CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 28 febbraio 2012
613.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari sociali (XII)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Martedì 28 febbraio 2012. - Presidenza del vicepresidente Gero GRASSI, indi del presidente Giuseppe PALUMBO.

La seduta comincia alle 13.05.

Istituzione e disciplina dell'indagine farmacogenetica.
C. 4083 Laura Molteni.
(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

Laura MOLTENI (LNP), relatore, fa presente che la farmacogenetica è una disciplina, nuova ma centrale per l'ottimizzazione della terapia; deve essere sia sviluppata in Italia al meglio per sfruttarne le potenzialità.
Ricorda che la proposta di legge che va ad illustrare ha come scopo di rendere la farmacogenetica veicolo di contenimento della spesa farmaceutica: l'utilizzo non ottimale del farmaco contribuisce in parte al progressivo aumento della spesa farmaceutica; la mancata applicazione del test farmacogenetico aumenta i fallimenti terapeutici che richiedono nuove terapie e nuove prescrizioni a carico del Servizio sanitario nazionale; l'uso non ottimale del farmaco è una delle concause responsabili del progressivo aumento delle reazioni avverse di tipo iatrogeno osservate negli ultimi anni che hanno costi non indifferenti (20 milioni di euro in Lombardia nel 2008); veicolo per riportare il paese all'avanguardia nella ideazione e sviluppo di farmaci, inclusi gli sviluppi industriali. La farmacogenetica è necessaria allo sviluppo di farmaci personalizzati; l'investimento in alta biotecnologia è ben adatto alle caratteristiche del paese Italia e contribuisce al suo sviluppo economico.

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Nel contempo, evidenzia che la proposta di legge è attenta alle problematiche legate alla diffusione di un utilizzo improprio della farmacogenetica da parte di personale non qualificato che possa portare alla diffusione di dati sensibili via internet, ad un uso inappropriato di farmaci potenzialmente tossici o ad un non uso di farmaci salvavita.
La farmacogenetica non è ancora entrata in maniera diffusa nella pratica clinica quotidiana, sebbene una buona parte delle sperimentazioni farmacologiche contempli uno studio farmacogenetico associato, proprio nell'auspicio di potere identificare fin dall'inizio i soggetti che potrebbero avere vantaggi o meno dallo specifico trattamento farmacologico. Inoltre, per alcuni farmaci già in commercio è prevista il suggerimento all'esecuzione di test farmacogenetici per ottimizzarne l'impiego. L'aspetto sicuramente preoccupante che accompagna la diffusione della farmacogenetica sono le informazioni ottenibili in internet ed accessibili a tutti.
Attualmente la voce «test farmacogenetico» si ritrova, da un punto di vista legislativo, unicamente come definizione nel testo riguardante l'autorizzazione generale al trattamento dei dati genetici rilasciata dal Garante per la protezione dei dati personali (deliberazione n. 258 del 24 giugno 2011). La definizione non viene successivamente ripresa ai fini normativi nel testo. La farmacogenetica viene specificamente menzionata anche nel documento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 15 Luglio 2004 (GU n. 224 del 23/9/2004), che definisce l'accordo tra il ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle «Linee-guida per le attività di genetica medica». In tale documento si dice che «per tests genetici si intendono comunemente le analisi di specifici geni, del loro prodotto o della loro funzione, nonché ogni altri tipo di indagine del DNA, dell'RNA o dei cromosomi, finalizzata ad individuare o escludere mutazioni associate a patologie genetiche». In questo contesto sembrerebbero comprese, tra le attività di genetica medica, anche le indagini funzionali sui prodotti dei geni, intendendo con questo le proteine, che è un ambito di attività di laboratorio (fenotipizzazione) di Farmacologia clinica oltre che di Biochimica Clinica. Inoltre, al punto 3.6, tale documento inserisce i tests farmacogenetici, che vengono definiti come «analisi finalizzate alla identificazione di variazioni di sequenza del DNA in grado di predire la risposta individuale ai farmaci, in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi». Sebbene si faccia riferimento alla terapia farmacologica, anche in questo caso non è citato il ruolo della figura professionale del farmacologo e non si tiene in dovuta considerazione che le unità operative di anatomia e istologia patologica, di immunoematologia e di biochimica/patologia clinica eseguono già tests predittivi per la selezione del paziente candidato alla terapia con farmaci specifici, specialmente in campo oncologico.
Osserva, poi, che questa carenza legislativa ha fatto si che i test farmacogenetici nel nostro Paese venissero gestiti unicamente dal genetista e non dal farmacologo, anche se il problema è in buona sostanza di tipo farmacologico e non semplicemente genetico. Va infatti considerato che la farmacogenetica studia le possibili relazioni esistenti tra caratteristiche dei geni e la risposta individuale ad una terapia farmacologica sia in termini di efficacia che di tollerabilità. Essa ha dunque come oggetto principale il farmaco, il che la rende concettualmente e sostanzialmente diversa dalla genetica che invece ha come oggetto la malattia.
L'interpretazione del test farmacogenetico richiede quindi conoscenze specifiche e dettagliate nel campo della farmacologia relative a meccanismi fisiopatologici coinvolti nei processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del farmaco; leggi e modelli matematici che descrivono gli eventi conseguenti all'interazione del farmaco con i bersagli molecolari; interpretazione degli eventi che possono portare alla comparsa di tossicità legata ad un trattamento farmacologico;

