CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 4 giugno 2013
32.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 20

SEDE REFERENTE

  Martedì 4 giugno 2013. — Presidenza del presidente Donatella FERRANTI. — Intervengono i sottosegretari di Stato alla giustizia Giuseppe Berretta e Cosimo Ferri.

  La seduta comincia alle 12.05.

Sui lavori della Commissione.

  Enrico COSTA (PdL) interviene in merito ad una nota del Ministero della Giustizia sulla posizione del Governo relativa alla questione di un eventuale differimento della data di entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria, che il Ministro della Giustizia ha trasmesso al Presidente della Commissione Giustizia, e che quest'ultima, a sua volta, ha trasmesso a tutti i rappresentanti di gruppo in Commissione, facendo seguito ad una specifica richiesta del Ministro.
  Dopo avere rilevato con particolare stupore il livello di autonomia decisionale dimostrato dal Ministro nel far proprio un appunto degli uffici del Ministero, per poi trasmetterlo, forse senza sufficiente garbo istituzionale, alla Commissione Giustizia, si sofferma sul contenuto dell'appunto stesso sottolineandone l'incompletezza. Osserva, a tale proposito, che l'appunto ha ad oggetto unicamente gli effetti positivi che la riforma della geografia giudiziaria produrrebbe se entrasse in vigore nei termini previsti dalla legge, senza procedere ad alcuna proroga. Invita quindi il Ministro a far integrare l'appunto con tutte le questioni, più rilevanti di quelle positive, che invece dovrebbero indurlo a procedere una proroga del termine. Solo quando il Ministro avrà a disposizione tutti gli elementi, positivi o negativi che siano, potrà decidere autonomamente e con la piena consapevolezza dei problemi che si troverebbero ad affrontare i cittadini qualora la riforma entrasse in vigore a partire dal 13 settembre prossimo.

  Nicola MOLTENI (LNA) dichiara di condividere l'intervento del collega Costa, anche se sarebbe dovuto essere maggiormente Pag. 21polemico con il Ministro sia per la scelta di trasmettere alla Commissione un appunto degli uffici del Ministero sia per il contenuto dell'appunto che, peraltro, è dello stesso tenore di un intervento fatto ieri dal Ministro presso il carcere di Bollate, nel quale ha definito come catastrofica una proroga dell'entrata in vigore della riforma della geografia giudiziaria. Ritiene che tutto ciò sia inopportuno ed in contrasto con quanto dichiarato dal Ministro in Commissione giustizia in occasione della sua audizione. Non comprende, pertanto, cosa abbia fatto cambiare nel frattempo opinione al Ministro. Ritiene che, anche alla luce dell'appunto trasmesso dal Ministro al Presidente della Commissione, sia quanto meno necessario porre all'ordine del giorno della Commissione le risoluzioni in materia, tra le quali segnala quella in corso di deposito della Lega, con le quali si impegna il Governo a prorogare di un anno l'entrata in vigore della riforma, correggendo nel frattempo tutte le storture contenute nel decreto legislativo.

  Walter VERINI (PD) dichiara che, per quanto sia contrario ad una mera proroga del termine di entrata in vigore della geografia giudiziaria, non sia assolutamente condivisibile il contenuto dell'appunto trasmesso dal Ministro della giustizia, in quanto è comunque necessario procedere all'emanazione di uno o più decreti correttivi, così come peraltro è stato indicato nella risoluzione presentata dal suo gruppo. Chiede pertanto alla Presidenza che si proceda quanto prima alla calendarizzazione delle risoluzioni in materia, auspicando che vi sia da parte del Governo e di tutti i gruppi una disponibilità al dialogo per far entrare in vigore la riforma, correggendo quelle storture che da più parti sono state evidenziate.

  Gaetano PIEPOLI (SCpI) ritiene che la questione della riforma della geografia giudiziaria debba essere valutata nel merito e quindi senza condizionamenti politici. Ribadisce la disponibilità del suo gruppo a dialogare col Governo, rispetto al quale non si considera assolutamente una controparte. Ritiene che la riforma debba comunque essere portata a compimento e che questo possa avvenire anche attraverso un ampio consenso parlamentare.

