CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 29 giugno 2010
345.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

Martedì 29 giugno 2010. - Presidenza del presidente Isabella BERTOLINI.

La seduta comincia alle 13.50.

DL 72/2010: Misure urgenti per il differimento di termini in materia ambientale e di autotrasporto, nonché per l'assegnazione di quote di emissione di CO2.
Emendamenti C. 3496-A Governo.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione - Parere).

Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

Beatrice LORENZIN (PdL), relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore.

La seduta termina alle 13.55.

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UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

Martedì 29 giugno 2010.

L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 14.05 alle 14.15.

COMITATO DEI NOVE

Martedì 29 giugno 2010.

Individuazione delle funzioni fondamentali di Province e Comuni, semplificazione dell'ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali. Riordino di enti ed organismi decentrati.
Emendamenti C. 3118-A Governo e abb.

Il Comitato si è riunito dalle 14.15 alle 14.25.

ATTI DEL GOVERNO

Martedì 29 giugno 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO. - Interviene il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli.

La seduta comincia alle 14.25.

Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento di attuazione in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica.
Atto n. 226.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Pierguido VANALLI (LNP), relatore, ricorda preliminarmente che una disciplina organica del settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è delineata dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008. Tale articolo prevede il principio della gara ma regola anche le situazioni in deroga, che «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato»; esso reca inoltre, al comma 10, una disposizione di delegificazione del settore in attuazione della quale è stato adottato lo schema di regolamento in esame.
Rileva che, com'è noto, in precedenza la disciplina generale in materia di servizi pubblici locali era contenuta principalmente nell'articolo 113 del testo unico degli enti locali del 2000, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. Tale articolo è stato abrogato dal suddetto articolo 23-bis, al comma 11, nelle «parti incompatibili» con le sue disposizioni. In ogni modo, il comma 10, lettera m), del suddetto articolo demanda al regolamento di delegificazione l'individuazione puntuale delle norme abrogate.
Ricorda, inoltre, che il suddetto articolo 23-bis è stato successivamente modificato in più parti dall'articolo 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009.
Evidenzia che l'articolo 23-bis disciplina, dunque, l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della normativa comunitaria ed al fine di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale.
Finalità ulteriore è quella di garantire il diritto di tutti gli utenti all'universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali e al livello essenziale delle prestazioni.
Per quanto riguarda il riparto di materie ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, ricorda che l'orientamento della Corte Costituzionale è nel senso di ricondurre la materia dei servizi pubblici locali alla competenza statale sulla «tutela della concorrenza» senza che ciò escluda interventi normativi delle regioni e senza che ciò legittimi lo Stato ad intervenire con norme di eccessivo dettaglio, che porrebbero in essere una illegittima compressione

