CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 10 marzo 2011
451.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giustizia (II)
COMUNICATO
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SEDE REFERENTE

Giovedì 10 marzo 2011. - Presidenza del vicepresidente Fulvio FOLLEGOT. - Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia Giacomo Caliendo.

La seduta comincia alle 10.10.

Misure contro la durata indeterminata dei processi.
C. 3137, approvata dal Senato.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato il 9 marzo 2011.

Manlio CONTENTO (PdL) ricorda come le modifiche all'articolo 111 della Costituzione, volte a sancire il principio del giusto processo, siano state il frutto della convergenza della maggioranza e dell'opposizione di allora e come, in particolare, il secondo comma dell'articolo 111 attribuisca al Parlamento, con apposita riserva di legge, il compito di «assicurare» la ragionevole durata del processo.
Posto che la Costituzione attribuisce al legislatore questo specifico compito, la prima questione da affrontare - e sulla quale maggioranza ed opposizione dovrebbero confrontarsi - è come il legislatore debba assicurare la ragionevole durata del processo.
Bisogna prendere atto di come il provvedimento in esame, attraverso la cosiddetta «prescrizione processuale», ovvero un meccanismo che determina l'estinzione del processo decorso un dato periodo di tempo, costituisca una delle vie percorribili per assicurare la ragionevole durata del processo, indipendentemente dal fatto che una simile soluzione possa o meno piacere. Invece, l'opposizione non ha preso atto di ciò.
Rileva a tale proposito come, sul punto, il dibattito politico sia filtrato dalla presenza, talvolta ingombrante, della figura del Presidente del Consiglio, per cui l'opposizione, anziché argomentare nel merito e sotto il profilo tecnico, preferisce concentrarsi sulla mera contestazione dello scopo reale che a parere della stessa avrebbe la proposta di legge. Questo scopo sarebbe esclusivamente quello di consentire al Premier di evitare i processi che lo riguardano.
Con ciò non vuole escludere che per taluni provvedimenti tale argomentazione possa essere stata anche fondata, riferendosi a quando la maggioranza ed il Governo hanno agito per legittima difesa per difendere il Premier contro un uso politicizzato della magistratura, ma intende

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sottolineare come, in un diverso clima politico e prescindendo dalla figura del Presidente del Consiglio, il dibattito su un provvedimento di contenuto simile a quello in esame sarebbe certamente più sereno, obiettivo e costruttivo.
Posto dunque che il legislatore ha il compito di «assicurare» la ragionevole durata del processo e che una possibile soluzione è rappresentata dal meccanismo della prescrizione processuale, occorre valutare se ed in quale misura questo meccanismo possa operare.
Si è obiettato, prendendo le mosse dalla giurisprudenza comunitaria, che non sarebbe corretto riferire i termini di estinzione del processo ai singoli gradi dello stesso, ma prevedere un unico termine che si riferisca alla ragionevole durata del processo nel suo complesso. Rileva, tuttavia, come una simile obiezione sia infondata, poiché non tiene conto che la Corte di giustizia si limita necessariamente ad affermare principi che poi troveranno diversa attuazione nei singoli Stati a seconda del rispettivo sistema processuale. La Corte, in sostanza, afferma un principio che poi si declina diversamente nei diversi Stati, a seconda delle profonde differenze tra i sistemi giudiziari. Rispetto ad altri Paesi, l'Italia, ad esempio, ha la peculiarità dei tre gradi di giudizio (che, in taluni casi, possono perfino diventare quattro), con il grado di appello che si articola in un nuovo giudizio di merito. I principi affermati dalla Corte di giustizia non possono quindi avere un valore applicativo universale e indistinto in tutti gli Stati membri, senza tenere conto delle caratteristiche dei relativi sistemi processuali. Nel caso di specie, appare quindi opportuno suddividere l'intero processo in diverse fasi temporali ciascuna con un proprio termine.
Sottolinea d'altra parte come, anche a voler stabilire un unico termine riferito al processo nel suo complesso, sia difficile stabilire la ragionevole durata per ogni singolo processo, dal momento che ciascuno si distingue dagli altri, ad esempio, per il numero delle parti coinvolte, per il numero dei testimoni e la complessità degli accertamenti istruttori.
Vi sono, dunque, degli interrogativi molto importanti ai quali dare delle risposte non solo politiche ma anche e soprattutto tecniche. Non dare delle risposte in tal senso, come sembra fare l'opposizione, conduce ad un palese paradosso. Da un lato, infatti, si sostiene che non si dovrebbe approvare una legge che stabilisca in termini oggettivi quando sia superato il limite temporale della ragionevole durata dei processi e, dall'altro, lo Stato continua a pagare risarcimenti del danno perché i giudici continuano ad emettere, in base alla legge Pinto, condanne per il superamento di quel limite temporale per quanto indeterminato. Secondo il provvedimento in esame, invece, il giudice deve sapere obiettivamente quando la durata di un processo sia divenuta irragionevole.
Occorre quindi una oggettiva delimitazione temporale che non può essere quella riferita al processo nella sua interezza, cioè senza tenere conto delle diverse fasi processuali. In caso contrario, infatti, si verificherebbero effetti paradossali, in quanto potrebbe accadere che gran parte del termine venga utilizzato dal primo grado del giudizio, rendendo sostanzialmente impraticabili i successivi per mancanza di tempo.
Vi è, quindi, l'esigenza di intervenire legislativamente per porre delle indicazioni oggettive relative alla ragionevolezza della durata del processo, tenendo conto delle diverse fasi processuali. Ciò non si può fare facendo riferimento ad ogni peculiarità di ogni singolo processo, anche se è innegabile che ogni processo è diverso da un altro. La generalità ed astrattezza della legge rende impossibile ancorare ogni termine legislativo alla concreta peculiarità di un particolare processo. Per farlo occorrerebbe attribuire al giudice una discrezionalità valutativa di una portata tanto ampia da rendere inutile la legge.
Altra questione è invece quella degli effetti che si determinerebbero nei casi nei quali venissero superati i termini di fase. Secondo l'opposizione è inaccettabile l'istituto della prescrizione processuale, che porterebbe all'estinzione di migliaia di

