CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 27 marzo 2014
207.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 145

RELAZIONI ALL'ASSEMBLEA

  Giovedì 27 marzo 2014. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 15.15.

Su tutti gli aspetti relativi al fenomeno della decretazione d'urgenza.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame.

  Francesco Paolo SISTO, presidente e relatore, segnala che i problemi in discussione riguardano l'insieme delle questioni politiche, costituzionali e tecniche relative all'esercizio della potestà normativa primaria in una società complessa come l'attuale e fa presente la Commissione affari costituzionali è chiamata a dare un contributo centrale in materia, perché viene in considerazione uno dei temi più rilevanti per lo sviluppo ordinato di una democrazia moderna.
  Auspica che possa aversi da parte del Governo una collaborazione per giungere ad un corretto uso dei poteri previsti dall'articolo 77 della Costituzione; e che si possano, altresì, individuare le modifiche costituzionali, legislative e regolamentari idonee a sciogliere quei nodi che sono oggi all'attenzione non solo del Parlamento, che si trova nell'impossibilità di dare un assetto ordinato e compiuto alla propria attività legislativa, ma anche del Governo, che è interessato ad una produzione normativa organica, nonché della collettività nel suo insieme e dei singoli cittadini, che versano in una situazione di grave disagio di fronte ad una produzione normativa frammentaria, disorganica e, troppo spesso, anche precaria.
  Evidenzia che le parole da lui appena ricordate, che suonano di scottante attualità, sono state pronunciate dal Presidente Pag. 146della Commissione Affari costituzionale della Camera, onorevole Silvano Labriola, nella seduta del 6 ottobre 1983. Sottolinea che in quella sede la Commissione avviava un nutrito dibattito sul tema del corretto uso della potestà legislativa d'urgenza. Le questioni che sono oggi sul tappeto appaiono già compiutamente individuate in quella sede.
  Rileva che, passando ai giorni nostri, per una valutazione complessiva del fenomeno della decretazione di urgenza, occorre innanzitutto partire dai dati.
  In proposito risulta utile, a suo avviso, un confronto tra i dati delle ultime 3 legislature: la XV legislatura, che ha occupato un arco temporale di due anni (2006-2008), la XVI legislatura, della durata di 5 anni (2008-2013) e la XVII legislatura in corso, iniziata da un anno. Segnala un primo dato significativo rappresentato dal fatto che, nella legislatura in corso, il dato percentuale delle leggi di conversione sul totale delle leggi approvate ha subito una brusca impennata, passando dal 28,6 per cento della XV legislatura e dal 27,1 per cento della XVI legislatura all'attuale 60 per cento.
  Osserva che questa evidenza deve peraltro essere considerata congiuntamente al dato sui cosiddetti «spazi normativi», misurati in numero di commi, occupati dalla decretazione di urgenza (considerando i testi coordinati dei decreti-legge – che includono le modificazioni apportate dalle Camere – e le leggi di conversione). In tal caso, a fronte di un 32,5 per cento di «spazi normativi» occupati dai provvedimenti di urgenza nella XV legislatura, si è saliti al 54,8 della XVI legislatura e al 65,8 per cento della legislatura in corso. Nel corso della XVI legislatura, si è dunque registrato un incremento significativo, pari al 22,3 per cento, degli «spazi normativi» occupati dai decreti-legge, a fronte di una leggera riduzione (-1,46 per cento) del numero delle leggi di conversione in rapporto al numero complessivo delle leggi. Questo dato può spiegarsi alla luce del progressivo aumento di dimensione dei singoli decreti-legge, che hanno via via ampliato i loro ambiti di intervento, incidendo su una pluralità di settori fino a divenire veri e propri decreti «omnibus», fenomeno quest'ultimo particolarmente accentuato nella parte finale della scorsa legislatura, sotto il Governo Monti.
  Ricorda che nella legislatura in corso la decretazione di urgenza si è indiscutibilmente affermata come lo strumento normativo principale, sia perché l'incidenza quantitativa delle leggi di conversione sul totale delle leggi è più che raddoppiata, attestandosi al 60 per cento (+32,9 per cento rispetto alla precedente legislatura), sia perché gli «spazi normativi» dei provvedimenti di urgenza hanno raggiunto il 65,8 per cento del totale (+10,9 per cento rispetto alla precedente legislatura). Aggiunge peraltro un'avvertenza di carattere metodologico: i dati della legislatura in corso sono comunque da considerare come provvisori, dato l'arco temporale circoscritto cui essi fanno riferimento.