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dell'autonomia regionale, ingiustificata e non proporzionata rispetto all'obiettivo della tutela della concorrenza.
Ai sensi del comma 1 del predetto articolo 23-bis le relative disposizioni si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.
Successivamente, tuttavia, sono stati, di fatto, esclusi diversi settori dall'ambito di applicazione della riforma, o, più precisamente, sono state espressamente fatte salve le norme vigenti in tali settori.
Dapprima è stato escluso il settore della distribuzione del gas naturale con l'articolo 30, comma 25, della legge n. 99 del 2009. In seguito il citato articolo 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 ha escluso i settori della distribuzione di energia elettrica, del trasporto ferroviario regionale e della gestione delle farmacie comunali. Tali settori pertanto continuano ad essere regolati dalle specifiche norme vigenti.
Al contempo, l'articolo 15 del decreto-legge 135, al comma 1-ter precisa che tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato di cui all'articolo 23-bis «devono avvenire nel rispetto dei princìpi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio».
Evidenzia che la reale portata dell'estensione della nuova disciplina ai singoli settori è comunque demandata al regolamento di attuazione che dovrà individuare le nuove norme che possono essere applicate ai servizi pubblici di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica, gas e acqua.
Per quanto riguarda la gestione dei servizi pubblici locali, ricorda che sono previste tre modalità di affidamento: le prime due, definite «ordinarie» prevedono il ricorso a procedure di evidenza pubblica; la terza, in deroga alle modalità ordinarie, senza gara attraverso un conferimento diretto.
Per quanto concerne, in particolare, la possibilità di affidamento diretto secondo la procedura in house, il comma 3 dell'articolo 23-bis prevede alcune condizioni: la presenza di situazioni eccezionali che non permettano un efficace ed utile ricorso al mercato; che l'affidamento avvenga in favore di società totalmente partecipate dall'ente locale; necessità per tali società di avere i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house; rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell'attività svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
Il comma 4 detta alcune condizioni per l'esercizio della deroga di cui al comma 3, prevedendo che, nei casi di affidamento diretto l'ente affidante debba dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola e verificandola, e debba trasmettere una relazione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per l'espressione di un parere preventivo da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della relazione. In caso di scadenza di tale termine, è previsto il silenzio-assenso. Il parere è richiesto se il valore economico dell'affidamento supera determinate soglie da definire con il regolamento di attuazione.
Ricorda che il contenuto della relazione e le modalità di trasmissione sono stati individuati nella Comunicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 16 ottobre 2009.
Rileva quindi che, collegato con i commi 3 e 4, è il comma 9 che introduce alcune limitazioni per i soggetti affidatari diretti.
Per quanto riguarda le reti, il comma 5 prevede che, ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione possa essere affidata a soggetti privati.
Il comma 6 riguarda l'affidamento simultaneo di una pluralità di servizi pubblici locali, che viene consentito alla duplice condizione che venga esperita una gara e che possa essere dimostrato che tale scelta sia economicamente vantaggiosa. La durata dell'affidamento simultaneo non può essere superiore alla durata media,

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calcolata sulla base della durata degli affidamenti indicata dalle discipline di settore.
Fa quindi presente che al comma 7 si prevede che le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, d'intesa con la Conferenza unificata, possano definire i bacini di gara per i diversi servizi, a condizione del rispetto di una serie di parametri di natura funzionale.
I commi 8 e 9, delineano nel complesso un articolato sistema transitorio. Il comma 9, in particolare, riguarda i divieti posti in capo ai titolari di servizi pubblici locali affidati senza gara, divieti che escludono la possibilità di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, e di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare.
Il comma 10 autorizza la delegificazione di una serie di ambiti inerenti l'attività di servizio pubblico locale, in house e non.
Sottolinea che le finalità che devono essere quindi alla base dei regolamenti che, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo è autorizzato ad adottare sono le seguenti: assoggettare gli affidatari in house al patto di stabilità interno e le società in house e le società a partecipazione mista alle procedure ad evidenza pubblica per l'acquisto di beni e servizi e per l'assunzione di personale; distinguere «nettamente» tra funzioni di regolazione e funzioni di gestione dei servizi pubblici locali, anche attraverso la revisione della disciplina sulle incompatibilità; «armonizzare» la nuova disciplina e quella di settore applicabile ai diversi servizi pubblici locali, individuando, come accennato, le norme applicabili in via generale per l'affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua; applicare il principio di reciprocità ai fini dell'ammissione alle gare di imprese estere; limitare i casi di gestione in regime d'esclusiva dei servizi pubblici locali, liberalizzando le altre attività economiche di prestazione di servizi di interesse generale in ambito locale compatibili con le garanzie di universalità ed accessibilità del servizio pubblico locale; prevedere nella disciplina degli affidamenti idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale e mai superiore ai tempi di recupero degli investimenti; disciplinare, in ogni caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del precedente gestore, necessari per la prosecuzione del servizio; prevedere adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale anche con riguardo agli utenti dei servizi; individuare espressamente le norme abrogate.
Si sofferma sul contenuto dello schema di regolamento in esame che, dunque, definisce, all'articolo 1, l'ambito di applicazione richiamando i principi dell'autonomia gestionale del soggetto gestore, la piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, nonché la spettanza esclusiva alle istituzioni pubbliche del governo delle risorse stesse. Si specifica quindi che il governo pubblico delle risorse idriche debba aver riguardo alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (Codice ambientale), nonché alla garanzia del diritto alla universalità ed accessibilità del servizio.
L'articolo 1 reca poi un'esclusione non prevista dal citato articolo 23-bis, e che andrà quindi approfondita nel prosieguo dell'iter parlamentare, relativa ai servizi strumentali all'attività o al funzionamento degli enti affidanti ai sensi dell'articolo 13 del decreto-legge n. 223 del 2006.
Tale disposizione pone limiti all'attività delle società a capitale interamente pubblico o anche misto, costituite, o partecipate, dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione, tra l'altro, dei servizi pubblici locali ovvero per lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza. In particolare, tali società debbono

