CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 13 dicembre 2012
755.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 106

SEDE CONSULTIVA

  Giovedì 13 dicembre 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 13.15.

Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia ambientale.
Nuovo testo C. 4240/B Lanzarin, approvato dalla Camera e modificato dal Senato, e C. 5060 Faenzi.

(Parere alla VIII Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con condizioni).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Giuseppina CASTIELLO (PdL), relatore, evidenzia che la proposta di legge in esame reca disposizioni in materia ambientale volte in prevalenza a novellare il Codice ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006).
  La proposta, già approvata dalla Camera il 16 febbraio 2012, è stata sostanzialmente modificata nel corso dell'esame al Senato attraverso l'aggiunta di nuovi articoli, alcuni dei quali recano un contenuto analogo a disposizioni introdotte nel corso dell'esame al Senato del decreto-legge n. 2 del 2012, recante Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, disposizioni successivamente soppresse durante l'esame in sede referente alla Camera.
  Nel corso dell'esame in sede referente in seconda lettura sono state apportate ulteriori modifiche al testo approvato dal Senato. A seguito di tali modifiche il provvedimento risulta ora composto da 37 articoli, dal contenuto spiccatamente tecnico.
  Ricorda che il 9 febbraio 2012 la XIV Commissione Politiche dell'Unione europea aveva espresso parere favorevole sul testo all'esame in prima lettura, formulando un'osservazione relativa ad un articolo (articolo 2 del testo approvato in prima lettura, attualmente articolo 5) non modificato dal Senato.
  Tenuto conto dell'ampiezza del provvedimento e della ristrettezza dei tempi di Pag. 107esame a disposizione, preannuncia che si soffermerà su talune delle disposizioni che presentano profili problematici in relazione alla normativa europea, rinviando alla documentazione predisposta dagli uffici per una illustrazione analitica dell'articolato.
  In relazione innanzitutto alle disposizioni in materia di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 3, inserito nel corso dell'esame al Senato, segnala in particolare il comma 1, lettera b), n. 1), che integra la definizione di rifiuto organico recata dall'articolo 183, comma 1, lettera d), del Codice ambientale, prevedendo che in essa siano compresi i manufatti compostabili certificati secondo la norma tecnica UNI EN 13432-2002 recante «Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione». La definizione di rifiuto organico di cui alla citata lettera d) riprende quella riportata all'articolo 3, numero 4), della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, in base alla quale sono da considerarsi rifiuti organici: i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, i rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e i rifiuti simili prodotti dall'industria alimentare raccolti in modo differenziato. L'articolo 182-ter, comma 1, del Codice ambientale prevede inoltre che la raccolta dei rifiuti organici debba essere effettuata anche con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2002. Ritiene opportuno al riguardo valutare la compatibilità dell'estensione della definizione di rifiuto organico rispetto a quanto previsto dall'articolo 3, n. 4) della direttiva 2008/98/CE.
  Il comma 1, lettera c), n. 1), novella invece la lettera b) del comma 2 dell'articolo 185 del Codice ambientale relativo alle esclusioni dall'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti, prevedendo un'ulteriore condizione all'eccezione prevista dalla stessa lettera b), che incide sulla destinazione del digestato o del compost ottenuti dai rifiuti. In base alle disposizioni di cui al paragrafo 2 dell'articolo 2 della direttiva 2008/98/CE, riprodotte dalla lettera b) del comma 2 dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie e dalle rispettive norme nazionali di recepimento, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio. La novella in esame estende l'esclusione dall'ambito di applicazione della disciplina dei rifiuti ai sottoprodotti di origine animale, come sopra definiti, qualora destinati all'utilizzazione agronomica nell'ambito di una o più aziende agricole consorziate che ospitano l'impianto.
  Segnala che, nelle conclusioni cui la Corte di Cassazione è pervenuta nella sentenza 12844/2009, si legge che «gli scarti di origine animale sono sottratti alla applicazione della normativa in materia di rifiuti ed esclusivamente soggetti al Regolamento CE n. 1774/2002, solo se sono effettivamente qualificabili come sottoprodotti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, mentre in ogni altro caso in cui il produttore se ne sia disfatto per destinarli allo smaltimento restano soggetti alla disciplina del Testo Unico in materia ambientale».
  La norma in esame di fatto sembra escludere dal novero dei rifiuti i sottoprodotti che vengono compostati o digestati per essere utilizzati dalla medesima azienda; per tali prodotti sembra pertanto non ricorrere la definizione di rifiuto che prevede la volontà del detentore di disfarsene, come previsto dall'articolo 3, n. 1) della direttiva 2008/98/CE.
  Appare opportuno, anche in questo caso, valutare la compatibilità della norma con quanto previsto dall'articolo 2, par. 2 della direttiva 2008/98/CE.