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conferma del significato funzionale della variante genetica per mezzo di tests di fenotipizzazione (esempio attività di enzimi di metabolismo su campioni biologici).
Tali competenze sono peculiari ed identificano unicamente la figura del farmacologo. I test genetici sono giustamente normati da regole rigide volte alla tutela del paziente e della sua privacy. L'applicazione di tali regole tout court ai test farmacogenetici non è giustificata in quanto il test farmacogenetico non predice la comparsa di una malattia ma informa il medico prescrivente sulla terapia migliore da somministrare per ogni paziente; tali regole limitano la diffusione del test farmacogenetico privando il medico di uno strumento terapeutico importante per l'ottimizzazione della terapia in ogni paziente. La diffusione limitata dei test farmacogenetici nella pratica clinica ha ripercussioni importanti in tema di salute pubblica in quanto: L'uso non ottimale del farmaco contribuisce in parte al progressivo aumento della spesa farmaceutica (la mancata applicazione del test farmacogenetico limita all'empirismo la scelta terapeutica ed aumenta i fallimenti terapeutici che richiedono nuove terapie e nuove prescrizioni a carico del Servizio sanitario nazionale); l'uso non ottimale del farmaco è una delle concause responsabili del progressivo aumento delle reazioni avverse di tipo iatrogeno osservate negli ultimi anni (le stime attuali ci dicono infatti che il cattivo uso di farmaci è tra le prime cause di morte e/o di invalidità permanente nel mondo), con ripercussioni sulla salute del paziente e con un aumento dei costi per il Servizio sanitario nazionale (per la cura degli eventi avversi).
Ritiene opportuno sottolineare che il test farmacogenetico fornisce informazioni a priori sulla possibilità di usare un determinato farmaco o sulle modalità del suo impiego in sicurezza (per esempio modificazione delle dose) con un vantaggio spesso immediato per il paziente e senza nessuna interferenza con altri aspetti ed aspettative della vita del paziente. Per tale motivo gli studi clinici farmacogenetici dovrebbero contemplare livelli di anonimizzazione compatibili con la divulgazione controllata delle informazioni per studi successivi che aggiungessero nuove informazioni genetiche o farmacologiche su un determinato farmaco. L'attuale legislazione in vigore nel nostro Paese, equiparando il test farmacogenetico de jure al test genetico, demanda al genetista il compito di attuare ed interpretare il test farmacogenetico, non contemplando alcuna formazione farmacologica specifica, assolutamente indispensabile per il «counselling» del clinico che dovrà alla fine adottare le strategie terapeutiche più idonee.
Ritiene, inoltre, importante sottolineare che i test farmacogenetici sono fondati su tecniche di biologia molecolare che sono alla base delle biotecnologie farmacologiche, le quali hanno prodotto i risultati più esaltanti tra tutte le discipline biotecnologiche considerabili e che sono ampiamente diffuse tra i farmacologi. Pertanto anche l'argomentazione metodologica a favore di un esclusivo coinvolgimento del genetista nel test farmacogenetico è destituita di ogni fondamento.
Ritiene, altresì importante normare la farmacogenetica in quanto è esperienza comune, nella pratica medica, che lo stesso farmaco somministrato alla stessa dose possa essere efficace nella maggioranza dei pazienti, ma scarsamente efficace e/o indurre reazioni avverse (ADR=Adverse Drug Reactions) - a volte anche gravi - in alcuni dei soggetti trattati. Si stima, infatti, che i farmaci di maggior consumo (per esempio antipertensivi, ipolipemizzanti e antidepressivi) siano pienamente efficaci solo nel 25-50 per cento dei pazienti. A fronte di un'efficacia limitata, negli ultimi anni si è osservato un progressivo e preoccupante aumento di reazioni avverse ai farmaci che rappresentano la quinta causa di morte nei paesi occidentali, dopo l'infarto del miocardio, i tumori e l'ictus. Tra il 1998 e il 2005 le segnalazioni di ADR gravi raccolte dalla Food and Drug Administration (FDA) sono aumentate di 2,6 volte e il loro incremento è stato 4 volte più

