CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 19 aprile 2012
642.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 19 aprile 2012. - Presidenza del presidente Giulia BONGIORNO. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Andrea Zoppini.

La seduta comincia alle 13.35.

Disposizioni in materia di unioni di fatto.
C. 1065 Bernardini, C. 1631 Concia, C. 1637 Concia, C. 1756 Barani, C. 1858 Lucà, C. 1862 Mantini, C. 1932 Naccarato, C. 2846 Mura e C. 3841 Di Pietro.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame dei provvedimenti.

Giulia BONGIORNO, presidente, dà la parola all'onorevole Concia, che ha chiesto di intervenire sui lavori della Commissione

Anna Paola CONCIA (PD) rileva come tra le proposte di legge abbinate non risulti la sua proposta di legge C. 1630, recante «Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell'accesso al matrimonio», per quanto anche di questa proposta di legge il suo gruppo sia stato chiesto l'inserimento all'ordine del giorno insieme alle proposte oggi in esame. Osserva che la sua proposta di legge affronta, sia pure con soluzioni diverse, la medesima tematica oggetto di queste ultime proposte.

Rita BERNARDINI (PD) osserva che non sono state abbinate neanche le sue proposte di legge C. 1064 recante «Modifiche al codice civile e all'articolo 3 della legge 1o dicembre 1970, n. 898, in materia di diritto a contrarre matrimonio e di eguaglianza giuridica tra i coniugi» e C. 1433 recante «Norme in materia di diritti e libertà delle persone trans genere» e ne chiede quindi l'abbinamento.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, precisa che la materia oggetto di esame è rappresentata dalle le unioni non regolamentate e che quindi non è stato possibile abbinare d'ufficio proposte di

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legge volte ad incidere sulla disciplina del matrimonio, che costituisce l'unione regolamentata per definizione. Si è ritenuto inoltre di non abbinare d'ufficio le proposte di legge che, sia pure intervenendo anche sulle unioni di fatto, abbiano tuttavia un oggetto più ampio e costituito da materie ulteriori. Fa quindi presente che la proposta di legge Bernardini C. 1433 non può essere abbinata in quanto assegnata alle Commissioni riunite I e II.
Dopo avere chiarito che le proposte di legge C. 1630 Concia e C. 1064 Bernardini potrebbero essere abbinate solo con una apposita deliberazione della Commissione volta ad ampliare l'ambito dell'esame, fa presente che la sua relazione contiene indicazioni e riflessioni utili ad inquadrare correttamente la materia oggetto di esame e quindi potranno essere tenute in considerazione per assumere una decisione in ordine all'eventuale abbinamento di proposte di legge indicate dai proponenti.
Passa pertanto ad illustrare le proposte di legge all'ordine del giorno.
Osserva che le proposte di legge in esame sono volte a disciplinare la cosiddetta convivenza more uxorio o famiglia di fatto, Nel corso della XIV legislatura la commissione Giustizia della Camera svolse una indagine conoscitiva sul tema, mentre la scorsa legislatura presso il Senato si svolse un approfondito dibattito suoi cosiddetti Di.Co a seguito della presentazione del disegno di legge del Governo AS 1339 (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi), elaborato dai Ministri Pollastrini (Pari Opportunità) e Bindi (Famiglia), senza tuttavia pervenire all'approvazione di un testo.
Non crede necessario far presente quanto il tema della introduzione nell'ordinamento di una disciplina giuridica delle famiglie di fatto sia sentito dalla società civile. Si tratta di un tema estremamente delicato in quanto è strettamente connesso anche a valutazioni che esulano completamente dal terreno del confronto giuridico coinvolgendo considerazioni ideologiche se non addirittura religiose.
Senza voler in alcun modo sminuire i risvolti extra-giuridici del tema in esame, fa presente che stiamo affrontando un fenomeno in continua crescita, quale è quello delle convivenze more uxorio.
È ormai un dato statistico consolidato la continua crescita nel nostro Paese del numero delle convivenze more uxorio: si è infatti passati dalle 127.000 libere unioni degli anni 1993-94, alle 342.000 del 1998, alle 556.000 del 2003 e, infine, alle 897.000 libere unioni quantificate dall'ISTAT nel 2009 (il 5,9 per cento delle coppie).
Prima di affrontare le questioni giuridiche relative alla disciplina delle unioni di fatto è importante avere ben presente la dimensione del fenomeno in esame.
Dai dati ISTAT emerge che quasi 6 milioni di persone hanno sperimentato nel corso della loro vita la convivenza, considerando sia quelle che continuano a convivere, sia quelle che si sono sposate con il partner con cui convivevano, che quelle che hanno concluso definitivamente l'unione. Inoltre, questi dati evidenziano che le libere unioni nel 2009 sono 897 mila e rappresentano il 5,9 per cento delle coppie (8,7 per cento nel Nord-est). Sono più diffuse nel Nord-est, presentano un titolo di studio più elevato e una quota di coppie in cui ambedue lavorano più alta di quelle coniugate. Diminuisce la quota di chi era deciso a sposarsi fin dall'inizio dell'unione e cresce la percentuale di «possibilisti» (34 per cento).
La presenza di figli riguarda il 49,7 per cento delle coppie non coniugate, una quota in crescita rispetto al 1998 (40,1 per cento). Nel 36,4 per cento dei casi si tratta di figli di ambedue i partner, nel 6,5 per cento di figli di uno solo dei due e nel 6,9 per cento di figli sia di uno dei partner che di ambedue. I minori che vivono in coppie non coniugate sono 572 mila e vivono nel 44,1 per cento delle coppie non coniugate.
Il 44,4 per cento delle unioni libere di recente formazione (2004-2009) è andata a vivere in una casa in affitto o subaffitto e nel 41 per cento dei casi in una di proprietà. Nel 50 per cento dei casi l'abitazione del nuovo nucleo è stata presa appositamente.