  Andrea COLLETTI (M5S) sottolinea come la riforma della geografia giudiziaria sia stata fatta senza tenere in alcun conto le specificità territoriali, procedendo ad un taglio netto di strutture e risorse i cui risparmi di spesa non sono assolutamente trasparenti. A questo proposito osserva come più di una volta il Ministero abbia comunicato dei dati relativi a questi tagli, senza fornire alcun reale riscontro alla loro fondatezza e, peraltro, modificandoli nel tempo e andandoli ad incrementare ogni volta. Ritiene che questo sia un atteggiamento del tutto irresponsabile che la Commissione giustizia non può non stigmatizzare.

  Il sottosegretario Cosimo FERRI, preso atto di quanto dichiarato dai deputati intervenuti nel dibattito e dopo aver condiviso l'intervento dell'onorevole Piepoli, tiene a precisare che il Ministro ha il massimo rispetto del Parlamento, di tutti gli operatori del sistema giudiziario nonché dei suoi utenti. Proprio in ragione di tale rispetto, il Ministro ha ritenuto opportuno informare i rappresentanti dei gruppi in Commissione giustizia della posizione del Governo in merito alle richieste di proroga della riforma della geografia giudiziaria. Vi è la consapevolezza del Ministro che tale posizione non sia da tutti condivisa, ritenendo che le sollecitazioni che potrebbero pervenire dal dibattito parlamentare possano comunque far superare quelle criticità della riforma che a molti sembrano insuperabili. Per quanto attiene all'intervento fatto ieri dal Ministro in occasione della visita al carcere di Bollate, ricorda che è stata dimostrata anche una disponibilità all'emanazione di eventuali decreti correttivi e che pertanto non vi è stata una chiusura totale nei confronti del dibattito parlamentare in corso.

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  Donatella FERRANTI, presidente, ricorda che domani il Ministro interverrà in Commissione giustizia per rispondere ai quesiti posti nel corso della precedente audizione. Considerato che molti di tali quesiti si riferiscono al tema della geografia giudiziaria, ritiene che domani si possa meglio affrontare la questione del contenuto dell'appunto trasmesso dal Ministro, sottolineando come non si possa in alcun modo considerare la scelta del Ministro di trasmettere una nota degli uffici del Ministero come una sorta di sgarbo istituzionale.

Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
C. 331 Ferranti.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 21 maggio 2013.

  Nicola MOLTENI (LNA) ricorda che la Lega, sia nella scorsa che in questa legislatura, ha più volte sottolineato con forza la propria posizione di totale contrarietà al testo in esame, che può essere considerato come un vero e proprio indulto mascherato ovvero come un provvedimento salva delinquenti. Si tratta di un testo del tutto sbagliato, in quanto, attraverso un ulteriore intervento emergenziale, si cerca di porre rimedio ad un problema strutturale quale quello dell'emergenza delle carceri e, in particolare, a quello del loro drammatico sovraffollamento.
  Prima di procedere ad interventi legislativi sarebbe opportuno capire quale sia stata la sorte del piano carceri nonché quella dei 650 milioni di euro connessi, in quanto l'unico rimedio per affrontare la questione del sovraffollamento carcerario è l'incremento dell'edilizia carceraria. Vi è poi un'altra questione di fondo da risolvere, quale è la presenza di un numero eccessivo di stranieri nelle carceri. Si tratta di una presenza che supera la soglia del 30 per cento e che nelle carceri del nord arriva ad oltre il 50 per cento. Appare, pertanto, evidente la necessità di operare attraverso accordi bilaterali con i Paesi di appartenenza di tali detenuti, seguendo l'esempio del Ministro Castelli nel corso della XIV Legislatura.
  Per quanto attiene al contenuto della proposta di legge osserva come questo preveda che per i reati con pene inferiori a quattro anni, tra cui figura lo stalking, il carcere non sarà più la pena principale. Dichiara la propria contrarietà al limite di quattro anni, sottolineando come vi siano molti reati di grave allarme sociale, quali ad esempio il furto e la truffa semplici oltre che lo stalking, che rientrerebbero sotto tale soglia. Non condivide pertanto la scelta, effettuata la scorsa legislatura e confermata nel testo in esame, di eliminare qualsiasi tipo di esclusione oggettiva, cioè in base a tipo di reato, per l'applicazione del nuovo istituto a seguito della eliminazione, da lui condivisa, dell'applicazione automatica del medesimo.

