CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 14 giugno 2012
666.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO

TESTO AGGIORNATO AL 26 SETTEMBRE 2012

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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Giovedì 14 giugno 2012. — Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

  La seduta comincia alle 13.50.

Norme sull'acquisizione di conoscenze e competenze in materia di «Cittadinanza e Costituzione» e sull'insegnamento dell'inno di Mameli nelle scuole.
Emendamenti testo unificato C. 4117 Frassinetti e C. 2135 Coscia.

(Parere alla VII Commissione).
(Seguito dell'esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 6 giugno 2012.

  Isabella BERTOLINI , presidente e relatore, richiama quanto evidenziato nella precedente seduta e formula una proposta di parere favorevole sugli identici emendamenti 1.1 (nuova formulazione) Zeller ed altri e 1.2 (nuova formulazione) Enzo Carra al nuovo testo unificato delle proposte di legge in titolo.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sul partenariato e la cooperazione di lungo periodo tra la Repubblica italiana e la Repubblica islamica dell'Afghanistan, fatto a Roma il 26 gennaio 2012.
C. 5193 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Doris LO MORO (PD), relatore, dopo aver brevemente illustrato il provvedimento in esame, formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 1).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Mongolia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Ulan Bator l'11 settembre 2003.
C. 5108 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Doris LO MORO (PD), relatore, dopo aver brevemente illustrato il provvedimento in esame, formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel settore della difesa tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica islamica del Pakistan, fatto a Roma il 30 settembre 2009.
C. 5180 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

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  Doris LO MORO (PD), relatore, dopo aver brevemente illustrato il provvedimento in esame, formula una proposta di parere favorevole (vedi allegato 3).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
C. 2326-D, approvato dalla Camera, modificato dal Senato, nuovamente modificato dalla Camera e ulteriormente modificato dal Senato.

(Parere alle Commissioni riunite II e III).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Maria Elena STASI (PT), relatore, illustra, limitatamente alle modifiche apportate dal Senato e dalla Commissione di merito in quarta lettura, il nuovo testo del disegno di legge C. 2326-D Governo, approvato dalla Camera, modificato dal Senato, nuovamente modificato dalla Camera e ulteriormente modificato dal Senato, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno».
  Ricorda che l'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, riserva la materia «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Richiama, in particolare, le modifiche approvate in sede referente dalle Commissioni di merito al fine di superare, considerata la natura dei reati di pedofilia e le modalità in cui vengono commessi, la divisione delle competenze delle indagini tra procure circondariali e distrettuali che avrebbe reso problematico lo svolgimento delle indagini stesse, in quanto per uno stesso fatto vi sarebbe stata la concorrenza di indagini di procure circondariali e distrettuali sia pure con riferimento a diversi profili strettamente connessi.
  Evidenzia, infine, che la disposizione contenuta nell'articolo 6 del provvedimento, già oggetto di doppia deliberazione conforme, modifica l'articolo 5 della legge n. 1423 del 1956, che è stato nel frattempo abrogato dall'articolo 120 del Codice Antimafia (di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159) ed il cui contenuto risulta riprodotto, in un testo pressoché identico, all'articolo 8 dello stesso Codice antimafia.
  Formula, in conclusione, una proposta di parere favorevole (vedi allegato 4).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

Norme in materia di bevande analcoliche alla frutta.
Testo unificato C. 4108 D'Ippolito Vitale ed abb.

(Parere alla XIII Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole con osservazioni e con condizione).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Maria Elena STASI (PT), relatore, illustra il testo unificato delle proposte di legge C. 4108 D'Ippolito Vitale ed abbinate recante «Norme in materia di bevande analcoliche alla frutta».
  Ricorda che le disposizioni recate dal testo sono riconducibili, nel complesso, alla materia «tutela della concorrenza», che la lettera e) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione riconduce alla competenza legislativa statale.
  Rileva che le disposizioni da esso recate sono altresì riconducibili alle materie «alimentazione» e «tutela della salute», che il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione attribuisce alla competenza legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni.
  Evidenzia che alcune previsioni del testo unificato vanno valutate attentamente Pag. 44tenendo conto della normativa comunitaria, tenuto altresì conto che l'articolo 117 della Costituzione, al primo comma vincola la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto – tra gli altri – degli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario.
  Sottolinea in particolare che l'articolo 5, comma 2, del testo unificato prevede l'obbligo di riportare nell'etichetta dei succhi di frutta e delle bevande analcoliche a base di frutta anche il luogo di provenienza e di origine della frutta, individuando il luogo di origine o di provenienza come «il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione della frutta utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti di cui al comma 1».
  Rileva che tale indicazione risulta solo in parte coincidente con la definizione di origine utilizzata dal Regolamento CE n. 1169/2011, che sul punto rinvia al Codice doganale comunitario (Reg. (CE) n. 450/2008), il quale, all'articolo 36, definisce l'origine come il paese o il territorio in cui le merci sono interamente ottenute oppure il paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione sostanziale (nel caso in cui si tratti di merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori).
  Evidenzia che l'istituzione di un logo nazionale per le bevande analcoliche a base di frutta, per i succhi di frutta e per i nettari prodotti con l'uso esclusivo di frutta di origine o di provenienza italiana, di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unificato, analogamente alla previsione dell'articolo 5, potrebbero configurare misure ad effetto equivalente, non pienamente aderenti al disposto dell'articolo 34 TFUE; secondo la disciplina comunitaria, infatti, l'obbligo imposto da uno Stato membro di dichiarare l'origine di un dato prodotto potrebbe ritenersi ostativo della libera circolazione delle merci.
  Segnala, infine, che le disposizioni di cui all'articolo 7 del testo unificato, che prevedono l'adozione di campagne pubbliche di promozione delle bevande analcoliche che utilizzano il logo nazionale, da finanziare con parte degli introiti derivanti dalle sanzioni irrogate nell'attuazione di programmi antifrode, così quelle di cui al suddetto articolo 5, potrebbero porsi in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, secondo la quale la promozione della commercializzazione di prodotti fatti in taluni paesi o regioni, sottolineandone la provenienza, potrebbe configurare violazione della libera circolazione delle merci, in quanto può indurre i consumatori ad acquistare tali prodotti, escludendo quelli importati.
  Richiama, in proposito, la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea C-325/00, che ha condannato la Repubblica federale tedesca per aver introdotto un marchio riservato ai prodotti agro-alimentari realizzati interamente in Germania, e le successive pronunce della Corte (C-6/02 Commissione contro Francia; C-255/03 Commissione contro Belgio).
  Tenuto conto di quanto testè rappresentato, formula una proposta di parere favorevole con condizione e osservazioni (vedi allegato 5).

  Nessun altro chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

  La seduta termina alle 14.10.

SEDE REFERENTE

  Giovedì 14 giugno 2012. — Presidenza del presidente Donato BRUNO. — Intervengono il sottosegretario di Stato per l'interno Saverio Ruperto e il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Giampaolo D'Andrea.

  La seduta comincia alle 14.30.

Sui lavori della Commissione

  Donato BRUNO, presidente, comunica che, a seguito di quanto convenuto nell'ambito dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, le proposte di legge C. 2431 Di Biagio, C. 2684 Mantini e C. 2904 Sbai sono disabbinate dalle proposte di legge C. 103 Angeli e abb., per essere abbinate alla proposta di legge C. 4236 Bressa.

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza dei minori nati da genitori stranieri.
C. 2431 Di Biagio, C. 2684 Mantini, C. 2904 Sbai e C. 4236 Bressa.

