CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 18 luglio 2013
58.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 23 LUGLIO 2013

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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

  Giovedì 18 luglio 2013. — Presidenza del vicepresidente Roberta AGOSTINI. — Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Domenico Manzione.

  La seduta comincia alle 14.05.

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Sulla pubblicità dei lavori.

  Roberta AGOSTINI, presidente, ricorda che, ai sensi dell'articolo 135-ter, comma 5, del regolamento, la pubblicità delle sedute per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata è assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati. Dispone, pertanto, l'attivazione del circuito.

5-00649 Centemero e Gelmini: Italiane che hanno perso la cittadinanza per effetto della legge n. 555 del 1912.

  Elena CENTEMERO (PdL), nell'illustrare l'interrogazione in titolo, sottolinea come questa metta in evidenza una discriminazione che esiste in materia di cittadinanza.
  Discriminazione che riguarda quelle donne cittadine italiane, emigrate all'estero nel secolo scorso e sposate con stranieri, che la legge n. 55 del 1912 ha privato – loro e i loro figli – della cittadinanza. Situazione sanata dalla Costituzione nel 1948, che non ha riguardato però i casi antecedenti a quella data.
  Chiede, quindi, al Governo, quali iniziative intenda assumere sul tema del rispetto del diritto di cittadinanza.

  Il sottosegretario Domenico MANZIONE risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

  Elena CENTEMERO (PdL) replicando, ringrazia il sottosegretario per la chiarezza della sua risposta e anche per l'indicazione di percorso normativo che ha fornito.
  Osserva che la sua interrogazione nasce da un ordine del giorno approvato dal Consiglio generale degli italiani all'estero, riunitosi a Roma dal 26 al 28 giugno scorsi, ai cui lavori ha partecipato in rappresentanza della I Commissione.
  Sottolinea, infine, come il tema del diritto alla cittadinanza sia molto caro a quegli italiani che, come lei, hanno trascorso molti anni all'estero.

5-00648 Fiano e De Menech: Nuova sede della Questura di Belluno.

  Roger DE MENECH (PD) illustra l'interrogazione in titolo che riguarda la costruzione della nuova sede della questura di Belluno e, più in generale, l'organizzazione complessiva delle forze di polizia nella medesima provincia, che può essere complessivamente considerata tranquilla, ma che raggiunge picchi di commissione di reati nei momenti di maggiore flusso turistico.
  Organizzazione che a suo avviso può essere riqualificata con l'interazione tra le forze di polizia e una conseguente riduzione della spesa, ad esempio degli affitti. Si potrebbe inoltre prendere in considerazione l'eventualità di utilizzare edifici pubblici per l'ubicazione di caserme e commissariati. Osserva che una maggiore sinergia tra le forze di polizia potrebbe contribuire a un miglioramento complessivo della sicurezza e, quindi, della vita dei cittadini.

  Il sottosegretario Domenico MANZIONE risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Roger DE MENECH (PD), replicando, ringrazia il sottosegretario per la risposta. Osserva che una volta risolta la questione della questura di Belluno, si potrà pensare a una riorganizzazione del personale delle forze di polizia con l'obiettivo di spostare personale da lavori di tipo amministrativo a compiti di carattere operativo.
  Prende atto, quindi, dell'impegno del Governo a progettare una riqualificazione del personale delle forze di polizia della provincia di Belluno.

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  Roberta AGOSTINI, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 14.15.

ATTI DEL GOVERNO

  Giovedì 18 luglio 2013. — Presidenza del vicepresidente Roberta AGOSTINI.

