CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 settembre 2010
371.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Cultura, scienza e istruzione (VII)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Valentina APREA.

La seduta comincia alle 14.15.

Variazione nella composizione della Commissione.

Valentina APREA, presidente, comunica che il deputato Luciano Ciocchetti ha cessato di far parte della Commissione.

Istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo.
Nuovo testo C. 3351 Rossa.

(Parere alla I Commissione).
(Seguito esame e conclusione - Parere favorevole con condizione).

La Commissione prosegue l'esame del nuovo testo in titolo, rinviato nella seduta del 21 settembre 2010.

Paola GOISIS (LNP), relatore, propone di esprimere un parere favorevole con condizione (vedi allegato) che illustra.

Sabina ROSSA (PD) ritiene che il provvedimento in esame rappresenti un'utile iniziativa del legislatore di sensibilizzare i cittadini sul tema della tutela dell'ambiente in un Paese come l'Italia esposto per diverse ragioni a questo tipo di rischi. Si conclude così un percorso di riconoscimento di tragedie che hanno colpito l'Italia, come il disastro della diga del Vajont ricordato dalla collega Goisis, favorendo l'individuazione di occasioni di riflessione non solo formale.

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Preannuncia quindi, anche a nome del gruppo cui appartiene, il voto favorevole sulla proposta di parere del relatore.

La Commissione approva quindi la proposta di parere favorevole con condizione, presentata dal relatore.

La seduta termina alle 14.30.

SEDE REFERENTE

Mercoledì 22 settembre 2010. - Presidenza del presidente Valentina APREA. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'istruzione, università e ricerca, Giuseppe Pizza.

La seduta comincia alle 14.30.

Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario.
C. 3687 Governo, approvato dal Senato, e abbinate C. 591 Tassone, C. 1143 Ghizzoni, C. 1154 Barbieri, C. 1276 Grimoldi, C. 1397 Barbieri, C. 1578 Mario Pepe (PdL), C. 1828 Narducci, C. 1841 Grassi, C. 2218 Picierno, C. 2220 Fucci, C. 2250 Garagnani, C. 2330 Garavini, C. 2458 Fioroni, C. 2460 Goisis, C. 2726 Carlucci, C. 2748 La Loggia, C. 2841 Lorenzin e C. 3408 Anna Teresa Formisano.

(Seguito esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento rinviato nella seduta del 21 settembre 2010.

Manuela DI CENTA (PdL) ricorda che nella giornata di ieri ha incontrato degli studenti che si erano appena iscritti al primo anno di università e che erano desiderosi di sapere se la riforma prevista dal disegno di legge in esame sarà capace di far sì che l'università sia più trasparente e più capace di dare un livello qualitativo di insegnamento elevato a tutti gli studenti. Segnala, infatti, che è importante per uno studente che si iscrive al primo anno di università sapere se l'università sarà in grado effettivamente di fornire una formazione idonea al suo ingresso nel mondo del lavoro. Ricorda che a tali studenti ha risposto che il disegno di legge in esame persegue proprio gli obiettivi citati ed è stato approvato attraverso il coinvolgimento di vari soggetti che interagiscono nel mondo dell'università. Si tratta di una riforma che è attesa da venti anni.
Rileva altresì che due anni fa il ministro Gelmini aveva illustrato le linee guida di riforma del sistema universitario, puntualmente riprese nella riforma in esame. Sottolinea inoltre che la riforma della governance e del reclutamento è fortemente ispirata ai principi di trasparenza e di imparzialità; inoltre è stata data la giusta importanza alla necessaria interazione delle università con il mondo esterno, attraverso la previsione di membri esterni all'interno dei consigli di amministrazione. È stato inoltre previsto un codice etico, che è alla base di un processo autentico di trasparenza nell'università. Evidenzia altresì che una forza trainante del provvedimento è rappresentata altresì dal giusto riconoscimento del merito di docenti, ricercatori, studenti e di tutti i soggetti che operano nel mondo universitario. A tal riguardo, segnala l'istituzione di un fondo speciale per promuovere l'eccellenza e il merito. Attraverso tale fondo si interviene per dare allo studente meritevole, che non ha a disposizione risorse economiche sufficienti, la possibilità di poter avere pari opportunità rispetto agli altri studenti. Ritiene peraltro che tra i requisiti da valutare nell'ambito dell'assegnazione delle risorse del fondo dovrebbero essere comprese anche le esperienze di vita, come ad esempio l'aver conquistato medaglie olimpiche. Allo stesso modo, ritiene che anche all'articolo 14, che pur considera importante, dovrebbe essere inserito tra i meriti per ottenere i crediti formativi, il fatto di essere diventato un campione olimpionico. Ricorda, a tal proposito, che nell'ambito della riforma della scuola secondaria si è prevista l'istituzione

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del liceo sportivo e che una commissione ministeriale, di cui fa parte, sta portando a compimento tale progetto.
Conclude quindi ribadendo che gli obiettivi fondamentali della riforma sono quelli di aumentare la professionalità delle università, rendendole trasparenti e capaci di dialogare ad ogni livello. Dal punto di vista dell'assegnazione delle risorse, si stabilisce inoltre il principio in base al quale i finanziamenti non devono essere distribuiti a pioggia, ma solo agli atenei meritevoli, assicurando che chi non è capace di amministrare non può continuare a farlo e deve quindi essere sostituito.

Luisa CAPITANIO SANTOLINI (UdC) ritiene che il disegno di legge in esame abbia un problema di metodo essenziale: si vuole, infatti, approvare un testo significativo e importante in maniera troppo veloce, e senza avere la garanzia che eventuali pareri possano essere accolti. La logica della fretta, si sa, non aiuta certo la comprensione e un dibattito proficuo.

Valentina APREA, presidente, assicura che la Commissione svolgerà come sempre l'esame del provvedimento in maniera ampia ed adeguata.

Luisa CAPITANIO SANTOLINI (UdC), in premessa, ritiene che la riforma, comunque una svolta nel sistema universitario, doveva essere più coraggiosa: sarebbe stata sicuramente ben vista l'abolizione del valore legale della laurea e una maggiore integrazione con gli enti di ricerca. Tutto questo non è avvenuto ed è per tale ragione che prevede che prima o poi bisognerà riprenderla in mano e portarla a compimento. Il provvedimento all'esame della Commissione è sicuramente molto importante perché la riforma dell'università è necessaria; non si può negare che è anche una norma attesa e discussa anche nelle precedenti legislature. Rileva che fino ad oggi, grazie a scelte discutibili e onerose, si sono avuti esiti negativi per effetto di interventi normativi nel settore, quali la proliferazione di sedi e corsi, il disordine e l'inefficienza nella governance del sistema universitario, un generale abbassamento di livello; senza dimenticare tuttavia il permanere di punte di eccellenza che hanno continuato a competere ad alto livello in campo internazionale. Sottolinea che la legge di riforma in discussione ha l'ambizione di porre rimedio a tutto ciò, ma così come è stata concepita non raggiunge lo scopo che si prefigge. Se da un lato è apprezzabile il tentativo di produrre una riforma di sistema, sono infatti ancora troppe le carenze da rilevare. Riconosce comunque al Ministro di aver evitato la strada dei decreti legge, introducendo alcuni principi condivisibili: una governance caratterizzata da autonomia e responsabilità; il reclutamento sottoposto a un vaglio di meritocrazia e di una valutazione fatta a livello nazionale; il tentativo di legare la carriera e la retribuzione dei docenti non ad automatismi, ma a produttività e qualità di lavoro; il tentativo di porre lo studente al centro del sistema anche attraverso l'istituzione di un Fondo per gli studenti meritevoli; la previsione di forme di fusione o federazione tra atenei; la previsione di legare le risorse a criteri di valutazione.
Tutto ciò premesso, sottolinea peraltro l'origine di tutte le critiche alla riforma universitaria in esame: la mancanza di risorse. Ci si poteva aspettare che nell'affrontare una riforma così impegnativa si decidesse di investire, prima di attuare qualsiasi taglio, perché ritiene che le riforme a costo zero non si possono attuare, tanto meno quando ci si trova di fronte a tagli molto pesanti. Ricorda che la legge 6 agosto 2008, n. 133 ha ridotto drasticamente le risorse finanziarie del sistema universitario: 63,5 milioni di euro per il 2009; 190 milioni di euro per il 2010; 316 milioni di euro per il 2011; 417 milioni di euro per il 2012; 455 milioni di euro per il 2013; si tratta di un totale di quasi 1.500 milioni di euro di riduzione in cinque anni, una media di 300 milioni di euro per anno. Sottolinea che si è passati dalla riduzione dell'ordine dell'1 per cento del 2009 ad una del 7,8 per cento fra il 2012 e il 2013; tutto questo applicato ad un

