CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 28 novembre 2012
746.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

  Mercoledì 28 novembre 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 12.45.

Variazione nella composizione della Commissione.

  Mario PESCANTE, presidente, comunica che è entrato a far parte della Commissione il deputato Ivan Rota.

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Disposizioni in materia di professioni non organizzate.
C. 1934-B, approvata, in un testo unificato, dalla Camera e modificata dal Senato.
(Parere alla X Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Nicola FORMICHELLA (PdL), relatore, ricorda che il provvedimento in esame reca una disciplina delle professioni non regolamentate. La proposta è stata approvata in prima lettura dalla Camera, quindi, lo scorso 12 novembre 2012 dal Senato, che vi ha apportato alcune modificazioni.
  Ricorda che accanto alle professioni «ordinistiche» (o «protette») si sono sviluppate, anche nel nostro Paese e con intensità crescente nel corso degli ultimi anni, numerose professioni che non hanno ottenuto il riconoscimento legislativo e che nella quasi totalità dei casi hanno dato vita ad autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico. Si tratta delle cosiddette professioni non regolamentate o «non protette», diffuse in particolare nel settore dei servizi, che non necessitano di alcuna iscrizione ad un ordine o ad collegio professionale per poter essere esercitate.
  L'articolo 1 (modificato dal Senato) dopo aver definito al comma 1 la «professione non organizzata in ordini o collegi» individua le categorie escluse; il Senato ha aggiunto, oltre a quelle già previste nel testo approvato dalla Camera dei deputati (le attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'articolo 2229 del Codice civile e le attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative), le professioni sanitarie.
  È stato, poi introdotto, il comma 3 in cui viene previsto che chiunque svolga una delle professioni in esame deve far riferimento, nei documenti e rapporti scritti con il cliente, agli estremi del provvedimento in esame. L'inadempimento viene qualificato come «pratica commerciale scorretta» ai sensi del Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005). Il comma 5 consente al professionista di scegliere la forma in cui esercitare la propria professione riconoscendo l'esercizio di questa sia in forma individuale, che associata o societaria o nella forma di lavoro dipendente. Dal comma 5 il Senato ha soppresso un periodo che prevedeva, nell'ipotesi di lavoro dipendente, la presenza di apposite garanzie nei contratti di lavoro individuali e collettivi per assicurare l'autonomia, l'indipendenza del professionista e l'assenza di conflitto di interessi.
  L'articolo 2 (lievemente modificato dal Senato) riguarda le associazioni professionali che i professionisti possono costituire con il fine di valorizzare le competenze degli associati e garantire il rispetto di regole deontologiche (il Senato ha rafforzato tale affermazione, in quanto nella versione licenziata dalla Camera dei deputati si parlava di «diffondere» il rispetto delle regole deontologiche tra gli associati), favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.
  Tali associazioni hanno natura privatistica, sono fondate su base volontaria, senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva. Esse promuovono la formazione permanente dei propri iscritti, adottano un codice di condotta, vigilano sulla condotta professionale degli associati, definiscono le sanzioni disciplinari da irrogare agli associati per le violazioni del medesimo codice e promuovono forme di garanzia a tutela dell'utente, tra cui l'attivazione di uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore.
  Le associazioni possono costituire forme aggregative, disciplinate dall'articolo 3 (non modificato dal Senato).
  Le forme aggregative rappresentano le associazioni aderenti e agiscono in piena indipendenza ed imparzialità. Sono soggetti autonomi rispetto alle associazioni professionali che le compongono. Le forme aggregative hanno funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione Pag. 179delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali. Su mandato delle singole associazioni, esse possono controllare l'operato delle medesime associazioni, ai fini della verifica del rispetto e della congruità degli standard professionali e qualitativi dell'esercizio dell'attività e dei codici di condotta definiti dalle stesse associazioni.
  L'articolo 4 (integrato dal Senato) riguarda la pubblicità delle associazioni professionali e delle loro forme aggregative. Esse pubblicano sul proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità. Della correttezza di tali informazioni garantisce il responsabile legale dell'associazione professionale o della forma aggregativa. Nei casi in cui le associazioni autorizzino i propri associati ad utilizzare il riferimento all'iscrizione all'associazione quale marchio o attestato di qualità dei propri servizi, sul proprio sito internet devono rendere disponibili anche le informazioni sul significato dei marchi e sui criteri di attribuzione dei marchi e degli altri attestati di qualità, dandone contemporaneamente notizia al Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 81 del decreto legislativo di recepimento della cosiddetta «direttiva servizi» (D. Lgs. 59/2010).
  Il Senato ha aggiunto il comma 3, che prevede la possibilità per le associazioni professionali di promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionale, con oneri posti a carico delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.
  Il contenuto degli elementi informativi è elencato in dettaglio dal successivo articolo 5 (lievemente modificato dal Senato). Il comma 1 prevede che le associazioni professionali debbano infatti assicurare la piena conoscibilità dei seguenti elementi: a) atto costitutivo e statuto; b) precisa identificazione delle attività professionali cui l'associazione si riferisce; c) composizione degli organismi deliberativi e cariche sociali; d) struttura organizzativa dell'associazione; e) requisiti per la partecipazione all'associazione, con particolare riferimento ai titoli di studio relativi alle attività professionali oggetto dell'associazione, all'obbligo degli appartenenti di procedere all'aggiornamento professionale costante e alla predisposizione di strumenti idonei ad accertare l'effettivo assolvimento di tale obbligo, all'indicazione della quota da versarsi per il conseguimento degli scopi statutari (durante l'esame al Senato è stata eliminata la parola «eventuali» con riferimento ai requisiti e all'obbligo di aggiornamento professionale); f) assenza di scopo di lucro.
  Nei casi le associazioni autorizzino i propri associati ad utilizzare il riferimento all'iscrizione all'associazione quale marchio o attestato di qualità dei propri servizi, l'onere informativo è aggravato e la conoscibilità è estesa ad altri elementi: a) codice di condotta; b) l'elenco degli iscritti; c) le sedi dell'associazione; d) la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati; e) il possesso di un sistema certificato di qualità; f) le garanzie attivate a tutela degli utenti, tra cui lo sportello di riferimento per il cittadino consumatore.
  L'articolo 6 (non modificato dal Senato) riguarda la promozione dell'autoregolamentazione volontaria e della qualificazione dell'attività dei soggetti che esercitano le professioni non regolamentate, anche indipendentemente dall'adesione degli stessi ad una delle associazioni. La normativa tecnica UNI fornisce i principi e i criteri generali che disciplinano l'esercizio auto-regolamentato della singola attività professionale e ne assicurano la qualificazione. La promozione dell'informazione ai professionisti e agli utenti riguardo l'avvenuta adozione di una norma tecnica UNI è compito del Ministero dello sviluppo economico.
  Gli articoli 7 e 8 riguardano le attestazioni che le associazioni professionali possono rilasciare ai propri iscritti, previe Pag. 180le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, al fine di tutelare i consumatori e di garantire la trasparenza del mercato dei servizi professionali.
  L'articolo 7 (non modificato dal Senato) precisa che tali attestazioni non rappresentano requisito necessario per l'esercizio dell'attività professionale, ed elenca i molteplici aspetti su cui può essere rilasciata un'attestazione, quali: la regolare iscrizione del professionista all'associazione; i requisiti necessari alla partecipazione all'associazione stessa; gli standard qualitativi; le garanzie fornite dall'associazione all'utente tra cui l'attivazione dello sportello di riferimento per il cittadino consumatore; il possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale stipulata dal professionista; l'eventuale possesso da parte del professionista iscritto di una certificazione rilasciata da un organismo accreditato relativa alla conformità alla norma tecnica UNI.
  L'articolo 8 (non modificato dal Senato) riguarda la validità dell'attestazione, che è pari al periodo per il quale il professionista risulta iscritto all'associazione professionale che la rilascia, nel rispetto della periodicità di rinnovo e verifica dell'iscrizione prevista dall'associazione stessa. La scadenza dell'attestazione è specificata nell'attestazione stessa, e il professionista che utilizza l'attestato rilasciato da un'associazione ha l'obbligo di informare l'utenza del proprio numero di iscrizione all'associazione.
  L'articolo 9 (non modificato dal Senato) riguarda la certificazione di conformità a norme tecniche UNI. All'elaborazione della normativa tecnica UNI relativa alle singole attività professionali collaborano le associazioni professionali e le loro forme aggregative, partecipando ai lavori degli specifici organi tecnici oppure inviando all'Ente di normazione i propri contributi nella fase dell'inchiesta pubblica. Per i settori di competenza, le medesime associazioni possono promuovere la costituzione di organismi di certificazione della conformità, accreditati dall'organismo unico nazionale di accreditamento, che possono rilasciare, su richiesta del singolo professionista anche non iscritto ad alcuna associazione, il certificato di conformità alla norma tecnica UNI definita per la singola professione.
  Segnala quindi che nel parere dello scorso 20 dicembre 2011 ci eravamo espressi con una osservazione su questo articolo, invitando la Commissione di merito a valutare l'opportunità di modificare il comma 1, nel senso di eliminare la possibilità, ivi prevista, per le associazioni istituite dal provvedimento medesimo di partecipare ai lavori degli specifici organi tecnici per l'elaborazione della normativa tecnica UNI. Ciò al fine di non determinare, per i professionisti organizzatisi in associazioni ai sensi della presente legge, un vantaggio competitivo non compatibile con la disciplina dell'Unione europea in materia di concorrenza. Tale indicazione non è stata tuttavia recepita dalla X Commissione e la disposizione è stata approvata anche dal Senato, non essendo quindi ora più modificabile.
  Secondo l'articolo 10 (non modificato dal Senato), la non veridicità delle informazioni pubblicate sul sito dell'associazione o contenute nell'attestazione rilasciata è sanzionabile ai sensi dell'articolo 27 del Codice del Consumo dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione del Ministero dello sviluppo economico che svolge compiti di vigilanza sul mercato relativamente alla corretta attuazione delle previsioni della presente legge.
  L'articolo 11 (non modificato dal Senato) contiene la clausola di neutralità finanziaria.
  Osserva, in conclusione, che le modifiche apportate al provvedimento in sede di esame presso il Senato non incidono su questioni di nostra specifica competenza, e formula pertanto una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.