  La seduta comincia alle 14.15.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 ottobre 2010, n. 204, di attuazione della direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi.
Atto n. 16.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Laura RAVETTO (PdL), relatore, illustra il contenuto del provvedimento in titolo, che prevede disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo n. 204/2010, recante attuazione della direttiva 2008/51/UE concernente il controllo dell'acquisizione e della detenzione delle armi.
  Secondo la relazioni illustrativa del Governo, le modifiche proposte troverebbero giustificazione con riferimento alle criticità emerse nella prima fase di attuazione del decreto legislativo n. 204 del 2010 e all'esito delle richieste di intervento avanzate dal Banco nazionale di prova e dalle Associazioni delle imprese di settore.
  Lo schema intende in particolare: adeguare la normativa di riferimento alle modifiche che hanno portato alla soppressione del Catalogo nazionale delle armi ed all'attribuzione al Banco nazionale di prova delle relative competenze; colmare carenze normative, chiarendo l'applicazione pratica di alcune disposizioni; modificare alcune norme con finalità di semplificazione procedimentale.
  Il Banco nazionale di prova per le armi da fuoco portatili e le munizioni è un ente di diritto pubblico, istituito nel 1910, con sede in Gardone Val Trompia (Brescia), istituzionalmente preposto al controllo tecnico della rispondenza delle armi e delle munizioni alle norme tecniche e di legge. L'ente è stato oggetto di riordino con decreto del Presidente della Repubblica n. 222 del 2010.
  Fa presente che l'intero articolato dello schema di decreto utilizza la tecnica della novella ai principali provvedimenti normativi in tema di disciplina delle armi.
  In particolare, l'articolo 1 reca modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS), adottato con il regio decreto 18 giugno 1931, n. 773.
  La lettera a) interviene sull'articolo 31, secondo cui è necessaria la licenza del questore, di durata triennale, per fabbricare armi, assemblarle, introdurle nello Stato, esportarle, farne raccolta per ragioni di commercio o di industria, o porle comunque in vendita.
  La lettera a) fa salva la particolare disciplina prevista per l'esportazione di armi dall'articolo 16 della legge n. 110 del 1975 che, come modificato dallo schema in esame, prevede il rilascio della licenza di polizia per l'esportazione di armi, di durata non superiore ad un anno, rinnovabile per un anno, ulteriormente prorogabile per un altro anno, previa istanza di rinnovo da presentarsi ad ogni scadenza annuale.
  La lettera b) interviene sull'articolo 31-bis, in materia di licenza per l'attività di intermediario, prevedendo che la licenza è rilasciata dal questore, e non più dal prefetto, introducendo un'esenzione dall'obbligo di licenza per i rappresentanti in possesso di mandato delle parti interessate all'attività di intermediazione e rendendo mensile (anziché annuale) l'obbligo per gli operatori autorizzati (o per i mandanti) di consegnare, anche tramite posta elettronica Pag. 26certificata, all'autorità che ha rilasciato la licenza, un resoconto dettagliato delle singole operazioni effettuate.
  La lettera c) modifica l'articolo 38 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Tulps), relativo alla denuncia di detenzione di armi. Tra le modalità per effettuare la denuncia, la disposizione vigente prevede la trasmissione per via telematica al sistema G.E.A. secondo modalità stabilite con regolamento, modalità che lo schema in esame sostituisce con la trasmissione della denuncia all'indirizzo di posta elettronica certificata della questura competente per territorio. La novella risponde a finalità di semplificazione procedimentale mediante utilizzo delle tecnologie informatiche.
  La lettera d) integra la disciplina prevista dall'articolo 39 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, relativo al divieto di detenere armi che il Prefetto può disporre, ancorché si tratti di armi regolarmente denunciate, con proprio provvedimento nei confronti delle persone ritenute capaci di abusarne.
  La novella aggiunge un secondo comma alla disposizione, in base al quale, il prefetto dispone l'eventuale restituzione all'interessato delle armi, munizioni o esplodenti ritirati in via cautelare dagli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza nei casi di urgenza, ovvero, prima di adottare il provvedimento di divieto, l'assegnazione all'interessato di un termine di 150 giorni per l'eventuale cessione a terzi dei medesimi materiali. In caso di mancata cessione, insieme con il provvedimento di divieto è disposta la confisca con le modalità di cui all'articolo 6, comma 5, della legge n. 152 del 1975.
  La lettera e) integra la disciplina prevista dall'articolo 57 per i poligoni di tiro privati. La normativa vigente – introdotta dal decreto legislativo n. 204 del 2010 – richiede la licenza dell'autorità locale di pubblica sicurezza per l'apertura o la gestione di campi di tiro o poligoni privati.
  La lettera in esame detta la disciplina per l'apertura dei poligoni di tiro privati, finora regolata da prassi e prescrizioni adottate dai singoli questori, per garantire uniformità applicativa a livello nazionale. Fra l'altro, viene subordinato il rilascio di tale licenza alla presentazione, sotto la responsabilità del richiedente, di documentazione tecnica completa, a firma di professionisti abilitati, attestante l'adozione di tutte le misure idonee ad impedire il pericolo ed il danno per la pubblica incolumità e a garantire il rispetto delle regole tecniche previste dalle disposizioni vigenti e prescritte dalle federazioni sportive affiliate al CONI. Le attività di tiro devono essere svolte alla presenza e sotto la vigilanza di personale in possesso delle autorizzazioni previste dalla vigente normativa. I direttori e gli istruttori di tiro dei campi e poligoni privati debbono munirsi della licenza del sindaco. I titolari della licenza per i poligoni di tiro privati sono tenuti ad osservare gli obblighi in materia di registri da tenere aggiornati previsti per i presidenti delle sezioni di tiro a segno.
  L'articolo 2 dello schema di decreto reca modifiche alla legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), già modificata dal decreto legislativo n. 204 del 2010.
  La lettera a) integra la disciplina relativa alla armi comuni da sparo di cui all'articolo 2 della legge n. 110 del 1975. Con una prima modifica sono introdotti limiti ulteriori alla destinazione al mercato nazionale civile di alcune tipologie di armi.
  In particolare, non possono essere oggetto di fabbricazione, importazione e vendita anche le armi comuni da sparo con caricatori o serbatoi contenenti un numero di colpi superiori a 5 per le armi corte e a 15 per le armi lunghe, ad eccezione delle armi ad uso sportivo e alle repliche di armi antiche (per le quali è ammesso un numero di colpi non superiore a 10). Il divieto riguarda anche i predetti caricatori ed i dispositivi per attenuare il rumore dello sparo.
  Con una seconda modifica si attribuisce al Banco nazionale di prova (e non più alla Commissione consultiva centrale del Ministero dell'interno) la competenza in Pag. 27ordine all'accertamento dell'attitudine a recare offesa alla persona di determinate armi.
  Con la terza modifica, si prevede il divieto di capsule sferiche marcatrici diverse da quelle consentite alla luce della nuova definizione delle armi ad uso sportivo.
  La lettera b) elimina la competenza del Ministero dell'interno relativo all'accertamento tecnico per il riconoscimento delle armi c.d. soft air, che, pertanto, resta ferma in capo al solo Banco nazionale di prova.
  La lettera c) reca alcune precisazioni sulla disciplina degli accertamenti tecnici nei confronti di chi abbia prestato servizio militare, sia stato funzionario di pubblica sicurezza o esibisca certificato d'idoneità al maneggio delle armi.
  La lettera d) coordina la normativa sulla importazione di armi con il nuovo assetto di competenze previsto dopo la soppressione del Catalogo nazionale delle armi, per cui vieta l'importazione delle armi che non abbiamo superato la verifica tecnica da parte del Banco nazionale di prova, prevista dal decreto-legge n. 95 del 2012.
  Anche la modifica prevista dalla lettera e) all'articolo 12 della citata legge, consegue alla necessità di un coordinamento normativo relativo alla qualificazione delle armi inidonee, tali anche quando non superino la verifica presso il Banco nazionale di prova. Inoltre, la novella, abrogando l'ultimo comma dell'articolo 12, rende definitivo l'accertamento in ordine alla natura di arma comune da sparo effettuato dal Banco nazionale di prova, in quanto elimina la possibilità di un ricorso al Ministero dell'interno contro un eventuale giudizio negativo del Banco.
  La lettera f) interviene in materia di importazione temporanea di armi comuni da sparo, introducendo le finalità di valutazione e riparazione, oltre a quelle espositive già previste, per l'importazione temporanea di armi comuni da sparo per finalità commerciali.
  La lettera g) modifica la disciplina sull'esportazione di armi per: dettagliare la disciplina relativa al rilascio e alla durata della licenza di polizia per l'esportazione di armi, che passa da tre anni a un anno; viene inoltre specificato che la licenza può essere singola, multipla o globale; sopprimere il termine di 90 giorni dal rilascio della licenza, entro cui deve avvenire l'effettiva esportazione di armi, salvo giustificati motivi; in relazione all'esportazione temporanea, da parte di persone residenti in Italia, di armi comuni da sparo, vengono incluse, oltre a quelle per uso sportivo o di caccia, anche quelle per finalità commerciali ai soli fini espositivi durante fiere, esposizioni, mostre, o di valutazione e riparazione, tra quelle che devono essere disciplinate con decreto ministeriale.
  Le modifiche alla vigente disciplina previste dalle lettere f) e g) sono da porre in relazione con le previsioni del Regolamento (UE) n. 258/2012, e a cui s'intende dare applicazione.
  La lettera h) introduce le modalità di custodia delle armi, attualmente rinviate per la loro determinazione a decreti del Ministro dell'interno ai sensi dell'articolo 20, ultimo comma., della legge n. 110 del 1975 (che, pertanto, viene abrogato).
  In particolare, con la novella al comma 1, si richiede al detentore anche di parti di armi di adottare adeguate cautele per la custodia dotandosi, almeno, di contenitori blindati e, nel caso in cui detenga più di nove armi, di sistemi di sicurezza elettronici o di difesa passiva.
  Il successivo articolo 5, comma 1, lettera b), dello schema in esame prevede che entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso, i detentori di armi provvedano agli adempimenti per la custodia così introdotti.
  Con le lettere i) ed l) si apportano modifiche conseguenti alla soppressione del Catalogo nazionale. In sintesi, le armi ad uso scenico vengano sottoposte a verifica da parte del Banco nazionale di prova, a spese dell'interessato; il successivo articolo 5, comma 1, lettera a), prevede che ciò avvenga entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso; sono inoltre considerate armi Pag. 28clandestine quelle introdotte in Italia senza la preventiva verifica del Banco nazionale di prova.
  L'articolo 3 dello schema in esame modifica l'articolo 2 della legge 25 marzo 1986, n. 85, recante Norme in materia di armi ad uso sportivo. In particolare, la lettera a), attribuisce al Banco nazionale di prova la competenza a riconoscere la qualifica delle armi per uso sportivo (al posto del Ministero dell'interno, su conforme parere della Commissione consultiva centrale), fermo restando il parere delle federazioni sportive affiliate al CONI e consente per le sole armi sportive di disporre di caricatori o serbatoi contenenti un numero di colpi maggiore rispetto a quanto previsto per le armi comuni da sparo, nel caso in cui sia previsto dalle federazioni sportive in relazione a singole discipline sportive.
  La lettera b) include nella categoria di armi per uso sportivo anche le armi ad aria compressa o gas compresso a canna liscia e a funzionamento automatico, destinate al lancio di capsule sferiche marcatrici biodegradabili che erogano energia cinetica superiore a 7,5 joule. È stato infatti ritenuto opportuno qualificare in tal senso i marcatori cosiddetti «paint ball» con un'energia cinetica superiore a 7,5 joule, considerata la nascita di numerose associazioni che promuovono tale attività quale attività ludico-sportiva.
  La lettera c) prevede che la armi ad uso sportivo siano sottoposte a verifica da parte del Banco nazionale di prova. Il successivo articolo 5, comma 1, lettera a), dispone che ciò avvenga entro un anno dall'entrata in vigore dello stesso.
  L'articolo 4 del provvedimento in esame introduce disposizioni correttive della disciplina transitoria prevista dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 204 del 2010.
  In particolare, si stabilisce che i detentori di armi siano tenuti a presentare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, il certificato medico richiesto dalla normativa vigente per il rilascio del nulla osta all'acquisto di armi comuni da fuoco.
  L'articolo 5 reca disposizioni finali volte a specificare la prima applicazione delle novità introdotte, di cui si è dato conto di volta in volta.
  L'articolo 6 reca la clausola di invarianza finanziaria.
  Anche alla luce degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, si riserva di condurre nel corso dell’iter un approfondimento circa la conformità alla norma di delega di alcune disposizioni.
  Rileva infine l'opportunità di procedere ad audizioni anche informali degli operatori del settore, che hanno segnalato alcune problematiche inerenti allo schema in esame.