(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

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  Isabella BERTOLINI (PdL), relatore, ricorda preliminarmente che presso la I Commissione sono da tempo in corso di esame in sede referente alcune proposte di legge (C. 103 e abbinate) che affrontano in maniera più ampia il tema della cittadinanza. La I Commissione aveva infatti elaborato un testo unificato al termine dell'esame in sede referente delle richiamate proposte di legge n. 103 e abbinate, su cui si è svolta la discussione generale in Assemblea ed a cui è poi seguito il rinvio in Commissione.
  Rileva che le proposte di legge di cui si avvia oggi l'esame riguardano dunque un tema più specifico, che investe un numero più limitato di soggetti. Le proposte di legge in esame intervengono essenzialmente su due aspetti: da una parte, sul comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, per disciplinare il caso di minori nati in Italia da genitori stranieri e, dall'altra parte, sul comma 2 dell'articolo 4, sempre con riguardo ai minori. A titolo personale, ritiene peraltro che il tema in questione necessiterebbe comunque di un esame più esteso della materia, tenuto conto che si incide sullo status soggettivo delle persone e che affrontare un aspetto singolo di una problematica più ampia e complessa non può che destare perplessità.
  Si sofferma quindi su alcuni dati numerici, ricordando che, come da più parti evidenziato, i dati del dossier della Caritas Migrantes per il 2011 rilevano come i minori stranieri in Italia siano attualmente pari a 932.675. Di questi, 77.148 sono i nuovi nati nel corso del 2009 da entrambi i genitori stranieri, cioè il 13 per cento di tutte le nascite, percentuale che sale al 16,5 per cento se si considerano i figli nati da matrimoni misti, e i figli degli immigrati iscritti a scuola sono 673.592, il 7,5 per cento della popolazione scolastica.
  Inoltre, dalle anticipazioni del rapporto della fondazione Cittalia Anci ricerche, presentate il 6 giugno 2012 presso la Camera dei deputati, risulta che «la presenza di minori con cittadinanza straniera regolarmente residenti in Italia ha raggiunto nel 2011 un numero complessivo vicino al milione (993.238) con un incremento dal 2000 ad oggi pari al 332 per cento. Se la quota della popolazione straniera sul totale dei residenti (italiani e stranieri) è attualmente del 7,5 per cento, i minorenni rappresentano il 21,7 per cento della popolazione straniera (4.570.317) e il 9,7 per cento del totale dei minori (italiani e stranieri)». Inoltre, «la proporzione dei minori nati in Italia è straordinariamente cresciuta rispetto a quella dei minori e giovani immigrati dall'estero, ed essi costituiscono oramai il 71 per cento del totale dei minori stranieri residenti. Il forte aumento delle nascite da genitori stranieri in questo ultimo decennio si riflette sulla struttura per età dei minori stranieri residenti. Nel 2011 i minori di età inferiore a 15 anni sono giunti a costituire l'87 per cento della popolazione minorile straniera e ben il 96 per cento, quasi l'intero universo, delle seconde generazioni propriamente dette». Gli stranieri dai 14 ai 17 anni, cioè in età da scuola secondaria di II grado rappresentano il 7,6 per cento del totale dei minori di quella classe d'età, mentre quelli dai 6 ai 13 anni d'età, cioè nel ciclo dell'istruzione obbligatoria (scuola primaria e secondaria di I grado) salgono al 17 per cento, una proporzione che aumenta poi al 25 per cento per i bambini dai 0 ai 5 anni, cioè in età da asilo nido e scuola dell'infanzia». Analizzate Torino, Alessandria, Genova, Varese, Verona, Trieste, Reggio Emilia, Ferrara, Forlì e Firenze, come città campione, è risultato un aumento delle cittadinanze acquisite di quasi 6 volte tra il 2004 e il 2010.
  Evidenzia poi che attualmente, in base alla normativa italiana vigente, acquistano la cittadinanza italiana di diritto alla nascita coloro di cui almeno un genitore sia cittadino italiano, in base al cosiddetto ius sanguinis. La legge n. 92 del 1991 disciplina poi alcune ipotesi che sono riconducibili al cosiddetto ius soli e che riguardano principalmente coloro che nascono nel territorio italiano ed i cui genitori siano da considerarsi o ignoti dal punto di vista giuridico oppure apolidi; coloro che nascono nel territorio italiano e non possono Pag. 46acquistare la cittadinanza dei genitori perché la legge dello Stato di origine dei genitori esclude che il figlio nato all'estero possa acquisire la loro cittadinanza; i figli di ignoti che vengono trovati a seguito di abbandono nel territorio italiano e per i quali non può essere dimostrato da parte di qualunque soggetto interessato il possesso di un'altra cittadinanza.
  La cittadinanza italiana viene acquisita anche per il riconoscimento della filiazione, cioè da parte del padre o della madre che siano cittadini italiani oppure a seguito di un accertamento giudiziale della sussistenza della filiazione. In questi casi l'acquisto della cittadinanza è automatico per i figli minorenni, mentre quelli maggiorenni conservano la propria cittadinanza, con la possibilità però di scegliere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un'apposita dichiarazione da effettuarsi entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero, nel caso in cui l'accertamento della filiazione sia avvenuto all'estero.
  Lo straniero nato in Italia può divenire cittadino italiano purché vi abbia risieduto legalmente ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età e se dichiara, entro un anno dal compimento dei 18 anni, di voler acquistare la cittadinanza italiana.
  Ricorda altresì che il testo elaborato dalla I Commissione nell'ambito dell'esame in sede referente delle richiamate proposte di legge n. 103 e abbinate, su cui si è svolta la discussione generale in Assemblea ed a cui è poi seguito il rinvio in Commissione, prevedeva – sul tema in esame – una modifica all'articolo 4, comma 2, della legge n. 91 del 1992, al fine di prevedere che, per l'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero nato in Italia, è necessario che la residenza, fino al raggiungimento della maggiore età, sia senza interruzioni e che lo straniero stesso abbia frequentato con profitto le scuole, almeno fino all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione.
  In tale sede si era scelto, invece, di non intervenire sull'articolo 9, comma 1, lettera a), della legge n. 91 del 1992, con l'intesa che tale questione sarebbe dovuta comunque essere oggetto di attento esame.