  Altra considerazione che, a suo avviso, emerge è che la decretazione di urgenza ha nelle ultime due legislature eroso «spazi normativi» dapprima di pertinenza delle leggi finanziarie (ora di stabilità) e di bilancio, che hanno perso di peso sul totale della legislazione, precipitando dal 49,3 per cento della XV legislatura al 12,1 per cento della XVI legislatura per poi risalire al 26,7 per cento nella legislatura in corso.
  Fa presente, infine, che nella attuale legislatura si è ulteriormente accentuata la tendenza secondo cui una parte assolutamente preponderante di legislazione è approvata attraverso la decretazione di urgenza o attraverso leggi di stabilità o di bilancio, ossia attraverso strumenti normativi che godono di un iter parlamentare accelerato, dai tempi ben definiti: nella XV legislatura l'81,8 per cento degli spazi normativi è stato occupato da questa tipologia di leggi, nella XVI legislatura il 66,9 per cento, nella legislatura in corso addirittura il 92,5 per cento.
  Osserva che il peso sempre più rilevante assunto dalla decretazione di urgenza nel complesso dell'attività legislativa ha delle ricadute sull'andamento dei lavori Pag. 147parlamentari, provocando alterazioni e talora disfunzioni rispetto al procedimento legislativo ordinario.
  In primo luogo, occorre rilevare, a suo avviso, come si sia affermata una prassi, sviluppatasi soprattutto nel corso della XVI Legislatura, per cui la Camera titolare dell'esame in prima lettura di un decreto-legge invia il testo all'altra Camera solo pochi giorni prima della scadenza, precludendo all'altro ramo del Parlamento la possibilità di un esame approfondito. Si è così affermato, nei fatti, una sorta di «bicameralismo alternato». Nella legislatura in corso, infatti, su un totale di 24 leggi di conversione sinora approvate, in ben 17 casi è stata sufficiente una sola lettura in ciascun ramo del Parlamento; le modificazioni sono state apportate esclusivamente dalla Camera che ne ha iniziato l'esame (in 10 casi la Camera e in 7 il Senato).
  Evidenzia che un secondo aspetto di cui tenere conto è che gli ampi ed eterogenei contenuti dei decreti-legge comportano di fatto una alterazione del ruolo svolto dalle Commissioni parlamentari, spesso «espropriate» dell'esame in sede referente di normative, anche di notevole rilievo, che rientrano nella loro competenza. Se nel corso della scorsa legislatura, soprattutto nella parte finale, sotto il Governo Monti, si sono verificati diversi casi di veri e propri decreti «omnibus», nel corso dell'attuale legislatura la prassi si è orientata nel senso di adottare provvedimenti d'urgenza per lo più macrosettoriali – che si occupano cioè, con multiformi interventi, di vasti settori dell'ordinamento, quali la pubblica amministrazione – oppure intersettoriali, investendo una pluralità di settori, non sempre affini tra di loro. Ricorda, al riguardo, che, nell'attuale legislatura, su 24 leggi di conversione, ben 11, vale a dire il 45,8 per cento, sono state assegnate a due Commissioni riunite; in 16 casi su 24, inoltre, il procedimento di conversione ha interessato almeno 10 commissioni, tra sede referente e sede consultiva.
  Merita in proposito di essere richiamata, a suo avviso, l'esperienza maturata da questa Commissione per l'esame del cosiddetto «decreto del fare» (decreto-legge n. 69 del 2013), assegnato alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio. Si è infatti sperimentata per l'esame di questo decreto, che rientrava a tutti gli effetti nella categoria dei decreti ’omnibus’ l'introduzione di un'innovazione procedurale a regolamento invariato, mirata al rafforzamento del ruolo delle Commissioni competenti in sede consultiva.
  Osserva che nella fase istruttoria, le due Commissioni hanno stabilito di non svolgere audizioni per l'approfondimento delle diverse questioni poste dal testo, rimettendo l'attività conoscitiva alle Commissioni in sede consultiva. Nell'esame degli emendamenti, un apposito spazio è stato riservato agli emendamenti riproduttivi di condizioni od osservazioni contenute nei pareri espressi dalle Commissioni competenti in sede consultiva e dal Comitato per la legislazione. Nel corso dell'esame degli emendamenti, molti di questi emendamenti sono stati illustrati da deputati appartenenti alle rispettive Commissioni o dai loro Presidenti, che, attraverso apposite sostituzioni, hanno anche potuto partecipare alle votazioni. Ciò ha consentito un reale coinvolgimento di tutte le Commissioni competenti sulle singole materie e ha determinato un notevole e positivo arricchimento della discussione sul testo.