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operare esclusivamente con gli enti costituenti, partecipanti o affidanti; non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara; non possono partecipare ad altre società o enti e sono ad oggetto sociale esclusivo. Finalità esplicita di tali disposizioni è, dunque, quella di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza del mercato e di assicurare la parità degli operatori.
Il regolamento in esame esclude quindi espressamente dal proprio ambito di applicazione i settori del gas, dell'energia elettrica e del trasporto ferroviario regionale. Anche su questo aspetto andrà svolto un approfondimento da parte della Commissione alla luce di quanto previsto dall'articolo 23-bis.
L'articolo 2, recante misure in materia di liberalizzazione, demanda agli enti locali il compito di verificare, periodicamente e comunque prima di procedere al conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, la fattibilità di una gestione concorrenziale dei servizi stessi, delimitando l'attribuzione dei diritti di esclusiva ai soli casi in cui la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, allorché non sia diversamente previsto dalla legge.
Si stabilisce poi che gli enti locali, al fine di assicurare agli utenti l'erogazione di servizi pubblici che abbiano ad oggetto la produzione di beni e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, definiscano gli obblighi di servizio pubblico, qualora sia necessario, prevedendo le eventuali compensazioni economiche alle aziende esercenti i servizi stessi, tenuto conto dei proventi derivanti dalle tariffe e nei limiti della disponibilità di bilancio destinata allo scopo.
Ricorda che, in merito a tale comma la Conferenza Unificata, in sede di esame del provvedimento, ha segnalato l'opportunità di inserire, nell'ambito del secondo periodo, le parole «dagli enti locali secondo i rispettivi ordinamenti» dopo la parola «periodicamente».
Si prevede quindi che i soggetti gestori di servizi pubblici locali, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, sono soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 8, commi 2-bis e 2-quater, della medesima legge n. 287 del 1990, recante «Norme per la tutela della concorrenza e del mercato».
Ricorda che il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha osservato come, data la rilevanza della questione connessa alle misure di liberalizzazione, sarebbe stato opportuno inserire dei criteri puntuali e definiti circa le verifiche che gli enti locali sono chiamati ad operare dalla norma in questione. Il Consiglio di Stato ha quindi suggerito di modificare la disposizione richiedendo che gli enti locali verifichino la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando l'attribuzione di diritti di esclusiva ai casi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea, secondo criteri di proporzionalità, sussidiarietà orizzontale ed efficienza, a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità, e liberalizzando in tutti gli altri casi le attività economiche compatibilmente con le caratteristiche di universalità ed accessibilità del servizio. In seguito a quanto sopra ha raccomandato, tra l'altro, che all'esito della verifica l'ente adotti una delibera quadro che illustri l'istruttoria compiuta ed evidenzi, per i settori sottratti alla liberalizzazione, i fallimenti del sistema concorrenziale e i benefici per la stabilizzazione, lo sviluppo e l'equità all'interno della comunità locale derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio.
Illustra quindi l'articolo 3, che prevede che le procedure competitive ad evidenza pubblica siano indette nel rispetto dei parametri connessi a standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definiti dalla legge statale e regionale, ove esistente, nonché dalla competente autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti affidanti.

