre a considerare, di fatto se non di diritto, che l'intervento del Parlamento in materia europea sia affidato prevalentemente al Senato.
  Si tratterebbe di una lettura sicuramente incompatibile con il nuovo assetto prospettato dal disegno di legge, sia in termini squisitamente giuridici sia sul piano politico.
  Con riguardo ai profili giuridici, va sottolineato che l'assetto prefigurato dal ddl, per effetto dell'attribuzione alla sola Camera dei deputati della titolarità del rapporto di fiducia con il Governo, e la configurazione del Senato quale camera che «rappresenta le istituzioni territoriali», dovrebbe produrre quale diretta conseguenza un'articolazione delle funzioni in materia europea tra le due Camere fondata su due principi:
   la funzione di indirizzo e controllo sull'azione del Governo, anche nella fase di formazione della normativa e delle politiche dell'UE dovrebbe spettare, quale regola generale, alla Camera. Si potrebbe al più riconoscere un potere di indirizzo, anche rafforzato, al Senato nei soli settori di competenza legislativa regionale;
   il dialogo politico, il controllo di sussidiarietà e le altre prerogative di intervento dei parlamenti nazionali che trovano la loro fonte nei Trattati e non presuppongono quindi il rapporto fiduciario con il Governo potrebbero essere esercitate da entrambe le Camere.

  Merita a questo riguardo richiamare l'assetto consolidato in gran parte degli altri sistemi bicamerali dell'Unione europea, in cui la Camera alta non è legata da un vincolo fiduciario al Governo. In particolare, negli ordinamenti francese, tedesco e britannico, pur caratterizzati da profonde differenze, le Camere alte, rispettivamente il Senato, il Bundesrat e la Camera dei Lords, hanno in linea generale gli stessi diritti di ricevere informazioni e documenti dal Governo riconosciuti Pag. 31alle Camere basse e possono anche rivolgere risoluzioni o altri atti di indirizzo al Governo, secondo le modalità stabilite dalla legge e dai rispettivi regolamenti.
  Molto significativa è l'esperienza tedesca: il Bundesrat, come ricordato nel dossier predisposto dagli uffici, oltre ad esercitare il controllo di sussidiarietà come previsto dai Trattati, può adottare un parere vincolante per il Governo federale, in relazione solo nelle materia di competenza dei Länder e se è approvato con la maggioranza qualificata dei due terzi. In altre parole, le funzioni in materia europea del Bundesrat sono modulate in ragione della composizione e del ruolo costituzionale di questa Camera, in cui sono rappresentanti i governi dei Länder.
  L'esperienza dimostra peraltro come l'assenza di vincolo fiduciario induca, di fatto, le Camere alte a concentrarsi sul dialogo politico e sul controllo di sussidiarietà, pur indirizzando le proprie pronunce anche al Governo nazionale. È sufficiente a questo riguardo leggere i dati contenuti nella relazione della Commissione europea sui rapporti con i parlamenti nazionali nel 2013: con l'eccezione della Francia, risulta evidente che le Camere alte sono molto più attive di quelle basse nella trasmissione alla Commissione di pareri e contributi.
  Ciò risponde appunto all'esigenza per le camere alte, in assenza di un vincolo fiduciario, di concentrarsi sui poteri di raccordo diretto con le Istituzioni europee.
  Sul piano più squisitamente politico, va sottolineato che il testo dell'articolo 55 potrebbe indurre, di fatto, le due Camere ad una più o meno tacita ripartizione di compiti, risorse e strutture, in cui solo il Senato «sollevato» in buona misura dal carico attuale connesso alla funzione legislativa, esercita concretamente le prerogative in materia europea.
  Sarebbe singolare, a suo avviso, che una Camera non eletta direttamente e Repubblica rappresentativa delle istituzioni territoriali concorresse primariamente a stabilire la posizione nazionale, dell'intera nazione, nei negoziati europei.
  Il nuovo testo dell'articolo 55 dovrebbe, quindi, essere riformulato separando chiaramente l'enunciazione delle competenze e del ruolo generale delle due Camere, dalle disposizioni relative alle funzioni di raccordo con l'UE.
  Queste ultime dovrebbero chiaramente stabilire che:
   la Camera esercita le sue funzioni di indirizzo e controllo in materia europea;
   il Senato concorre ad esercitare tali funzioni relativamente alle materia di competenza regionale;
   Camera e Senato contribuiscono, entrambe alle funzioni di raccordo tra Stato, regioni ed Unione europea.

  Si riserva in conclusione di formulare una proposta puntuale di modifica dell'articolo 55 nella proposta di parere che sottoporrà alla Commissione.