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processi, secondo dati peraltro non verificati e del tutto discordanti da quelli forniti dal Governo. Su queste obiezioni, a suo parere, la maggioranza può discutere con l'opposizione per valutare se tali effetti siano realmente eccessivi e, quindi, in caso positivo, per introdurre gli opportuni correttivi. L'opposizione, invece, non vuole confrontarsi sulla specifica questione degli effetti, rimanendo barricata su una pregiudiziale contrarietà al testo nel suo complesso.
L'atteggiamento dell'opposizione, a suo giudizio, è del tutto errato e non tiene conto che in Italia da tempo, ogni anno, sono prescritti miglia di reati poiché i processi non riescono a concludersi prima della prescrizione. Come ha avuto modo di sottolineare nel corso di una audizione il procuratore generale di Torino, dottor Marcello Maddalena, solo a Torino si concludono con la prescrizione del reato circa 10.000 processi l'anno. Si tratta di un dato impressionante che rende chiaro come in realtà il principio della obbligatorietà dell'azione penale sia sostanzialmente superato nei fatti, attribuendo alla mera discrezionalità, o meglio, all'arbitrio dei magistrati la scelta dei processi che si concluderanno entro i termini di prescrizione e quelli che invece sono destinati al macero. Che in tutto ciò vi sia una ingiustizia di fondo è del tutto evidente.
Sintomatico di questa situazione è un grave fatto avvenuto in questi giorni, che è peraltro oggetto di un'interrogazione parlamentare. Si riferisce alla lettera del pubblico ministero Fabio De Pasquale ai giudici del Processo Mills, perché sia fissato un calendario di udienze tale da evitare la prescrizione in ragione della carica istituzionale ricoperta dall'imputato Silvio Berlusconi. A suo parere, si tratta di un'iniziativa che fa emergere in modo palese la richiesta di un trattamento differenziato nei confronti di una persona, per il solo fatto che la stessa rivesta una certa carica. Inoltre, da ciò risulta evidente che l'esigenza di una pronuncia irrevocabile sul merito non sussisterebbe ove l'imputato non rivestisse quella carica istituzionale. Rileva quindi come sorga il dubbio che l'iniziativa in questione sia il frutto di una prassi adottata dall'ufficio che prevede un «doppio binario» di celerità, per il solo fatto che gli imputati rivestano o meno un carica istituzionale. In caso contrario, emergerebbe ulteriormente la grave disparità di trattamento riservata a Silvio Berlusconi. La gravità dell'episodio non viene meno per il fatto che si tratta di una richiesta di un pubblico ministero, cioè di una parte del processo, in quanto ciò potrebbe avere rilevanza solamente in un sistema nel quale le carriere siano separate.
Occorre, quindi, intervenire legislativamente per riequilibrare il sistema, che attualmente è sbilanciato a favore di una discrezionalità dei giudici che contrasta con la Costituzione e, in particolare, con il principio di obbligatorietà dell'azione penale.
Gli effetti della prescrizione processuale dovranno essere valutati anche in relazione alla norma transitoria, per valutare se siano eccessivi gli effetti per i processi in corso.
In questa operazione di valutazione degli effetti, si dovrà tenere conto che occorre sempre equilibrare l'esigenza di fissare tempi certi e non indeterminati per il processo con quella di evitare di creare un sistema che possa portare alla cancellazione indiscriminata di un rilevante numero di processi. Invita l'opposizione ad abbandonare lo scontro politico nel quale si è gettata, per misurarsi costruttivamente in questa valutazione, ricordando che in tempi passati importanti esponenti della stessa avevano mostrato una forte sensibilità al tema dei tempi del processo fino a configurare sistemi caratterizzati da limiti temporali ben precisi.
Altra ragione di critica ricorrente al provvedimento è la mancata attenzione agli interessi della vittima, della quale molti si ricordano ora, avendola invece dimenticata quando si approvava la legge sull'indulto o addirittura dimenticandola oggi quando non viene dato alcun peso al fatto che l'attuale sistema processuale determini ogni anno miglia di reati prescritti. Pur sottolineando come la vittima del