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Non si sta trattando, quindi, un fenomeno marginale, bensì un fenomeno diffuso e, per di più, in via di espansione.
A suo parere in questi casi la prima domanda che il legislatore deve porsi è la seguente: l'assenza di una specifica normativa che disciplini il fenomeno è da considerare una lacuna dell'ordinamento o, invece, è la conseguenza di una scelta consapevole che demanda alle diverse normative vigenti il compito di regolare separatamente e specificatamente le diverse questioni connesse alla convivenza?
La risposta da dare a questa domanda dovrebbe dipendere, almeno per quanto riguarda il legislatore, da una valutazione dei diversi interessi giuridici in gioco: quelli dei conviventi, degli eventuali figli, dei terzi che istaurano rapporti giuridici con entrambi i conviventi od uno solo di essi ed infine della società stessa nel cui ambito la convivenza si esplica. Nel caso in cui la risposta sia nel senso di ravvisare una lacuna giuridica dell'ordinamento il legislatore ha l'obbligo di intervenire approvando una disciplina organica della materia che bilanci tutti gli interessi coinvolti sulla base dei principi costituzionali.
Nel dare una risposta a questa domanda non si può non tenere conto del diritto comparato e, quindi, della scelta fatta dagli altri Stati con particolare riferimento a quelli appartenenti all'Unione Europea.
Si dovrebbe partire proprio dalle scelte fatte dall'Unione europea in merito.
Il diritto a costituire una famiglia di fatto sembra essere garantito dall'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (adesso con lo stesso valore giuridico dei Trattati in base all'articolo 6 del Trattato sull'Unione europea - TUE), secondo cui «il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio».
Nell'ambito della normativa europea, si ricorda la direttiva 2003/86/CE del Consiglio, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, che prevede all'articolo 4, par. 3, che gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l'ingresso e il soggiorno ai sensi della presente direttiva del partner non coniugato cittadino di un paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante, o del cittadino di un paese terzo legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata, ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 2, nonché dei figli minori di genitori non coniugati, anche adottati, di tali persone, come pure i figli adulti non coniugati di tali persone, qualora obiettivamente non possano sovvenire alle proprie necessità in ragione del loro stato di salute.
L'articolo 5, par. 2 prevede poi che la domanda deve essere corredata dai documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste e che nell'esaminare una domanda concernente il partner non coniugato del soggiornante, gli Stati membri tengano conto, per stabilire se effettivamente esista un vincolo familiare, di elementi quali un figlio comune, una precedente coabitazione, la registrazione formale della relazione e altri elementi di prova affidabili.
Si ricorda inoltre che la direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, reca all'articolo 2 alcune definizioni, secondo le quali si intende per «familiare» tanto il coniuge quanto il partner che abbia contratto con il cittadino dell'Unione un'unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l'unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante.
Il tema delle unioni di fatto e delle unioni registrate, nella prospettiva del reciproco riconoscimento in materia di cooperazione giudiziaria civile e del diritto alla libertà di circolazione all'interno dell'Unione, è stato recentemente affrontato

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dal Parlamento europeo in due risoluzioni approvate rispettivamente il 13 marzo e il 29 marzo 2012.
In particolare, nella risoluzione del 13 marzo scorso sulla parità tra uomini e donne nell'Unione europea, il Parlamento europeo considerando che le famiglie nell'UE sono diverse e comprendono genitori coniugati, non coniugati e in coppia stabile, genitori di sesso diverso e dello stesso sesso, genitori singoli e genitori adottivi che meritano eguale protezione nell'ambito della legislazione nazionale e dell'Unione europea, invita la Commissione e gli Stati membri ad elaborare proposte per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali a livello europeo tra i paesi in cui già vige una legislazione in materia, al fine di garantire un trattamento equo per quanto concerne il lavoro, la libera circolazione, l'imposizione fiscale e la previdenza sociale, la protezione dei redditi dei nuclei familiari e la tutela dei bambini. Il Parlamento europeo esprime inoltre rammarico per l'adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di «famiglia» con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli e ricorda che il diritto dell'UE viene applicato senza discriminazione sulla base di sesso o orientamento sessuale, in conformità alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.
Nella risoluzione sull'eliminazione degli ostacoli all'esercizio dei diritti dei cittadini dell'Unione, approvata il 29 marzo 2012, il Parlamento europeo ribadisce le sue precedenti richieste agli Stati membri di garantire la libera circolazione per tutti i cittadini dell'UE e le loro famiglie, senza discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale o della nazionalità; ribadisce la richiesta agli Stati membri di dare piena attuazione ai diritti sanciti dall'articolo 2 e dall'articolo 3 della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri e di riconoscere tali diritti non soltanto ai coniugi di sesso diverso, ma anche ai partner legati da un'unione registrata, ai membri del nucleo familiare e ai partner con cui un cittadino dell'UE abbia una relazione stabile e debitamente attestata, ivi compresi i membri di coppie dello stesso sesso, in accordo con i principi di reciproco riconoscimento, uguaglianza, non discriminazione, dignità e rispetto della vita privata e familiare; invita la Commissione, in tale contesto, a garantire che la direttiva sia applicata rigorosamente.
Si segnala inoltre che il 16 marzo 2011 la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento del Consiglio relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (COM(2011)127).
La proposta fa parte di un pacchetto legislativo che comprende anche una proposta di regolamento relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; (COM(2011)126).
Ai fini della proposta di regolamento, gli «effetti patrimoniali» sono definiti quali l'insieme delle norme che regolano i rapporti patrimoniali dei partner tra loro e con terzi, derivanti direttamente dal vincolo creato dalla registrazione dell'unione; per «unione registrata» si intende il regime legale di comunione di vita tra due persone registrato da un'autorità pubblica.
Nella valutazione di impatto che accompagna la proposta (SEC(2011)327), la Commissione osserva che le cause dei problemi che incontrano le coppie legate da unione registrata, per quanto riguarda il riconoscimento degli effetti patrimoniali dell'unione nei vari Stati membri, sono sostanzialmente le stesse di quelli delle coppie sposate; i partner registrati, però, avrebbero ulteriori difficoltà in considerazione del fatto che il concetto di «unione registrata» esiste soltanto in 14 Stati membri, (Austria, Olanda, Francia, Ungheria, Regno Unito, Repubblica ceca, Danimarca, Slovenia, Finlandia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Irlanda; in Svezia