  Tea ALBINI (PD) concorda con le osservazioni svolte dal presidente, ritenendo che – sui punti richiamati – il testo del provvedimento appaia contraddittorio e presenti profili di illegittimità. Condivide quindi l'opportunità di formulare nel parere dei rilievi con riferimento ai contenuti dell'articolo 55, che investono le competenze della XIV Commissione.

  Michele BORDO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Martedì 2 dicembre 2014. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 16.

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Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici.
COM(2014)180 final.
(Parere alla XIII Commissione).
(Seguito dell'esame e conclusione – Parere favorevole con osservazioni).

  La Commissione prosegue l'esame dell'atto dell'Unione europea in oggetto, rinviato nella seduta del 9 luglio 2014.

  Michele BORDO, presidente, intervenendo in sostituzione della relatrice, onorevole Berlinghieri, formula una proposta di parere favorevole con osservazioni (vedi allegato), che la relatrice aveva già provveduto a trasmettere ai colleghi domenica pomeriggio.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere.

  La seduta termina alle 16.05.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 2 dicembre 2014. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 16.05.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2011/99/UE sull'ordine di protezione europeo.
Atto n. 117.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Antonino MOSCATT (PD), relatore, ricorda che il parere delle Commissioni parlamentari sul provvedimento in titolo è previsto dalla legge di delegazione europea 2013 (n. 96 del 2013 – Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea), che ha inserito la direttiva 2011/99/UE nell'allegato B.
  Per l'esercizio della delega la legge di delegazione europea 2013 non indica specifici principi e criteri direttivi, pertanto occorre fare riferimento ai principi e criteri generali fissati all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea).
  Per quanto concerne il termine per l'introduzione nell'ordinamento nazionale della disciplina europea, segnala che l'articolo 21 della direttiva 2011/99/UE prevede il recepimento entro l'11 gennaio 2015.
  Ricorda che il termine per l'esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea è di due mesi antecedente a quello per il recepimento indicato nelle direttive. Nel caso di specie, dunque, il decreto legislativo doveva essere emanato entro l'11 novembre 2014. Tuttavia, considerato che il termine per l'espressione del parere parlamentare è fissato al 14 dicembre 2014 e successivo alla scadenza dei termini di delega, questi ultimi sono prorogati di tre mesi, come disposto dall'articolo 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012 per l'attuazione del diritto dell'Unione europea.
  Per questa ragione, il Governo ha tempo fino all'11 febbraio 2015 per attuare la delega.
  Prima di procedere all'esame dello schema di decreto legislativo, intende fornire alcuni elementi conoscitivi relativi al contenuto della direttiva 2011/99/UE.
  La direttiva si fonda sul principio del mutuo riconoscimento ed è volta a disciplinare l'ordine di protezione europeo con l'obiettivo di garantire che le misure adottate a protezione di un soggetto da atti di rilevanza penale, che possano lederne o metterne in pericolo la vita, l'integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l'integrità sessuale, siano mantenute anche qualora tale persona si trasferisca in un altro Stato membro (articolo 1). Pag. 33
  In particolare, l'ordine di protezione europeo può essere emesso qualora la persona che beneficia della protezione decida di risiedere o di soggiornare in un altro Stato membro (articolo 6). La direttiva (articolo 5) specifica che un ordine di protezione europeo può essere emesso solo se nello Stato di emissione è stata precedentemente adottata una misura di protezione che impone alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o restrizioni: divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta; divieto o regolamentazione dei contatti con la persona protetta; e, divieto o regolamentazione dell'avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito. Prima che l'ordine sia emesso, la persona che può causare il pericolo ha diritto di essere ascoltata e di contestare la misura di protezione solo nel caso in cui essa non abbia potuto esercitare questi diritti nel procedimento che ha portato all'adozione della misura di protezione (articolo 6). L'ordine di protezione europeo, emesso conformemente al modello allegato alla direttiva, deve contenere, in particolare (articolo 7): l'identità e la cittadinanza della persona protetta; la data a decorrere dalla quale la persona protetta intende risiedere o soggiornare nello Stato di esecuzione; i riferimenti dell'atto giuridico contenente la misura di protezione; una