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rapido di quello del numero totale di prescrizioni, Analogamente, la rete nazionale di farmacovigilanza dell'AIFA registra in Italia ogni anno circa 20000 reazioni avverse da farmaci, con centinaia di eventi fatali.
L'aspetto speculare di questo scenario sono i fallimenti terapeutici, che rientrano nel quadro delle ADR, dove il paziente viene esposto alle sole reazioni avverse del trattamento, senza alcun beneficio. Questo fenomeno coinvolge categorie di pazienti importanti e numericamente rilevanti, tra cui coloro che sono affetti da patologie neurologiche e psichiatriche, oncologiche, metaboliche e cardiologiche con fallimenti che superano il 30-40 per cento.
Per quanto attiene, poi, le basi genetiche della variabilità individuale nella risposta ai farmaci, una delle più importanti cause che predispongono all'insorgenza di ADR è l'assetto genetico del paziente. Si ritiene che circa il 90 per cento dei geni nell'uomo contenga variazioni di sequenza nucleotidica, denominate polimorfismi, che possono modificare qualitativamente o quantitativamente il prodotto proteico codificato da un determinato gene e possono causare variabilità di risposta ai farmaci. Ogni singolo polimorfismo, per essere definito tale, deve essere presente in una popolazione almeno nell'uno per cento dei soggetti, con punte che possono raggiungere per un certo polimorfismo, in certe popolazioni, il 30-40 per cento.
Osserva, quindi, che i geni che determinano la risposta ai farmaci possono essere distinti in due grandi classi: quelli che codificano per il bersaglio terapeutico primario, come per esempio recettori ed enzimi o per le proteine coinvolte nell'assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione del farmaco. Polimorfismi a carico di geni appartenenti a queste due classi possono pertanto determinare modificazioni nell'azione di un farmaco provocando l'assenza di risposta clinica ad un determinato trattamento o la comparsa di reazioni avverse.
Le moderne tecniche di biologia molecolare consentono oggi di identificare agevolmente questi polimorfismi, a costi spesso inferiori rispetto ai comuni esami diagnostici. L'identificazione di un particolare polimorfismo, associato a reazioni avverse, prima che il farmaco venga somministrato, permetterebbe la scelta di strategie terapeutiche alternative che potrebbero prevedere l'impiego di un farmaco della stessa classe non influenzato nella sua azione dal polimorfismo, la riduzione della dose del farmaco inizialmente prescelto, un più approfondito e prolungato monitoraggio del farmaco e del paziente o l'impiego di un farmaco alternativo.
Questi avanzamenti tecnologici hanno portato alla nascita della farmacogenetica. EMA ed FDA hanno recentemente approvato l'utilizzo di test farmacogenetici in relazione all'impiego terapeutico di alcuni farmaci. La lista è in continua crescita e nell'immediato futuro ci si aspetta, da parte delle autorità regolatorie, l'approvazione di molti nuovi test per ulteriori farmaci ed un forte impulso alla multi-disciplinarietà, come già avviene nella pratica clinica.
Per quanto riguarda i vantaggi dei test farmacogenetici per la popolazione ed il sistema sanitario, ritiene che nel medio-lungo termine l'utilizzo di test farmacogenetici nella pratica clinica quotidiana non soltanto porterà evidenti vantaggi per i pazienti che potranno, per alcuni farmaci, evitare reazioni avverse ed essere curati con farmaci più adatti alla loro costituzione e alla patologia di cui sono portatori, ma avrà anche importanti conseguenze sui costi a carico dei sistemi sanitari.
In Europa, diversi Paesi (Olanda, Inghilterra e Francia solo per citarne qualcuno) hanno inserito già da qualche anno i test farmacogenetici all'interno dei servizi diagnostici forniti dalle strutture sanitarie pubbliche. L'implementazione di questi servizi anche nello scenario Italiano potrebbe quindi favorire una personalizzazione della terapia farmacologica, in casi selezionati, con enormi vantaggi sia per il paziente che per il Servizio sanitario nazionale. Sebbene i costi diretti e indiretti delle ADR siano difficili da stimare, si è valutato che negli Stati Uniti il costo sia compreso tra 30 e 130 miliardi di dollari