  Desidera poi svolgere una terza considerazione sull'impatto della decretazione d'urgenza sull'iter parlamentare che riguarda il non infrequente ricorso alla posizione della questione di fiducia, al fine di assicurare la conversione nei tempi ristretti previsti a livello costituzionale. Il ricorso alla questione di fiducia è in genere stato maggiormente utilizzato alla Camera che al Senato. Nell'attuale legislatura, in particolare i 7 casi di posizione della questione fiducia nell'ambito di procedimenti di conversione sono avvenuti tutti alla Camera.
  Questo dato può essere ascritto alle diverse regole per l'esame parlamentare dei decreti-legge nei due rami del Parlamento. Presso il Senato al decreto-legge si Pag. 148applica in via ordinaria l'istituto del contingentamento dei tempi e la prassi è da lungo tempo consolidata nel senso di procedere comunque alla votazione finale in tempo utile per garantire il rispetto dei termini costituzionali (cosiddetta «tagliola»). Alla Camera invece i decreti-legge non sono soggetti al contingentamento dei tempi e per superare le pratiche ostruzionistiche si fa dunque ricorso alla posizione della questione di fiducia (cosiddetta «fiducia tecnica»). La cosiddetta «tagliola» è stata applicata una sola volta, nella seduta del 29 gennaio 2014.
  Fa presente che il quarto dato, probabilmente, a suo avviso, il più rilevante, su cui occorre riflettere, riguarda il cospicuo aumento dei contenuti dei decreti-legge nel corso dell'esame parlamentare. Al riguardo segnala che nel corso della XV legislatura (secondo governo Prodi) l'incremento medio di tale contenuto, misurato in base al numero di commi, è stato di ben il 51,8 per cento. Nella legislatura successiva, il dato è del 45,2 per cento per il governo Berlusconi 4 e del 41,2 per cento per il Governo Monti, mentre nella legislatura in corso il dato, relativo al Governo Letta, si attesta al 41,9 per cento.
  Rileva inoltre che la decretazione d'urgenza ha assunto caratteristiche peculiari e dimensioni molto maggiori rispetto al passato durante il Governo Monti. I dati mensili medi, basati sul numero dei commi, evidenziano come si registri un progressivo aumento sia delle dimensioni dei testi dei decreti-legge licenziati dal Consiglio dei ministri, sia di quelle dei testi come convertiti dalle Camere: il Governo Prodi sottopone al Parlamento una media di 57, 6 commi al mese, che diventano 91,5 con il Governo Berlusconi e 203,7 con il Governo Monti, per poi ridimensionarsi a 149,7 con il Governo Letta e a 95 con il Governo Renzi. Conseguentemente, ogni mese il Parlamento, lavorando sui procedimenti di conversione, produce in media 78,7 commi durante il Governo Prodi; 128,6 durante il Governo Berlusconi; 274,3 durante il Governo Monti; 198,8 durante il Governo Letta. La questione delle modifiche introdotte in sede parlamentare deve inoltre essere a suo avviso valutata alla luce dei più recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale.
  Fa presente che un secondo ordine di questioni riguarda appunto i limiti costituzionali alla decretazione di urgenza. Si tratta di un tema molto delicato in quanto negli ultimi anni sono aumentati gli interventi della Corte costituzionale volti a censurare l'uso improprio dello strumento del decreto-legge. Basti pensare che per vizi di carattere procedimentale inerenti proprio all'utilizzo di questo strumento in assenza dei presupposti richiesti dall'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, sono state dichiarate incostituzionali due riforme rilevanti quali quella delle province e quella della disciplina dei reati in materia di stupefacenti, quest'ultima a distanza di 8 anni dalla sua approvazione.
  Per quanto riguarda i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza, ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza 29 del 1995, mutando il proprio precedente orientamento, ha riconosciuto la possibilità di verificare in sede di giudizio costituzionale la sussistenza di tali presupposti, affermando che tale sindacato può essere esercitato soltanto in caso di «evidente mancanza» dei requisiti prescritti dall'articolo 77 della Costituzione.
  Tali premesse sono state successivamente sviluppate nella sentenza n. 171 del 2007, con la quale, per la prima volta, la Corte ha dichiarato incostituzionale un decreto-legge per mancanza dei presupposti di necessità e di urgenza, sanzionando la disposizione che introduceva una nuova disciplina in materia di cause di incandidabilità negli enti locali in un decreto-legge relativo a misure di finanza locale.