  Roberta AGOSTINI, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.30.

SEDE REFERENTE

  Giovedì 18 luglio 2013. — Presidenza del vicepresidente Roberta AGOSTINI. — Interviene il Ministro per le riforme costituzionali Gaetano Quagliariello.

  La seduta comincia alle 14.30.

Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali.
C. 1359 Governo, approvato dal Senato.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 17 luglio 2013.

  Federica DIENI (M5S) esprime il timore che la maggioranza intenda mettere mano a una profonda trasformazione della parte II della Costituzione, la quale avrà necessariamente ripercussioni sul sistema dei diritti e delle garanzie per i cittadini di cui alla parte I della Costituzione stessa. La maggioranza afferma infatti Pag. 29che la parte I della Costituzione non sarà toccata, ma i diritti e le garanzie di cui alla parte I si basano sul sistema di regole istituzionali della parte II. Quindi, dopo aver brevemente ricordato il contenuto del disegno di legge in titolo, preannuncia che, in sede di ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, il suo gruppo chiederà su di esso lo svolgimento di audizioni.

  Andrea GIORGIS (PD) sottolinea come le riforme costituzionali non siano in contrasto con il sistema di diritti e garanzie di cui alla parte I della Costituzione, ma siano anzi nell'interesse della effettività di quel sistema. Occorre infatti riconoscere la fragilità dell'attuale sistema istituzionale, che si ripercuote in una difficoltà delle istituzioni a decidere e quindi anche a prendere le decisioni necessarie per assicurare la effettività dei diritti e delle garanzie di cui alla parte I della Costituzione. Non è quindi corretto, a suo avviso, interpretare il dibattito sulle riforme costituzionali come una contrapposizione tra chi difende la Costituzione e chi invece non si riconosce in essa. È vero invece che chi propugna le riforme – e il suo gruppo è tra questi – vuole per questa via difendere la Costituzione, nella consapevolezza che occorre una forma di Governo che garantisca insieme la rappresentatività e la capacità decisionale delle istituzioni democratiche, che patiscono oggi una crisi di legittimazione e una conseguente debolezza decisionale. La forza decisionale delle istituzioni democratiche è tuttavia fondamentale nell'interesse di quanti non hanno una posizione dominante nella sfera economica e nel mercato e guardano alle istituzioni democratiche per avere misure che assicurino l'uguaglianza. Ribadisce quindi che le riforme costituzionali hanno come obiettivo quello di garantire la effettività dei diritti costituzionali.
  Quanto al referendum, ritiene che le forze politiche della maggioranza dovrebbero assumere l'impegno di cercare in Parlamento la più ampia convergenza di tutti i gruppi sulle riforme costituzionali, evitando di attivare il procedimento referendario per ottenere una conferma popolare dei risultati del loro lavoro. In altre parole il referendum dovrebbe essere richiesto dalle forze di opposizione, nel caso in cui dovesse fallire lo sforzo di raggiungere la più ampia condivisione possibile su un testo di riforma.

  Riccardo FRACCARO (M5S) rileva, riguardo a quanto testè evidenziato dal collega Giorgis, che esiste un gap evidente tra i cittadini e coloro che dovrebbero rappresentarli e che dovrebbero quindi intervenire sulla Costituzione in termini condivisi dal corpo elettorale. Nel disegno di legge in esame, invece, non si prevede la partecipazione dei cittadini, se non nell'atto terminale, quando le persone si troveranno di fronte ad un bivio: approvare o respingere il testo. Il suo gruppo ritiene essenziale prevedere forme di coinvolgimento dei cittadini nella fase di predisposizione del testo di riforma.
  Chiede quindi al ministro come intenda giustificare la contraddizione per cui gli attuali parlamentari sono stati eletti con una legge evidentemente incostituzionale e gli stessi eletti – che non sono ancora riusciti a modificare tale legge – vogliono modificare la Costituzione senza porre prima rimedio a questa contraddizione.

  Danilo TONINELLI (M5S) ricorda che il comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge prevede che la nomina dell'istituendo Comitato è effettuata su designazione dei Gruppi parlamentari delle due Camere, previa intesa tra i Presidenti di Gruppo, «in base alla complessiva consistenza numerica dei Gruppi e al numero dei voti conseguiti dalle liste e dalle coalizioni di liste ad essi riconducibili, assicurando in ogni caso la presenza di almeno un rappresentante per ciascun Gruppo e la presenza di un rappresentante delle minoranze linguistiche riconosciute, eletto in una delle circoscrizioni comprese in Regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche».Pag. 30
  Chiede quindi al ministro di chiarire come si intenda procedere riguardo ai due parametri indicati, che sono tra loro molto diversi e difficilmente conciliabili.

  Roberta AGOSTINI, presidente, prende atto che non ci sono altre richieste di intervento e ricorda che il Ministro interverrà in replica a conclusione del dibattito di carattere generale. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore.
Testo base C. 1154 Governo, C. 15 d'iniziativa popolare, C. 186 Pisicchio, C. 199 Di Lello, C. 255 Formisano, C. 664 Lombardi, C. 681 Grassi, C. 733 Boccadutri, C. 961 Nardella, C. 1161 Rampelli, C. 1325 Gitti e petizione n. 43.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 17 luglio 2013.

  Roberta AGOSTINI, presidente, ricorda che l'inizio della discussione del provvedimento in Assemblea è fissato a venerdì 26 luglio prossimo. Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.55.

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 18 luglio 2013. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO.

  La seduta comincia alle 14.55.

Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013.
C. 1326 Governo, approvato dal Senato.
Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013.
C. 1327 Governo, approvato dal Senato.
Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2012.
(Doc. LXXXVII, n. 1).
(Parere alla XIV Commissione).
(Esame congiunto e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame congiunto del provvedimento.

  Roberta AGOSTINI, presidente, ricorda che la I Commissione avvia oggi l'esame congiunto dei seguenti disegni di legge europei, già approvati dal Senato: «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 (C. 1326)» e «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – Legge europea 2013 (C. 1327)», assegnati, a norma degli articoli 72, comma 1, e 126-ter, comma 1, del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti.
  Avverte altresì che la Commissione avvia oggi l'esame, congiuntamente ai suddetti disegni di legge, della relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, relativa all'anno 2012 (doc. LXXXVII, n. 1), assegnata, a norma dell'articolo 126-ter, comma 1, del Regolamento, alla XIV Commissione, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti.
  L'esame congiunto dei suddetti disegni di legge – la cui presentazione è stata prevista dalla recente legge n. 234 del 2012 – si svolge secondo le procedure dettate dall'articolo 126-ter del regolamento per il «disegno di legge comunitaria», in base alle quali le Commissioni in sede consultiva esaminano le parti di competenza e deliberano una relazione sul Pag. 31disegno di legge, nominando altresì un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione medesima. Poiché i disegni di legge ora previsti dalla legge n. 234 del 2012 sono distinti, le Commissioni dovranno esprimere su ciascuno di essi una distinta relazione, accompagnata da eventuali emendamenti approvati. Al relativo esame può procedersi congiuntamente.
  Sulla relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea le Commissioni sono invece chiamate, come già detto, ad esprimere un parere.
   Le relazioni ed il parere approvati sono trasmessi alla XIV Commissione; le eventuali relazioni di minoranza sono altresì trasmesse alla XIV Commissione, dove possono essere illustrate da uno dei proponenti.
  Ricorda infine che l'articolo 126-ter, comma 5, del regolamento prevede che le Commissioni di settore possano esaminare ed approvare emendamenti ai disegni di legge, per le parti di competenza.
  Gli emendamenti approvati dalle Commissioni di settore sono trasmessi alla XIV Commissione, che, peraltro, potrà respingerli solo per motivi di compatibilità con la normativa europea o per esigenze di coordinamento generale.
  Va peraltro ricordato che possono ritenersi ricevibili solo gli emendamenti il cui contenuto è riconducibile alle materie di competenza specifica di ciascuna Commissione di settore. Nel caso in cui membri della Commissione intendano proporre emendamenti che interessano gli ambiti di competenza di altre Commissioni, tali emendamenti dovranno essere presentati presso la Commissione specificamente competente.
  In secondo luogo, per quanto riguarda l'ammissibilità, l'articolo 126-ter, comma 4, del regolamento della Camera stabilisce che, fermi i criteri generali di ammissibilità previsti dall'articolo 89, i presidenti delle Commissioni competenti per materia e il presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea dichiarano inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio dei disegni di legge, come definito dalla legislazione vigente e, in particolare, dall'articolo 30 della legge n. 234 del 2012).
  In particolare, secondo la prassi seguita per il disegno di legge comunitaria, sono considerati inammissibili per estraneità al contenuto proprio gli emendamenti recanti modifiche di discipline vigenti, anche attuative di norme europee o previste da leggi comunitarie, per le quali non si presentino profili di incompatibilità con la normativa europea.
  In ogni caso, i deputati hanno facoltà di presentare emendamenti direttamente presso la XIV Commissione, entro i termini dalla stessa stabiliti.
  Gli emendamenti respinti dalle Commissioni di settore non potranno essere presentati presso la XIV Commissione, che li considererà irricevibili. Gli emendamenti respinti dalle Commissioni potranno, peraltro, essere ripresentati in Assemblea.
  Per prassi consolidata inoltre, gli emendamenti presentati direttamente alla XIV Commissione sono trasmessi alle Commissioni di settore competenti per materia, ai fini dell'espressione del parere, che assume una peculiare valenza procedurale.
  A tale parere, infatti, si riconosce efficacia vincolante per la XIV Commissione. L'espressione di un parere favorevole, ancorché con condizioni o osservazioni, equivarrà pertanto ad una assunzione dell'emendamento da parte della Commissione, assimilabile alla diretta approvazione di cui all'articolo 126-ter, comma 5, del regolamento. Tali emendamenti potranno essere respinti dalla XIV Commissione solo qualora siano considerati contrastanti con la normativa europea o per esigenze di coordinamento generale. Viceversa, un parere contrario della Commissione in sede consultiva su tali emendamenti avrà l'effetto di precludere l'ulteriore esame degli stessi presso la XIV Commissione.