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all'anno. L'uso non ottimale del farmaco contribuisce in parte al progressivo aumento della spesa farmaceutica (la mancata applicazione del test farmacogenetico limita all'empirismo la scelta terapeutica ed aumenta i fallimenti terapeutici che richiedono nuove terapie e nuove prescrizioni a carico del Servizio sanitario nazionale);
Fa presente che l'ultimo rapporto OSMed dell'Istituto Superiore di Sanità ha rivelato che negli ultimi 10 anni il consumo di farmaci da parte degli italiani è aumentato del 60 per cento, con un incremento annuo pari al 5 per cento. Sempre nello stesso rapporto si legge che il mercato farmaceutico totale, comprensivo sia della prescrizione territoriale sia di quella erogata attraverso le strutture pubbliche, è stato di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75 per cento a carica del Servizio sanitario nazionale.
Sulla base di quanto sopraesposto, sostiene che un progetto di legge sulla farmacogenetica dovrebbe porsi i seguenti obiettivi fondamentali: definizione di test farmacogenetico; identificazione delle figure professionali abilitate all'esecuzione, all'interpretazione e alla refertazione del test farmaco genetico; definizione delle regole che delimitano i confini di una sperimentazione farmacogenetica nell'uomo, in termini di privacy, richiesta del consenso informato, accesso alle informazioni, riutilizzazione del DNA, in una prospettiva che consideri il test farmacogenetico diverso dal test genetico e preveda normative specifiche; creazione di un Osservatorio che controlli e favorisca lo sviluppo della farmacogenetica nel nostro Paese, soprattutto in termini di utilizzazione nelle strutture cliniche.
Osserva, poi, che il provvedimento in esame è composto da 7 articoli.
L'articolo 1 della proposta illustra la definizione di indagine farmaco genetica e definisce l'indagine farmacogenetica un'analisi, condotta con metodi di sequenziamento diretto o indiretto del DNA, volta all'identificazione di polimorfismi per i quali è noto o è sospettato un ruolo nel modificare la sensibilità di un individuo a un farmaco, o ad un'associazione di farmaci, in termini di biodisponibilità, attività, resistenza e tossicità. Sono esclusi da tale definizione gli accertamenti e le indagini volti a stabilire una diagnosi o una predisposizione di malattia su base genetica.
La proposta di legge negli articoli 2 e 3 propone le caratteristiche che devono avere le figure professionali ed i centri abilitati alla esecuzione dei test farmaco genetici. In particolare l'articolo 2, comma 1, stabilisce che sono abilitati a eseguire, interpretare e refertare l'indagine farmacogenetica i laureati in medicina e chirurgia, in chimica e tecnologia farmaceutica e in farmacia e i laureati magistrali in scienze biologiche o in scienze biotecnologiche, in possesso delle specializzazioni in farmacologia e in tossicologia.
A tal fine le regioni, nel rispetto dei criteri definiti con un decreto del ministro della salute, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, istituiscono elenchi regionali di soggetti abilitati all'esecuzione, all'interpretazione e alla refertazione delle indagini farmacogenetiche (comma 2).
Il successivo comma 3 impegna le regioni a individuare, sul territorio di competenza, strutture di carattere ospedaliero pubbliche o private, che svolgono la funzione di centri per l'esecuzione e per la conseguente refertazione delle indagini farmacogenetiche a scopo diagnostico. Tale processo deve avvenire entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame e nel rispetto dei criteri e delle procedure indicati dalle Linee guida per l'autorizzazione dei centri.
Le Linee guida (articolo 3) sono adottate, entro due mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, con decreto del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Il comma 2 specifica che, sulla base delle linee guida, le regioni disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione. In caso di prolungata inadempienza delle regioni, protratta oltre il sessantesimo