  Evidenzia che nella successiva sentenza n. 128 del 2008, la Corte, per valutare la sussistenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e di urgenza di provvedere, si è rivolta agli «indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata», constatando sia il difetto di collegamento tra la disposizione censurata, relativa all'esproprio del teatro Petruzzelli di Bari, con le altre disposizioni inserite Pag. 149nel decreto – che, nella loro eterogeneità, concorrevano alla manovra di finanza pubblica, intervenendo a fini di riequilibrio di bilancio – sia anche l'assenza di ogni carattere di indispensabilità ed urgenza con riguardo alla finalità pubblica dichiarata.
  Ricorda che, al riconoscimento della sussistenza di «casi straordinari di necessità e urgenza» quale presupposto indefettibile per l'adozione dei decreti-legge, si connette la disposizione della legge n. 400 del 1988, secondo la quale i decreti-legge devono contenere misure di immediata applicazione (articolo 15, comma 3).
  Osserva che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 220 del 2013, ha riconosciuto che tale norma, pur non avendo sul piano formale rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge, che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo. Alla luce di questa affermazione deve essere valutato, a suo avviso, il sempre più frequente inserimento nei decreti-legge di disposizioni che rinviano ad atti normativi di rango subordinato o addirittura ad atti di carattere non normativo. I termini indicati per la adozione di tali atti sono sempre stati pacificamente considerati come meramente ordinatori, con la conseguenza che l'attuazione delle misure, che trovano la loro giustificazione nei presupposti costituzionali di straordinaria necessità ed urgenza, risulta di fatto rimessa ad atti che possono intervenire a distanza di molto tempo o addirittura possono non essere emanati mai.
  Rileva che il monitoraggio effettuato sull'attuazione dei decreti-legge adottati e convertiti sotto il Governo Monti ha mostrato che, su 606 provvedimenti attuativi previsti, ne risultano adottati poco più della metà (51,7 per cento), ossia 313. Dei restanti 293 provvedimenti, solo per 13 i termini di emanazione non risultano scaduti. Per 97 adempimenti, invece, i termini sono scaduti, per 135 adempimenti non erano previsti termini espliciti e 48 provvedimenti risultano addirittura «non adottabili». Sotto un altro profilo, in connessione con la previsione di casi straordinari di necessità ed urgenza quali presupposti per l'adozione dei decreti-legge, l'articolo 77, comma secondo della Costituzione prevede una procedura molto celere per la presentazione e la convocazione delle Camere, secondo la quale i decreti-legge sono presentati per la conversione alle Camere il giorno stesso dello loro adozione; le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e devono riunirsi entro cinque giorni.
  Segnala peraltro che è invalsa una prassi per la quale tra la delibera del Consiglio dei ministri e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale può trascorrere un lasso di tempo non breve, non di rado dovuto ad esigenze di coordinamento del testo.
  A titolo esemplificativo ricorda, tra i casi più recenti, il decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, relativo all'abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti, deliberato dal Consiglio dei ministri il 13 dicembre 2013 e pubblicato a quindici giorni di distanza.
  Evidenzia che la questione della sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza si interseca con quella dell'omogeneità e specificità del contenuto dei decreti-legge, che di essa costituisce una sorta di corollario.
  Rileva che nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte costituzionale ha infatti collegato il riconoscimento dell'esistenza dei presupposti fattuali, di cui all'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, ad una intrinseca coerenza delle norme contenute in un decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico. La Corte ha affermato che l'articolo 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, che prescrive che il contenuto del decreto-legge deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo, pur non avendo, in sé e per sé, rango costituzionale, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell'articolo 77 della Costituzione, il quale impone il collegamento dell'intero decreto-legge al Pag. 150caso straordinario di necessità e urgenza. Sulla base di queste premesse è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di disposizioni introdotte nel corpo del decreto-legge per effetto di emendamenti approvati in sede di conversione.