sintesi dei fatti e delle circostanze che hanno portato all'adozione della misura di protezione nello Stato di emissione; i divieti e le restrizioni imposti dalla misura di protezione alla persona che determina il pericolo, il loro periodo di applicazione e l'indicazione dell'eventuale sanzione in caso di violazione; la concessione o meno di assistenza legale gratuita, qualora tale informazione sia nota all'autorità competente dello Stato di emissione senza dover effettuare ulteriori indagini; se del caso, l'indicazione esplicita che una sentenza ai sensi della decisione quadro 2008/947/GAI (sul reciproco riconoscimento delle sentenze) o una decisione sulle misure cautelari ai sensi della decisione quadro 2009/829/GAI (sul reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare) è già stata trasmessa a un altro Stato membro.
  La trasmissione dell'ordine può essere effettuata con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, in modo che l'autorità competente dello Stato membro di esecuzione ne possa accertare l'autenticità (articolo 8). Quest'ultima autorità, quando riceve un ordine di protezione europeo, deve «senza indugio» riconoscerlo e adottare le misure che sarebbero previste dalla legislazione nazionale in un caso analogo per garantire la protezione della persona protetta, a meno che decida di invocare uno dei motivi di non riconoscimento dell'ordine (articoli 9 e 10).
  In particolare la direttiva prevede che in alcune circostanze l'autorità competente dello Stato di esecuzione abbia facoltà di rifiutare di riconoscere un ordine di protezione europeo: se l'ordine di protezione europeo è incompleto; se l'ordine si fonda su un atto che non costituisce reato secondo la legislazione dello Stato di esecuzione; se l'ordine si fonda sull'esecuzione di una sanzione o una misura coperta da amnistia; se la persona che determina il pericolo è coperta da immunità nello Stato di esecuzione; se l'ordine si fonda su un'azione penale prescritta ai sensi della legislazione dello Stato di esecuzione; se vi è un contrasto con il principio del ne bis in idem; se la persona che determina il pericolo non è penalmente responsabile per motivi di età; se l'ordine si fonda su una condotta commessa, anche solo per una parte importante o essenziale, all'interno dello Stato di esecuzione.
  Il riferimento alla celerità con cui deve avvenire il riconoscimento dell'ordine di protezione è ribadito dalla direttiva laddove (articolo 15) afferma che il riconoscimento deve avvenire con la stessa priorità applicabile a livello nazionale in un caso analogo, tenendo conto di eventuali circostanze specifiche del caso, inclusi la sua urgenza, la data prevista di arrivo della persona protetta nel territorio dello Pag. 34Stato membro di esecuzione e, ove possibile, il livello di rischio per la persona protetta.
  La direttiva prevede, inoltre, che la misura adottata dall'autorità competente dello Stato di esecuzione deve corrispondere quanto più possibile alla misura di protezione adottata dallo Stato di emissione dell'ordine di protezione europeo (articolo 9, paragrafo. 2). Laddove, invece, tali misure non siano disponibili, l'autorità competente dello Stato di esecuzione deve riferire all'autorità competente dello Stato di emissione su qualsiasi violazione della misura di protezione indicata nell'ordine di protezione europeo di cui sia al corrente (articolo 11).
  La direttiva contiene, inoltre, delle disposizioni relative alle competenze rispettive dello Stato membro di emissione e dello Stato membro di esecuzione dell'ordine di protezione europeo (articoli 11 e 13), nonché l'indicazione dei motivi in presenza dei quali lo Stato di esecuzione ha facoltà di interrompere le misure adottate a seguito del riconoscimento dell'ordine.
  In caso di interruzione della protezione, lo Stato membro di esecuzione deve informare immediatamente di tale decisione l'autorità competente dello Stato membro di emissione e, ove possibile, la persona protetta; al contrario, esso ha la facoltà, ma non l'obbligo, di invitare l'autorità competente dello Stato membro di emissione a fornire informazioni sulla necessità di proseguire la protezione, nel caso in cui si intenda sospenderla (articoli 14).
  Prima di analizzare le singole disposizioni contenute nello schema di decreto legislativo, ricorda che il provvedimento si compone di 16 articoli suddivisi in 5 capi.