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giorno dalla data di entrata in vigore del decreto del Ministro della salute di adozione delle linee guida, i centri che intendono acquisire l'autorizzazione possono presentare la domanda direttamente al Ministero della salute, che provvede al rilascio dell'autorizzazione sulla base delle predette linee guida.
Nell'articolo 4 vengono definite le condizioni di utilizzo e modalità di esecuzione del test ai fini diagnostici E definire delle regole che delimitano i confini dell'indagine farmacogenetica a scopo diagnostico, in termini di privacy, di richiesta del consenso informato, in una prospettiva che consideri l'indagine farmacogenetica diversa dall'indagine genetica e che preveda normative specifiche (articolo 4). Ai sensi dell'articolo 4 l'indagine farmacogenetica rientra nella categoria degli accertamenti e nelle indagini ematologiche ed ematochimiche di routine e non richiede una preventiva indagine genetica.
Fa presente, poi, che l'informazione farmacogenetica a scopi esclusivamente diagnostici è codificata in termini di sensibilità di risposta a un dato farmaco o ad un'associazione di farmaci; essa è conservata nel fascicolo unico del paziente, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. In nessun caso è riportato il dato genetico sottostante. Il campione biologico su cui è stata effettuata l'indagine farmacogenetica a scopi diagnostici è distrutto al termine dell'analisi.
L'articolo 5 prevede l'impiego e l'utilizzo delle indagini farmacogenetiche per studi scientifici e si pongono anche le basi a che si generi un patrimonio di informazioni strettamente controllato ed in mano pubblica che possa essere utilizzato sia per lo sviluppo di nuovi farmaci sia per scopi di prevenzione. A tal fine, devono essere obbligatoriamente sottoposte al conseguimento preventivo del consenso informato le indagini farmacogenetiche condotte all'interno di studi scientifici e rivolte all'ottimizzazione delle terapie. Nel consenso sono esplicitate le indagini farmacogenetiche alle quali il paziente è sottoposto e le modalità di utilizzazione del campione. Il campione, previo conseguimento di un secondo consenso informato, può essere impiegato in successivi studi clinici per scopi esclusivamente scientifici e di prevenzione e tutela della salute pubblica (comma 1). Per gli scopi scientifici e di prevenzione e tutela della salute pubblica, i dati farmacogenetici e il materiale biologico ad essi relativo che derivano da studi clinico-tossicologici possono essere conservati nei centri di riferimento unico. I centri di riferimento unico regionali saranno dotati di un'unità operativa di farmacologia clinica ai quali è affidata la conservazione dei dati sensibili utilizzati per gli studi scientifici di farmacogenetica. Il centro istituisce una banca dati avente la finalità di centro di documentazione farmaco genetica. I centri di riferimento unico, individuati dalle regioni sul proprio territorio e operanti all'interno del Servizio sanitario regionale, hanno natura giuridica pubblica e operano quali enti strumentali della regione. Al centro di riferimento unico, che deve avere al suo interno un'unità operativa di farmacologia clinica, è affidata la conservazione dei dati sensibili e i risultati delle indagini farmacogenetiche nonché il materiale biologico a esse relativo. Tali dati sono conservati nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al codice per la protezione dei dati personali. Il centro provvede a istituire una banca dati avente la finalità di centro di documentazione farmacogenetica e in tal senso, il materiale biologico conservato presso i centri è messo a disposizione per successivi studi di farmacogenetica. I criteri e le procedure per l'utilizzo di tale materiale biologico sono definiti con decreto del ministro della salute. I dati conservati presso i centri di riferimento unico regionali devono permettere in ogni caso la collegabilità tra dati farmacogenetici e informazioni presenti nella cartella clinica del paziente, anche in tempi successivi e per situazioni diagnostiche