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Nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi.
C. 5584, approvata dal Senato.
(Parere alla X Commissione).
(Esame conclusione – Parere favorevole).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Giuseppina CASTIELLO (PdL), relatore, rileva come il provvedimento in esame, approvato dal Senato il 14 novembre, rechi talune norme in materia di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», già disciplinati dalla legge 16 dicembre 1966, n. 1112, di cui si dispone l'abrogazione.
  In particolare l'articolo 1, definisce nuovamente il cuoio e la pelle, confermando che deve trattarsi di prodotti ottenuti dalla lavorazione di spoglie di animali sottoposte a trattamento di concia o impregnate in modo tale da conservare inalterata la struttura delle fibre; aggiunge, rispetto alla formulazione contenuta nella legge n. 1112 del 1966, che tali prodotti possono essere con o senza pelo e che eventuali strati ricoprenti di altro materiale devono essere di spessore uguale o inferiore a 0,15 millimetri. Tali caratteristiche devono essere possedute anche nel caso in cui i termini «cuoio» o «pelle» siano tradotti in una lingua diversa dall'italiano (comma 1). Inoltre l'articolo 1 riproduce la definizione di «pelliccia» contenuta nell'articolo 2 della legge n. 1112 del 1966, riservando il termine esclusivamente ai prodotti ottenuti dalle spoglie di animali sottoposte ad un trattamento di concia o in modo tale da conservare inalterata la struttura naturale delle fibre, ed aggiungendo che tale riserva si applica anche nel caso in cui il termine pelliccia sia tradotto in lingua diversa dall'italiano (comma 2). Si aggiunge infine che le definizioni riportate nei commi 1 e 2 si applicano anche nei casi in cui i termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» siano utilizzati come aggettivi, sostantivi o inseriti come prefissi o suffissi in altre parole (comma 3) e si prevede che con un decreto del Ministro dello sviluppo economico siano definite le specifiche tecniche dei rigenerati da fibre di cuoio realizzati mediante processi di disintegrazione meccanica o di riduzione chimica di particelle fibrose, poi trasformati in fogli; per tali prodotti viene disposto il divieto di utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia».
  L'articolo 2 prevede che le imprese specializzate nella lavorazione dei prodotti ottenuti dalle spoglie di animali, così come definiti dall'articolo 1, siano soggette alle disposizioni vigenti in materia di tutela della salute dei consumatori, dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente, secondo modelli di organizzazione, di gestione e di lavorazione certificati da enti terzi all'uopo accreditati secondo le vigenti normative nazionali ed internazionali.
  L'articolo 3 riproduce con qualche modifica l'articolo 3 della legge n. 1112 del 1966 che già prevede il divieto di mettere in vendita o altrimenti in commercio, con i termini cuoio, pelle, pelliccia, prodotti che non siano ottenuti esclusivamente da spoglie animali, sottoposte ai trattamenti di cui all'articolo 1 per il cuoio e la pelle, lavorate appositamente per la conservazione delle sue caratteristiche naturali, per la pelliccia.
  Più in particolare, l'articolo 3 del provvedimento in esame conferma il divieto di vendere prodotti con tali denominazioni se non ottenuti da spoglie animali lavorate appositamente per la conservazione delle loro caratteristiche naturali (in tal senso accomuna le due categorie, quella del cuoio e della pelle, e quella della pelliccia tenute, invece, distinte nella legge n. 1112 del 1966) aggiungendo che tale divieto si applica anche nel caso in cui tali termini siano usati come aggettivi e sostantivi, inseriti quali prefissi o suffissi o sotto nomi generici di «pellame», «pelletteria» o «pellicceria» ed anche se tradotti in lingua diversa dall'italiano (comma 1). Il comma 2 aggiunge che per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana Pag. 182dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta deve indicare lo Stato di provenienza.
  L'articolo 4 modifica l'entità della sanzione amministrativa prevista dall'articolo 5 della legge n. 1112 del 1966 in caso di violazione dei divieti ivi previsti, prevedendo che la stessa consista nel pagamento di una somma non inferiore ad 10.000 euro e non superiore a 50.000 euro, unitamente al sequestro amministrativo della merce (attualmente l'articolo 5 della legge n. 1112 del 1966 prevede una sanzione consistente nel pagamento di una somma non inferiore a 60.000 e non superiore a 1.500.000 lire). Viene, altresì, prevista la legittimazione ad agire a favore delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative e regolarmente costituite.
  Con l'articolo 5, infine, viene abrogata la legge 16 dicembre 1966, n. 1112, ed è prevista la clausola di invarianza dei saldi di finanza pubblica.
  Con riferimento alla normativa dell'Unione europea, ricorda che la direttiva europea n. 94/11/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri sull'etichettatura dei materiali usati nelle calzature fornisce una definizione di cuoio pressoché equivalente a quella introdotta con l'articolo 1 del provvedimento in esame, salvo prevedere che lo stato di rivestimento non deve essere superiore a 0,15 mm; in caso di superamento di tale soglia la denominazione che deve essere usata è quella di cuoio rivestito. L'articolo 3 della direttiva prevede poi che gli Stati membri non possano vietare o impedire la commercializzazione sul loro territorio di calzature conformi ai requisiti della direttiva applicando disposizioni nazionali non armonizzate. L'articolo 5 della medesima direttiva prevede infine che le informazioni scritte supplementari apposte sull'etichetta possano aggiungersi a quelle previste nella direttiva; gli Stati membri non possono comunque vietare od ostacolare l'immissione in mercato di calzature conformi al disposto della direttiva.
  Relativamente a quanto previsto dall'articolo 2 del provvedimento in esame – introduzione dell'obbligo di certificazione del rispetto delle leggi in materia di tutela della salute dei consumatori, dei diritti dei lavoratori e dell'ambiente – ricorda che gli enti terzi richiamati sono sottoposti ad un'apposita disciplina europea che regolamenta il ruolo dagli stessi svolto su base essenzialmente volontaria, traducendo i modelli organizzativi, gestionali e lavorativi nella fissazione di un codice di qualità la cui applicazione sembra poter essere incentivata a livello normativo piuttosto che sanzionata la sua disapplicazione. Secondo la direttiva 98/34/CE «norma» è la specifica tecnica, la cui osservanza non è obbligatoria, approvata da un organismo riconosciuto, ed appartenente ad una delle seguenti categorie: norma internazionale (ISO), norma europea (EN) norma nazionale (UNI). Dalle norme tecniche si distinguono le regole tecniche, che definiscono le caratteristiche dei prodotti e dei processi la cui osservanza è resa obbligatoria per legge. In Italia l'attività di formazione è svolta dall'UNI (Ente nazionale italiano di unificazione) e dal CEI (Comitato elettrotecnico italiano) che rappresentano l'Italia presso gli enti di formazione a livello comunitario (CEN e CENELEC) e a livello internazionale (ISO). Le norme tecniche assumono carattere cogente se richiamate nei provvedimenti legislativi; in tal caso occorre che le stesse siano previamente notificate alla Commissione europea ai sensi della direttiva 98/34/CE.
  Formula, in conclusione, una proposta di parere favorevole.