  Donatella FERRANTI, presidente, ricorda che la Commissione è convocata in riunita con la Commissione ambiente alle ore 12.30 e pertanto sospende la seduta per riprenderla al termine della riunione congiunta.

  La seduta sospesa alle 12.40, riprende alle 13.10.

  Donatella FERRANTI, presidente, ricorda di aver dovuto sospendere la seduta durante l'intervento dell'onorevole Molteni, al quale chiede di voler proseguire il proprio intervento nella seduta di domani, consentendo così alla Commissione di avviare l'esame della proposta di legge n. 925 in materia di diffamazione a mezzo stampa, considerato che entro le ore 14 la Commissione deve comunque concludere i propri lavori.

  Nicola MOLTENI (LNA) accede alla richiesta del Presidente.

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  Donatella FERRANTI, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante.
C. 925 Costa.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Walter VERINI (PD), relatore, osserva che il provvedimento in esame è diretto a coniugare l'esigenza di tutelare la libertà di informazione con il diritto del cittadino a non essere diffamato. Tale obiettivo si cerca di raggiungere predisponendo tutti gli strumenti necessari, diretti a ristabilire la verità in maniera efficace ed adeguata, attraverso, ad esempio, una nuova disciplina dell'istituto della rettifica.
  La proposta di legge n. 925 affronta, in particolare, la questione estremamente delicata della diffamazione a mezzo stampa, che in maniera riassuntiva ma efficace viene sintetizzata nel dibattito nel Paese nella formula: «il carcere per i giornalisti».
  Eventi non solo di questi ultimi giorni ma anche di questi ultimi mesi, troppo noti a tutti per essere ora richiamati, hanno portato di nuovo all'attenzione del Paese il tema della libertà di stampa o, per meglio dire, dei limiti – se vi sono – a questa libertà.
  La materia della diffamazione a mezzo stampa è estremamente delicata poiché modificare i confini della rilevanza penale di questo tipo di diffamazione ovvero cambiare la natura della sanzione prevista (esclusione della pena detentiva) significa, secondo le tesi maggioritarie, rimodulare i confini della libertà di stampa, che costituisce uno dei fondamenti della democrazia di un Paese. Secondo questa tesi, il reato di diffamazione a mezzo stampa sarebbe un reato di opinione e come tale andrebbe se non azzerato almeno sensibilmente ridimensionato.
  Vi è anche chi ritiene che la materia della diffamazione a mezzo stampa sia necessariamente estranea al tema della libertà di stampa, in quanto questa non può tradursi nella libertà di diffamare e che pertanto non devono esservi preclusioni di sorta nel prevedere sanzioni detentive quando ciò sia reso necessario dalla gravità del fatto compiuto.
  Il nostro ordinamento si occupa del reato di diffamazione a mezzo stampa principalmente nel codice penale e nella legge sulla stampa del 1948.
  Il codice penale colloca questo reato (articolo 595, terzo comma) nell'ambito dei reati contro la persona e, più in particolare, contro l'onore. Il reato consiste in una ipotesi aggravata del reato di diffamazione e si sostanzia nel fatto di offendere l'altrui reputazione col mezzo della stampa.
  Nell'ipotesi semplice la pena prevista è diventata, dopo l'attribuzione nel 2000 della competenza al giudice di pace, la multa da 258 a 2.582 euro ovvero la permanenza domiciliare da 6 giorni a 30 giorni o il lavoro di pubblica utilità per un periodo da 10 giorni a 3 mesi. Nel caso in cui il fatto sia commesso a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, si prevede la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. La ratio dell'aggravante sta nella peculiare potenzialità offensiva del mezzo di pubblicità rispetto al mezzo privato di comunicazione, nello spazio e nel tempo. Il reato è perseguibile a querela ed è attribuito alla competenza del giudice monocratico.
  Per la definizione dei termini «stampa» e «stampati» a fini penalistici si fa comunemente riferimento a quella dettata, ad altri fini, dall'articolo 1 della cd. legge sulla stampa (legge 8 febbraio 1948, n. 47: «Disposizioni sulla stampa»).
  Mentre la diffamazione aggravata per l'attribuzione di un fatto determinato è stata di fatto parificata, nel 2000, all'ipotesi semplice, più grave risulta la sanzione per l'identica fattispecie quando l'illecito è commesso con il mezzo della stampa: ai Pag. 24sensi dell'articolo 13 della legge n. 47 del 1948, infatti, la diffamazione a mezzo stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, comporta la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a 258 euro.
  L'articolo 8 della legge sulla stampa reca inoltre la disciplina per le risposte e le rettifiche, che rientra pienamente nella tematica che stiamo affrontando. Si prevede, infatti, che il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale.
  Vi è poi la disciplina di cui all'articolo 57 del codice penale in tema di reati commessi col mezzo della stampa periodica, che, dopo l'intervento della Corte costituzionale del 1956 e le modifiche legislative del 1958, prevede una figura di reato colposo che punisce il direttore per non aver controllato, a causa di un atteggiamento negligente, il contenuto lesivo di un articolo ovvero di averne superficialmente valutato la liceità penale.
  In merito al tema della diffamazione a mezzo stampa va ricordato che la dottrina e la giurisprudenza (a partire dalla storica sentenza della Cassazione 18 ottobre 1984, n. 5259) sono ormai concordi nel riconoscere che l'esercizio del diritto di cronaca integri gli estremi della causa di giustificazione di cui all'articolo 51 c.p. (Esercizio di un diritto), in quanto inerente alla libertà di manifestazione del pensiero ed alla libertà di stampa riconosciute dall'articolo 21 della Costituzione.