  Ettore ROSATO (PD), relatore, illustra i disegni di legge europea e di delegazione europea relativi all'anno 2013, stati presentati il 2 maggio 2013 dal Governo al Pag. 32Senato (atti S. 587 e S. 588), ai sensi di quanto previsto dall'articolo 29 della recente legge 24 dicembre 2012, n. 234.
  Ricorda che tale legge ha introdotto una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea. In base a questa riforma l'adeguamento dell'ordinamento italiano a quello dell'Unione europea si fonda su due nuovi strumenti: la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell'Unione europea e la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea.
  Questi strumenti sostituiscono la legge comunitaria annuale prevista dalla legge n. 11 del 2005, sdoppiata quindi in due distinti provvedimenti e i disegni di legge che la Commissione si accinge ad esaminare costituiscono la prima applicazione della riforma.
  Rileva come occorra considerare poi che, a seguito della mancata approvazione nella passata legislatura dei disegni di legge comunitaria 2011 e 2012, i relativi contenuti sono stati riproposti all'interno dei due nuovi strumenti normativi: le disposizioni di delega nel disegno di legge di delegazione europea, le altre norme, diverse dalle deleghe, nel disegno di legge europea.
  Passando ad illustrare l'articolato del disegno di legge di delegazione europea 2013, rileva che risultano di specifico interesse della I Commissione gli articoli 6 e 7.
  Con l'articolo 6 sono dettati i criteri di delega per il recepimento della direttiva 2011/51/UE, che ha esteso l'ambito di applicazione della direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale (rifugiati e titolari di protezione sussidiaria).
  Sul punto, ricorda che la direttiva 109/2003 è stata emanata per disciplinare lo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo in uno Stato membro dell'Unione europea. Essa è stata recepita dal decreto legislativo n. 3 del 2007 che ha novellato il testo unico in materia di immigrazione (articoli 9 e 9-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998). In sintesi, i cittadini di Paesi terzi, soggiornanti legalmente e ininterrottamente per cinque anni nel territorio di uno Stato membro, acquistano (purché dimostrino la disponibilità di stabili e regolari risorse economiche e siano coperti da adeguata assicurazione sanitaria) lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto ad un permesso di soggiorno speciale detto «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo».
  Per espressa previsione della direttiva 109, e del decreto legislativo di attuazione, sono esclusi dall'ambito di applicazione i cittadini stranieri richiedenti o titolari dello status di protezione sussidiaria o dello status di rifugiato.
  Successivamente, è intervenuta la direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004, attuata dal decreto legislativo 251/2007, che ha disciplinato l'attribuzione della qualifica di rifugiato (o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale) e il contenuto della protezione riconosciuta. Sono state così introdotte diverse misure agevolative nei confronti dei rifugiati, quali il diritto al non respingimento e al ricongiungimento familiare. È rimasto fuori dalla disciplina il diritto al riconoscimento dello status di soggiornante di lungo periodo, data l'espressa esclusione di cui sopra recata dalla direttiva 109.
  La direttiva 2011/51, del cui recepimento oggi si tratta, è volta appunto a superare questo ostacolo, a estendere l'ambito di applicazione della prima direttiva ai titolari di protezione internazionale, anche introducendo un paragrafo 3-bis all'articolo 9 della direttiva 2003/109, che riguarda la previsione della direttiva 51 relativa alla possibilità di revoca da parte degli Stati membri dello status di soggiornante di lungo periodo. Tale status è revocato se è revocata o cessata la protezione internazionale (status di rifugiato Pag. 33o protezione sussidiaria) o ne sia rifiutato il rinnovo perché erroneamente conferita od ottenuta grazie a falsa documentazione. Ciò in conformità all'articolo 14, paragrafo 3, e con l'articolo 19, paragrafo 3, della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004.
  Ricorda che si prevedono tre criteri ai fini del recepimento della direttiva n. 51 del 2011, di cui due introdotti nel corso dell'esame del Senato.
  Il primo specifico criterio attiene alla previsione (che quella direttiva prevede come meramente facoltativa per gli Stati membri) della revoca dello status di soggiornante di lungo periodo, qualora vi sia stata revoca o cessazione della protezione internazionale, quando quest'ultima fosse stata titolo di conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Sul punto, occorre considerare che la citata direttiva n. 83 del 2004 risulta abrogata, a decorrere dal 21 dicembre 2013, dall'articolo 40 della direttiva 2011/95. Quest'ultima (della quale pure si prevede il recepimento all'articolo 7 della legge di delegazione) innova la disciplina in materia; sullo specifico tema della revoca, cessazione e rinnovo dello status di rifugiato essa riprende identicamente i contenuti degli articoli 14, paragrafo 3 e 19, paragrafo 3 della direttiva n. 83 del 2004 in articoli con identica numerazione. Pertanto, andrebbe valutata l'opportunità di fare riferimento anche alla direttiva n. 95 del 2011, il cui articolo 14 è entrato in vigore all'inizio del 2012, mentre l'articolo 19 entrerà in vigore il 22 dicembre 2013.
  Il secondo criterio direttivo, introdotto dal Senato, interviene in ordine al periodo di residenza utile al calcolo dei cinque anni necessari per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo. In particolare, introduce l'obbligo di considerare in ogni caso per intero il tempo intercorrente tra la presentazione dell'istanza e il rilascio del permesso di soggiorno, a prescindere se la durata di questo sia superiore o inferiore a 18 mesi.
  Il terzo criterio direttivo, anch'esso introdotto nel corso dell'esame del Senato, prevede un regime agevolato per i beneficiari di protezione internazionale in relazione alla dimostrazione del reddito ai fini dell'accettazione della richiesta del riconoscimento dello status di soggiornante di lungo periodo.
  L'articolo 7, introdotto nel corso dell'esame al Senato, stabilisce alcuni criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2011/95/UE recante norme minime comuni sull'attribuzione della qualifica di rifugiato (o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale) e sul contenuto della protezione riconosciuta.
  Ricorda che la direttiva 2011/95 aggiorna e sostituisce integralmente la direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004 (attuata con il decreto legislativo 251/2007), cosiddetta direttiva «qualifiche». Questa direttiva, assieme alla direttiva 2005/85/CE (c.d. direttiva «procedure» recepita dal decreto legislativo 25/2008), ha costituito per alcuni anni la base normativa della prima fase del sistema europeo di asilo.
  La nuova direttiva qualifiche pur mantenendo l'impianto della precedente, intende realizzare un maggiore ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e agli elementi essenziali della protezione internazionale.
  Quindi l'articolo 7 introduce i seguenti quattro criteri direttivi per l'attuazione della direttiva.
  Il primo criterio direttivo è di carattere generale e prevede il mantenimento in tutti i casi degli standard di garanzia previsti dalla normativa in vigore.
  Gli altri criteri direttivi, invece, intervengono su specifici punti della normativa da attuare.
  In particolare, il secondo criterio direttivo vincola il legislatore delegato a uniformare gli status giuridici dei beneficiari di protezione internazionale, sia dei rifugiati, sia dei beneficiari di protezione sussidiaria, in coerenza con quanto stabilito dall'articolo 1 della direttiva, con particolare riferimento ai presupposti per ottenere il ricongiungimento familiare.
  Attualmente l'articolo 22 del decreto legislativo 251/2007 da un lato equipara completamente i familiari dei rifugiati ai rifugiati stessi ai fini del ricongiungimento Pag. 34familiare, mentre dall'altro sottopone i familiari dei beneficiari di protezione sussidiaria per l'accesso al permesso di soggiorno (ossia allo strumento materiale indispensabile per l'esercizio del diritto di ricongiungimento) ad una serie di condizioni (alloggiative, di reddito, ecc.), le stesse condizioni richieste per gli immigrati per motivi di lavoro.
  Nel recepimento della direttiva sarà necessario rimuovere tale differenza, come previsto dal nuovo articolo 23 della direttiva 2011/95/UE e come ribadito dall'articolo in esame.