  Marco MAGGIONI (LNP) sottolinea la posizione favorevole del suo gruppo sul provvedimento. Osserva come il testo normativo in esame affronti le definizioni di «cuoio», «pelle» e «pelliccia», che dovrebbero essere ovvie, e note a tutti. Ciò dipende in realtà dal fatto che l'Unione europea non riesce a tutelare la produzione italiana di qualità, e i conseguenti livelli occupazionali, a fronte della concorrenza spesso sleale di altri Paesi. Il suo Pag. 183gruppo voterà quindi convintamente sul provvedimento, nella speranza che le norme adottate non rimangano lettera morta, come invece è avvenuto nel caso delle misure sul made in Italy.

  Sandro GOZI (PD) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sul provvedimento, anche se con un approccio assai diverso da quello illustrato dal collega Maggioni. Ritiene infatti che se vi sono delle norme europee che penalizzano l'Italia, bisogna attribuirne la responsabilità anche all'incapacità del Paese di tutelare adeguatamente i propri interessi nella fase di formazione della normativa europea. Le misure in materia di made in Italy rappresentano un caso esemplare sotto tale profilo, a testimonianza del fatto che non è un buon modo di tutelare gli interessi nazionali quello di approvare leggi che si pongono in contrapposizione netta con la normativa dell'Unione. Assai più utile appare invece l'approccio del provvedimento in esame, che sfrutta abilmente il margine di manovra consentito dalla direttiva, a tutela della produzione di qualità italiana.

  Nicola FORMICHELLA (PdL) preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere formulata dal relatore, sottolineando come si tratti di uno di quei provvedimenti che rendono forte il nostro sistema produttivo.

  Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.

  La seduta termina alle 13.05.

ATTI DEL GOVERNO

  Mercoledì 28 novembre 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 13.05.