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diverse da quelle che hanno indotto la richiesta dell'indagine farmacogenetica, nonché la tracciabilità dell'identità del paziente. Non sono in ogni caso consentite l'istituzione e la gestione di banche dati di farmacogenetica da parte di strutture diverse dai centri di riferimento unico regionali.
L'articolo 6 indica gli strumenti (un tavolo di lavoro) che permettano al Ministero di monitorare lo sviluppo della farmacogenetica e di fare attività formativa. Ai sensi dell'articolo 6, il ministro della salute promuove la costituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), di un Tavolo di lavoro per la farmacogenetica che controlli e favorisca lo sviluppo della farmacogenetica nel nostro Paese, anche attraverso l'adozione di linee guida sull'utilizzazione della farmacogenetica nelle strutture cliniche e che provveda, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio: a promuovere campagne di sensibilizzazione per garantire una corretta informazione sul significato e sul ruolo clinico della farmacogenetica; a predisporre appositi programmi di ricerca multidisciplinari; a monitorare l'attività dei centri autorizzati all'attività diagnostico-assistenziale di farmacogenetica. Il Tavolo di lavoro è composto da due membri nominati dall'AIFA, da due membri nominati dalla Società italiana di farmacologia e da quattro membri nominati dal ministro della salute. Entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, il Ministero della salute, in collaborazione con la Società italiana di farmacologia e con altre società scientifiche di categoria, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni adotta, le linee guida per l'utilizzo della farmacogenetica nelle strutture assistenziali (comma 3).
Fa presente, poi, che l'articolo 7 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dagli articoli 2 e 6 del provvedimento in esame, quantificati complessivamente in 2,2 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011.
In particolare, il comma 1 precisa che i suddetti oneri finanziari derivano: per 2,1 milioni di euro dall'articolo 2, quale contributo in favore delle strutture, di carattere ospedaliero pubbliche o private, che sono chiamati a svolgere la funzione di centri per l'esecuzione e per la conseguente refertazione delle indagini farmacogenetiche a scopo diagnostico; per 100 mila euro dall'articolo 6, per la costituzione del Tavolo di lavoro per la farmaco genetica. Alla copertura finanziaria si provvede mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2011 (in merito andrà necessariamente modificata la data), allo scopo utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al Ministero della salute. A tal fine, il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 2).
A finalità di salvaguardia finanziaria, il comma 3 dispone che ogni eventuale ulteriore onere derivante dal funzionamento dei centri previsti dall'articolo 2 viene posto a carico dei bilanci delle regioni.

Gero GRASSI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni in materia di donazione del corpo post mortem a fini di studio e di ricerca scientifica.
Nuovo testo unificato C. 746 Grassi, C. 2690 Brigandì, C. 3491 Miglioli, C. 4273 Di Virgilio e C. 4251 Nunzio Francesco Testa.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo nella seduta del 14 febbraio 2012.

Gero GRASSI, presidente, avverte che sul nuovo testo unificato delle proposte di legge C. 746 e abbinate, quale risultante dall'approvazione degli emendamenti del relatore nella seduta del 14 febbraio scorso, sono pervenuti i seguenti pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva:

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parere favorevole della I Commissione; parere favorevole con condizione della V Commissione e parere favorevole con osservazioni della Commissione per le questioni regionali. Devono ancora esprimere il parere di competenza le Commissioni II e VII.
Rinvia, pertanto, il seguito dell'esame ad altra seduta.