  Nel terzo criterio si vincola il legislatore delegato a disciplinare gli istituti del diniego, dell'esclusione e della revoca, in conformità con il dettato della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, di cui alla legge 24 luglio 1954, n. 722, anche con riferimento ai beneficiari di protezione sussidiaria.
  In questo caso la nuova direttiva mantiene la diversità di trattamento, presente nella direttiva del 2003, tra rifugiati e beneficiari di protezione sussidiaria, per quanto riguarda le tre fattispecie di cui sopra (diniego, esclusione e revoca); nonostante il criterio in esame stabilisce il principio dell'uniformità della disciplina degli istituti.
  Anche l'ultimo criterio direttivo affronta un aspetto non toccato dalla nuova direttiva. Esso prevede infatti l'introduzione di uno strumento di programmazione delle attività e delle misure a favore dell'integrazione dei beneficiari di protezione internazionale.
  L'Allegato B del disegno di legge di delegazione reca quattro direttive di interesse della I Commissione: Direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2011, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l'ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale; Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta; Direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro; Direttiva 2013/1/UE del Consiglio, del 20 dicembre 2012, recante modifica della direttiva 93/109/CE relativamente a talune modalità di esercizio del diritto di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini.
  Rileva come il disegno di legge europea 2013 rechi le seguenti disposizioni di interesse della I Commissione.
  L'articolo 1 modifica la disciplina vigente relativa al diritto di libera circolazione dei cittadini comunitari, estendendo le agevolazioni concesse ai familiari dei cittadini UE anche alle coppie di fatto e alle coppie registrate. Le modifiche mirano ad adeguare quella disciplina ai rilievi della Commissione europea formulati nell'ambito della procedura d'infrazione n. 2053 del 2011. L'articolo in questione, al comma 1, novella disposizioni del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, recante attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. In particolare, la lettera a) del comma 1 dell'articolo in esame concerne l'ingresso e il soggiorno del partner legato da una relazione stabile, con il cittadino dell'Unione europea circolante e soggiornante in Italia. Ai sensi dell'articolo 3 della direttiva gli Stati membri devono agevolare l'ingresso e il soggiorno, non solo dei familiari (tra cui sono compresi i partner che hanno contratto una unione registrata), ma anche del partner di fatto con cui il cittadino dell'Unione ha una Pag. 35relazione stabile debitamente attestata. Tale partner non rientra nella definizione normativa di familiare.
  Rileva come, giacché l'Italia non equipara al matrimonio l'unione registrata, ove prevista dalla legislazione di uno Stato membro dell'Unione, la figura di partner prevista è solamente quella di partner di fatto. Come si è detto, la direttiva prevede che la relazione sia «debitamente attestata», mentre la vigente normativa di recepimento prevede che la relazione sia debitamente attestata «dallo Stato del cittadino dell'Unione».
  Evidenzia come con le novelle introdotte dall'articolo in esame, sono agevolati l'ingresso e il soggiorno del partner (pur non essendo un familiare), a condizione che la stabilità della relazione risulti da documenti ufficiali, senza che sia più necessario che la prova sia costituita esclusivamente da un'attestazione dello Stato del cittadino dell'Unione, cui il partner è legato.
  Viene così meno la limitazione circa il mezzo di prova, che ne circoscriveva la provenienza a quello Stato.
  La lettera b) concerne la prova della titolarità del diritto di libera circolazione, da parte del cittadino dell'Unione europea o di un suo familiare privo della cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione.
  Essi si sottraggono al respingimento – qualora sprovvisti dei documenti di viaggio (o del visto d'ingresso, nel caso in cui questo sia richiesto) – qualora facciano pervenire entro ventiquattr'ore dalla richiesta i documenti necessari oppure una dimostrazione suffragata da altra idonea documentazione.
  La previsione che si modifica affida alla legge nazionale la disciplina di tale prova alternativa, mentre la novella sopprime siffatta limitazione.
  La lettera c), numero 1, concerne l'obbligo di iscrizione anagrafica per il cittadino dell'Unione europea ed i suoi familiari.
  Per il cittadino dell'Unione che intenda soggiornare in Italia per più di tre mesi, vi è l'obbligo di iscrizione anagrafica – secondo la disciplina vigente – mediante la produzione di documentazione attestante, tra l'altro, la disponibilità di risorse economiche sufficienti.
  Con novella introdotta dal citato decreto-legge 89/2011, n. 89, si era stabilito che la disponibilità delle risorse economiche sufficienti fosse da valutarsi sì con riferimento alla situazione complessiva personale dell'interessato, ma con particolare riguardo alle spese afferenti all'alloggio (fosse esso in locazione, di proprietà o altro). Tale previsione, relativa alla spese afferenti all'alloggio, è ora soppressa.
  La disponibilità economica dunque viene ad essere documentata, da parte del cittadino dell'Unione, con riferimento alla sua situazione economica complessiva, senza che sia necessario maggior dettaglio circa la copertura delle spese di alloggio.
  Quanto al numero 2), esso colma una lacuna rilevata dalla Commissione europea circa l'iscrizione anagrafica del partner stabile del cittadino dell'Unione.
  A questo fine si prevede che il partner debba produrre la prova di una relazione stabile con il cittadino dell'Unione, attestata da documentazione ufficiale.
  Evidenzia che anche il comma 2 concerne fattispecie relativa al partner stabile del cittadino dell'Unione. Tale partner non rientra nella definizione normativa di familiare (giacché l'Italia, Stato ospitante, non equipara al matrimonio l'unione registrata, ove prevista dalla legislazione di uno Stato membro dell'Unione: ed è tale equiparazione requisito necessario, previsto dalla direttiva comunitaria n. 38 del 2004, perché il partner sia definibile quale familiare).
  Poiché solo ai familiari si riferisce il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (recante Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale) all'articolo 183-ter, nel determinare (mediante rinvio all'articolo 20 del citato decreto legislativo n. 30 del 2007) le garanzie in materia di limitazione del diritto di ingresso e soggiorno e di allontanamento, consegue che il partner stabile rimarrebbe escluso da tali garanzie. La novella elimina tale esclusione.Pag. 36
  Dunque, le garanzie circa l'allontanamento (disposto a titolo di pena o di misura accessoria) vengono ad applicarsi anche al partner stabile (ove la stabilità della relazione sia provata mediante documentazione ufficiale).
  L'articolo 7 estende l'accesso ai posti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ai seguenti soggetti: familiari di cittadini dell'Unione europea; soggiornanti di lungo periodo; titolari dello status di protezione sussidiaria.
  Fa presente che le novelle così disposte mirano a dar seguito a rilievi mossi dalla Commissione europea.
  Il comma 1 si articola in due lettere. La lettera a) novella l'articolo 38 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (vedi oltre il testo a fronte tra l'articolo vigente e le novelle proposte). In quell'articolo si prevede che i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea possano accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale.
  Non sono considerati dalla disposizione richiamata i familiari del cittadino dell'Unione i quali siano cittadini di uno Stato terzo. Di contro – rileva la Commissione europea – la direttiva 2004/38/CE (articolo 24) prevede che la parità di trattamento, della quale gode ogni cittadino dell'Unione in ogni Stato membro, si estenda ai familiari privi di cittadinanza di uno Stato membro, i quali siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente (quest'ultimo si ha per il cittadino dell'Unione – e i suoi familiari – che abbiano soggiornato legalmente e in via continuativa nello Stato membro ospitante per cinque anni, o per un periodo minore in alcune fattispecie previste per i lavoratori subordinati o autonomi dall'articolo 17 della citata direttiva).
  La parità di trattamento per i familiari è dunque da estendere – ha rilevato la Commissione – all'accesso a posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche. A ciò provvede la disposizione in esame.