  Il Capo I (articoli da 1 a 3) contiene le disposizioni generali; enuncia dunque le finalità del provvedimento (articolo 1), definisce i concetti chiave dell'attuazione della direttiva (articolo 2) e delinea il quadro delle competenze istituzionali (articolo 3). Il Capo II (articoli da 4 a 6) disciplina il procedimento per l'emissione di un ordine di protezione europeo da parte dell'autorità giudiziaria italiana. Il Capo III (articoli da 7 a 10) disciplina invece il procedimento per riconoscere in Italia un ordine di protezione europeo emesso dall'autorità di un altro Stato membro. Il Capo IV (articoli da 11 a 12) disciplina la validità e l'efficacia dell'ordine di protezione europeo e soprattutto chiarisce il riparto di competenze tra Stato di emissione e Stato di riconoscimento della misura, in relazione alla violazione dell'ordine di protezione europeo. Infine, il Capo V (articoli da 13 a 16) disciplina la trasmissione delle informazioni relative all'attuazione della direttiva alla Commissione europea (articolo 13); salvaguarda eventuali accordi diversi con Stati membri UE, rispondenti comunque agli obiettivi della direttiva, ovvero alla semplificazione delle modalità di riconoscimento reciproco delle misure di protezione (articolo 14); e, contiene la clausola di invarianza finanziaria (articolo 16).
  In particolare, per quanto riguarda le definizioni, il provvedimento individua la «misura di protezione» nella decisione con la quale vengono imposte restrizioni finalizzate alla tutela di una persona che va protetta contro atti che potrebbero avere una rilevanza penale. Tale misura può essere adottata «in materia penale da un organo giurisdizionale o da altra diversa autorità competente, che si caratterizzi per autonomia, imparzialità e indipendenza». Le autorità giudiziarie vengono designate come competenti per emettere o riconoscere gli ordini di protezione europei mentre il Ministero della giustizia è l'autorità centrale chiamata a fare da tramite per l'inoltro e la ricezione delle misure di protezione.
  L'articolo 3 dello schema consente alle autorità giudiziarie di avere rapporti diretti con le autorità competenti di altri Stati membri, ma richiede che di ogni comunicazione intercorsa sia data comunque tempestiva comunicazione al Ministero della giustizia.
  In particolare, l'articolo 4 modifica il codice di procedura penale, intervenendo sull'articolo 282-quater, che disciplina l'obbligo per l'autorità giudiziaria di comunicare all'autorità di pubblica sicurezza, ai servizi sociali e alla persona Pag. 35offesa l'adozione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare (articolo 282-bis) e di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (articolo 282-ter). Lo schema di decreto aggiunge che nella stessa comunicazione la persona offesa deve altresì essere informata della possibilità di richiedere l'emissione di un ordine di protezione europeo.
  L'articolo 5 stabilisce quindi che su richiesta della persona offesa (o del suo legale rappresentante), l'ordine di protezione europeo può essere emesso dallo stesso giudice che ha adottato la misura cautelare. Il presupposto è che la persona da proteggere dichiari di voler risiedere o soggiornare in diverso Stato UE; essa dovrà infatti indicare nella richiesta – a pena d'inammissibilità – il luogo nel quale intende trasferirsi, nonché la durata e le ragioni dello spostamento.
  Sul punto osserva che la direttiva non richiede di motivare le ragioni del trasferimento in altro Paese, ma solo di indicare la durata del periodo o dei periodi in cui la persona protetta intende soggiornare nello Stato di esecuzione, nonché il grado di necessità della protezione.
  Il giudice emette dunque un'ordinanza – in conformità al modello allegato allo schema di decreto legislativo – contenente le informazioni prescritte dalla direttiva, tra le quali si ricordano in particolare, l'eventuale ammissione al gratuito patrocinio, nonché la possibilità di indicare nell'ordine di protezione l'eventuale utilizzo di un dispositivo tecnologico di controllo. Ricordo, infatti, che ai sensi del decreto-legge n. 93 del 2013 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), quando si procede per i reati di maltrattamenti in famiglia o di sfruttamento sessuale di minorenni o di violenza sessuale o di atti persecutori commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare può essere disposta anche con le modalità di controllo previste all'articolo 275-bis c.p.p. (cosiddetto, braccialetto elettronico).
  Se il giudice non accoglie la richiesta di ordine di protezione europeo, la persona protetta può impugnare l'ordinanza di rigetto o inammissibilità in Cassazione, secondo il procedimento previsto per il ricorso in Cassazione avverso il mandato di arresto europeo nella legge n. 69 del 2005.
  L'articolo 6 prevede quindi che l'ordine di protezione europeo sia trasmesso al Ministero della giustizia affinché lo inoltri all'autorità competente dello Stato nel quale dovrà essere eseguito. Il Ministero comunicherà all'autorità giudiziaria nazionale gli esiti della trasmissione affinché sia possibile – in caso di rifiuto del riconoscimento della misura – comunicarlo alla persona da proteggere.