Schema di decreto legislativo concernente modifiche al decreto legislativo 8 ottobre 2010, n. 191, recante attuazione delle direttive 2008/57/CE e 2009/131/CE, relative all'interoperabilità del sistema ferroviario comunitario.
Atto n. 515.
(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Nunziante CONSIGLIO (LNP), relatore, illustra i contenuti del provvedimento, ricordando che lo schema in esame modifica il D. Lgs. 8 ottobre 2010, n. 191, recante attuazione delle direttive 2008/57/CE e 2009/131/CE, relative all'interoperabilità del sistema ferroviario comunitario. Il citato decreto legislativo definisce le condizioni necessarie per realizzare l'interoperabilità del sistema ferroviario nazionale con quello transeuropeo attraverso l'armonizzazione della disciplina relativa alla progettazione, costruzione, messa in servizio, ristrutturazione, rinnovamento, esercizio e manutenzione degli elementi che costituiscono il sistema stesso.
  Ricorda che per interoperabilità si intende la capacità dei sistemi ferroviari di consentire la circolazione sicura e senza soluzione di continuità dei treni su tutta la rete, garantendo il livello di prestazioni richiesto per le linee; tale capacità si fonda sull'insieme delle prescrizioni regolamentari, tecniche ed operative che debbono essere soddisfatte per ottemperare ai requisiti essenziali.
  In base alla relazione illustrativa, la necessità di modificare il D. Lgs. n. 191/2010 consegue alle osservazioni formulate dalla Commissione europea con la procedura EU PILOT n. 3207/12/MOVE, che illustrerà in seguito.
  L'articolo 1, comma 1, lettera a), dello schema in esame novella l'articolo 8, comma 2, del D. Lgs. n. 191/2010, che disciplina i casi, e la relativa procedura, nei quali le specifiche tecniche di interoperabilità (STI, che prescrivono i requisiti Pag. 184specifici per ogni componente del sistema ferroviario, al fine di garantire l'interoperabilità del sistema ferroviario transeuropeo) possono essere derogate.
  Si tratta in particolare dei seguenti casi: a) progetti che si trovino in una fase avanzata di sviluppo o che formino oggetto di un contratto in corso di esecuzione al momento della pubblicazione delle STI; b) progetti di rinnovo o ristrutturazione di un sottosistema esistente quando la sagoma, lo scartamento o l'interasse dei binari o la tensione elettrica previsti da queste STI sono incompatibili con quelli del sottosistema esistente; c) progetti di realizzazione di un nuovo sottosistema o concernenti il rinnovo o la ristrutturazione di un sottosistema esistente realizzato sul territorio dello Stato quando la rete ferroviaria di quest'ultimo è interclusa o isolata per la presenza del mare o è separata dalla rete ferroviaria del resto della Comunità a causa di condizioni geografiche particolari; d) per ogni progetto concernente il rinnovo, l'estensione o la ristrutturazione di un sottosistema esistente, quando l'applicazione delle STI compromette la redditività economica del progetto e la coerenza ovvero la redditività economica o la coerenza del sistema ferroviario nazionale; e) quando, in seguito ad un incidente o ad una catastrofe naturale, le condizioni di ripristino rapido della rete non consentono dal punto di vista economico o tecnico l'applicazione parziale o totale delle STI corrispondenti.
  Il testo vigente prevede che, nei casi sopra richiamati, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può avvalersi della facoltà di non applicare una o più STI, comunicando alla Commissione europea la proposta motivata di deroga e corredando la proposta con un fascicolo tecnico redatto secondo le indicazioni contenute nell'allegato IX.
  Il testo dello schema in esame – rispondendo in tal modo alle osservazioni avanzate in sede di procedura EU Pilot – stabilisce invece che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si avvale della suddetta facoltà, comunicando alla Commissione europea la proposta motivata di deroga, corredata dal fascicolo tecnico.
  Le altre modifiche recate dallo schema in esame si riferiscono agli articoli 22 e 24 del D. Lgs. n. 191/2010. Entrambi questi articoli disciplinano le autorizzazioni supplementari per la messa in servizio dei veicoli ferroviari, rispettivamente conformi o non conformi alle STI. Premetto che tutti i veicoli ferroviari, prima di essere utilizzati su una rete, sono oggetto di un'autorizzazione di messa in servizio da parte dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie. Quest'ultima riconosce le autorizzazioni rilasciate dagli altri Stati membri, ma ha il potere di decidere in quali casi sono necessarie autorizzazioni supplementari per consentire la circolazione sul territorio nazionale dei veicoli ferroviari messi in servizio in un altro Stato membro.
  Le lettere b) e c) novellano l'articolo 22, commi 2 e 3, del D. Lgs. n. 191/2010, relativo alle autorizzazioni supplementari che possono essere richieste dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie per i veicoli conformi, ma non totalmente, alle STI messi in servizio in un altro Stato membro. Il testo vigente, con riferimento all'autorizzazione rilasciata da altro Stato membro, cita l'articolo 21 dello stesso D. Lgs. n. 191/2010 (Prima autorizzazione di messa in servizio dei veicoli conformi alle STI), mentre la novella rinvia all'articolo 22 della direttiva 2008/57/CE (anch'esso rubricato Prima autorizzazione di messa in servizio dei veicoli conformi alle STI).
  Questa novella e le successive si rendono necessarie sulla base della considerazione che l'autorizzazione rilasciata da un altro Stato membro non può essere stata rilasciata ai sensi di una disposizione vigente nell'ordinamento italiano, ma è stata rilasciata ai sensi di una disposizione comunitaria.
  Le lettere d), e) ed f) novellano l'articolo 24, commi 1 e 2, del D. Lgs. n. 191/2010, relativo alle autorizzazioni supplementari che possono essere richieste dall'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie per i veicoli non conformi alle STI messi in servizio in un altro Stato membro.Pag. 185
  In particolare la lettera d) novella il comma 1, il quale definisce i casi nei quali l'Agenzia può decidere di richiedere l'autorizzazione supplementare. Il testo vigente richiama l'articolo 20, comma 12 (veicoli autorizzati alla messa in servizio prima del 19 luglio 2008) e l'articolo 23 (Prima autorizzazione di messa in servizio dei veicoli conformi alle STI) del D. Lgs. n. 191/2010. La novella sostituisce questi rinvii con rinvii all'articolo 21, comma 12, e all'articolo 24 della direttiva 2008/57/CE aventi il medesimo oggetto.
  Le lettere e) ed f) novellano il comma 2 dell'articolo 24 del D. Lgs. n. 191/2010, che elenca le informazioni che devono essere contenute nel fascicolo tecnico che il richiedente presenta all'Agenzia per ottenere l'autorizzazione supplementare. Tra queste informazioni sono comprese: le informazioni relative alla concessione di eventuali deroghe all'applicazione delle STI (per tali deroghe il testo vigente rinvia all'articolo 8 del D. Lgs. n. 191/2010; la lettera e) in esame propone invece il rinvio al corrispondente articolo 9 della direttiva 2008/57/CE); le informazioni relative alla procedura di raccolta dei dati, nei veicoli dotati di dispositivi di raccolta degli stessi. Anche in questo caso la lettera d) sostituisce il rinvio alla normativa nazionale (articolo 20, comma 2, lettera c), D. Lgs. n. 162/2007) con un rinvio alla corrispondente normativa comunitaria («articolo 20, comma 2 – ma rectius paragrafo 2 – lettera c) della direttiva 2004/49/CE).
  L'articolo 2 fissa l'entrata in vigore dello schema in esame al giorno successivo a quello della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
  Come detto, le disposizioni descritte rispondono alle osservazioni formulate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura EU PILOT n. 3207/12/MOVE, aperta nei confronti dell'Italia per avere chiarimenti in merito al recepimento della direttiva 2008/57/CE, con particolare riguardo ai seguenti aspetti.
  Innanzitutto occorre chiarire il modo in cui nell'ordinamento italiano è stato assicurato il recepimento dell'articolo 9, paragrafo 2, della direttiva in questione che prevede espressamente l'obbligo per gli Stati membri – nel caso in cui, in mancanza di casi specifici pertinenti, non siano tenuti ad applicare una o più STI – di trasmettere alla Commissione europea un dossier contenente le informazioni previste dall'allegato IX alla medesima direttiva in caso di richiesta di deroghe. In relazione a tale disposizione la Commissione rileva che l'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo 8 ottobre 2010, n.191, con il quale la direttiva 2008/57/CE è stata recepita nell'ordinamento italiano, non prevede tale obbligo, ma stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può avvalersi della facoltà di non applicare in determinati casi una o più STI, comunicando alla Commissione europea la proposta motivata di deroga. La contestazione della Commissione sembra discendere da un'interpretazione della disposizione in questione secondo cui l'utilizzo del vero «potere» si riferirebbe non soltanto all'esercizio della facoltà sopra richiamata, ma anche alla trasmissione della comunicazione e del fascicolo allegato. Al fine di eliminare ogni possibile incertezza al riguardo, lo schema di decreto legislativo in oggetto all'articolo 1, comma 1, lettera a), prospetta una modifica al citato articolo 8, comma 2, precisando che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «si avvale» della facoltà.
  Un secondo ambito di osservazioni riguarda la formulazione degli articoli 22 e 24 attinenti all'autorizzazione supplementare che l'Italia può richiedere per componenti del sistema ferroviario che hanno già ricevuto una prima autorizzazione in uno Stato membro: in tali articoli infatti in più passaggi si fa riferimento, in ordine alla prima autorizzazione ovvero al contenuto del fascicolo informativo da presentare per ottenere l'autorizzazione supplementare, alle relative norme del decreto legislativo medesimo, ovvero del precedente decreto legislativo n. 162/2007, e non alle corrispondenti disposizioni della direttiva 2008/57/CE, ovvero della precedente direttiva 2004/49/CE; tale formulazione potrebbe indurre a ritenere che componenti prodotte in altri Stati membri Pag. 186debbano richiedere anche la prima autorizzazione in Italia, o svolgere in Italia gli adempimenti da richiamare nel fascicolo informativo. Si tratta in particolare delle disposizioni relative a:
   le autorizzazioni supplementari per la messa in servizio dei veicoli conformi, ma non completamente, alle Specifiche Tecniche di Interoperabilità – STI (articolo 22, comma 2 e comma 3, lettera a) del decreto legislativo n. 191/2010);
   le autorizzazioni supplementari per la messa in servizio dei veicoli non conformi alle STI (articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 191/2010);
   la presentazione all'autorità nazionale di sicurezza da parte del richiedente l'autorizzazione supplementare di un fascicolo tecnico relativo al veicolo o al tipo di veicolo, indicandone l'uso previsto sulla rete. Il fascicolo dovrà contenere l'attestazione che il veicolo è autorizzato ad essere messo in servizio in un altro Stato membro e la documentazione relativa alla procedura seguita per dimostrare che esso è conforme ai requisiti vigenti in materia di sicurezza, comprese, se del caso, informazioni sulle deroghe vigenti o concesse a norma dell'articolo 9 della direttiva 2008/57/CE (articolo 24, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 191/2010);
   la presentazione all'autorità nazionale di sicurezza da parte del richiedente l'autorizzazione supplementare di un fascicolo tecnico relativo al veicolo o al tipo di veicolo, indicandone l'uso previsto sulla rete. Il fascicolo dovrà contenere i dati tecnici, il programma di manutenzione e le caratteristiche operative; ciò include, per i veicoli dotati di dispositivi di registrazione dei dati, informazioni sulla procedura di raccolta dei dati, che consentono la lettura e la valutazione, così come previsto dall'articolo 20, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2004/49/CE sulla sicurezza delle ferrovie comunitarie (articolo 24, comma 2, lettera b) del decreto legislativo n. 191/2010).