  Esso, pertanto, può essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell'altrui reputazione purché vengano rispettati determinati limiti che sono stati individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza: nella verità della notizia pubblicata, vale a dire nella corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, nell'utilità sociale dell'informazione, in relazione all'attualità e rilevanza dei fatti narrati, e nell'esigenza che l'informazione sia mantenuta nei limiti della obiettività e della serenità e in una forma espositiva necessariamente corretta (requisito della continenza).
  La carenza anche di uno solo di questi requisiti, fa rivivere il diritto inviolabile all'onore del singolo individuo in tutta la sua pienezza, rendendo illecita la manifestazione del pensiero; l'esercizio del diritto di cronaca non è più configurabile ed il fatto integrerà gli estremi del reato di diffamazione.
  Di particolare interesse per l'esame che ci accingiamo ad avviare è sicuramente la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, basata sull'articolo 10 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo, che sancisce che ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La Convenzione prevede espressamente che l'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all'integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.
  Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, quello di libera espressione è considerato un diritto centrale nel sistema di salvaguardia dei diritti dell'uomo. In quest'ambito, la Corte ha sempre sottolineato il ruolo di “cane da guardia” esercitato dagli organi di stampa, da cui consegue la loro funzione di riferire al grande pubblico su fatti di interesse, e Pag. 25ha considerato le sanzioni a carico dei giornalisti come un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto.
  La Corte ritiene tale ingerenza legittima solo a tre condizioni: che essa sia prevista dalla legge; che essa sia un mezzo necessario per perseguire finalità legittime nel contesto di una società democratica; che essa sia proporzionata al fatto (per tutte Steel e Morris c. Regno Unito, 15 febbraio 2005).
  Nella sentenza del 2 aprile 2009 (Kydonis c. Grecia) la Corte, condannando la Grecia al risarcimento di un giornalista, ha ritenuto che «le pene detentive non sono compatibili con la libertà di espressione» perché «il carcere ha un effetto deterrente sulla libertà dei giornalisti di informare con effetti negativi sulla collettività che ha a sua volta diritto a ricevere informazioni». La Corte ha ribadito come la previsione del carcere sia «suscettibile di provocare un effetto dissuasivo per l'esercizio della libertà di stampa».
  Nella giurisprudenza della Corte non risultano pronunzie che affrontino specificamente il tema della distinzione tra redattore dell'articolo e direttore responsabile. Viceversa, vi sono molti precedenti che offrono criteri alla luce dei quali valutare la sussistenza del requisito della proporzione.
  Sotto questo profilo, la Corte ammette che tra i criteri di giudizio possano essere la natura e la misura delle sanzioni (v. ancora la sentenza Steel and Morris e, in particolare, la sentenza Dupuis c. Francia, 12 novembre 2007), anche se non risultano passaggi specificamente inerenti alla diversità tra pene detentive e pecuniarie.
  Nella sentenza Ormanni c. Italia (17 luglio 2007) si rinviene tra i criteri di giudizio ai fini della proporzione la circostanza che il diffamato abbia potuto replicare (più specificamente, è stata affermata nella sanzione al giornalista la sproporzione e, dunque, la violazione dell'articolo 10, in ragione del fatto che oltretutto al diffamato era stata offerta occasione sulla stessa testata di dare la sua versione dei fatti).
  Molte sentenze recenti hanno constatato una violazione dell'articolo 10 e in ciò hanno generalmente fatto leva sulla mancanza del requisito della proporzione. È stato infatti più volte considerato eccessivo il peso economico della sanzione sulla persona accusata di aver diffamato il soggetto assunto a obiettivo della propria cronaca o critica. Si vedano – oltre alle citate Dupuis e Ormanni – Riolo c. Italia (17 luglio 2008); Saaristo c. Finlandia (12 ottobre 2010) e Publico c. Portogallo (7 dicembre 2010).
  Vi è poi da segnalare che il Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite del 2006, nelle sue osservazioni conclusive del 2 novembre 2005 sul rapporto sull'Italia chiede all'Italia di non punire la diffamazione con la reclusione, in quanto prerogativa dei regimi autoritari.
  In questo quadro normativo e giurisprudenziale deve essere collocato il dibattito che sta sempre più prendendo corpo nel Paese in questi giorni.
  Da parte di tutti vi è la consapevolezza e la convinzione che il giornalista che diffami una persona attribuendole fatti falsi debba essere punita. La questione è come lo debba essere. Oggi si prevede anche il carcere. Secondo i più, la sanzione detentiva è eccessiva, scarsamente retributiva e per nulla rieducativa, essendo preferibili altri tipi di rimedi, come ad esempio una reale ed efficace rettifica che si accompagnerebbe naturalmente alla tutela civilistica del risarcimento del danno.
  Ad esempio, più volte la Federazione nazionale della stampa ha chiesto: l'eliminazione del carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa; che la rettifica sia considerata un motivo di esclusione della punibilità; l'introduzione per legge del principio che non commette reato chi pubblica, senza alterazioni, dichiarazioni altrui riportate letteralmente e in maniera riconoscibile (il cosiddetto “virgolettato”); l'introduzione di meccanismi per rafforzare il diritto al risarcimento del danno conseguente alla “querela temeraria”; l'abolizione dell'istituto della riparazione pecuniaria; l'estensione della prerogativa del segreto professionale anche ai giornalisti Pag. 26pubblicisti; ed un intervento sulle richieste di risarcimento danni da loro considerato «assolutamente spropositato».