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sistema sotto finanziato. Comparando i dati OCSE circa la spesa per studente, osserva che la spesa annuale per studente negli USA è pari a 24.370 dollari; in Inghilterra a 13.506 dollari; in Germania a 12.446 dollari; in Francia 10995 dollari, e che la media OCSE è di 11512 dollari, mentre in Italia è di 8026 dollari. In merito invece alla spesa pubblica annuale per studente, rileva che in USA è pari a 8400 dollari, in Inghilterra a 9400 dollari, in Francia di 9300 dollari, e che la media OCSE è pari a 8400 dollari, mentre in Italia è di 5400 dollari. Sottolinea quindi che le retribuzioni dei docenti sono tra le più basse; in particolare quelle dei ricercatori italiani, nei primi anni di attività, sono più basse del 30 -50 per cento di quelle degli altri paesi europei. Si parla di 1250 euro netti al mese per il salario d'ingresso di un ricercatore; ma anche dopo quindici anni di carriera un professore universitario guadagna relativamente poco, cioè non più di 40 mila euro all'anno, cioè il 22.6 per cento in meno della media OCSE.
Ricorda ancora che il sistema universitario è dato al collasso se non verranno erogate le risorse promesse dal Ministro Tremonti e questa è l'asserita ragione della fretta con cui bisogna approvare il provvedimento. Ritiene di poter tranquillamente affermare peraltro che il sistema è già al collasso a partire dal 2011 perché i tagli sono operativi da due anni e non consentono di affrontare in maniera positiva una riforma così articolata. In merito alle criticità che si possono rilevare, si riserva di puntualizzarle quando verranno presentati gli emendamenti, nella speranza che il Ministro accolga alcune obiezioni e corregga conseguentemente la proposta di legge. In relazione ai principi della riforma, la prima obiezione che muove è che non esiste un «modello» di Università, avendo preso come modelli sistemi universitari stranieri che non sempre rispecchiano la realtà italiana. Inoltre l'Università non è concepita come una comunità scientifica, il carattere pubblico delle università, fondamentale per la loro missione, non risulta garantito; come pure il principio di partecipazione democratica che risulta impoverito, specie per quanto riguarda l'elezione del rettore. La riforma spinge quindi l'Università più verso un sistema formativo - per esempio ai dipartimenti si attribuiscono molti compiti didattici che prima appartenevano alle facoltà, che si vogliono depotenziare -, e non attribuisce alla ricerca un valore strategico. Per questo la ricerca è disancorata da un quadro generale. In altre parole, ritiene che manchi un quadro certo che definisca che tipo di università si vuole, con quali compiti, per quale tipo di società e per quale tipo di laureati. L'università delineata dalla riforma sembra essere infatti un soggetto amorfo, ora azienda - ad esempio un consiglio con elementi esterni oppure un direttore generale -, ora istituzione, con un senato accademico che si occupa solo della didattica. Ritiene quindi che questo sia un problema di tipo culturale che si sente di dover sottolineare adeguatamente.
Per quanto riguarda la governance, ritiene che sarebbe stato più opportuno disporre regole unitarie su autonomia e responsabilità, dando indicazioni sulla semplificazione degli organi di governo. Se l'autonomia deve caratterizzare il sistema universitario sarebbe stato auspicabile che il disegno di legge si fosse limitato a definire gli obiettivi di gestione, lasciando alle università le scelte organizzative ritenute più opportune alla luce dei rispettivi contesti economici e sociali di riferimento, ferma restando una puntuale valutazione dei risultati conseguiti. Ritiene evidente infatti che disciplinare per legge la composizione quantitativa e qualitativa del Consiglio di Amministrazione e del Senato Accademico, con rispettivi poteri, risulta fortemente lesiva dell'autonomia universitaria. Inoltre, per quanto riguarda la divisione dei compiti tra Consiglio di Amministrazione e Senato accademico, pur affermata, la stessa non è disciplinata chiaramente e vi sono ancora troppi elementi di confusione che andrebbero eliminati. Ritiene quindi che il fondo per il merito sia condivisibile come principio, ma prevede meccanismi di finanziamento

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estremamente difficili da attuare. Concorda quindi sull'esigenza che vada rivisto lo strumento del diritto allo studio, in quanto superato dai fatti e dall'evoluzione della società. Se l'università va verso una premialità del merito, è necessario sostenere in maniera concreta, semplice ed efficace i meno abbienti per consentire a tutti eguali condizioni di partenza e per far valere davvero i più meritevoli. Ribadisce che tutto questo nel disegno di legge di riforma del Governo non è chiaro e deve essere affrontato più seriamente.
In merito all'efficienza del sistema universitario, ritiene positivo evitare il moltiplicarsi dei corsi, come previsto dall'articolo 5, ma ciò è condizionato dal funzionamento dell'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) che ancora non è operativa. Sarebbe opportuno immaginare una norma transitoria che affronti il problema e non condizioni l'efficienza del sistema universitario a organismi che ancora devono nascere. In relazione alla situazione del personale docente, poi, ritiene che l'introduzione della figura del ricercatore a tempo determinato - tre anni più tre - non si accompagni da uno sbocco certo o nella docenza universitaria o in altri settori del mondo produttivo. Il rischio è la creazione di altre forme intollerabili di precariato. Non ci sono proposte per i giovani, né proposte che favoriscano gli studiosi-ricercatori: sembra che lo sbocco debba essere solo verso la docenza; inoltre, la strada per definire le questioni sospese, come quella concernente gli attuali ricercatori confermati è rimessa alla discrezionale applicazione dei singoli atenei. Una ultima osservazione riserva infine ai docenti già in servizio che sono stati pesantemente colpiti dalla manovra finanziaria e che non hanno davanti un futuro chiaro e certo. Ritiene che la riforma sembri occuparsi soprattutto di chi deve entrare nell'università e molto meno di coloro che già sono in cattedra con diversi compiti e situazioni didattiche. Considera necessario un confronto anche su questo punto. Sulla mobilità dei docenti e il reclutamento, ribadisce d'altra parte che è positivo un albo nazionale degli abilitati, concordando con la scelta di prevedere che il docente chiamato da un professore debba rispondere del proprio lavoro e del proprio impegno. Tuttavia occorre affrontare il problema di tutti i ricercatori che sono presso università, enti di ricerca o privati nel senso che hanno contratti, stipendi e carriere del tutto diversi. Se occorrono correttivi contro il baronato tuttavia non esiste una chiara disciplina della mobilità dei docenti tra le diverse sedi universitarie e ciò non favorisce gli scambi tra università, enti di ricerca e privati in modo strutturato. Rileva inoltre che non ci sono risorse esterne per agganciare una parte dei docenti con i risultati. È necessario ricostruire un modello di università che tenga conto delle peculiarità della tradizione e della storia universitaria del Paese, indicando elementi caratterizzanti tra i quali il fatto che l'Università deve combinare ricerca e didattica in modo da realizzare una didattica aggiornata ai livelli del sapere e della ricerca corrente, realizzando uno spazio sicuro per la ricerca di base.
Ritiene quindi che le università debbano costituire istituti di specializzazione e di formazione d'eccellenza post-dottorali per la formazione non solo di futuri docenti, ma anche per la formazione della futura classe dirigente del Paese. Gli atenei devono realizzare, al contempo, una forte sinergia tra il sistema formativo e il mondo produttivo in modo che ne traggano beneficio creando distretti per la formazione superiore. Ritiene necessario ricucire il rapporto con gli Enti di ricerca, anche favorendo lo scambio tra i due sistemi nella didattica e nei progetti di ricerca, orientando la selezione del personale docente in tempi certi, costituiti da un primo momento formativo e da un regolare accesso a una carriera. Le università devono favorire infine la mobilità degli studenti, rendendo flessibile l'offerta didattica e la mobilità dei docenti attraverso accordi interuniversitari e interistituzionali.