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In merito a tale norma, ricorda che la Conferenza Unificata, in sede di esame del provvedimento, ha espresso l'utilità di sopprimere le parole «statale e regionale».
Si prevede poi che le società a capitale interamente pubblico possano partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica ai sensi dell'articolo 23-bis, comma 2, lettera a), in assenza di specifici divieti previsti dalla legge.
Sono quindi stabilite una serie di prescrizioni relative all'indizione delle procedure competitive ad evidenza pubblica per l'affidamento dei servizi pubblici locali, volte a garantire il rispetto dell'assetto concorrenziale dei mercati interessati.
Rileva che viene demandato ad appositi contratti di servizio allegati ai capitolati di gara, la regolazione dei rapporti degli enti locali con i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali e con i soggetti cui è affidata la gestione di reti, impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, adeguati strumenti di verifica del rispetto dei livelli stessi, nonché penali e misure sanzionatorie, restando ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore vigenti alla data di entrata in vigore del regolamento in esame.
In ordine a tale disposizione, ricorda che il Consiglio di Stato è intervenuto segnalando come il citato articolo 113, comma 11, di cui è disposta l'abrogazione, si riferisce ai contratti di servizio, cioè a materia propria delle fonti primaria, che ha dei riflessi anche sul riparto di giurisdizione, motivo per il quale sembrerebbe opportuno mantenere inalterato sul punto l'assetto vigente, con conseguente esclusione dell'abrogazione.
L'articolo 4 definisce le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell'espressione del parere dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato di cui all'articolo 23-bis, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 2008.
In particolare, tale rilevanza si realizza se il valore economico del servizio oggetto dell'affidamento supera la somma complessiva di 200 mila euro, anche se, precisa la norma, il detto parere è comunque richiesto, a prescindere dal valore economico del servizio, qualora la popolazione interessata sia superiore a 50.000 unità. Al riguardo, il Consiglio di Stato ha precisato che l'impatto di siffatta previsione non appare razionale dato che, da un lato sarebbero assoggettati al parere gli affidamenti di servizi di modesto valore economico nei comuni con popolazione superiore a 50.000 persone; dall'altro vi sarebbero sottratti la maggior parte dei servizi locali affidati dai comuni di piccole e medie dimensioni. Il Consiglio di Stato ha quindi prospettato una possibile formulazione di tale disposizione che superi tali aspetti problematici.
Si stabilisce poi che, nella suddetta richiesta del parere, esclusivamente per i servizi relativi al settore idrico, l'ente affidante può rappresentare specifiche condizioni di efficienza che rendono la gestione cosiddetta in house non distorsiva della concorrenza, ossia comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto a una modalità alternativa di gestione dei servizi pubblici locali, con particolare riferimento a determinate condizioni.
Si prevede quindi che l'effettivo rispetto delle suddette condizioni è verificato annualmente dall'ente affidante, che invia gli esiti di tale verifica all'Autorità garante della concorrenza e del mercato. In caso negativo, anche su segnalazione della medesima authority, l'ente procede alla revoca dell'affidamento e al conferimento della gestione del servizio mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, ai sensi dell'articolo 23-bis, comma 2.
L'articolo 5 assoggetta al patto di stabilità interno i soggetti affidatari in house di servizi pubblici locali ai sensi dall'articolo 23-bis, commi 3 e 4, del decreto legge n. 112/2008.
Si dispone poi che gli enti locali siano responsabili dell'osservanza dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno da parte dei soggetti affidatari in house al cui capitale partecipano.
Nel parere reso dalla Conferenza unificata in data 29 aprile 2010 si segnala l'opportunità di prevedere una funzione di