  Enrico COSTA (PdL), relatore, ricorda come il testo in esame abbia il medesimo contenuto, salvo che per la parte relativa all'applicazione della legge sulla stampa ai siti internet aventi natura editoriale, di un testo approvato all'unanimità nella XIV Legislatura dalla Camera dei deputati e trasmesso al Senato, il cui obiettivo era quello di equilibrare interessi contrapposti, cancellando la sanzione detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa, prevedendo una serie di contrappesi che avevano come punti principali una nuova disciplina della rettifica e l'aumento della pena pecuniaria, ai quali si aggiunge una disciplina rigorosa della querela temeraria. Il testo invece non affronta una questione emersa nella scorsa legislatura quando il tema della diffamazione a mezzo stampa è stato affrontato dal Senato senza poi alcun esito finale. In quell'occasione si è molto dibattuto sull'opportunità o meno di intervenire anche sulla portata della fattispecie penale diffamatoria prevedendo in particolare un reato più grave nel caso in cui venga attribuito ad una persona un fatto falso. Su tale questione dovrà soffermarsi la Commissione.
  Per quanto attiene alla proposta di legge C. 925 Costa, osserva come questa si componga di tre articoli, diretti a modificare in particolare la disciplina della diffamazione a mezzo stampa, sostanzialmente riprendendo il contenuto di un testo unificato approvato all'unanimità in prima lettura dalla Camera nelle XIV legislatura ed il cui iter si è poi interrotto al Senato.
  Punto qualificante dell'intervento appare l'eliminazione della pena detentiva per i delitti contro l'onore (ingiuria e diffamazione), che comunque conservano la natura giuridica di delitto.
  L'articolo 1 della proposta di legge propone, anzitutto, una serie di modifiche alla legge sulla stampa n. 47 del 1948.
  All'articolo 1 le modifiche interessano gli articoli 8, 12 e 13 della legge 47, nella quale è poi introdotto un articolo aggiuntivo (11-bis).
  Recente giurisprudenza ha escluso l'applicabilità della legge sulla stampa in materia di diffamazione alle testate telematiche (v. Cassazione, sentenze n. 35510 del 2010 e n. 44126 del 2011).
  Il comma 1 dell'articolo 1 interviene sull'articolo 8 della legge sulla stampa in materia di diritto di rettifica. È, anzitutto, specificato in relazione ai quotidiani, che le dichiarazioni o le rettifiche della persona offesa devono essere pubblicate senza commento (lett. a).
  Sono, poi, introdotti due commi che ampliano l'ambito applicativo dell'istituto della rettifica alle trasmissioni televisive o radiofoniche e alla stampa non periodica (ad es. i libri).
  La lettera b) estende l'istituto della rettifica alle trasmissioni televisive o radiofoniche. Per tali trasmissioni, il diritto alle dichiarazioni e alla rettifica è esercitato ai sensi dell'articolo 32 del T.U. radiotelevisione (D. Lgs 177/2005).
  La lettera c) prevede, per la stampa non periodica, l'obbligo di pubblicazione a proprie spese da parte dell'autore dello scritto ritenuto diffamatorio su non più di due quotidiani nazionali delle dichiarazioni o rettifiche della persona offesa, sempre che queste ultime «non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale». La rettifica va pubblicata entro sette giorni dalla richiesta con adeguato rilievo e deve far chiaro riferimento allo scritto cui si riferisce.
  In materia di conseguenze civili della diffamazione, il comma 3 dell'articolo 1 in esame mira a limitare l'entità del risarcimento del danno a favore dell'offeso dal reato, risarcimento, per il quale, ai sensi dell'articolo 11 della legge 47/1948, sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l'editore (per i giornali telematici, il proprietario ed editore del sito web, sul quale vengono diffusi i giornali telematici: v. C. Cost. sent. n. 20 del 2001).Pag. 27