  In particolare, la Corte ha affermato che la legge di conversione deve osservare la necessaria omogeneità del decreto-legge. È infatti, lo stesso articolo 77 secondo comma, della Costituzione., ad istituire «un nesso di interrelazione funzionale tra decreto-legge, formato dal Governo ed emanato dal Presidente della Repubblica, e legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione peculiare rispetto a quello ordinario», in base al quale è esclusa la possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario. Rappresenta che l'inserimento di norme eterogenee all'oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame essenziale tra decretazione d'urgenza e potere di conversione; in tal caso, la violazione dell'articolo 77, secondo comma, della Costituzione, deriva dall'uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce. Nel caso di specie, la Corte ha precisato in ordine ai cosiddetti decreti «milleproroghe», che, «sebbene attengano ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, devono obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti – pur attinenti ad oggetti e materie diversi – che richiedono interventi regolatori di natura temporale». Ed ha conseguentemente ritenuto estranea a tali interventi «la disciplina a regime di materie o settori di materie» (la protezione civile).
   Ricorda che tale orientamento è stato successivamente confermato con l'ordinanza n. 34 del 2013 e la sentenza n. 32 del 2014, nella quale sono svolte ulteriori argomentazioni a sostegno della coerenza tra decreto-legge e legge di conversione. Quest'ultima segue un iter parlamentare semplificato e caratterizzato dal rispetto di tempi particolarmente rapidi, che si giustificano alla luce della sua natura di legge funzionalizzata alla stabilizzazione di un provvedimento avente forza di legge. Dalla sua connotazione di legge a competenza tipica derivano i limiti alla emendabilità del decreto-legge; ne consegue che la legge di conversione non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore.
  La sentenza n. 32 del 2014 ha dunque dichiarato l'illegittimità costituzionale della nuova disciplina dei reati in materia di stupefacenti, che introduceva tra l'altro l'equiparazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette «pesanti» e di quelli aventi ad oggetto le droghe cosiddette «leggere». Tale disciplina, composta di ben 25 articoli, era stata inserita nel corso dell'iter parlamentare del decreto-legge n. 272 del 2005, composto di 5 articoli concernenti, rispettivamente, l'assunzione di personale della Polizia di Stato, la funzionalità dell'Amministrazione civile dell'interno, finanziamenti per le olimpiadi invernali, recupero dei tossicodipendenti detenuti e diritto di voto degli italiani all'estero. La questione della sostanziale omogeneità delle norme contenute nella legge di conversione è stata inoltre affrontata in interventi ripetuti della Presidenza della Repubblica.
  Segnalando i più rilevanti, ricorda che con messaggio del 29 marzo 2002, il Presidente Ciampi, ha rinviato alle Camere il disegno di legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n. 4, in materia di agricoltura, perché il testo era stato aggravato nel corso dell'iter parlamentare da tante norme disomogenee, che rendevano il provvedimento «di difficile conoscibilità del complesso della normativa applicabile. Evidenzia che su questo tema l'attenzione del Presidente Napolitano è sempre stata costante. In una nota del 18 maggio 2007, il Presidente auspicava la rapida conclusione dei lavori avviati nelle rispettive Giunte per il regolamento ai fini della necessaria armonizzazione delle prassi seguite nei due rami del Parlamento Pag. 151per la valutazione di ammissibilità degli emendamenti in sede di conversione dei decreti-legge.
  Sui limiti all'emendabilità dei decreti-legge, ricorda che il Presidente Napolitano è ripetutamente tornato con le lettere inviate il 9 aprile 2009, il 15 luglio 2009, il 22 maggio 2010, il 22 febbraio 2011, il 23 febbraio 2012 e, da ultimo, con lettera del 27 dicembre 2013, inviata ai Presidenti delle Camere, relativa all’iter parlamentare di conversione del cosiddetto decreto «salva-Roma», nel corso del quale erano stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi. Il Capo dello Stato ha sottolineato nuovamente la necessità di verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione, dichiarando di non poter più rinunciare ad avvalersi della facoltà di rinvio. A seguito della lettera, il Governo ha rinunciato alla conversione del provvedimento.
  Fa presente che, al fine di evitare l'inserimento nei decreti-legge di disposizioni di carattere eterogeneo, risulta fondamentale il vaglio di ammissibilità degli emendamenti affidato ai Presidenti delle Camere. Rileva che si registra sul punto una asimmetria nella prassi dei due rami del Parlamento, dal momento che presso la Camera sono seguiti criteri molto rigorosi per il vaglio di ammissibilità, laddove al Senato tali criteri sono – o perlomeno sono stati per lungo tempo – meno stringenti. Al Senato è sempre stata riconosciuta infatti una maggiore estensione del potere di emendamento rispetto alla Camera. Alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare della sentenza n. 22 del 2012, e dei richiami del Capo dello Stato, questa prassi applicativa appare peraltro destinata a mutare.