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le unioni registrate sono state introdotte nel 1994 e dal 2009 sono stati autorizzati i matrimoni tra persone dello stesso sesso) e che non tutti gli Stati membri dispongono di norme sostanziali al riguardo e solo pochi Stati membri hanno adottato norme sulla competenza e sulla legge applicabile.
Base giuridica della proposta è l'articolo 81, par.3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, secondo cui le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo.
La Commissione europea sottolinea che la proposta non pregiudica il diritto al rispetto della vita privata e della vita familiare, né il diritto di sposarsi e costituire una famiglia secondo le leggi nazionali, previsti dagli articoli 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e che tiene in debito conto l'articolo 21 che vieta qualsiasi forma di discriminazione.
Per quanto attiene ai Paesi membri dell'Unione europea, rileva che il fenomeno della convivenza è oggetto di specifiche normative a riguardo.
In Belgio la Loi instaurant la cohabitation légale del 23 novembre 1998, entrata in vigore il 1o gennaio 2000, ha istituito la convivenza legale, inserendo nel Libro III del Codice civile un nuovo Titolo V bis composto dagli articoli 1475 a 1479.
Per «convivenza legale» si intende la situazione di vita comune di due persone che abbiano reso una dichiarazione nei termini specificati all'articolo 1476 del codice civile.
Secondo la dottrina, l'ampiezza della definizione codicistica permette di ricomprendere nel nuovo istituto tutte le persone che formano una coppia senza condizioni riferite al sesso. Può quindi trattarsi non solo di una coppia eterosessuale od omosessuale, ma anche di fratelli e sorelle, di genitori e figli, di amici ecc.
In Francia vi è il patto civile di solidarietà (PACS). La legge n. 99-944, del 15 novembre 1999, relativa al «patto civile di solidarietà» (pacte civil de solidarité - PACS), definisce quest'ultimo come un contratto concluso tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune.
In particolare, l'articolo 1 della legge ha introdotto nel libro I del Codice civile un nuovo titolo XII (articoli 515-1 a 515-8), intitolato «Du pacte civil de solidarité et du concubinage».
Successivamente, con la legge n. 2006-728, del 23 giugno 2006, di riforma delle successioni e delle liberalità, sono state introdotte modifiche alla predetta normativa civilistica sui PACS che hanno inciso profondamente sul diritto patrimoniale e successorio degli stessi.
Il PACS è qualificato come contratto bilaterale, a titolo oneroso, a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata. Il Conseil constitutionnel, investito del controllo di conformità costituzionale della legge, nella sua decisione n. 99-419 del 9 novembre 1999, ha precisato come esso debba essere considerato un patto estraneo al matrimonio, che non modifica lo stato civile dei contraenti e non sortisce alcuna conseguenza nei confronti dei figli.
L'istituto giuridico della «convivenza registrata» (Eingetragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto in Germania dalla Legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle comunità di ugual sesso (Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften) del 16 febbraio 2001, entrata in vigore il 1o agosto successivo. Discostandosi dal progetto di legge originariamente presentato in parlamento, il provvedimento approvato regolava solo alcuni settori, tralasciandone altri come, ad esempio, quelli della previdenza e della successione. A differenza di quanto previsto in Belgio, Francia, Olanda e Lussemburgo, la legge tedesca sulla convivenza registrata si applica esclusivamente a coppie omosessuali.
Con la sentenza del 17 luglio 2002 (BVerfG, 1 BvF 1/01), la Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht) ha statuito che la legge sulla convivenza