  Sesa AMICI (PD), relatore, si sofferma sul contenuto delle proposte di legge in titolo, che intervengono in particolare sugli articoli 1, 4 e 9 della legge n. 91 del 1992, recante norme in materia di cittadinanza, introducendo nuove fattispecie di acquisto o modificando requisiti già previsti dalla normativa vigente.
  Fa presente, in particolare, che l'articolo 1 delle proposte C. 2431 Di Biagio, C. 2684 Mantini e C. 4236 Bressa prevede una prima fattispecie di acquisizione di cittadinanza italiana per nascita, per coloro che nascono sul territorio italiano da genitori stranieri dei quali almeno uno vi risieda legalmente e in maniera continuativa per un periodo minimo, fissato in cinque anni dalle proposte di legge C. 2684 Mantini e C. 4236 Bressa e in tre anni dalla proposta di legge C. 2431 Di Biagio.
  Rileva che quest'ultima proposta di legge e la proposta C. 4236 Bressa prevedono, sempre all'articolo 1, anche una seconda fattispecie di acquisto di cittadinanza per nascita per chi sia nato da genitori stranieri di cui almeno uno nato in Italia che vi risieda legalmente. Per tale fattispecie di acquisto, le due proposte differiscono per la prescrizione di un periodo minimo di residenza interrotta: mentre la prima proposta di legge non stabilisce alcun requisito temporale, la seconda prevede invece che non vi siano interruzioni nella residenza per almeno un anno.
  Sottolinea che le proposte di legge che introducono fattispecie di acquisto di cittadinanza per nascita differiscono sotto il profilo delle modalità di tale acquisto: mentre la proposta di legge C. 2431 Di Biagio prevede che tale acquisto sia automatico salvo rinuncia da parte dell'avente diritto entro l'anno di raggiungimento Pag. 47della maggiore età, se in possesso di altra cittadinanza, le proposte di legge C. 2684 Mantini e C. 4236 Bressa subordinano il suddetto acquisto a conforme dichiarazione di volontà da parte di un genitore dell'avente diritto risultante dall'atto di nascita, ferma restando la facoltà di rinuncia dello stesso avente diritto alle stesse condizioni previste dalla proposta di legge C. 2431. Solo la proposta di legge C. 4236 Bressa prevede che nell'eventualità in cui nell'atto di nascita non sia espressa la volontà genitoriale di acquisto della cittadinanza da parte del minore, quest'ultimo può comunque acquistare la cittadinanza, senza ulteriori condizioni, se ne fa richiesta entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
  Inoltre, la proposta di legge C. 2431 Di Biagio introduce una norma di carattere particolare, in favore dei figli, nati in Italia, dei profughi provenienti dai territori della ex Jugoslavia nel corso degli eventi bellici degli anni ’90.
  Illustra quindi l'articolo 2 della proposta di legge C. 4236 Bressa che, novellando l'articolo 4 della legge n. 91 del 1992, prevede che, dopo il compimento del diciottesimo anno di età, lo straniero nato o entrato in Italia entro il quinto anno di età possa acquistare la cittadinanza italiana purché abbia risieduto legalmente in Italia fino al compimento della maggiore età, qualora manifesti entro un anno la volontà di diventare cittadino mediante un'apposita dichiarazione.
  Il medesimo articolo introduce inoltre un diritto all'acquisizione della cittadinanza, che prescinde dal luogo di nascita e si pone come una sorta di titolo definibile jure culturae o iure doctrinae, per il minore figlio di genitori stranieri che abbia frequentato corsi di istruzione presso istituti scolastici del sistema nazionale di istruzione o percorsi di formazione professionale per ottenere una qualifica professionale. L'acquisto della cittadinanza è possibile, alle medesime condizioni, anche in caso di dichiarazione, entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana.
  La disposizione pone un'alternativa sia allo jus sanguinis, sia allo jus soli, riferita a coloro che, pur non essendo nati in Italia, vi abbiano trascorso un periodo ritenuto decisivo per la formazione della loro personalità. Tale alternativa equipara, ai fini dell'effetto di acquisto, cicli di istruzione diversi, nonché la formazione professionale che si articola su percorsi di durata diversa.
  La proposta di legge C. 2904 Sbai novella anch'essa l'articolo 4 della legge n. 91 del 1992 prevedendo le seguenti fattispecie: lo straniero nato in Italia che abbia frequentato integralmente il ciclo scolastico obbligatorio presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, diviene cittadino italiano se dichiara di voler acquisire la cittadinanza italiana; lo straniero nato o entrato in Italia che compia il ciclo scolastico obbligatorio presso istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, acquista la cittadinanza su richiesta del genitore esercente la potestà genitoriale ovvero del tutore; il figlio minore di genitori stranieri entrato in Italia in un'età anche superiore a quella dell'obbligo scolastico acquista la cittadinanza quando ha completato il secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 10 marzo 2000, n. 62, ovvero qualora sia in possesso di un equipollente titolo di studio conseguito nel Paese di origine e riconosciuto dallo Stato italiano.
  La proposta di legge C. 2904 Sbai circoscrive l'ambito degli effetti dell'acquisto della cittadinanza, limitatamente alla seconda fattispecie, escludendo la facoltà del minore di chiedere il ricongiungimento familiare ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni (testo unico immigrazione), facoltà esercitabile quindi solo dopo il raggiungimento della maggiore età.Pag. 48
  L'articolo 2 della proposta di legge C. 2684 Mantini e l'articolo 3 della proposta di legge C. 2904 Sbai modificano il requisito temporale della residenza legale richiesta ai fini dell'acquisto della cittadinanza per concessione dalla lettera f) dell'articolo 9 della legge n. 91 del 1992, riducendolo, rispettivamente, da 10 a 6 e 8 anni.
  Inoltre lo stesso articolo 2 della proposta di legge C. 2684 Mantini modifica anche l'articolo 10 della legge n. 91 del 1992, che condiziona l'efficacia del decreto di concessione della cittadinanza alla prestazione, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, del giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato nonché i diritti di libertà e di autodeterminazione delle donne. Le modifiche prescrivono altresì che il giuramento sia preceduto dalla dimostrazione, da parte della persona a cui si riferisce, della buona conoscenza della lingua italiana.
  In merito a tale disposizione, ricorda infine che il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, riservato agli stranieri residenti da lungo tempo nel nostro Paese, è subordinato al superamento da parte del richiedente di un test di conoscenza della lingua italiana.

Sull'ordine dei lavori.

  Giuseppe CALDERISI (PdL) invita tutti i gruppi ad una riflessione: quello in esame è un tema di grande rilevanza, che è già stato oggetto di ampi ed attenti approfondimenti presso la I Commissione, con la ricerca di elementi di sintesi e di equilibrio tra posizioni distanti.
  Ritiene, infatti, che sia emerso con chiarezza come vi siano, tra i gruppi politici, posizioni molto distanti sulla tematica della cittadinanza, che nascono da convincimenti ed approcci culturali differenti.
  A suo avviso, dunque, il tema in questione potrà essere più opportunamente oggetto di esame nel corso della prossima legislatura, se vi sarà una maggioranza diversa al governo, che potrà – se lo riterrà opportuno – portare in porto la riforma in discussione, seppure con le mediazioni ed i punti di incontro che comunque sono opportuni. Non si tratta, infatti, di un argomento su cui vi possono essere forzature in un ramo del Parlamento piuttosto che in un altro né di un tema da ridurre a mera propaganda elettorale.

  Gianclaudio BRESSA (PD) fa presente al collega Calderisi che il suo gruppo ha chiesto di inserire il provvedimento in titolo nel calendario dei lavori dell'Assemblea per un atto di responsabilità politica e non per una provocazione.

  Salvatore VASSALLO (PD) ritiene in parte comprensibili le argomentazioni testè svolte dal collega Calderisi ma sottolinea come, proprio per la complessità della materia, vi è la necessità di esperire tutti i tentativi possibili affinché siano superate le criticità esistenti, almeno per quanto riguarda la situazione dei minori.
  Ricorda come sui minori nati e cresciuti in Italia fosse stato raggiunto un orientamento di massima condiviso tra i gruppi e la discussione svolta nella prima fase della legislatura in corso aveva fatto registrare dei passi in avanti. Il clima attuale e la maggioranza in parte mutata rispetto al passato dovrebbero dunque consentire di fare ogni possibile sforzo per portare avanti la discussione su un tema di rilievo quale quello in esame, a meno che si dica con chiarezza che non lo si vuole fare prima delle elezioni per non far vedere che il Parlamento ha approvato una legge che riconosce l'esistenza di cittadini con tratti della fisionomia in parte diversi da quelli europei.
  Auspica quindi che alla base non vi sia tale motivazione e che si voglia proseguire nell’iter parlamentare delle proposte di legge in titolo.