  Con un nuovo articolo 11-bis aggiunto alla legge n. 47/1948, si prevede, infatti, che il giudice – determinando l'ammontare del quantum risarcitorio – deve tenere conto dell'effetto riparatorio già conseguito con la pubblicazione della rettifica.
  La nuova disposizione stabilisce, poi, un limite massimo di 30.000 euro al risarcimento del danno non patrimoniale che il giudice determina in via equitativa; tale limite non è tuttavia vincolante in caso di recidiva nei confronti della stessa persona, accertata con sentenza definitiva sia civile che penale.
  Si ritiene quindi opportuno limitare quantitativamente l'entità massima del risarcimento del danno non patrimoniale, qualora questo debba essere liquidato in via equitativa, al fine di ridurre l'eccessiva discrezionalità del magistrato nel determinare la somma da risarcire nei casi in cui non sia possibile utilizzare parametri oggettivi.
  L'articolo 11-bis determina, infine, in un anno dalla pubblicazione il tempo della prescrizione dell'azione civile per il risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa nei casi previsti dalla legge 47/1948.
  Si ricorda che attualmente il tempo della prescrizione dell'obbligazione risarcitoria per la diffamazione a mezzo stampa è determinato, ex articolo 2947 c.c., «in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato» ovvero dalla pubblicazione (cd. prescrizione breve); qualora invece intervenga una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, emessa anche a seguito di procedimento penale in favore del danneggiato costituitosi parte civile, l'azione civile è soggetta alla prescrizione decennale ex iudicato, ai sensi dell'articolo 2953 c.c., con decorrenza dalla data in cui la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile (in tal senso, Cassazione, sent. n. 17949 del 2002; Cass., n. 8154 del 2003 e, più recentemente, n. 4054 del 2009).
  La notevole riduzione del periodo utile alla prescrizione è giustificato dal fatto che si tratta di situazioni nelle quali il pregiudizio perde di intensità con il passare del tempo.
  Il comma 4 dell'articolo 1 abroga l'articolo 12 della legge sulla stampa che prevede, in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la possibile richiesta da parte del danneggiato – oltre al risarcimento del danno – di una ulteriore somma a titolo di riparazione.
  Il comma 5 dell'articolo 1 riformula l'articolo 13 della legge sulla stampa, escludendo che la diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, possa essere sanzionata con pena detentiva.
  Per il reato in questione è, infatti, stabilita, al comma 1, la sola pena della multa, da determinare tra i 5.000 e i 10.000 euro.
  Come si è già detto, attualmente, l'articolo 13 della legge sulla stampa prevede per la diffamazione a mezzo stampa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato la pena congiunta della reclusione da 1 a 6 anni e la multa non inferiore a 258 euro.
  All'eventuale condanna del giornalista consegue, come pena accessoria, la pubblicazione della sentenza ex articolo 36 c.p.; solo in caso di recidiva del condannato, il giudice impone l'ulteriore pena accessoria della sospensione dalla professione per un periodo da 1 mese a 6 mesi. La maggiore severità per i recidivi si giustifica in quanto la reiterazione del reato esclude la buona fede dell'autore.
  In base al comma 3, è considerato causa di esclusione della punibilità l'adempimento da parte dell'autore dell'offesa degli obblighi di pubblicazione di dichiarazioni e rettifiche previsti dall'articolo 8 della legge (spetterà comunque al giudice la verifica del corretto adempimento della rettifica).
  A seguito della condanna, il giudice deve trasmettere gli atti all'ordine professionale ai fini delle determinazioni relative alle sanzioni disciplinari.
  L'articolo 2 della proposta di legge interviene sul codice penale modificando il regime dei delitti contro l'onore, l'ingiuria, Pag. 28la diffamazione e la diffamazione a mezzo stampa, in maniera coerente rispetto alle scelte effettuate per il delitto di diffamazione a mezzo stampa per fatto determinato.