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registrata non pregiudica la protezione del matrimonio da parte dello Stato, prevista dall'articolo 6 della Legge fondamentale. In particolare, tale protezione non comporta per il legislatore il dovere di garantire all'istituto una posizione di supremazia rispetto ad altri modelli giuridici. La sentenza della Corte costituzionale federale, secondo gran parte della dottrina, ha di fatto aperto la strada ad una graduale equiparazione giuridica dell'unione fra omosessuali al matrimonio fra eterosessuali.
Successivamente, è stata approvata una Legge di revisione della normativa sulla convivenza registrata (Gesetz zur Uberarbeitung des Lebenspartnerschaftsrechts) del 15 dicembre 2004, entrata in vigore il 1o gennaio 2005. Questa legge si proponeva di integrare le disposizioni già esistenti disciplinando i settori che non erano stati presi in considerazione nel 2001: sulla scia delle conclusioni della citata sentenza della Corte costituzionale, essa si occupa infatti del diritto patrimoniale, successorio e previdenziale, nonché dell'adozione e dello scioglimento, allineando in massima parte questi aspetti alla normativa sul matrimonio.
Nel Regno Unito, a seguito dell'approvazione del Civil Partnership Act 2004, promulgato il 18 novembre 2004, il legislatore britannico ha riconosciuto e disciplinato gli accordi di convivenza tra persone dello stesso sesso (civil o registered partnership). La legge in esame ha avuto un iter alquanto tormentato e in parte riproduce nei contenuti le previsioni di progetti di iniziativa parlamentare ripetutamente presentati nel corso delle precedenti sessioni parlamentari, ma mai giunti all'approvazione. Finalità di tali progetti era quella di introdurre il riconoscimento e la disciplina - previa la loro registrazione - delle unioni civili tra persone indipendentemente dal loro sesso, con inclusione, pertanto, sia delle coppie eterosessuali che omosessuali. Queste iniziative, tuttavia, avevano ottenuto un sostegno solo parziale da parte del Governo, disponibile a prenderle in esame solo quando ne fosse stato stimato l'impatto finanziario ed amministrativo, così come era avvenuto nell'ottobre 2001; l'opposizione parlamentare, dal canto suo, non aveva accolto favorevolmente le proposte ritenendo che taluni aspetti fossero già regolati - per quanto concerne le coppie eterosessuali - dalle vigenti norme sul matrimonio civile, e che la questione dei diritti delle coppie tra persone del medesimo sesso meritassero alcuni approfondimenti.
L'opzione prevalsa è dunque quella di introdurre una disciplina specifica per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, prevedendosi per tale istituto un regime distinto da quella applicabile alla convivenza tra persone eterosessuali, regolata dal diritto comune per gli aspetti patrimoniali e, per altro verso, assimilata dalla recente legislazione al matrimonio per quanto concerne la materia del mantenimento e dell'educazione dei figli (parental responsibilities).
In Spagna non esiste alcuna normativa, a livello nazionale, che disciplini lo status giuridico delle coppie di fatto, al di fuori del matrimonio. L'articolo 32 della Costituzione spagnola del 1978 menziona infatti soltanto il matrimonio come forma di unione tra uomo e donna.
Nell'estate del 2005 è stata approvata la Ley 13/2005, de 1 de julio, por que se modifica el Código Civil en materia de derecho a contraer matrimonio, con la quale è ora consentito contrarre matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso, in completa uguaglianza con le coppie eterosessuali.
A partire dal 1998, comunque, le regioni spagnole (Comunidades autónomas) avevano iniziato a legiferare in materia di unioni di fatto, considerando tale aspetto come rientrante tra le competenze proprie di diritto civile, con particolare riferimento alla registrazione dello stato civile, nonché all'autorganizzazione della funzione pubblica.
Ho voluto fare una veloce disamina di come l'unione Europea affronta il tema delle unioni di fatto e della normativa di alcuni Stati europei, rinviando al dossier di documentazione del Servizio Studi per il dettaglio delle diverse discipline straniere,

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ritenendo che il legislatore italiano, nel dare la risposta alla domanda relativa alla esigenza di una normativa specifica sulle coppie di fatto, abbia il dovere di tenere conto di quanto avviene in altri ambiti nazionali oltre che naturalmente dei principi della Unione Europea.
La scelta finora effettuata è quella di non prevedere alcuna disciplina specifica lasciando alla evoluzione giurisprudenziale il compito di adattare, finché i limiti dell'ermeneutica lo consentano, gli istituti già previsti dall'ordinamento ai diversi aspetti e profili della convivenza.
Il tema delle unioni di fatto può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale attraverso gli articoli 2 e 29 della Costituzione: il primo riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, il secondo riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Dalla lettura di queste due disposizioni si ricava il particolare valore e la specifica rilevanza che il Costituente ha attribuito alla famiglia fondata sul matrimonio (favor matrimonii).
La stessa Corte costituzionale ha costantemente affermato che «la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale» e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne l'esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento (sent. 352 del 2000). Anzi, pur non disconoscendo il valore di altre forme di convivenza, ha affermato che l'articolo 29 della Costituzione riconosce alla famiglia legittima «una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e certezza e della reciprocità e corrispettività di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio» (sent. 310 del 1989).
Oltre che nella citata sentenza del 1989, la Corte, in diverse altre decisioni ha posto in luce la netta diversità strutturale e contenutistica del rapporto coniugale - caratterizzato da stabilità e certezza nonché dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio - dalla convivenza di fatto, fondata sull'affectio quotidiana di ciascuna delle parti, liberamente e in ogni istante revocabile (sentenze 8/1996 e 461/2000).
Per la Consulta non è - quindi - né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell'articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all'articolo 2 della Costituzione (ord. 121/2004).
In particolare, con la sentenza n. 8 del 1996 la Corte ha fornito una lettura precisa del dettato costituzionale: citando la sentenza n. 237 del 1986, la Consulta ha ricordato come quest'ultima, pur ribadendo la rilevanza costituzionale del «consolidato rapporto» di convivenza, ancorché rapporto di fatto, lo ha tuttavia distinto dal rapporto coniugale, «secondo quanto impongono il dettato della Costituzione e gli orientamenti emergenti dai lavori preparatori».
La Corte ha inoltre rilevato, posto che la convivenza rappresenta l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio, che «l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti» (sentenza n. 166 del 1998).
Analoga linea è dettata più recentemente dalla Consulta. Con la sentenza n. 140 del 2009 è stato affermato che «si deve ribadire quanto già più volte affermato, cioè che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale e non può essere assimilata a questo per desumerne l'esigenza costituzionale di una parità di trattamento. La stessa Costituzione ha valutato le due situazioni in modo diverso, ed il dato assume rilievo determinante in un giudizio di legittimità costituzionale. Infatti, il matrimonio forma oggetto della specifica previsione contenuta nell'articolo 29 Cost., che lo riconosce elemento fondante della famiglia come società naturale, mentre il rapporto di convivenza assume anch'esso rilevanza costituzionale, ma nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali garantita dall'articolo 2 Cost.».