  L'articolo 4, modificato nel corso dell'esame al Senato, novella la lettera f) del comma 1 dell'articolo 185 del decreto legislativo 152/2006 al fine di escludere dall'applicazione della disciplina sui rifiuti di cui alla parte quarta del Codice il Pag. 108materiale derivante dalla potatura degli alberi, anche proveniente dalle attività di manutenzione delle aree verdi urbane, se utilizzato per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana. Tale esclusione potrà avvenire a condizione che il materiale indicato sia configurabile come sottoprodotto ai sensi dell'articolo 184-bis del medesimo decreto. L'articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006 riproduce le disposizioni di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2008/98/CE che esclude dall'ambito di applicazione della direttiva stessa le materie fecali – se non rientranti fra i sottoprodotti di origine animale di cui al paragrafo 2, lettera b) – paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell'attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.
  Ricorda che prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 205 del 2010, che ha recepito la direttiva 2008/98/CE, in base all'articolo 185, comma 2, potevano essere considerati sottoprodotti i «materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas». L'espunzione del riferimento agli sfalci e potature derivanti dal verde pubblico e privato operata dal decreto legislativo n. 205 del 2010 ha creato incertezze negli operatori del settore, tanto che il Ministero dell'ambiente ha chiarito (con la nota 1o marzo 2011, prot. 11338) che i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali vanno classificati come rifiuti urbani ai sensi dell'articolo 184, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché l'esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti per la «paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa» (articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006) va riferita esclusivamente ai materiali provenienti da attività agricola o forestale destinati agli utilizzi ivi descritti. Ricorda inoltre che in base all'articolo 3, numero 4), della direttiva 2008/98/CE i «rifiuti biodegradabili di giardini e parchi» sono considerati rifiuto organico.
  Ritiene opportuno valutare la compatibilità della disposizione in esame con la normativa comunitaria, atteso che si prevede un'estensione delle esclusioni dall'ambito di applicazione della direttiva 2008/98/CE. Appare, altresì, opportuno verificare la formulazione della disposizione, che sembra ora contemplare l'utilizzo per la produzione di energia solo con riferimento al materiale derivante dalla potatura degli alberi e che, anche sotto tale profilo, dovrebbe essere valutata rispetto a quanto disposto dall'articolo 2, par. 1, lettera f) della medesima direttiva.
  L'articolo 15 risponde all'obiettivo di soddisfare le indicazioni formulate dalla Commissione europea nella lettera di messa in mora inviata all'Italia il 22 marzo 2012 relativamente alla corretta attuazione della direttiva 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni. In particolare, la Commissione contesta la trasposizione non corretta: dell'articolo 2, paragrafo 1, in quanto l'articolo 2(1o) del decreto legislativo n. 49 del 2010 di recepimento della direttiva esclude dalla nozione di «alluvione» gli allagamenti non direttamente imputabili ad eventi meteorologici, esclusione non prevista dalla direttiva che prevede solo la possibilità di escludere gli allagamenti causati dagli impianti fognari; dell'allegato 1, parte B.1 della direttiva, in quanto all'allegato 1, parte B, punto 1 del decreto legislativo n. 49 del 2010, il riferimento all'articolo 13 del medesimo decreto legislativo invece Pag. 109che all'articolo 12 relativo ai riesami della valutazione del rischio alluvioni, non è corretto.
  L'articolo 23, introdotto nel corso dell'esame al Senato, interviene sull'articolo 20, comma 1, della legge n. 217 del 2011 (Legge comunitaria 20120) che attribuisce una delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2009/128/CE, relativa all'utilizzo sostenibile dei pesticidi. La novella è diretta a prevedere che il provvedimento d'attuazione possa essere proposto non solo dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche europee e da quello dell'ambiente, ma anche dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, come già è effettivamente avvenuto per il decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, che dà attuazione alla norma oggetto di modifica.
  Quanto alle procedure di contenzioso, segnala, per affinità di materia, diversi articoli del provvedimento.
  Si riferisce innanzitutto all'articolo 6, soppresso nel corso dell'esame del provvedimento, che era volto a modificare l'articolo 200 del Codice in materia di organizzazione territoriale della gestione dei rifiuti. Ricorda in proposito che il 24 novembre 2011 la Commissione europea ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora complementare (p.i. 2011/4003) con la quale si contestano le modalità di affidamento dei servizi di gestione, raccolta e smaltimento dei rifiuti nei Comuni delle province di Reggio Emilia, Parma e Piacenza.