Modifiche agli articoli 8-quater, 8-quinquies e 8-sexies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, concernenti l'accreditamento e l'erogazione delle prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale da parte delle strutture pubbliche e private.
C. 4269 D'Anna.
(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato, da ultimo nella seduta del 15 febbraio 2012.

Paola BINETTI (UdCpTP), intervenendo sulla proposta di legge in esame, concernente il rapporto tra strutture sanitarie pubbliche e private, fa presente che anche queste ultime debbono essere considerate «pubbliche», differenziandosi dalle prime solo in relazione ai meccanismi di accreditamento. Evidenzia come, in materia di sanità, si debba mettere sempre in primo piano il benessere del paziente, il diritto alla cura e alla scelta della cura, che viene tutelato al punto da legittimare la cosiddetta «non scelta» ovvero il diritto di non ricevere cure.
Con riferimento, poi, alle realtà ospedaliere che hanno alle proprie spalle strutture di tipo universitario - quali il Policlinico Gemelli e Tor Vergata di Roma -, rileva che in questi casi sono ravvisabili due tipologie di interventi: quelli routinari e quelli più propriamente tesi alla risoluzione di problemi di particolare rilievo e intensità.
Sottolinea, quindi, che, a fronte di strutture che vanno incontro a ritardi spaventosi nell'accreditamento ed ai casi di sospensione dell'accreditamento stesso, si rende necessario stabilire una soglia minima di efficienza che, tuttavia, non può fondarsi esclusivamente sulla logica del pareggio di bilancio, dovendosi attribuire la giusta rilevanza ai diritti dei pazienti e ai diritti dei professionisti.
Infine, esprime solidarietà all'Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli di Roma dove nella giornata odierna è prevista la celebrazione di un «funerale di protesta» da parte dei medici, stante il rischio di chiusura della struttura, citandolo come esempio di una buona sanità ignorato dalle istituzioni, a tutti i livelli.

Francesca MARTINI (LNP) esprime le proprie perplessità con riferimento al provvedimento in oggetto, che si propone di realizzare una sostanziale parificazione tra strutture pubbliche e private nel meccanismo dei tetti di spesa, rilevando come il rapporto tra le une e le altre sia particolarmente delicato. A questo proposito, fa presente che nei casi in cui le strutture private agiscono nell'ambito di un rapporto di accreditamento con le regioni, esse assumono gli stessi doveri delle strutture pubbliche in termini di offerta e di qualità delle prestazioni erogate. In particolare, evidenzia che i Centri unici di prenotazione (CUP) dovrebbero esporre al paziente il panorama dei soggetti erogatori disponibili, in relazione alla specifica patologia da cui questi è affetto.
Rileva, poi, come la gestione della sanità nel centro-sud del Paese sia decisamente meno efficiente rispetto a quanto si registra in alcune regioni del nord, tra cui il Veneto, i cui bilanci sono in pareggio. In relazione alle aree meno virtuose, fa notare che spesso si assiste ad un'esplosione delle strutture private accreditate alla quale si accompagna una bassa qualità organizzativa delle strutture pubbliche, con la quale sono costretti a scontrarsi i medici validi, che sono presenti in tutte le aree del Paese.
A suo avviso, la fissazione di tetti di spesa è fondamentale per il conseguimento dell'equilibrio di bilancio, la cui responsabilità finale spetta ai presidenti delle regioni.

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Ciò posto, e considerato altresì che le spese in materia sanitaria pesano sul bilancio regionale in misura pari al 70-80 per cento, ritiene che vi siano dubbi sul merito dell'intervento prospettato nella proposta di legge in esame - oltre che sul piano della costituzionalità, stante il riparto delle competenze tra Stato delle regioni - in quanto potrebbe essere considerato come un'interferenza indebita nella sfera regionale.
Chiede, dunque, al presidente della Commissione di prevedere un'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sul tema della parificazione tra strutture pubbliche e private nel meccanismo dei tetti di spesa.