  Con riferimento a questi aspetti, lo schema di decreto legislativo in oggetto all'articolo 1, comma 1, lettere b), c), d) e) ed f) sostituisce nel testo degli articoli 22 e 24 del decreto legislativo n. 191/2010 il riferimento alle disposizioni del decreto legislativo n. 191/2010 e al decreto legislativo n. 191/2007 con quello alle corrispondenti disposizioni della direttiva 2008/57/CE e della direttiva 2004/49/CE.

  Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.10.

ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

  Mercoledì 28 novembre 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 13.10.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali.
COM(2011)895 def.
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sugli appalti pubblici.
COM(2011)896 def.
(Parere alla VIII Commissione).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e conclusione – Parere favorevole con condizioni e osservazioni).

  La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti in oggetto, rinviato nella seduta del 17 maggio 2012.

  Mario PESCANTE, presidente, ricorda che nella seduta dello scorso 17 maggio la Commissione aveva avviato l'esame congiunto dei provvedimenti in titolo e della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (COM(2011)897 def.). Essendosi concluso, Pag. 187in quella seduta, l'esame preliminare dei provvedimenti, avverte che d'ora innanzi l'esame delle proposte di direttiva proseguirà disgiuntamente.

  Andrea RONCHI (Misto-FCP), relatore, formula una proposta di parere favorevole con condizioni e osservazioni (vedi allegato 1), che illustra nel dettaglio.