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  Mario TASSONE (UdCpTP) fa presente che da parte del suo gruppo vi è la volontà di proseguire nell’iter parlamentare delle proposte di legge in titolo. Occorre tuttavia chiarezza da parte di tutti i gruppi su un tema di estrema delicatezza e rilievo quale quello in discussione.

  David FAVIA (IdV) rileva che anche da parte del suo gruppo vi è la volontà di proseguire nell’iter parlamentare delle proposte di legge in titolo. Non ritiene infatti che su una materia di estrema delicatezza e urgenza quale quella in discussione possano incidere maggioranze di governo.

  Matteo BRAGANTINI (LNP) chiede al Governo di fornire quanto prima alcuni dati numerici che consentano di quantificare, in particolare, quanti siano gli stranieri che stanno facendo tornare nelle terre natie i componenti della propria famiglia a causa della crisi economica in atto o dei recenti eventi calamitosi verificatisi in Italia. Non vorrebbe infatti che per risolvere un problema se ne creassero altri: qualora tali soggetti avessero la cittadinanza italiana il rimpatrio sarebbe molto più complesso sotto il profilo burocratico.

  Salvatore VASSALLO (PD) intende precisare, per evitare eventuali incomprensioni, che nel suo intervento non vi era alcuna intenzione di attribuire al gruppo del Popolo delle libertà intenzioni o orientamenti di tipo razzista.

  Donato BRUNO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta. Avverte inoltre che la seduta in sede referente sarà sospesa e riprenderà al termine della seduta delle Commissioni riunite I e V, già prevista alle ore 15.

  La seduta sospesa alle 15 è ripresa alle 15.30.

Modalità di elezione del Consiglio provinciale e del presidente della provincia, a norma dell'articolo 23, commi 16 e 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
C. 5210 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 7 giugno 2012.