  Rimane ferma la limitazione (già prevista per i cittadini dell'Unione dal citato articolo 38 del decreto legislativo n. 165 del 2001) circa l'accesso a posti di amministrazioni pubbliche che implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri ovvero attengano alla tutela dell'interesse nazionale. Tale limitazione, già vigente, è stata riconosciuta, nell'interpretazione della Corte di giustizia, compatibile con l'ordinamento dell'Unione (Corte di Giustizia Europea, sentenza 17 dicembre 1980, C-149/79).
  La lettera b) estende la medesima previsione sopra ricordata circa l'accesso ai posti di lavoro presso pubbliche amministrazioni – vigente per il cittadino dell'Unione – anche ai cittadini di Stati terzi (senza che siano familiari di cittadino dell'Unione, dunque) purché titolari del permesso di soggiorno comunitario di lungo periodo, ai rifugiati e ai titolari dello status di protezione sussidiaria.
  Per quanto riguarda i cittadini di Stati terzi soggiornanti di lungo periodo (per il quale è richiesto un soggiorno legale e ininterrotto per cinque anni nello Stato ospitante), la Commissione europea ha eccepito che la parità di trattamento loro riconosciuta da altra direttiva – la 2003/109/CE – importi possibilità di accesso a posti delle pubbliche amministrazioni (purché non implichi «nemmeno in via occasionale la partecipazione all'esercizio di pubblici poteri», esplicita la medesima direttiva all'articolo 11). La novella dà seguito a tale rilievo.
  Per i cittadini di Stati terzi soggiornanti di lungo periodo, dunque, è reso possibile accedere ai posti delle pubbliche amministrazioni italiane – con le medesime limitazioni già ricordate per i cittadini dell'Unione e loro familiari: assenza di esercizio di pubblici poteri e non attinenza alla tutela dell'interesse nazionale.
  La lettera b), come disposto anche dal comma 2, estende infine la possibilità di accedere ai posti delle pubbliche amministrazioni, ai titolari dello status di protezione sussidiaria.Pag. 37
  La mancanza di considerazione di questi ultimi è eccepita dalla Commissione europea con riguardo ad altra direttiva – la 2004/83/CE – che disciplina contenuti e requisiti della protezione internazionale.
  Ai sensi dell'articolo 26 della citata direttiva, gli Stati membri dell'Unione autorizzano i beneficiari della protezione internazionale ad esercitare un'attività dipendente o autonoma nel rispetto della normativa generalmente applicabile alle professioni e agli impieghi nella pubblica amministrazione, non appena sia stato loro riconosciuto lo status di rifugiato o la titolarità della protezione sussidiaria (in questo secondo caso, può essere tenuta in considerazione la situazione esistente sul mercato del lavoro dello Stato membro, eventualmente anche per stabilire un ordine di precedenza per l'accesso all'occupazione per un periodo di tempo limitato da determinare conformemente alla normativa nazionale).
  Il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251 di attuazione della citata direttiva 2004/83/CE ha recepito all'articolo 25 la parità di trattamento (rispetto ai cittadini dell'Unione) solo dei rifugiati, riguardo all'accesso a posti delle pubbliche amministrazioni.
  I titolari di protezione sussidiaria sarebbero così esclusi (in quanto non ricompresi) dal dettato della disposizione, dall'accesso al pubblico impiego, ma la novella recata dal comma 2 elimina tale esclusione.
  I titolari di protezione sussidiaria possono così accedere a posti di lavoro delle pubbliche amministrazioni, alle medesime condizioni dei rifugiati (e dei cittadini dell'Unione), senza ulteriore limitazione.
  La lettera b) del comma 1 mira, per ragioni di coordinamento di sistema normativo, a far confluire tali estensioni dell'accesso al pubblico impiego (a cittadini di Stati terzi non familiari di cittadino dell'Unione, soggiornanti di lungo periodo o rifugiati o titolari di protezione sussidiaria) entro l'articolo 38 (che conseguentemente, può rilevarsi con annotazione di drafting, dovrebbe mutare l'attuale intestazione: «Accesso dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea») del citato decreto legislativo n. 165 del 2001.
  L'articolo 30 dà fondamento legislativo all'autorizzazione al Ministro dell'interno – già conferita da alcune ordinanze del Presidente del Consiglio – di istituire sezioni di membri supplenti, presso le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale.
  Si prevede, oltre al limite numerico di dieci sezioni, che l'istituzione sia disposta al verificarsi di un eccezionale incremento delle domande di asilo connesso all'andamento dei flussi migratori, per il tempo strettamente necessario (da determinarsi nel medesimo decreto istitutivo).
  Le Commissioni sono competenti all'esame delle domande di protezione internazionale. La legge fissa il numero delle Commissioni territoriali nel massimo di dieci, ciascuna composta da quattro membri.
  Con il decreto del Ministro dell'interno 6 marzo 2008 sono state costituite le dieci Commissioni con sedi a Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone, Trapani, Bari, Caserta, Torino, corrispondenti ciascuna a più province o regioni.
  L'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2008, n. 3703, articolo 4 (recante disposizioni urgenti di protezione civile per il contrasto e la gestione dell'eccezionale afflusso di cittadini stranieri extracomunitari giunti irregolarmente in Italia), ha autorizzato poi il Ministro dell'interno ad istituire, con proprio decreto, nell'ambito di ciascuna Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, una sezione composta dai membri supplenti della corrispondente Commissione territoriale.
  La successiva ordinanza del 10 agosto 2011, n. 3958 ha autorizzato l'istituzione di ulteriori cinque sezioni.
  Successivamente il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (cd. spending review) convertito dalla legge. 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto la chiusura dello stato di emergenza, ed il rientro nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell'interno Pag. 38e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l'afflusso di immigrati sul territorio nazionale.
  Secondo la relazione tecnica, il costo complessivo di dieci sezioni supplenti è quantificabile in 732,6 milioni di euro (a valere sul capitolo 2255 dello stato di previsione del ministero dell'interno).
  Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge, l'istituzione delle sezioni supplenti è uno strumento di flessibilità organizzativa, auspicabile per far fronte in tempi ragionevoli – profilo, questo, su cui ha appuntato rilievi critici la Commissione europea – all'istruttoria di migliaia di istanze rivolte ogni anno.
  Passando all'illustrazione, per le parti di competenza della I Commissione, della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2012, per quanto riguarda i temi della sicurezza, viene ricordato che la sezione «Costruire un'Europa sicura» del Programma di lavoro della Commissione definisce obiettivi e iniziative che in sostanza sono riferibili al processo di realizzazione del programma di Stoccolma (adottato dal Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009).
  Ricorda che, com’è noto, le priorità indicate nel Programma di Stoccolma sono le seguenti: promuovere la cittadinanza e i diritti fondamentali, con particolare riferimento alle libertà sancite dalla Carta dei diritti fondamentali e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, alla tutela della sfera privata del cittadino, specie attraverso la protezione dei dati personali, al rispetto delle particolari esigenze delle persone vulnerabili; agevolare l'accesso alla giustizia, mediante li principio del riconoscimento e il miglioramento della formazione dei professionisti del settore; sviluppare una strategia di sicurezza interna; garantire un accesso all'Europa più efficiente attraverso le politiche di gestione integrata delle frontiere e le politiche in materia di visti; sviluppare una politica migratoria europea articolata, fondata sulla solidarietà e la responsabilità e basata sul Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo; integrare maggiormente la dimensione esterna della politica dell'UE nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'ambito delle politiche generali dell'Unione europea.
  Il programma di lavoro della Commissione per il 2013 pone l'accento sulla costruzione di un'Europa sicura (intendendo la sicurezza come difesa dalle minacce ai cittadini e ai loro diritti) che garantisca nel contempo il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. In particolare, vengono evocate le politiche di contrasto alla criminalità e alla corruzione, di controllo delle frontiere esterne, ma anche le azioni volte all'eliminazione dei residui ostacoli alla circolazione e alla protezione dei diritti fondamentali dei cittadini in tutta l'UE. Inoltre tra gli obiettivi il programma indica un sistema giudiziario funzionante ed efficiente per la promozione della crescita e degli investimenti economici e il rafforzamento degli attuali meccanismi di solidarietà nel settore dell'immigrazione.