  Sottolinea che nella seduta del 9 luglio 2013 la Commissione Affari costituzionali del Senato, ha adottato specifiche linee guida sulla qualità della legislazione, in particolare sottolineando, con riferimento alla decretazione d'urgenza, che «l'omogeneità è ormai da considerarsi, a seguito della più recente giurisprudenza costituzionale, un parametro di costituzionalità che può orientare l'attività consultiva della Commissione affari costituzionali in sede di esame degli emendamenti ai decreti-legge». Ricorda che in data 28 dicembre 2013, ossia il giorno successivo all'ultimo richiamo del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato ha inviato una lettera ai Presidenti delle Commissioni parlamentari permanenti, esprimendo una forte raccomandazione per il più rigoroso rispetto dei principi costituzionali, affinché il vaglio sulla proponibilità degli emendamenti riferiti ai decreti-legge sia particolarmente scrupoloso e attento. Sottolinea che a questi rigorosi criteri la Presidenza del Senato si è attenuta nella seduta del 20 febbraio 2014, in occasione dell'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 151 del 2013 (cosiddetto Salva-Roma 2).
  Passando poi al problema dei limiti contenutistici alla decretazione di urgenza, ricorda che l'articolo 77 della Costituzione non esplicita tali limiti, che sono invece individuati, a livello di legislazione ordinaria, dall'articolo 15, comma 2, della legge n. 400 del 1988. Questa disposizione prevede, in particolare, che il Governo non può, mediante decreto-legge: a) conferire deleghe legislative; b) provvedere nelle materie per le quali la Costituzione (articolo 72, quarto comma) richiede la procedura normale di esame davanti alle Camera, ossia materia costituzionale ed elettorale, delegazione legislativa, autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, approvazione di bilanci e consuntivi; c) rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere; d) regolare i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti; e) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale per vizi non attinenti al procedimento.
  Ricorda che un'ulteriore limitazione è contenuta nella legge n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, secondo cui non si può disporre con decreto-legge l'istituzione di nuovi tributi né prevedere l'applicazione di tributi Pag. 152esistenti ad altre categorie di soggetti. Nella prassi, la questione è stata affrontata soprattutto con riferimento al conferimento di deleghe e alla materia elettorale, mentre ampiamente disatteso è risultato il limite delineato dallo statuto dei diritti del contribuente. Un ulteriore limite costituzionale implicito è stato individuato dalla Corte costituzionale nella fondamentale sentenza n. 220 del 2013, con cui è stato dichiarato illegittimo l'uso del decreto-legge per introdurre riforme di carattere ordinamentale, come, nel caso di specie, la riforma delle province prevista dall'articolo 23-bis del decreto legge n. 201 del 2011. Evidenzia che, secondo il ragionamento svolto dalla Corte, tali materie non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'articolo 77 della Costituzione concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di «casi straordinari di necessità e d'urgenza».
  In secondo luogo, sottolinea che la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell'intero sistema e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d'urgenza».
  Rileva che considerazioni in parte analoghe sono svolte nella già richiamata sentenza n. 32 del 2014, sui reati in materia di stupefacenti. In tale sentenza, la Corte rileva infatti che «una tale penetrante e incisiva riforma, coinvolgente delicate scelte di natura politica, giuridica e scientifica, avrebbe richiesto un adeguato dibattito parlamentare, possibile ove si fossero seguite le ordinarie procedure di formazione della legge. Per quanto riguarda la previsione di deleghe nell'ambito dei provvedimenti di urgenza, sottolinea che il problema si pone esclusivamente con riferimento alla possibilità di inserire nel corso dell'esame parlamentare norme di delega nell'ambito del disegno di legge di conversione. Rileva anche in questo caso diversi criteri di ammissibilità degli emendamenti nei due rami del Parlamento. Alla Camera il disposto dell'articolo 15 della legge n. 400 del 1988 è assunto come parametro di valutazione nel vaglio di ammissibilità degli emendamenti e gli emendamenti che introducono nuove deleghe o modifiche di deleghe nell'ambito di disegni di legge di conversione sono conseguentemente ritenuti inammissibili. Al Senato la prassi è orientata diversamente e consente dunque la votazione di emendamenti recanti norme di delega. Di fatto numerosissimi sono i casi di previsioni di deleghe inseriti in disegni di legge di conversione.