  Giuseppe CALDERISI (PdL), relatore, ricorda che il provvedimento in esame è stato presentato dal Governo in attuazione dell'articolo 23 del decreto-legge 201 del 2011, che ha riformato la materia delle funzioni e degli organi delle province, assegnando ad esse esclusivamente funzioni di indirizzo e di coordinamento e disponendo la riduzione del numero dei consiglieri provinciali e la loro elezione da parte dei consigli comunali.
  Il testo all'ordine del giorno attua, con alcune modifiche relative al numero dei consiglieri provinciali e all'elezione del presidente, le previsioni dei commi 16 e 17 dell'articolo 23, in materia di organi, introducendo un sistema di elezione di secondo grado del consiglio provinciale e del presidente della provincia dal quale dovrebbe derivare un rilevante risparmio di spesa.
  Infatti, la relazione tecnica stima le spese in base al sistema vigente in 318.703.200 euro e quelle derivanti dal nuovo sistema in 707.500 euro. Perciò il risparmio presunto a carico dello Stato sarebbe pari a 118.179.500 euro e quello a carico delle province sarebbe pari a 199.816.200 euro.
  Il risparmio di spesa e la semplificazione delle procedure di elezione degli organi di governo della provincia non sono gli unici obiettivi che il disegno di legge in esame intende raggiungere. Come riporta l'allegata Analisi dell'impatto della regolamentazione – AIR, ve ne sono anche altri Pag. 50due: vale a dire il mantenimento dei livelli di stabilità e di governabilità e la capacità di assicurare la rappresentanza equilibrata delle diverse comunità territoriali. Obiettivi che sono fondamentali: proprio per questa ragione, l'idoneità della disciplina elettorale concretamente prevista dal disegno di legge rispetto ai suddetti obiettivi dovrà essere oggetto di attenta verifica.
  Ricorda che l'articolo 23 del decreto-legge 201 del 2011, nello stabilire che gli organi di governo della provincia sono il consiglio provinciale e il presidente della provincia, implicitamente abolendo la giunta provinciale, dispone la riduzione del numero dei consiglieri provinciali, fissato nel numero di 10 per tutte le province, e la loro elezione da parte dei consigli comunali. Perciò, sia il consiglio provinciale che il presidente della provincia sono configurati – a differenza degli altri enti indicati dall'articolo 114 della Costituzione – come organi ad elezione indiretta: eletto il primo dagli organi elettivi dei comuni ricadenti nel territorio della provincia e il secondo dal consiglio provinciale stesso tra i suoi componenti (così, ripeto, il decreto-legge 201 del 2011 convertito con la legge 214 del 2011).
  Il sistema elettorale delineato dal provvedimento in esame è proporzionale, con voto di lista e preferenze, senza coalizioni, né soglie di sbarramento, né premi di maggioranza. Il diritto di elettorato attivo e passivo spetta ai sindaci e ai consiglieri comunali in carica nei comuni della provincia; l'intero territorio provinciale è costituito da un'unica circoscrizione elettorale sia ai fini della presentazione delle candidature, sia per l'attribuzione dei seggi.
  Le liste dei candidati al consiglio provinciale, comprensive dei relativi candidati alla carica di presidente della provincia sono presentate attraverso la sottoscrizione di un determinato numero di elettori; l'elettore vota insieme la lista e il candidato presidente e può esprimere due preferenze per i candidati alla carica di consigliere; è eletto presidente della provincia il candidato che ottiene il maggior numero di voti.
  L'attribuzione dei seggi alle liste ai fini della composizione del consiglio provinciale avviene in maniera proporzionale con il metodo del divisore d'Hondt – ma senza alcun premio di maggioranza – e i seggi sono poi attribuiti ai candidati in ordine al numero di preferenze ricevute.
  Invece, il vigente sistema di elezione diretta degli organi della provincia prevede che il presidente della provincia ed il consiglio provinciale siano eletti contestualmente con sistema misto a doppio turno e con premio di maggioranza, in base a liste formate da gruppi di candidati nei collegi uninominali, collegando il sistema proporzionale per l'elezione del consiglio con l'elezione diretta dei presidenti di provincia.
  Venendo alla descrizione dell'articolato, premette che si limiterà a riferire sui primi tre articoli, mentre degli altri cinque parlerà il collega Bressa. L'articolo 1 stabilisce la composizione del consiglio provinciale in proporzione alla popolazione residente delle province prevedendo tre fasce di popolazione: 16 consiglieri nelle grandi province (oltre 700.000 abitanti); 12 consiglieri nelle province medie (tra 300 e 700.000 abitanti); 10 consiglieri nelle piccole province (meno di 300.000 abitanti). Come già accennato è così modificata la previsione contenuta nell'articolo 23 del decreto-legge n. 201 che fissa i consiglieri a 10 membri, per tutte le province. La motivazione della diversa scelta, esposta nella relazione illustrativa del disegno di legge, è ricondotta all'esiguità di quel numero che potrebbe non consentire la presenza di numerose forze politiche all'interno del consiglio provinciale.
  Attualmente, ai sensi dell'articolo 27 TUEL, i consigli provinciali sono composti dal presidente della provincia e da 45 membri nelle province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti; da 36 membri nelle province con popolazione residente superiore a 700.000 abitanti; da 30 membri nelle province con popolazione residente superiore a 300.000 abitanti; da 24 membri nelle altre province. Il numero dei consiglieri provinciali è stato ridotto del 20 per cento, con Pag. 51arrotondamento dell'entità della riduzione all'unità superiore, dalla legge 191 del 2009 (articolo 2, comma 184, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge 2 del 2010). Ai fini della riduzione è escluso dal computo il presidente della provincia. La riduzione si sarebbe dovuta applicare a decorrere dal 2011 e per tutti gli anni a seguire, ai singoli enti per i quali avrebbe avuto luogo il primo rinnovo del rispettivo consiglio, con efficacia dalla data del medesimo rinnovo.
  Inoltre, il decreto-legge 138 del 2011 (articolo 15) ha stabilito un'altra riduzione pari alla metà (con arrotondamento all'unità superiore) sia del numero dei consiglieri provinciali, sia di quello degli assessori provinciali. Anche questa riduzione sarebbe stata applicata a tali organi a decorrere dal primo loro rinnovo.
  Ai fini della individuazione della fascia demografica della provincia, la popolazione è determinata dai risultati dell'ultimo censimento ufficiale (come già previsto dalla legge vigente: articolo 37, comma 4, TUEL).
  Il comma 3 prevede che lo svolgimento delle votazioni avverrà nella sola giornata di domenica, dalle ore 8 alle ore 20, mentre attualmente è possibile votare per le elezioni amministrative anche il lunedì mattina (articolo 52, decreto del Presidente della Repubblica 570 del 960), come del resto per tutte le altre elezioni (per le elezioni del Parlamento europeo si vota sabato pomeriggio e domenica). La scelta di limitare ad una sola giornata la votazione appare riconducibile alla notevole riduzione del corpo elettorale, formato dai soli sindaci e consiglieri comunali della provincia.
  Le votazioni si svolgeranno in uno o più uffici elettorali di sezione costituiti in locali messi a disposizione dall'amministrazione provinciale, ubicati nel territorio del solo comune capoluogo (in caso di più capoluoghi in quello sede dell'ufficio elettorale centrale di cui al successivo articolo 3). Anche la previsione della possibilità di costituire una sola sezione elettorale nell'intera provincia può essere ricondotta al ridotto numero di elettori. In proposito, la relazione tecnica stima in circa 130 il numero delle sezioni elettorali, in relazione al rapporto tra il corpo elettorale – valutato in 64.026 elettori – e il numero minimo di elettori (700) che l'articolo 3 impone per ogni sezione. Tuttavia, il numero di consiglieri comunali è destinato a diminuire progressivamente nei prossimi anni, in conseguenza della loro riduzione apportata dalle disposizioni sopra richiamate.
  Il testo non indica l'organo competente alla determinazione del numero delle sezioni elettorali, che però, anche in virtù della precedente considerazione, sembra opportuno individuare perché sarà chiamato ad effettuare una periodica rideterminazione delle sezioni. Del resto, non appare di immediata applicazione la normativa vigente che pone tale competenza a livello comunale in capo agli uffici elettorali comunali (decreto del Presidente della Repubblica 223 del 1967, articolo 34; decreto ministeriale 2 aprile 1998 n. 117).
  Ai sensi del comma 4, l'elezione non può svolgersi contemporaneamente all'elezione dei sindaci e dei consiglieri comunali. A questa disposizione è collegata l'abrogazione dell'obbligo di tenere le elezioni provinciali esclusivamente nel turno unico di primavera, dal 15 aprile al 15 giugno contenuta nell'articolo 7, comma 3.
  La relazione illustrativa attribuisce a questa disposizione l'effetto di evitare la partecipazione dei sindaci in scadenza, effetto che però potrebbe non prodursi, tanto più che, come la stessa relazione sottolinea, il complesso procedimento elettorale dei comuni (proclamazione degli eletti, convalida degli eletti da parte dei consigli) trova conclusione solamente nel mese di luglio. Andrebbe pertanto valutata la possibilità di introdurre un turno elettorale fisso anche per le province, distanziato da quello per i comuni.
  La data di svolgimento delle elezioni è fissata dal Ministro dell'interno non oltre il 50o giorno antecedente la data di votazione e, 45 giorni prima, deve essere trasmesso ai sindaci il provvedimento di convocazione dei comizi.Pag. 52
  L'articolo 2 attribuisce l'elettorato attivo a tutti i sindaci e i consiglieri comunali dei comuni del territorio provinciale in carica il 45o giorno antecedente le elezioni ed è stabilito un limite massimo di 700 elettori per ciascuna sezione elettorale. Per rendere quanto più aderente possibile l'elettorato attivo a quello passivo i prefetti possono ammettere al voto coloro che acquistano tale diritto prima della data del voto (e quindi cancellare chi non ha più tale diritto) anche se le liste elettorali devono essere compilate dagli stessi prefetti, al più tardi, entro il 10o giorno prima quello delle elezioni, con l'effetto che successivi cambiamenti non potranno essere considerati.