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reato sia titolare di alcuni diritti incomprimibili, evidenzia come il principio della ragionevole durata del processi miri a tutelare in primo luogo la persona sottoposta a processo e come sia corretto che il legislatore individui dei termini oltre i quali un processo non possa più andare avanti.
Ribadisce, quindi, l'invito all'opposizione ad abbandonare l'atteggiamento di chiusura sul testo e ad affrontare l'esame del provvedimento in maniera costruttiva, anche cercando di trovare altre vie rispetto a quelle individuate dal Senato che possano comunque assicurare tempi certi al processo, qualora si accertasse che in realtà gli effetti della prescrizione processuale sarebbero eccessivi. A questo proposito, ricorda come il gruppo di IdV abbia preannunciato la presentazione di una serie di emendamenti accomunati dall'obiettivo di dare attuazione all'articolo 111 della Costituzione in maniera alternativa rispetto a quanto previsto dal testo in esame. Si augura che altrettanto faccia anche il gruppo del PD, scegliendo di non seguire quella parte della magistratura che ha deciso di contrapporsi assurdamente al Parlamento, manifestando in piazza fino a scioperare, dimenticando quali siano i principi fondanti della democrazia parlamentare nonché gli strumenti che l'ordinamento riconosce al giudice che ritenga una certa legge incostituzionale. Nel caso in cui un giudice ritenesse una legge in contrasto con la Costituzione e intendesse non applicarla, non avrebbe altri rimedi se non il sollevare una questione di legittimità costituzionale presso la Corte Costituzionale. Tutto il resto non è solamente in contrasto con la legge, ma viola i principi fondanti della democrazia. Tiene a sottolineare che lui mai avrà rispetto per questa parte della magistratura - fortunatamente non rappresentativa di tutta la magistratura - che si pone in rapporto conflittuale con il Parlamento.
Conclude rilevando come l'esame della proposta di legge all'ordine del giorno possa essere il banco di prova per verificare se l'opposizione voglia veramente riformare la giustizia ovvero se voglia lasciare tutto come si trova, nascondendosi dietro il solito slogan secondo il quale leggi della maggioranza sarebbero fatte contro i magistrati.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO dichiara di condividere la valutazione fatta dall'onorevole Contento circa l'atteggiamento di chiusura adottato dall'opposizione, ritenendo che il dibattito sul testo sarebbe stato ben diverso qualora fosse stato svolto da tecnici anziché da politici. È innegabile che occorra un parametro obiettivo per fissare tempi certi al processo, così come richiesto dalla giurisprudenza europea che fissa il termine di sei anni, derogabile in casi particolari. Solo in questo modo potranno diminuire le condanne per violazione dell'articolo 6 della CEDU. Ricorda che la suddivisione in fasi temporali del processo nelle scorse legislature era stata valutata positivamente anche dalla senatrice Anna Finocchiaro nonché da altri importanti esponenti del centrosinistra che avevano presentato apposite proposte di legge.
Rileva inoltre come la tanto criticata norma transitoria sarebbe valutata sicuramente in maniera positiva qualora non vi fosse lo scontro politico sulla persona del Presidente del Consiglio, riferendosi a reati destinati alla prescrizione.