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Pierfelice ZAZZERA (IdV), pur giudicando necessaria una riforma dell'università, ritiene che il disegno di legge in esame non configuri una vera e propria riforma del settore, in quanto una riforma che voglia essere tale non può essere fatta senza un progetto unitario e senza le risorse necessarie. Ritiene, infatti, che una riforma non possa essere fatta senza un intervento dello Stato, come è avvenuto ad esempio negli Stati Uniti recentemente. Esprime inoltre la convinzione che con il disegno di legge in esame si voglia far passare una riforma solo con l'enunciazione di principi, che devono essere poi applicati in concreto. Per quel che riguarda le risorse, stigmatizza in particolare il fatto che le stesse non siano stanziate per l'attuazione della riforma, ma spesso giungano ai privati, come ad esempio nel caso dell'Istituto italiano di tecnologia. Segnala inoltre che la riforma della governance prevede che il consiglio di amministrazione «ribalti l'azione» del senato accademico, creando quindi una situazione per la quale soggetti esterni all'università possano, di fatto, influire sulle scelte della stessa, «aziendalizzando» il sapere. Sottolinea altresì che i cosiddetti «cervelli» italiani vanno aiutati a restare nel Paese; infatti grandissime intelligenze vanno all'estero piuttosto che restare in Italia proprio per la mancanza di prospettive. D'altronde, se le due figure più importanti del sistema universitario nazionale, i dottori di ricerca e i ricercatori, sono «precarizzati», non si può pretendere che i giovani italiani rimangano in Italia. Osserva quindi che l'autonomia dell'università è importante, ma che in realtà nel disegno di legge non si prevede una vera sfera autonoma per le università, dato che è previsto un forte controllo a livello centrale. A tal proposito, evidenzia che l'autonomia non è quella relativa alla gestione delle risorse, ma quella del sapere, del fare programmi innovativi e selezionare i giovani che frequentano l'università. Aggiunge inoltre che è importante assicurare determinati codici etici nelle università, richiamando il fenomeno del baronato e del nepotismo, che rende meno credibile il processo di selezione.
Per quel che riguarda il diritto allo studio, considera invece giusto il principio che prevede la massima affluenza possibile degli studenti all'università, precisando peraltro che la selezione con test di ingresso costituisce un sistema che non migliora la qualità e la classe che si forma. Occorre senz'altro mettere dei «paletti» ben precisi, prevedendo più rigore per chi insegna e regole severe anche per chi frequenta; non è possibile ad esempio essere dieci anni fuori corso, facendo sì che l'università diventi un parcheggio per chi non ha lavoro. Evidenzia altresì che due punti fondamentali di una vera riforma universitaria sono la capacità dell'università di entrare in contatto con il sistema produttivo e la capacità delle università di dialogare tra loro. A tal proposito, segnala la recente esperienza delle università della Puglia, del Molise e della Basilicata, che hanno creato una sinergia tra loro che andrebbe senz'altro ripetuta in altre aree del Paese. Segnala inoltre l'importanza di potenziare attività pratiche, soprattutto in facoltà scientifiche come medicina, come dimostrato anche dai recenti episodi di cronaca relativi a eventi di malasanità. In conclusione, ritiene necessario abbattere le barriere ideologiche e considerare la complessità del sistema sui saperi e sulla cultura.

Walter TOCCI (PD) rileva che il provvedimento in esame, inizialmente presentato dal Governo, recava 170 norme che tenendo conto del rinvio a leggi delega arrivano a più di 500. Si tratta di un provvedimento sciagurato che con i dieci regolamenti necessari alla sua attuazione per ciascun ateneo determinerà una vera e propria alluvione normativa. Aggiunge che le procedure concorsuali risultano raddoppiate con la previsione di un livello nazionale ed uno locale, inoltre si crea un'inutile carrozzone burocratico per la gestione del diritto allo studio, come il CONSAC. Evidenzia quindi che il disegno di legge presentato dall'Esecutivo presenta tre profili di criticità principale, relativi

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all'efficacia; al confronto internazionale; alla distanza tra le promesse e i fatti che si intendono realizzare. Sul piano dell'efficacia, rileva che se tutto dovesse trovare un'attuazione puntuale l'ingente produzione normativa conseguente all'entrata in vigore del provvedimento porterà comunque ad una paralisi del settore come già accaduto per il decreto 180. Sul piano del confronto con le altre realtà internazionali sottolinea poi che in altri Paesi europei si assiste ad importanti interventi di riforma dell'università, senza peraltro che vi siano state ingenti produzioni normative. Sotto il profilo della incoerenza del provvedimento rispetto agli obiettivi che si pone, aggiunge inoltre che se è condivisibile la scelta di introdurre maggior merito nell'università, il percorso delineato va in direzione opposta, impedendo un reale confronto tra gli atenei per l'introduzione di una normativa eccessiva.
Evidenzia quindi che anche il tema della valutazione appare criticabile visto che attualmente la valutazione dei risultati conseguiti e riferiti a dati vecchi di dieci anni. Se si aggiunge che richiederà ancora tempo l'entrata a regime dell'ANVUR, è evidente che si è perso inutilmente del tempo che si poteva utilizzare diversamente. Sarebbe stato possibile per esempio, nelle more di avvio dell'ANVUR, utilizzare organismi già esistenti come il CIVR e il CNSU, utilizzando le relative banche dati aggiornate. Ribadisce quindi che l'impianto della riforma è sbagliato, nel suo complesso, rilevando anche alcune ulteriori criticità specifiche. Pensa per esempio all'esagerato aumento del potere del Rettore, o al cosiddetto istituto del tenure track, che nell'esperienza anglosassone coniuga certezze e merito, mentre nella formulazione prevista dal Governo non dà alcuna garanzia di riconoscimento del merito. Inoltre rimane irrisolta la condizione di giovani ricercatori soggetti ad un vero e proprio «schiavismo intellettuale», visto che ricevono anche solo qualche centinaio di euro l'anno. Il Governo mortifica d'altra parte il ruolo dei ricercatori i quali invece rappresentano il bastione principale dell'organizzazione della didattica. Considera d'altra parte la previsione del concorso nazionale un «pannicello caldo» che non potrà assicurare un'efficace selezione degli idonei, ma anzi raddoppierà i profili di criticità nella selezione dei docenti, con l'aggiunta dell'ulteriore procedura a livello locale.
Ribadisce quindi che il provvedimento in esame non affronta i veri problemi del settore che sono la ricerca e la didattica. In Italia sono esauriti fondi competitivi della ricerca idonei a favorire lo sviluppo del settore dal punto di vista meritocratico. Si è assistito invece nel corso degli anni, a partire dalla riforma Moratti, ad una proliferazione di corsi e all'apertura di università telematiche che sono fuori da ogni normativa e che dovrebbero essere assolutamente chiuse. È necessario inoltre introdurre un moderno sistema di accreditamento della didattica che invece ancora manca. Ritiene che la misura reale della crisi sia data dal numero elevato dei giovani migliori che oggi abbandonano il Paese per svolgere la propria attività in maniera eccellente nei migliori Centri di ricerca europea. Certo non sarà il provvedimento in esame a convincerli a tornare indietro.

Maria Letizia DE TORRE (PD) offre un breve contributo al dibattito, concentrandosi su uno degli aspetti della riforma, la presunta «visione di sistema» del disegno di legge del Ministro Gelmini. Sottolinea quindi l'interdipendenza delle università e del sistema di valutazione e miglioramento. In merito al primo punto, ritiene che, scorrendo il disegno di legge, è come se emergessero le quasi cento università una ad una e non, invece, un sistema universitario italiano «interindipendente», fatto cioè di singole, libere e autonome università che possono raggiungere la propria potenzialità solo in rete con le altre ed in rete con le realtà culturali, economiche e sociali, locali e nazionali del Paese. Ritiene certamente buona la tensione di tutto il disegno di legge di superare inefficienze e valorizzare eccellenze, ma la strada per farlo - quella usata con sempre maggiore convinzione e risultati