  L'elettorato passivo coincide con quello attivo: possono candidarsi i sindaci e i consiglieri comunali in carica della provincia. Cambia, però, il periodo temporale ultimo considerato ai fini della validità della candidatura: la presenza in carica deve risultare sia al momento della presentazione delle candidature, sia all'atto della proclamazione (articolo 2, comma 4). Invece la formulazione dell'articolo 23, comma 16, decreto-legge 201 del 2011 lascia impregiudicata la composizione dell'elettorato passivo prevedendo che «Il Consiglio provinciale è composto da non più di dieci componenti eletti dagli organi elettivi dei Comuni ricadenti nel territorio della Provincia».
  Analogamente alla normativa vigente (articolo 14, comma 6, legge 122 del 1951), le candidature devono essere presentate tra le ore 8 del 30o giorno e le ore 12 del 29o giorno prima delle elezioni e sono previsti numeri minimi e massimi di sottoscrizioni di elettori per consentire la presentazione di ciascuna lista, con un criterio misto elettori-popolazione, articolato su tre categorie di province. Per inciso fa presente che la prima categoria – «con meno di 300 elettori» – appare invero poco comprensibile, forse si tratta di un errore e si voleva dire «con meno di 300 mila abitanti».
  Con la lista dei candidati deve essere anche presentato il nome e il cognome del candidato alla carica di presidente della provincia, al quale è collegata ad una lista di candidati, la lista dei candidati deve essere formata da un numero di candidati non superiore al numero dei consiglieri da eleggere più 5 unità e non inferiore al numero dei consiglieri da eleggere e almeno un candidato e non più di un terzo dei candidati di ciascuna lista deve essere sindaco o consigliere del capoluogo di provincia. La relazione illustrativa attribuisce a quest'ultima previsione l'obiettivo di favorire un minimo di rappresentanti del comune capoluogo, in quanto quest'ultimo avrebbe un numero di elettori esiguo rispetto all'intero corpo elettorale, nonché quello di evitare che sindaco e consiglieri dei comuni di capoluogo possono concentrare le proprie candidature in poche liste, impedendo di fatto la presentazione di liste da parte degli amministratori degli altri comuni.
  È prevista, inoltre, una disposizione finalizzata alla parità di genere che prevede l'obbligo di comprendere in ciascuna lista candidati di entrambi i sessi (ossia almeno un candidato di sesso diverso), salvi i casi di motivata impossibilità, da dichiarare a cura dei sottoscrittori al momento della presentazione della lista stessa. La disposizione è collegata con la previsione della doppia preferenza di genere ma, secondo la relazione illustrativa, non è stato possibile favorire ulteriormente la rappresentanza di genere, dal momento che la legge elettorale comunale non prevede un analogo obbligo e ciò influisce sulla composizione di genere dei consigli comunali. Ricorda al riguardo che la Camera ha approvato l'8 maggio scorso la proposta di legge n. 3466, che ha introdotto significative innovazioni al riguardo.
  Per quanto non espressamente previsto, l'articolo 2 rinvia alle disposizioni, ove applicabili, in materia di presentazione delle candidature recate dagli articoli 32 e 33 del citato decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960.
  L'articolo 3 istituisce, per le operazioni elettorali, presso il tribunale del capoluogo di provincia, l'Ufficio centrale, composto da tre magistrati, con competenza in materia Pag. 53di presentazione delle candidature di riparto dei seggi alle liste e di proclamazione degli eletti, la cui composizione rispecchia quella dell'ufficio elettorale centrale che presiede allo svolgimento delle elezioni provinciali secondo la disciplina vigente (articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 122 del 1951). Per quanto riguarda la composizione e i compensi degli uffici elettorali di sezione, (commi 2-6 e 8-10) vengono confermate le disposizioni già vigenti. Le spese per le elezioni sono anticipate dal comune capoluogo dove esse si svolgono, che provvede anche ai relativi adempimenti organizzativi. Le spese sono a carico della provincia, secondo il principio che ogni organo affronta le spese per il rinnovo dei propri organi, stabilito dalla legge 136 del 1976, ad eccezione di alcune spese spettanti allo Stato.
  Conclude svolgendo alcune considerazioni di carattere generale, alla luce del contenuto del disegno di legge. La prima riguarda la necessità di definire finalmente le funzioni delle province: se solo di indirizzo e di coordinamento, come nell'articolo 23 del decreto-legge 201 del 2011, o anche di altra natura, come si va delineando nella discussione della Carta delle Autonomie attualmente all'esame del Senato. Si tratta di una questione fondamentale che occorre risolvere in via prioritaria (se non addirittura pregiudiziale). Non si può procedere con interventi legislativi di carattere ordinario che si contraddicono uno con l'altro. Una posizione chiara dovrebbe venire – a suo avviso – dallo stesso Governo.
  Di conseguenza, ritiene necessario procedere innanzitutto con la revisione degli articoli 114 e 133 della Costituzione, in modo da rendere certa la natura delle province come enti con sistema elettorale di «secondo grado» e da definire con precisione il ruolo e il tipo di funzioni delle province. Occorre ricordare, oltretutto, che sono pendenti due ricorsi alla Corte costituzionale contro l'articolo 23 del decreto-legge 201 del 2011.
  Anche per la scelta del sistema elettorale non si può prescindere dal ruolo e dalla natura delle funzioni che le province sono chiamate a svolgere. Se le funzioni sono quelle della Carta delle autonomie all'esame del Senato, ad esempio, sarebbe molto discutibile il sistema elettorale previsto dal disegno di legge, cioè un sistema proporzionale senza alcun apprezzabile meccanismo maggioritario (salvo il blando effetto del sistema d'Hondt applicato al riparto di un numero di seggi relativamente contenuto), che darebbe quasi certamente luogo ad una elevata frammentazione della rappresentanza (stanche anche il peso elettorale molto consistente dei consiglieri dei piccoli comuni, in molte aree del paese, come preciserò tra poco, consiglieri dei piccoli comuni che molto spesso sono espressione delle più varie liste civiche). Un sistema di questa natura, applicato ad enti che devono svolgere rilevanti funzioni e non solo quelle di indirizzo e coordinamento, è evidentemente inidoneo ad assicurare il «mantenimento dei livelli di stabilità e di governabilità» che costituisce uno degli obiettivi fondamentali che il disegno di legge si pone, come riportato nella già menzionata Analisi dell'impatto della regolamentazione – AIR.
  Altrettanto vale per quanto riguarda un altro obiettivo dichiarato del disegno di legge – sempre riportato nell'Analisi dell'impatto della regolamentazione – AIR – cioè la «capacità di assicurare la rappresentanza equilibrata delle diverse comunità territoriali». Un solo esempio vale a far comprendere la criticità del disegno di legge su questa fondamentale questione e probabilmente a indicare anche il possibile rimedio.
  Innanzitutto va detto che il numero dei consiglieri comunali, escluso il sindaco, è stabilito dalla legge in base al numero degli abitanti del comune: sopra 1.000.000 di abitanti, 48 consiglieri; sopra 500.000 abitanti, 40 consiglieri; sopra 250.000 abitanti, 36 consiglieri; sopra 100.000 abitanti, 32 consiglieri; sopra 30.000 abitanti, 24 consiglieri; sopra 10.000 abitanti, 16 consiglieri; sopra 5.000 abitanti, 10 consiglieri; Pag. 54sopra 3.000 abitanti, 7 consiglieri; sotto 3.000 abitanti, 6 consiglieri: in tutti i casi si aggiunge il sindaco.
  Prendendo su queste basi l'esempio della provincia di Torino, che ha 2.302.352 abitanti e 315 comuni, e il cui capoluogo, Torino, ha 907.563 abitanti, si ottiene che c’è un comune sopra i 500 mila abitanti, che avrebbe 41 elettori, 9 comuni tra 30 mila e 100 mila avrebbero tra 25 elettori ciascuno per un totale di 225 elettori; 24 comuni tra 10 mila e 30 mila abitanti avrebbero 17 elettori ciascuno per un totale di 408 elettori; 29 comuni tra 5 mila e 10 mila abitanti avrebbero 11 elettori ciascuno per un totale di 319 elettori; 48 comuni tra 3 mila e 5 mila abitanti avrebbero 8 elettori ciascuno per un totale di 384 elettori; 204 comuni sotto i 3 mila abitanti avrebbero 315 elettori ciascuno per un totale di 2.805 elettori.
  Di conseguenza, il capoluogo Torino, con 907.563 abitanti, pari al 39, 41 per cento della popolazione della intera provincia, avrebbe solo l'1,46 per cento degli elettori; i 9 Comuni con più di 30.000 abitanti, con una popolazione complessiva di 1.277.402 abitanti, pari al 55,48 per cento del totale, avrebbero complessivamente solo 225 elettori, pari al 9,48 per cento del totale; i 204 comuni con meno di 3.000 abitanti (di cui 113 con meno di 1.000 abitanti e addirittura 7 con meno di 100 abitanti), con una popolazione complessiva di poco superiore ai 200.000 abitanti, pari al 9 per cento del totale, avrebbero complessivamente 1428 elettori, pari al 50,9 per cento del totale; 6 comuni (Moncenisio con 42 abitanti, Ingria con 47, Massello con 61, Ribordone con 69, Salza di Pinerolo con 79 e Meugliano con 96) con complessivi 394 abitanti, pari allo 0,043 per cento della popolazione complessiva avrebbero 42 elettori a fronte dei 41 di Torino.
  È evidente che, con il criterio per l'elettorato attivo adottato dal disegno di legge, senza alcuna «ponderazione» dei voti espressi dai consiglieri comunali in base al numero degli abitanti rappresentati, la «capacità di assicurare la rappresentanza equilibrata delle diverse comunità territoriali», obiettivo dichiarato del disegno di legge (come riportato nell'allegata Analisi dell'impatto della regolamentazione – AIR) appare alquanto problematica.
  Problematicità che non viene certamente risolta dalla norma di cui al comma 6 dell'articolo 2, cioè dalla previsione che ogni lista comprenda almeno un candidato che ricopra la carica di sindaco o consigliere comunale del comune capoluogo, e dalla norma di cui al comma 2 dell'articolo 4 – su cui riferirà il collega Bressa – cioè dalla previsione che nel caso di espressione di una seconda preferenza da parte dell'elettore, questa sia data a favore di un candidato che ricopra la carica di sindaco o consigliere del comune capoluogo (o, in alterativa, a favore di un candidato di sesso diverso). Si tratta, di tutta evidenza, di correttivo non in grado, da solo, di assicurare la rappresentanza equilibrata delle diverse comunità territoriali. Al riguardo ritiene che l'unica soluzione possibile sia quella di adottare un sistema di voto ponderato di cui, come relatore, intende farsi carico e per proporre alla Commissione una soluzione.