  In particolare, la Commissione ritiene che gli affidamenti diretti alla società IREN S.p.A disposti senza messa in concorrenza preliminare dai Comuni di Reggio Emilia, Parma e Piacenza e da alcuni Comuni delle loro province, non possano essere giustificati dalla normativa europea, ponendo in essere una violazione degli articoli 28, 35 e 36 della direttiva 2004/18/CE sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, qualora detti affidamenti corrispondano ad appalti pubblici, o degli articoli 49 (divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento) e 56 (divieto di restrizione alla libera prestazione dei servizi) del TFUE ove gli stessi siano da considerare invece come concessioni.
  La Commissione ricorda inoltre che, in base alla normativa vigente, gli appalti e le concessioni di importo superiore a 4 845 000,00 euro debbono essere conclusi all'esito di una procedura concorrenziale che garantisca il rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e mutuo riconoscimento.
  La lettera di messa in mora complementare fa altresì specifico riferimento all'affidamento diretto disposto dal Comune di Parma alla società IREN Emilia S.p.A. controllata dalla società IREN S.p.A in relazione alla realizzazione dell'inceneritore in località Uguzzolo (PR), affidato secondo la Commissione senza il dovuto rispetto delle disposizioni sopracitate. Inoltre, la Commissione ritiene che la presenza di soci privati nel capitale della IREN S.p.A. impedisca la configurazione di un rapporto di controllo analogo tra i Comuni interessati e la società IREN S.p.A, dal momento che, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di «in house providing», la partecipazione anche minoritaria di un'impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice «esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi». Inoltre, la circostanza che la società IREN sia quotata in borsa e dato il vastissimo campo di attività delle società del gruppo IREN, tra cui è ricompresa IREN Emilia S.p.A, appare impossibile ravvisare l'esistenza di un rapporto di controllo analogo tra esse e i Comuni azionisti della capogruppo IREN S.p.A. Infine, la compartecipazione di altri soggetti privati nelle controllate della IREN S.p.A. affievolirebbe ulteriormente il controllo dei comuni azionisti evidenziando una vocazione prettamente commerciale della società IREN S.p.A e delle sue controllate. In base alle informazioni al momento disponibili, il Governo ha Pag. 110avviato contatti con la Commissione finalizzati alla raccolta di un insieme di dati richiesti dai servizi della Commissione. Inoltre, il Governo avrebbe richiamato l'attenzione della Commissione sul regime transitorio introdotto nell'articolo 4, comma 32 del decreto-legge 138/11 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sul quale tuttavia la Commissione avrebbe sollevato eccezioni, invitando il Governo a trovare una soluzione diversa.
  Richiama quindi i contenuti dell'articolo 17, relativo ai RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), cui è stato aggiunto un comma 6 volto ad integrare la definizione di «trattamento» di RAEE, recata dall'articolo 3, comma 1, lettera l) del decreto legislativo n. 151 del 2005, al fine di garantire il rispetto, nelle operazioni di trattamento, delle condizioni, delle modalità e delle prescrizioni stabilite in conformità alle migliori tecniche disponibili con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ricorda che il 24 novembre 2011 la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora complementare (p.i. 2009/2264) confermando alcune delle contestazioni già rivolte in relazione alla non conformità di talune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 151/2005 di trasposizione della direttiva 2002/96/CE relativa ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (direttiva RAEE), non completamente sanata da interventi successivi (ad esempio l'articolo 21 della legge 96/2010). La Commissione in particolare ha reiterato i rilievi inerenti:
   definizione di produttore: l'articolo 3, comma 1, lettera i) del decreto legislativo definisce «produttore» chiunque importa o immette per primo apparecchiature elettriche ed elettroniche nell'esercizio di un'attività professionale o commercializzazione nel territorio nazionale. Tuttavia, la Commissione ritiene che nella direttiva RAEE (articolo 3, lettera i, punto iii) l'espressione «importa o esporta» si riferisca al mercato europeo e non solamente al mercato nazionale. Per le stesse ragioni tali disposizioni non sono ritenute dalla Commissione conformi alla direttiva 2002/95/CE, relativa alla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche;
   finanziamento relativo ai RAEE provenienti dai nuclei domestici: la Commissione ritiene che la trasposizione italiana della direttiva non consente di attuare il principio di responsabilità del produttore che rappresenta uno degli obiettivi principali della direttiva stessa. In particolare, la Commissione contesta all'Italia, attraverso interventi legislativi successivi, di aver prorogato al 31 dicembre 2009 il termine del 13 agosto 2005 (articolo 8, comma 2) previsto per l'entrata in vigore degli obblighi relativi al finanziamento della gestione dei RAEE originati da prodotti immessi sul mercato dopo quella data, con particolare riferimento all'articolo 20, comma 4) del decreto legislativo come modificato successivamente. Nell'avviso della Commissione l'art. 9, comma 2, della l. 25/2010 avrebbe introdotto un'ulteriore illegittima proroga dell'entrata in vigore dell'obbligo per i produttori di finanziare la gestione ecologicamente corretta dei RAEE;
   Allegati I B: la Commissione rileva alcune differenze tra l'allegato I B della direttiva RAEE e l'allegato I B che appaiono dare luogo ad una trasposizione scorretta o incompleta.