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anche in economia, nel settore dei servizi e così via - non è più oggi la concorrenza, ma la cooperazione; seri e competenti processi partecipativi; la chiarezza degli obiettivi e dei ruoli, dell'autonomia dell'ateneo, del Ministero, delle Agenzie, della comunità locale, del Parlamento. Ritiene inoltre che razionalizzare le sedi universitarie, passare dal «sotto casa» all'università dell'alta ricerca e della dimensione internazionale, chiudendo gli atenei che hanno pessimi risultati o tagliando le risorse di quelli mediocri porterà, forse, una o due università ad entrare tra le prime cento del mondo, ma non all'eccellenza tutto il sistema universitario italiano.
Per raggiungere l'obiettivo di un'eccellenza diffusa, per offrire a tutti gli studenti ottimi percorsi universitari, magari attraverso una filiera di università costruita e curata, ritiene invece che occorra incentivare tutte le università a perseguire ciascuna la propria vocazione di ricerca o di formazione, di eccellenza internazionale o di supporto alle piccole e grandi eccellenze del territorio, operando in rete, cooperativamente. La possibilità prevista di «federarsi» va in questa direzione, ma ne è solo un aspetto che può porre in rete due o tre università, ma non questi atenei con il resto del sistema universitario. In tale direzione, osserva che anche la Conferenza dei Rettori - forse proprio perché il sistema è concorrenziale e non cooperativo e forse perché il Ministero non ha ancora svolto un ruolo di facilitatore di una tale cooperazione, ma si rivolge alla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) per cercarne il consenso - non riesce ad essere il luogo in cui si conoscono, si incontrano e si potenziano le risorse intellettuali, le iniziative di ricerca e di didattica, le buone prassi verso lo sviluppo dei vari Atenei. Considera dunque che anche della necessità di creare questo snodo della rete il Parlamento dovrebbe farsi carico. Aggiunge inoltre che immettere ossigeno, fiducia, responsabilità e libertà nel sistema universitario italiano potrebbe sollecitare l'Università ad essere di nuovo un soggetto vivo per il Paese, che possa aiutare l'Italia a ritrovare e rinnovare la propria cultura e il proprio sviluppo.
In merito al sistema di valutazione e di incentivazione, ritiene innanzitutto non adeguato usare lo strumento della delega al Governo per più motivi: le università, sono «libere università» - e di ciò l'Italia è custode delle origini e di una grande storia -, devono cioè essere luoghi di libero pensiero, di libera ricerca della verità. Libere certamente nel confine del rispetto delle persone, delle comunità, delle civiltà. Ritiene quindi che non possa che vigilare su di loro, quindi, chi rappresenta l'intera comunità politica, ma certo non può e non deve essere la vigilanza di «una parte». Spetta, dunque, al Parlamento e non al Governo la responsabilità e la titolarità prima della valutazione. Il Parlamento, quindi, non può abdicare a questo ruolo, che lo deve vedere vigilare sullo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, i cui compiti devono essere maggiormente messi a fuoco sia verso ogni università, sia verso l'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) che ritiene dovrebbe rispondere al Parlamento e non al Ministero. A chi obbiettasse a queste osservazioni la tesi che costruire il sistema di valutazione è complesso ed è questa la ragione della delega al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, crede sarebbe facile far notare che i sistemi di valutazione hanno ormai una storia nel mondo e il Parlamento avrebbe tutti gli strumenti per mettere in legge un completo sistema di valutazione. Nel disegno di legge in esame, invece, non sono date neppure chiare e sufficienti indicazioni al Governo per come costruirlo. Suggerisce, pertanto, che si emendi il disegno di legge, almeno richiedendo un «rendiconto annuale» per il Parlamento nel quale, con parametri internazionali, la collaborazione dell'ANVUR, la presenza di eminenti esperti o riconosciute realtà internazionali, si metta a fuoco tutto il sistema universitario, compreso il ruolo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'adeguatezza

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e l'efficacia delle risorse, il lavoro dell'agenzia di valutazione, la capacità di rete e di relazioni internazionali e locali degli Atenei. Allo stesso modo, andrebbe osservata l'inopportunità di agire con delega per il diritto allo studio, almeno per due motivi: ci si trova in una fase in cui il diritto allo studio va ripensato in chiave attuale e come altri colleghi hanno già fatto notare deve essere il Parlamento a dare indirizzi; inoltre, ci si trova in fase di riassetto del Paese in chiave «federalista», di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Ritiene quindi che in ordine al diritto allo studio le città e le regioni abbiano grande ruolo e il Parlamento non posa abdicare al suo ruolo di armonizzare i diversi compiti secondo le competenze fissate dal Titolo V della Costituzione e secondo le giuste aspirazioni delle comunità locali verso i propri giovani.

Giovanni Battista BACHELET (PD) rileva innanzitutto che in occasione dell'intervento della ministra non è stata data la possibilità ai deputati di interloquire, con un metodo che ancora una volta non è parso rispettoso delle prerogative dei componenti della minoranza.

Valentina APREA, presidente, precisa che lo svolgimento del calendario dei lavori della Commissione, relativo all'esame del provvedimento in discussione, è avvenuto nel rispetto delle decisioni assunte dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresenti di gruppi.

Giovanni Battista BACHELET (PD) rileva in ogni caso che non è stato possibile replicare alle affermazioni svolte dalla ministra Gelmini, la quale ha tra l'altro parlato a vanvera di profili concernenti il merito. Ritiene innanzitutto che la ministra non abbia pieno titolo a parlare di tutela della meritocrazia nell'università, tenuto conto anche di notizie che riguardano il suo curriculum scolastico e accademico e che ha acquisito personalmente da amici bresciani. Il merito dell'università non può essere esaurito solo con le affermazioni svolte dalla ministra su alcuni episodi di nepotismo emersi alla ribalta della cronaca nei mesi passati. Aggiunge d'altra parte che non si può parlare dell'università italiana come del luogo in cui va tutto male, visto che i nostri laureati trovano ottimi posti di ricerca in tutto il mondo. È vero anzi che le riforme cosiddette a costo zero funzionano male, o in modo parziale. Il sistema del «tre più due», per esempio, ha funzionato, per questo, in alcune facoltà ma in altre no. A maggior ragione evidenzia che non possono farsi riforme a costo negativo, visto che dal 2008 sono stati sottratti al bilancio dell'università 1 miliardo e 350 milioni di euro. Ritiene quindi necessario prevedere stanziamenti adeguati, che non si limitano certo agli 800 milioni di euro assicurati dalla ministra Gelmini.
Ricorda che da un'indagine pubblicata sulla rivista Paradoxa della Fondazione Novaspes, ad opera del professore Figà Talamanca, è emerso che se anche solo quindicimila su venticinquemila ricercatori dovessero entrare in ruolo, vi sarebbe un ulteriore aggravio di 500 milioni di euro in più ogni anno, per un totale complessivo di 1.850 milioni di euro, solo indicando cifre per difetto. Sottolinea, d'altra parte, che la presidente Aprea è stata l'unica ad essere invitata a partecipare al Convegno organizzato dalla stessa Fondazione Novaspes recentemente alla Lumsa, pur essendo il suo settore d'interesse principale quello scolastico, senza che invece sia stato invitato alcun rappresentante del gruppo cui lui appartiene. Ribadisce quindi che anche da questi dati, che non sono di parte, emergono forti criticità della riforma voluta dal Governo che andrebbe sostituita con interventi diversi a partire dall'introduzione di regimi transitori che senza prefigurare un ope legis garantiscano a chi ne ha titolo l'appartenenza al ruolo che merita, come anche sostenuto dal vicepresidente della Commissione Nicolais. Ritiene che altrimenti l'unico risultato che si potrà raggiungere con il disegno di legge è quello di distruggere l'università.

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Valentina APREA, presidente, esprime un profondo dispiacere per il fatto che il collega Bachelet abbia espresso giudizi gravi sulla sua persona e sulla ministra, che non attengono il merito del provvedimento ma si riferiscono a vicende personali. Ribadisce che ha partecipato al Convegno indicato in qualità di presidente della Commissione e si rammarica che il collega Bachelet abbia inteso esprimere giudizi sulle sue competenze, ignorando il suo ruolo istituzionale che aveva spinto gli organizzatori ad invitarla in rappresentanza della Commissione, per registrare le aspettative del mondo universitario. Si sarebbe aspettata, dal responsabile del settore del partito cui appartiene, un discorso di più alto livello, come quello del collega Tocci che, malgrado la critiche politiche, si è giustamente attenuto al merito del provvedimento. Invita quindi il collega Bachelet, per il futuro, a non svolgere più attacchi personali soprattutto in assenza dei destinatari, attenendosi all'oggetto del provvedimento, secondo la migliore tradizione della Commissione cultura.

Giuseppe GIULIETTI (Misto) riportandosi alle considerazioni svolte dai colleghi Tocci e Nicolais, sottolinea innanzitutto che il proprio dissenso è «radicale», in quanto non solo non sono previste risorse per la riforma in esame, ma manca proprio l'idea di base della riforma. Ad esempio, avrebbe preferito che fosse stato previsto un intervento radicale ma certo, come la privatizzazione del settore, piuttosto che nessuna idea strutturale come è attualmente. Stigmatizza inoltre il fatto che in moltissimi campi quali editoria e scuola e adesso anche l'università si stia operando seguendo il «colbertismo», segnalando al riguardo che non è possibile legiferare in tutte le materie sempre facendo riferimento al vincolo di bilancio. Giudica inoltre inconciliabile l'idea di premiare la meritocrazia con i tagli previsti. In assenza, poi, della possibilità di emendare il disegno di legge in esame, sottolinea inoltre che la presenza del vincolo di bilancio si risolve in definitiva nell'affermazione che l'unica via percorribile è quella della privatizzazione, come è avvenuto nel caso del recente decreto-legge sulle fondazioni lirico-sinfoniche. Per quel che riguarda la presenza di figure «gestionali» nel consiglio di amministrazione, paventa il rischio che si possa incidere pesantemente sulla qualità stessa della didattica universitaria: si colpisce infatti il cardine del sistema universitario e cioè il fatto che esso sia strumento di diffusione del sapere. Invita inoltre a porre attenzione alle deleghe previste all'articolo 5 che prefigurano in pratica l'impossibilità di svolgere un dibattito per le Commissioni, che sono chiamate ad esprimersi solo sui decreti attuativi. Sui ricercatori, condivide le preoccupazioni espresse dai colleghi e ritiene che il fondo per il merito debba considerare anche chi lavora all'estero. La meritocrazia deve inoltre essere promossa attraverso un fondo che sia realmente in grado di aiutare i soggetti che necessitano di aiuto e non solo sulla carta, visto che sono in ballo le esigenze di molte persone.

