CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 7 agosto 2012
696.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
Pag. 4

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 7 agosto 2012. — Presidenza del presidente Donato BRUNO – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Carlo De Stefano.

  La seduta comincia alle 17.

Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2011.
C. 5324 Governo.

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012.
C. 5325 Governo.

Tabella n. 2: Stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno finanziario 2012 (limitatamente alle parti di competenza).
Tabella n. 8: Stato di previsione del Ministero dell'interno per l'anno finanziario 2012.
(Relazioni alla V Commissione).
(Seguito dell'esame congiunto e conclusione – Relazioni favorevoli).

  La Commissione prosegue l'esame congiunto rinviato, da ultimo, nella seduta del 1o agosto 2012.

  Donato BRUNO, presidente, avverte che non sono stati presentati emendamenti al disegno di legge di assestamento, per le parti di competenza.

  Pierangelo FERRARI (PD), relatore, formula una proposta di relazione favorevole sul disegno di legge recante il rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2011 (C. 5324) (vedi allegato 1), nonché una proposta di relazione favorevole sul disegno di legge recante disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012 (C. 5325) (vedi allegato 2).

  Pierguido VANALLI (LNP) preannuncia il voto contrario del proprio gruppo sulle proposte di relazione del relatore.

  La Commissione, con distinte votazioni, approva le proposte di relazione favorevole del relatore con riferimento al disegno di legge recante il Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2011 e con riferimento al disegno di legge recante Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2012, relativamente alla Tabella n. 8 e, limitatamente alle parti di competenza, alla Tabella n. 2.

  La seduta termina alle 17.10.

INTERROGAZIONI

  Martedì 7 agosto 2012. — Presidenza del presidente Donato BRUNO. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Carlo De Stefano.

  La seduta comincia alle 17.10.

5-07507 Maurizio Turco: Protezione del colonnello De Caprio da parte dei carabinieri del Nucleo scorte di Palermo.

  Il sottosegretario Carlo DE STEFANO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 3).

  Maurizio TURCO (PD), replicando, sottolinea che la sua interrogazione risale a tre anni fa, quando il colonnello De Caprio era ancora senza scorta. Si dichiara parzialmente insoddisfatto perché il sottosegretario non ha risposto alla parte dell'interrogazione in cui si chiedeva quali provvedimenti fossero stati presi nei confronti del delegato nazionale del Cocer, Alessandro Rumore, che aveva dichiarato con un comunicato stampa che 120 carabinieri del Nucleo scorte di Palermo avevano Pag. 5deciso di scortare a turno il colonnello De Caprio. Preannuncia al proposito la presentazione di un'altra interrogazione.

5-07117 Maurizio Turco: Affermazioni del banchiere Fiorani sull'acquisto di una quota della Cassa Lombarda di proprietà dello Stato Città del Vaticano.

  Il sottosegretario Carlo DE STEFANO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 4).

  Maurizio TURCO (PD), replicando, si dichiara del tutto soddisfatto sia perché per la prima volta il Governo italiano riconosce che lo IOR non vada annoverato tra gli organismi della curia romana, sia perché si riconosce che i Patti Lateranensi possano essere oggetto di revisione se viene riconosciuta la loro incompatibilità con la normativa comunitaria. Ritiene che sulla base della risposta del sottosegretario possa essere avviato un proficuo lavoro in tal senso.

  Donato BRUNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 17.25.

SEDE REFERENTE

  Martedì 7 agosto 2012. — Presidenza del presidente Donato BRUNO. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno Carlo De Stefano.

  La seduta comincia alle 17.25.

Modifica degli articoli 15 e 16 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di composizione ed elezione del Consiglio regionale.
C. 4664 cost. Palomba, C. 4711 cost. Consiglio regionale della Sardegna e C. 5149 cost., approvata, in prima deliberazione, dal Senato.

(Seguito dell'esame e rinvio – Adozione del testo base).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo, nella seduta del 1o agosto 2012.

  Donato BRUNO, presidente, ricorda che nella seduta del 12 luglio la Commissione aveva convenuto sulla necessità di acquisire il parere del Consiglio regionale della Sardegna sulla proposta di legge costituzionale C. 4664, d'iniziativa del deputato Palomba, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 54 dello Statuto speciale per la regione Sardegna.
  Comunica al proposito che il Presidente della Camera ha trasmesso una lettera della Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, Claudia Lombardo, del 1o agosto 2012, indirizzata a lui e al Ministro per gli Affari regionali, turismo e sport, di cui dà lettura.
  «In riferimento alla richiesta di parere, trasmessa dal Governo ai sensi dell'articolo 54 dello Statuto speciale, riguardante il disegno di legge costituzionale, C. 4664, recante “Modifica dell'articolo 16 dello Statuto speciale per la Sardegna, riduzione del numero dei componenti del Consiglio regionale”, comunico che la Commissione Autonomia del Consiglio regionale della Sardegna, cui è stato assegnato l'atto ai fini istruttori, nella seduta del 1o agosto 2012, ha sottolineato che il Consiglio regionale ha già provveduto a presentare al Parlamento una proposta di legge costituzionale in materia di modifica della disposizione dello Statuto speciale che disciplina la composizione del Consiglio e che la stessa, già approvata in prima lettura dal Senato, è attualmente all'esame della Camera e ha stabilito di non predisporre la relazione per l'Aula. La Commissione consiliare ha motivato tale decisione in quanto si auspica la tempestiva approvazione della proposta di legge di iniziativa consiliare, già all'esame della Camera, che costituisce la posizione ufficiale del Consiglio regionale in merito alla composizione dell'Assemblea, tenuto anche conto che non paiono esistere i termini utili per procedere all'esame di nuove proposte prima della scadenza della legislatura Pag. 6nazionale. Con l'occasione invio i più cordiali saluti».
  Alla luce di quanto comunicato dalla Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, ritiene, che possa proseguire l'esame delle proposte di legge costituzionale in materia di composizione ed elezione del Consiglio regionale della Sardegna.

  La Commissione concorda.

  Donato BRUNO, presidente, sostituendo il relatore, propone l'adozione, come testo base per il prosieguo dell'esame, della proposta di legge costituzionale C. 5149, approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato della Repubblica.

  La Commissione approva la proposta del Presidente.

  Donato BRUNO, presidente, comunica che il termine per la presentazione di emendamenti è fissato alle ore 17.45 di oggi.
  Sospende quindi la seduta.

  La seduta, sospesa alle 17.30, riprende alle 17.45.

  Donato BRUNO, presidente, comunica che è stato presentato un emendamento (vedi allegato 5). Sostituendo il relatore, invita al ritiro dell'emendamento Tassone 1.1, avvertendo che altrimenti il parere sarà contrario.

  Il sottosegretario Carlo DE STEFANO esprime parere conforme a quello del relatore sull'emendamento Tassone 1.1.

  Mario TASSONE (UdCpTP), illustra l'emendamento 1.1. presentato a titolo strettamente personale. L'emendamento è frutto della sua posizione contraria all'esistenza di regioni a statuto speciale, ribadita in più occasioni. La proposta di riduzione del numero dei componenti del Consiglio regionale della Sardegna va invece nel senso, da parte delle Regioni a statuto speciale, di riaffermare la propria autonomia. Detto questo, aderisce all'invito del Presidente e del Governo e ritira il proprio emendamento per riproporlo in Assemblea.

  Donato BRUNO, presidente, avverte quindi che il testo sarà trasmesso alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, per l'acquisizione del parere di competenza.
  Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche alla Parte seconda della Costituzione concernenti le Camere del Parlamento e la forma di Governo.
C. 16 cost. Zeller, C. 441 cost. Amici, C. 650 cost. D'Antona, C. 978 cost. Bocchino, C. 2168 cost. Baccini, C. 2473 cost. Casini, C. 2816 cost. Jannone, C. 2902 cost. Versace, C. 3068 cost. Luciano Dussin, C. 3573 cost. Calearo Ciman, C. 3738 cost. Mario Pepe (PdL), C. 4051 cost. Calderisi, C. 4282 cost. Sardelli, C. 4315 cost. Mantini, C. 4490 cost. Antonio Pepe, C. 4514 cost. Donadi, C. 4691 cost. Della Vedova, C. 4847 cost. Calderisi, C. 4915 cost. Vassallo, C. 5053 cost. Bossi, C. 5120 cost. La Loggia, C. 5337 cost. Maran e C. 5386 cost., approvato dal Senato.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

  Giuseppe CALDERISI (PdL), relatore, fa presente che gli archivi del Parlamento sono pieni di discussioni sulla riforma della seconda parte della Costituzione, in specie sulla forma di governo, con le due alternative di fondo, quella della razionalizzazione della forma di governo parlamentare e quella del semipresidenzialismo con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Discussioni avvenute attraverso non si sa quanti Comitati di studio, Commissioni ad hoc, Commissioni bicamerali e innumerevoli dibattiti in Aula su mozioni (uno anche sul messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica Cossiga). Discussioni molto spesso accompagnate Pag. 7da ampie audizioni di professori di diritto costituzionale, giuristi ed esperti.
  Rileva che il Parlamento ha accumulato «montagne» di documentazioni e approfondimenti. Sulla materia non si potrà mai dire tutto, ma molto, moltissimo, certamente quello che è necessario per assumere finalmente delle decisioni.
  Evidenzia che una questione emerge con chiarezza da queste discussioni: la scelta tra i due modelli, tra la forma di governo parlamentare razionalizzata e quella semipresidenziale con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica – non a caso presenti entrambi nei paesi dell'Unione europea – è rigorosamente politica, non si possono accampare pregiudiziali ideologiche o ragioni di carattere tecnico che non possano essere messe a punto.
  Si tratta di una scelta rigorosamente politica a fronte della crisi drammatica in cui si trova l'Italia. «Sarebbe suicida – ha affermato il costituzionalista Carlo Fusaro – rifiutare di dotarci di un governo efficace e, diciamolo pure: forte. È un'esigenza accresciuta da vincoli esterni sempre più stringenti (globalizzazione, mercati, Unione Europea) tali da annichilire poteri politici deboli». Fusaro usa il verbo annichilire, ed è, a suo avviso, così, che si corre questo rischio.
  Si chiede cosa stia accadendo in Italia, ma anche in molti altri paesi europei. Lo si è visto con le elezioni della scorsa primavera, in Francia, in Grecia e anche nelle elezioni amministrative in Italia. Ci si trova di fronte ad una forte crisi del sistema dei partiti (indotta o aggravata fortemente dalla crisi economica), per cui non ci sono più grandi partiti, ma al più partiti medi. Il fenomeno si è verificato anche oltralpe: il candidato più votato al primo turno delle elezioni presidenziali, Hollande, ha preso solo il 28,6 per cento, al di sotto del 30 per cento, mentre le forze antisistema hanno sfiorato il 40 per cento. Ma c’è una differenza profonda: in Francia, così come nei comuni italiani, la crisi dei partiti ha trovato una barriera, una diga che non consente a questa crisi dei partiti di riversarsi sulle istituzioni e impedire la governabilità. E questa diga è proprio l'elezione diretta del vertice istituzionale con il sistema del doppio turno. Mentre la forma di governo parlamentare, anche se razionalizzata, ha bisogno per poter funzionare di due grandi partiti strutturati, tra loro alternativi, la forma di governo semipresidenziale, così come quella in vigore nei comuni italiani, riesce a funzionare e ad assicurare la governabilità anche in presenza di una crisi del sistema dei partiti come quella che oggi attraversiamo.
  Sottolinea che questo è il cuore del problema e della scelta politica che si deve compiere. Ha voluto sintetizzarlo subito all'esordio della sua relazione, ma su questo nodo di fondo tornerà diffusamente più avanti.
  Riprende invece il filo della sua relazione dalle discussioni passate sulla forma di governo e sul semipresidenzialismo per rimarcare come il terreno sia stata già ampiamente arato, come il tema sia stato già molto approfondito.
  In merito al semipresidenzialismo occorre infatti ricordare innanzitutto il tentativo Maccanico dell'inverno ’96, tentativo che Maccanico fondò proprio sul sistema semipresidenziale francese, adeguando il sistema alla «tradizione parlamentare italiana», anche sulla base di un documento in otto punti dei parlamentari del gruppo Progressisti-federativo che comprendeva i deputati del Pds.
  Ricorda poi, ovviamente, i lavori della Commissione per le riforme presieduta da Massimo D'Alema, con le pregevoli relazioni e il testo elaborato dal relatore Cesare Salvi. Il Testo Salvi – aggiornato alla revisione costituzionale francese del 2000 che ha ridotto a cinque anni il mandato presidenziale per evitare al massimo i rischi di «coabitazione» – costituisce la base, e molto spesso, dichiaratamente, la lettera, degli emendamenti del Popolo delle libertà e quindi del testo che il Senato ha approvato il 25 luglio scorso, ora A.C. 5386.
  Rileva che Cesare Salvi condusse un esame davvero molto approfondito sul sistema semipresidenziale e sulle sue diverse Pag. 8varianti. Si interrogò e diede risposte a molte domande, innanzitutto sui rischi di autoritarismo o di plebiscitarismo, sui rischi di conflitto in caso di coabitazione, sulle compressione delle prerogative parlamentari certamente verificatesi nell'esperienza francese. Ma respinse nettamente l'esorcizzazione dell'elezione diretta come antidemocratica, valutò come la coabitazione non fosse stata in Francia «portatrice di traumi istituzionali», e come non fosse affatto impossibile realizzare un giusto equilibrio tra i diversi poteri, per giungere, cito tra virgolette, ad «un semipresidenzialismo che, partendo dal modello francese tenesse conto sia dei punti di debolezza manifestati da quel sistema nella sua stessa patria di origine, sia della necessità di adattarlo alle caratteristiche e alle ragioni peculiari del nostro Paese».
  Occorre poi sottolineare che il testo Salvi, così come quello all'esame della I Commissione, si differenzia dalla Costituzione francese per non pochi aspetti. Ad esempio, non prevede il potere del Presidente della Repubblica di sottoporre a referendum un disegno di legge (articolo 11 della Costituzione francese); i poteri straordinari del Presidente della Repubblica in caso di minaccia alle istituzioni, all'indipendenza della Nazione, all'integrità del territorio, all'esecuzione degli impegni internazionali (articolo 16 della Costituzione francese); il potere di ordinanza del Presidente della Repubblica su materie normalmente riservate alla legge (articolo 38 della Costituzione francese); i forti poteri del Governo in Parlamento, ad esempio il voto bloccato su tutto il testo in discussione (articolo 44 della Costituzione francese), ma anche il meccanismo della fiducia in base al quale il testo su cui il Primo ministro impegna la responsabilità del Governo è approvato a meno che nel termine di 24 ore non sia presentata una mozione di sfiducia approvata dalla maggioranza assoluta dei membri dell'Assemblea nazionale (articolo 49 della Costituzione francese).
  Occorre altresì ricordare che solo con la revisione costituzionale del 2008, quella scaturita dal Comitato Balladur, è stato attribuito qualche maggior potere al Parlamento francese (a partire dal riconoscimento delle opposizioni che prima non c'era), ma tali poteri si collocano ancora ben al di sotto di quelli del Parlamento italiano. Rileva insomma come il testo Salvi, così come quello all'esame della Commissione, preveda un sistema semipresidenziale molto più temperato rispetto al modello francese, con un significativo adattamento alle caratteristiche e alle ragioni peculiari del nostro paese.
  Rileva come poche siano le differenze tra il testo Salvi e il testo all'esame della Commissione.
  La prima deriva dal fatto che il testo approvato dal Senato è stato aggiornato alla revisione della Costituzione francese del 2000, quella che ha ridotto il mandato presidenziale a cinque anni equiparandolo alla durata del mandato parlamentare al fine di evitare i casi di coabitazione (o di ridurne al massimo le probabilità) e al fine di evitare anche i connessi casi di legislature brevi (infatti prima del 2000, dato che il mandato presidenziale era di sette anni, due in più di quello parlamentare, dopo cinque anni poteva verificarsi la coabitazione che durava fino alla elezione del nuovo Presidente; il quale poi, una volta vinto, scioglieva per avere una maggioranza conforme). La soluzione del 2000 è, a suo avviso, molto più razionale (anche nel caso davvero improbabile di coabitazione induce alla sua stabilizzazione, proprio perché si verifica all'inizio del mandato e non nella seconda parte, quando i due contendenti, Presidente della Repubblica e Primo ministro «affilano le armi» in vista delle nuove elezioni presidenziali).
  La seconda differenza riguarda la presidenza del Consiglio dei ministri. Il testo Salvi prevedeva che il Presidente della Repubblica presiedesse il «Consiglio supremo per la politica estera e la difesa», e non il Consiglio dei Ministri. Qui si prevede la soluzione francese: il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei Ministri, salvo delega al Primo Ministro (ovviamente, nel caso di coabitazione il Presidente della Repubblica si deve necessariamente ritrarre, non ha la maggioranza Pag. 9parlamentare e la presidenza del Consiglio dei ministri è lasciata al Primo ministro).
  Rileva come la soluzione francese sembri più razionale a causa della crescita di importanza, anzi, della preminenza assunta dall'Unione europea che rende difficile, se non impossibile, separare politica interna e politica estera. Ovviamente mentre il testo Salvi prevedeva che il Presidente della Repubblica presiedesse il CSM, nel testo al nostro esame, come in Francia, non lo presiede (la presidenza è affidata al primo presidente della Corte di Cassazione).
  Ritiene che la soluzione francese sia anche quella che risponde maggiormente alle esigenze di governabilità che tutti noi, o la maggior parte di noi, persegue. Del resto, si sono di fatto espressi per questa soluzione anche autorevoli esponenti del Partito democratico che in tempi più o meno recenti si sono pronunciati a favore del sistema semipresidenziale (sono numerosi, ne parlerà dopo), proponendo (richiama Dario Franceschini del 2008): «l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, come in Francia, ...l'elezione diretta di una persona che abbia la forza di decidere e di guidare il paese». Rileva che, evidentemente, Dario Franceschini aveva in mente proprio il sistema semipresidenziale come disciplinato in Francia. Infatti, se il Presidente della Repubblica deve avere «la forza di decidere e di guidare il paese» è difficile pensare che non presieda il Consiglio dei ministri (che è comunque cosa diversa dall'essere formalmente Capo dell'Esecutivo. Va infatti ricordato che è il Primo Ministro a dirigere la politica generale del Governo e ad esserne responsabile).
  La terza differenza tra testo Salvi e testo al nostro esame riguarda alcuni aspetti della disciplina dello scioglimento, anche in questo caso in relazione al fatto che il testo Salvi prevedeva una diversa durata del mandato presidenziale, cioè sei anni. Anche il testo Salvi manteneva saldamente il potere di scioglimento in capo al Presidente della Repubblica eliminando l'obbligo di controfirma del Primo Ministro. «Una volta acquisito il parere dei Presidenti delle Camere, l'autonomia della decisione presidenziale è piena», come scrive Salvi nella sua relazione, ritenendo il potere di scioglimento uno strumento essenziale della stabilità governativa e deterrente verso le crisi. Nel testo Salvi, con riferimento alla elevata probabilità di coabitazione, lo scioglimento è legato in modo esplicito ai casi di crisi politica, e vi è quindi una tipizzazione con riferimento alle dimissioni del Governo, volontarie o dovute. E con l'eccezione, molto importante, riguardante la facoltà concessa al Presidente della Repubblica, subito dopo la sua elezione, di sciogliere per evitare di avere una maggioranza parlamentare di indirizzo politico opposto, prevedendo pertanto il dovere del Primo Ministro di rassegnare le dimissioni nelle mani del nuovo Presidente della Repubblica proprio per consentirgli, se del caso, l'indizione di nuove elezioni legislative. La soluzione adottata nel testo approvato dal Senato (con la preclusione dello scioglimento «durante i dodici mesi che seguono le elezioni delle nuove Camere») è più vicina al testo della Costituzione francese. Una scelta, ribadisce, connessa all'allineamento dei mandati che riduce drasticamente le probabilità sia di coabitazione che di scioglimento anticipato. Essa appare la soluzione più rispondente alla logica di funzionamento del sistema semipresidenziale nel quale il Presidente della Repubblica «abbia la forza di decidere e di guidare il paese», come ha detto Dario Franceschini. Comunque, questi aspetti – se ci fosse consenso ad approvare insieme la riforma – potrebbero ovviamente essere approfonditi.
  Ritiene infine opportuno ricordare una ulteriore analogia tra il testo Salvi e il testo all'esame della Commissione: entrambi prevedono la possibilità per un quarto dei componenti di una Camera di sollevare la questione di legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Parlamento. Un contrappeso di grande rilevanza per un efficace equilibrio dei poteri.
  Dopo questo sintetico raffronto tra il testo Salvi, il testo al nostro esame e la Pag. 10Costituzione francese, prima di passare all'esame dettagliato degli articoli dell'A.C. 5386, corre l'obbligo di ripercorre dall'inizio la vicenda politico-istituzionale di questo ennesimo tentativo riformatore.
  Non si riferisce, e non intende qui soffermarsi sul dibattito che si è aperto dopo la nascita del Governo Monti, quando gli editoriali sul Corriere della Sera di Ernesto Galli della Loggia poserò l'esigenza di una decisa revisione di «tutta l'impalcatura dei poteri della Carta del 1948...»; in particolare sul ruolo e sui poteri del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio dei ministri», in relazione al fatto che «è andato crescendo di molto, e in una direzione schiettamente politica, il ruolo del Presidente della Repubblica» e che «da una interpretazione minimalista e sostanzialmente notarile» dei poteri che la Costituzione lascia per tanti aspetti indeterminati, si è ormai passati «a una interpretazione assai penetrante e, per così dire, interventista, dotata di una fortissima capacità di impatto e di condizionamento sull'orientamento politico del paese». Così da indurre molti a chiedersi, sulla base di una serena riflessione sull'evoluzione del ruolo del Presidente della Repubblica, se non fosse ormai necessario cambiare le regole in modo da adeguarle ai mutamenti intervenuti, e quindi introdurre l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, superando così la scissione tra potere e responsabilità che caratterizza la nostra Costituzione, in contrasto con il principio non scritto del costituzionalismo liberale secondo il quale essi devono sempre andare di conserva. Che è poi l'argomento posto a fondamento della proposta di legge AC 4847 del 16 dicembre scorso a sua prima firma, sottoscritto da altri 130 deputati del Popolo delle libertà.
  Ma non si riferisce a questo pur importante argomento, e a questa proposta di legge, perché è vero che allora quel dibattito e quella proposta di legge non indussero il Popolo delle libertà a porre con forza agli altri partiti della maggioranza la scelta dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica nell'ambito delle intese che già allora si ricercavano per rivedere alcuni aspetti della parte seconda della Costituzione.
  Si riferisce invece proprio al momento in cui, in effetti, era stato raggiunto un accordo tra le maggiori forze politiche, un accordo difficile e faticoso, sulla base della c.d. bozza Violante, la quale prevedeva il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri e la razionalizzazione della forma di governo parlamentare (insieme alla diminuzione di circa il venti per cento del numero dei parlamentari, alla riduzione dell'elettorato attivo da 25 a 18 anni al Senato e passivo da 40 a 25 anni al Senato e da 25 a 21 alla Camera, alla semplificazione del procedimento legislativo e al superamento del bicameralismo paritario, con il bicameralismo eventuale e non più obbligatorio). Riforma costituzionale a cui era abbinata – occorre ricordarlo bene – anche un'altra bozza Violante, relativa alla legge elettorale.
  Fa presente che ad un certo punto in questo percorso – come ha ricordato il sen. Quagliariello nel dibattito a palazzo Madama – si è inserita una preoccupazione di ordine politico-istituzionale, nata dalla considerazione della situazione esterna: una crisi europea – finanziaria, economica, politica, e anche di civiltà – che di fatto ha sconvolto i sistemi politici in tutti i paesi in cui ci si è recati al voto. I primi ad avanzare questa preoccupazione sono stati proprio gli esponenti del Partito democratico che, all'indomani delle elezioni amministrative, hanno evidenziato la necessità di compiere sulla legge elettorale una riflessione ulteriore che andasse verso il doppio turno. E sono stati loro per primi a rimettere di fatto in discussione le intese raggiunte. Non per volontà di disattendere quelle intese, assolutamente no, ma perché vi erano fondate ragioni per una riflessione ulteriore.
  Si chiede da cosa nascesse quella preoccupazione legittima, ribadisce, legittima: da una considerazione che ha agitato e agita il pensiero di tutti noi. Nonostante la crisi sia generale ed europea, abbiamo potuto constatare una differenza fondamentale: in alcuni paesi la crisi si è Pag. 11fermata al livello del sistema dei partiti e le regole del sistema istituzionale hanno fatto da diga, salvaguardando le istituzioni stesse e lo Stato. Al contrario, in altri contesti questa crisi ha superato la diga, invadendo le istituzioni e bloccando i governi.
  Osserva come le elezioni svoltesi contemporaneamente in Grecia e in Francia hanno fornito a tutti due esempi, due casi di studio. In Grecia, si è addirittura determinata l'impossibilità di formare un governo, con ripercussioni, per le condizioni particolari della crisi, su tutta l'Europa, fino alla necessità di far ripetere subito le elezioni.
  L'altro è il caso della Francia. Il risultato che è uscito dalle urne in Francia, dopo il primo turno, ha visto i due grandi partiti diventare sostanzialmente partiti medi. Ci si trova infatti di fronte ad una crisi dei grandi partiti che è divenuta un fenomeno europeo, anche se si manifesta con caratteri e dimensioni diverse nei diversi paesi. In Francia – come già ricordato all'inizio della relazione – il partito dell'attuale Presidente della Repubblica, al primo turno, è andato al di sotto del 30 per cento, per l'esattezza al 28,6 per cento, mentre le forze antisistema hanno sfiorato il 40 per cento. Ma grazie all'elezione diretta e al ballottaggio, la Francia ha subito avuto un Presidente munito di una forte legittimazione, che rappresenta la Nazione e lo Stato, che rappresenta chi ha vinto e chi ha perso.
  Le successive elezioni legislative effettuate con il doppio turno di collegio, di cui l'elezione diretta del Presidente della Repubblica è il fulcro, anche perché avvengono in piena «luna di miele», hanno dato addirittura una maggioranza assoluta composta dal solo Partito socialista, il partito del Presidente delle Repubblica, quindi hanno dato grande stabilità al governo e la possibilità di durare per cinque anni, anche grazie all'ampio corredo di poteri previsto dalla Costituzione francese.
  La differenza tra questi due esempi istituzionali, Grecia e Francia, è balzata agli occhi di tutti noi.
  Ed è accaduto anche in Italia alle elezioni amministrative dove si è manifestata con tutta evidenza: espansione dell'area del non voto e di quella del voto sulle estreme, o addirittura «antisistema», con una forte frammentazione, una crisi dei partiti maggiori e anche di centro, non solo del Pdl, ma anche del Pd e dell'Udc (che contava molto sulla crisi del Pdl, ma si è invece dimostrata del tutto incapace di beneficiarne). Il sistema della seconda fase della Repubblica si è ampiamente disarticolato – come ha osservato anche Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore – i grandi partiti sono andati in crisi: Pdl e Pd nel 2008 assommavano il 70 per cento dei voti, ora sono sotto la soglia del 50 per cento. Ma nelle elezioni comunali, così come in Francia, questa crisi del sistema dei partiti non si è riversata sulle istituzioni, sui comuni, e questo solo grazie all'elezione diretta del sindaco, con il doppio turno.
  È vero che in astratto stabilità ed efficienza possono essere garantiti anche da sistemi parlamentari razionalizzati, ma non si può negare che tutti quei sistemi poggiano su due grandi partiti alternativi che oggi noi non abbiamo. Se non ci sono i due grandi partiti alternativi e, non si vuol restare bloccati in una grande coalizione come regola permanente anziché come eccezione, il semipresidenzialismo è il modo più naturale di trovare un equivalente funzionale a partiti nazionali grandi e strutturati.
  È di fronte a questa riflessione che il Popolo delle libertà ha pensato di alzare la diga. E ritiene che lo abbia fatto in modo assolutamente legittimo, senza alcuna intenzione di disattendere le intese, ma perché c'erano fondate ragioni: le stesse che hanno spinto gli esponenti del Partito democratico a riproporre il doppio turno. Perché la diga che era stata pensata con il cosiddetto testo «Violante» – un testo di riforma costituzionale, ma anche di riforma elettorale – è evidentemente insufficiente. Perché la nostra responsabilità è di mettere l'Italia nella condizioni, tra otto mesi, quando si tornerà alle urne, di non Pag. 12diventare una tecnocrazia permanente e di avere anche governabilità e stabilità di governo.
  Rileva che la questione è che – come hanno ben sottolineato i senatori del Partito democratico Giorgio Tonini ed Enrico Morando e Umberto Ranieri sul Foglio – «non si può non vedere come il sistema elettorale a doppio turno sia ancillare al semipresidenzialismo e non possa prescinderne, né sul piano tecnico, né su quello politico», in quanto «il vero pilastro portante dell'architettura della Quinta Repubblica francese è l'elezione diretta di un presidente della Repubblica con funzioni di governo». Un sistema che, sono sempre parole degli esponenti del Partito democratico «è meglio in grado di garantire la governabilità e la competizione politica bipolare».
  Si chiede allora perché nei confronti della proposta del Popolo delle libertà – proposta da adottare in tempo utile per consentire agli italiani di eleggere direttamente il prossimo Presidente della Repubblica nel 2013, perché è la crisi a imporre risposte tempestive – si siano manifestate risposte così negative e così cariche di pregiudizi. Reazioni basate, a suo avviso, su argomentazioni davvero singolari e infondate. La più elevata, l'ha espressa Franco Monaco su l'Unità: passare dalla forma di governo parlamentare a quella semipresidenziale (che per inciso hanno poi una serie di cose in comune, a cominciare dal rapporto fiduciario) costituisce un cambio così radicale di impianto da mettere addirittura in gioco «principi non negoziabili».
  Si tratta di un'argomentazione palesemente infondata. Le due opzioni non sono certamente identiche, ma la differenza non è di quel grado. Anche alla Costituente non è stata vissuta affatto in questo modo. Lo spiega benissimo Dossetti nella sua intervista a Elia e Scoppola: «Lì (al monastero passionista al Celio, alla prima riunione informale dei costituenti della Dc) si considerò anche la possibilità di una Repubblica presidenziale. Fu bloccata da De Gasperi con un ragionamento, essenzialmente di garanzia, nei confronti del Partito Comunista: se facciamo le elezioni su un nome solo, poniamo il nome di Nenni, disse, sostenuto dal Partito Comunista, passano». Di tutto si trattava, quindi, tranne che di principi non negoziabili: era la sfiducia reciproca, era la guerra fredda. Niente di meno, niente di più.
  E lo spiega ancor meglio negli atti della Costituente il deputato Tosato della Democrazia Cristiana che, il 5 settembre 1946, dopo aver illustrato la sfiducia costruttiva come strumento di deterrenza contro le crisi, dichiara: «In ogni caso, ove tale inderogabile esigenza non potesse venir soddisfatta, esprimerebbe senz'altro la sua preferenza per una forma di governo presidenziale». Era perfettamente in linea con l'ordine del giorno Perassi presentato il giorno precedente secondo il quale l'opzione per la forma di governo parlamentare era auspicabile solo in quanto si votassero dispositivi che evitassero l'assemblearismo, le degenerazioni del parlamentarismo in chiave di instabilità e di inefficienza. Ma emerge anche nella discussione che si compì nella seconda metà del 1947, in 2a Sottocommissione, introdotta da un intervento del presidente Vittorio Emanuele Orlando. Giuseppe Saragat rispondendo alle argomentazioni svolte proprio da Vittorio Emanuele Orlando, affermò che, per i poteri attribuiti dalla Carta, il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto essere eletto a suffragio universale e diretto e trovare una legittimazione autonoma. Ma due erano i motivi che lo hanno impedito. Uno guardava al passato e l'altro al futuro. Quello che guardava al passato era la vicinanza con il regime fascista. Quello che guardava al futuro – eravamo nel 1947 – riguardava lo scoppio della guerra fredda, e l'Italia non aveva ancora scelto da quale parte stare. Sono stati questi i motivi che hanno consigliato cautela. Ma l'impianto di un Presidente della Repubblica eletto dal popolo che fa valere il dato nazionale, il dato statuale in ogni istanza – in parte anche all'interno del potere esecutivo (di cui non egli non è il capo) – non stravolge il modello parlamentare. È un impianto che Pag. 13integra quel modello, che lo rende più forte e anche più adeguato ai tempi. Non è un caso che quel modello prevalga nelle democrazie della terza e della quarta ondata.
  Ma venendo via via a tempi più recenti, ricorda che neanche la Tesi n. 1 dell'Ulivo del 1996 riteneva che l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e il semipresidenzialismo rappresentassero un cambiamento di impianto così profondo. Infatti, pur presentando come scelta preferenziale una «rinnovata forma di governo centrata sulla figura del Primo Ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell'elettorato» si poneva il problema di come eleggere il Capo dello Stato «esaminando varie possibili modalità, compresa la sua elezione diretta». Tanto è vero che il centrosinistra lo manifestò anche nella Commissione bicamerale D'Alema. Infatti, se si fosse trattato di principi non negoziabili, non ci sarebbe stata la scelta di lasciare libertà di voto senza disciplina di partito che fu decisiva. Infatti la bozza Salvi sul semipresidenzialismo che prevalse 36 a 31 sul governo del Primo ministro fu votata non solo da Polo della Libertà e Lega, ma anche da quattro decisivi componenti del centrosinistra: il socialista Boselli, Spini che faceva parte del gruppo Democratici di Sinistra, D'Amico della Lista Dini e l'autonomista Rigo, mentre si astennero i diessini Occhetto e Passigli.
  Anche in tempi molto più recenti, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e il semipresidenzialismo hanno trovato un convinto sostegno tra gli stessi esponenti del Partito democratico. La citazione di Dario Franceschini, che in parte ho già ricordato, risale infatti al 2 gennaio 2008, ad una intervista su Repubblica dove l'allora numero 2 del Partito democratico, ora capogruppo alla Camera, propose, appunto: «l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, come in Francia...Bisogna avere il coraggio di passare all'elezione diretta di una persona che abbia la forza di decidere e di guidare il paese». Si chiede dove sia, dunque, questo coraggio, ora che l'Italia ha proprio bisogno di questa riforma e del coraggio di tutti. E che l'Italia ne abbia bisogno lo ha detto con grande chiarezza Luciano Violante il 26 maggio scorso. Intervistato dal Messaggero, alla domanda: «Ma lei, personalmente, ritiene il sistema francese la soluzione giusta per l'Italia», Violante ha risposto così: «Penso di sì, anche se non è l'unica soluzione. Perché per alcuni aspetti il nostro Paese si trova in condizioni simili a quelle della Quarta Repubblica francese: un sistema politico assai frammentato, con scarsa legittimazione e con una accentuata debolezza decisionale». E anche Massimo D'Alema ha affermato su L'Espresso del 31 maggio scorso, solo due mesi fa: «Io ho sempre ritenuto che bisogna scegliere tra parlamentarismo e presidenzialismo. E se venisse proposto il modello francese, il semipresidenzialismo, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, non avrei nulla in contrario. Quello che non funziona è questo sistema di democrazia parlamentare in cui si dà ai cittadini l'illusione di eleggere il capo del governo. Un meccanismo fasullo che ha provocato conflitti istituzionali, tensioni e ingovernabilità».
  Si chiede, quindi, perché non si possa fare davvero.
  Passa ad una argomentazione di altra natura, quella dei tempi che sarebbero insufficienti per varare la riforma costituzionale e le diverse leggi attuative che sono necessarie (anche quella sul conflitto di interessi, che è necessaria in caso di elezione diretta del Presidente della Repubblica – lo ricorda all'on. Bressa – era già scritto nel testo degli emendamenti del Popolo delle libertà ed è rimasto nel testo approvato dal Senato). Osserva che non è vero che non ci sono i tempi. La questione dei tempi è stata subito utilizzata strumentalmente, sin dal mese di giugno. C'erano ampiamente in quel momento i tempi utili per approvare la riforma, il Popolo della libertà lo ha dimostrato diffondendo allora un calendario dettagliato di tutti i passaggi parlamentari. Ma i tempi ci sono ancora, se solo ci fosse la volontà politica. Sottolinea che siamo di fronte a Pag. 14una opportunità particolare: la fine della legislatura coincide con la fine del mandato del Presidente della Repubblica, una coincidenza che offre la possibilità di realizzare e attuare la riforma senza dover interrompere una legislatura e il settennato presidenziale in corso. Mentre in un qualsiasi altro momento la riforma semipresidenziale richiederebbe di interrompere il mandato del Presidente della Repubblica e di rifare subito dopo le elezioni delle Camere.
  Il calendario diffuso dal Popolo delle libertà insieme al testo degli emendamenti prevedeva che il Senato approvasse il testo in prima lettura entro il 30 giugno per finire con l'ultima lettura a fine novembre. Cioè due mesi e mezzo di tempo prima del termine ultimo, che è il 14 febbraio 2013. Infatti il 14 febbraio è il novantesimo giorno antecedente la scadenza del settennato dell'attuale Presidente della Repubblica, cioè la data in cui il Presidente del Senato – in base al testo di riforma – dovrebbe indire l'elezione a suffragio popolare e diretto del Presidente della Repubblica. Quindi, dopo la fine di novembre, ci sono altri due mesi e mezzo disponibili. Un tempo utile, insieme a quello tra le due letture conformi della riforma costituzionale, anche per consentire di approvare le leggi di attuazione, almeno quelle strettamente necessarie, che sono le seguenti: il procedimento elettorale per l'elezione del Presidente della Repubblica; la regolazione dei finanziamenti e dei tetti di spesa; la disciplina del conflitto di interessi; la legge elettorale a doppio turno; la legge sul Consiglio supremo degli Esteri e della Difesa; il ricorso alla Corte costituzionale da parte di un quarto dei membri di una Camera (ma le ultime due potrebbero anche essere approvate in una fase successiva, senza particolari conseguenze).
  Rileva che rispetto a quel calendario è effettivamente trascorso un mese in più, essendo oggi il 7 agosto. Ma ci sarebbero ancora i tempi utili, se solo ci fosse la volontà politica.
  Ricorda come, del resto, in Francia impiegarono quattro mesi, incluso lo svolgimento del referendum popolare, dal 3 giugno al 29 settembre 1958, data del referendum che approvò la riforma, promulgata il successivo 4 ottobre.
  Sottolinea come ci sia ancora in tempo a riesaminare il testo tutti insieme, a migliorare qualche aspetto della forma di governo, se si ritiene che possa essere migliorata (anche se non gli è parso di ascoltare critiche particolari sulle formulazioni del testo); e si possono migliorare anche le parti relative al bicameralismo e al Senato federale (sul quale tornerà con l'illustrazione degli articoli); qui ricorda soltanto che nel testo della Bicamerale si parlava di «Ordinamento federale della Repubblica», qui l'attribuzione è solo riferita al Senato; non solo, occorre anche ricordare che le stesse note che accompagnavano il testo di riforma su cui era stato raggiunta l'intesa parlavano di «introduzione di elementi di federalismo istituzionale» con riferimento alla ripartizione delle competenze tra Camera e Senato sulla base dell'articolo 117 della Costituzione.
  Passa quindi alla terza argomentazione, quella in base alla quale, come ha sostenuto Anna Finocchiaro nel dibattito al Senato, la scelta di questa forma di governo avverrebbe «fuori da una discussione pubblica e da un coinvolgimento attivo di tutti i cittadini».
  Non ritiene che sia così, crede che i cittadini sarebbero, nella stragrande maggioranza, felicissimi di poter eleggere direttamente, già nel 2013, il Presidente della Repubblica, in grado di governare e di rappresentare con la massima forza e legittimazione il nostro Paese in sede internazionale ed europea. Crede che i cittadini siano invece molto più preoccupati della crescente perdita di sovranità del Paese, sovranità non recuperata a livello europeo per la mancanza di unità politica dell'Europa; siano preoccupati del rischio di una tecnocrazia permanente, del rischio di commissariamento della politica, del bipolarismo e delle stesse elezioni, cioè della democrazia.
  Un rischio tanto più elevato quanto più l'Italia continuerà ad avere un sistema Pag. 15istituzionale incapace di assicurare la governabilità, che spinge a coalizioni eterogenee con forze che avversano e non intendono rispettare gli impegni che abbiamo assunto approvando trattati come il Fiscal compact. Per cui sarebbe davvero suicida – come dice il professor Fusaro – rifiutare di dotarci di un governo efficace e forte, di fronte a vincoli esterni sempre più stringenti, tali da annichilire poteri politici deboli». Ed è così, l'Italia corre il rischio di rimanere annichilita.
  Se si è d'accordo sulla gravità della crisi, se si è di fronte a una vera crisi sistemica, i parlamentari devono assumersi una responsabilità adeguata e maggiore. Sarebbero delegittimati se non lo facessero. Pertanto si può bene approvare insieme la riforma, con le eventuali correzioni, con la maggioranza dei due terzi, senza referendum confermativo, come prevede l'articolo 138. I cittadini sarebbero riconoscenti. Evidenzia che questa sì sarebbe una risposta all'antipolitica, ma anche ai mercati e allo spread. E anche in Italia potrebbe accadere quanto è accaduto in Francia poche settimane fa, dove il candidato che ha vinto le elezioni aveva ottenuto meno del trenta per cento al primo turno e ora ha la maggioranza assoluta all'Assemblea nazionale e può governare con stabilità la Francia. E se lo ricorda nuovamente, non è certamente perché la sua parte politica goda dei massimi favori nei sondaggi per le prossime elezioni politiche.
  Tuttavia, intende comunque farsi carico di questo argomento della senatrice Finocchiaro, quello del coinvolgimento dei cittadini nella scelta di questa forma di governo.
  Al riguardo, Luciano Violante alla direzione del Partito democratico e poi Anna Finocchiaro al Senato hanno proposto un referendum di indirizzo sul sistema semipresidenziale. I senatori Ceccanti e Chiti, insieme ad altri quaranta senatori, hanno anche proposto un apposito disegno di legge costituzionale per consentire agli elettori di pronunciarsi scegliendo la forma di governo parlamentare di tipo tedesco o la forma di governo semipresidenziale. Ma il referendum di indirizzo, su una o più proposte, non esiste nel nostro ordinamento, soprattutto per modificare la Costituzione. Quello tenutosi nel 1989 sull'Unione europea era di tutt'altra natura e contenuto. La strada del referendum di indirizzo, pur suggestiva, non sembra sinceramente praticabile, innanzitutto dal punto di vista tecnico-costituzionale (oltre che per i tempi e il rinvio che essa comporterebbe). Lo prova l'avversione subito manifestata da alcuni giuristi (De Siervo, Pace) con una serie di argomenti che non ripete in questa sede, ma che hanno una indubbia solidità. Se ci si fosse incamminati su questa strada al Senato o se ci incamminasse ora alla Camera, si scoprirebbe, subito dopo, di essere finiti in un vicolo cieco.
  Ritiene, invece, che la strada del referendum, quella di un referendum confermativo è invece assolutamente praticabile. È avvenuto così anche in Francia, sia nel 1958 che nel 1962.
  Infatti, anche approvando insieme la riforma (con i miglioramenti e le modifiche ritenute necessarie, anche sul conflitto di interessi), e quindi con una maggioranza superiore ai due terzi, nulla vieta di inserire un articolo (analogamente a quanto previsto per la Commissione bicamerale D'Alema) per sottoporre comunque a referendum confermativo la riforma. Il nuovo articolo potrebbe essere del seguente tenore: «Nel caso di approvazione nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti, la presente legge costituzionale è comunque sottoposta a referendum popolare ed è promulgata se sia stata approvata dalla maggioranza dei voti validi». Nel caso ci fosse un'ampia convergenza su questa soluzione, e i tempi necessari allo svolgimento del referendum non consentissero di far entrare in vigore la riforma in tempo utile per applicarla nel 2013, si potrebbe anche aggiungere un'apposita norma transitoria che preveda l'entrata in vigore della riforma dopo un certo periodo dalla promulgazione. Il referendum potrebbe pertanto svolgersi nel 2013, nella stessa data delle elezioni politiche Pag. 16del 2013. In questo modo le nuove Camere, in caso di approvazione, sarebbero consapevoli di eleggere il Presidente della Repubblica con un mandato ovviamente ridotto nel tempo. E avrebbero a disposizione questo stesso tempo per approvare tutte le leggi di attuazione della riforma che sono necessarie.
  Si tratta di una proposta che comporterebbe un rinvio dell'entrata in vigore della riforma, ma risponderebbe pienamente all'esigenza, che è stata posta, di consentire la partecipazione degli elettori a questa scelta. Ovviamente la proposta vale nel caso in cui tale esigenza sia posta in modo non strumentale, ma come condizione necessaria e sufficiente, ad approvare insieme la riforma, con le eventuali messe a punto e modifiche. In questo senso rivolge la proposta esplicitamente e in primo luogo all'altro relatore e al Partito democratico, oltre che a tutti i componenti della Commissione. Si tratta, lo ribadisce, di una subordinata rispetto alla proposta principale di approvare insieme la riforma affinché possa essere applicata già nel 2013.
  Proposta principale che, in caso di rigetto della subordinata, ritiene debba comunque essere perseguita, sia qui in Commissione che in Assemblea, rivolgendo un appello a tutti i componenti della Camera per una comune assunzione di responsabilità.
  Osserva come sia necessario cercare di avere coraggio, come diceva Franceschini nel 2008. Ci si potrebbe molto presto pentire di non averlo avuto. Ribadisce che i tempi ci sono ancora, anche se più ristretti. Come infatti ha già ricordato, in Francia il processo costituente durò quattro mesi; mentre il Parlamento ne ha ancora sei o sette, e se c’è il coraggio, e magari anche il coraggio di vincere, forse si può cogliere un'occasione nella quale a vincere, indipendentemente dall'esito delle prossime elezioni, non sarà né la sinistra, né la destra, né il centro, ma sarà l'intera Italia.
  Passa quindi all'illustrazione dell'articolato del disegno di legge approvato dal Senato e delle abbinate proposte di legge, sulla base di una sintesi che ha predisposto d'intesa con il collega Bressa.
  Il progetto di legge C. 5386, approvato dal Senato della Repubblica e trasmesso alla Camera dei deputati il 26 luglio scorso, all'articolo 1 modifica il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione, nel senso di sostituire l'attuale Senato della Repubblica con il Senato federale, disciplinato dal successivo articolo 3, che sostituisce l'articolo 57 della Costituzione.
  L'articolo 2 apporta modifiche all'articolo 56 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e di elettorato passivo. In particolare, è sostituito il secondo comma nel senso di ridurre a cinquecentotto il numero complessivo dei componenti (invece degli attuali seicentotrenta) e ad otto (invece degli attuali dodici) il numero degli eletti nella circoscrizione Estero. Di conseguenza viene modificato anche il meccanismo previsto dal quarto comma per la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni. Riguardo all'elettorato passivo per la Camera dei deputati, è portato dagli attuali venticinque anni a ventuno anni il requisito di eleggibilità previsto dal terzo comma del vigente articolo 56.
  L'articolo 3 sostituisce l'articolo 57 della Costituzione. In particolare, il primo comma del nuovo articolo 57 nel testo approvato dal Senato prevede la riduzione a duecentocinquanta (invece degli attuali trecentoquindici) del numero dei senatori eletti a suffragio universale e diretto su base regionale. Non sono più previsti senatori eletti nella circoscrizione Estero. Si ricorda che la Commissione Affari costituzionali del Senato aveva previsto quattro senatori eletti nella circoscrizione Estero. Il secondo comma, di conseguenza, modifica il vigente terzo comma dell'articolo 57, riducendo da sette a sei il numero di senatori per ciascuna regione, lasciando invariata la previsione per il Molise (due senatori) e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste (un senatore).
  Il terzo comma in materia di ripartizione di seggi tra le Regioni è identico all'attuale quarto comma, eccettuato ovviamente Pag. 17il riferimento alla circoscrizione Estero. L'Aula del Senato ha, infine, aggiunto tre commi. Il quarto prevede una riserva di legge per la disciplina del sistema elettorale, garantendo la rappresentanza territoriale. Il quinto comma amplia la partecipazione al Senato federale, secondo modalità ed effetti disciplinati dal proprio regolamento, a un rappresentante per ogni regione (fatta eccezione per il Trentino-Alto Adige/Südtirol che ne ha due, uno per ogni provincia autonoma). Tali rappresentanti, eletti all'inizio di ogni legislatura regionale da ciascun consiglio o assemblea regionale, hanno diritto di voto sulle materie di legislazione concorrente ovvero di interesse degli enti territoriali. Il sesto comma prevede, infine, che i rappresentanti delle Regioni non siano membri del Parlamento e non fruiscano è della relativa indennità. Spettano loro invece la prerogative previste dall'articolo 68 della Costituzione, che non viene modificato dal testo approvato dal Senato.
  L'articolo 4 della proposta di legge costituzionale n. 5386 modifica l'articolo 58 della Costituzione, intervenendo in materia di elettorato passivo, ma anche di elettorato attivo. Al primo comma viene infatti soppresso il requisito dei venticinque anni per poter esercitare il diritto di voto per le elezioni per il Senato, estendendo tale diritto a tutto l'elettorato. È così eliminata la differenza di elettorato per i due rami del Parlamento. In materia di elettorato passivo viene modificato il secondo comma dell'articolo 58, riducendo a trentacinque anni (invece degli attuali quaranta) il requisito per l'eleggibilità a senatore.
  Si ricorda in proposito che la Camera ha approvato, in prima deliberazione, il disegno di legge costituzionale n. 4358 «Partecipazione dei giovani alla vita economica e sociale ed equiparazione tra elettorato attivo e passivo» che modifica il terzo comma dell'articolo 56 della Costituzione estendendo a tutti gli elettori il requisito di eleggibilità alla Camera (in modo più ampio del testo approvato dal Senato) e il secondo comma dell'articolo 58 della Costituzione, estendendo a tutti gli elettori del Senato il requisito di eleggibilità alla carica di senatore.
  L'articolo 5 interviene, a sua volta, sull'articolo 64 della Costituzione, aggiungendo un nuovo comma volto a precisare che i regolamenti delle Camere garantiscono le prerogative e facoltà del parlamentare, le prerogative e i poteri del Governo e della maggioranza nonché i diritti delle opposizioni e delle minoranze in ogni fase dell'attività parlamentare.
  L'articolo 6 sostituisce il testo dell'articolo 69 della Costituzione, ribadendo la previsione per cui i membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge ma esplicitando che i medesimi «hanno il dovere di partecipare ai lavori delle Camere, anche nelle Commissioni».
  All'articolo 70 della Costituzione viene poi, dall'articolo 7, soppresso il riferimento all'esercizio «collettivo» delle due Camere della funzione legislativa, alla luce della procedura delineata dal nuovo articolo 72 della Costituzione, come modificato dall'articolo 8.
  L'articolo 8 interviene dunque sulla formulazione dell'articolo 72 della Costituzione, sostituendola come segue: i disegni di legge sono presentati al Presidente di una delle Camere. La funzione legislativa è esercitata in forma collettiva dalle due Camere quando la Costituzione prescrive una maggioranza speciale di approvazione, per le leggi in materia costituzionale ed elettorale, per quelle concernenti le prerogative e le funzioni degli organi costituzionali e dei rispettivi componenti, per quelle di delegazione legislativa, di conversione in legge dei decreti con forza di legge, di approvazione di bilanci e consuntivi.
  L'esame dei disegni di legge ha inizio alla Camera presso la quale sono stati presentati, quando la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Ha inizio al Senato della Repubblica, quando i disegni di legge riguardano prevalentemente le materie di cui all'articolo 117, terzo comma (competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni), e all'articolo 119 (autonomia finanziaria Pag. 18degli enti territoriali), nonché per le leggi di cui agli articoli 122 (sistema di elezione e casi di ineleggibilità ed incompatibilità per il presidente, la giunta ed i consiglieri regionali), 125 (istituzione di organi di giustizia amministrativa di primo grado presso le regioni), 132, secondo comma (distacco ed aggregazione di comuni e province da una regione ad un'altra), e 133 (mutamento circoscrizioni provinciali ed istituzione nuove province), ha inizio alla Camera dei deputati in tutti gli altri casi.
  Si ricorda, inoltre, che nel novero delle leggi da approvare con deliberazione conforme delle due Camere, la Commissione Affari costituzionali del Senato aveva previsto un caso nuovo, che evocava la supremacy clause nota in altri ordinamenti, in specie di carattere federale: su iniziativa del Governo, la legge statale poteva disporre nelle materie di competenza legislativa regionale al fine di garantire, nel rispetto dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà, l'unità giuridica o economica della Repubblica.
  La distinzione di competenza tra le due Camere è dunque fondata – sia nel testo elaborato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato sia in quello approvato dall'Assemblea di tale ramo del Parlamento – sull'attribuzione al Senato, in prima lettura, dei disegni di legge che dispongono, prevalentemente, sui princìpi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (articolo 117, terzo comma), in quelle di cui all'articolo 119 della Costituzione.
  In coerenza con tale impostazione, la Commissione Affari costituzionali del Senato aveva previsto una disposizione finale del testo (articolo 13) che istituiva presso il Senato della Repubblica la Commissione paritetica per le questioni regionali, composta da un rappresentante per ciascuna Regione o Provincia autonoma e da un uguale numero di senatori.
  Si prevedeva che il Presidente della Commissione fosse nominato, tra i senatori, dal Presidente del Senato e che la Commissione fosse titolare di una potestà consultiva qualificata sui disegni di legge riguardanti le materie di cui all'articolo 117, terzo comma, e all'articolo 119 della Costituzione: si stabiliva che quando il parere è contrario o condizionato a specifiche modificazioni, le disposizioni corrispondenti sono sottoposte alla deliberazione del Senato con votazione nominale, un aggravamento procedurale già in uso nei regolamenti parlamentari per deliberazioni che esigono una particolare ponderazione. Per evitare una duplicazione di organi non funzionali, la stessa Commissione assumeva il compito già conferito alla Commissione parlamentare per le questioni regionali dall'articolo 126 della Costituzione, che di conseguenza veniva modificato.
  Come già evidenziato, tuttavia, l'Aula del Senato, votando a favore dell'inserimento del quinto comma dell'articolo 57, ha stabilito la partecipazione ai lavori, con diritto di voto sulle materie di legislazione concorrente ovvero di interesse degli enti territoriali, di un rappresentante per ogni regione. È stata quindi soppressa la suddetta disposizione di cui all'articolo 13, mantenendo la modifica dell'articolo 126 della Costituzione, che reca la sostituzione della Commissione parlamentare bicamerale per le questioni regionali con la Commissione paritetica per le questioni regionali, costituita presso il Senato, la cui composizione sarà presumibilmente definita dal regolamento del Senato.
  Sia il testo elaborato dalla Commissione Affari costituzionali del Senato sia quello approvato dall'Assemblea di tale ramo del Parlamento prevedono, nella sostanza, la seguente procedura: i disegni di legge sono assegnati a una delle due Camere, con decisione non sindacabile in alcuna sede, dai Presidenti delle Camere d'intesa tra loro secondo le norme della Costituzione e dei rispettivi regolamenti.
  Ogni disegno di legge è esaminato, secondo le norme dei regolamenti delle Camere, da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale. I regolamenti possono stabilire che un disegno di legge sia esaminato da una Commissione composta da un eguale numero di deputati Pag. 19e di senatori designati in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.
  I regolamenti delle Camere stabiliscono procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza e prevedono le modalità per la discussione e la votazione finale in tempi certi di proposte indicate dai gruppi parlamentari di opposizione.
  Il Governo può chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno della Camera che lo esamina e sottoposto alla votazione finale entro un termine determinato.
  Decorso il termine, il testo proposto o accolto dal Governo, su sua richiesta, è messo in votazione senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale.
  I regolamenti delle Camere possono stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto.
  I regolamenti determinano le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.
  La procedura normale di esame e di approvazione è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, di delegazione legislativa, di conversione in legge dei decreti con forza di legge, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.
  Il disegno di legge, approvato da una Camera, è trasmesso all'altra e si intende definitivamente approvato se entro quindici giorni dalla trasmissione questa non delibera di disporne il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti.
  La Camera che dispone di riesaminare il disegno di legge deve approvarlo o respingerlo entro i trenta giorni successivi alla decisione di riesame. Decorso inutilmente tale termine, il disegno di legge si intende definitivamente approvato.
  Il testo approvato dall'Aula del Senato prevede poi che se la Camera che ha chiesto il riesame lo approva con emendamenti o lo respinge, il disegno di legge è trasmesso alla prima Camera, che delibera in via definitiva.
  La previsione di quest'ultimo comma risulta quindi in parte differente rispetto a quanto approvato dalla Commissione affari costituzionali del Senato in sede referente, che prevedeva che «i disegni di legge si intendono definitivamente approvati quando si forma una deliberazione conforme delle due Camere» ovvero, nel testo approvato da una Camera in mancanza di deliberazione o richiesta di riesame o quando queste non sono seguite dalla votazione finale sul disegno di legge nel termine prescritto. Si prevedeva inoltre che il riesame potesse essere chiesto anche dal Governo.
  Alla luce delle suddette modifiche vengono conseguentemente riviste le formulazioni del secondo comma dell'articolo 74 della Costituzione, che disciplina il caso di rinvio di una legge da parte del Presidente della Repubblica, e dell'articolo 75, terzo comma, della Costituzione, che riguarda l'elettorato del referendum popolare.
  Per quanto riguarda la seconda parte del provvedimento in esame, giova ricordare che nel corso dell'esame al Senato è stato evidenziato come tema ricorrente, per quanto attiene ai rapporti tra gli organi costitutivi nell'ordinamento repubblicano, sia quello inerente al bilanciamento di poteri tra Parlamento e Governo: fin dalla discussione svolta nell'Assemblea Costituente vi è la questione di una forma di governo parlamentare orientata anche alla capacità effettiva di elaborare e realizzare la funzioni d'indirizzo politico che si manifestano nell'azione di governo.
  Di qui i temi, connessi, della stabilità dei governi, dei poteri del Governo in Parlamento e della funzionalità dei lavori parlamentari. Pag. 20
  Al riguardo, è stato menzionato l'ordine del giorno Perassi, dal nome del proponente, approvato il 5 settembre 1946 e diretto all'adozione del sistema parlamentare, «(...) da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di governo e ad evitare degenerazioni del parlamentarismo». Dunque, viene evidenziato, una questione aperta fin dalla genesi dell'ordinamento repubblicano.
  Nella relazione di accompagnamento al testo elaborato dalla 1o Commissione al Senato (n. 24-A), il relatore sottolinea quindi come la Commissione affari costituzionali abbia operato, nel lavoro svolto in questi mesi, nel solco di tali premesse: «il testo unificato costituisce la sintesi, possibile e attuale, delle numerose e diverse proposte avanzate con i disegni di legge in materia e la scelta è quella di concentrare il tentativo di riforma su alcuni, qualificanti aspetti dell'ordinamento».
  In merito alla forma di Governo, il testo che era stato proposto dalla Commissione affari costituzionali all'Aula del Senato prevedeva la possibilità di revocare i Ministri, intestava la fiducia delle due Camere al Presidente del Consiglio dei ministri e non più al Governo nel suo complesso, introduceva un dispositivo diretto ad assicurare la stabilità di governo, noto come sfiducia costruttiva. Era regolata anche la questione di fiducia posta dal Governo. Premessa ed esito della mozione di sfiducia, che si prevedeva fosse approvata dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna delle due Camere, era l'indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio da nominare, che così avrebbe già ottenuto anche il voto di fiducia.
  L'esito della fiducia negata al Presidente del Consiglio dei ministri, che l'avesse richiesta anche a una sola delle due Camere, era nelle dimissioni del Presidente del Consiglio: questi, però, poteva chiedere al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Nondimeno, le Camere non possono essere sciolte se il Parlamento in seduta comune, alle stesse condizioni già indicate per il caso della sfiducia costruttiva, indica un nuovo Presidente del Consiglio, che avrebbe così già ottenuto la fiducia parlamentare.
  Il testo che è stato poi approvato dall'Assemblea del Senato e di cui la I Commissione avvia oggi l'esame segue un'impostazione in parte differente.
  In base alle previsioni del disegno di legge C. 5386, trasmesso dal Presidente del Senato il 26 luglio scorso, il nuovo articolo 83 della Costituzione, come modificato dall'articolo 11, prevede che il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato. Rappresenta l'unità della Nazione e ne garantisce l'indipendenza. Vigila sul rispetto della Costituzione; assicura il rispetto dei trattati e degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia a organizzazioni internazionali e sovranazionali. Rappresenta l'Italia in sede internazionale ed europea; è eletto a suffragio universale e diretto da tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età e non più, quindi, dal Parlamento in seduta comune, integrato da tre delegati per ogni regione.
  A sua volta, il nuovo articolo 84 della Costituzione, come modificato dall'articolo 12, prevede che possa essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto quarant'anni (non più cinquanta) e goda dei diritti politici e civili. L'ufficio è incompatibile con qualsiasi altra carica e attività pubblica o privata. Si stabilisce poi espressamente che la legge prevede disposizioni idonee ad evitare conflitti tra gli interessi privati del Presidente della Repubblica e gli interessi pubblici ed a tal fine individua le situazioni di ineleggibilità e incompatibilità. L'assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica sono determinati per legge.
  Il nuovo articolo 85 della Costituzione, come modificato dall'articolo 13, prevede che il Presidente della Repubblica sia eletto per cinque anni (anziché sette anni). Può essere rieletto una sola volta.
  Il Presidente del Senato della Repubblica, il novantesimo giorno prima che scada il mandato del Presidente della Repubblica, indìce l'elezione, che deve Pag. 21aver luogo in una data compresa tra il sessantesimo e il trentesimo giorno precedente la scadenza. Le candidature sono presentate da un gruppo parlamentare delle Camere, ovvero da duecentomila elettori, o da deputati e senatori, da membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, da consiglieri regionali, da presidenti delle Giunte regionali e da sindaci, che vi provvedono nel numero e secondo le modalità stabiliti dalla legge.
  I finanziamenti e le spese per la campagna elettorale, nonché la partecipazione alle trasmissioni radiotelevisive sono regolati dalla legge al fine di assicurare la parità di condizioni fra i candidati.
  Si stabilisce che è eletto il candidato che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validamente espressi. Qualora nessun candidato abbia conseguito la maggioranza, il quattordicesimo giorno successivo si procede al ballottaggio fra i due candidati che hanno conseguito il maggior numero di voti.
  La legge disciplina la procedura per la sostituzione e per l'eventuale rinvio della data dell'elezione in caso di morte o di impedimento permanente di uno dei candidati.
  Viene precisato che il Presidente della Repubblica assume le funzioni l'ultimo giorno del mandato del Presidente uscente. In caso di elezione per vacanza della carica, il Presidente assume le funzioni il settimo giorno successivo a quello della proclamazione dei risultati elettorali.
  Il procedimento elettorale e le altre modalità di applicazione di tale articolo sono regolati dalla legge.
  Il secondo comma dell'articolo 86 della Costituzione, come modificato dall'articolo 14, prevede che in caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato della Repubblica indìce entro dieci giorni l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. L'elezione deve avere luogo in una data compresa tra il sessantesimo e il novantesimo giorno successivo al verificarsi dell'evento o della dichiarazione di impedimento.
  Al nuovo articolo 87 della Costituzione, l'articolo 15 apporta talune modifiche: viene sostituito il primo comma, che attualmente reca «il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale» con il seguente (che anticipa parte dell'attuale nono comma): «il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio Supremo per la politica estera e la difesa, costituito secondo la legge, e ha il comando delle Forze armate». A sua volta, viene sostituito il nono comma mantenendo la previsione: dichiara lo stato di guerra deliberato delle Camere. Infine, il decimo comma, che reca «presiede il Consiglio superiore della magistratura» è abrogato, alla luce delle modifiche apportate all'articolo 104 della Costituzione dall'articolo 19.
  Il nuovo articolo 88 della Costituzione, come modificato dall'articolo 16, prevede che il Presidente della Repubblica può, sentiti il Primo ministro e i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse.
  Si stabilisce quindi che se la scadenza delle Camere cade nell'ultimo semestre del mandato del Presidente della Repubblica, la loro durata è prorogata. Le elezioni delle nuove Camere si svolgono entro due mesi dall'elezione del Presidente della Repubblica. La facoltà di sciogliere le Camere non può essere esercitata durante i dodici mesi che seguono le elezioni delle Camere.
  Il nuovo articolo 89 della Costituzione, come modificato dall'articolo 17, reca «gli atti del Presidente della Repubblica adottati su proposta del Primo ministro o dei ministri sono controfirmati dal proponente, che ne assume la responsabilità.
  Non sono sottoposti a controfirma la nomina del Primo ministro, l'indizione delle elezioni delle Camere e lo scioglimento delle stesse, l'indizione dei referendum nei casi previsti dalla Costituzione, il rinvio e la promulgazione delle leggi, l'invio dei messaggi alle Camere, le nomine che sono attribuite al Presidente della Repubblica dalla Costituzione e quelle per le quali la legge non prevede la proposta del Governo».Pag. 22
  L'articolo 18, che interviene sull'articolo 92 della Costituzione, prevede che «il Governo della Repubblica è composto del Primo ministro e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri, salvo delega al Primo ministro. Il Presidente della Repubblica nomina il Primo ministro. Su proposta del Primo ministro nomina e revoca i ministri».
  Di conseguenza, agli articoli 93, 95 e 96 della Costituzione, le parole: «Presidente del Consiglio dei ministri» vengono sostituite dalle seguenti: «Primo ministro».
  Infine, il secondo ed il terzo comma dell'articolo 104 della Costituzione, come modificato dall'articolo 19, stabiliscono che il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal primo presidente della Corte di cassazione. Ne fa parte di diritto anche il procuratore generale presso la Corte di cassazione
  L'articolo 20 sostituisce il terzo periodo del primo comma dell'articolo 126 della Costituzione, che attualmente richiama la Commissione parlamentare per le questioni regionali, stabilendo così che il decreto con cui sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge ovvero il decreto con cui sono disposti lo scioglimento e la rimozione medesimi per ragioni di sicurezza nazionale, sono adottati sentita la Commissione paritetica per le questioni regionali, costituita presso il Senato della Repubblica.
  Infine, all'articolo 137 della Costituzione, l'Aula del Senato ha inserito un nuovo comma dall'articolo 21, che prevede che un quarto dei componenti di una Camera possa sollevare la questione di legittimità costituzionale delle leggi approvate dal Parlamento entro trenta giorni dalla loro entrata in vigore. Lo stesso numero dei componenti di una Camera, entro lo stesso termine, può sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale di un decreto legislativo per violazione o eccesso di delega. Con legge costituzionale sono stabiliti condizioni, limiti e modalità di esercizio di tale facoltà.
  Per quanto riguarda le proposte di legge abbinate al progetto di legge C. 5386, ricorda che alcune di esse recano modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione per la riduzione del numero dei parlamentari: si tratta, in particolare, delle proposte C. 2473 Casini, C. 2902 Versace, C. 3068 Luciano Dussin, C. 4691 Della Vedova, C. 4514 Donadi, C. 4490 Antonio Pepe.
  La proposta di legge C. 650 D'Antona, a sua volta, modifica gli articoli 56 e 57 della Costituzione per la riduzione del numero dei parlamentari e l'articolo 92 della Costituzione, introducendo un limite al numero dei componenti del Governo.
  La proposta di legge C. 3573 Calearo Ciman reca modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di soppressione della circoscrizione Estero per l'elezione della Camera e del Senato.
  La proposta di legge C. 2816 Jannone interviene invece sulla disciplina del procedimento legislativo, di cui all'articolo 72 della Costituzione.
  La proposta di legge C. 2168 Baccini reca modifiche agli articoli 83, 85 e 86 della Costituzione, con particolare riguardo all'elezione del Presidente della Repubblica. La proposta di legge C. 4847 Calderisi interviene sugli articoli 64, 83, 84, 85, 86, 88, 89 e 92, disponendo l'introduzione dell'elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale e diretto e della forma di governo semipresidenziale. La proposta di legge C. 3738 Mario Pepe, modifica gli articoli 56, 57, 59 60, 92, 93, 94, 95 della Costituzione mentre la proposta di legge C. 5337 Maran interviene sugli articoli 64, 83, 84, 85, 86, 87, 88, 89, 92 e 104 della Costituzione con la finalità di «assicurare il pieno sviluppo della vita democratica e la governabilità del Paese». La proposta di legge C. 4282 Sardelli modifica l'articolo 94 della Costituzione in materia di disciplina della fiducia e della mozione di sfiducia nei riguardi del Presidente del Consiglio dei ministri. Pag. 23
  Altre proposte di legge sono invece di portata più ampia, intervenendo – analogamente al progetto di legge C. 5386, approvato dal Senato – su diversi articoli della parte seconda della Costituzione.
  Si tratta, in particolare, delle proposte di legge C. 16 Zeller, C. 441 Amici, C. 978 Bocchino e C. 4315 Mantini, che intervengono sugli articoli 55, 56, 57, 58, 60, 61, 70, 72, 73, 76, 77, 79, 83, 84, 85, 86, 87, 92, 94, 96, 122, 123, 126 e 135 della Costituzione, riguardo in particolare alla forma di governo, alla composizione e funzioni del Parlamento, limiti di età per l'elettorato attivo e passivo per le elezioni della Camera e del Senato; della proposta di legge C. 4915 Vassallo modifica gli articoli 48, 56, 57, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 77, 79, 81, 82, 83, 85, 86, 87, 88, 92, 94, 96, 121, 123, 126, 128, 135, 136 e 138 della Costituzione e reca l'abrogazione dell'articolo 58 della Costituzione, in materia di bicameralismo; della proposta di legge C. 4051 Calderisi, che interviene sugli articoli 56, 57, 68, 72, 81, 94, 95, 117 e 118 della Costituzione e della proposta di legge C. 5120 La Loggia che modifica gli articoli 48, 55, 56, 57, 58, 60, 61, 70, 72, 73, 77, 79, 87, 88, 92, 93, 94, 96 e 117 della Costituzione.
  Infine, la proposta di legge C. 5053 Bossi interviene su numerosi articoli della parte prima e della parte seconda della Carta Costituzionale, prevedendo modifiche agli articoli 1, 5, 48, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 63, 64, 69, 70, 72, 73, 74, 76, 77, 79, 84, 85, 86, 87, 88, 92, 93, 94, 95, 96, 99, 105, 107, 116, 117, 119, 122, inserisce un nuovo articolo 113-bis, modifica altresì gi articoli 135, 136, 138 della Costituzione concernenti la forma di Stato e di governo, la riduzione del numero dei parlamentari, l'istituzione del Senato federale, al disciplina della magistratura, la Corte Costituzionale e il procedimento di revisione della Costituzione.

  Gianclaudio BRESSA (PD), relatore, ritiene indiscutibile la buona fede e l'onestà intellettuale del collega Calderisi. Peraltro, pur riconoscendo la razionalità di quanto da lui detto, non ne condivide i contenuti nella quasi totalità dei casi, se non per la considerazione per cui la scelta adottata con il provvedimento in discussione è di carattere puramente politico. Ritiene inoltre che richiamando la rassegna stampa del Partito Democratico – che è cosa diversa dagli atti politici del Partito Democratico – il collega Calderisi ha, di fatto, cercato di «inquinare le acque». Intende quindi precisare che, da parte del Partito Democratico non vi è alcun pregiudizio o principio non negoziabile, non essendovi alcuna forma di demonizzazione del semipresidenzialismo sul modello francese. Il fatto è che il partito democratico predilige un modello diverso.
  In qualità di relatore cercherà quindi di sviluppare tale considerazione e di evidenziare come il testo approvato dal Senato appaia fortemente deficitario in molte sue parti.
  Sotto il profilo metodologico intende preliminarmente richiamare le parole di Vincenzo Cuoco contro il progetto di costituzione napoletana del 1799 che egli considerava un arbitrario tentativo di trasposizione di astratte idee costituzionali della Francia dell'epoca: «Le costituzioni sono simili alle vesti, è necessario che ogni individuo, che ogni età di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale se la dovrai dare ad altri, starà male (...)». Fa presente che pur essendo passati 250 anni sembra ancora lì il tentativo maldestro di riproporre soluzioni valide in altre realtà politico-istituzionali. Richiama quel rapporto necessario, fondamentale fra politica e diritto che poneva Leopoldo Elia quando affermava che «nessun istituto giuridico può essere compreso dallo studioso se non viene posto in relazione con il contesto che è chiamato a disciplinare e dal quale trae le sue origini». Si tratta dunque di una questione fondamentale che quando si mette mano a una riforma costituzionale non può essere elusa né sottovalutata.
  Rileva che vi è una verità costituzionale che è il portato della nostra storia e della nostra civiltà giuridica, che non può essere trattata come una semplice opinione, da cambiare con disinvoltura e strumentalizzare a fini politici. Anche quando si parla Pag. 24di forme di governo il pensiero torna sempre alla Costituzione, ben sapendo che, per ragione di vicendevole diffidenza sulle prospettive politiche future da parte di De Gasperi e Togliatti, la disciplina del governo parlamentare, disposta dagli articoli 92-96 della Costituzione è stata adeguata per garantire stabilità e capacità decisionale. Ricorda che nell'Assemblea costituente con l'ordine del giorno Perassi, sono stati previsti elementi stabilizzatori, indicando la fisionomia di riforme integrative, fisiologiche perché costituite da dispositivi coerenti con la forma di governo prescelta in armonia con gli equilibri istituzionali. Il merito dell'individuazione di questi correttivi è di due giuristi, non formati nel culto dello Statuto albertino ma consapevoli del fallimento della Costituzione di Weimar: si riferisce a Mortati e Tosato, soprattutto a quest'ultimo che teorizzava in Assemblea costituente la necessità di concentrare il rapporto fiduciario sul premier (principio del Cancelliere) e inventava letteralmente la sfiducia costruttiva, anticipando di alcuni anni i due pilastri della futura Costituzione tedesca. Seguendo la traccia di Mortati e Tosato è stata quindi redatta la bozza Violante, su cui erano relatori i colleghi Amici e Bocchino e quindi la bozza Violante-Quagliarello-Adornato.
  Ricorda infatti che solo nel mese di maggio scorso era stata raggiunta una certa unità di intenti tra i gruppi dell'Unione di Centro, del Partito Democratico e del Popolo delle Libertà sulla cosiddetta «bozza Violante-Quagliarello-Adornato», con cui si cercava di razionalizzare il sistema, superando il bicameralismo perfetto, aumentando i poteri del primo ministro e introducendo per la prima volta l'istituto della sfiducia costruttiva. Ricorda che tale punto di accordo è stato «buttato in aria» dal Popolo delle Libertà con il pretesto del sistema elettorale a doppio turno che tuttavia nulla ha a che vedere con questo aspetto.
  Rileva che seppure corrisponde a verità che, come ricordato dal collega Calderisi, nei paesi dell'Unione europea esistono due impostazioni, va tuttavia evidenziato che il semipresidenzialismo è presente solo in Francia e in parte in Romania mentre gli altri paesi si sono piano piano assestati su forme più equilibrate di organizzazione costituzionale.
  Ricorda come Leopoldo Elia, in uno dei suoi ultimi interventi, aveva portato a una conclusione definitiva il suo lungo studio sulle forme di governo, ritenendo più giusto classificarle non in base al carattere parlamentare o presidenziale ma alla loro capacità di «equilibrio». Vi sono forme di governo equilibrate nel presidenzialismo statunitense, nel sistema direttoriale svizzero, nel sistema parlamentare caratterizzato dalla fiducia al premier in Parlamento e dal governo guidato dal partito vincitore mentre abbiamo forme squilibrate nel parlamentarismo assoluto, nel semipresidenzialismo francese della V Repubblica, nelle forme di elezione diretta del vertice dell'esecutivo, specie se trasferito a livello statale. In questi ultimi assetti si rileva una concentrazione eccessiva di poteri o nel Parlamento o nel Presidente della Repubblica o nel premier. Il sistema francese soffre di squilibri strutturali profondi, perché accoppia alla stabilità del Presidente statunitense i poteri del Premier europeo, che può fare ricorso alla questione di fiducia e proporre lo scioglimento della Camera.
  A questo proposito richiama il pensiero di Balladur, già primo ministro francese nel 1993 con Mitterrand, pensiero esplicitato nell'introduzione del rapporto che è stato alla base dell'ultima riforma costituzionale francese del 2008: «la presidenzializzazione del regime cominciata nel 1962 con l'elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale diretto si è sviluppata senza che la legge fondamentale si sia evoluta in maniera tale da prevedere dei contropoteri al potere presidenziale da mettere in atto». Vi è dunque un problema di fondo: l'elezione diretta non è mai stata controbilanciata da poteri costituzionali seri.
  Evidenzia che, a proposito dello squilibrio istituzionale accentuato dall'introduzione del quinquennato e dall'inversione Pag. 25del calendario elettorale si aggiunge che questi sviluppi hanno avuto luogo senza contropoteri sufficienti e senza la responsabilità politica del presidente.
  Evidenzia quindi come la nozione di equilibrio, fondamentale in ogni democrazia, si configura in modo insufficiente in Francia, dando luogo ad una delle aporie fondamentali del sistema francese. È a suo avviso altresì importante ricordare l'ultimo paradosso della V Repubblica: la più grande revisione costituzionale della sua storia, avvenuta nel 2008, con 47 articoli emendati, ha coperto con il silenzio il presidenzialismo di fatto, ovvero il suo paradosso fondativo, per riassorbire il quale essa era stata in origine principalmente auspicata. La torsione in senso semipresidenziale nel 1962, dopo i fatti di Algeria, non ha avuto mai la possibilità di sperimentarsi secondo il dettato della Costituzione.
  Richiama l'intervento di Montebourg, riguardo alla centralità del Parlamento. Ricorda come le modifiche apportare nel 2008 alla Costituzione francese siano importanti per le funzioni attribuite al Parlamento ma niente o poco è stato rivisto con riguardo agli altri profili della forma di governo.
  Sottolinea di aver voluto fare queste premesse per poter evidenziare come il testo approvato dal Senato sia fortissimamente criticabile poiché contiene, se riferito al modello semipresidenziale francese a cui dice di ispirarsi, cose mal copiate, cose non copiate, cose copiate senza risolvere contraddizioni della Costituzione francese conclamate e da tempo oggetto in Francia di una discussione serrata.
  Passando ad un esame attento dell'articolato del progetto di legge approvato dal Senato, si sofferma in primo luogo sull'articolo 1 che, modificando l'articolo 55 della Costituzione, prevede che il Parlamento si componga della Camera dei deputati e del Senato federale della Repubblica, ponendo in primo luogo la questione di nome e di sostanza. Ricorda che la riforma del titolo V della Costituzione è rimasta incompiuta, perché non ha previsto la Camera di rappresentanza territoriale. Il processo legislativo in senso federale non si è mai realizzato e vi hanno sopperito ampiamente la Corte costituzionale con la sua giurisprudenza e forme di cooperazione tra Stato e regioni ed enti locali nel tentativo di portare razionalità e coordinamento istituzionale tra i vari soggetti. Rileva tuttavia come tutto questo non sia sufficiente: occorre decidere se si vuole governare tale situazione e razionalizzarla, dal punto di vista costituzionale, oppure se s'intende abbandonare quel progetto. Serve a suo avviso una camera territoriale vera, che risponda alle esigenze poste dalla riforma del titolo V, ossia l'esigenza di una camera territoriale che sia luogo della corresponsabilizzazione delle funzioni indivisibili tra centro e periferia. Sottolinea come il testo del Senato sia distante da ciò.
  Ricorda come vi siano due teorie costituzionali che si sono sviluppate negli anni e come occorra sceglierne una: la prima importante teoria costituzionale, che ha portato alla razionalizzazione del parlamentarismo e di cui l'esponente più interessante era un costituzionalista francese di origine russa, Mirkine Guetzevitch, sosteneva che è fondamentale la separazione tra le competenze e le funzioni se vogliamo parlare di razionalità parlamentare nella nostra epoca e nel nostro tempo.
  Un'altra teoria, a suo avviso più condivisibile, è quella stata ispirata da un altro costituzionalista (di origine tedesca e americano) il quale, negli anni Cinquanta, di fronte alla crisi del sistema federale statunitense, ha elaborato una teoria straordinariamente importante: la teoria delle salvaguardie politiche. Wechsler ha sostenuto che la modernità del federalismo doveva contemplare non più un federalismo di tipo competitivo, ma un federalismo di tipo cooperativo. Non dovevano, quindi, essere la divisione delle competenze e il ruolo arbitrale della Corte suprema a decidere se la competenza fosse dello Stato federale o di uno degli Stati che compongono la Repubblica federale statunitense, ma doveva esservi un luogo di confronto, una stanza di razionalizzazione, una stanza di compensazione: il Pag. 26luogo politico dove, anziché competere, si prendevano, assieme, decisioni importanti.
  Ci si avvia così lungo la strada della modernità del federalismo di tipo cooperativo. Oggi, se si vuole essere moderni e avveduti dal punto di vista costituzionale, occorre garantire il rapporto tra Stato e regioni non attraverso procedure giurisdizionali, ma attraverso processi decisionali comuni, in cui regioni, autonomie e Stato possano insieme decidere l'attività legislativa del nostro Paese.
  Tutto ciò non compare nel testo approvato dal Senato.
  Ricorda inoltre come le Camere federali vere (quelle che funzionano) sono piccole, perché nella Camera federale non devono essere presentate le istanze politiche ma i territori e affinché questi siano rappresentati non vi può essere diversità tra uno Stato grande e uno Stato piccolo. Ad esempio nel modello del Bundesrat tedesco il land di Brema che ha 360 mila abitanti manda tre senatori, la Baviera, che ha 11 milioni di abitanti, ne manda sei. Il motivo è che si tratta di Camere che devono rappresentare i territori e non la politica di quei territori.
  Ricorda invece come l'articolo 3 del testo approvato dal Senato modifichi l'articolo 57 della Costituzione prevedendo che il Senato federale della Repubblica sia composto da 250 senatori eletti a suffragio universale e diretto su base regionale. Rileva come in questa proposta non vi sia nulla di territoriale essendo solo una riproposizione di quanto già previsto due legislature fa e poi bocciato dal referendum.
  Si chiede inoltre cosa significhi, al quarto comma del nuovo articolo 57 della Costituzione che la legge dello Stato «garantisce la rappresentanza territoriale da parte dei senatori». Quanto al comma successivo, che stabilisce che partecipano ai lavori del Senato federale della Repubblica con diritto di voto un rappresentante per ogni regione sulle materie di legislazione concorrente ovvero di interesse degli enti territoriali, sottolinea come si configurerebbero venti «anime perse», che vagano nell'Aula del Senato su materie oltretutto di difficile definizione. Ricorda oltretutto come non sia stato soppresso l'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 e occorre dunque accordare le funzioni.
  Si tratta quindi a suo avviso di un lavoro confuso e pasticciato. Si chiede inoltre per quali ragioni si prevede che sono eleggibili gli elettori che hanno compiuto il trentacinquesimo anno di età, con un'impostazione differente rispetto a quanto previsto per i deputati.
  Ritiene l'articolo 6 quasi «comico» nel momento in cui si inserisce una cosa che prima non era prevista: i membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare ai lavori parlamentari, anche nelle Commissioni. Quando infatti si prescrive qualcosa con una norma è perché si presuppone un contesto culturale che prescrive il contrario, come se ora si fosse legittimati ad essere parlamentari senza partecipare mai ai lavori.
  Passando alle modifiche che riguardano il procedimento legislativo, si chiede in primo luogo per quali ragioni, si richiamino le leggi di cui all'articolo 125 della Costituzione che parla dei TAR che sono di competenza statale esclusiva ai sensi della lettera l) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione.
  Ricorda poi come il collega Calderisi abbia richiamato il voto a data fissa e il voto bloccato presenti in Francia. Può anche concordare su questo ma si chiede se quella prevista nel testo approvato dal Senato sia l'effettiva trasposizione dei due istituti come vigenti in Francia.
  In merito alla previsione del nuovo articolo 72 in base alla quale il disegno di legge, approvato da una Camera, è trasmesso all'altra, e s'intende definitivamente approvato se entro 15 giorni dalla trasmissione questa non delibera di disporne il riesame su proposta di un terzo dei suoi componenti, evidenzia come l'altra Camera potrebbe non essere mai coinvolta dando luogo ad un bicameralismo non eventuale quanto piuttosto ipotetico. Occorre invece uscire dal bicameralismo perfetto senza strumentazioni «isteriche». Ricorda quanto previsto dalla Costituzione Pag. 27francese e quanto era stato stabilito nella bozza Violante, sottolineando come la previsione in discussione dia luogo a un forte squilibrio con il rischio di svuotare l'articolo 67 della Costituzione.
  Richiama poi le modifiche apportate dal testo in esame all'articolo 83 della Costituzione. Evidenzia come il terzo comma preveda che il Presidente della Repubblica «rappresenta l'unità della nazione e ne garantisce l'indipendenza». Il quarto comma stabilisce che esso «vigila sul rispetto della Costituzione» mentre il quinto comma stabilisce che il medesimo «rappresenta l'Italia in sede internazionale ed europea». Ricorda come tali previsioni, prese in gran parte dalla Costituzione francese e poi «innestate a freddo» nel nostro ordinamento, creano forti contraddizioni. Non si possono infatti immaginare funzioni più politiche di quelle previste in capo ad un Presidente della Repubblica al quale si attribuisce al contempo una funzione di garanzia e di vigilanza. Ne emergono quindi numerose contraddizioni, frutto della sottovalutazione della discussione che si è avuta in Francia in questi anni.
  Ricorda come la V Repubblica in Francia conservi una torsione in senso iperpresidenzialista del ruolo del Presidente, conservando alcune caratteristiche della III e della IV Repubblica. In Francia il tutto è conseguito però a quanto accaduto in Algeria nel 1963 e al ruolo carismatico che De Gaulle ebbe in tale occasione. Ribadisce quindi come sia poco comprensibile inserire nel sistema italiano tale aporia del sistema francese ancora oggi non risolta.
  Per quanto attiene alle modifiche agli articoli 84 e 85 della Costituzione, relativamente all'elezione diretta del Presidente della Repubblica, evidenzia come i tempi auspicati dal collega Calderisi siano poco verosimili tanto più considerato che il testo prevede ben sei rinvii alla legge ordinaria: per individuare le situazioni di ineleggibilità e di incompatibilità, considerato che è da più di 15 anni che si discute del tema del conflitto di interessi; per determinare l'assegno e la dotazione del Presidente della Repubblica; per le candidature da presentare; per i finanziamenti e le spese per la campagna elettorale; per la procedura in caso di morte o di impedimento permanente di uno dei candidati; per la procedura elettorale.
  Evidenzia, in merito al terzo comma dell'articolo 85, come manchi la disciplina sul controllo sulla regolarità delle candidature presentate. Nel momento in cui non si dice nulla le decisioni spetterebbero agli organi di giustizia amministrativa ma occorre forse valutare se non sia più opportuno attribuire tale competenza alla Corte costituzionale, come avviene in Francia.
  Richiama poi il nuovo articolo 87, nel quale si manifestano le maggiori contraddizioni. Nel momento in cui si abroga il decimo comma si stabilisce che il Presidente della Repubblica non sia più il presidente del CSM mentre in base all'articolo 84 della Costituzione francese il Presidente della repubblica continua a presiedere un organismo analogo e al contempo è garante dell'indipendenza dell'autorità giudiziaria. In base alla proposta di legge approvata dal Senato invece egli non è più garante di tale indipendenza e quindi non può presiedere l'organismo di controllo dell'autorità giudiziaria. Si sofferma sull'articolo 16, che costituisce il cuore della questione. Si stabilisce infatti che il Presidente della Repubblica possa, sentiti il primo ministro e i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Si attribuisce quindi in capo a tale soggetto il potere massimo che è quello di scioglimento, ed egli non mette in gioco se stesso ma scioglie le Camere. Si aggiunge solo che le elezioni delle nuove Camere si svolgono entro sei mesi dall'elezione del Presidente della Repubblica.
  Richiama poi il nuovo articolo 89 della Costituzione che stabilisce che gli atti del Presidente della Repubblica adottati su proposta del primo ministro o dei ministri sono controfirmati dal proponente che ne assume la responsabilità. Non sono sottoposti a controfirma alcune ipotesi, dando luogo al massimo della premazia del Presidente della Repubblica sul Parlamento. Pag. 28Si tratta di un potere assoluto senza alcun limite, ad eccezione del fatto che la facoltà di sciogliere le Camere non può essere esercitata durante i dodici mesi che seguono le elezioni delle Camere. È vero che in Germania si sciolgono senza controfirma ma si tratta di due casi tassativamente previsti dalla Costituzione.
  Passando al nuovo articolo 92 della Costituzione, con particolare riguardo alla previsione per cui il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri salvo delega al primo ministro, ritiene tale formulazione meno ipocrita rispetto al modello francese, perché lo normalizza. Si chiude così il cerchio delle prerogative iperpoliticizzate in capo al Presidente della Repubblica che quindi presiede il Consiglio, scioglie le Camere senza controfirma, rappresenta il Paese all'estero. Sono altresì previste elezioni contestuali. Vi sono dunque una serie di contraddizioni che si aggiungono a quelle già presenti nel modello francese. Evidenzia inoltre come non si provveda a modificare l'articolo 94 della Costituzione che reca un modello di fiducia tipico di un sistema parlamentare che dunque mal si concilierebbe con le modifiche testé illustrate.
  Ricorda infine come per una svista al Senato è stata mantenuta la nuova formulazione dell'articolo 126 della Costituzione che fa riferimento ad una Commissione paritetica per le questioni regionali nonostante sia stato soppresso l'articolo 13 che ne disciplinava l'istituzione.
  Richiama poi la modifica proposta all'articolo 137 della Costituzione, ispirata al modello francese ma che va in una direzione diversa. Si tratta di una facoltà che potrebbe non essere mai attivata considerato il rinvio ad una legge costituzionale che ne stabilisca condizioni, limiti e modalità.
  In conclusione, torna alla premessa iniziale, chiedendosi questa riforma cosa significhi e quali risposte dia se rapportata all'attuale situazione politico-istituzionale.
  A suo avviso, il testo dà delle risposte sbagliate perché sceglie il fascino sotteso dal sistema gollista dell'investitura popolare del potere esercitato per cinque anni senza effettivi controlli.
  Si chiede tuttavia se è questo ciò di cui ha bisogno l'Italia o se il nostro Paese, come del resto l'Europa, abbia piuttosto bisogno di restituire centralità al Parlamento, luogo della centralità delle rappresentanze e del potere di controllo degli esecutivi. In Francia e in tutta Europa di questo si parla.
  Ricorda come Robert Dahl abbia di recente denunciato i limiti del mito dell'efficienza, che rischia di travolgere anche le garanzie dell'agire democratico, spezzando una lancia in favore di un recupero della centralità istituzionale del Parlamento.
  Ricorda come Grossman abbia ricordato come i parlamenti, oltre che un simbolo, sono una condizione della democrazia nel nostro emisfero politico-culturale, sicché la loro evoluzione, quale che sia la direzione che essa prenderà sotto il profilo funzionale, rappresenta una delle sfide più rilevanti alla trasformazione della politica democratica e alla sua comprensione.
  Ritiene dunque che il progetto di legge approvato dal Senato vada nella direzione esattamente opposta, poiché si risolve in un forte indebolimento del Parlamento, in una sostanziale marginalizzazione. Rileva che in Francia si è discusso e si continua a discutere sul rafforzamento del Parlamento e la stessa riforma del 2008 è andata in questa direzione. Ribadisce dunque l'ambiguità del semipresidenzialismo e non a caso vi è solo la Francia e in parte la Romania che perseguono tale direzione, considerato che anche il Portogallo e altri paesi dell'Est europeo hanno ripiegato su forme più equilibrate.
  Evidenzia dunque come il semipresidenzialismo o è totalmente verticale, quindi iperpresidenziale – come sembra essere il progetto di legge in esame – con i limiti già evidenziati o è a rischio di conflitto insolubile per il dualismo irrisolto tra il Presidente della Repubblica e il Parlamento. È lo spettro di Weimar, giova ricordarlo, che è stata la prima Repubblica Pag. 29semipresidenziale d'Europa. A suo avviso l'Italia ha bisogno di tutto tranne che di questo.

  Mario TASSONE (UdCpTP), nell'apprezzare le pregevoli relazioni svolte, chiede al Presidente come mai siano stati nominati due relatori con due visioni molto lontane tra di loro, che ripropongono la logica del bipolarismo. Chiede perché allora non nominare un terzo relatore, espressione di un'altra posizione politica.

  Donato BRUNO, presidente, anche sulla base dell'intervento del collega Tassone, invita i due relatori alla ripresa dell'esame dei provvedimenti, a ricercare una base d'intesa non guardando al passato, come hanno fatto con le loro apprezzabili relazioni, ma al presente e all'immediato futuro. Quindi, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Norme in materia di conflitti di interessi dei titolari delle cariche di Governo. Delega al Governo per l'emanazione di norme in materia di conflitti di interessi di amministratori locali, dei presidenti delle regioni e dei membri delle giunte regionali.
C. 442 Bressa, C. 1915 Di Pietro, C. 2664 Colombo, C. 2668 Veltroni e C. 4874 Cambursano.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in titolo.

  Gianclaudio BRESSA (PD), relatore, illustra le proposte di legge, sulla base di una relazione che ha predisposto d'intesa con il collega Calderisi.
  Rileva preliminarmente come le proposte di legge di cui la Commissione inizia oggi l'esame intervengono in materia di risoluzione dei conflitti di interesse dei titolari di cariche di governo sostituendo la vigente normativa recata dalla legge n. 215 del 2004.
  Illustra le proposte di legge seguendo i temi principali comuni a più di esse, con riguardo soprattutto ai principi generali e ai destinatari della disciplina, all'Autorità di controllo prevista, agli obblighi di dichiarazione, alle incompatibilità, agli obblighi di astensione, alla separazione degli interessi e al sostegno privilegiato nel settore delle comunicazioni e sanzioni.
  Quanto ai princìpi generali e ai destinatari della disciplina, le proposte C.442 Bressa, C.1915 Di Pietro, C. 2664 Colombo e C. 4874 Cambursano introducono princìpi generali riferibili a tutti i titolari di cariche pubbliche: l'obbligo di operare nell'esclusiva cura degli interessi pubblici; quello conseguente di astenersi da qualunque decisione che possa produrre un vantaggio rilevante nel loro patrimonio o in quello dei congiunti o di altri soggetti ad essi legati da rapporti di interesse.
  Rileva che le proposte citate prevedono una definizione del «conflitto di interessi», che è individuato nella presenza in capo al titolare della carica pubblica o a un suo congiunto, di un interesse economico privato tale da condizionare l'esercizio delle sue funzioni pubbliche o da alterare le regole di mercato relative alla libera concorrenza, ovvero dalla preposizione del titolare alla cura di un tale interesse.
  La proposta C. 1915 Di Pietro estende l'obbligo di astensione anche al personale sottoposto ai poteri di nomina, di revoca e di indirizzo dei titolari di cariche pubbliche.
  Sottolinea che tutte le proposte di legge individuano i principali destinatari della disciplina di prevenzione del conflitto nei titolari di cariche di governo statali: Presidente del Consiglio, vicepresidenti del Consiglio, ministri, vice ministri, sottosegretari di Stato e commissari straordinari del Governo.
  Le proposte C. 442 Bressa e C. 1915 Di Pietro nel definire il concetto di conflitto di interessi vi comprendono le situazioni soggettive non solo dei titolari di cariche di governo statali, ma anche delle seguenti cariche; il presidente di una regione; il componente di una giunta regionale; il presidente o il componente di una giunta provinciale (peraltro il decreto-legge Pag. 30n. 201 del 2011 ha soppresso le giunte provinciali); il sindaco o il componente della giunta di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
  La disciplina di prevenzione e di risoluzione di conflitti di interesse si applica esclusivamente ai titolari di cariche di governo, mentre per le cariche di governo negli organi delle autonomie territoriali di cui sopra, le due proposte di legge in questione dispongono una delega il Governo a disciplinare in modo analogo la materia, nel rispetto delle competenze legislative regionali.
  Diversamente la proposta C. 2664 Colombo inserisce tra i titolari di cariche rilevanti ai fini del provvedimento, oltre ai soggetti responsabili di cariche governative statali, anche i commissari straordinari e i presidenti delle regioni ordinarie e delle regioni a statuto speciale.
  La proposta C. 2668 Veltroni prevede la facoltà da parte delle regioni di disciplinare la materia al rispettivo livello istituzionale, sulla base dei principi stabiliti per gli organi di governo statali.
  Quanto alla Autorità di controllo, la proposta C. 442 Bressa istituisce una apposita Autorità indipendente, denominata «Autorità per la prevenzione dei conflitti di interessi e delle forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione», cui sono attribuiti i compiti e i poteri previsti dal testo al fine di prevenire ed eventualmente sanzionare i conflitti di interessi, fatte salve alcune specifiche competenze rimaste in capo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  L'articolo 4, comma 2, prevede che la nuova Autorità è destinata ad assorbire anche le competenze dell'Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione, il quale è stato peraltro soppresso dal decreto-legge 112 del 2008. Con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 2 ottobre 2008 le funzioni dell'Alto commissario sono state trasferite al Dipartimento della funzione pubblica, quale Autorità nazionale anticorruzione ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, ratificata dall'Italia con legge 3 agosto 2009, n. 116. Al riguardo va anche ricordato che il disegno di legge «anticorruzione» del Governo, approvato dal Senato, modificato dalla Camera e attualmente di nuovo all'esame del Senato (C. 4434) prevede l'istituzione di una apposita Autorità anticorruzione.
  La proposta C. 1915 Di Pietro mantiene invece l'impostazione della legge n. 215, che affida all'Autorità antitrust i compiti di controllo in materia di conflitti di interessi, ma, in ragione dei nuovi compiti e funzioni attribuiti all'Autorità, ne prevede il potenziamento. Più precisamente si prevede che l'Autorità si avvalga di un apposito nucleo della Guardia di finanza, oltre che della collaborazione di amministrazioni ed enti pubblici; e che il personale dell'Autorità sia aumentato di 10 unità.
  Anche, la proposta C. 4874 Cambursano conferma nell'Autorità garante della concorrenza e del mercato il soggetto deputato a vigilare sull'osservanza, nella gestione del patrimonio, dei principi e dei criteri stabiliti dalla proposta nonché sull'effettiva separazione della gestione. La proposta in questione individua, poi, le procedure istruttorie e la tutela giurisdizionale per gli atti dell'Autorità garante che, per l'espletamento delle funzioni a essa attribuite dalla proposta in esame, può chiedere a qualsiasi organo della pubblica amministrazione e a ogni altro soggetto pubblico o società privata, nei limiti di competenza consentiti dall'ordinamento, i dati e le notizie concernenti la materia disciplinata dalla legge stessa, avvalendosi dei poteri a essa attribuiti dalla normativa vigente.
  Quanto agli obblighi di dichiarazione, la proposta C. 442 Bressa reca disposizioni per la prevenzione del conflitto di interessi dei titolari delle cariche di governo: le norme mirano cioè ad evitare l'insorgere di conflitti di interessi. In particolare, si pongono in capo ai titolari delle cariche di governo e ai loro congiunti obblighi di dichiarazione funzionali a far emergere le situazioni di conflitto di interessi. I medesimi obblighi sono previsti, pressoché negli stessi termini, nelle proposte C. 1915 Pag. 31Di Pietro e C. 2668 Veltroni. Sostanzialmente, viene confermata la previsione di dichiarazione dei casi dei conflitti di interesse, prevista dall'articolo 5 della legge n. 215, che diventa però più dettagliata prevedendo un elenco tassativo di situazioni da dichiarare.
  Fa eccezione la proposta C. 4874 Cambursano, che stabilisce l'obbligo, per i titolari delle cariche pubbliche, di presentare all'Autorità antitrust tutti i dati relativi alle attività economiche con particolare riferimento alle imprese di cui, direttamente o indirettamente, detengono o hanno detenuto nei dodici mesi precedenti la titolarità, ovvero il controllo ai sensi della legislazione vigente in materia ovvero una partecipazione superiore al 2 per cento del capitale sociale. I medesimi soggetti sono, altresì, tenuti ad effettuare comunicazioni analoghe entro quindici giorni per ogni successiva variazione dei dati forniti.
  La maggior parte delle proposte mantengono in capo all'autorità di controllo l'accertamento sulla rilevanza delle dichiarazioni in ordine all'esistenza di possibili conflitti di interesse.
  La proposta C. 4874 Cambursano prevede, tra l'altro, che un decimo dei componenti di ciascuna Camera possa richiedere all'Autorità garante di svolgere tali accertamenti.
  Le proposte in esame recano poi un'articolata serie di incompatibilità tra la carica di governo e determinati incarichi, cariche o attività. Tra queste, è incluso l'esercizio di attività imprenditoriali, anche per interposta persona o attraverso società fiduciarie; sono tuttavia previste deroghe sia per il piccolo imprenditore, sia per l'imprenditore individuale: in questo senso si orientano le proposte C. 442 Bressa, C. 1915 Di Pietro, C. 2664 Colombo, C. 2668 Veltroni e C. 4874 Cambursano.
  Alcune delle proposte prevedono che, nel caso in cui il titolare versi in una situazione di incompatibilità, l'Autorità gliene dia comunicazione, invitandolo ad optare, entro trenta giorni, tra la carica di governo e la posizione incompatibile. In caso di mancato esercizio dell'opzione entro il termine, si intende che l'interessato abbia optato per la posizione incompatibile con la carica di governo.
  Le proposte C. 442 Bressa e C. 2668 Veltroni individuano una diversa specie di incompatibilità, avente carattere patrimoniale, che sussiste se il titolare della carica di governo ha la proprietà di un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro (proposta C. 442 Bressa) o ai 30 milioni (proposta C. 2668 Veltroni) in beni – ad esclusione dei titoli di Stato – la cui natura, tenuto conto delle specifiche funzioni di governo dell'interessato, è tale da determinare un conflitto di interessi; ovvero ha la proprietà o il controllo di un'impresa che svolge la propria attività in regime di autorizzazione o di concessione rilasciata dallo Stato. Anche la proposta C. 2664 Colombo prevede tale incompatibilità senza però porre un limite minimo all'ammontare del patrimonio.
  Qualora sussista una situazione di questo tipo, le proposte in questione (tranne la proposta C. 2664 Colombo) prevedono che l'Autorità inviti l'interessato ad optare tra il mantenimento della carica di governo o il mantenimento della posizione incompatibile ovvero la scelta per la risoluzione della condizione di incompatibilità, secondo modalità da concordare con l'Autorità. La mancata opzione è intesa, anche in questo caso, come rinunzia alla carica di governo.
  Anche la proposta C. 1915 Di Pietro prevede la stessa incompatibilità patrimoniale, che viene estesa anche al possesso di partecipazioni rilevanti in settori strategici quali difesa, energia, credito, opere pubbliche di preminente interesse nazionale, comunicazioni di rilevanza nazionale, servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione e settore pubblicitario (questa fattispecie è contemplata anche dalla proposta C. 2668 Veltroni); e alla concentrazione degli interessi patrimoniali e finanziari del titolare della carica di Governo nel medesimo settore di mercato, superiore a 10 milioni di euro, tale da configurare il rischio evidente di turbative della concorrenza o di condizionamento dell'attività di governo. Pag. 32
  La proposta C. 1915 Di Pietro, inoltre introduce una speciale causa ostativa all'assunzione di cariche di governo, vietando a coloro nei confronti dei quali è stato disposto il rinvio a giudizio di ricoprire dette cariche.
  Quanto agli obblighi di astensione, le proposte C. 442 Bressa, C. 1915 Di Pietro e C. 2668 Veltroni includono tra i poteri dell'Autorità la concreta individuazione dei casi in cui il titolare della carica di governo deve astenersi, nell'esercizio delle sue funzioni, da atti che, pur destinati alla generalità o ad intere categorie di soggetti, siano tali da produrre nel suo patrimonio o nel patrimonio dei suoi congiunti un «vantaggio economicamente rilevante e differenziato, ancorché non esclusivo», rispetto a quello della generalità dei destinatari; ovvero che siano destinati a ristrette categorie di soggetti nelle quali egli stesso rientri e tali da produrre nel suo patrimonio o in quello dei congiunti un vantaggio economicamente rilevante.
  La proposta C. 4874 Cambursano stabilisce l'obbligo, per il Presidente del Consiglio dei ministri, per i singoli Ministri e per i Sottosegretari di Stato, di astenersi da atti di governo se i medesimi possono influenzare specificatamente, in virtù dell'ufficio ricoperto, i propri interessi. Tali soggetti non possono partecipare alle deliberazioni attinenti alla carica ricoperta né adottare atti di rispettiva competenza quando coinvolgano, direttamente o indirettamente, interessi propri per quanto di loro conoscenza: sulla sussistenza degli stessi obblighi delibera il Consiglio dei ministri per i Sottosegretari di Stato mentre per i commissari straordinari del Governo provvede il Presidente del Consiglio.
  La norma rimette, poi, a un regolamento del Consiglio dei ministri il compito di assicurare adeguate forme di pubblicità agli adempimenti di cui sopra rendendo noti i casi di mancata partecipazione a deliberazioni, motivata ai sensi del medesimo comma.
  Passa a prendere in esame il capitolo della separazione degli interessi. La proposta C. 442 Bressa prevede una specifica procedura nel caso in cui l'Autorità accerti il possesso di partecipazioni rilevanti in determinati settori (difesa, energia, credito, opere pubbliche di preminente interesse nazionale, comunicazioni di rilevanza nazionale, servizi pubblici erogati in concessione o autorizzazione, settore pubblicitario); ovvero una concentrazione di interessi patrimoniali e finanziari nel medesimo settore, superiore a 10 milioni di euro e tale da configurare il rischio evidente di turbative della concorrenza o di condizionamento dell'attività di governo.
  In tali casi sorge un obbligo di «separazione degli interessi», se del caso attraverso l'istituzione di un «trust cieco».
  L'alienazione dei beni non è esclusa, ma è prevista solo – così la relazione illustrativa – «quale extrema ratio, quando cioè rappresenti l'unica misura possibile per evitare il conflitto di interessi nella specifica situazione».
  La proposta reca poi le sanzioni amministrative previste in caso di violazione degli obblighi di dichiarazione e degli obblighi di astensione.
  Anche la proposta C. 4874 Cambursano prevede forme di trasferimento delle attività economiche in modo da evitare l'insorgere di conflitti di interesse. In questa proposta però il trasferimento è conseguente all'eventuale mancato rispetto dell'obbligo di effettiva separazione gestionale delle imprese. Si prevede che, entro 45 giorni dall'assunzione della carica, i titolari delle cariche di governo sono tenuti a adottare misure dirette ad assicurare che le attività economiche di rispettiva pertinenza siano esercitate secondo criteri e in condizioni di effettiva separazione gestionale al fine di evitare qualsiasi ingerenza ovvero influenza di fatto da parte del titolare della carica di governo. In caso di accertata inadempienza i titolari sono tenuti alla alienazione o trasferimento delle attività economiche da parte dei titolari di cariche di governo e le relative sanzioni in caso di inadempienza. Nel caso di trasferimento viene scelto un gestore dal presidente dell'Autorità garante, d'intesa con il presidente della Commissione nazionale per la società e la borsa, sentito il titolare della carica di governo.Pag. 33
  L'articolo 4 della proposta C. 2664 Colombo disciplina le modalità attraverso le quali è ammesso porre fine al conflitto di interessi. In particolare si prevede che il soggetto possa vendere e collocare il capitale ricavato in un fondo cieco; dimettersi e realizzare la separazione dall'impresa o dall'attività in oggetto in caso di attività manageriale con l'impegno a non riassumere cariche o funzioni dello stesso tipo o nello stesso settore prima di tre anni dalla fine del mandato.
  Nel caso di impresa di editoria, giornalismo, radio, televisione o telefonia informatica, l'incompatibilità permane e impedisce l'assunzione di qualsiasi carica di governo.
  Ulteriore causa ostativa è costituita dalla concessione, da parte del Governo, del permesso di trasmettere nel settore pubblico o privato; nella proposta in questione chiunque è beneficiario di una concessione governativa, o lo è stato negli ultimi tre anni, resta comunque incompatibile con cariche di governo.
  Infine, si prevede che il provvedimento non si applichi ai casi di incompatibilità diversi da quelli dovuti alla titolarità di attività economiche e si assegna alla magistratura ordinaria il compito di accertare l'effettiva sussistenza delle condizioni di incompatibilità previste dal testo in esame su istanza dei soggetti a cui tali condizioni di incompatibilità sono contestate.
  La proposta C. 442 Bressa interviene anche in materia di «sostegno privilegiato» ai candidati o ai titolari di cariche di governo, da parte di imprese operanti nel settore delle comunicazioni, delle telecomunicazioni e dell'editoria, anche a mezzo Internet; sono definiti al riguardo i poteri di vigilanza e sanzionatori dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sia durante le campagne elettorali sia al di fuori di tali periodi. Disciplina analoga è prevista dalla proposta n. 1915.
  La proposta C. 4874 Cambursano reca norme in merito alle attività economiche concernenti il settore delle comunicazioni di massa stabilendo che, in caso di possesso di tali attività, l'Autorità garante accerti se i criteri e le condizioni di effettiva separazione gestionale risultano soddisfatti, anche in riferimento ai princìpi stabiliti dalla legge n. 28 del 2000, che reca Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica, e dal testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, di cui al decreto legislativo n. 177 del 2005, in modo che non sia favorito l'interesse del titolare della carica di governo interessato mediante forme di sostegno privilegiato in violazione dei princìpi del pluralismo, dell'obiettività e dell'imparzialità dell'informazione. Per tale accertamento e per l'eventuale applicazione delle sanzioni, l'Autorità garante acquisisce preventivamente il parere e le proposte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, salvo urgenza. È previsto un articolato sistema di sanzionatorio volto a colpire le violazioni delle regole sul conflitto di interessi. In particolare sono punite con diverse sanzioni amministrative pecuniarie le violazioni dell'obbligo di dichiarazione, le violazioni all'obbligo di astensione e il compimento di atti in conflitto di interessi in violazione delle misure preventive.
  Le proposte C. 442 Bressa e C. 1915 Di Pietro prevedono una delega al Governo per disciplinare i conflitti di interessi negli organi di governo di regioni ed enti locali, nel rispetto delle competenze legislative regionali, ma anche in conformità dei principi desumibili dal provvedimento in esame.
  La proposta C. 1915 Di Pietro interviene, oltre a disciplinare i conflitti di interessi dei titolari di cariche di governo, introduce alcune nuove cause di incandidabilità e ineleggibilità ad alcune cariche elettive.
  Infine, la sola proposta C. 2668 Colombo dispone in ordine alla parità di accesso ai mezzi di comunicazione durante la campagna elettorale al fine di assicurare condizioni di uguaglianza tra i sessi per accedere alle cariche elettive in attuazione dell'articolo 51 della Costituzione.Pag. 34
  Aggiunge una breve valutazione. Una legge sulla regolazione del conflitto d'interessi è una legge fondamentale in quanto separa gli interessi pubblici da quelli privati a garanzia della democrazia.
  In un regime di semipresidenzialismo, come quello prospettato dalla riforma costituzionale approvata al Senato, è necessario che la regolazione e il controllo siano effettuati prima e non a posteriori come prevede la vigente legge Frattini.
  Sottolinea come la maggior parte delle proposte di legge in esame affrontino la questione del controllo preventivo.

  Giuseppe CALDERISI (PdL), relatore, chiede preliminarmente che gli uffici predispongano un testo comparato del testo della riforma costituzionale approvato dal Senato e del testo uscito dalla Commissione bicamerale D'Alema, il testo Salvi, a suo modi vedere del tutto analoghi.
  È importante e rilevante anche rispetto alla questione della regolazione del conflitto d'interessi, che modifica le sue caratteristiche a seconda della scelta del sistema istituzionale che si adotta.
  Passando a prendere in esame le proposte di legge, osserva che quella a prima firma dell'onorevole Bressa, C. 422 e le altre analoghe ripropongono la nota visione del centro-sinistra che, ai fini dell'incompatibilità con la carica di governo, considera lo «status» (cioè l'essere titolare di determinate proprietà rilevanti per valore economico o per caratteristiche «strategiche») e non – come è nella legge vigente – l'adozione di atti in cui emerga, con l'indebito vantaggio, il conflitto.
  Ricorda che la soluzione proposta, lungamente discussa e respinta nel 2004, è quella dell'affidamento ad un trust di diritto europeo (quindi compatibile con l'ordinamento italiano di civil law in base alla convenzione europea vigente in materia) con il potere di disporre in modo pieno dei beni, con il solo vincolo di salvaguardarne l'ammontare quantitativo.
  Sottolinea come sia significativo (poiché anche di questo si era lungamente discusso a suo tempo) che la proposta dell'onorevole Bressa non preveda più la vendita «forzata» come alternativa al trust, prevedendo la vendita come facoltativa (su tutto o parte del patrimonio). Ma è chiaro che, ove sia rifiutato il trust (e la vendita), la conseguenza che si propone è la decadenza dalla carica di governo.
  Non vi è ragione, nell'attuale sistema costituzionale parlamentare, per cui si debba cambiare impostazione generale nel senso proposto dal centrosinistra dell'azione «preventiva» decadenziale o declaratoria della incompatibilità.
  Certamente l'applicazione della legge vigente ha fatto emergere debolezze su cui si potrebbe intervenire, senza però cambiare l'impostazione di fondo. Infatti la legge non si applica ai governi regionali; non è prevista la possibilità che un Ministro compia atti a vantaggio di un altro Ministro; l'atto incompatibile è solo quello che determina «danno all'interesse pubblico», il che è difficile da accertare; le Autorità oggi responsabili (Antitrust e Agcom) non hanno poteri adeguati per accertare lo stato patrimoniale rilevante dell'interessato. Quindi, se la forma di governo rimane quella parlamentare, sono senz'altro possibili questo tipo di modifiche e di integrazioni.
  Rileva come invece sia diverso il caso dell'introduzione dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica con la forma di governo semipresidenziale. In tale ipotesi, le modifiche e le integrazioni indicate potrebbero effettivamente essere insufficienti e avrebbe senso il principio del trust «cieco». Questo anche perché un candidato alla carica di Presidente della Repubblica difficilmente potrebbe rifiutarsi di affidare il suo patrimonio ad un trust di gestione indipendente se vuole presumibilmente ottenere il successo nella elezione.
  Si tratta, del resto, di quanto avviene non sono negli Stati Uniti, ma anche in Francia dove non c’è obbligo, ma il gesto di trasparenza e «distacco» premia in termini elettorali. Conseguentemente, sarebbe incongruo che membri di governo nominabili e revocabili dal Presidente sfuggano al medesimo regime sostanziale.Pag. 35
  Dunque, se l'impianto costituzionale venisse modificato con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, il sistema della prevenzione dei conflitti mediante il trust cieco non sarebbe più in contraddizione con il sistema, ma diverrebbe il più coerente corollario di questa trasformazione.
  In conclusione sottolinea come ovviamente, il testo della proposta dell'onorevole Bressa andrebbe comunque verificato e rimesso a punto sui vari aspetti (ad esempio i limiti patrimoniali che determinano le incompatibilità, limiti che sono particolarmente bassi, trattandosi solo di 15 milioni di euro).

  Donato BRUNO, presidente, aderendo alla richiesta dell'onorevole Calderisi, assicura che gli uffici predisporranno alla ripresa dei lavori parlamentari, dopo la pausa estiva, un testo a fronte della riforma costituzionale approvata al Senato e di quella approvata dalla Commissione bicamerale nella XIII legislatura. Quindi, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 19.35.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Martedì 7 agosto 2012.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 17.30 alle 17.45.

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