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Si deve poi tenere conto di come la giurisprudenza abbia affrontato la questione dell'assenza di una disciplina organica della convivenza e di un riconoscimento esplicito della famiglia di fatto, nonché della legislazione di dettaglio che in alcuni casi ha affrontato particolari questioni relative alla tematica delle coppie di fatto. Anche in questo caso rinvio al Dossier di documentazione per le questioni più specifiche.
Le prime limitate equiparazioni della convivenza allo status giuridico dei coniugi sono state infatti operate dalla giurisprudenza, che è giunta ad elaborare il concetto di famiglia di fatto, con assimilazione terminologica alla famiglia legittima fondata sul matrimonio. Le indicate equiparazioni, pur essendo espressione di una evoluzione della sensibilità giuridica, risultano comunque circoscritte alla risoluzione di specifiche situazioni, senza dar luogo ad un riconoscimento generalizzato della convivenza di fatto. Il legislatore è intervenuto poi a disciplinare alcuni specifici aspetti.
È soprattutto la Corte di cassazione ad avere fornito spunti di rilievo ai fini dell'individuazione degli elementi caratterizzanti le convivenze more uxorio; va peraltro osservato che la preoccupazione di delineare i criteri di individuazione della famiglia di fatto, più che alla finalità di un suo riconoscimento, sembra piuttosto collegarsi allo scopo di evitare un'indistinta applicazione della normativa sulla famiglia legittima a ogni tipo di convivenza che si sviluppi fuori dal matrimonio. Ciononostante, proprio i giudici di legittimità sono costantemente sembrati più propensi - rispetto a quelli costituzionali - a dare una qualche rilevanza giuridica alle convivenze more uxorio.
In generale, si può affermare che la giurisprudenza riconosce una tutela alla famiglia di fatto quando la convivenza si basa su legami affettivi che abbiano raggiunto un sufficiente grado di stabilità e serietà, tali da assomigliare ai legami che caratterizzano il rapporto coniugale dovrà trattarsi di una comunità affettiva fondata, pur in assenza di riconoscimenti formali, su vincoli di solidarietà affettiva ed economica, che si realizza attraverso una comunione di vita ed interessi della quale la coabitazione costituisce il principale strumento di espressione ma che ben può essere individuata in base a diverse coordinate.
I settori che hanno visto intervenire più frequentemente la giurisprudenza sono i seguenti: filiazione, gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, l'interdizione, inabilitazione e amministratore di sostegno, il regime patrimoniale, il lavoro e l'impresa familiare, le situazioni soggettive conseguenti alla morte del convivente (successione, diritto di abitazione, pensione di reversibilità), la tutela risarcitoria, la disciplina penale e del processo penale, la locazione abitativa e l'edilizia residenziale, la disciplina antimafia e le provvidenze a favore delle vittime della criminalità, l'immigrazione.
Esistono, inoltre, ulteriori disposizioni contenute in altre legge speciali che, pur inserite in una disciplina rivolta a differenti oggetti (anagrafico, penitenziario, assistenziale, pensionistico etc.) e, spesso, per finalità che esulano da una diretta tutela della convivenza, presentano aspetti che oggettivamente ne prevedono una specifica forma di considerazione giuridica.
Un profilo della disciplina delle unioni di fatto che frequentemente diventa in Italia oggetto di aspro confronto politico è quello dell'applicabilità di una eventuale disciplina della materia alle unioni omosessuali: le considerazioni giuridiche lasciano spesso il campo a valutazioni di altro tipo sia religioso che ideologico.
Nell'ordinamento giuridico italiano non figurano disposizioni di legge volte a disciplinare il matrimonio omosessuale, né esistono norme sulle convivenze omosessuali o sulle procedure di registrazione di tale forma di unione. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è considerato dal punto di vista giuridico «inesistente». In Italia, due persone dello stesso sesso che convivono non possono quindi sposarsi e neppure vedere riconosciuta dalla legge la propria convivenza come famiglia di fatto.