Manuela GHIZZONI (PD), intervenendo sui lavori della Commissione, ritiene evidente che il collega Bachelet ha inteso indirizzare agli organizzatori del Convegno citato la responsabilità di mancati inviti, non certo richiamare criticamente le competenze della presidente della Commissione. Deve aggiungere peraltro che una collega dell'Ufficio di Presidenza della Camera, appartenente al gruppo PdL, ha sostenuto in un Convegno che il lavoro della Commissione sarebbe stato veloce, per consentire all'Assemblea di svolgere la riforma. Ritiene invece necessario che siano garantiti tempi congrui di esame, senza penalizzare il lavoro della Commissione cultura.

Valentina APREA, presidente, ringrazia la collega Ghizzoni per la precisazione relativa all'intervento del collega Bachelet. Ritiene peraltro necessario evidenziare che la Commissione svolgerà, come di consueto, il proprio lavoro compatibilmente con la programmazione dei lavori dell'Assemblea

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e l'imminente avvio della sessione di bilancio. In ogni caso, come già preannunciato, il ministro Gelmini fornirà tutte le risposte e i chiarimenti richiesti dai deputati.

Paola FRASSINETTI (PdL), relatore, evidenzia in ogni caso il fatto che il rispetto della tempistica prevista per l'esame del provvedimento in Assemblea, non impedirà di valutare eventuali proposte migliorative del testo che saranno presentate.

Gabriella GIAMMANCO (PdL) naturalmente si trova in disaccordo con quanto sostenuto dai colleghi dell'opposizione e le fa piacere constatare che, dopo i vari tentativi frammentari di riformare l'Università degli ultimi 20 anni, finalmente si sia arrivati a una riforma complessiva e strutturale del settore. Una riforma i cui obiettivi principali sono sicuramente il merito, la responsabilizzazione degli atenei nella gestione delle risorse, la qualità e la competitività delle nostre università. Una riforma per certi versi coraggiosa: di questo ringrazia il ministro Gelmini, che stima per il costante impegno e per la tenacia. Ritiene che tutti siano consapevoli che il proprio è un compito di grande responsabilità, essendo chiamati a influire su scelte importanti per il Paese e per futuro delle nuove generazioni. Per questo, pensa che il dibattito in questa sede debba essere il più onesto e trasparente possibile, perché tutti aspirano ad un sistema universitario competitivo, che formi i giovani in modo eccellente e dia loro l'opportunità di entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro. In tal senso, pur condividendo l'utilità e la necessità della riforma in discussione e i suoi tanti aspetti positivi, vuole invitare la Commissione e in particolare il relatore a una riflessione. Una riflessione maturata dopo i ripetuti incontri con la categoria dei ricercatori, il cui futuro anche al ministro Gelmini sa che sta molto a cuore; ricercatori che, con il loro prezioso e qualificato contributo, animano la ricerca scientifica nel Paese e che, nello stesso tempo, sono parte attiva della didattica degli atenei. Per questo motivo ritiene sia venuto il momento di studiare un percorso che porti alla soluzione del problema del loro stato giuridico; soluzione che si attende, ormai, da 30 anni. Ricorda che i ricercatori sono circa 26000 e attualmente coprono più del 35 per cento dei corsi universitari, rappresentando una risorsa fondamentale per la realizzazione della riforma dell'ordinamento didattico.
Ribadisce quindi che allo stato attuale, la confusione che esiste tra il ruolo definito dalla 382 del 1980, che istituiva la figura del ricercatore e ne definiva i compiti in maniera netta, e la prassi che solitamente si segue nelle facoltà penalizza i ricercatori, il cui stato giuridico appare anomalo e slegato dai compiti reali che essi sono chiamati a svolgere. Sarebbe iniquo continuare a considerare i ricercatori utili per la didattica senza riconoscerne il ruolo; considerandoli docenti nella definizione dei loro doveri e non docenti nella definizione dei loro diritti. La mancanza di norme transitorie nel disegno di legge in esame per gli attuali ricercatori di ruolo, inoltre, rende molto incerto il loro destino, soprattutto nella prospettiva di un inquadramento dei futuri ricercatori a tempo determinato direttamente nella seconda fascia docente. Ritiene, in sostanza, che sia necessario dare a questi ricercatori il giusto riconoscimento del merito scientifico e didattico mediante gli avanzamenti di carriera. È necessario affrontare la questione, altrimenti il rischio è che i ricercatori attuali possano entrare in conflitto con le nuove figure per l'ottenimento di una posizione nel ruolo docente; ruolo già esercitato dalla maggior parte di loro, tramite lo scarso numero di concorsi che saranno banditi. Con queste brevi considerazioni, intende richiamare l'attenzione sulla soluzione da prospettare alla categoria dei ricercatori, non diretta a pochi ma che riguardi la maggior parte di loro, per il bene di tutta l'università italiana.

Paola GOISIS (LNP) rileva che il disegno di legge governativo in discussione

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riforma il reclutamento del personale e la governance delle università secondo criteri meritocratici e di trasparenza. L'autonomia delle università deve essere coniugata con una forte responsabilità finanziaria, scientifica e didattica conferendo alle università maggiore autonomia ma anche responsabilità per le decisioni assunte: se saranno gestite male riceveranno meno finanziamenti, ponendo quindi fine ai finanziamenti a pioggia. Il disegno di legge prevede quindi un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele, così come accaduto in passato. Molti dei punti qualificanti del disegno di legge rispecchiano d'altra parte alcune norme contenute nella proposta di legge che ha presentato, e, a questo proposito, ringrazia il Ministro Gelmini che ha fatto tesoro degli spunti offerti da un componente di un movimento che nell'immaginario collettivo è incolto e folcloristico. Ritiene che l'autonomia universitaria sia stata mal utilizzata dagli atenei, conducendo a sprechi, al dissesto finanziario ed alla bassa produttività del sistema universitario attuale. La legge n. 210 del 1998, che ha introdotto i concorsi locali con vincitore più idonei, ha consentito alle università italiane di far aumentare il numero dei professori universitari dai 29.020 censiti nel 1997 ai 38.928 censiti nel 2006. Rileva d'altra parte che la progressione di carriera costa all'Università meno del reclutamento di nuovi ricercatori, con il risultato di avere oggi il doppio dei professori rispetto al numero dei ricercatori, ed un'età media dei docenti universitari, compresi i ricercatori, superiore a 51 anni. L'abuso dell'autonomia universitaria ha condotto anche ad elezioni di Rettori che assomigliano a quelle dei sindaci, mentre il Rettore di un ateneo dovrebbe essere un primus inter pares, eletto dai professori universitari per guidare la didattica e la ricerca dell'università, e non un uomo di parte. Ritiene in questo senso che i risultati siano sotto gli occhi di tutti: 55 per cento di abbandoni studenteschi, 17 per cento di laureati nella fascia d'età compresa tra i 25 ed i 34 anni, contro il 33 per cento della media OCSE; 1,7 per cento di studenti stranieri nelle università italiane, contro il 20 per cento di quelle statunitensi; 2 ricercatori per 1000 lavoratori in Italia contro il 4 per cento di Francia, Germania e Gran Bretagna ed il 6 di Giappone, Svezia e U.S.A.
Evidenzia quindi che il provvedimento rappresenta la più importante riforma della legislatura in materia di istruzione e di ricerca e affronta in modo organico temi strategici per lo sviluppo del sistema universitario, ispirandosi ai principi della responsabilità e del merito. Alcune disposizioni del provvedimento sono in grado di determinare un rinnovamento. Tra queste ricorda la maggiore attenzione agli aspetti economici da parte della governance, come dimostra il notevole ampliamento delle competenze del consiglio di amministrazione; l'obbligo della contabilità economico-patrimoniale e analitica e del bilancio consolidato di ateneo; la determinazione di una parte del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) sulla base del costo standard unitario di formazione per studente in corso; la definizione di meccanismi premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche - stabiliti su indicatori dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ANVUR -, onde valorizzare qualità, efficienza ed efficacia della loro utilizzazione; la disciplina dell'impegno dei professori e dei ricercatori. In sede di attuazione della delega, saranno determinate anche le modalità di verifica dell'effettivo svolgimento da parte dei professori e dei ricercatori dei loro compiti didattici e di ricerca. Un'altra innovazione, riguarda la federazione e la fusione di atenei tra loro, onde realizzare sinergie didattiche e di ricerca, così come appare importante la federazione di università con enti e istituzioni operanti nei settori della ricerca e dell'alta formazione.
Considera interessante anche il trasferimento ad altra università di professori e ricercatori che risultino in soprannumero per effetto delle federazioni e fusioni sopradette o per effetto dei processi di revisione e razionalizzazione dell'offerta formativa. Apprezza che vi sia una maggiore severità nel riconoscimento dei crediti