  Inoltre, sebbene consideri superate altre obiezioni sollevate nella precedente fase di contenzioso, sulla base di recenti indagini svolte da Greenpeace la Commissione solleva alcuni rilievi in merito all'applicazione di talune disposizioni della direttiva 2002/96/CE con particolare riferimento a:
   insufficiente rispetto dell'obbligo di ritiro gratuito dell'usato da parte dei rivenditori (articolo 5, comma 2, lettera b) della direttiva);
   non corretta informazione dei consumatori da parte dei rivenditori circa la Pag. 111gratuità del ritiro (articolo 10, co 1 lettera b), e articolo 10 comma 4);
   insufficiente distribuzione dei 3000 centri di raccolta sul territorio italiano (il 70 per cento concentrato in quattro regioni, Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto), peraltro non sempre accessibili alla grande distribuzione (articolo 5, comma 2, lettera a).

  Infine, ricorda l'articolo 23, volto a modificare la norma che attribuisce una delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2009/128/CE, relativa all'utilizzo sostenibile dei pesticidi. Sul tema il 21 marzo 2012 la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di messa in mora contestandole il mancato recepimento, entro il termine previsto del 14 dicembre 2011, della direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi. Il decreto legislativo che dà attuazione alla direttiva è stato poi emanato il 14 agosto 2012 (n. 150).
  Tenuto conto dei tempi limitati a disposizione della Commissione, invita i colleghi a valutare l'opportunità di esprimersi sul provvedimento già nella seduta odierna.

  Mario ADINOLFI (PD), preso atto della ristrettezza dei tempi di esame a disposizione e tenuto conto dell'intenzione della VIII Commissione di procedere nell'esame del provvedimento in sede legislativa, ritiene opportuno che la XIV Commissione si esprima sul provvedimento già nella seduta odierna.

  Nicola FORMICHELLA (PdL) condivide l'orientamento manifestato dal collega Adinolfi e ritiene anch'egli opportuno esprimersi nella seduta odierna; invita quindi il relatore a evidenziare nel parere i rilievi critici riferiti all'articolo 3, già richiamati nel parere espresso sul provvedimento dalla XII Commissione Affari sociali.