  Sandro GOZI (PD) condivide la proposta di parere formulata dal relatore, con particolare riferimento all'accento posto, nelle osservazioni, sulla necessità di introdurre regole e procedure semplificate volte a promuovere la partecipazione delle PMI agli appalti di lavori e servizi. Condivisibile è, a suo avviso, anche l'osservazione di cui alla lettera d), che anzi potrebbe essere ulteriormente rafforzata esprimendola nella forma della condizione. Non condivide infatti la valutazione della presidenza cipriota, che ritiene limitata la portata transfrontaliera dei servizi legali.

  Marco MAGGIONI (LNP) chiede al relatore se non ritenga opportuno inserire nella condizione di cui al numero 3) un riferimento a standard qualitativi minimi nel caso di aggiudicazione sulla base del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, anche al fine di temperare il rischio di ribassi eccessivi.

  Andrea RONCHI (Misto-FCP), relatore, pur ritenendo condivisibile la preoccupazione manifestata dall'onorevole Maggioni ritiene che il riferimento generico a standard qualitativi minimi rischi di determinare complicazioni nell'iter della proposta, facendo riferimento a parametri indeterminati.
  Accoglie quindi la proposta avanzata dall'onorevole Gozi di trasformare in condizione l'osservazione di cui alla lettera d).
  Formula pertanto una nuova proposta di parere favorevole con condizioni e osservazioni (vedi allegato 2).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole con condizioni e osservazioni del relatore, come da ultimo riformulata.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'aggiudicazione dei contratti di concessione.
COM(2011)897 def.
(Parere alla VIII Commissione).
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 17 maggio 2012.

  Andrea RONCHI (Misto-FCP), relatore, formula una proposta di parere favorevole con condizioni (vedi allegato 3), che illustra nel dettaglio.

  Sandro GOZI (PD) chiede al relatore chiarimenti relativamente alla terza delle condizioni formulate, che sembrerebbe andare nella giusta direzione ma che merita di essere approfondita.

  Andrea RONCHI (Misto-FCP), relatore, sottolinea l'importanza del tema delle concessioni, cui si riferisce la condizione 3), che coinvolge numerose imprese, prevalentemente a gestione familiare, che occorre tutelare nella più ampia misura possibile.

  Gianluca PINI (LNP) osserva come il tema delle concessioni sia stato più volte discusso in XIV Commissione, anche con riferimento alle concessioni demaniali marittime, che pure non sono affrontate specificamente dalla proposta di direttiva in esame. Richiama in proposito la riforma della legge costiera presentata dal governo spagnolo lo scorso ottobre, che consente di salvaguardare numerose imprese che operano sulle spiagge spagnole, estendendo per altri 75 anni la concessione agli attuali titolari. La normativa in questione si pone peraltro in linea con gli orientamenti già assunti nelle disposizioni di delega contenute nella Legge comunitaria Pag. 188per il 2009, e si fonda sulla netta distinzione tra arenile vero e proprio, bene comune da salvaguardare, e aree dove insistono manufatti inamovibili.
  Al fine di tutelare un settore di particolare rilievo nel quadro del comparto turistico, riterrebbe dunque importante inserire nella proposta di parere un esplicito richiamo alla necessità di tenere conto delle specificità degli Stati membri – nel caso dell'Italia il settore delle concessioni demaniali marittime – prevedendo la possibilità di introdurre deroghe all'attuale regime concessorio laddove insistano manufatti inamovibili. Occorre cioè difendere la peculiarità delle imprese balneari italiane in sede europea, al fine di giungere all'adozione di un testo che preveda, come sta accadendo in Spagna, una congrua durata delle concessioni in essere.
  Si tratta a suo avviso di una buona occasione per avanzare una proposta di soluzione che consentirebbe di risolvere finalmente una situazione difficile.
   Andrea RONCHI (Misto-FCP), relatore, giudica condivisibile il percorso illustrato dal collega Pini, che merita di essere approfondito e adeguatamente definito. Ritiene quindi necessario posticipare ad una prossima seduta l'approvazione del parere, al fine di una sua opportuna riformulazione.

  Mario PESCANTE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei buoni («voucher»).
COM(2012)206 final.