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formativi maturati al di fuori dell'università, e sottolinea l'importanza dell'abilitazione scientifica nazionale, fondata sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, ma anche sull'esame della capacità didattica. Apprezza particolarmente il riconoscimento qualificato del ruolo degli studenti, che lei stessa aveva previsto nella sua proposta, e trova interessante l'istituzione in ogni dipartimento - o in ogni facoltà - di una Commissione paritetica docenti-studenti per assicurare la qualità della didattica, svolgere attività di monitoraggio dell'offerta formativa, contribuire alla valutazione dei risultati e formulare pareri sull'attivazione o soppressione di corsi di studio. Altrettanto importante è la promozione del diritto allo studio degli studenti capaci e meritevoli e quindi la scelta di determinare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, secondo quanto prescritto dall'articolo 117 della Costituzione, con il corretto coinvolgimento delle Regioni.
Aggiunge che il disegno di legge del Governo propone un modello organizzativo che distingue l'azione politica dall'attività di gestione, attraverso l'individuazione di organi diversi sottoposti ad un controllo più efficiente da parte di soggetti qualificati ed indipendenti tra loro; l'attribuzione di nuove funzioni al consiglio di amministrazione, al Senato accademico e l'istituzione della figura del direttore generale. Si introduce un Fondo per il merito, destinato a promuovere l'eccellenza fra gli studenti, che richiederà stanziamenti adeguati. Precisa che il suo gruppo aveva presentato una proposta di legge che mirava all'obiettivo di indebolire il potere esercitato dalla casta dei baroni dell'università. La carriera di un docente raramente dipende dalle sole capacità intrinseche della persona; arbitri della promozione sono sempre stati altri docenti in posizione gerarchica superiore, per i quali i parametri erano ben diversi dalla bravura - fedeltà, co-interessi professionali, appartenenze a determinate «scuole», parentele incrociate, restituzione di pregressi favori - e così via. Il motore primigenio era ed è il do ut des. Ritiene quindi che sia molto importante dare attuazione all'articolo 34 della Costituzione; ridurre il numero degli atenei, tagliando quasi tutte le sedi distaccate e favorendo il modello della cosiddetta research university. In questo senso, didattica e ricerca devono eccellere in ogni università che si rispetti. È necessario altresì ridurre il numero dei corsi di laurea, tagliando quelle inutili. Dal suo punto di vista sarebbe stato altresì importante mettere ad esaurimento gli associati, riunificando le due fasce dell'unico ruolo dei professori universitari, posizione condivisa da chi ritiene che sia indispensabile trasformare la struttura cilindrica del corpo docente in una struttura piramidale con una larga base di ricercatori ed un vertice di professori di eccellenza. La necessità avvertita nel corso degli anni anche da altre parti politiche circa l'istituzione del ruolo unico del professore universitario è motivata sia dall'unitarietà della funzione docente svolta dai docenti delle due fasce - ordinari e associati -, sia dalla uguale garanzia di libertà didattica e di ricerca dei professori di ruolo, ordinari e associati; sia perché lo stato giuridico dei professori associati è disciplinato dalle norme relative ai professori ordinari salvo che non sia diversamente disposto. Rinvia in questo senso alle considerazioni svolte dal professor Pier Paolo Civalleri, professore ordinario e redattore di Università Notizie, organo ufficiale dell'U.S.P.U.R., il sindacato che rappresenta fondamentalmente i professori ordinari, il quale ha ricordato come la riforma del 1980 ha introdotto la figura del professore associato. In quell'occasione è mancato il coraggio di dire chiaramente se le due «fasce» corrispondono a due livelli di funzione, nel qual caso se ne sarebbero dovuti precisare i compiti, o semplicemente a due diversi livelli di capacità personale, nel qual caso si sarebbero dovuti prevedere meccanismi di promozione da un livello all'altro, quando tali capacità fossero state acquisite. Non si è fatta invece né l'una, né

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l'altra cosa, anzi si è perpetuato e ingigantito l'equivoco, creando un diffuso malessere nella categoria dei professori associati.
Il disegno di legge governativo sembra quindi privilegiare il modello spagnolo piuttosto che il modello franco-tedesco di università. Infatti la Spagna ha circa 20 mila ordinari e 37 mila ricercatori di ruolo; la Francia circa 20 mila ordinari e 37 mila ricercatori di ruolo e la Germania circa 37 mila ordinari e 131 mila ricercatori di ruolo. In merito alla questione dei ricercatori, rileva peraltro che se si considera il numero di pubblicazioni scientifiche per ogni mille ricercatori, si ottiene: Gran Bretagna 356, Italia 346, Svezia 344, la media dell'Unione Europea di 269; Francia 255; Germania 227, Finlandia 226 e U.S.A 204. Si deduce che l'Italia ha pochi ma buoni ricercatori rispetto ad altri Paesi, anche se numerosi sono i ricercatori italiani che emigrano all'estero perché in Italia la carriera è incerta. Aggiunge che in Italia, l'età media dei ricercatori universitari è 45 anni, mentre la massima creatività scientifica si raggiunge intorno ai 30-35 anni. In Francia esiste invece il ruolo del ricercatore che, arrivato all'apice della carriera - maitre de recherche -, può optare per l'attività didattica, divenendo professore universitario. Le previsioni normative introdotte dal disegno di legge prevedono quindi l'istituzione della figura dei ricercatori a tempo determinato. Si tratta di norme che si collegano a quanto già normativamente previsto dalla legge n. 230 del 2005, che prescrive la messa ad esaurimento alla fine dell'anno 2013 del ruolo dei ricercatori universitari, così come introdotto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 382 del 1980. Sottolinea che la materia rappresenta uno degli aspetti più problematici e criticabili dell'intero provvedimento, in quanto sancisce la messa ad esaurimento di un ruolo di docenti universitari essenziali per il normale svolgimento delle attività istituzionali di tutti gli atenei. In tale ruolo sono ad oggi inquadrati oltre 20.000 ricercatori, e ciò senza che sia possibile prevedere ragionevolmente il bando di un numero adeguato di posizioni di professore associato che garantiscano un'equa possibilità di progressione di carriera ai meritevoli, tra coloro che sono inquadrati nel ruolo ad esaurimento. Si dovrebbe rendere certamente possibile agli atenei l'utilizzo della figura del ricercatore a contratto ed anzi incentivandone adeguatamente l'introduzione negli atenei, ma non confermando la messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori, la cui figura deve vedere finalmente il proprio stato giuridico, che attende di essere compiutamente nominato sin dalla data di introduzione della stessa figura del ricercatore di ruolo. In altri termini, agli atenei deve essere garantita ampia flessibilità di ricorso sia all'istituzione di posizioni di ricercatori di ruolo, che di ricercatori a tempo determinato, nell'ambito dell'autonoma programmazione della struttura degli organici all'interno di ciascun ateneo.
Sottolineato altresì che la normativa sul reclutamento di cui agli articoli 19 e 21 costituisce un altro aspetto particolarmente critico dell'intero provvedimento. La contemporanea presenza della possibilità di attivazione di posizioni per assegnisti di ricerca e per ricercatori e tempo determinato rischia di innescare un meccanismo destinato a portare ad un lunghissimo periodo di presenza dei giovani nelle università senza la sufficiente garanzia di inserimento stabile nei ruoli, e questo con stipendi significativamente inferiori a quelli di analoghe posizioni a livello internazionale. Si favorisce una sorta di incentivazione alla cosiddetta «fuga dei cervelli», in presenza nel Paese di un mercato del lavoro intellettuale estremamente rigido anche per la scarsissima disponibilità dimostrata dal sistema industriale italiano ad assumere figure professionali con esperienza di ricerca per lo svolgimento di attività finalizzate all'innovazione nelle imprese. Va altresì sottolineato come nel disegno di legge in esame non sia previsto alcun meccanismo di salvaguardia con l'inserimento in posizioni della pubblica amministrazione per chi non superi la valutazione alla fine del