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vigilanza in capo agli enti locali, espungendo il riferimento alla loro responsabilità sull'osservanza dei vincoli derivanti dal patto di stabilità interno.
Si demanda quindi la definizione delle modalità e della modulistica per l'assoggettamento al patto di stabilità interno delle società affidatarie in house all'apposito decreto del Ministro dell'economia e finanze, già previsto dall'articolo 18, comma 2-bis, del decreto-legge n. 112 del 2008.
L'articolo 6 prevede l'applicazione delle norme del decreto legislativo 163/2006 (Codice dei contratti pubblici), per l'acquisto di beni e servizi da parte delle società in house e delle società miste affidatarie di servizi pubblici locali.
Il comma 2 dell'articolo in esame modifica le condizioni per l'applicazione delle disposizioni recate dall'articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 163/2006, prevedendo che tali norme siano applicabili solo se la scelta del socio privato è avvenuta secondo le modalità previste dall'articolo 23-bis, comma 2, lettera b) del decreto-legge 112/2008.
Viene altresì precisato che la disposizione in esame opera limitatamente alla gestione del servizio per il quale le società di cui al comma 1, lettera c), del medesimo articolo 32 sono state specificamente costituite.
Lo stesso comma precisa, infine, che restano ferme le altre condizioni stabilite dall'articolo 32, comma 3, numeri 2) e 3), del decreto legislativo n. 163 del 2006.
L'articolo 7, sempre in attuazione dell'articolo 23-bis, comma 10, lettera a), del decreto-legge n. 112 del 2008, reca disposizioni inerenti l'assunzione di personale nelle società cosiddette in house e in società miste a partecipazione pubblica di controllo, affidatarie di servizi pubblici locali.
L'articolo 8 prevede norme tese a distinguere le funzioni di regolazione dalle funzioni di gestione.
L'esigenza di affrontare la questione della separazione tra regolazione e gestione è rilevata nella segnalazione del 3 giugno 2010, dell'Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture.
Si prevedono alcune incompatibilità per amministratori, dirigenti e responsabili degli uffici o dei servizi dell'ente locale, nonché degli altri organismi che espletano funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo e di controllo di servizi pubblici locali, stabilendo che tali soggetti non possano svolgere incarichi inerenti alla gestione dei servizi affidati da parte dei medesimi soggetti.
Lo stesso divieto si applica anche nel caso in cui dette funzioni siano state svolte nei tre anni precedenti il conferimento dell'incarico inerente la gestione dei servizi pubblici locali mentre per le società quotate nei mercati regolamentati si applica la disciplina definita dagli organismi di controllo competenti.
Si stabilisce che il suddetto divieto operi anche nei confronti del coniuge, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti ivi indicati e nei confronti di coloro che prestano, o hanno prestato nel triennio precedente, a qualsiasi titolo, attività di consulenza o collaborazione in favore degli enti locali o dei soggetti che hanno affidato la gestione del servizio pubblico locale.
Sono poi posti alcuni divieti circa la nomina di amministratori di società partecipate da enti locali nei confronti di coloro che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratore, ex articolo 77 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), negli enti locali che detengono quote di partecipazione al capitale della stessa società.
Al contempo, si prescrive che si applichino ai componenti delle commissioni di gara le cause di astensione previste dall'articolo 51 del codice di procedura civile.
Infine, nell'ipotesi in cui alla gara concorre una società partecipata dall'ente locale che la indice, i componenti della commissione di gara non possono essere né dipendenti né amministratori dell'ente locale stesso.
Quindi, in caso di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali ai sensi