  Gianclaudio BRESSA (PD), relatore, sottolinea l'importanza del problema evidenziato dal collega Calderisi relativamente all'equilibrio della rappresentanza degli enti locali nel consiglio provinciale, facendo a sua volta l'esempio della provincia di Napoli, nella quale, in base al disegno di legge in esame, il comune di Napoli eleggerebbe quattro consiglieri per ogni consigliere eletto dal comune di Camposano, il quale però ha una popolazione di 200 volte inferiore a quella di Napoli. È chiaro che un sistema come quello delineato dal provvedimento in esame non assicura in alcun modo l'equilibrata rappresentanza territoriale.
  Fa presente che, se si guarda ai principali Paesi europei, soltanto in Spagna sono previste elezioni di secondo livello per l'ente intermedio, ma, accanto al consiglio elettivo, è previsto un organo di governo: questo perché all'ente intermedio sono assegnate funzioni di governo. A suo Pag. 55avviso, introdurre un sistema di elezione di secondo livello per i consigli provinciali senza poi garantire la formazione di una maggioranza significativa e stabile equivale a condannare l'ente provinciale al fallimento fin dall'inizio. In Germania e in Francia, dove gli enti intermedi hanno compiti amministrativi rilevanti, l'elezione è diretta e comunque esiste un organo di governo.
  Ritiene quindi illogico voler definire il sistema di elezione dei consigli provinciali senza aver prima stabilito quali sono le funzioni delle province: se solo quelle di indirizzo e coordinamento dei comuni, come previsto dal decreto-legge n. 201 del 2011, oppure anche funzioni proprie di amministrazione attiva, come previsto dal disegno di legge recante la cosiddetta Carta delle autonomie, all'esame del Senato.
  Se le funzioni che si vogliono attribuire alle province sono solamente quelle di indirizzo e coordinamento dei comuni, una disciplina elettorale diviene, di fatto, inutile e c’è da dubitare, comunque, che enti eletti in primo grado accettino di farsi indirizzare e coordinare da un ente eletto in secondo grado. Se invece si vogliono attribuire alle province funzioni effettive di amministrazione in determinati ambiti, allora è necessario assicurare nell'ente provincia l'equilibrata rappresentanza del territorio, la democraticità della rappresentanza e la stabilità del governo. Si tratta però di condizioni che il disegno di legge in esame non provvede in alcun modo, prefigurando anzi instabilità di governo e disequilibrio della rappresentanza territoriale, con i comuni piccoli – nei quali spesso ad essere dominanti sono liste civiche locali – in posizione di maggiore forza.
  Venendo ora all'illustrazione degli articoli dei quali non ha già parlato il collega Calderisi, fa presente che l'articolo 4, oltre a elencare i principi dell'elezione, dispone che i consiglieri provinciali e il presidente della provincia sono eletti sulla base di liste concorrenti. La scheda riporta, per ciascuna lista presentata, all'interno di un riquadro, il contrassegno, il candidato alla presidenza della provincia sostenuto da quella lista e lo spazio per l'espressione di due preferenze. L'elettore può votare per un candidato alla presidenza, segnando il contrassegno della lista e può esprimere due preferenze per i candidati alla carica di consigliere: in tal caso la seconda preferenza, a pena di nullità, deve essere espressa a favore di un consigliere o del sindaco del comune capoluogo di provincia, in quanto in ciascuna lista ci deve essere almeno uno e non più di un terzo dei candidati che ricoprano la carica di sindaco o di consigliere del comune capoluogo, o di un candidato di sesso diverso da quello che ha ricevuto la prima preferenza. A suo avviso, quest'ultima disposizione è irragionevole, in quanto non garantisce né l'equa rappresentanza del comune capoluogo, né quella dei generi.
  Quanto alle modalità di espressione del voto e delle preferenze, le norme in esame non forniscono indicazioni ulteriori sulla validità del voto. Considerando la norma finale di chiusura (articolo 7, comma 1) che rinvia, per quanto non stabilito dal disegno di legge in esame, al decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960, si può ritenere che possano applicarsi le norme recate dall'articolo 57 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960 per l'indicazione delle preferenze. Quest'ultimo articolo prevede la prevalenza del voto di lista sulla preferenza, per cui è ’inefficace’ la preferenza espressa per candidati compresi in una lista diversa da quella votata e, d'altro canto, nel caso in cui «l'elettore non ha indicato alcun contrassegno di lista, ma ha scritto una o più preferenze per candidati compresi tutti nella medesima lista, si intende che abbia votato la lista alla quale appartengono i preferiti». È nulla la preferenza nella quale candidato non «sia designato con la chiarezza necessaria a distinguerlo da ogni altro candidato della stessa lista» ed anche quelle espresse in eccedenze al numero stabilito.
  Poiché il decreto della Presidente della Repubblica 570 del 1960 non reca, ovviamente, disposizioni sull'espressione del voto per la lista e il candidato presidente Pag. 56occorrerà specificare che il voto per il candidato presidente è valido anche se espresso tracciando un segno sul nome del candidato presidente.
  Il modello di scheda è riportato alle tabelle A e B allegate al disegno di legge e l'articolo 2, comma 3, specifica che le schede sono fornite dalla prefettura – ufficio territoriale di Governo. La relazione tecnica allegata al disegno di legge, sottolinea che le spese per la fornitura delle schede elettorali, dei manifesti recanti i nomi dei candidati e degli eletti e del materiale per il funzionamento degli uffici elettorali di sezione, sono a carico dello Stato, come per le altre elezioni amministrative.
  Quanto al sistema di trasformazione dei voti in seggi, sottolinea che si tratta, in sostanza, del classico metodo d'Hondt, che però non garantisce alcuna maggioranza, anzi comporta il rischio di una forte frammentazione dell'organo elettivo, a meno di prevedere un congruo premio di maggioranza o altri correttivi. Per la trasformazione dei voti in seggi, sono previste – più precisamente – le seguenti operazioni: definizione della cifra elettorale di ciascuna lista come somma dei voti validamente espressi in tutta la provincia, che costituisce altresì la cifra elettorale del candidato presidente sostenuto dalla lista; definizione della cifra elettorale di ciascun candidato alla carica di consigliere come somma delle preferenze ricevute in tutta la provincia; descrizione delle operazioni da effettuare per la ripartizione dei seggi spettanti alla provincia (numero di membri di cui è composto il consiglio provinciale) tra le liste, con il metodo d'Hondt; proclamazione dei consiglieri eletti, per ciascuna lista che ha diritto a seggi, secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali; un seggio è di fatto riservato ad un candidato di cui all'articolo 2, comma 6, vale a dire a un consigliere o al sindaco del comune capoluogo di provincia; a tal fine, se non risulta eletto dalla assegnazione di cui al punto precedente, viene proclamato eletto il candidato che ha tali requisiti che abbia ottenuto la maggiore cifra individuale, presentato da una lista che abbia ottenuto almeno un seggio. Il corrispondente seggio è sottratto al candidato, della medesima lista, con la minore cifra individuale.
  Per la dichiarazione di chiusura delle operazioni di voto e l'inizio dello scrutinio, si rinvia a quanto stabilito dall'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960, che, per le elezioni comunali, disciplina l'accertamento del numero di votanti, la vidimazione delle liste degli elettori, il conteggio delle schede non votate e la verifica del numero di elettori che non ha votato. Il verbale delle operazioni di ciascun ufficio elettorale di sezione deve essere trasmesso all'ufficio elettorale centrale (presso il tribunale del capoluogo di provincia, articolo 3, comma 1), alla prefettura – ufficio territoriale di Governo e all'amministrazione provinciale.
  Ai fini dell'attribuzione dei seggi, l'ufficio elettorale centrale deve calcolare la cifra elettorale di ciascuna lista (che deve essere uguale alla cifra elettorale del candidato presidente sostenuto dalla lista) e di ciascun candidato alla carica di consigliere e deve effettuare il riparto dei seggi e la proclamazione degli eletti.
  Di queste operazioni, l'ufficio elettorale centrale deve redigere un verbale che sarà inviato all'amministrazione provinciale, alla prefettura (insieme ai verbali ed ai plichi ricevuti dagli uffici di sezione) e, infine, depositato presso il tribunale sede dell'ufficio centrale, dove gli elettori della provincia possono visionarlo nei successivi 15 giorni.
  Nel caso in cui un seggio rimanga vacante per qualsiasi causa, esso è attribuito al candidato della lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale, vale a dire il primo dei non eletti. Non è considerata dal testo l'ipotesi in cui il primo dei non eletti non sia più in possesso dei requisiti per l'eleggibilità, che potrebbe verificarsi data la natura dell'elettorato passivo, anche se l'articolo 6, comma 2, prevede che il presidente della provincia e i consiglieri provinciali rimangono in carica anche in caso di perdita dei requisiti per l'eleggibilità. Al riguardo va segnalato che l'Anci ha chiesto che sia prevista la Pag. 57decadenza in caso di perdita dell'elettorato passivo, nonché che siano soltanto i sindaci a votare.
  L'articolo 5 dispone che è eletto presidente il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti. I voti ottenuti dal candidato presidente coincidono con quelli della lista che lo sostiene. In caso di parità di voti si procede ad un turno di ballottaggio nella seconda domenica successiva.
  La scelta del presidente, motivata dalla relazione AIR dall'intento di assicurare la diretta promanazione dal corpo elettorale, si discosta da quella contenuta nell'articolo 23, comma 17, del Decreto-legge. 201 del 2011 che dispone, invece, l'elezione del presidente della provincia da parte dei consiglieri provinciali. Consequenziale è la previsione dell'articolo 7, comma 4, lettera b), che modifica il citato comma 17, nel senso del testo in esame.
  L'articolo 6 stabilisce che le cariche di presidente di provincia e consigliere provinciale sono compatibili con quelle di sindaco e consigliere comunale, confermando così la vigente disciplina e vieta il cumulo degli emolumenti come già previsto dall'articolo 5 del decreto legge 78 del 2010. Il presidente della provincia e i consiglieri provinciali rimangono in carica anche in caso di perdita dei requisiti per l'eleggibilità. Come riportato nella relazione illustrativa allegata al disegno di legge, le regioni, nell'ambito dell'espressione del parere sul disegno di legge, hanno espresso perplessità su tale norma, in contrasto con l'articolo 68, comma 1, del TUEL che dispone invece la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale in caso di perdita delle condizioni di eleggibilità. Le regioni per tale motivo hanno auspicato l'introduzione della surroga anche per i consiglieri che durante il mandato perdano i requisiti per l'eleggibilità. Anche l'Anci ha proposto una soluzione in tal senso. In ogni caso occorre dare continuità e stabilità quanto meno al vertice della provincia.
  Per quanto non disciplinato dal progetto di legge, l'articolo 7, comma 1 rinvia, in quanto applicabili, alle norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 570 del 1960, incluse le norme penali contenute nel capo IX del titolo II. Sono abrogate espressamente le norme che attualmente disciplinano espressamente la elezione dei consiglieri provinciali e del Presidente della provincia (Legge 122 del 1951 e articoli. 2, 74 e 75 del TUEL), nonché, implicitamente, tutte le disposizioni di legge’ nelle quali si fa riferimento alla elezione diretta dei consiglieri provinciali e del presidente della provincia. Viene eliminato dalla legge 182 del 1991 ogni riferimento ai consiglieri provinciali e viene modificato l'articolo 23 del decreto legge 201 del 2011, conseguentemente alle diverse scelte effettuata dal testo in esame in merito al numero dei consiglieri provinciali e alla scelta del presidente.
  L'articolo 8 prevede che per le spese elettorali per le elezioni provinciali che spettano allo Stato si provvede mediante l'utilizzo del «Fondo da ripartire per fronteggiare le spese derivanti dalle elezioni politiche, amministrative, del Parlamento europeo e dall'attuazione dei referendum», iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, alla missione «Fondi da ripartire» del programma «Fondi da assegnare».
  In ogni caso, si stabilisce che dall'attuazione delle nuove disposizioni introdotte dal ddl in esame non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e , come fin dall'inizio evidenziato, mentre la stima delle spese a legislazione vigente è di oltre 318 milioni di euro, con il nuovo assetto la spesa presunta è di 707.500 euro.
  In conclusione, ritiene che un'economia di spesa non giustifichi una legge che di fatto distrugge in Italia l'ente di governo intermedio, che è indispensabile per il governo del territorio e che proprio per questo esiste in tutta Europa.