  Il comma 1 dell'articolo 2 modifica l'articolo 57 c.p. concernente la responsabilità dei direttori dei periodici in relazione ai contenuti delle pubblicazioni; si tratta di responsabilità colposa per omesso controllo sanzionata, in caso di commissione di un reato, con la pena stabilita per tale reato, diminuita fino ad un terzo.
  Il contenuto dell'articolo 57 è riformulato ed adeguato, fin dalla rubrica, alle nuove modalità (oltre alla stampa periodica) con cui possono essere commessi i reati (ovvero diffusione radiotelevisiva ed altri mezzi di diffusione); rafforza il nesso di causalità tra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi; rende obbligatorio per il giudice, in caso di condanna del direttore, la riduzione di un terzo della pena prevista per il delitto. In sostanza, oggi si punisce l'omesso controllo colposo; con la nuova disposizione si punisce il fatto che i delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione sono conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione da parte del direttore.
  Il successivo comma 2 della norma in esame sostituisce l'articolo 594 c.p., relativo al delitto di ingiuria.
  Con il nuovo articolo 594 c.p. l'ingiuria (sia verbale che commessa con altri mezzi) è sanzionabile con sola pena pecuniaria della multa, fino a 5.000 euro (primo comma).
  La nuova disposizione raccoglie insieme, nel terzo comma, con lo stesso aumento di pena, le attuali circostanze aggravanti dell'ingiuria ovvero l'attribuzione di un fatto determinato nonché la sua commissione in presenza di una pluralità di persone (secondo e terzo comma vigenti) prevedendo, in tali ipotesi, un aumento di pena (fino ad 1/3 ex articolo 64 c.p.).
  Analogo intervento riguarda il reato di diffamazione con la riformulazione dell'articolo 595 del codice penale da cui è eliminata la previsione della pena detentiva.
  Il nuovo articolo 595 sanziona la diffamazione solo in via pecuniaria, con la multa da 1.500 a 6.000 euro (primo comma). Si ricorda che a questo reato oggi si applica la pena pecuniaria della multa da euro 258 a euro 2.582 o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da dieci giorni a tre mesi.
  Cambiano le sanzioni al ricorso delle aggravanti: l'attribuzione di un fatto determinato aggrava la pena pecuniaria fino ad un terzo, ex articolo 64 c.p. (secondo comma); la diffamazione a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico comporta una multa da 3.000 a 8.000 euro (terzo comma).
  Anche in relazione a tale fattispecie, visto il rinvio all'articolo 13, comma 3, della legge sulla stampa, come riformulato, la pubblicazione da parte dell'autore del reato di una completa rettifica del giudizio o del contenuto diffamatorio costituisce causa di non punibilità per l'autore della diffamazione (quarto comma).
  Alla recidiva nel reato di diffamazione, come nella diffamazione a mezzo stampa di cui all'articolo 13 della legge 48/1947, consegue l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione del condannato per un periodo da 1 a 6 mesi dalla professione di giornalista (quinto comma).
  L'articolo 3 della proposta di legge aggiunge un comma all'articolo 427 del codice di procedura penale, relativo alla condanna del querelante alle spese e ai danni.
  Il comma aggiuntivo 3-bis prevede che il giudice possa irrogare al querelante una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro in caso di querela temeraria, in favore della cassa delle ammende.
  Si tratta di una norma che potrebbe sembrare ultronea rispetto al contenuto della proposta di legge, ma che in realtà è connessa alla ratio del provvedimento. Infatti, essa è volta a ridurre il rischio di querele presentate solamente come forma Pag. 29di pressione psicologica in vista di un risarcimento civile, fenomeno che vede proprio i giornalisti come le principali vittime.