(Parere alla VI Commissione).
(Esame, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Nicola FORMICHELLA (PdL), relatore, evidenzia che la proposta di direttiva in esame è intesa ad introdurre nella direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, un regime giuridico specifico per la tassazione delle operazioni che comportano l'uso di buoni («voucher»).
  Sebbene i contenuti della proposta possano apparire tecnici e settoriali, la disciplina in discussione presenta in realtà una grande rilevanza, anche economica, per l'ordinamento nazionale e per il settore produttivo. La proposta comporterebbe infatti significative modifiche, tra gli altri, nel trattamento Iva dei buoni pasto o delle schede telefoniche prepagate con un rilevante impatto sia per il gettito fiscale sia per il carico impositivo su alcuni operatori.
  Ritiene che la necessità di introdurre una apposita disciplina dell'IVA sui buoni a livello europeo sia indiscutibile, per la ragioni che richiamerà in dettaglio.
  Al tempo stesso occorre verificare – è questa è la finalità dell'esame presso la XIV Commissione – se le modalità per l'applicazione del regime comune proposte dalla Commissione europea siano adeguate e non producano un impatto negativo sull'ordinamento.
  Con riferimento, innanzitutto, alla necessità dell'intervento e alla conformità al principio di sussidiarietà, l'introduzione di uno specifico regime IVA sui buoni risponde, come osservato dalla Commissione europea, all'obiettivo di colmare le divergenze esistenti nei vari ordinamenti nazionali. In assenza di norme comuni nella direttiva IVA, le normative e le prassi nazionali si sono infatti evolute in modo non coordinato generando incertezza giuridica e contenzioso nonché determinando casi di doppia imposizione o non imposizione che ostacolano il corretto funzionamento del mercato unico e possono prestarsi a pratiche elusive. Si tratta di un problema significativo, tenuto anche conto dell'aumento delle funzioni dei buoni, con particolare riferimento ai crediti prepagati di telefonia mobile.Pag. 189
  La Corte di giustizia è stata più volte chiamata a chiarire le modalità di applicazione della direttiva 206/112/CE ai buoni, fornendo alcuni orientamenti ma non risolvendo definitivamente i problemi interpretativi.
  Come osservato in premessa, l'intervento legislativo europeo è necessario e presenta un chiaro valore aggiunto rispetto a quello dei singoli Stati membri che, agendo indipendentemente, non potrebbero conseguire l'obiettivo di un'applicazione uniforme dell'imposta.
  In ordine ai contenuti, la proposta apporta modifiche alla direttiva IVA al fine di stabilire: la definizione dei buoni («voucher») ai fini dell'IVA (nuovo articolo 30 bis della direttiva IVA); l'individuazione del momento dell'imposizione (articolo 65), la determinazione della base imponibile per ciascuna fase della «catena di distribuzione» (artt. 74 bis e ter); il trattamento del buono sconto come una prestazione distinta di un servizio reso al fornitore che accetta il buono dall'emittente del buono stesso (artt. 25, lett. e) e 74 ter).
  Il nuovo articolo 30-bis, definisce il buono («voucher») come lo «strumento che attribuisce il diritto a beneficiare di una cessione di beni o di una prestazione di servizi o a ricevere uno sconto o un rimborso sul prezzo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi e che comporta l'obbligo corrispondente di garantire tale diritto». In sostanza, ai fini IVA, come sottolineato nella relazione illustrativa, è considerato buono uno strumento con il quale l'emittente si assume l'obbligo di cedere i beni o di prestare i servizi, di accordare uno sconto o di versare un rimborso, con obiettivi di natura commerciale o promozionale, quali quello di promuovere la cessione di determinati beni o la prestazione di determinati servizi oppure di accelerarne il pagamento.
  Il paragrafo 2 del nuovo articolo 30-bis precisa che un servizio di pagamento (vale a dire qualsiasi strumento la cui finalità consiste unicamente nell'effettuare pagamenti) ai sensi della direttiva 2007/64/CE non è considerato un buono, caratterizzato, invece, dalla finalità di promuovere le vendite di un particolare fornitore o gruppo di fornitori o di facilitare gli acquisti.
  Nell'ambito della definizione generale, il paragrafo 1 del nuovo articolo 30-bis distingue, alla luce delle problematiche emerse e riscontrate nella prassi, tra: «buono monouso»: un buono che attribuisce il diritto a beneficiare di una cessione di beni o di una prestazione di servizi quando, al momento dell'emissione del buono, sono noti l'identità del cessionario o del prestatore, il luogo della cessione o della prestazione, l'aliquota IVA applicabile ai beni o servizi ceduti o prestati; «buono multiuso»: qualsiasi buono, diverso da un buono sconto o da un buono di rimborso, che non costituisce un buono monouso; «buono sconto»: un buono che attribuisce il diritto a ricevere uno sconto o un rimborso sul prezzo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi.
  La distinzione tra le prime due categorie è intesa a distinguere chiaramente i buoni in relazione al momento in cui la tassazione è applicabile: a) al momento dell'emissione per i buoni monouso, in quanto tutte le informazioni necessarie per l'imposizione (identità del cessionario, luogo della cessione ed aliquota IVA applicabile) sono disponibili al momento dell'emissione; b) per i buoni multiuso, non potendo il luogo e l'aliquota della tassazione essere stabiliti all'atto dell'emissione in quanto l'utilizzo finale è lasciato alla scelta del consumatore, l'imposta diventa esigibile nel momento in cui i beni o i servizi corrispondenti sono ceduti o prestati (è il caso, ad esempio, di una catena di alberghi internazionale che cerca di promuovere i propri prodotti mediante buoni che possono essere riscattati per un soggiorno in uno dei propri alberghi in uno qualsiasi degli Stati membri, o il caso in cui un credito prepagato può essere utilizzato per le telecomunicazioni o per i trasporti pubblici).
  L'introduzione della definizione di «buono sconto» mira invece ad includere, nel relativo regime IVA, gli strumenti che Pag. 190corrispondono ad un diritto puntuale e correlato a una cessione o prestazione specifica, escludendo, come precisato nella relazione illustrativa, quelli che attribuiscono invece il diritto ad uno sconto su tutti gli acquisti effettuati in un determinato periodo di tempo, anche se concesso dietro pagamento, tenuto conto del carattere aperto di tale diritto (anche se limitato nel tempo). Per i buoni sconto il momento dell'imposizione corrisponde, analogamente a quanto disposto per i buoni multiuso, a quello della cessione dei beni o della prestazione di servizi. Per i buoni multiuso e i buoni sconto, la proposta di direttiva prevede una specifica disciplina in merito alla individuazione della base imponibile.
  Con riferimento alla cessione di beni o prestazione di servizi effettuata dietro accettazione di un buono multiuso, la base imponibile è pari al «valore nominale di detto buono», mentre nel caso di accettazione parziale, a «quella parte del valore nominale che corrisponde all'accettazione parziale del buono, detratto l'importo dell'IVA dovuta sui beni o servizi forniti» (articolo 74-bis).
  La proposta di direttiva detta regole specifiche in relazione all'imposizione delle operazioni connesse alla distribuzione dei buon multiuso tenuto conto che essi, prima di arrivare nelle mani dei consumatori, passano attraverso una catena di distributori e la base imponibile del servizio corrispondente può quindi essere misurata tramite l'evoluzione del valore del buono. In particolare, si include tra le prestazioni di servizi imponibili ai fini IVA la distribuzione di un buono multiuso da parte di un soggetto passivo diverso dall'emittente, nei casi in cui il buono sia offerto ad un prezzo inferiore al valore nominale dell'emittente del buono o da un altro soggetto passivo che agisce a nome proprio (articolo 25, lett. d); la base imponibile per l'operazione di fornitura dei servizi di distribuzione è costituita dalla «differenza tra valore nominale del buono ed il prezzo di acquisto pagato, detratto l'importo IVA dovuta sul servizio di distribuzione fornito».
  Con riferimento all'impatto della proposta di direttiva, ricorda che nell'ordinamento italiano non è presente una definizione fiscalmente rilevante di voucher (come recata dall'articolo 30-bis della proposta in esame). Il trattamento dei voucher a fini IVA è stato peraltro chiarito dalla risoluzione dell'Agenzia delle entrate 21/E del 22 febbraio 2011. Le regole previste dalla proposta di direttiva in relazione al trattamento fiscale dei voucher «multiuso» sembrano concordare con le conclusioni dell'Amministrazione finanziaria, secondo la quale si considera rilevante a fini IVA il momento in cui l'esercizio commerciale cede beni o presta servizi ai portatori dei buoni acquisto. La risoluzione ha peraltro ribadito che i buoni/voucher utilizzabili per l'acquisto di beni e/o servizi non possono qualificarsi quali titoli rappresentativi di merce, bensì quali semplici documenti di legittimazione ex articolo 2002 del codice civile; pertanto, la circolazione del buono medesimo, non comportando anticipazione della cessione del bene cui il buono stesso dà diritto, non assume rilevanza ai fini IVA.
  La proposta modificherebbe invece in modo significativo il regime IVA dei c.d. «buoni pasto». La direttiva stabilisce infatti che il momento dell'imposizione è quello in cui gli esercizi convenzionati restituiscono alla società emittente i ticket (aliquota 10 per cento), mentre la normativa interna vigente – secondo quanto chiarito dall'Amministrazione finanziaria (risoluzione 49/E del 3 aprile 1996) – prevede due momenti impositivi: l'acquisto, da parte del datore di lavoro, dei buoni pasto. In questa fase la società emittente effettua la vendita applicando l'aliquota del 4 per cento; la restituzione, da parte degli esercizi convenzionati, dei buoni pasto alla società emittente con applicazione dell'IVA ad aliquota del 10 per cento.
  Questo mutamento nel regime dell'imposta sui buoni pasto potrebbe produrre effetti negativi sul gettito. In particolare, ai fini di una stima degli effetti finanziari Pag. 191occorre distinguere la natura e la tipologia di operazioni attive effettuate dal datore di lavoro. Infatti:
   1) se il datore di lavoro è un soggetto privato, la proposta determina effetti di minor gettito tenuto conto che l'IVA assolta sugli acquisti non è detraibile. Come tale, tuttavia, viene contabilizzata come un onere deducibile ai fini della determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette;
   2) se il datore di lavoro è un ente statale, la proposta comporta effetti negativi in quanto, in presenza di invarianza degli stanziamenti di spesa iniziali, al minor gettito IVA non corrisponde una riduzione di spesa (è presumibile ipotizzare che, ad es., che il singolo ministero spenderà comunque le risorse stanziate);
   3) se il datore di lavoro è un ente pubblico diverso dallo Stato, la proposta comporta comunque effetti negativi nell'ambito della P.A. Analogamente a quanto indicato nel punto precedente, infatti, a fronte di una riduzione del gettito IVA in favore dello Stato non corrisponde una riduzione di spesa nell'ambito della P.A.; ciò in quanto è presumibile ipotizzare che l'ente spenderà comunque le risorse disponibili.