  Sul punto sottolinea che la Corte costituzionale ha avuto occasione di pronunciarsi recentemente con la sentenza n. 237 del 2013 che contiene affermazioni parzialmente difformi da quelle delle sentenze n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014. In tale sentenza la Corte rileva la completa autonomia delle disposizioni di delega inserite nella legge di conversione rispetto al decreto-legge e alla sua conversione. Essa riconosce dunque alla legge di conversione un duplice contenuto con diversa natura ed autonomia: l'uno di conversione del decreto-legge, con le modificazioni introdotte, adottato in base alla previsione dell'articolo 77, terzo comma, della Costituzione; l'altro, di legge di delega ai sensi dell'articolo 76 della Costituzione. La sentenza conclude dunque nel senso che «il Parlamento, nell'approvare la legge di conversione di un decreto-legge, possa esercitare la propria potestà legislativa anche introducendo, con disposizioni aggiuntive, contenuti normativi ulteriori, peraltro con il limite [...] dell'omogeneità complessiva dell'atto normativo rispetto all'oggetto o allo scopo (sentenza n. 22 del 2012).». Ampiamente discussa è anche la possibilità che il decreto-legge intervenga in materia elettorale.
  Osserva che la Corte costituzionale ha affrontato la questione nella sentenza Pag. 153n. 161 del 1995, relativa ad un conflitto di attribuzione sollevato da un comitato promotore del referendum avverso la disciplina recata da un decreto-legge. In tale sentenza la Corte ha riconosciuto l'esistenza di un divieto di provvedere con decreti-legge in materia elettorale, sancito dall'articolo 72, quarto comma, della Costituzione e richiamato dall'articolo 15, secondo comma, lettera b), della legge n. 400 del 1988, e ha rilevato che, anche ammettendo una piena equiparazione tra materia elettorale e materia referendaria, la disciplina posta dal decreto non incideva né sul voto né sul procedimento referendario in senso proprio – in cui va identificato l'oggetto della materia – ma solo sulle modalità della campagna referendaria.
  Da tale affermazioni può, a suo avviso, desumersi che il divieto di intervenire con decreto-legge in materia elettorale riguardi, per così dire, il «nucleo duro» della legge elettorale, essenzialmente quello che regola la determinazione della rappresentanza politica in base ai voti ottenuti, e non incida invece sulla cosiddetta legislazione elettorale di contorno o sulla disciplina di aspetti di carattere procedimentale o organizzativo. La prassi è orientata in questo senso.
  Sottolinea che merita infine ricordare che in diversi casi, particolarmente delicati, il Capo dello Stato ha ritenuto di esercitare le proprie prerogative di garanzia istituzionale mediante il formale diniego di emanazione del decreto-legge, ravvisando un uso improprio da parte del Governo di tale strumento legislativo. Tra i casi meno risalenti ricorda che, con un comunicato del 7 marzo 1993, il Presidente Scàlfaro, in rapporto all'emanazione di un decreto-legge in materia di finanziamento dei partiti politici, ha invitato il Governo a riconsiderare l'intera questione, ritenendo più appropriata la presentazione alle Camere di un provvedimento in forma diversa da quella del decreto-legge. Ritiene si debba inoltre richiamare il rifiuto del Presidente Napolitano di emanare il decreto-legge varato dal Governo in occasione della dolorosa vicenda di Eluana Englaro, esplicitato in una lettera del 6 febbraio 2009 al Presidente del Consiglio, ritenendo il ricorso al decreto legge soluzione inappropriata, in considerazioni di elementi di merito, collegati alla specifica vicenda, ed al tempo stesso di motivi di illegittimità connessi all'assenza dei presupposti per l'adozione del decreto.
  Completa il quadro della giurisprudenza costituzionale, la nota sentenza n. 360 del 1996 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale della reiterazione dei decreti-legge. La Corte ha ritenuto violato l'articolo 77 della Costituzione quando i decreti-legge reiterati, considerati nel loro complesso o in singole disposizioni, riproducono sostanzialmente, in assenza di nuovi e sopravvenuti presupposti straordinari di necessità ed urgenza, il contenuto normativo di un decreto-legge che ha perso efficacia a seguito della mancata conversione. La sentenza, ha avuto l'effetto di impedire la formazione di «catene» di decreti-legge che si sanavano l'uno con l'altro e di diminuire il numero complessivo di decreti adottati dal Governo, che dai circa 600 della XII legislatura scendono ai 204 della XIII (il dato è depurato dalle reiterazioni consentite fino all'ottobre 1996) e ai 216 della XIV.