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periodo di godimento dell'assegno di ricerca o del contratto di ricercatore a tempo determinato. Analoghe considerazioni esprime per il finanziamento degli accordi di programma di cui all'articolo 1 comma 5. Tali accordi sono destinati a favorire la competitività delle università svantaggiate, migliorandone la qualità dei risultati, tenuto conto degli indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionale, per trovare finanziamenti su fondi aggiuntivi rispetto al Fondo di Finanziamento Ordinario, senza penalizzare gravemente l'intero sistema universitario nazionale. Ritiene comunque necessario procedere ad una più accurata definizione del concetto stesso di «università svantaggiate», ritenendo insufficiente quanto indicato nell'articolo 1, comma 5, con riferimento esclusivamente agli indicatori di contesto di cui sopra. Aggiunge, infine che, fermo restando che è assolutamente positiva l'introduzione nel provvedimento di sistemi di valutazione dei risultati conseguiti dal ciascun ateneo, nonché l'introduzione di un sistema di accreditamento delle sedi universitarie, dei corsi di studio e di dottorato, anche in questo caso si tratta di previsioni normative destinate ad avere effetti pressoché irrilevanti, dato che al comma 2 si prevede che la premialità che valorizzi qualità ed efficienza delle università nella distribuzione delle risorse disponibili all'interno del Fondo di Finanziamento Ordinario. Va tenuto presente che si è di fronte ad una forte contrazione dei finanziamenti statali che compongono tale Fondo di Finanziamento Ordinario e che quindi sarà ben difficile realizzare un'operazione di premialità senza risorse aggiuntive. Potrebbe tuttavia essere almeno parzialmente rimediata la situazione, introducendo una norma transitoria nel provvedimento che preveda la destinazione di fondi ricavati dalle quote di finanziamento derivanti dalle contrazioni dei trasferimenti statali agli Atenei, a valere quale fondo di premialità per gli atenei «virtuosi».

Ferdinando LATTERI (Misto-MpA-Sud) evidenzia innanzitutto, per quel che riguarda il metodo, che occorreva prevedere tempi più lunghi per l'esame del provvedimento che è stato già lungamente discusso dal Senato e che merita adesso di essere approfondito adeguatamente anche dalla Camera dei deputati. Ritiene senz'altro che una riforma debba essere fatta e che sia necessario un profondo cambiamento, anche perché le università sono in grande difficoltà. Ricordando altresì che ha vissuto esperienze dirette di gestione all'interno del mondo universitario, sottolinea che alla fine degli anni Novanta si sono accentuate le difficoltà del mondo universitario, perché da una parte si è attribuita con legge l'autonomia all'università senza prevedere un controllo centralistico e, dall'altro lato, si sono triplicati i posti di docente e ricercatore.
Rileva altresì che l'introduzione del cosiddetto sistema del «tre più due» non ha poi portato ad alcun risultato utile. Rileva inoltre che altre situazioni difficili hanno riguardato il precariato, non solo dei docenti, ma anche la continua riduzione delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario. Aggiunge peraltro che le difficoltà delle università sono anche da ricollegare alle differenze socio-economiche dei singoli territori. Occorre quindi trovare un modello che possa generare un forte legame delle università con il territorio. Sottolinea, in tal senso, che sicuramente è importante dare risalto alla premialità senza però creare situazioni di sofferenza in alcune università. Per quel che riguarda i docenti, ritiene invece che occorrerebbe individuare un sistema unico e non avere docenti a tempo determinato e altri a tempo indeterminato; solo in tal modo è possibile creare una classe di docenti stabile. Ricorda inoltre l'importanza di definire il ruolo dei ricercatori, come ad esempio prevedeva la proposta di legge da lui presentata nel 1999, che mirava alla costituzione di un ruolo unico dei docenti. Per quel che riguarda invece la funzione dei dipartimenti, ritiene che la stessa non debba comunque comportare la creazione di duplicazioni di funzioni. Rileva, infine, che nel disegno di legge non è stato affrontato il tema del rapporto tra il

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Ministero dell'università e il Ministero della salute, rapporto che deve essere definito anche in riferimento ai protocolli d'intesa. Segnala, in aggiunta, l'importanza della valutazione per quel che riguarda l'assegnazione delle risorse e dei controlli ad essa relativi.

Pasquale CIRIELLO (PD) segnala che per poter fare una riforma istituzionale, quale è quella dell'università, ci sono due condizioni da rispettare. Innanzitutto occorre delineare il modello di università che s'intende dare al Paese, dato che solo così le diverse disposizioni previste possono raggiungere l'obiettivo avuto di mira. Occorrerebbe inoltre effettuare un bilancio ragionato dell'esperienza pregressa. Segnala al riguardo che mancano entrambi tali condizioni. Non basta infatti, per quel che riguarda il primo aspetto, sostenere semplicemente che si vuole un sistema efficiente. Esistono infatti sistemi diversi a seconda che si privilegi ad esempio un modello volto all'insegnamento o alla ricerca, cosiddetto teaching o researching university. Ritiene invece che con la riforma in esame si faccia solo un passo indietro, diminuendo il numero degli studenti e dei docenti. Per quel che riguarda la seconda condizione, precisa che non è stato fatto un bilancio relativo all'esperienza del «tre più due» e che in sostanza l'ordinamento degli studi è fuori dall'attenzione della riforma. Ritiene altresì che manchi una riflessione su come sia stata gestita l'autonomia da parte delle università. Addebita questa circostanza all'intento non dichiarato da parte del Governo di riappropriarsi di larga parte di questa autonomia in una chiave neocentralista. Al riguardo, cita l'esempio del piano triennale previsto dall'articolo 5 per l'erogazione delle risorse all'università che il Governo dovrà redigere, che fissa il rapporto tra personale docente, ricercatore e tecnico amministrativo, prevedendo in caso di mancato rispetto del rapporto indicato un'ulteriore taglio ai finanziamenti delle università inadempienti. A tal proposito, rileva che il Ministero dovrebbe preoccuparsi invece del fatto che le università a breve dovranno stilare i bilanci preventivi per il 2011 in una situazione che le vede invece ancora non informate di quali siano le risorse a disposizione per il 2010. In conclusione, auspica quindi che vi sia nel corso della discussione un'apertura ad un confronto, al fine di condurre in porto un progetto di riforma ampiamente condiviso.

Valentina APREA, presidente, ricorda che il ministro Gelmini e il Ministro Tremonti, proprio nel momento in cui è in corso la seduta, stanno illustrando a Palazzo Chigi le modalità relative al reperimento delle risorse necessarie all'attuazione della riforma.

Salvatore VASSALLO (PD) auspicando che il ministro Gelmini terrà conto della discussione che si sta svolgendo e riferendosi agli interventi dei suoi colleghi del gruppo cui appartiene, ritiene innanzitutto che non sia accettabile che la riforma in esame sia stata presentata senza prevedere le necessarie risorse. Sottolinea al riguardo che, anzi, si sta attuando una riforma a risorse calanti, mentre altri Stati europei stanno facendo tutto il contrario. Giudica inoltre negativamente la campagna di denigrazione condotta nei confronti dell'università italiana: una riforma è senz'altro necessaria ma il problema è che quella in esame contraddice proprio i principi che la ispirano. La scelta della meritocrazia e dell'autonomia è contraddetta infatti dal disegno di legge nel suo complesso. Ritiene senz'altro giusto il principio in base al quale la valutazione deve essere ex post e non ex ante, rilevando peraltro che col disegno di legge in esame si prevedono una serie di norme che di fatto vanificano tale principio. Per quel che riguarda la docenza ritiene che il sistema dei concorsi nazionali contribuirà ad aumentare la pressione sui singoli atenei invece che a diminuirla. Segnala, inoltre, che uno dei problemi delle università è l'enorme mole del personale che rimane in condizioni di precariato, anche fino ad età elevata. In particolare, evidenzia che non tutti sono disposti ad aspettare fino a quarantacinque anni per essere assunti; infatti

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i più brillanti decidono spesso di lasciare l'Italia. Per quel che riguarda il diritto allo studio, ritiene d'altra parta che occorra potenziare maggiormente le residenze universitarie. In merito alla governance, invece, se da una parte ritiene utile prevedere la possibilità per le università di federarsi tra loro, dall'altra considera necessario anche valutare l'esperienza di quelle università che hanno dato vita a un sistema di multi campus - come ad esempio l'ateneo di Bologna - così di fatto prevenendo il fenomeno della frammentazione delle sedi. Sui ricercatori, ricorda infine che gli stessi svolgono in realtà più attività didattica che di ricerca; mentre i professori spesso sono più «ricercatori» che insegnanti. Occorre quindi riconoscerne il rispettivo ruolo in maniera adeguata.