  Marco MAGGIONI (LNP) concorda con i colleghi circa l'opportunità di esprimersi nella seduta corrente.

  Giuseppina CASTIELLO (PdL), relatore, alla luce delle considerazioni svolte nella relazione formula una proposta di parere favorevole con condizioni (vedi allegato), nella quale si evidenzia che alcune disposizioni rischiano di esporre l'Italia a contestazioni in sede europea e che occorre pertanto sottoporre le misure richiamate ad una preventiva valutazione da parte della Commissione europea.

  Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole con condizioni formulata dal relatore.

Modifica della disciplina transitoria del conseguimento delle qualifiche professionali di restauratore di beni culturali e di collaboratore restauratore di beni culturali.
C. 5613, approvato, in un testo unificato, dalla 7a Commissione permanente del Senato, e abb.

(Parere alla VII Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Nicola FORMICHELLA (PdL), relatore, ricorda che la proposta di legge in esame, già approvata dal Senato e risultante dall'unificazione del disegno di legge n. 2794, di iniziativa parlamentare, e del disegno di legge n. 2997, di iniziativa del Governo, novella l'articola 182 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo n. 42 del 2004), modificando la disciplina transitoria per il conseguimento delle qualifiche di restauratore e di collaboratore restauratore di beni culturali.
  In particolare, con riferimento alla qualifica di restauratore, la proposta prevede l'acquisizione diretta in esito ad apposita procedura di selezione pubblica basata sulla valutazione di titoli e attività (commi da 1 a 1-quater dell'articolo 182), Pag. 112ovvero l'acquisizione previo superamento di una prova di idoneità (comma 1-quinquies dell'articolo 182). Analogamente, per l'acquisizione della qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali (comma 1-sexies e 1-septies dell'articolo 182).
  Come emerso anche durante il dibattito al Senato, l'intervento si è reso necessario perché numerose imprese del settore erano di fatto escluse dalla possibilità di ottenere la qualificazione necessaria per partecipare alle procedure di affidamento di appalti pubblici per l'esecuzione di lavori di restauro.
  L'articolo 1, comma 1, sostituisce i commi da 1 a 1-quinquies dell'articolo 182 del Codice con 8 nuovi commi.
  Nello specifico, il comma 1 del novellato articolo 182 dispone che acquisisce la qualifica di restauratore di beni culturali colui che ha maturato, nell'ambito del restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici, una «adeguata competenza professionale». In tale ultima espressione sono, in realtà, inclusi i titoli di studio conseguiti, nella misura in cui, in un caso, è prevista l'attribuzione della qualifica in totale mancanza di esperienza lavorativa.
  Inoltre, si prevede che la qualifica di restauratore può essere richiesta per uno o più settori di competenza, tra quelli individuati dalla parte II dell'all. B – aggiunto dal comma 2 dell'articolo 1 in esame –, che ricalcano sostanzialmente i percorsi formativi professionalizzanti previsti dall'all. B del decreto ministeriale 87/2009 e gli ambiti di competenza da scegliere per lo svolgimento di alcune prove, indicati nell'all. A del D.I. 53/2009.
  Dunque, mentre il D.I. 53/2009 dispone che gli ambiti di competenza devono essere indicati ai fini dello svolgimento di alcune prove di esame, nel provvedimento in commento i settori di competenza continuano a mantenere un'evidenza anche dopo l'acquisizione della qualifica.
  Infatti, il comma 1-bis del novellato articolo 182 dispone che la qualifica in questione è attribuita, in esito ad una procedura di selezione pubblica, con provvedimenti del Ministero che danno luogo all'inserimento in un elenco «suddiviso in settori di competenza» (primo periodo del comma), ovvero in più elenchi (terzo periodo del comma).
  Il comma 1-ter del novellato articolo 182 prevede che la procedura di selezione pubblica è indetta entro il 31 dicembre 2012 e si conclude entro il 30 giugno 2015.
  La procedura di selezione pubblica consiste nella valutazione dei titoli e delle attività, nonché nell'attribuzione dei relativi punteggi. Per acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali è necessario raggiungere il punteggio di 300, pari al numero di crediti formativi fissato dall'articolo 1 del decreto ministeriale 87/2009, al quale il testo fa riferimento.