  Donato BRUNO, presidente, ricorda che nella seduta odierna erano previste le sole relazioni introduttive e rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.25.

Pag. 58

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Giovedì 14 giugno 2012.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.25 alle 16.30.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992.
Nuovo testo C. 5118 Governo ed abb.

REFERENTE

Attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
Testo unificato C. 244 Maurizio Turco, C. 506 Castagnetti, C. 853 Pisicchio, C. 1722 Briguglio, C. 3809 Sposetti, C. 3962 Pisicchio, C. 4194 Veltroni, C. 4950 Galli, C. 4955 Gozi, C. 4956 Casini, C. 4965 Sbrollini, C. 4973 Bersani, C. 5111 Donadi, C. 5119 Rampelli e C. 5177 Iannaccone.

Modifiche all'articolo 37 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché agli articoli 2, 28 e 32 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, in materia di determinazione della popolazione negli enti locali.
C. 4998, approvata dalla 1a Commissione permanente del Senato.

Modifica dell'articolo 13 dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1.
C. 4834 cost. Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia e C. 5148 cost., approvata, in prima deliberazione, dal Senato.

Modifica degli articoli 15 e 16 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, in materia di composizione ed elezione del Consiglio regionale.
C. 4664 cost. Palomba, C. 4711 cost. Consiglio regionale della Sardegna e C. 5149 cost., approvata, in prima deliberazione, dal Senato.

Modifiche all'articolo 3 dello Statuto della Regione siciliana, in materia di riduzione dei deputati dell'Assemblea regionale siciliana. Disposizioni transitorie.
C. 4856 cost. Assemblea regionale siciliana e C. 5150 cost., approvata, in prima deliberazione, dal Senato.

Disposizioni per favorire la testimonianza e la conservazione della memoria storica sui fatti di mafia e terrorismo.
C. 2417 Picierno.

COMITATO RISTRETTO

Modifica all'articolo 133 della Costituzione, in materia di istituzione, modificazione e soppressione delle province.
C. 1242 cost. Gibelli, C. 4439 cost. Bersani, C. 4493 cost. Pastore, C. 4499 cost. Calderisi, C. 4506 cost. Vassallo, C. 4682 d'iniziativa popolare e C. 4887 cost. Lanzillotta.

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