Laura GARAVINI (PD) rinvia alla proposta di legge da lei presentata, elaborata in collaborazione con ricercatori italiani che lavorano all'estero, rilevando che in essa vengono evidenziati tutti i limiti del sistema universitario nazionale. Constata infatti che il progetto di riforma in esame non fa altro che esaltare i difetti del sistema e non ne risolve i problemi, a partire dalla carenza delle risorse, dalla mancanza di trasparenza e dalla scarsa capacità di interagire con l'estero. Rileva inoltre che da un rapporto del Censis emerge che solo un quarto di dottorandi in Italia è straniero, mentre tale percentuale è pari al trenta per cento in altri Paesi europei. Ritiene quindi che occorra favorire il rientro dei cosiddetti «cervelli» italiani, attraendo al contempo l'arrivo di quelli esteri. Riterrebbe inoltre opportuno prevedere la costituzione di una fondazione ad hoc per raccogliere fondi pubblici e privati, evidenziando che è inammissibile che non si preveda uno stanziamento di risorse adeguato per il finanziamento del disegno di legge in esame. Evidenzia altresì che altri Paesi europei hanno disposto ingenti stanziamenti per la ricerca, in quanto sono consapevoli del fatto che investire nel settore dà la possibilità di avere potenzialità di sviluppo maggiore. Occorre inoltre superare il sistema dei concorsi, affidandosi invece ad un comitato scientifico, che valuti in modo imparziale i progetti, al fine di assegnare i fondi. Ritiene d'altra parte che debba essere prevista la possibilità di una gestione autonoma dei fondi, salvo peraltro stabilire la possibilità di assegnare i fondi diversamente, qualora vi sia una carenza di qualità nello svolgimento del progetto. Invita quindi il Governo a tenere conto di quanto evidenziato, anche attraverso lo svolgimento di appositi incontri con i ricercatori italiani che svolgono la propria attività all'estero, al fine di modernizzare il sistema italiano. Ribadisce in conclusione che la riforma sostanzialmente acuisce e non risolve i difetti evidenziati.

Rosa DE PASQUALE (PD) ritiene che l'intervento governativo non vada in profondità, ma sia generico, senza un'analisi di quale sia il senso della università, il suo fine. Non affronta questioni fondamentali e di struttura, né è una grande riforma; per giunta, per i tempi ristretti non consente nemmeno la possibilità di una discussione distesa e approfondita alla Camera dei deputati, proprio per essere rimasto otto mesi e mezzo al Senato a causa dei lavori relativi alla discussione del disegno di legge del Governo sulle intercettazioni. Ritiene che anche in questo caso, come per la riforma della scuola, si cerca di adattare l'università ad un ridimensionamento dei fondi previsti, in concreto con una riforma a costo zero, anzi sotto zero, visto che, come evidenziato anche da una recente mozione del Consiglio Universitario Nazionale il prossimo anno mancheranno all'università un miliardo e 350 milioni di euro. Rileva che anche la tanto sbandierata meritocrazia non può essere messa al centro e sostenuta, se si procede a tagli così pesanti; anzi si allarga la forbice delle disparità, consentendo solo ai più ricchi di andare avanti anziché ai più meritevoli. Aggiunge che se non si potenzia fortemente l'investimento per il diritto allo studio succederà un po' come i tagli lineari sulla scuola: l'inevitabile nascita di università di

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serie A nei territori più ricchi e di serie B nei territori più poveri.
Sottolinea quindi che le risorse per l'università che i Ministri Gelmini e Tremonti stanno annunciando contestualmente alla seduta odierna, non sono nuove, ma rappresentano semplicemente la restituzione di una parte di quelle che sono state tolte all'università stessa per finanziare il taglio dell'ICI. L'università sarà invece più povera e in molti casi non potrà offrire un servizio adeguato proprio a causa del blocco del turnover che deve essere revocato. Evidenzia anzi che uno dei problemi che il disegno di legge comporta è la sostanziale precarizzazione dei rapporti di lavoro nel settore. Proprio contro questa criticità si potrebbe prevedere invece l'introduzione di un contratto unico, come proposto in Senato dal gruppo cui appartiene, che assorba tutte le figure giuridiche che ora sono a vario titolo in università, ma tutte a tempo determinato. Ritiene infine essenziale prevedere un sistema transitorio che consenta il passaggio dei ricercatori attualmente a tempo indeterminato in ruoli che riconoscano anche l'attività didattica da essi svolta, al fine di assicurare loro un percorso programmato ed uno sbocco utile di carriera. Si tratta di soggetti che già si caricano della fatica e dell'impegno nel sostenere il maggior peso della docenza, seguendo gli studenti nella carriera universitaria, nonostante questa non sia la loro preponderante mansione nell'università.

Emerenzio BARBIERI (PdL) rileva che nel corso della discussione sono emerse tre questioni politiche. La prima riguarda i tempi di esame del provvedimento in questo ramo del Parlamento. A tal proposito ricorda che il disegno di legge del Governo ha avuto un lungo iter di esame al Senato, anche in considerazione dell'esigenza di svolgere un confronto costruttivo con le forze di opposizione. Se si sarà nella condizione di riuscire ad avere tempi adeguati per l'esame, come richiesto dall'opposizione, nihil obstat, dovendo peraltro tenere conto, come ha ricordato correttamente la presidente Aprea, dell'imminente avvio della sessione di bilancio. In ogni caso la Commissione si dovrà adeguare alle decisioni che verranno assunte dalla Conferenza dei presidenti dei gruppi, nell'ambito della quale i gruppi di minoranza potranno rappresentare le proprie posizioni. Sotto il profilo dell'impossibilità di fare riforme a costo zero, ed è il secondo profilo emerso, ricorda che in passato importanti riforme sono state realizzate senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato. Pensa ad esempio all'importante riforma dei patti agrari portata avanti dal ministro Gullo. Sotto il terzo profilo, contesta infine alla radice la posizione espressa dal collega Bachelet, rilevando tra l'altro che il raffronto tra i titoli di studio di parlamentari delle ultime legislature e quelli delle prime legislature della Repubblica non denota certo una migliore capacità legislativa. Ribadisce infine la disponibilità del proprio gruppo ad un confronto costruttivo, che non abbia peraltro il solo obiettivo di mettere la riforma in esame su un binario morto.

Il sottosegretario Giuseppe PIZZA intende esprimere un sincero ringraziamento a tutti i colleghi che sono intervenuti, e in particolare alla presidente Aprea, il cui operato di altissimo livello e valore, è da tutti riconosciuto. Si dichiara stupito in questo senso delle affermazioni svolte dal collega Bachelet, che stima personalmente, il quale peraltro nell'occasione si è lasciato andare a polemiche personali senza senso. Ringrazia d'altra parte la collega Ghizzoni per aver voluto svolgere dichiarazioni adeguate al riguardo. Ribadisce di condividere la riforma approvata dal Senato che considera strategica per il settore, auspicando al contempo che il Ministero dell'economia e delle finanze possa assicurare il reperimento delle risorse adeguate a favorire il rilancio di importanti settori quali la ricerca e l'innovazione.

Paola FRASSINETTI (PdL), relatore, ritiene che il dibattito si sia svolto ad alti livelli, a parte alcuni interventi polemici

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che non ha condiviso. Vi sono state peraltro osservazioni adeguate e costruttive, come quella svolta dal collega Nicolais, che dimostrano che anche in questo ramo del Parlamento, come è accaduto al Senato, le forze di opposizione possono contribuire al miglioramento della legge in maniera costruttiva. Riterrebbe opportuno infine adottare, già nella seduta odierna, come testo base per il seguito dell'esame, il disegno di legge n. 3687, approvato al Senato.

Emerenzio BARBIERI (PdL) concorda con il relatore.

Valentina APREA, presidente, sulla base di quanto richiesto dal relatore, propone di adottare come testo base per il seguito dell'esame il disegno di legge n. 3687, approvato al Senato.

La Commissione concorda.

Valentina APREA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 17.20.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 17.20 alle 17.40.