  L'articolo 7 affida la competenza per il riconoscimento alla Corte d'appello nel cui distretto risiede (o ha dichiarato di voler risiedere) la persona protetta. L'attribuzione della competenza alla Corte d'appello è stata già sperimentata nella procedura relativa al mandato d'arresto europeo e nel reciproco riconoscimento delle sentenze penali (legge n. 161 del 2010). Sarà il Ministero della giustizia a trasmettere l'ordine di protezione europeo al Presidente della Corte d'appello che deciderà senza formalità (e senza sentire i soggetti interessati, né la persona da proteggere né quella che determina il pericolo) entro 10 giorni. Se la Corte riterrà le informazioni incomplete potrà, tramite il Ministero, chiedere delle integrazioni (articolo 8).
  L'articolo 9 elenca le ragioni che giustificano un mancato riconoscimento della misura. Rispetto ai presupposti indicati dall'articolo 10 della direttiva, il Governo aggiunge che può essere respinto un ordine di protezione europeo che richieda misure di protezione diverse dall'allontanamento dalla casa familiare (articolo 282-bis) e dal divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (articolo 282-ter). Contro la decisione della Corte d'appello può essere proposto ricorso per Cassazione, con le stesse modalità introdotte per la procedura attiva.Pag. 36
  Se l'ordine di protezione europeo viene riconosciuto, il Ministero della giustizia ne dà comunicazione all'autorità estera competente, ma soprattutto alla persona protetta e alla persona che determina il pericolo nonché alla polizia giudiziaria e ai servizi sociali del luogo ove la persona protetta ha dichiarato di volersi stabilire.
  In caso di violazione della misura l'autorità nazionale può applicare temporaneamente una misura più grave, poi interviene lo Stato di emissione. Si riconosce quindi all'autorità giudiziaria nazionale il potere di applicare una misura cautelare, dall'efficacia temporanea, garantendo così all'autorità dello Stato che ha emesso l'ordine di protezione 30 giorni di tempo per decidere se e in che misura modificare la misura e reagire alla violazione dell'ordine.
  In base all'articolo 11 spetta all'autorità giudiziaria che ha emesso l'ordine di protezione decidere circa la sua proroga, l'eventuale riesame, l'annullamento o la sostituzione della misura, nonché eventualmente applicare più gravi misure cautelari. La relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo sottolinea che «l'autorità competente dello Stato di emissione ha la potestà esclusiva di valutare i presupposti per la modifica del contenuto della misura di protezione e per l'eventuale applicazione di una misura maggiormente afflittiva, a seguito della quale soccorreranno – eventualmente – i meccanismi processuali dettati da altre fonti relative al reciproco riconoscimento di provvedimenti adottati in materia penale».
  Al riguardo fa osservare che la decisione quadro 2009/829/GAI (Decisione quadro sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare) – rilevante in questa materia – non è stata ancora recepita dal nostro Paese e che il recepimento è stato sollecitato dalla Commissione europea come evidenziato nella Relazione COM(2014)57 def del 5 febbraio scorso.
   Le modifiche all'ordine di protezione decise dall'autorità di emissione dovranno essere recepite dalla Corte d'appello (articolo 12), con lo stesso procedimento previsto per il riconoscimento della misura, ivi compreso l'eventuale ricorso in Cassazione.
  L'articolo 13 disciplina la trasmissione delle informazioni relative all'attuazione della direttiva alla Commissione europea. In particolare, ogni anno, entro il 31 dicembre, il Ministero della giustizia dovrà inviare un rapporto circa il numero degli ordini di protezione emessi e riconosciuti. L'articolo 14 salvaguarda eventuali accordi diversi con Stati membri UE, rispondenti comunque agli obiettivi della direttiva, ovvero alla semplificazione delle modalità di riconoscimento reciproco delle misure di protezione.
  L'articolo 15 detta disposizioni sulla tutela dei dati personali, richiamando il necessario rispetto del Codice della privacy (decreto legislativo n. 196 del 2003) per la parte riguardante la tutela dei dati in ambito giudiziario (articoli da 46 a 52) e stabilendo che i dati trattati a norma del provvedimento sul reciproco riconoscimento dell'ordine di protezione devono essere utilizzati esclusivamente per tali finalità. Segnala che il considerando n. 36 della direttiva 2011/99 richiede che i dati personali trattati nel contesto dell'attuazione della direttiva medesima debbano essere protetti conformemente, fra l'altro, alla Decisione-quadro 2008/977/GAI del Consiglio del 27 novembre 2008, concernente la protezione dei dati personali nell'ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale. Fa notare che tale decisione quadro non è stata attuata dall'Italia, come peraltro stigmatizzato nel parere reso sullo schema lo scorso 30 ottobre dal Garante per la protezione dei dati personali.
  Infine, l'articolo 16 contiene la clausola di invarianza finanziaria.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.10.

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