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dell'articolo 23-bis, comma 3, e in tutti i casi in cui il capitale sociale del soggetto gestore è partecipato dall'ente locale affidante, la verifica del rispetto del contratto di servizio nonché ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso devono essere sottoposti, secondo modalità definite dallo statuto dell'ente locale, alla vigilanza dell'organo di revisione, restando ferme le disposizioni contenute nelle discipline di settore vigenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento.
L'articolo 9 prevede il principio di reciprocità per le imprese estere non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea ammettendo la possibilità che queste siano ammesse alle procedure competitive ad evidenza pubblica indette per l'affidamento di servizi pubblici locali a condizione che dimostrino la possibilità per le imprese italiane di partecipare alle gare indette negli Stati di provenienza per l'affidamento di omologhi servizi.
L'articolo 10 disciplina, per il caso di subentro, la cessione dei beni, di proprietà del gestore, necessari per la prosecuzione del servizio.
L'articolo 11 introduce una forma di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi pubblici locali. Si dispone, in particolare, che i contratti di servizio e, se emanate, le carte dei servizi concernenti la gestione di servizi pubblici locali prevedono la possibilità, per l'utente o per la categoria di utenti che lamenti la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la risoluzione non giurisdizionale delle controversie, che avviene entro trenta giorni successivi al ricevimento della richiesta.
La disposizione riprende il contenuto dell'articolo 30 della legge 69/2009, relativo alle carte dei servizi dei soggetti pubblici e privati che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità. L'articolo 30 dispone altresì che le carte dei servizi prevedono l'eventuale ricorso a meccanismi di sostituzione dell'amministrazione o del soggetto inadempiente.
La procedura conciliativa è avviata secondo lo schema-tipo di formulario allegato al regolamento.
Ricorda che l'articolo 12 dispone le abrogazioni conseguenti all'entrata in vigore delle disposizioni recate dal regolamento, materia sulla quale era intervenuto il comma 11 del citato articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008.
Auspica, infine, che la Commissione possa procedere già nel corso della prossima settimana alle audizioni sul provvedimento, che si è convenuto di svolgere nell'ambito dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, testè svolto.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 14.35.

SEDE REFERENTE

Martedì 29 giugno 2010. - Presidenza del presidente Donato BRUNO.

La seduta comincia alle 14.35.

Norme in materia di cittadinanza.
C. 103 Angeli, C. 104 Angeli, C. 457 Bressa, C. 566 De Corato, C. 718 Fedi, C. 995 Ricardo Antonio Merlo, C. 1048 Santelli, C. 1592 Cota, C. 2006 Paroli, C. 2035 Sbai, C. 2431 Di Biagio, C. 2670 Sarubbi, C. 2684 Mantini, C. 2904 Sbai e C. 2910 Garagnani.

(Rinvio del seguito dell'esame).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo, nella seduta del 23 giugno 2010.

Donato BRUNO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

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Modifica all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, concernente il divieto di indossare gli indumenti denominati burqa e niqab.
C. 627 Binetti, C. 2422 Sbai, C. 2769 Cota, C. 3018 Mantini, C. 3020 Amici, C. 3183 Lanzillotta, C. 3205 Vassallo e C. 3368 Vaccaro.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato da ultimo, nella seduta del 23 giugno 2010.