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La giurisprudenza è, peraltro, costante nel precludere alle coppie omosessuali la possibilità sia di contrarre matrimonio in Italia che di vedersi trascritto un eventuale matrimonio celebrato all'estero.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010, ha affermato che una legge che introducesse nel nostro ordinamento il matrimonio omosessuale, equiparato tal quale a quello eterosessuale, sarebbe incostituzionale per violazione dell'articolo 29 della Costituzione. La Consulta conferma, quindi, che la «famiglia fondata sul matrimonio», prevista dal citato articolo 29 Cost., è esclusivamente quella tra uomo e donna e che le unioni omosessuali non possono essere «omogenee» al matrimonio ma che sono tutelate dall'articolo 2 della Costituzione che tutela le formazioni sociali ove si svolge la personalità dell'uomo. In definitiva, lo strumento per ottenere il riconoscimento dei diritti e doveri della coppia omosessuale deve venire dal Parlamento, con una legge ordinaria. Argomenti analoghi sono stati addotti nelle ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011.
L'articolo 12 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo (CEDU) prevede che «a partire dall'età minima per contrarre matrimonio, l'uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l'esercizio di tale diritto». La CEDU, nella sentenza Christine Goodwin contro Regno Unito del 2002 ha affermato che l'articolo 12 non deve più essere inteso quale determinazione del genere in base a criteri solamente biologici, in considerazione dei mutamenti sociali intercorsi dopo l'adozione della CEDU e basandosi anche sul contenuto dell'articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE. La questione è rimessa al legislatore nazionale. Le connotazioni culturali possono differire ampiamente da una società all'altra e sono le autorità nazionali che possono meglio valutare i bisogni della società.
Una recentissima decisione della Corte di cassazione (sent. 15 marzo 2012, n. 4184) in materia di trascrivibilità di un matrimonio omosessuale contratto all'estero, pur arrivando alla conclusione che le unioni omosessuali sono intrascrivibili per «la loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell'ordinamento italiano» adduce argomentazioni di notevole rilievo. Secondo la Cassazione, i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se - secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla «vita familiare» e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia, nonché del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di «specifiche situazioni»- il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata. In tale sede, eventualmente, potranno sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza.
Come già accennato, una pari dignità delle diverse forme di convivenza, anche omosessuali, viene comunemente riconosciuta dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo e adesso parte integrante dei Trattati in base all'articolo 6 del Trattato sull'Unione Europea - TUE). L'articolo 9 della Carta afferma solennemente che «il diritto di sposarsi ed il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio» così non facendo alcun riferimento a matrimonio o convivenza tra persone di sesso diverso. La norma appare coerente con l'articolo 21 della stessa Carta, che recita testualmente

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che «è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale».
Il Parlamento europeo si è ripetutamente occupato dei diritti civili degli omosessuali, soprattutto attraverso lo strumento della risoluzione, invitando gli Stati membri alla rimozione di ogni ostacolo e disparità di trattamento normativo a loro danno.
Ha ritenuto opportuno fare il quadro normativo e giurisprudenziale, a livello sia nazionale che europeo, in quanto il tema che la Commissione si accinge ad affrontare è estremamente delicato coinvolgendo interessi primari dell'essere umano considerato come singolo e nei rapporti con gli altri. Qualsiasi scelta dovrà essere fatta con la piena consapevolezza del ruolo che spetta al legislatore: colmare (quando vi sono) tutte quelle lacune giuridiche che determinano una carenza di tutela delle persone. A noi ora spetta il compito di verificare se questa lacuna via sia, come ritengono i presentatori delle proposte di legge in esame, o se invece sia solo apparente, essendo sufficiente la normativa vigente così come interpretata in maniera evolutiva dalla giurisprudenza.
In particolare, laddove si individui l'esistenza di un vulnus legislativo relativamente alla disciplina del fenomeno in esame, ritengo assolutamente doveroso colmare questo vuoto - ferma restando la necessità di valutare con accuratezza il merito delle singole proposte di legge pervenute.
Ove, invece, si ritenga sufficiente il quadro normativo esistente, non nascondo, comunque, l'opportunità di un intervento chiarificatore del legislatore, al fine di superare le incertezze interpretative ed applicative ad oggi presenti.
Passa ora ad esaminare sinteticamente le proposte di legge in esame.
La proposta di legge C. 1065, Bernardini e altri (Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di unione civile), attraverso l'inserimento nel libro I del codice di un nuovo titolo, intende disciplinare l'unione civile, ovvero il contratto tra due persone dello stesso sesso o di sesso diverso, legate da una comunione di vita e spirituale, per l'organizzazione della vita in comune. La proposta istituisce un registro delle unioni civili presso ogni comune e delinea la procedura da seguire per l'iscrizione nonché per lo scioglimento del vincolo. A seguito dell'iscrizione nel registro, lo stato di parte di un'unione civile viene equiparato a quello di membro di una famiglia, secondo «criteri di parità di trattamento, assicurando uguale incidenza in presenza di uguali circostanze in ordine, in particolare, alle condizioni economiche e di salute e all'esistenza di figli». Alle parti di un'unione civile è consentita l'adozione, a parità di condizioni con le coppie di coniugi.
La proposta disciplina analiticamente il regime patrimoniale dell'unione optando per la separazione legale dei beni, cui le parti potranno derogare con apposita convenzione. Molte disposizioni sono dedicate a novellare l'ordinamento al fine di «dare «copertura» normativa a tutti quegli ambiti di espressione e di svolgimento della personalità finora lasciati giuridicamente inespressi, che negli anni hanno determinato ingiustificabili discriminazioni e inaccettabili incertezze sul piano della coltivazione degli affetti, del lavoro e delle questioni a carattere sanitario o successorio» (analiticamente, dall'accesso alla cittadinanza e al permesso di soggiorno, all'assistenza sanitaria e penitenziaria, dall'impresa familiare agli obblighi alimentari, dalla previdenza al risarcimento danni da illecito, al diritto d'abitazione, dalla locazione al diritto penale e processuale-penale).
Le due proposte di legge C. 1631 e 1637 dell'On. Concia meritano di essere sintetizzate insieme in quanto si integrano, delineando il complessivo obiettivo della proponente: con la prima (AC 1631, Disciplina dell'unione civile) si intende infatti

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regolamentare esclusivamente il legame tra due persone dello stesso sesso, prevedendo un contratto denominato «unione civile», dal quale scaturisce l'estensione alle parti dell'applicazione di tutte le disposizioni relative al matrimonio civile; con la seconda (AC 1637, Disciplina del patto civile di solidarietà) si intende invece disciplinare la convivenza tra due persone (dello stesso sesso o di sesso diverso) che non intendono legarsi con un vincolo matrimoniale.
In particolare, l'unione civile prevista dall'AC 1631 intende porre i cittadini dello stesso sesso stabilmente conviventi nella condizione di poter scegliere quale assetto conferire ai propri rapporti giuridici e patrimoniali in posizione di uguaglianza rispetto ai cittadini eterosessuali. Ciò avviene prevedendo che due persone dello stesso sesso possano contrarre un'unione civile che ha come conseguenza l'applicazione alle parti di tutte le disposizioni civili, penali, amministrative, processuali e fiscali relative al matrimonio civile. Viene espressamente esclusa l'adozione e specificato che la celebrazione dell'unione civile non ha conseguenze sullo status dei figli dei contraenti; viene regolamentato l'uso del cognome.
Diversamente, il patto civile di solidarietà previsto dalla proposta C. 1637 intende disciplinare l'accordo tra due persone, anche dello stesso sesso, stipulato allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune, fornendo «la possibilità di optare per uno strumento regolativo pattizio più snello e leggero alle coppie che non intendano o non possono impostare la propria vita sulla base della regolamentazione civilistica tipizzata dalle norme sul matrimonio». La proposta definisce i presupposti e la procedura di costituzione del patto, delineando un possibile iter presso il tribunale per l'ipotesi in cui l'ufficiale dello stato civile si rifiuti di presiedere alla sottoscrizione o di iscrivere il patto nel registri. Viene regolamentato inoltre il regime patrimoniale dei contraenti (separazione dei beni) e la loro possibilità di derogarvi (comunione legale o convenzionale dei beni) e disciplinato lo scioglimento del patto. Gli articoli finali della proposta sono volti a disciplinare gli effetti giuridici del patto in vari settori della vita di coppia: dall'assunzione di decisioni in ambito sanitario, ai diritti successori, al lavoro, alla disciplina fiscale e previdenziale, prevedendosi inoltre novelle alle disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge n. 218 del 1995 e ai codici penale e di procedura penale.
La proposta di legge C. 1756 Barani e altri (Disciplina dei diritti e dei doveri di reciprocità dei conviventi) muove dalla convinzione che la famiglia fondata sul matrimonio sia l'unica possibile destinataria delle politiche di sostegno, economiche e sociali, messe in atto dallo Stato; peraltro, nella consapevolezza delle dimensioni sociali del fenomeno della convivenza i proponenti intendono «stabilire un nucleo di tutela dei diritti di natura individuale di cui ciascun soggetto, nell'ambito del rapporto solidaristico, potrà essere considerato titolare, senza per questo prevedere la stipula di accordi negoziali che, a differenza di quanto è stato previsto in altre iniziative legislative, possano rendere strutturata la convivenza».
La proposta preliminarmente definisce il proprio ambito d'applicazione, limitandolo alla convivenza (che, in assenza di specificazioni, può evidentemente riguardare tanto persone dello stesso sesso quanto persone di sesso diverso) che si protrae stabilmente da almeno 3 anni, stabilendo che per l'individuazione dell'inizio della stessa debba farsi riferimento al regolamento anagrafico (decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989). Dal rapporto di convivenza discendono per i conviventi alcuni specifici e limitati diritti: di assistenza e decisione, in caso di malattia o di ricovero ovvero in caso di decesso; di abitazione, in caso di decesso del convivente proprietario dell'immobile; di subentro nel contratto di locazione, nonché il diritto di ricevere gli alimenti in situazioni di bisogno e incapacità di provvedere al proprio mantenimento «per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza».

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La proposta di legge C. 1858 Lucà e altri (Riconoscimento giuridico di diritti, responsabilità e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto e delega al Governo per la disciplina della successione tra le medesime) intende esclusivamente riconoscere alcuni specifici diritti alle persone che costituiscono un'unione di fatto.
Conseguentemente, ai fini del riconoscimento dei diritti, occorre che le parti presentino una dichiarazione all'ufficio anagrafe del Comune di residenza (analogamente, con una semplice dichiarazione, anche di una sola delle parti, si comunicherà la cessazione dell'unione); da tale certificazione discendono alcune conseguenze giuridiche: la proposta disciplina infatti i rapporti economici e patrimoniali tra le parti dell'unione, introduce il diritto di assistenza sanitaria e penitenziaria, regolamenta la successione nel contratto di locazione e il diritto di abitazione nonché gli obblighi alimentari (per due anni dalla cessazione dell'unione). Per la disciplina della successione mortis causa, la proposta prevede una delega al Governo, per la quale detta principi e criteri direttivi (tra i quali si segnala, in particolare, la possibile successione legittima solo a seguito di unione di fatto protratta per almeno sette anni)
Anche la proposta di legge C. 1862 Antini (Norme sulla responsabilità delle persone stabilmente conviventi, in materia di successione, obblighi alimentari, prestazione di lavoro, permesso di soggiorno, contratti di locazione, assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, assistenza in caso di ricovero, internamento o detenzione, nonché di decisioni in materia di salute e in caso di morte) si propone di ampliare i diritti ed i doveri della persona nelle sue relazioni e non di disciplinare un nuovo istituto riguardante «la coppia». A tal fine modifica il codice civile e alcune leggi speciali, riconoscendo diritti ai conviventi quando la convivenza risulti dai registri anagrafici e sia protratta da almeno nove anni (sono sufficienti tre anni per la successione nel contratto di locazione). In particolare, in presenza di questi presupposti, la proposta disciplina la successione legittima del convivente ed il suo possibile concorso con discendenti, ascendenti o fratelli del de cuius; vengono altresì disciplinati il lavoro nell'impresa, gli obblighi alimentari, la successione nel contratto di locazione, l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, il rilascio del permesso di soggiorno agli stranieri ed il riconoscimento dei diritti di prestare assistenza e di assumere decisioni in caso di detenzione, malattia e di decesso.
La proposta di legge C. 1932 Naccarato (Disposizioni per la certificazione e l'autocertificazione della convivenza di coppia per legame affettivo) mira a «dare riconoscimento e tutela giuridica alla convivenza di coppia integrando la disciplina attualmente recata dal regolamento anagrafico» (decreto del Presidente della Repubblica 223/1989). In particolare, l'articolo 1 prevede l'emersione della c.d. famiglia anagrafica disponendo che due persone già conviventi (come risulta dai dati anagrafici) possano richiedere la certificazione dello stato di convivenza, con indicazione della data di inizio della stessa, e la specifica che si tratta di una convivenza fondata su un legame affettivo. Parallelamente, in fase di avvio della convivenza, la coppia che si registra residente nella medesima abitazione può chiedere che sia specificato da subito negli atti anagrafici che la convivenza è fondata su un legame affettivo e che l'intenzione è quella di «vivere il legame con continuità, avendo comunanza di vita e costituendo un'unità economica che organizza su tali basi la propria famiglia anagrafica».
La proposta di legge C. 3841 Di Pietro e altri (Disciplina del patto civile di solidarietà) ha un contenuto pressoché identico alla proposta C. 1637 Concia; entrambe le relazioni illustrative, infatti, specificano che per la redazione si è fatto riferimento alla disciplina del patto civile di solidarietà già presentata nelle precedenti legislature (segnatamente, entrambe le proposte traggono spunto dalla proposta C. 33 della XV legislatura presentato dall'On. Grillini). Anche la proposta Di Pietro e altri, dunque, intende disciplinare con il