  Gregorio GITTI (SCpI) ritiene che il testo in esame sia del tutto squilibrato a danno del soggetto che viene diffamato, in quanto vengono posti addirittura dei limiti quantitativi al risarcimento dei danni senza tenere conto che la rettifica non può mai essere considerata come uno strumento che riesce a riparare integralmente il danno subito a seguito di una notizia diffamatoria. La stessa rimozione della pena detentiva appare del tutto incongrua qualora non sia controbilanciata, il che non avviene con il testo in esame, da un congruo e adeguato risarcimento economico del danno subito, il quale rappresenta in realtà il migliore deterrente contro la diffamazione a mezzo stampa.

  Vittorio FERRARESI (M5S) ritiene che sia quanto mai necessario procedere ad un accertamento, che secondo l'ISTAT non apparirebbe possibile, dell'applicazione specifica delle disposizioni relative alla diffamazione a mezzo stampa così come punita sia dal codice penale che dalle leggi speciali.

  Donatella FERRANTI, presidente, avverte che è stato chiesto dal presentatore Pisicchio l'abbinamento alla proposta in esame della sua proposta n. 191, recante disposizioni in materia di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione nonché l'istituzione del Giurì per la correttezza dell'informazione. Proprio in considerazione dell'istituzione del Giurì non si è proceduto all'abbinamento d'ufficio della predetta proposta di legge, la quale tuttavia potrà essere abbinata qualora la Commissione sia d'accordo.

  Enrico COSTA (PdL), relatore, esprime forti perplessità in merito all'abbinamento, non soltanto in relazione alla parte relativa all'istituzione del Giurì ma anche, anzi specialmente, in merito al fatto che la proposta di legge n. 191 ha per oggetto una questione estremamente complessa quale l'applicazione delle disposizioni sulla diffamazione con il mezzo della stampa ai siti internet aventi natura editoriale. Si tratta di un tema estremamente rilevante, che deve essere affrontato dal Parlamento ma non in questa occasione, in cui è invece necessario soffermarsi sulla disciplina generale della diffamazione per mezzo della stampa nonché sull'istituto della rettifica.

  Donatella FERRANTI, presidente, preso atto dell'intervento dell'onorevole Costa, rinvia la decisione in merito all'abbinamento della proposta di legge C. 191 alla prossima seduta, quando anche gli altri deputati saranno in grado di valutare meglio la questione. Rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.30.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

SEDE REFERENTE

Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso.
C. 251 Vendola e C. 328 Francesco Sanna e C. 923 Micillo.

Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali.
C. 631 Ferranti.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI