CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 20 giugno 2012
669.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
Pag. 76

INTERROGAZIONI

  Mercoledì 20 giugno 2012. — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Salvatore Mazzamuto.

  La seduta comincia alle 14.

5-06773 Bernardini: Sulle gravi condizioni di salute di un detenuto nel carcere di Nuoro.

  Il sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 1).

  Rita BERNARDINI (PD) dopo aver rilevato che al momento non le rimane che Pag. 77prendere atto della risposta del Governo circa le attuali condizioni di salute del signor Campailla, riservandosi di verificarle personalmente, si sofferma sulla questione generale della tutela della salute di detenuti considerati particolarmente pericolosi come quelli legati alla criminalità organizzata. A tale proposito fa presente che il signor Campailla era stato inserito nel circuito «A.S.1», dedicato al contenimento dei detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis e che quindi le preoccupazioni circa una sua vigilanza ridotta non sono fondate. Richiama quindi la sentenza della Corte di cassazione n. 46479/2011, del 14 dicembre 2011, dove è stato evidenziato, fra l'altro, come «il diritto alla salute del detenuto va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari o comunque il ricovero in idonee strutture».

5-06774 Bernardini: Sulle reali condizioni di salute di un detenuto nel carcere di Regina Coeli a Roma.

  Il sottosegretario Salvatore MAZZAMUTO risponde all'interrogazione in titolo nei termini riportati in allegato (vedi allegato 2).

  Rita BERNARDINI (PD) si dichiara insoddisfatta della risposta, dalla quale emerge la divergenza di valutazione tra il dirigente U.O.C. dell'istituto di Regina Coeli e il tribunale di sorveglianza circa la compatibilità delle condizioni di salute di Luigi Lainà con il regime carcerario. Ora si è comunque in attesa che il tribunale di sorveglianza si pronunci all'esito degli accertamenti del collegio peritale nominato nel mese di maggio scorso.
  Riferisce, inoltre, un fatto singolare verificatosi di recente. Sin dal 2006 le cartelle cliniche evidenziano che Luigi Lainà è affetto da varici esofagee, confermate nel tempo come patologia cronica di rilievo. Tuttavia, dall'ultima gastroscopia risulterebbe che le varici siano miracolosamente scomparse. Il che significa che l'ultimo esame gastroscopico non è stato eseguito correttamente ovvero che i medici in precedenza hanno mentito.

  Giulia BONGIORNO, presidente, dichiara concluso lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno.

  La seduta termina alle 14.15.

SEDE REFERENTE

  Mercoledì 20 giugno 2012. — Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. – Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Salvatore Mazzamuto.

  La seduta comincia alle 14.15.

Variazione nella composizione della Commissione.

  Giulia BONGIORNO, presidente, comunica che, per il gruppo del Partito Democratico, entra a far parte della Commissione il deputato Dario Franceschini.

Disposizioni in materia di misure cautelari personali.
C. 255 Bernardini, C. 1846 Cota e C. 4616 Bernardini.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dei provvedimenti.

  Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, osserva che oggi la Commissione affronta uno dei temi più complessi e delicati che attengono al rapporto tra individuo e autorità: la possibilità per lo Stato di limitare, fino ad azzerarla, la libertà personale di un soggetto prima che una sentenza definitiva ne abbia accertato la responsabilità in merito ad un determinato reato.
  Si tratta evidentemente di una deroga ai principi costituzionali, dettata dall'esigenza di salvaguardare il corretto svolgimento Pag. 78del procedimento penale e, dunque, impedire che, restando in libertà l'indagato, il trascorrere del tempo possa compromettere l'accertamento dei fatti e l'efficacia di una giusta sentenza.
  La delicatezza del bilanciamento tra diritti fondamentali (libertà individuale, da un lato; esigenze di giustizia a tutela della collettività, dall'altro) impone scelte legislative equilibrate che tengano adeguatamente conto di tutti gli interessi in gioco.
  La piena compatibilità delle misure cautelari detentive con i principi costituzionali ed, in particolare, con il principio di presunzione di innocenza, in assenza di una sentenza definitiva di condanna, è da tutti riconosciuta.
  È noto che il codice di rito prevede in primo luogo che «nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza» e, quindi, che devono essere accertate in concreto delle esigenze previste specificamente, quali il pericolo che l'indagato commetta un altro reato, che possa inquinare le prove o che possa darsi alla fuga. Opportunamente il legislatore ha previsto che la custodia cautelare in carcere possa essere disposta solamente in merito a reati di una certa gravità, individuati in quelli puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.
  Ed ancora, secondo la lettera dell'articolo 275, terzo comma, del codice di procedura penale, «La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata». In sostanza, l'inadeguatezza di altre misure non deve essere valutata solamente dal giudice, ma anche dal legislatore che potrebbe considerare in astratto sempre ricorrente tale inadeguatezza salvo il caso in cui lo stesso soggetto sottoposto alla custodia cautelare provi il contrario.
  Ciò è avvenuto in relazione a determinati reati inizialmente di criminalità organizzata e successivamente anche di violenza sessuale. Queste disposizioni legislative sono state oggetto di importanti sentenze sia della Corte di Cassazione che della Corte costituzionale, che in alcuni casi hanno suscitato anche forti polemiche tra giuristi, nella società civile ed anche tra le forze politiche. Mi riferisco, in particolare, alle pronunce della Corte Costituzionale n. 450 del 24 ottobre 1995 e n. 265 del 21 luglio 2010 nonché alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4377 del 20 gennaio 2012.
  Non ho intenzione di analizzare in questa sede le predette sentenze né di ripercorrere tutte le polemiche suscitate dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4377 in merito alla violenza di gruppo quanto piuttosto richiamare sia pure sinteticamente gli enunciati più importanti che emergono da tale giurisprudenza, ritenendo che possano essere di ausilio al delicato compito che ci stiamo accingendo ad affrontare: la riforma della disciplina delle misure cautelari detentive.
  La Corte Costituzionale con ordinanza n. 450 del 24 ottobre 1995 ha affermato che la presunzione legislativa astratta di inadeguatezza di misure cautelari diverse da quella carceraria è giustificabile per i delitti di criminalità organizzata di tipo mafioso (nella sentenza si parla di manifesta non irragionevolezza dell'esercizio della discrezionalità legislativa) in considerazione del coefficiente di pericolosità connaturato a tali delitti in relazione alle condizioni di base della convivenza e della sicurezza collettiva che agli illeciti di quel genere è connaturata. Si tratta della nota questione del principio del «doppio binario» fondato sul particolare allarme sociale suscitato dai reati di mafia.
  Nel febbraio del 2009 il legislatore ha esteso la predetta presunzione di inadeguatezza delle misure diverse da quella detentiva in carcere ai reati di violenza sessuale. Non mi dilungo su tale intervento legislativo considerato che si tratta di disposizioni che hanno preso corpo proprio in questa Commissione con l'accordo unanime se non di tutti i deputati, sicuramente di tutti i gruppi.
  La Corte Costituzionale con sentenza 21 luglio 2010, n. 265 (nello stesso alveo deve essere ricondotta la sentenza n. 231 del 2011) ha censurato tale scelta. A tale proposito ritengo opportuno abbinare, ai sensi dell'articolo 109 del Regolamento, Pag. 79questa sentenza alle proposte di legge in esame, vertendo sulla medesima materia.
  A ciò si aggiunga l'ultima decisione della Consulta in materia, la sentenza n. 110 del 3 maggio 2012, secondo cui «È illegittimo l'articolo 275. c 3, secondo periodo del codice di procedura penale nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 416 del codice penale, realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».
  Tale sentenza è solo l'ultima puntata di una lunga serie di arresti della Corte Costituzionale secondo cui la sussistenza delle condizioni per l'applicazione di una misura restrittiva della libertà deve essere valutata sulla base della situazione concreta e alla luce dei principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio, così da realizzare una piena «individualizzazione» della coercizione cautelare.
  Occorre considerare, inoltre, che secondo le statistiche nelle carceri italiane i detenuti in attesa di giudizio sono oltre 28 mila, cioè il 42 per cento del totale.
  Dopo questa breve ricostruzione introduttiva, intende entrare nel merito della discussione.
  Compito del legislatore è quello di valutare la possibilità di interventi in grado di migliorare il sistema cautelare, tenendo presenti da una parte, le esigenze di libertà individuale, e dall'altra la finalità di neutralizzare fenomeni di pericolosità sociale in tempi ragionevoli.
  Ogni scelta non potrà prescindere da un'analisi dell'applicazione, sinora fatta, di tale istituto e dei risultati prodotti, al netto dei costi e benefici.
  A questo proposito richiama l'intervento del Primo Presidente della Corte di Cassazione, dottor Ernesto Lupo, in occasione della inaugurazione dell'anno giudiziario in corso, quando ha dichiarato che: «Urgente attenzione va dedicata alle misure cautelari e pre-cautelari. L'elenco dei reati previsti per i quali è imposto o consentito l'arresto in flagranza, va radicalmente rivisto e ridotto. (...) È necessario che il legislatore assuma sul serio la natura di extrema ratio della custodia in carcere, ancora recentemente riaffermata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 231 del 2011), e la preveda soltanto in presenza di reati di particolare allarme sociale, e, soprattutto, la inibisca quando la condotta criminosa presa in considerazione sia risalente nel tempo e non accompagnata da manifestazioni concrete di attuale pericolosità sociale.» Un punto importante dell'intervento è anche quello in cui il Primo Presidente afferma che: «La questione chiama ovviamente in causa anche i giudici. Il difetto endemico del nostro sistema, a causa dell'eccessiva distanza temporale tra condanna ed esecuzione della pena, comporta sovente la spinta ad anticipare, in corso di processo o di indagini, il ricorso al carcere al fine di neutralizzare una pericolosità sociale, anche se soltanto ipotizzata, al fine di offrire una risposta illusoriamente rassicurante alla percezione collettiva di insicurezza sociale, che finisce così con il contagiare l'ambito giudiziario, determinando guasti sulla cultura del processo e delle garanzie.»
  Le misure cautelari costituiscono, dunque, sacrificio necessario per assicurare lo svolgersi dei procedimenti penali e per evitare l'inefficacia delle pene che potrebbero essere irrogate dopo tempi irragionevoli, tanto da non essere in grado né di assolvere alla loro funzione deterrente né a quella rieducativa, col concreto rischio di inquinamento probatorio, di fuga del responsabile del reato e/o di reiterazione.
  Tale sacrificio, però, potrebbe divenire inaccettabile per un Paese civile qualora si dovesse ricorrere all'utilizzo delle suddette misure oltre i loro presupposti, scavalcando i principi di proporzionalità e adeguatezza con motivazioni apparenti e mere formule di stile.
  In assenza di soluzioni migliorative si correrebbe il rischio concreto che le misure Pag. 80cautelari vengano utilizzate come medicina in grado di curare i mali della giustizia penale: potrebbe prender piede l'indebita e pericolosa convinzione che l'inefficacia della pena (dovuta alle lungaggini dei processi) possa essere recuperata col mezzo della carcerazione preventiva. Ciò, però, lungi dal costituire un rimedio è, in realtà, concausa determinante e grave sintomo dell'indebolimento di tutto il sistema giurisdizionale, la peggiore patologia di un ordinamento liberal-democratico.
  Passa quindi ad illustrare le proposte di legge all'ordine del giorno.
  Le tre proposte di legge in esame introducono modifiche alla disciplina sulle misure cautelari personali prevista dal codice di procedura penale. Le proposte di legge C. 255 e C. 4616 modificano inoltre il regime dei benefici penitenziari previsti dal relativo ordinamento (Legge n. 354 del 1975).
  La proposta n. 255 Bernardini ed altri, che si compone di due articoli, dimezza i termini della custodia cautelare, rende automatica la detrazione dei giorni di pena per la liberazione anticipata, aumentando il numero dei giorni detratti per ogni semestre. L'articolo 1 modifica l'articolo 303 del codice di procedura penale, che detta i termini di durata massima della custodia cautelare, riducendoli della metà (sono dimezzati sia i termini di fase che quelli complessivi).
  Il dimezzamento dei termini previsto dalla proposta di legge riguarda anche i termini complessivi previsti dal comma 4 dell'articolo 303. Quindi, la durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini: a) un anno (anziché due anni), quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni; b) due anni (anziché quattro anni), quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a); c) tre anni (anziché sei anni), quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni.
  L'articolo 2 della proposta di legge interviene sulla disciplina della liberazione anticipata, modificando l'articolo 54 della legge n. 354/1975 sull'ordinamento penitenziario. Secondo la modifica proposta al comma 1 dell'articolo 54, la detrazione per ogni semestre di detenzione – aumentata da 45 a 60 giorni – è concessa automaticamente al condannato indipendentemente dalla sua partecipazione all'opera rieducativa.
  L'articolo 2 della proposta di legge aggiunge, tuttavia, allo stesso articolo 54 un comma 2-bis che stabilisce che per ogni singolo semestre, il beneficio della riduzione di pena può essere negato in presenza di una relazione motivata del direttore del carcere che attesti, nel periodo di riferimento, la mancata partecipazione del detenuto alla rieducazione. La relativa decisione è assunta dal tribunale di sorveglianza con la presenza delle parti.
  La proposta di legge n. 1846, presentata dagli onorevoli Cota e Lussana, estende le ipotesi di applicazione della custodia cautelare per alcuni gravi reati ed esclude i benefici previsti dall'ordinamento penitenziario per chi, per tali reati, abbia già riportato una condanna definitiva.
  L'articolo 1 della proposta riformula il terzo comma dell'articolo 275 del codice di procedura penale, relativo ai criteri di scelta delle misure cautelari.
  Dalla nuova formulazione del terzo comma: è espunto il primo periodo ovvero il riferimento al ricorso della custodia cautelare come extrema ratio; è, inoltre, espunto il requisito della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati ivi indicati ed è, invece, introdotto come parametro per l'applicazione obbligatoria della misura la reiterazione, nei precedenti 5 anni, del reato della stessa specie per cui si procede, accertato da sentenza definitiva (salvo vi sia stata riabilitazione ex articolo 178 ss. c.p.); è ridotto, rispetto all'attuale comma 3, il catalogo dei reati in relazione ai quali è obbligatoria l'applicazione della custodia cautelare. Si segnala che rispetto alla vigente formulazione dell'articolo 275, Pag. 81terzo comma, rimarrebbero pertanto esclusi dall'automatica applicazione della misura introdotta dal comma 3, i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis, i reati associativi finalizzati al traffico di stupefacenti e al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, i delitti con finalità di terrorismo, la contraffazione di marchi e brevetti, l'introduzione nel Paese di prodotti con segni falsi, l'acquisto e alienazione di schiavi. Per tali reati verrebbe quindi meno anche la vigente disciplina più severa in ordine all'applicazione della custodia cautelare.
  L'articolo 2 della proposta di legge aggiunge un comma all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975). Il comma 1 dell'articolo 4-bis esclude dall'applicazione dei benefici penitenziari (assegnazione al lavoro esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata) i detenuti condannati per reati di particolare gravità ove non collaborino con la giustizia. La disposizione introdotta dall'articolo 2 esclude, in ogni caso, il godimento dei benefici penitenziari per chi è stato in precedenza già condannato per i reati previsti dal nuovo terzo comma dell'articolo 275 del codice di procedura penale.
  I tre articoli della proposta di legge n. 4616 Bernardini ed altri è stata presentata con lo scopo di limitare la discrezionalità nell'applicazione delle misure cautelari personali e in particolare della custodia cautelare in carcere, rafforzare le prescrizioni relative agli arresti domiciliari e innalzare la durata delle misure cautelari interdittive.
  L'articolo 1 modifica l'articolo 274 del codice di procedura penale relativo alle condizioni di applicabilità delle misure cautelari. Tali condizioni, individuate dall'articolo 274, sono il pericolo di inquinamento delle prove (comma 1, lett. a); il pericolo di fuga (comma 2, lett. b) e il pericolo di reiterazione dei reati (comma 3, lett. c). In particolare, il comma 1, lett. c) dell'articolo 274 prevede che le misure cautelari sono disposte quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Per limitare la discrezionalità del giudice nella valutazione del rischio di reiterazione del reato, il comma 1, lett. c) dell'articolo 274 è modificato con l'aggiunta della previsione dell'obbligo dell’«attualità» del pericolo di commissione dei reati. Nella stessa disposizione è, poi, soppresso il secondo periodo che, come recita la relazione alla proposta di legge, è stato riformulato e ricollocato – per esigenze sistematiche – in un comma 3-bis aggiunto all'articolo 275 (relativo ai criteri di scelta delle misure cautelari). In base al nuovo comma 3-bis, ove l'esigenza cautelare concerna «esclusivamente» il pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, la custodia cautelare in carcere è disposta soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni e solo nei confronti dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Accanto al parametro oggettivo, di natura edittale, ne è, quindi, introdotto un secondo, di natura soggettiva – sintomo di pericolosità sociale – che riduce la discrezionalità del giudice. La nuova disposizione fa comunque salvo quanto previsto dal comma 3 del medesimo articolo 275, sul ricorso alla custodia cautelare in carcere soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata.
  La custodia in carcere è comunque disposta se non è possibile il ricorso agli arresti domiciliari per mancanza di un domicilio privato o nell'ipotesi aggiunta Pag. 82dall'articolo 2 della proposta di legge cioè se l'indagato coabiti con la persona offesa.
  L'articolo 2 introduce una doppia modifica all'articolo 284 del codice di procedura penale relativo agli arresti domiciliari.
  L'attuale articolo 284 stabilisce (comma 1) che con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta.
  Quando è necessario, il giudice impone limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono (comma 2).
  Una prima modifica riguarda il comma 2, con un rafforzamento delle limitazioni cui è soggetto l'arrestato; diventa, infatti, regola generale il divieto di comunicazione con persone diverse da chi coabita con lui o da chi lo assiste, salvo che il giudice disponga diversamente in base a specifiche esigenze.
  Come accennato in precedenza, è aggiunto un periodo al comma 5-bis dell'articolo 284 che prevede l'impossibilità di concessione degli arresti domiciliari se l'indagato o l'imputato coabiti con la persona offesa dal reato per cui si procede.
  L'articolo 3 della proposta di legge, infine, modifica il termine di durata massima delle misure cautelari interdittive (sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori, sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali). L'attuale termine di due mesi (dall'inizio della loro esecuzione) è aumentato a sei mesi. Analogamente, si prevede che, in caso siano disposte per esigenze probatorie, le misure interdittive possano essere rinnovate dal giudice oltre sei mesi, anziché gli attuali due.
  La finalità dell'intervento – secondo la relazione alla proposta di legge – deriva dalla necessità di affiancare alle misure custodiali un più efficace strumento cautelare, che la pratica ha rivelato di particolare efficacia per evitare il pericolo di reiterazione di determinate tipologie di reato.
  La Commissione, dunque, potrà passare ad esaminare queste proposte che, a suo avviso, necessitano di ulteriori integrazioni.
  Sulla scorta di quanto ha già sostenuto in merito all'esigenza che temi delicati – come quello delle intercettazioni – vengano valutati da un collegio di giudici e non dal singolo magistrato, riterrebbe ragionevole estendere tale garanzia anche al tema oggi in questione.
  Ed invero, è innegabile che la collegialità possa garantire senz'altro maggiore ponderazione da parte dei giudicanti.
  Precisa di essere consapevole, tuttavia, che dal punto di vista pragmatico questa soluzione potrebbe non essere di agevole attuazione, essendo necessario disporre di un numero di magistrati superiore rispetto agli organici attuali.
  La materia delle misure cautelari coinvolge diritti fondamentali e per tale ragione riterrebbe opportuno verificare, in ogni caso, la fattibilità di siffatta garanzia.
  Si riserva, infine, di offrire ulteriori spunti, anche alla luce delle idee provenienti dall'avvocatura, da sempre sensibile all'argomento.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali.
C. 2519-3184-3247-3516-3915-4007-4054-B.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Alessandra MUSSOLINI (PdL), relatore, osserva come il provvedimento, in esame in seconda lettura, sia diretto a modificare la disciplina civilistica della filiazione naturale, con l'obiettivo di eliminare dall'ordinamento le residue distinzioni tra status di figlio legittimo e status di figlio naturale.Pag. 83
  Ricordo con grande soddisfazione come il testo unificato della Commissione Giustizia sia stato approvato in prima lettura dall'Assemblea all'unanimità (con un solo astenuto) apportandovi solo alcune modifiche condivise sostanzialmente da tutti, a testimonianza del lavoro approfondito e condiviso, svolto da tutti i gruppi con l'appoggio del Governo di allora. Il Senato, a sua volta, all'unanimità ha apportato delle modifiche a questo testo, che ora si appresta ad illustrare.
  In particolare, la proposta di legge consta di sei articoli: il primo disciplina le nuove disposizioni in materia di filiazione; il secondo prevede una delega al Governo per la modifica delle disposizioni vigenti al fine di eliminare ogni discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi; il terzo ridefinisce le competenze fra tribunali ordinari e tribunali dei minorenni in materia di procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli dettando, inoltre, disposizioni a garanzia del diritto dei figli agli alimenti e al mantenimento; gli articoli 4 e 5 recano disposizioni transitorie e in materia di stato civile mentre l'articolo 6 reca la clausola di invarianza finanziaria.
  Ritiene opportuno comunque non limitarsi ad illustrare le sole modifiche apportate dal Senato, le quali, costituendo l'oggetto dell'esame, saranno evidenziate al fine di distinguerle dalle parti ove si è realizzata la «doppia conforme» tra Camera e Senato.
  L'articolo 1 interviene, al comma 1, sulla disciplina della parentela modificando l'articolo 74 del codice civile, così da specificare che il vincolo sussiste tra le persone che discendono da un medesimo stipite, indipendentemente dal carattere legittimo o naturale della filiazione. La novella – che esclude la parentela nei casi di adozione di persone maggiori di età – è diretta a consentire la creazione di rapporti di parentela tra il figlio naturale e la famiglia del genitore.
  Con le medesime finalità, il comma 4 dell'articolo 1 modifica l'articolo 258 del codice civile affermando che il riconoscimento non si limita a produrre effetti per il genitore che l'ha effettuato, ma estende la propria efficacia anche sui parenti del genitore stesso.
  Il comma 2 dell'articolo 1, poi, modifica l'articolo 250 del codice civile, abbassando da 16 a 14 anni il limite dell'età a partire dalla quale il riconoscimento del figlio naturale non produce effetto senza il suo assenso; analogamente, è portata da 16 a 14 anni l'età al di sotto della quale il riconoscimento non può avere effetto senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.
  Il comma 2, inoltre, detta una nuova formulazione del quarto comma dell'articolo 250 che reca una più compiuta disciplina processuale per i casi di rifiuto del consenso al riconoscimento da parte del genitore. In particolare, si prevedono termini certi per l'opposizione al riconoscimento (30 giorni); l'audizione del minore che abbia compiuto 12 anni (salvo eccezioni motivate dal grado di discernimento del minore); l'assunzione da parte del giudice di provvedimenti provvisori e urgenti per l'instaurazione della relazione parentale; l'adozione, con la sentenza definitiva, dei provvedimenti sull'affidamento ed il mantenimento del figlio naturale nonché sul cognome che debba assumere.
  È inoltre modificato l'articolo 250, quinto comma, del codice civile: il vigente divieto di riconoscimento da parte dei genitori con meno di sedici anni di età è temperato dalla possibilità che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio
  È stata introdotta al Senato una nuova disposizione (articolo 1, comma 3) che riformula l'articolo 251 del codice civile, ampliando la possibilità di riconoscimento dei figli incestuosi. La norma, ora rubricata «Autorizzazione al riconoscimento», elimina, per i genitori, il requisito della inconsapevolezza – al momento del concepimento – del legame parentale tra loro esistente nonché la necessità della dichiarazione di nullità del matrimonio da cui deriva l'affinità. Viene precisato che, se il riconoscimento riguarda un minore, l'autorizzazione compete al tribunale dei minorenni.Pag. 84
  L'articolo 1, comma 4, della proposta di legge sostituisce il primo comma dell'articolo 258 del codice civile, stabilendo che il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso (attualmente si prevede che il riconoscimento non produca effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge).
  Il Senato ha soppresso l'originario comma 4 dell'articolo 1 del provvedimento, che modificava l'articolo 262 del codice civile, prevedendo che il figlio naturale potesse assumere il cognome del padre aggiungendolo (e non più sostituendolo) a quello della madre.
  Tale soppressione è stata giustificata nel corso del dibattito al Senato con la «esigenza di evitare che, nel caso di coppie non coniugate, si determini una paradossale discriminazione fra i figli nati e riconosciuti in base alla legislazione vigente, che consente – come è noto – anche la sostituzione del cognome paterno a quello della madre, e i nascituri per il cui riconoscimento troverebbe applicazione la nuova disciplina che, nel testo della Camera, prevede la sola aggiunta del cognome paterno».
  Un'ulteriore modifica del Senato riguarda la riformulazione dell'articolo 276 del codice civile in materia di legittimazione passiva alla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale (articolo 1, comma 5). La disposizione regola il caso (ora non previsto) in cui, morto il genitore, siano venuti meno anche i suoi eredi, parimenti legittimati passivi rispetto alla domanda. In tale ipotesi, il figlio naturale può proporre l'azione nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.
  Mentre il comma 6 dell'articolo 1 integra la rubrica del titolo IX del libro I del codice civile sulla potestà dei genitori con il richiamo ai diritti e doveri del figlio (di cui al nuovo articolo 315-bis), il successivo comma 7 detta una nuova formulazione dell'articolo 315 del codice civile (Stato giuridico della filiazione) che, sulla base del principio ispiratore dell'intero provvedimento, prevede che «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico».
  Collegata a tale modifica è la previsione di cui al comma 8, con l'introduzione dell'accennato articolo (315-bis c.c.) sui diritti e doveri del figlio.
  Mentre il vigente articolo 315 prevede solo i doveri del figlio verso i genitori (rispettare i genitori e contribuire, finché convivente, al mantenimento della famiglia in relazione al proprio reddito e alle proprie capacità), l'articolo 315-bis stabilisce anche il diritto del figlio: di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni; di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti; di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, se ha compiuto i 12 anni o anche in età inferiore, se capace di discernimento.
  Il comma 9 introduce nel codice civile una nuova disposizione (articolo 448-bis) che sottrae i figli dall'adempimento dell'obbligo di prestare gli alimenti nei confronti del genitore decaduto dalla potestà e permette loro di escluderlo, salvo eccezioni, dalla successione.
  Con il comma 10 dell'articolo 1, conformemente alla finalità del provvedimento di introdurre un unico stato giuridico della filiazione, sono abrogate le disposizioni sulla legittimazione dei figli naturali, di cui alla sezione II del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile. Il comma 11, per le stesse finalità, prevede la sostituzione delle parole «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrano nel codice civile, con la parola: «figli».
  L'articolo 2, sempre allo scopo di eliminare ogni discriminazione tra i figli, conferisce una delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità. Il termine di esercizio della delega è stabilito in 12 mesi dall'entrata in vigore dalla legge (comma 1).
  I numerosi princìpi e criteri direttivi dettati dal comma 1 per l'esercizio della Pag. 85delega (lettere da a) a p)) prevedono in primo luogo la sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai figli legittimi e ai figli naturali con i riferimenti ai figli; viene però fatto salvo l'uso delle denominazioni di figli nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, in relazione a disposizioni ad essi specificamente relative (lett. a). I numeri (da 1 a 8) della lettera b) recano una nuova articolazione e ridefinizione sistematica dei capi del titolo VII dei libro primo, la cui rubrica è denominata «Dello stato di figlio»; la risistemazione ha anche finalità di coordinamento con l'abrogazione delle disposizioni sulla legittimazione. La lettera c) prevede la ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione, prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio può essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo. La lettera d) indica, fra i criteri di delega, l'estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio e la ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità nel rispetto dei principi costituzionali. In riferimento a tale lettera è stato soppresso nel corso dell'esame al Senato il richiamo alla «identità di legittimati attivi, di termini e di rito». La lettera e) prevede la modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli naturali con l'adeguamento al principio dell'unificazione dello stato di filiazione delle disposizioni sull'inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia di uno dei genitori, demandando al giudice la valutazione di compatibilità con i diritti della famiglia legittima; altro principio di delega concerne l'inammissibilità del riconoscimento in tutti i casi in cui il riconoscimento medesimo è in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato. Con la lettera f) si prevede l'abbassamento dell'età del figlio minore da 16 a 14 anni ai fini dell'azione di disconoscimento della paternità (articolo 244 c.c.), dell'impugnazione del riconoscimento previa autorizzazione giudiziale e nomina di un curatore speciale (articolo 264 c.c.) e ai fini del consenso all'azione per la dichiarazione di paternità o maternità esercitata dal genitore o dal tutore (articolo 274 c.c.). La lettera g) indica, fra i criteri direttivi, la limitazione dell'imprescrittibilità dell'azione di impugnazione del riconoscimento solo al figlio e l'introduzione di un termine di decadenza per l'esercizio dell'azione da parte degli altri legittimati.
  Il Senato ha soppresso il criterio direttivo (lettera h, nel testo Camera) secondo il quale: l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, ove manchino gli eredi del presunto genitore, potesse essere proponibile nei confronti dei loro eredi; la titolarità dell'azione è estesa agli ascendenti.
  Mentre la nuova lettera h) prevede l'unificazione della disciplina sui diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati sia nel matrimonio che fuori del matrimonio, la lettera i) concerne la disciplina delle modalità di esercizio del diritto all'ascolto del minore che abbia adeguata capacità di discernimento, precisando che, nell'ambito di procedimenti giurisdizionali, ad esso provvede il presidente del tribunale o il giudice delegato. La successiva lettera l) prevede l'adeguamento della disciplina delle successioni e delle donazioni al principio dell'unificazione dello stato di figlio. Tale principio è stato integrato al Senato con la previsione, anche in relazione ai giudizi pendenti, di una disciplina che assicuri la produzione degli effetti successori nei confronti dei parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale premorto o deceduto nel corso del riconoscimento con conseguente estensione delle relative azioni petitorie per il riconoscimento del diritto all'eredità. Il criterio di cui alla lettera m) riguarda il necessario coordinamento della disciplina del diritto internazionale privato di cui alla legge n. 218/1995 al principio di unicità dello stato di figlio. La lettera n) concerne la specificazione della nozione di abbandono morale e materiale del figlio, con riguardo all'irrecuperabilità delle capacità genitoriali, fermo restando che le condizioni di indigenza non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia; la lettera o) Pag. 86prevede la segnalazione ai comuni da parte dei tribunali dei minori delle situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedano interventi di sostegno nonché i controlli che lo stesso tribunale effettua sulle situazioni di disagio segnalate agli enti locali; l'ultimo criterio di delega riguarda il diritto dei nonni ovvero la legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori (lettera p).
  Il comma 2 dell'articolo 2 prevede che i decreti delegati possano modificare ed integrare la normativa di attuazione del codice civile e le disposizioni transitorie per assicurare il necessario coordinamento con gli indicati principi e criteri direttivi. Sugli schemi di decreto legislativo è previsto il parere delle Commissioni parlamentari, che si esprimono entro due mesi (comma 3). È altresì prevista la potestà del Governo di adottare, entro un anno dall'entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, decreti integrativi o correttivi (comma 4).
  Durante l'esame al Senato è stato integralmente riformulato il contenuto dell'articolo 3 del provvedimento che, nel testo approvato dalla Camera, introduceva un nuovo Capo I-bis nel titolo II del libro quarto del codice di rito civile, relativo al procedimento per l'affidamento dei figli di genitori non coniugati (articoli da 711-bis a 711-quaterdecies). Tale procedimento, di competenza del tribunale dei minorenni, era disciplinato con riguardo alla forma della domanda, alla comparizione personale delle parti, al tentativo di conciliazione, ai poteri del giudice, alla possibilità di emettere provvedimenti temporanei e alla fase decisoria, alle garanzie, nonché alle impugnazioni e alla modificabilità dei provvedimenti adottati.
  Il nuovo articolo 3 detta una nuova formulazione dell'articolo 38 delle Disposizioni di attuazione del codice civile. In particolare, elimina dal testo dell'articolo 38 il riferimento all'articolo 317-bis del codice civile, così sottraendo al tribunale per i minorenni (ed attribuendola al tribunale ordinario) la competenza sulle controversie relative all'esercizio della potestà e all'affidamento anche dei figli naturali.
  Inoltre, attraverso la soppressione nello stesso articolo 38 dei relativi riferimenti normativi, riconosce al tribunale ordinario, anziché al tribunale dei minorenni, la competenza nelle seguenti materie: disciplina dell'amministrazione del fondo patrimoniale (articolo 171); costituzione dell'usufrutto sui beni di un coniuge in relazione alle necessità della prole (articolo 191, secondo comma); riconoscimento dei figli naturali (articolo 250); affidamento del figlio naturale e suo inserimento nella famiglia legittima (articolo 252); assunzione del cognome del minore (articolo 262); autorizzazione all'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale (articolo 264); decisioni nell'interesse del figlio in caso di contrasto tra i genitori (articolo 316), esercizio della potestà dei genitori (articolo 317-bis); dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (articolo 269, primo comma). Con riferimento poi all'adozione da parte del giudice di provvedimenti in presenza di una condotta del genitore pregiudizievole per i figli (articolo 333), viene confermata la competenza del tribunale per i minorenni, salvo che sia in corso un procedimento di separazione o divorzio o in materia di esercizio della potestà genitoriale, nel qual caso la competenza è attribuita al giudice ordinario.
  Oltre all'adozione del rito camerale nei procedimenti di affidamento e mantenimento dei minori, si prevede che i provvedimenti emessi dal tribunale competente in camera di consiglio siano provvisoriamente esecutivi. È confermata, poi, la competenza della sezione di corte d'appello per i minorenni sul reclamo sulle decisioni del tribunale dei minorenni.
  Il comma 2 dell'articolo 3 detta infine disposizioni in materia di adempimenti in materia di alimenti e mantenimento dei figli. In particolare si prevedono obblighi di prestazione di garanzie personali o reali nonché il possibile sequestro dei beni del genitore obbligato. I provvedimenti giudiziali,ove definitivi, permettono l'iscrizione di ipoteca sui beni del debitore ai sensi dell'articolo 2818 del codice civile.Pag. 87
  Il Senato ha modificato l'articolo 4, relativo alle disposizioni transitorie.
  La modifica ha natura di coordinamento: ai processi sull'affidamento e mantenimento dei figli, in corso alla data di entrata in vigore della legge in esame, si applica la disciplina sul procedimento camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. nonché quella in materia di garanzie sull'adempimento degli obblighi alimentari e di mantenimento di cui all'articolo 3, comma 2, della proposta di legge.
  Nessuna modifica è stata, infine, apportata agli articoli 5 e 6 del provvedimento in esame.
  L'articolo 5, al comma 1, demanda ad un regolamento governativo le necessarie e conseguenti modifiche alla disciplina dettata in materia di ordinamento dello stato civile dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 396 del 2000, mentre al comma 2 si prevede una modifica dell'articolo 35 dello stesso regolamento, relativo al nome imposto al bambino.
  L'articolo 6 reca infine la clausola di invarianza finanziaria.
  Sottolinea quindi come il provvedimento in esame sia particolarmente rilevante e delicato e come lo stesso, indipendentemente dalle modifiche apportate dal Senato al testo licenziato dalla Camera, si ispiri comunque al principio, da tutti condiviso, secondo il quale tutti i figli devono avere lo stesso stato giuridico, sia sotto il profilo del diritto sostanziale che sotto il profilo del diritto processuale. Si sofferma, in particolare, sulle modifiche introdotte dal Senato all'articolo 251 del codice civile, evidenziando come la nuova disposizione sia estremamente importante e di grande civiltà, atteso che finalmente si consentirebbe di riconoscere anche i figli incestuosi. Rivolge quindi un appello alla Commissione, invitando i colleghi a dirimere ogni eventuale divergenza sulla opportunità o meno di consentire il riconoscimento anche di questi figli e a tenere conto del fatto che si tratta di una norma introdotta esclusivamente per tutelare i figli, indipendentemente dai genitori. Più in generale rivolge un appello alla Commissione affinché si superi al suo interno ogni eventuale perplessità sul complesso delle modifiche apportate dal Senato, esprimendo il timore che, ove fossero apportate ulteriori modifiche dalla Camera, non vi sarebbe il tempo per trasformare questo provvedimento in legge, una legge di civiltà che nobiliterebbe il Parlamento intero ed ogni suo componente.

  Cinzia CAPANO (PD) dichiara di comprendere e condividere spirito dell'appello rivolto dalla relatrice. Ritiene in particolare che si possa condividere la modifica dell'articolo 251 del codice civile e che su altre modifiche apportate dal Senato si possa soprassedere, pur non condividendole. Tuttavia, considera inaccettabili le modifiche apportate all'articolo 3, che introducono delle discriminazioni molto forti sul piano processuale, in contrasto con lo spirito del provvedimento che e quello di attribuire a tutti i figli lo stesso stato giuridico. Alla Camera si era previsto un procedimento per l'affidamento dei figli di genitori non coniugati di competenza del tribunale dei minorenni, dettagliatamente disciplinato e con possibilità emettere provvedimenti temporanei. Nel nuovo articolo 3 si attribuisce ogni competenza al tribunale ordinario, si sopprimono tutte le disposizioni procedurali e si prevede il solo richiamo agli articoli 737 e seguenti del codice di rito. In questo modo, tra l'altro, il figlio di persone sposate potrà usufruire di un rito completo con applicazione, in particolare, dei provvedimenti di cui all'articolo 155 del codice civile, mentre il figlio di persone non sposate dovrà accontentarsi di un rito camerale dai contorni indefiniti. Ricorda, inoltre, che è in corso un complesso procedimento per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie e come sia possibile che nei tribunali più piccoli a breve non vi sarà più una sezione specializzata nel diritto di famiglia.
  Ritiene che una possibile soluzione sarebbe quella di sopprimere o eventualmente chiedere lo stralcio delle disposizioni processuali e approvare velocemente, in sede legislativa, le disposizioni sostanziali del provvedimento, al fine di lasciare al Senato il tempo necessario per la definitiva Pag. 88approvazione di queste ultime. Osserva come, d'altra parte, presso il Senato siano in corso di esame dei provvedimenti sul tribunale della famiglia e come in quel contesto potrebbero essere affrontate anche le norme processuali in questione.

  Federico PALOMBA (IdV) condivide pienamente l'intervento dell'onorevole Capano, dichiarando la propria ferma contrarietà alla normativa processuale introdotta dal Senato, che deve essere soppressa, e ribadendo il ruolo centrale che deve essere riconosciuto al tribunale dei minorenni. Esprime inoltre la propria contrarietà alla avvenuta soppressione dell'originario comma 4 dell'articolo 1, in materia di cognome dei figli naturali.

  Angela NAPOLI (FLpTP) esprime perplessità sulle modifiche apportate dal Senato all'articolo 251 del codice civile, in materia di riconoscimento dei figli incestuosi, perché ha il dubbio che una simile disposizione, sia pura animata dalla volontà di salvaguardare i figli, possa invece finire per legittimare indirettamente l'incesto. Ritiene che le modifiche introdotte in materia processuale trascurino e mortifichino la specificità del tribunale del minori. Non condivide la soppressione dell'originario articolo 1, comma 4, che nella formulazione della Camera prevedeva che il figlio naturale potesse assumere il cognome del padre aggiungendolo a quello della madre.

  Anna Paola CONCIA (PD) dichiara di condividere gli interventi della relatrice e della collega Capano, mentre manifesta stupore per l'intervento dell'onorevole Angela Napoli sul riconoscimento dei figli incestuosi, trattandosi di bambini che devono essere tutelati come tutti gli altri. Non condivide la soppressione dell'originario comma 4 dell'articolo 1, che stabiliva anch'esso un importante principio di civiltà. Ricorda quindi come esistano in Italia circa centomila figli con un unico genitore naturale che, in caso di morte dell'unico genitore, sono affidati ai servizi sociali e come su questo tema abbia presentato una proposta di legge, atteso che anche questi figli necessitano di una adeguata tutela.

  Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici.
C. 4041, approvata dal Senato, C. 541 Vitali, C. 2514 Galati, C. 2608 Torrisi, C. 3682 Duilio, C. 4139 Maggioni e C. 4168 Giammanco.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato il 19 giugno 2012.

  Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che il relatore ha presentato l'emendamento 18.100 (vedi allegato 3). Invita quindi il relatore ed il Governo ad esprimere i pareri sulle proposte emendative presentate.

  Salvatore TORRISI (PdL), relatore, invita al ritiro dell'emendamento Duilio 1.1; esprime parere favorevole sull'emendamento Cilluffo 1.3; raccomanda l'approvazione dei propri emendamenti 1.4 e 1.5; invita al ritiro degli emendamenti Duilio 2.1 e 2.2; invita al ritiro dell'emendamento Cilluffo 2.3, riservandosi di valutare la possibilità di eventuali riformulazioni della proposta emendativa; esprime parere contrario sugli emendamenti Duilio 2.4, 2.5, 2.6 e 2.7; esprime parere favorevole sull'emendamento Cassinelli 2.8, ove riformulato, e parere favorevole sull'emendamento Baccini 2.9; esprime parere contrario sugli identici emendamenti Paniz 3.1, Vitali 3.2, Bernardini 3.3 e Follegot 3.4; parere favorevole sugli emendamenti Cassinelli 3.5 e D'Ippolito Vitale 4.1; raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 4.2; esprime parere favorevole sull'emendamento Cilluffo 4.3; raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 5.1; esprime parere favorevole sull'emendamento D'Ippolito Vitale 5.2; invita al ritiro dell'emendamento Bernardini 5.3; raccomanda l'approvazione del proprio emendamento 6.1; esprime parere favorevole sull'emendamento D'Ippolito Vitale 6.2, ove riformulato, e sugli emendamenti Pag. 89D'Ippolito Vitale 6.3, Cilluffo 7.1 e 7.2; invita al ritiro degli emendamenti D'Ippolito Vitale 7.3 e Paniz 7.5; esprime parere favorevole sugli emendamenti Cilluffo 8.1 e Duilio 8.2; invita al ritiro dell'emendamento Vitali 9.1; esprime parere favorevole sugli emendamenti D'Ippolito Vitale 9.2 e 9.3; esprime parere contrario sull'emendamento D'Ippolito Vitale 9.4; parere favorevole sugli emendamenti D'Ippolito Vitale 9.5 e Bernardini 9.6; invita al ritiro dell'emendamento D'Ippolito Vitale 9.7; esprime parere favorevole sull'emendamento Vitali 9.8; invita al ritiro dell'emendamento Cilluffo 9.9; esprime parere favorevole sugli identici emendamenti Cavallaro 9.10 e Lussana 9.11; invita al ritiro degli emendamenti Cassinelli 9.12, D'Ippolito Vitale 9.13 e Cilluffo 9.14; esprime parere contrario sull'emendamento Baccini 9.15; invita al ritiro degli emendamenti Cilluffo 9.16, D'Ippolito Vitale 9.17 e 9.18; esprime parere favorevole sull'emendamento D'Ippolito Vitale 9.19 e sull'emendamento Cassinelli 9.20, ove riformulato; parere favorevole sull'emendamento D'Ippolito Vitale 9.21 e sull'emendamento Bernardini 9.22, ove riformulato; invita al ritiro dell'emendamento Vitali 9.23; esprime parere favorevole sugli emendamenti Samperi 9.24 e D'Ippolito Vitale 10.1; parere contrario sull'emendamento D'Ippolito Vitale 10.2; parere favorevole sull'emendamento Cassinelli 10.3, ove riformulato; parere contrario sull'emendamento D'Ippolito Vitale 11.1.

  Giulia BONGIORNO, presidente, fa presente che la Commissione deve ora svolgere delle audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito al disegno di legge C. 5019 Governo. Rinvia, quindi, il seguito dell'esame ad altra seduta, nella quale il relatore potrà completare l'espressione dei pareri.

  La seduta termina alle 15.15.

INDAGINE CONOSCITIVA

  Mercoledì 20 giugno 2012. — Presidenza del vicepresidente Fulvio FOLLEGOT.

  La seduta comincia alle 15.15.

Indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame del disegno di legge C. 5019 Governo, recante la delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, e degli abbinati progetti di legge C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 92 Stucchi, C. 2641 Bernardini, C. 3291-ter Governo e C. 2798 Bernardini.
Audizione del professore emerito di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, Mario Chiavario, e del professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata, Claudia Cesari.
(Svolgimento e conclusione).

  Fulvio FOLLEGOT, presidente, propone che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.
  Introduce, quindi, l'audizione.

  Mario CHIAVARIO, professore emerito di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Torino, e Claudia CESARI, professore ordinario di diritto processuale penale presso l'Università degli studi di Macerata, svolgono una relazione sui temi oggetto dell'audizione.

  Fulvio FOLLEGOT, presidente, ringrazia gli auditi e dichiara conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

  N.B.: Il resoconto stenografico della seduta è pubblicato in un fascicolo a parte.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

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