  Di questo impatto negativo sulle finanze pubbliche la XIV Commissione dovrà tenere conto ai fini dell'esame.
  Ulteriori importanti elementi ai fini della valutazione dell'impatto della proposta sull'ordinamento interno emergono dalla consultazione svolta, in vista della preparazione della proposta di direttiva, dal Dipartimento delle Finanze, nel proprio sito internet, dal 21 maggio al 31 luglio 2012.
  La maggior parte delle osservazioni emerse riguardano il trattamento peculiare dei buoni pasto, per i quali l'ordinamento italiano pone un trattamento fiscale specifico e sostanzialmente diverso sia dalle conclusioni cui è giunta l'UE in materia di voucher, sia dalle regole generali tracciate dall'Amministrazione finanziaria. Le posizioni più significative, raccolte in seno alla consultazione pubblica, possono essere raggruppate come segue:
   con riferimento al problema della qualifica dei buoni pasto alla luce della bipartizione europea (mono/multiuso), alcune opinioni reputano che tali buoni andrebbero considerati nel novero dei buoni monouso (tassati dunque ab origine), al fine di evitare un incremento dei costi nella gestione del sistema nazionale dei buoni pasto, principalmente attribuibile ai margini sulla distribuzione previsti per i buoni multiuso e soggetti ad IVA;
   riguardo la natura dei buoni pasto, alcuni soggetti ritengono che essi non possano essere considerati buoni monouso. Intatti, essendo i buoni pasto utilizzabili presso diversi esercizi convenzionati, l'identità del cessionario/prestatore non può essere nota al momento dell'emissione. Inoltre, tali operatori ritengono che l'unico momento da considerare rilevante ai fini IVA debba essere quello di utilizzo del buono e non quello dell'emissione, che rappresenta una mera movimentazione di carattere finanziario;
   in ordine alla base imponibile sono state evidenziate ulteriori problematiche: la proposta prevede che essa sia pari al valore nominale del detto buono o, nel caso di accettazione parziale, a quella parte del valore nominale che corrisponde all'accettazione parziale del buono, detratto l'importo dell'IVA dovuta sui beni o sui servizi forniti. Con riguardo specifico ai buoni pasto, è stato osservato che, secondo le regole nazionali, la base imponibile relativa alla cessione del buono è costituita dal corrispettivo pattuito fra le parti, non rilevando la circostanza che questo sia pari, inferiore o superiore al valore facciale del buono. Ai sensi della vigente disciplina nazionale, inoltre, la società di emissione presta a favore delle aziende clienti un servizio sostitutivo di mensa aziendale reso tramite il buono pasto;
   per quanto concerne l'impatto sulla disciplina nazionale, infine, alcuni operatori Pag. 192(come riferisce il Dipartimento delle finanze, rappresentanti del settore) reputano preferibile il mantenimento di un sistema nazionale differenziato rispetto ad altri tipi di buono. Ciò in quanto, l'emissione e il riscatto dei buoni pasto hanno luogo nel territorio nazionale senza, quindi, effetti transfrontalieri distorsivi. Inoltre, si ritiene che la proposta di direttiva mal si adatti al fenomeno dei buoni pasto in Italia e al loro mercato. Altri rappresentanti si sono espressi, invece, a favore di un trattamento armonizzato dei buoni pasto, senza alcuna differenziazione in ordine alle varie forme di buono; il DF riferisce che il regime IVA nazionale dovrebbe – a loro parere – essere riformato conformemente alla proposta di direttiva al fine di assoggettare ad IVA l'operazione corrispondente al buono pasto all'atto dell'utilizzo del buono presso l'esercizio convenzionato.

  È stato comunque osservato che in caso di riforma della normativa IVA nazionale sui buoni pasto, diventerebbe opportuna una revisione complessiva concernente anche il regime di deducibilità degli oneri in capo ai datori di lavori e ai lavoratori dipendenti.
  Rileva in conclusione che, in considerazione delle rilevanti implicazioni della proposta di direttiva sul nostro ordinamento, con particolare riferimento al trattamento IVA dei buoni pasto, si riserva di proporre, anche alla luce della discussione, possibili attività conoscitive, da svolgere eventualmente insieme alla Commissione Finanze, che ha competenza primaria sul provvedimento. In particolare, andrebbero acquisite le valutazioni del Governo in merito all'impatto della proposta sul gettito dell'imposta e sui contribuenti.

  Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.35.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 13.35 alle 13.50.

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