  Ricorda che un fenomeno diverso da quello della reiterazione, sviluppatosi nelle ultime legislature è quello della confluenza dei decreti-legge non convertiti in altri provvedimenti. Vi è infatti un consistente numero di decreti emanati e successivamente decaduti senza l'approvazione del relativo disegno di legge di conversione, il cui contenuto in molti casi viene trasfuso, prima o anche successivamente alla decorrenza del termine costituzionale per la loro decadenza, in altri disegni di legge in corso di discussione. Tale fenomeno, da un lato, è suscettibile di ingenerare incertezze interpretative relativamente alla disciplina concretamente operante in un dato periodo nelle materie oggetto di intervento legislativo, e, dall'altro, deve essere valutato in relazione ai caratteri di specificità, omogeneità e corrispondenza al titolo del contenuto dei decreti-legge.Pag. 154
  Conclude ricordando come il problema della decretazione d'urgenza sia stato ripetutamente affrontato nell'ambito del più ampio dibattito sulle riforme costituzionali. La relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali istituita dal Presidente del Consiglio Enrico Letta, trasmessa alle Camere il 18 settembre 2013, al fine di garantire tempi certi ai disegni di legge ritenuti dal Governo urgenti e allo stesso tempo di evitare abusi nel ricorso alla decretazione d'urgenza, propone il conferimento di veste costituzionale o di legge organica, resistente a modifiche con legge ordinaria, ai limiti ai decreti-legge stabiliti dall'articolo 15 della legge 400 del 1988, prevedendo in ogni caso il divieto di introdurre disposizioni aggiuntive al disegno di legge di conversione. Contestualmente essa prevede un procedimento che inizia presso la Camera, su richiesta del Presidente del Consiglio a seguito di delibera del Consiglio dei ministri, subordinato al voto favorevole della stessa Camera per l'approvazione di un disegno di legge a data fissa, applicabile ad un numero limitato di provvedimenti.
  Proposte sostanzialmente analoghe erano state elaborate nel documento del gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali istituito dal Presidente della Repubblica Napolitano il 30 marzo 2013. Evidenzia che nella bozza di disegno di legge costituzionale per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione del Titolo V, presentata dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento dell'attuale Governo nel Consiglio dei ministri del 12 marzo 2014 non sono previste modifiche specifiche dell'articolo 77 della Costituzione. È invece introdotta la disciplina del cosiddetto voto a data fissa, ossia la possibilità per il Governo di fissare un termine certo per l'esame dei disegni di legge, che rappresenta una delle novità più rilevanti nell'articolo 70 sul procedimento legislativo. Nel mettere a disposizione dei colleghi il testo del suo intervento introduttivo, auspica che sul tema in discussione possa svilupparsi un ampio e approfondito dibattito in vista della relazione da presentare all'Assemblea.
  Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.20.

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 27 marzo 2014. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 15.20.

DL 16/2014: Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità dei servizi svolti nelle istituzioni scolastiche.
C. 2162 Governo.
(Parere alle Commissioni riunite V e VI).
(Seguito dell'esame e conclusione – Parere favorevole con condizione).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 26 marzo 2014.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatore, formula una proposta di parere favorevole con una condizione (vedi allegato 1) volta a richiedere che si valuti, all'articolo 16, la compatibilità con l'ordinamento vigente delle lettere d) ed e) del comma 2 del medesimo articolo, che intervengono sull'autonomia dell'ente Roma capitale, in una materia che riguarda anche lo svolgimento di servizi alla comunità territoriale, alla luce della forma pattizia del piano di rientro e del ruolo del tavolo interistituzionale di cui al comma 3 del medesimo articolo 16. Evidenzia, infine, che tale condizione è volta esclusivamente a verificare i profili di compatibilità delle lettere d) ed e) del comma 2 del citato articolo 16 senza voler connotare negativamente il contenuto delle disposizioni medesime.

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  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che è stata presentata una proposta alternativa di parere del Gruppo del MoVimento 5 Stelle, a prima firma dell'onorevole Dadone (vedi allegato 2). Avverte che porrà prima in votazione la proposta di parere della relatrice. In caso di sua approvazione, la proposta alternativa a prima firma dell'onorevole Dadone ed altri si intenderà preclusa e non sarà posta in votazione.

  La Commissione approva la proposta di parere come formulata dalla relatrice.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, avverte che, a seguito dell'approvazione della proposta di parere della relatrice, la proposta di parere alternativa a prima firma dell'onorevole Dadone si intende preclusa.
  Dichiara, quindi, conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 15.30.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Giovedì 27 marzo 2014.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 15.30 alle 15.35.

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