  La tabella 2 della I parte dell'all. B concerne l'attribuzione di punteggio al personale di ruolo delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei beni culturali, a seguito del superamento di un pubblico concorso, nonché al personale docente di restauro presso le Accademie di belle arti per i settori disciplinari indicati.
  La tabella 3 della I parte dell'all. B concerne l'attribuzione di punteggio per l'esperienza professionale consistente nell'attività di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici, prevedendo l'attribuzione di 37,50 punti per ciascun anno.
  Sempre in ordine all'esperienza professionale, e al fine dell'attribuzione del relativo punteggio, il comma 1-quater del novellato articolo 182 reca una serie di specifiche.
  La lettera a) delinea i contorni dell’«attività di restauro di beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici», rimandando alle attività caratterizzanti il profilo di competenza del restauratore di beni culturali, come individuate dall'all. A del DM 86/2009.
  La lettera b) precisa che è riconosciuta l'attività di restauro direttamente ed effettivamente svolta dall'interessato in proprio, ovvero in rapporto di lavoro dipendente – inclusi i rapporti alle dipendenze di amministrazioni pubbliche preposte alla Pag. 113tutela dei beni culturali –, o di contratti di collaborazione coordinata e continuativa o a progetto.
  Con riferimento alla «regolare esecuzione» dell'attività, la medesima lettera b) dispone che essa venga «certificata nell'ambito della procedura di selezione pubblica».
  Inoltre, ai sensi della lettera c), l'attività svolta deve risultare da «atti di data certa» – formati in occasione dell'affidamento dell'appalto, in corso d'opera, o a conclusione dell'appalto, compresi atti concernenti l'organizzazione ed i rapporti di lavoro dell'impresa appaltatrice – ed «emanati, ricevuti o anche custoditi» dall'autorità preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori o dalle scuole di restauro statale di cui all'articolo 9 La lettera d) dispone che la durata dell'attività di restauro è documentata dai termini di consegna e di completamento dei lavori e precisa che è possibile cumulare più lavori eseguiti nello stesso periodo.
  Il comma 1-quinquies del novellato articolo 182 prevede la possibilità di acquisire la qualifica di restauratore previo superamento di prove di idoneità distinte in relazione alla platea cui si riferiscono, con valore di esame di Stato abilitante.
  Con un medesimo decreto MIBAC-MIUR, da emanare, d'intesa con la Conferenza unificata, entro il 31 dicembre 2012, sono definite le modalità di svolgimento di entrambe le prove di idoneità.
  Il comma 1-sexies del novellato articolo 182 dispone che la qualifica di collaboratore restauratore è attribuita in esito ad una procedura di selezione pubblica da indire entro il 31 dicembre 2012.
  A differenza di quanto si dispone con riguardo all'acquisizione della qualifica di restauratore, non è prevista l'emanazione di linee guida per l'espletamento della medesima procedura, né viene fissato un termine entro il quale la stessa deve essere conclusa.
  Vengono inoltre definiti i requisiti necessari al fine di acquisire la qualifica di collaboratore restauratore e che debbono essere posseduti alla data di pubblicazione del bando relativo alla procedura di selezione pubblica.
  Il comma 1-septies del novellato articolo 182 prevede la possibilità di acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali previo superamento di una prova di idoneità. Alla prova di idoneità – da svolgersi secondo modalità stabilite con decreto ministeriale emanato, d'intesa con la Conferenza unificata, entro il 30 giugno 2014 – partecipano coloro che hanno conseguito i requisiti previsti dal comma 1-sexies «tra il 31 ottobre 2012 e il 30 giugno 2014».
  Il comma 1-octies dispone, in termini generali, che la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali è attribuita con provvedimenti del Ministero, che provvede alla tenuta dell'elenco.
  L'articolo 2 reca la clausola generale di invarianza finanziaria.
  Formula quindi una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.

  La seduta termina alle 13.30.

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