Cinzia CAPANO (PD) sottolinea come il Sottosegretario Caliendo, se avesse partecipato assiduamente alle audizioni, saprebbe che sul provvedimento in esame si è svolto un approfondito dibattito tra tecnici.
Rileva inoltre un paradosso nelle argomentazioni della maggioranza. Sembra, infatti, che il problema principale non sia rappresentato dal fatto, incontestabile, che questa riforma sia fatta per il Presidente del Consiglio, bensì dal fatto che l'opposizione si preoccupi che una riforma ad uso e consumo di un singolo cittadino possa avere effetti devastanti sull'intero sistema giustizia.
Appare suggestivo, inoltre, il ragionamento del collega Contento, secondo il quale ciò che conta sarebbe solo l'obbligo

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del legislatore di assicurare la ragionevole durata del processo, mentre gli effetti devastanti della cosiddetta riforma si porrebbero sullo sfondo; la maggioranza sarebbe disponibile a limitare tali effetti, ma sarebbe necessaria la collaborazione del centrosinistra, che dovrebbe astenersi dal fare un'opposizione frontale e basata su argomentazioni politiche.

Manlio CONTENTO (PdL) precisa di avere sostenuto esattamente il contrario. Ribadisce, infatti, che il nodo della questione è rappresentato dalla valutazione degli effetti del provvedimento.

Cinzia CAPANO (PD) rileva come il «giusto processo» di cui all'articolo 111 della Costituzione non si potrà mai realizzare attraverso il «processo breve», ovvero mediante la morte del processo per mera decorrenza dei termini. L'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione conferma in modo incontrovertibile tale affermazione ed evidenzia come il tema centrale sia rappresentato dagli effetti devastanti di questo provvedimento.
Ritiene che, in ogni caso, che la Commissione non abbia assolto adeguatamente il proprio dovere di compiere una valutazione dell'impatto del provvedimento ai sensi dell'articolo 79, comma 4, del Regolamento, e che sarebbe stato necessario anche richiedere una relazione tecnica al Governo ai sensi del comma 5 del predetto articolo. Ma è evidente che il Governo non abbia alcuna intenzione di fornire, in particolare, il numero esatto dei processi che si estinguerebbero in seguito all'approvazione del provvedimento. I dirigenti degli uffici giudiziari che sono stati auditi hanno fornito delle cifre allarmanti, che divergono da quelle che il Governo ha dichiarato. Di fronte a questa contraddizione il Governo ha una sola possibilità: quella di fornire le argomentazioni sulle quali si basano i dati dallo stesso elaborati e quindi, allo stesso momento, rilevare che magistrati hanno trasmesso al Parlamento dei dati falsi e, pertanto, procedere in via disciplinare contro costoro. Se tutto ciò non avviene è solo perché i dati non veritieri sono quelli del Governo.
Rileva quindi come l'articolo 7 del provvedimento sia una norma assolutamente fuori da ogni logica e realtà, costituendo una sorta di lapsus freudiano, che dimostra come la maggioranza non abbia idea oppure finga di non sapere quale sia il reale impatto della proposta di legge, anche sotto il profilo finanziario.
Evidenzia come l'articolo 111, secondo comma, non preveda che la legge «disciplini», ma che la legge «assicuri» il giusto processo, attribuendo le opportune risorse e migliorando l'organizzazione. Il Governo ha invece operato dei tagli alle piante organiche. Sottolinea inoltre come nei bilanci del 2009 e 2010 risultino degli enormi residui passivi, ritenendo che siano quelle le risorse per assicurare la ragionevole durata dei processi. Occorrerebbero, inoltre, degli interventi di carattere strutturale quale, ad esempio, una legislazione ispirata al principio del diritto penale minimo.
Tutti gli interventi di questo Governo e di questa maggioranza sembrano invece andare nella direzione opposta. Il provvedimento in esame aggrava tutti i problemi della giustizia. Cita, in particolare, gli effetti deleteri dell'istanza di anticipazione sul processo civile, come descritti nel corso delle audizioni. Si tratta di un provvedimento killer, che uccide la giurisdizione, anche quella civile.
Posto che ormai la giustizia è prossima alla paralisi, ritiene indispensabile uno scatto di orgoglio da parte di tutti: della magistratura, dell'avvocatura e anche della politica. Altrimenti si rischia di fare uscire la giustizia dalle aule dei tribunali, di ritornare al regolamento privato dei conti, all'esercizio arbitrario delle proprie ragioni da parte dei cittadini. Ritiene che il Parlamento non solo non debba approvare questa proposta di legge, ma che addirittura non possa approvarla, perché vi è il rischio di paralizzare il sistema giustizia, determinando una sorta di «amnistia casuale».
Infine, nel replicare all'onorevole Contento, ritiene che il pubblico ministero del processo Mills, non abbia compiuto nessun abuso allorché ha suggerito un calendario