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patto di solidarietà l'accordo tra due persone, anche dello stesso sesso, stipulato allo scopo di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune. La proposta definisce i presupposti e la procedura di costituzione del patto, delineando un possibile iter presso il tribunale per l'ipotesi in cui l'ufficiale dello stato civile si rifiuti di presiedere alla sottoscrizione o di iscrivere il patto nei registri. Viene regolamentato inoltre il regime patrimoniale dei contraenti (separazione dei beni) e la loro possibilità di derogarvi (comunione legale o convenzionale dei beni) e disciplinato lo scioglimento del patto. Gli articoli finali della proposta sono volti a disciplinare gli effetti giuridici del patto in vari settori della vita di coppia: dall'assunzione di decisioni in ambito sanitario, ai diritti successori, al lavoro, la disciplina fiscale e previdenziale, prevedendo inoltre novelle alle disposizioni di diritto internazionale privato contenute nella legge n. 218 del 1995 e ai codici penale e di procedura penale.

Enrico COSTA (PdL) ritiene che sia opportuno anche un approfondimento sui profili di compatibilità della disciplina in esame con la normativa regionale in materia.

Giulia BONGIORNO, presidente e relatore, fa presente che vi è un'ampia documentazione a disposizione dei commissari, anche in relazione ai profili indicati dall'onorevole Costa nonché con riferimento agli enti locali.

Anna Paola CONCIA (PD) ritiene che si debba riflettere attentamente sul fatto che, specialmente nella materia in esame, troppo spesso i giudici si sono sostituiti al legislatore, sottolineando come questa rappresenti un'anomalia che deve essere superata attraverso una disciplina organica della materia che colmi una lacuna non solamente interna al nostro ordinamento giuridico ma anche nei confronti degli ordinamenti degli altri Stati europei.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Delega al Governo in materia di depenalizzazione, pene detentive non carcerarie, sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili.
C. 5019 Governo, C. 879 Pecorella, C. 4824 Ferranti, C. 92 Stucchi, C. 2641 Bernardini e C. 3291-ter Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti, rinviato il 4 aprile 2012.

Giulia BONGIORNO, presidente, avverte che l'onorevole Vitali ha chiesto l'abbinamento della sua proposta di legge C. 3009, recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di sospensione condizionale della pena subordinatamente alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, nonché di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato.
Ricorda che in merito all'abbinamento di proposte di legge al disegno di legge si è stabilito di non abbinarvi quelle aventi ad oggetto materie ulteriori rispetto a quelle contenute nel predetto disegno di legge. Nel caso in esame, ad esempio, non si è proceduto all'abbinamento d'ufficio in quanto la proposta di legge non si limita ad introdurre nell'ordinamento l'istituto della messa alla prova, ma interviene anche sulla disciplina della sospensione condizionale della pena subordinatamente alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. La Commissione naturalmente potrà procedere all'abbinamento qualora lo ritenga utile, ritenendo in un certo senso marginale all'esame le disposizioni in materia diversa rispetto a quelle trattate dal disegno di legge del Governo.

Donatella FERRANTI (PD), relatore, ritiene che sia necessario approfondire il

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contenuto della citata proposta di legge prima di decidere in ordine al suo eventuale abbinamento.

Enrico COSTA (PdL), relatore, condivide l'osservazione dell'onorevole Ferranti e dichiara di non essere pregiudizialmente contrario all'abbinamento di proposte di legge che abbiano ad oggetto materie ulteriori rispetto a quelle contenute nel predetto disegno di legge, ove le relative disposizioni condividano la ratio del provvedimento in esame e contribuiscano a rafforzarne l'efficacia.

Giulia BONGIORNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.15.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.15 alle 14.20.