Barbara POLLASTRINI (PD) rileva che, come hanno confermato le audizioni svolte dalla I Commissione sulle proposte di legge in esame e lo stesso dibattito aperto in Europa, ci si sta misurando con una materia densa e carica di simbologie. Ritiene che la complessità si colga immediatamente se si osservano le sensibilità diverse che attraversano anche singoli gruppi parlamentari. E non per caso ciò avviene su una materia di frontiera della nostra modernità.
Evidenzia come, considerato che la Commissione sta per passare ad una fase più stringente del percorso parlamentare di esame delle proposte di legge in titolo, si tratta di capire se questo pluralismo possa guidare la Commissione nella ricerca di una soluzione saggia e umanamente ricca. Per questo, ritiene che tutti, come lei in prima persona, si sentono impegnati.
Rileva che, in qualità di donna, considera il burqa, il niqab e altre coperture totali - quando si manifestino in spazi pubblici - come una ferita che la interroga. Si tratta, a suo avviso, della mutilazione di una possibile convivenza civile, che si alimenta con una fiducia reciproca frutto anche della trasparenze. In questo senso, ritiene che il «vedere» - il «vedersi» - sia una condizione del «cercare». E dunque anche del «cercarsi».
Richiama, a titolo esemplificativo, una classe con ragazze coperte in volto, un medico al quale ci si debba rivolgere per consulto con il volto coperto, un avvocato mentre svolge le sue funzioni, o una fila di donne o uomini integralmente coperti dentro un cinema o in altri luoghi pubblici. E pensa alle conseguenze di questi o di altri esempi analoghi.
È convinta che a questi comportamenti si devono sempre proporre le ragioni del dialogo, dell'informazione, della ricerca della convinzione reciproca. Ma, infine, c'è un punto al quale non è possibile sottrarsi: se davvero tali corazze impenetrabili riducono lo scambio, la reciprocità, è a suo avviso doveroso prevedere una norma che - in casi specifici - ne stabilisca il divieto. Ritiene che le istituzioni non possano non assumersi questa responsabilità proprio per una ragione di tutela della convivenza democratica. Motivazione questa che, a suo avviso, viene prima di ogni considerazione sull'ordine pubblico e la sicurezza.
Partendo da tali premesse, non può non continuarsi a riflettere su obiezioni e su dubbi sollevati. Ad esempio, su come evitare con il divieto di ottenere effetti indesiderati quali possono essere una ulteriore segregazione delle donne o trovarsi di fronte a donne più determinate a vivere quelle coperture in termini rivendicativi, di una propria alterità.
Ricorda infatti che la cronaca, a volte tragica, e l'esperienza diretta dicono che quella coltre è soggettivamente ambigua, nel senso che dietro un «indumento» si nascondono motivazioni diverse. Diritti calpestati, segregazioni, violenze e omicidi oppure una volontà di distinzione da una società ritenuta impudica o, ancora, l'adesione estrema a un'appartenenza e a una interpretazione religiosa.
Ritiene che sia questa complessità di significati a fare del tema la metafora di un tempo segnato dall'emancipazione di miliardi di persone, ma anche di regressioni e fondamentalismi drammatici.
Ciò conduce al nodo di fondo che riguarda il fatto che, come in altri passaggi storici, a determinare il profilo della democrazia sono nuovamente la dignità e la libertà femminili. Quindi, i diritti umani delle donne diventano, oggi come nel passato, lo spartiacque nelle culture, nelle istituzioni, nelle società. Ed è tale consapevolezza a caricare di valore la riflessione