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per lo svolgimento del processo che riguarda un cittadino non come tutti gli altri, ma che ha potuto e può avvalersi di determinati istituti per non partecipare alle udienze.

Antonio DI PIETRO (IdV) preliminarmente chiede al rappresentante del Governo se possa confermare la notizia che da qualche ora circola, secondo la quale vi sarebbe l'intenzione di apportare una sostanziale modifica al provvedimento in esame. Modifica che comporterebbe il superamento della prescrizione processuale, per passare ad una mera segnalazione ai competenti organi disciplinari.

Il sottosegretario Giacomo CALIENDO dichiara di non confermare quanto richiesto dall'onorevole Di Pietro.

Antonio DI PIETRO (IdV) preso atto della risposta del rappresentante del Governo, rileva come vi sia una sostanziale convergenza sul fatto che il processo in Italia sia affetto da una grave malattia. Ma osserva come la cura per questa malattia non possa certamente essere quella di non celebrare più i processi: in questo modo certamente l'Europa non potrebbe più rimproverarci dei tempi irragionevoli dei processi, ma è chiaro che si tratterebbe di una soluzione paradossale. Pertanto, condivide la diagnosi ma non la terapia.
Concorda con l'onorevole Contento quando sostiene che l'esame degli emendamenti dovrà essere una fase propositiva dell'esame di questo provvedimento. Preannuncia quindi la presentazione da parte del proprio gruppo di molti emendamenti che prospettano altre soluzioni al problema della eccessiva durata dei processi. In particolare, preannuncia la presentazione di emendamenti che affrontano dei temi cari al PdL, ovvero il divieto di doppio incarico per i magistrati e il divieto per i magistrati che abbiano svolto funzioni parlamentari di rientrare nella magistratura. Esprime quindi curiosità per quale sarà il parere che il Governo esprimerà su tali emendamenti.
Sottolinea come spesso capiti che, quando provvedimenti particolarmente delicati, anche in materia di giustizia, suscitano le proteste dei cittadini o delle categorie interessate, si chieda rispetto per il Parlamento. Si domanda, peraltro, quale rispetto meriti un Parlamento che continua ad usare strumentalmente il fumus persecutionis per far sfuggire i suoi componenti dalle indagini giudiziarie.
Non condivide quindi l'affermazione dell'onorevole Contento, secondo il quale, di fronte agli errori giudiziari ed anche alle proteste dei magistrati nei confronti del provvedimento in esame, il Parlamento eserciterebbe una sorta di legittima difesa. Ritiene che certamente occorra rivedere la disciplina sulla responsabilità dei magistrati, avendo presentato a tal fine un'apposita proposta di legge, ma che nulla possa comunque giustificare l'introduzione di misure che rendano concretamente impossibile o eccessivamente gravoso l'esercizio della giurisdizione.
In conclusione, auspica che in Commissione si possa svolgere un dibattito sereno ed equilibrato, che possa condurre all'individuazione degli strumenti tecnici più idonei ad affrontare i mali che affliggono la giustizia.

Fulvio FOLLEGOT, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, dichiara concluso l'esame preliminare. Ricorda che il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato alle ore 18 di lunedì 14 marzo prossimo. Rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 11.20.