Vittoria D'INCECCO (PD) ritiene che la proposta di legge presentata dall'onorevole D'Anna, pur partendo da un'esigenza legittima, adotti poi una soluzione «rischiosa». Se, infatti, può essere considerato condivisibile l'obiettivo generale, di responsabilizzare le regioni e le aziende sanitarie locali nell'utilizzo delle risorse pubbliche, a suo avviso non convincono, invece, i meccanismi individuati. In primo luogo, ravvisa dei dubbi sotto il profilo della legittimità costituzionale, in quanto sembrerebbe violato l'ambito di competenza delle regioni in materia sanitaria. Ritiene, pertanto, che sarebbe utile verificare preventivamente se esistano problemi di costituzionalità, per non rischiare di incorrere, successivamente, nei ricorsi da parte delle regioni.
Un altro aspetto che, a suo avviso, non è convincente, è la prevista equiparazione tra strutture pubbliche e private in relazione ai tetti di spesa, non essendo quella sanitaria una merce che risponda al meccanismo della domanda e dell'offerta. Sottolinea, quindi, come la relazione tra medico e paziente non sia assimilabile a quella che intercorre, generalmente, tra un erogatore di servizi e l'utente e che i livelli essenziali di assistenza (LEA) debbano essere sempre garantiti sull'intero territorio nazionale.
Ritiene, pertanto, che sarebbe utile prevedere lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sul tema o comunque una serie di audizioni anche informali.

Vincenzo D'ANNA (PT), relatore, dopo aver ringraziato i colleghi intervenuti nel corso del dibattito, precisa che non è assolutamente intenzione della proposta di legge a sua firma mercificare la sanità né favorire un certo comparto della sanità piuttosto che un altro. Il vero obiettivo che s'intende perseguire è, piuttosto, quello di realizzare un vero e proprio «contingentamento dei costi», evitando così le spese inutili. A questo proposito, fa notare come in alcune regioni del sud dove il deficit di bilancio è particolarmente elevato - cita, in particolare, il caso della Campania, dove il debito ammonta a 10 miliardi di euro - l'intero deficit è imputabile al comparto a gestione statale.
Rileva, poi, come non siano ancora state individuate soglie minime di efficienza per le strutture che operano nel settore della sanità, in modo da poter stabilire i costi standard. Riferisce che, dai dati rilevati dal CEIS di Tor Vergata, il numero di prestazione erogate è dovuto all'offerta, non alla domanda, per cui l'eccesso di spesa è imputabile ad un eccesso di domanda e non al numero di strutture che offrono prestazioni.
La questione di fondo, a suo avviso, è cercare di comprendere perché le prestazioni erogate dal comparto pubblico hanno un costo maggiore rispetto a quelle erogate dal settore privato, perché non si riesce ad arginare il deficit. Rileva che alcune regioni, come la Lombardia, appaiono virtuose in quanto vengono prelevati più soldi ai cittadini, diversamente da quanto accade in altre regioni, come la Campania, che risultano in situazioni di deficit, ma nelle quali si chiedono meno soldi ai cittadini.
Per quanto riguarda, infine, la questione, emersa durante il dibattito, concernente i dubbi di costituzionalità della proposta di legge in esame, chiede al presidente Palumbo che siano uditi sul punto anche dei professori di diritto costituzionale.

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Giuseppe PALUMBO, presidente, fa presente che, essendosi chiusa la discussione, dopo l'intervento del rappresentante del Governo sulla proposta di legge in esame, l'ufficio di presidenza della Commissione potrà valutare l'opportunità che la Commissione proceda allo svolgimento di alcune audizioni informali, sulla base delle richieste emerse nel corso del dibattito e delle indicazioni che faranno pervenire i rappresentanti dei gruppi. Rinvia, dunque, il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.30.

AVVERTENZA

Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Disposizioni per consentire l'impianto degli embrioni abbandonati giacenti presso i centri italiani di procreazione medicalmente assistita.
C. 2058 Palagiano, C. 4308 Farina Coscioni, C. 4800 Bocciardo e C. 4831 Laura Molteni.