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in atto persino al di là del merito - pure rilevante - delle proposte di legge oggetto del nostro confronto.
Rileva come la questione sia capire che oggi su scala globale è aperta una «vera e propria guerra sparpagliata» che ha come oggetto il dominio sul corpo delle donne, il fanatismo, le lapidazioni, gli acidi sul volto, gli stupri etnici: «Femminicidio» è il neologismo, la nuova fattispecie di reato, coniato dalle Nazioni Unite.
Sottolinea come dal diritto negato alla nascita, all'infibulazione e alla maternità, al lavoro o alla cittadinanza, il rispetto della donna e del suo corpo è l'essenza della dignità di ogni essere umano ed è alla base di ogni contrasto alle discriminazioni per orientamento sessuale, religione, etnia. E se così stanno le cose sul rispetto dell'immagine pubblica della donna in Italia, classi dirigenti, media, istituzioni, hanno più di qualcosa su cui interrogarsi, rimproverarsi e riparare.
Evidenzia come la questione dei diritti umani delle donne sia uno dei capisaldi, insieme alle libertà individuale, religiosa e politica che può forse illuminare i dilemmi in atto. Da questo punto di vista, ritiene che la I Commissione, per la sua specificità, possa restituire al Parlamento il senso di una riflessione meno piegata sullo scontro quotidiano e più attenta al dibattito europeo sui contenuti di una moderna democrazia.
Occorre tuttavia fare attenzione, perché il legame tra problemi apparentemente distanti è più solido di ciò che spesso appare. Ad esempio, di fronte alla crisi dell'economia, quando un uomo si suicida per il lavoro, o quando mille ragazze partecipano a un concorso per una decina di posti, è più difficile chiedere attenzione alla sfera dei diritti umani e civili. Anzi è facile raccogliere l'invito a occuparsi d'altro. Nella opinione pubblica l'intervento contro il burqa può, come peraltro è stato evidenziato in alcuni interventi, trovare una giustificazione in una logica securitaria contro chi appare diverso da noi, «l'usurpatore» dei nostri diritti, da punire e allontanare. Insomma un'altra legge manifesto, inutile e dannosa.
Proprio per evitare questo rischio, è necessario dire ciò che in nome di un conservatorismo diffuso in Italia non si vuole mai dire. Il punto è che sono le nostre città - è il mondo - che non permettono di separare un «prima» e un «dopo» tra economia e democrazia. Tra uno sviluppo equilibrato e l'uguaglianza. Tra libertà e legalità, integrazione e regole.
Rileva che l'Occidente europeo, proprio per il mescolarsi di umanesimo e illuminismo, per la compresenza dei tre monoteismi, e persino in ragione delle tragiche rotture del Novecento, dovrebbe oggi sperimentare con coraggio la ricomposizione dei valori di uguaglianza, solidarismo e libertà.
E invece la dichiarazione di ieri della Commissaria agli interni che riconosce ai singoli Stati la competenza in materia parla, ancora una volta, della fatica culturale e politica dell'Europa.
Ricorda che, anche dal collega Bordo, sono stati evocati tolleranza e liberalismo. Certamente concorda: lo sguardo laico e liberale della Costituzione italiana era e rimane la bussola da seguire.
Così come un riferimento essenziale è oggi la Carta europea dei diritti dell'uomo. Tuttavia, anche per allargare quello spirito di tolleranza, bisogna che le istituzioni agiscano contro paure, vessazioni, diseguaglianze. Questo se si vuole tenere ferma una libertà di scelta per la «persona».
Rileva come la parola «libertà» abbia molte facce. A volte è persino comodo attribuire alla libertà di scelta l'esito di un lungo condizionamento sul piano del dominio e della manipolazione di individui più fragili. È consapevole che il confine tra queste diverse facce non è sempre facile da individuare ma, anche nella veste di legislatori, non ci si può sottrarre a questa responsabilità.
Evidenzia come mutilazioni genitali, autoriduzione in schiavitù al patriarcato maschile, poligamia sono talvolta dichiarate come libertà di scelta. Eppure il legislatore interviene per fare avanzare libertà, cittadinanza, coscienza civile. Quindi, è proprio in nome della tolleranza e del dialogo che occorre respingere indifferenza

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e relativismo. E questo è tanto più vero quando si parla dei diritti umani delle donne.
Fa quindi presente di aver sottoscritto la proposta di legge C. 3020 Amici, con la massima disponibilità a correggere, migliorare, cambiare, un testo che viene messo al servizio di una proposta più condivisa.
La proposta non richiama i termini burqa, niqab o simili ma prevede il divieto - in talune circostanze - di indumenti a copertura integrale per una duplice ragione. Da una parte, per evitare il rischio di incostituzionalità in cui si incorrerebbe nel fare riferimento a coperture integrali religiose o che si considerino tali come suggerisce anche recentemente il Consiglio d'Europa. Dall'altra parte, per evitare che una scelta di responsabilità verso i diritti umani sia uno scivolo per chi voglia alzare steccati di incomunicabilità tra credenze, civiltà e nelle civiltà.
Il compito del legislatore dunque è quello trovare un bilanciamento tra principi.
Ritiene quindi che, anche per rendere meno imperfetta la risposta al tema in discussione, sarebbe servito accelerare la legge sulla libertà religiosa, quella sulla cittadinanza, la revisione della Bossi-Fini, le misure essenziali contro il sommerso e la legge sui centri antiviolenza a cui possano rivolgersi quante vogliano liberarsi dalle schiavitù.
In questa fase, auspica che possano essere date risposte con una legge saggia e condivisa che tenga conto dei diversi profili da lei rappresentati.

Donato BRUNO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

La seduta termina alle 15.