  Circa gli interventi volti a colmare le lacune riscontrate in tali settori, secondo la Commissione particolare attenzione deve essere rivolta ai temi del contrasto al finanziamento del terrorismo, al traffico trasnfrontaliero delle armi, della tutela degli interessi finanziari dell'Unione contro la frode e la corruzione. Inoltre per consentire l'esercizio pieno dei diritti da parte dei cittadini Ue occorre garantire a privati e imprese accesso agevole alla giustizia in tutti gli Stati membri in condizioni di parità.
  Pertanto il programma di lavoro della Commissione preannuncia che la Commissione presenterà proposte volte a: istituire una procura europea per lottare contro i reati a danno del bilancio UE e tutelare gli interessi finanziari dell'Unione; combattere il traffico di armi da fuoco; migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale e civile; rivedere la legislazione sulla sicurezza nucleare e proporre una nuova normativa riguardante l'assicurazione e la responsabilità in campo nucleare.
  Sugli affari interni, nel quadro delle priorità definite nel Programma di Stoccolma 2010-2014, la Relazione programmatica Pag. 39del Governo sottolinea l'importanza dei temi della sicurezza, dell'immigrazione e dell'asilo. In particolare, nella relazione si ribadisce la necessità di mantenere alta l'attenzione sul quadrante mediterraneo e nordafricano, nella convinzione che la forte esposizione geografica nel nostro Paese debba essere debitamente considerata a livello europeo. A tal proposito si intende valutare l'opportunità di sensibilizzare l'Unione europea e gli altri Stati membri, attirando l'attenzione delle Istituzioni europee in particolare sull'importanza delle regioni del Sahel e del Corno d'Africa sia per i profili connessi alla sicurezza dell'Unione europea che per quelli riguardanti l'immigrazione.
  In materia di immigrazione e controllo delle frontiere il Governo, nella Relazione in esame, pone l'accento sul processo di aggiornamento di Schengen al rafforzamento di Frontex, alla conclusione degli accordi di riammissione UE, agli sviluppi del processo Eurosur per il controllo delle frontiere, e soprattutto al dialogo tra l'Unione europea e i Paesi terzi (soprattutto quelli che si affacciano sul Mediterraneo). In particolare cenni specifici della relazione riguardano le proposte in tema di gestione delle frontiere marine, il cosiddetto pacchetto frontiere intelligenti e il sostegno all'implementazione dei sistemi VIS e SIS II.
  Lo scorso 12 aprile la Commissione ha adottato una proposta di regolamento COM(2013)197 sulla sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea (COM(2013)197).
  Infine, secondo la Relazione programmatica del 2013, il Governo intende proseguire l'attività di sostegno all'implementazione dei sistemi VIS (Sistema informativo dei visti) e SIS II (Sistema informativo Schengen di seconda generazione).
  Nella Relazione programmatica del Governo, il completamento del Sistema comune europeo di asilo consentirà il raggiungimento degli obiettivi stabiliti nel Programma di Stoccolma; a tal proposito si ribadisce l'impegno dell'Italia a rafforzare le forme di collaborazione pratica tra gli Stati membri e le Istituzioni europee nel settore dell'asilo, attribuendo massima rilevanza allo sviluppo del ruolo e delle attività dell'Ufficio europeo di supporto per l'asilo EASO.
  La Relazione programmatica 2013 del Governo pone l'accento sulla dimensione transnazionale del terrorismo e della criminalità organizzata, tale da richiedere nelle politiche di contrasto un elevato grado di collaborazione tra gli Stati membri. Per le stesse ragioni il Governo ritiene che debba accogliersi con favore qualsiasi iniziativa volta a coinvolgere in tali politiche i Paesi terzi. Nella relazione si dichiara l'intenzione di proseguire l'impegno nello sviluppo di politiche di contrasto a quei fenomeni di criminalità organizzata definiti prioritari dal Consiglio (con particolare riferimento ai piani operativi di azione e ai progetti che riguardano le criticità localizzate nei Balcani occidentali, nelle rotte sud – sud est, nel confine greco turco, e nelle aree di crisi del Mediterraneo vicine al Nord Africa). Dal punto di vista normativo la relazione prevede che l'azione dell'Italia sarà finalizzata, tra l'altro, all'approvazione della direttiva relativa allo scambio dei dati del codice di prenotazione (PNR), mentre particolare interesse viene dichiarato rispetto agli sviluppi dei negoziati relativi alla direttiva recante la disciplina dell'utilizzo dei dati personali a i fini di prevenzione, indagine e accertamento e perseguimento di reati o di esecuzione di sanzioni penali.
  La relazione programmatica dichiara infine l'intenzione del Governo di continuare nella presentazione di proposte nell'ambito dei programmi finanziari relativi alla prevenzione e contrasto della criminalità (ISEC) e all'antiterrorismo (CIPS).
  La Relazione si sofferma poi, al punto 1.5, sulla materia «Innovazione e Agenda digitale», evidenziando come la realizzazione del mercato unico digitale entro il 2015 costituisca un importante obiettivo Pag. 40dell'Unione europea e figuri tra le azioni prioritarie previste dalla Commissione nell'Agenda digitale.
  Com’è noto, l'Agenda digitale europea (AGE) è una delle sette cosiddette iniziative faro della strategia Europa 2020 (Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, lanciata a marzo 2010 dalla Commissione europea, con l'intento di uscire dalla crisi e di preparare l'economia dell'UE alle sfide del prossimo decennio. L'iniziativa Agenda digitale (COM (2010) 245) mira a stabilire il ruolo chiave delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per raggiungere gli obiettivi che l'Europa si è prefissata per il 2020 e prevede sette grandi linee d'azione, per ognuna delle quali sono indicate misure specifiche, per un totale di 101 (di cui 78 a carico della Commissione e 23 a carico degli Stati membri).
  Va altresì ricordato come, intervenendo nel corso di un dibattito presso la commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento europeo, il commissario UE per l'agenda digitale, Neelie Kroes, ha preannunciato la presentazione di un pacchetto normativo unico entro pasqua 2014, allo scopo di completare il mercato unico digitale e delle telecomunicazioni entro la scadenza del 2015.
  Al completamento del mercato unico digitale è dedicata la proposta di risoluzione approvata il 18 giungo 2013 dalla commissione IMCO del Parlamento europeo che dovrebbe essere esaminata il plenaria il 4 luglio 2013.
  L'obiettivo dell'UE di un mercato unico del digitale basato sull'Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili è stato ricordato anche dal ministro dello sviluppo economico, Flavio Zanonato, nel corso dell'audizione dell'11 giugno 2013 sulle linee programmatiche del suo dicastero, presso la Commissione attività produttive della Camera.

  Albrecht PLANGGER (Misto-Min.Ling.), intervenendo in merito al disegno di legge C. 1327, evidenzia come – all'articolo 7 – sarebbe opportuno inserire espressamente una precisazione che preveda espressamente, dopo la parola «lingua tedesca» le parole «nel rispetto delle norme di attuazione dello Statuto di autonomia relative alla materia, in modo che accanto al richiamo della conoscenza della lingua italiana e di quella tedesca vi sia un riferimento alla lingua ladina. Ciò fermo restando che nel testo infatti si fa presente che sono salve in ogni caso le disposizioni di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976, n. 752.

  Roberta AGOSTINI, presidente, ricorda che nell'ambito dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, si è convenuto di fissare a lunedì 22 luglio, alle ore 12, il termine per la presentazione di emendamenti al disegno di legge recante «Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013» (C. 1326) e al disegno di legge recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013» (C. 1327).
  Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Giovedì 18 luglio 2013.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.40 alle 17.

ERRATA CORRIGE

  Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 57 del 17 luglio 2013, a pagina 79, seconda colonna, trentacinquesima riga, le parole: «sopprimerlo» sono sostituite dalle seguenti «sopprimere il comma 2».

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